#tutto sta nella voglia di fare della preside
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the-tenth-arcanum · 4 months ago
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ma forse ce la possiamo anche fare voglio essere ottimista
code switching (parlare con un accento veneto alla segretaria del mio vecchio liceo)
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chiamatemefla · 4 years ago
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«Ancora non ci credo che sei del Novantadue.» Antonio si rigira tra le mani la sua carta d’identità, stranamente poco interessato alla foto da quindicenne con i capelli flosci, incredibilmente preso dalla sua data di nascita scritta storta sulla carta marroncina.
È marzo, sono le quattro del mattino, Giacomo dorme scomposto su una delle poltroncine della sala d’aspetto dell’aeroporto di Ciampino e Gabriele sta giocando, con poca fortuna e ancor meno coordinazione, a qualcosa sulla sua PSP.     
«Non capisco perché ti fa così strano.»
Antonio gli restituisce il documento, affonda il naso nella sciarpa che tiene stretta intorno al collo e fissa le insegne per il bagno di fronte a lui.
«È che avrei dovuto saperlo prima, se non altro chiedere, no che lo scopro quando mi inviti ai tuoi diciott’anni.»
«Se ti consola dovevo nascere l’anno prima ma ho deciso di farmi quindici giorni di vacanza in più. Poi, giustamente, mi madre s’è rotta er cazzo e s’è fatta fa il cesareo.»
«No, per carità, a dicembre no che poi nascevi sagittario.»
«Mo te ne intendi di oroscopo?»
«Vivici te con mia madre, poi vedi come te ne intendi di oroscopi.»
«E cos’hanno i sagittario che non va?»   
«Ma che ne so, so solo che non si reggono.»
«La Fra è nata a dicembre.»
«E che me lo dovevi di’...»
Gabriele impreca a bassa voce, schiaffeggiandosi la coscia con frustazione e svegliando un alquanto confuso Giacomo seduto nel sediletto accanto.
«Hanno aperto i banchi per il check-in?»
«Seh, lallero, dormi Giacomì che qua ne abbiamo ancora per un’ora e mezzo.»
Giacomo, neanche a dirlo, si è riaddormentato prima che finissero di parlare.
Il padre di Gabriele li ha scaricati nel parcheggio deserto dell’aeroporto nel freddo pungente delle mattine di fine febbraio, ha tirato fuori dal bagagliaio della sua gip le loro quattro valigie, e se n’è andato dicendo in tutto tre parole assonnate e uno “State attenti” bisbigliato da sotto alla sua barba scura.
Il padre di Gabriele sembra un po’ Hagrid se Hagrid fosse stato un carabiniere abruzzese con i capelli tirati indietro per nascondere i primi cenni di calvizie. Come Hagrid, però, era probabilmente l’uomo più buono e disponibile che conoscesse, talmente paziente da offrirsi per fargli lezioni di guida oltre che aiutarlo con la teoria.
Sua nonna continua a dire che, oltre al cesto, dovrebbero fargli un monumento. Suo nonno continua a chiederle quando lo farà anche a lui, che ha insegnato a guidare non solo a lei ma anche a quel gran pericolo della strada di zio Giulio, ma ogni volta viene zittito con un’occhiataccia.
Sotto ai giacconi, buttati addosso alla rinfusa con la scusa di non volerli dimenticare in giro, Antonio gli tiene la mano, gioca un po’ con le sua dita, a volte gliela stringe appena un po’ seguendo il flusso di pensieri che gli fa aggrottare le sopracciglia.
Gabriele li guarda, perplesso, prima di tornare al suo videogioco, Antonio ne approfitta per inspirare a fondo.
Secondo lui avrebbero dovuto dirglielo prima di partire, mettere le carte in tavola fin da subito e poi che arrivasse quel che doveva, avrebbero tranquillamente potuto passare la vacanza separati se l’idea fosse loro sembrata intollerabile.
Flavio aveva fatto il codardo.
«Jà, Fla’, ma ti conosce da quando siete bambini ma ti pare che ti smette di parlare?» aveva concluso Antonio, esasperato, appena poche ore prima, mentre tornavano a casa dopo essersi casualmente incontrati durante la passeggiata serale di quella bestia immonda del cane di Antonio che lo odia visceralmente e vuole la sua pelle.
«E se lo fa Giacomo?»
«E allora è un coglione e se se ne va lontano c’abbiamo guadagnato.»
La conversazione era andata così per i successivi cinquecento metri per finire quasi in lite proprio davanti al portone di casa sua dove Antonio aveva semplicemente sospirato, scosso la testa, e guardato negli occhi con la stessa espressione che ha ad ogni compito di latino riconsegnato con un bel quattro sopra.
«E mo cinque giorni come facciamo?» era stata la sua domanda, fatta con le mani in tasca e un po’ di imbarazzo nella voce, e Flavio aveva realizzato che non aveva pensato a quel dettaglio, che nel grande piano escogitato per non farsi scoprire non aveva messo in conto il modo in cui era diventato spaventosamente normale scambiarsi piccole attenzioni quando gli altri non guardavano.
«E mo cinque giorni so cazzi e solo metaforici, me sa.»
Sente la spalla di Antonio urtare la sua, si guarda intorno spaesato e lo vede solo ammiccare verso Gabriele che ha finalmente ceduto al sonno e si è addormentato, praticamente piegato a metà, abbracciato al suo zaino.
«Me lo dai l’ultimo bacio per il resto della settimana?» Antonio si è appoggiato sulla sua spalla e glielo sta praticamente soffiando nell’orecchio, lo stronzo, è sicuro che se potesse vederlo lo troverebbe a ghignare con una certa soddisfazione.
«Ma te facevi l’infame così pure co’ quello che t’ha mollato male?» 
«No, quello l’ho trattato fin troppo bene.»
«E allora il contrappasso ‘o devo pagà io? Famme capì.» 
«No, tu devi solo dare un bacio al tuo ragazzo.»
«E se ci vedono?» 
«Ma come se ci vedono? Mi baci dietro alla chiesa ad orario di messa e ti preoccupi se ci vede la signora delle pulizie di Ciampino? Abiti a un’ora buona da qua, ma chi ti conosce? E poi gli amici tuoi in coma stanno, mica possono svegliarsi mo mo. Che sono, i belli addormentati pe’ corrispondenza? Qualcuno si bacia e loro si alzano? E dai!»  
*
Ha spedito tre cartoline: una ai suoi nonni, una a Chiara, una a zio Giulio. Sono belle cartoline, foto nitide nella luce aranciata del tramonto, tutte simili, con la stessa vista del centro storico preso da Ponte Carlo.
Poi ha comprato una cartolina anche per sé, per scriverci su l’itinerario ed infilarla in quello che, in principio, doveva essere un album fotografico ma stava diventando, pian piano, il suo atlante personale. Aveva iniziato a farlo da bambino, quando visitava un posto nuovo ogni domenica e non aveva una macchinetta per immortalare le colline toscane o il mare azzurro azzurro di Gaeta, aveva continuato dopo il suo viaggio in Francia con la scuola al terzo anno di liceo, dopo la gita in Inghilterra in quarto e per la trasferta in Sicilia dell’estate scorsa.
La cartolina che compra in uno dei tanti negozietti di souvenir di Praga ha stampato sopra un disegno stilizzato della piazza centrale, poche linee nere su fondo bianco, ché non ha voglia di una foto che gli ricordi di quel viaggio — ne ha già tante, più o meno belle, e l’unica che vorrebbe stampare la può, purtroppo, solo tenere impressa nella mente.
Un quadretto di un bianco asettico che ha come protagonisti una moquette polverosa, Antonio, due trolley azzurri, la chiave magnetica per una camera doppia e il ghigno che si apre sul viso del suo ragazzo alla vista di quel letto matrimoniale senza spalliera e con le lenzuola ancora da mettere.
Non è la prima volta che dormono insieme. Lo hanno fatto in tempi non sospetti, quando Antonio aveva troppo da fare col suo telefono che non prendeva nella casa tra i monti abruzzesi in cui Gabriele li aveva trascinati per pasquetta. Lo hanno fatto a capodanno, tra mille imbarazzi per un bacio dato due settimane prima e di cui nessuno dei due aveva fatto parola, una notte che, per quanto breve, era stata passata a prendere le misure.
Era arrivato febbraio, erano diventati “una cosa”, ed ora che è fine marzo si chiede se abbia senso imbarazzarsi così al solo pensiero di condividere il letto con qualcuno che ha dormito con te più di quanto tu non abbia fatto con te stesso.
Antonio sembra genuinamente brillare all’idea.
«Sul sito facevano vedere due letti separati.» dice, senza smettere di sorridere, abbandonando il trolley accanto all'entrata per piazzarsi al centro della stanza tutto spettinato e col cappello di lana in mano. 
Flavio si sente estremamente fortunato e, fosse anche meno emotivamente costipato, lo direbbe.
Praga era stata un'idea di Gabriele, una scusa per partire tutti insieme ed un portare avanti la tradizione che vuole i futuri diplomandi in viaggio per l'Europa in quell'unica settimana di fine marzo che i professori, un po' contrariati, fingono di concedere visto il veto della preside a qualsiasi uscita didattica durante l’ultimo anno.
Il biglietto era stato prenotato a ottobre, le stanze a novembre, e mentirebbe se dicesse che non ci sta pensando da allora — ma a novembre era diverso, a novembre dopo infiniti tira e molla Antonio aveva rotto definitivamente con chiunque fosse la persona che lo faceva essere perennemente imbronciato e lui non riusciva ad essere altro che arrabbiato.
Pensava di essere protettivo nei confronti del suo amico e a quanto pare, invece, era solo geloso.
La loro camera, in ogni caso, doveva essere una semplice doppia, due lettini separati da un comodino che già stavano pensando a come spostare, e invece si erano ritrovati con una matrimoniale vista cortile. Il ragazzo al banco della reception si è scusato dieci volte, loro dieci volte con un inglese zoppicante hanno risposto che non importa.
In ascensore Antonio non aveva fatto altro che dargli spallate, Giacomo era riuscito ad addormentarsi in piedi, Gabriele aveva solo aggrottato le sopracciglia come se stesse cercando di mettere a fuoco qualcosa nell’aria calda di quella stanzetta semovente.
Ma non ci vuole pensare.
Lo specchio alla sua destra gli restituisce un’immagine che, si accorge, non ha mai visto prima - ed anche quella sarebbe una bella cartolina, si dice, ma sa che ne sarebbe geloso, che non permetterebbe a nessun altro di guardarla.
Due ragazzi abbracciati, fronte contro fronte, le labbra che sanno ancora di baci e i capelli schiacciati dai berretti che hanno indossato fino a poco prima — sembra quasi la scena di un film, di quelli che non guarderebbe se passassero in tv ma che andrebbe a cercare quand’è solo per piangerci in silenzio.
Si sporge di nuovo per sfiorargli le labbra ancora una volta, lo sente sorridere, accarezzargli le guance come fa ogni volta che lo bacia e sanno di avere un quarto d’ora prima di uscire di nuovo, imbacuccati e col naso nelle sciarpe, a cercare di sfiorarsi casualmente e passarsi la birra con fare distratto.
Sente il naso di Antonio solleticargli il collo, un bacio che si posa lì dove comincia la spalla e la vibrazione leggera di una risata silenziosa contro la pelle.
«Che dici, è il momento sbagliato per dirti che ho portato il pigiama del Napoli?»
*
Non è successo a Praga, non è successo a pasquetta, non è successo neanche al compleanno di Giacomo quando tutti intrisi di alcol come neanche i vecchi stracci con cui pulivano le scale del suo palazzo né in uno dei qualsiasi momenti in cui poteva succedere e non è successo.
Di notte il belvedere è bellissimo, i paesi vicini sono laghetti di luce su un mare pieno di onde, ma ora è autunno e sono le cinque del pomeriggio. 
D’estate quel posto è sempre pieno, soprattutto di coppiette e famigliole con bambini che si godono il panorama mentre i pargoli scendono cento volte dallo stesso scivolo.
Ma è fine settembre, ha da poco smesso di piovere, e sul colle non si avventurano neanche le coppiette in cerca di intimità, ci sono solo lui, che è salito a piedi dal paese e inizia ad aver caldo nella sua felpa, e Antonio che fuma nervoso appoggiato al cofano della macchina.
Quella sigaretta è solo un apostrofo tra la conversazione che hanno avuto appena qualche ora prima sulla strada di casa e quella che avranno tra poco, aspettando che i lampioni si accendano e il parapetto di metallo nero si affacci direttamente sulla vallata sottostante pinticchiata di stelle.
«Sono venuto con te alla cresima di Chiaretta.» ecco il primo colpo, una parola e un tiro di sigaretta mentre lo fissa dritto negli occhi con aria affranta, arrabbiata, chissà cos’altro.
«C’ero al matrimonio di tua madre, ai settant’anni di tuo nonno, alla festa di pensionamento di tua nonna.» si passa una mano sul viso, tra i capelli la tuffa nella tasca del giacchetto di jeans e guarda altrove.
«E ogni volta mi sono vestito bene, sono venuto in un posto in cui non c’entravo un cazzo, ho stretto mani e firmato bigliettini d’auguri e sorriso a tutta una serie di parenti che mi guardavano giustamente perplessi e sono stato il tuo amico.»
«Antonio…»
«No, adesso ti stai zitto.» stende un braccio in avanti, come se non volesse farlo avvicinare, e Flavio si chiede se davvero lo conosce così poco da non sapere che, no, fare un passo avanti è l’ultima cosa che gli passa per la testa.
Antonio va fatto sfogare da solo, come un temporale.
«E non ti sto dicendo che devi dirlo a casa, fossero tutti come i miei a quest’ora non ci starebbero più guerre, ma capisci dove sbagli?»
«Lo sai che lo capisco.»
«E invece no, non lo so. Ma sai chi lo sa? Alessandro. E Francesca, cazzo. Lo sa Francesca ma non lo sanno i tuoi migliori amici. Lo sanno due stronzi che ci possono rovinare la vita ma non lo sa chi ci potrebbe parare il culo.»
Sposta il peso da un piede all’altro, lo sguardo a terra e Antonio che tossisce qualche passo più in là, colpetti secchi e stizzosi come ogni volta in cui è nervoso.
«Lo sa Nicandro, Fla’...ma quanto ti credi che siamo furbi? Quanto credi che sono stupidi gli altri?»  
È successo tre giorni prima a casa di Gabriele, tra le mille occhiate che il suo migliore amico e le mille espressioni perplesse di Giacomo. Nicandro aveva cenato con loro, aveva assaggiato un sorso di birra al limone avanzata dall’estate, e guardando lui e Antonio parlare vicini sul divano aveva chiesto ad alta voce «Ma voi due state insieme?».
Gabriele lo aveva praticamente trascinato fuori dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle, Giacomo non aveva parlato prima di aver tirato giù gli ultimi sorsi della bottiglia di vino che avevano aperto per l’occasione, piantando i gomiti sulle ginocchia con fare meditabondo, accarezzandosi sovrappensiero la cicatrice lasciata da una marmitta incandescente sul suo polso destro.
«Ah, ecco perché il gatto di Flavio odia Antonio…» aveva mormorato, con un sorriso vittorioso sulle labbra, parlando più con se stesso che con loro due e Gabriele era uscito dalla cucina trascinandosi dietro un imbarazzato Nicandro e una serie di domande che stanno per piovere loro addosso.
Quello sarebbe stato un momento perfetto per farlo, sospirare esasperato e chiedere “Ma possibile che Nicandro c’è arrivato prima di voi?”, scoprire le carte in tavole e farli sentire nauseati dall’idea di aver passato del tempo con una coppietta, proprio quello che evitano da sempre, proprio quello che evitano accuratamente di fare.
E invece non l’aveva fatto.
Non era successo neanche in una sera di inizio autunno dopo una bottiglia di rosso forte. 
Prima ancora che chiunque di loro potesse parlare, Antonio aveva riso di gusto, poi si era alzato lentamente e se n’era uscito senza neanche salutare. La serata era finita in un silenzio di tomba, lo stesso nel quale era tornato a casa e che l’aveva colpito, pesante come un macigno, durante la domenica che era passata e lo aveva trovato solo, sdraiato sul suo letto a chiedersi cosa c’è che non va in lui.
Non gli piace parlare di sé.
Anzi, no, Flavio adora parlare di sé finché il discorso va solo dove vuole lui, finché può scegliere, finché può tenere qualcosa per sé — e se da una parte sa che questo può solo far male a chi gli sta intorno, dall’altra non riesce a smettere.
«Non è quello, Anto’.» sospira, tirando la testa indietro. «E che poi penso: e se succede un casino? E se non trovo il modo di riaggiustarlo sto casino? E non dico casino che, boh, la gente dice “che schifo” e non ce parla più, de quello sticazzi, dico...altro. Vivemo in un buco de mondo, quanto ce mette a diffondese la storia? Tu non c’eri quando è venuto fuori di Alessandro.»
«E quindi la tua idea sarebbe?»
«Non ce l’ho un’idea. C’avessi un’idea staremmo a discute su un cazzo de belvedere co’ un’unimidità del trecento percento?»
Da qualche parte nella campagna sotto ai loro piedi due cani stanno litigando quanto loro, e si chiede se almeno uno di loro sia ragionevole e non stiano tentando, come lui e Antonio, di fare a gara e chi c’ha più voglia di rovinarsi la vita a suon di prese di posizione.
«Ti sta bene così?» chiede Antonio, buttando la sigaretta a terra e pestandola con un po’ troppa veemenza. 
«Non che non mi sta bene! Ma con chi cazzo sei stato gli ultimi sette mesi? A me me rodeva er culo quando parlavi con lo stronzo di giù, stavo male quando Salvatore faceva le battutine del cazzo sulle ragazze e te le presentava, mi viene voglia di spaccare le cose ogni volta che nonna caccia fuori la storia che, boh, ci sperava proprio che zio Giulio le avrebbe fatto almeno un nipotino.»
Si avvicina un paio di passi, Antonio gli fa spazio sul cofano perché possa appoggiarsi anche lui, ma Flavio rimane un po’ distante, aspetta di dire tutto quel che ha da dire prima di sentirsi l’altro addosso. 
«Io lo vorrei dire a tutti che sei il mio ragazzo. Soprattutto perché sei più figo di metà dei fidanzati di quelle che conosco.»
«Lo so.»
«Quale delle due cose?»
Antonio non risponde, si passa solo entrambe le mani sulla faccia con una risata bassa e stanca e rimane così, coi palmi sul viso, come quando cerchi di tirarti via il sonno dagli occhi o la tristezza dalla bocca.
«Tu l’hai capito che io non è che ce l’ho con te perché non sei pronto ma solo perché continui a dire il contrario quando non è vero e poi ci stiamo di merda tutti e due?»
«In realtà no.»   
«Marò, ma chi m'ha cecato a me?» chiede, senza smettere con quella risata che sembra più un sospiro, come se tutta quella situazione fosse una commedia pessima e non una tragedia annunciata, causata da promesse non mantenute, tempistiche storte e segreti grandi come case.
Ma Antonio non sembra più arrabbiato, ora, sembra solo stanco e Flavio sa che è sbagliato ma lo vede come un traguardo.
*
Semplicemente non succede. 
Non tutto insieme, almeno, non c’è alcun momento catartico o grande ammissione di intenti, non da parte sua perché Flavio è codardo ma anche estremamente testardo ed ha deciso di farlo, certo, ma a modo suo.
Cominciano con piccoli tocchi casuali, sguardi un po’ più lunghi, l’azzardo di tenersi per mano quando sono insieme a persone di cui si fidano.
Continuano con un bacio fugace mentre cucinano davanti a tutti, il dormirsi addosso sul sedile posteriore della macchina di Giacomo mentre tornano da qualche serata di bagordi, mangiare dallo stesso piattino al compleanno di Chiara.
Poi c’è sua nonna che per il suo compleanno, ancora un po’ tentennante, gli dice di invitare “il tuo ragazzo” a pranzo, suo nonno che gli chiede di spiegarsi meglio e gli chiede di avere pazienza perché, per un po’, cercherà di ignorare l’elefante nella stanza.
Quando Gabriele presenta loro la sua ragazza, stretta in un leggerissimo vestitino rosa nonostante i venti gradi e con le spalle coperte dai capelli più lunghi che abbia mai visto, Flavio fa altrettanto presentando il suo ragazzo. E se Rosa non capisce, e si tocca un orecchio per nascondere l’imbarazzo, Gabriele li abbraccia stretti stretti ed è, se possibile, ancora più felice — dallo schermo in cui Giacomo è in videochiamata arrivano parole che non capiscono nel chiasso generale, la connessione cade a metà cena, e alla fine il povero esule in terra marchigiana invia un messaggio che leggono solo a fine serata.
Ed è strano potersi baciare nell’androne del suo palazzo, vedere com’è la faccia di Antonio sotto alla luce aranciata che c’è sopra al portone e dura solo il tempo di farsi una rampa di scale — l’accendono sette volte prima di prendere strade diverse, e a Flavio piace anche l’idea di sapere ogni volta quanto durano i loro baci.
E gli piace poi salire le scale nella penombra che i lampioni gettano sulla via per evitare di accendere la luce altre due volte, entrare in casa felice, accarezzare un sempre più pingue ed aranciato Cicerone che, davvero, sembra essere l’unico a non aver preso bene la storia. (È davvero il compleanno di Anna se io non arrivo in scivolata, in tarda sera e con i capelli dritti, per postare cose? Eh? Lo è? No? Quindi: TANTI AUGURI ANNA DEL MIO CUORE QUEST’ANNO SEI FORTUNATA CHE POSTO DA PC E NON HO TUTTI I FASTIDIOSI CUORICINI CHE AVREI AVUTO NORMALMENTE <3) (come sempre taggo both account perché che ne so @putesseessereallero @blogitalianissimo)
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viaggiatricepigra · 5 years ago
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Review Party - L'Ascesa di Senlin, di Josiah Bancroft
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La Torre di Babele è la più grande meraviglia del mondo conosciuto. Grande come una montagna, l'immensa Torre ospita innumerevoli Regni Circolari, alcuni pacifici, altri bellicosi, appoggiati l'uno sull'altro come gli strati di una torta. È un mondo popolato di geni e tiranni, aeronavi e motori a vapore, animali insoliti e macchine misteriose. Attirato dalla curiosità scientifica e dalle mirabolanti promesse di una guida turistica, Thomas Senlin, mite preside di una scuola di provincia, decide di visitarla. Anzi, gli sembra che, con i suoi lussuosi Bagni, sia proprio la meta ideale per la sua luna di miele con Marya. Solo che, appena arrivati, i due sposi si perdono tra la folla di abitanti, turisti e furfanti. Determinato a ritrovare la moglie, Senlin inizia una lunga ricerca tra bassifondi, sale da ballo e teatri di burlesque. Dovrà sopravvivere a tradimenti, assassini, e ai lunghi cannoni di una fortezza volante. Ma se vuole riavere Marya, sopravvivere non basterà: dovrà sapersi trasformare da uomo di lettere in uomo d'azione.
Una lettura magnetica. Questo titolo mi stuzzicava dall'annuncio della Oscar Vault, dalla copertina che è semplice eppur straordinaria, alla trama che promette un qualcosa di incredibile. Ma mai mi sarei aspettata così tanto. Non mi sono lasciata scappare l'opportunità di far parte di questo evento, anche se ho aspettato un attimo prima di iniziarlo. Infatti arrivavo dalla chiusura de "Il Mare Senza Stelle" che se avete letto e amato come me capirete il vuoto che lascia al lettore e che incubo si presenti dopo, ovvero: cosa leggere, perchè è davvero molto difficile trovare un libro vagamente alla sua altezza; infatti non mi sono lanciata subito in questa lettura (per timore di un confronto che me lo avrebbe potuto far odiare dalla prima pagina), ma ho cercato altro ed ho faticato ad iniziare nuovi libri (o riprenderne in mano alcuni già iniziati). Ma dopo una settimana, stanca e curiosa, finalmente mi sono decisa ad iniziarlo e ne sono stata completamente risucchiata. L'ho finito in meno di due giorni, anche se avrei potuto fare una tirata unica un pomeriggio.  Una storia incredibile, resa davvero interessante dallo stile dell'autore che riesce a far scorrere i capitoli in maniera sconvolgente. Un libro che se ti prende, si divora. Ovviamente, oltre la bravura nella scrittura, Bancroft ci porta in una storia estremamente originale e terribilmente intricata, in cui ci troveremo ad aver a che fare con Thomas Senlin, un eroe davvero improbabile, pieno di difetti, che si ritrova al centro di un'avventura assurda, ma che non smette mai di lottare. E noi finiremo con l'amarlo per tutto questo.  Inizia tutto su un treno, che sta portando Senlin e sua moglie Marya in viaggio di nozze alla Torre di Babele. Una destinazione insolita per due neo sposi, ma è sempre stato il sogno di Thomas visitarla ed i due approfittano di quell'occasione per farlo. Già da subito capiamo che sono due anime molto diverse fra di loro: lui sui 35 anni, il preside ed insegnante della cittadina da cui entrambi provengono, una persona estremamente seria, timida e che sta per conto suo; lei l'opposto, gioviale, allegra, vivace, e dieci anni più giovane di lui. Eppure si amano moltissimo.  «Mi hai reso impossibile leggere un libro in pace. Quando non ci sei, fisso le parole e basta, finché non rotolano giù dalla pagina in una pozza sul mio grembo. Anziché leggere me ne sto lì seduto e rivivo le ore trascorse con te, e sono più affascinato da quella storia che da qualunque cosa possa aver scribacchiato l’autore. Non sono mai stato solo in vita mia, ma ora, per la prima volta, lo sono. Quando non ci sei, mi sento una specie di relitto depresso. Pensavo di capire il mondo abbastanza bene. Ma tu l’hai trasformato di nuovo in un mistero. E fa paura, è spaventoso ed è meraviglioso e voglio che vada avanti così. Voglio tutti i tuoi misteri. E, se potessi, ti darei cento pianoforti. Farei…» Purtroppo però i loro piani vanno in fumo quando i due si separano alla base della Torre, durante una svista nell'enorme mercato che la circonda. Senlin per un po' la cerca in quei dintorni, finché non capisce che potrebbe esser tutto inutile e che deve iniziare la salita, sperando che Marya si sia attenuta al loro piano e i due possano rincontrarsi alla loro meta finale al terzo piano della Torre, ovvero i Bagni. «Non dire a nessuno che stai cercando tua moglie». «E allora come la trovo?» Il tono del preside era incredulo, quasi condiscendente. Sempre pedalando con vigore, si attaccò alla sua cannuccia. «Con i tuoi occhi, la tua intelligenza e sempre per conto tuo. Con tutta probabilità non ci riuscirai mai. Le donne vengono aspirate dalla Torre come le ceneri da una canna fumaria.» Tutto ciò che Senlin credeva di sapere sulla Torre di Babele viene messo presto in discussione e si ritrova ad aver a che fare con una realtà totalmente diversa da qualsiasi cosa avesse mai immaginato ed a scontrarsi con un mondo verso il quale non era assolutamente preparato. Dovrà rimettere tutto in discussione, a partire da se stesso e ciò che è disposto a fare pur di trovare sua moglie. Cambiando sempre di più mano a mano che sale di livello e si scontra con nuovi piani, trovandosi in situazioni assurde che lo obbligheranno a farsi ancora più arguto ed intelligente, oltre che scaltro, per salvarsi la vita, ritrovare Marya e tornare insieme a casa.  «Qui non c’è una sola persona che ti aiuterà. La brava gente non ha né i mezzi né l’intenzione, e la gente cattiva ti prosciugherà e basta. Ti venderanno indiscrezioni, mappe, guide, cose più utili per avvolgere il pesce che a trovare una moglie! Riceverai tanto aiuto che non ti resterà più uno shekel. Ipotizzando che tu non sia già povero come uno Sparviero…» Senlin è il punto centrale (unico) intorno a cui leggiamo la storia, un personaggio magnetico nelle sue imperfezioni, mediante il quale l'autore ci terrà col fiato sospeso molto spesso. Impreparati anche noi a ciò che la Torre ha in serbo, seppur riesce abilmente a mescolare frammenti di azione al passato di Senlin, per farcelo conoscere meglio e capire la storia e l'amore fra lui e Marya. Un uomo che si trova obbligato ad adattarsi ad una realtà ricca di violenza ed imprevedibilità; a dubitare di chiunque, nonostante sia di animo estremamente gentile e buono, e voglia conservare queste parti di sé ed aver fiducia nel prossimo; una persona qualunque che si trova davanti sfide e scelte difficili e pericolose, il tutto per ritrovare sua moglie.  Non permettere mai a un itinerario rigido di scoraggiarti dall’intraprendere un’avventura inattesa. - Guida per tutti alla Torre di Babele Un romanzo davvero molto bello, che è solo il primo di questa serie composta da quattro volumi (l'ultimo in pubblicazione l'anno prossimo) che si spera arrivino presto per soddisfare la curiosità di noi lettori. Credo sia difficile non restarne ammaliati e se vi conquista vorrete leggerne ancora, "dovrete" sapere come continuerà questa storia, che è solo al principio nonostante queste pagine siano davvero dense di avvenimenti.  Non potete assolutamente lasciarvelo scappare. 
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giancarlonicoli · 4 years ago
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14 mar 2021 13:24
"IO NON VOLEVO SPOSARE SIMONA IZZO, RICORDO CHE MI FECE UNA SCENATA CHE DURO’ DA ROMA A VENTIMIGLIA" – RICKY TOGNAZZI: "LE CHIESI PERCHÉ DOBBIAMO SPOSARCI? LA SUA RISPOSTA FU SOLENNE: PER EDUCAZIONE... E SU QUESTO MI SONO ARRESO. LO DISSI CON TONO BRUSCO A MIA MADRE, E LEI REPLICÒ: RICKY “C'È UN ALTRO MODO DI DARE UNA BELLA NOTIZIA”. E IO LE RISPOSI: “SÌ, MA NON C'È ALTRO MODO PER DARE UNA CATTIVA NOTIZIA...SENSI DI COLPA? TANTI, SOPRATTUTTO NEI CONFRONTI DI MIO PADRE. QUANDO ERA MALATO, HO..." - VIDEO
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Emilia Costantini per il “Corriere della Sera”
«Le case dove ho vissuto erano botteghe di artisti: mia madre ballerina, mio padre attore, regista e appassionato di cucina. Sono stato nutrito a pane e cinema e, a un certo punto, ti domandi: cosa vuoi fare da grande?».
Ricky Tognazzi, figlio di Ugo Tognazzi e Pat O' Hara, si è posto la domanda molto presto, dato che ha iniziato a frequentare i set del padre sin da bambino.
«I miei genitori erano separati e quando l' estate trascorrevo le vacanze con papà passavo il tempo a vederlo recitare: lui vestito da messicano, da latin lover o da donna mentre impersonava la drag queen Madame Royale nel film del 1970 diretto da Vittorio Caprioli, il primo che affrontava il tema dell' omosessualità, che all' epoca era praticamente un tabù.
E devo dire che quando lo vedevo atteggiarsi al femminile, il che gli riusciva molto bene, ho avuto un attimo di perplessità, ero preoccupato e mi dicevo: oddio che è sta succedendo, è mamma o papà? E anche un' altra volta mi ha fatto molto preoccupare, anzi piangere...».
Perché?
«Mentre girava Il Federale , nel 1961, ero davvero molto piccolo, ingenuo, ignaro di tutto...seguivo le riprese e, vedendo al lavoro i truccatori, il sangue finto, le botte finte, capivo che si trattava di una pura, innocua mascherata. Ma quando, qualche mese dopo, andammo insieme a vedere il film al cinema, di fronte alla scena in cui lui, orgoglioso di vestire la divisa da fascista arriva a Roma ignaro del fatto che la città era stata liberata, e viene assalito, rincorso dalla folla inferocita... beh mi sono sciolto in lacrime: mi sembrava tutto vero!».
In altri termini, era più convincente sullo schermo che dal vivo?
«Esatto. Papà cercò di spiegarmi con dolcezza che era soltanto un film, che non era successo niente, che era tutto finto. E lì ho capito che il cinema, a volte, è più potente della realtà. Siccome, però, in altre occasioni mi divertiva e mi faceva tanto ridere ho capito un' altra cosa fondamentale».
Quale?
«Che fare questo mestiere è meglio che lavorare. Per questo mi sento un privilegiato: beato colui che scambia il lavoro per tempo libero. Scoprire qual è la propria vocazione da giovani è una delle conquiste più importanti».
Attore o regista? Lei ha fatto entrambe le cose.
«Ugo mi sconsigliò di fare l' attore, dicendo: è un mestiere limitato, sei nelle mani degli altri, perché non provi a studiare da regista, è un lavoro più completo. Così, dopo aver studiato in Inghilterra dove vivevo principalmente con mia madre, venni in Italia e mi iscrissi alla scuola di segretario di edizione e produzione, dove ho imparato tutto il percorso per la realizzazione di un film.
Per dieci anni ho fatto la gavetta, poi Ettore Scola mi chiama per il suo meraviglioso film La famiglia , dove interpretavo Paolino, il figlio di Vittorio Gassman, e l' anno dopo mi dà la possibilità del vero debutto da regista, nella serie Piazza Navona , per l' episodio intitolato Fernanda . Considero Scola il mio maestro, lo definisco il mio "preside", mi ha insegnato tanto: è il mio padre putativo».
Ma quello vero, invece, che padre è stato: assente?
«Come dicevo prima, sono figlio di genitori separati ante litteram, oltretutto entrambi appartenenti al mondo dello spettacolo, e andavo a scuola dai preti, quindi ero figlio di due peccatori... Ma per me erano entrambi presenti, nell' ambito di quella che è diventata una famiglia allargata, avendo avuto in seguito tre fratelli».
Thomas è figlio dell' attrice Margarete Robsahm, Gianmarco e Maria Sole sono figli di Franca Bettoja: con chi dei tre si sente maggiormente in sintonia?
«Sarà perché ci vediamo poco, e questo in certi casi può essere un vantaggio enorme, ma vado d' accordo con tutti. Thomas e io ci somigliamo anche fisicamente, forse perché siamo entrambi nati da due donne nordiche.
Gianmarco ha dei tempi comici eccezionali, è buffo, mi diverte e mi fa anche tanta tenerezza perché ha il candore che è tipico degli attori, perché per fare questo lavoro si deve restare un po' bambini. Maria Sole è forse quella più tagliente, acuta, ha sempre la battuta pronta, sardonica... però resta la mia sorellina più piccola».
La famiglia, poi, ha continuato ad allargarsi con l' arrivo di Simona Izzo...
«Le donne che incontri ti modificano nel Dna: forse se avessi incontrato una donna chef, una "cheffa", avrei aperto un ristorante in Messico. Invece Simona mi chiamò per interpretare il suo primo film, Parole e baci, che dirigeva con la sorella Rossella e il nostro incontro era un destino: anche lei è cresciuta a pane, scrittura e doppiaggio... però le nostre rispettive situazioni familiari non erano facili, facili... Io provenivo dalla mia unione con Flavia Toso, da cui era nata nostra figlia Sarah e anche lei aveva avuto un marito, Antonello Venditti, un figlio, Francesco... Insomma, una faccenda complicata».
E Simona voleva convolare a nozze...
«Eh già, ma io non mi sentivo pronto... E una volta, mentre andavamo in macchina proprio a trovare mia madre, lei mi fa una scenata che dura dal casello di Roma nord fino a Ventimiglia. Io cercavo di spiegarle che il matrimonio non era necessario, che avevamo una casa in comune, un lavoro in comune, persino il conto in banca in comune... e a un certo punto le chiesi: perché dobbiamo sposarci?
La sua risposta fu solenne: per educazione... E su questo mi sono arreso. Quando però finalmente arrivammo a casa di mia madre, le dissi con tono brusco: ciao mamma, io e Simona ci sposiamo. Lei sorrise felice, ma replicò: Ricky c' è un altro modo di dare una bella notizia. E io le risposi: sì, ma non c' è altro modo per dare una cattiva notizia...».
Proprio una cattiva notizia non si direbbe, dato che il vostro legame regge da oltre trent' anni...
«Verissimo. Abbiamo creato la famiglia Tognizzo, una sorta di minoranza etnica, dove siamo tutti padri e madri dei figli e nipoti di tutti e due che amiamo, senza togliere nulla ai genitori biologici. Nel cuore c' è posto per tutti. Simona e io abbiamo anche un' ulteriore fortuna».
Quale?
«Oscar Wilde scriveva: il matrimonio è una croce che deve essere portata in tre... riferendosi all' amante incomodo. Nel nostro rapporto, il terzo incomodo è il lavoro che ci unisce e, in certi casi, ci divide: il dibattito accalorato tra noi è perenne, siamo molto diversi. Io sono pieno di difetti: pigro, ansioso, nevrotico... Sono un ottimo pessimista».
Nessuna qualità?
«Sono tenace, questo me lo riconosco... Aggiungo che mia moglie afferma di amare la mia parte femminile... a volte mi chiedo se ami anche quella maschile... mi auguro di sì. La verità è che chi fa il nostro mestiere deve essere un po' maschio e un po' femmina, fluido nei sentimenti: la mela deve essere intera, affinché una torta abbia più sapori».
A proposito di sentimenti, si è mai pentito di non aver chiesto scusa a qualcuno?
«Sensi di colpa ne ho tanti, ma soprattutto nei confronti di mio padre. Quando si ammalò, ho sottovalutato il suo grave stato di salute e non sono andato a trovarlo spesso in clinica dove era ricoverato. Quando finalmente ci andai, era troppo tardi: mi piacerebbe chiedergli scusa per questo. Ho messo il mio impegno di lavoro al primo posto rispetto alla sua malattia».
E l' impegno lavorativo, ora, si concentra sulla storia di una donna con una figlia malata di leucemia: «Svegliati amore mio» è il titolo della nuova fiction in tre puntate, su Canale 5 dal 24 marzo, con Sabrina Ferilli protagonista.
«Racconta la storia di una madre che lotta per la sua bambina di dodici anni, la cui unica colpa, se così si può dire, è quella di vivere a ridosso di un' acciaieria, dove lavora il padre, e di aver respirato, come tanti bambini, non la brezza del mare che è lì vicino, bensì il vento rosso foriero di morte.
Un doloroso dilemma, un grande dramma accaduto a tante famiglie, il dover scegliere tra il morire di fame o avvelenati... che è un po' quello che stiamo vivendo adesso tutti quanti, un amletico dubbio con cui dobbiamo fare i conti: chiudere tutto per la pandemia e salvarci dal Covid-19, oppure tenere aperto, salvandoci dalla fame? Quando abbiamo iniziato a scrivere questa storia non eravamo in pericolo pandemico, però dentro le acciaierie gli operai indossano da sempre le mascherine, per proteggersi dalle polveri sottili».
Quando la pandemia finirà, qual è il suo più grande desiderio?
«Ho tanta voglia di tornare a vedere film nelle sale e spettacoli teatrali. Per quanto le piattaforme, in questo brutto periodo, ci abbiano regalato le emozioni di cinema e serie tv, il buio della sala, quegli attimi prima che appaiano i titoli quando tutti trattengono il respiro come di fronte a un atto magico, sono cose irrinunciabili che non si possono riprodurre, né tantomeno rivivere seduti su un divano di casa.
Jean Cocteau affermava che al cinema tutti gli spettatori sognano lo stesso sogno e io voglio rivivere questo sogno assieme agli altri...manca poco, spero».
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hoilcollobloggato · 4 years ago
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la mia vita al tempo del COVID-19 (giorno 14)
“Se musica �� d’amore l’alimento, oh, seguitate!” Scrive Shakespeare nella Dodicesima Notte. La musica mi ha salvato la vita! Proprio così, a quarantasei anni suonati, quando penso all’importanza che ha avuto la musica nella mia vita, non posso far a meno di ricordare Francesca M. la mia prima vera e propria cotta. Ero solo un ragazzino. Un episodio catartico per quella che oggi, senza esitazioni, posso definire come la mia bavosa mania per la musica.
Dovete sapere che Francesca M. aveva il più grande e pesante lobo frontale delle Scuole Medie Inferiori Giuseppe Ungaretti di Carpi (MO). – Perché ha il più grande lobo frontale della scuola? Chiesi, alzando la mano un giorno durante una lezione di disegno tecnico. E non appena feci questa legittima, innocente domanda, venni immediatamente spedito dal preside. C’erano tutti i VIP delle Ungaretti: preside, vice, responsabile della segreteria, due bidelli, il primario del DN Dipartimento di Neurologia dell’Ospedale Ramazzini, un consulente della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bologna, oltre a un impenetrabile, inespressivo e silenzioso tirapiedi dell’APRADRI Agenzia per i Progetti di Ricerca Avanzata della Difesa della Repubblica Italiana.
–Non preoccuparti Andrea, disse il preside, non verrai punito; hai posto solo una domanda alquanto delicata.
– Be’, perché Francesca M. ha il più grande e pesante lobo frontale della scuola? Domandai delicatamente, di nuovo.
– Forse posso provare a spiegarlo io…? Rispose quel saputello del primario del DN… Il cervello di Francesca sta diventando sempre più pesante perché sta sviluppando più sinapsi… Ogni settimana la sottopongo a una TAC e a un esame del tessuto celebrale e, puntualmente, rilevo notevoli dendriti… Sai cosa sono i dendriti?
– Cavolo Dottore, non credo di aver già studiato quel capitolo…?!!!
– sono rami filamentosi che raccolgono le informazioni delle sinapsi e le portano fino al corpo principale delle cellule.
Scarabocchiai velocissimo degli appunti e poi alzai lo sguardo. – Penso sia triste, dissi… perché l’ombra della sua testa oscura qualsiasi cosa stia guardando.
– Figliolo sai perché Francesca, finite le lezioni, non torna a casa, ma viene tenuta nell’aula di musica, e nutrita con porridge d’avena per tutto il tempo?
– No, feci io…
– Prima di tutto perché ci sono tantissimi inquinanti nell’atmosfera come il cloro e l’acrinolitrile e il triclorenatro; l’umanità è sempre più vulnerabile a questi veleni, il livello dell’omogeneità genetica è alle stelle, e i nostri sistemi immunitari hanno un repertorio troppo limitato per difenderci dall’inquinamento. Così, affinché la specie umana possa adattarsi e sopravvivere e prosperare, abbiamo bisogno di un aumento drammatico della varietà genetica; questo richiede radicali fertilizzazioni incrociate di esogami… Sai cosa significa esogamo?
– No, feci io.
– Un esogamo da esogamia (da eso- e gamia) è una regola matrimoniale per cui il coniuge deve essere scelto al di fuori di una cerchia matrimoniale, che può coincidere con parentela o clan, fratria, tribù ecc… Quindi l’opposto dell’endogamia. Ad esempio l'interdizione dell’incesto è una regola esogamica universalmente diffusa.
– Esattamente! Esclamarono tutti i presenti annuendo.
– Con chi altri vorrebbe accoppiarsi un alieno venuto dallo spazio, un essere di una civiltà più avanzate se non con la ragazza con il più grande e pesante lobo frontale delle Scuole Medie Inferiori G. Ungaretti? Aggiunse il primario del DN.
A quei tempi io ero un ragazzino, con due gambette da fenicottero che terminavano in due piedi baciati da sandalini in gomma blu cobalto; ero introverso e solitario e non riuscivo a parlare. Voglio dire potevo parlare ma, mai come avrei voluto, mai con le ragazze, mai con la gente. Io aprivo la bocca, ma non veniva fuori niente. E poi, un giorno, incontrai una persona con un grande e pesante lobo frontale che mi incuriosiva e mi piaceva… che forse è la cosa peggiore che potesse capitare a uno che non riusciva a parlare… Confesso che mi sentivo molto confuso, e non sapevo cosa fare con Francesca M. Più pensavo a lei e più mi rendevo conto di provare qualcosa, un sentimento grande. Notti insonni, giorni e settimane terribili. In seguito, nonostante la miriade di problemi e di complessi che minavano la mia esistenza di ragazzino - dal momento che non sono mai stato uno di quelli che grida al fuoco e poi scappa – decisi che l’unica cosa da fare era di provare a parlarle. Sentivo di avere delle responsabilità verso quello che provava il mio cuore inesperto, e verso Francesca M., anche. Così escogitai il modo di rimanere a scuola dopo l’ultima campanella, di prendere le chiavi dell’aula di musica dalla scrivania del bidello e mi recavo tutti i giorni da Francesca. Le prime volte mi limitavo ad osservarla in silenzio, poi inizia a portarle robe dolci e bigliettini con scritto: mi piaci / T.V.T.B. By Andre…
Dopo una decina tra dolciumi e bigliettini, iniziai a parlarle, ma dal momento che la sua eredità genitiva e la sua intelligenza erano fuori dal comune spesso mi sentivo ansioso e in soggezione.
– Il fatto… Il fatto è che siamo così diversi tu ed io, Francy… E non so dire cosa sento dentro. Non so fare quel che si deve fare come una scimmia come un gatto... Come un cieco come un sordo.
– Stai tranquillo Andre, non devi parlare, non c’è bisogno che tu dica niente, né che faccia niente, almenoché tu non voglia…
– Insomma… Tu sei bella e così coraggiosa, mi piacerebbe essere come te, averti addosso come una gioia nuova, come un regalo.
– Lo puoi fare.
– Mi piacerebbe dirti tante cose, come una scimmia, come un gatto...
–Lo stai facendo.
– È tutto così strano…
–Sì.
– Forse sono pazzo…? Ma ho registrato questa cassetta mista per te, possiamo ascoltarla insieme con il mio walkman, se ti va?.
– Allora puoi parlare quando vuoi?
–Sì! Posso… Averti addosso averti insieme restare insieme, volerti bene.
E vai con il meglio delle Top Romantic Song anni ’80 Stevie Wonder, George Michael, Phil Collins, Antonello Venditti, Alphaville, Talk Talk, Riccardo Cocciante, Cyndi Lauper, Industry, Bronski Beat e naturalmente, la nostra canzone, la splendida “Averti Addosso”, di Gino Paoli, uno dei più grandi poeti della musica italiana. Il seguito della storia in un movimento narrativo perfettamente simmetrico, matematico e sinuoso come una lunga stella filante soffiata da un dio bello e giusto, potete anche immaginarvelo da soli…
Proprio come il bardo shaksperiano da quel momento compresi perfettamente le connessioni tra musica, corpo e cervello. Dal padiglione auricolare, il primo punto che raggiunge la musica è l’ipotalamo, la sede delle pulsioni primarie, dalla fame, alla gioia, la tristezza, al desiderio sessuale. Dunque se vi è capitato di guardare un esemplare del sesso opposto o del vostro stesso sesso, con occhi nuovi, grazie alla musica, eccone il motivo. Gli impulsi elettrici della musica si muovono attraverso tutto il sistema nervoso, accelerandone o rallentandone le funzioni. Mettete su un pezzo Take My Breath Away dei Berlin, e avrete l’effetto di un Viagra sonoro che aumenterà la frequenza respiratoria e la pressione agevolando l’afflusso del sangue proprio verso il vostro basso ventre. Se invece optate per qualcosa di più lento, a volume più basso tipo The Wery Throught Of You di Billie Holiday, sarà più come sbronzarsi a forza di bere vino. Dall’una all’altra cosa, a seconda della vostra indole, potrà arrivare una sana e naturale spinta per la vostra libido. Provate! Se poi mettete su un pezzo, uno qualsiasi di Luciano Ligabue allora, oltremodo sarete colti da una condizione nota come VPPB Vertigine Parossistica Posizionale Benigna. L’ascolto prolungato genererà inoltre nausea, diarrea, perdita di equilibrio, nistagmo, sudorazione e/o perdita dell'udito. Mi è capitato purtroppo… Durante una mia recente ed accurata indagine ho scoperto che certe persone attribuiscono addirittura alle emozioni trasmesse dalla musica un valore più alto persino rispetto al sesso. Ma per quanto riguarda all’uso che la maggior parte della gente fa della musica nella propria vita, sono rimasto sorpreso nel notare la scarsa conoscenza e gli sforzi esigui prodotti per sfruttarne il reale potenziale sentimentale ed erotico. Sarebbe dunque saggio tenere a mente le parole di Shakespeare e… continuare a suonare.
Arrivati a questo punto (sono le 10:35 AM), vi starete domandando: ma com’è andata a finire tra Andre e Francesca M.?
Sono passati più di trent’anni da quel giorno nell’aula di musica, in cui mi furono svelate per la prima volta le interconnessioni tra musica e sentimento. Oggi Francesca M. vive in un laboratorio segreto, dell’ APRADRI segretamente costruito all’interno del Vallone dei Mulini di Sorrento – un edificio risalente al X secolo dopo Cristo che è tra i luoghi abbandonati più belli del mondo (situato in un crepaccio di origine vulcanica nel centro della città, è stato abbandonato nel XIX secolo a causa di un aumento improvviso di umidità che lo ha ricoperto di vegetazione). Attualmente non è possibile raggiungere e visitare in alcun modo conosciuto l’antico mulino, anche se rimane una delle attrazioni turistiche più fotografate subito dopo il noto prodotto ortofrutticolo IGP per cui è noto questo territorio – che è l’unica struttura in grado di ospitare il suo enorme e pesante lobo frontale, cresciuto fino a diventare veramente mastodontico. Gli ultimi tempi della nostra relazione si fecero, abbastanza, per così dire burrascosi, il comportamento di Francy verso di me era comprensibilmente bivalente (dopo tutto era stata fottuta a vita dal vincolo di mantenersi illibata, per la possibilità di potersi accoppiare con un alieno), io l’amavo sempre di più e facevo del mio meglio per registrarle nuove cassette miste contenenti buona musica. Prima della fine della terza media le proposi anche di consultare insieme uno psicologo per fare terapia di coppia, ma fu tutto inutile. Il nostro rapporto, la nostra musicale e romantica relazione giunse al termine. Un’ultima cosa, dal momento che sono totalmente sopraffatto dalla nostalgia per quei giorni… Si da li caso che conservo ancora la foto di classe; io sono quello che si intravede al suo fianco: due gambette magre e sandalini blu cobalto, peccato che il suo enorme lobo frontale impedisca di vedere la mia espressione… la stringevo a me fiero e orgoglioso. Scusate, mi sta venendo il magone adesso…
Credo che non capirò mai fino in fondo la frase che scarabocchiò sul retro della foto:
Sul braccio dell’incommensurabile mondo della musica, io e te, siamo la pelle d’oca. By Francy.
Fine giorno14
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pleaseanotherbook · 5 years ago
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PREFERITI DEL MESE #6: Giugno
Finalmente a giugno abbiamo allentato le misure di contenimento del Covid-19 e anche se non possiamo assolutamente dire che sia tornato tutto alla normalità, perché inevitabilmente la mascherina fa parte delle cose da portarci dietro ogni volta che usciamo di casa, pure possiamo cercare di riprenderci i nostri spazi fuori dalle nostre case, con le dovute accortezze. Il 2 giugno ho fatto i miei primi quasi diecimila passi da febbraio e non posso negare che ci ho messo quasi una settimana per riprendermi. Il primo gelato in giro è stato il simbolo della libertà anche se nella quotidianità non c’è più lo stesso sapore di prima.ma c’è piano piano la volontà di riaccaparrare le nostre abitudini. Sono uscita, mi sono vista con le mie amiche, sono tornata al ristorante. Finalmente sono di nuovo con la mia famiglia, posso riassaporare il ciauscolo e la cucina di mia madre e soprattutto posso abbracciare con gli occhi le mie amate colline, piene di girasoli. Questa cosa mi da tanta forza, come il weekend che ho appena trascorso con il Lachimolala Team (ma questa è un’altra storia). Giugno è stato ancora un mese di smartworking, di mascherine, di igienizzante per le mani e di caldo e di gelati. L’estate è qui, e io sono pronta a godermela.
Comunque, per cambiare le carte in tavola e dare una rinfrescata a questo blog, da inizio anno ho deciso di portare qui su questo spazio di web una delle rubriche che più mi piace guardare su Youtube e che sostanzialmente dimostra che non mi so inventare niente, ma che amo inglobare nel mio modo di essere espressioni, modi e idee che mi colpiscono l’immaginario. “I preferiti del mese” è un format che forse non si presta molto alla parola scritta ma ci proviamo, che tanto se non funziona lo facciamo funzionare a modo nostro.
Enjoy!
MUSICA
A giugno è uscito il singolo che anticipa il nuovo album giapponese dei BTS, Stay Gold e i vocals di Jin si sono uniti alle canzoni che ho sentito in loop questo mese (Epiphany, Moon, Airplane pt2, Love Maze, Home, We are bulletproof: The Eternal,Tear, Magic Shop, Go Go, Anpanman, Don’t leave me). Questa ossessione per il kpop è incredibile e quasi inspiegabile per me, che ok che mi fisso senza rimedio sulle cose e finché non mi vengono a noia continuo a sguazzarci dentro approfondendo sempre di più ma pensavo che mi sarebbe passata presto, in fretta, con velocità e invece no. Questo mese però sono tornata ad ossessionarmi anche con Francesco Motta, complice, inevitabile, un episodio, Il pregio dei difetti, del podcast di Dario Matassa. In questo episodio Dario racconta della nascita di una canzone che naturalmente sto ascoltando a ruota, Del tempo che passa la felicità. Ma ascoltate anche Sei bella davvero. Basta poco per innamorarci di nuovo e ancora delle stesse canzoni. Ho anche ripreso ad ascoltare in maniera compulsiva Ridere dei Pinguini Tattici Nucleari. Perché io non ascolto la musica in maniera normale, io mi fisso e la ascolto a ripetizione.
LIBRI
Come vi raccontavo finalmente sono uscita dal blocco del lettore ma a giugno non è che abbia letto così tanto tra una cosa e un’altra, ma ho divorato Di mercoledì di Rebecca Quasi una storia romantica che scalda il cuore e che accarezza lo spirito romantico come solo le storie di Rebecca Quasi sanno fare. I protagonisti, Michele Bastiamante un editore di successo e Nera Valdraghi la preside di un liceo, si scontrano nello studio della Valdraghi e vengono travolti dall’attrazione e dalla forza dei loro sentimenti. Non c’è scampo, quando il cuore chiama bisogna rispondere, ma nonostante questo, non si tratta di una storia banale. Si ride, ci si commuove, si sogna, perché ogni storia è speciale a modo suo e nasconde un potenziale immenso. E vi consiglio tantissimo Rebecca Quasi se avete voglia di una storia romantica con cui sognare.
FILM & SERIE TV
Questo mese ho intrapreso una maratona per riguardare uno dei miei telefilm preferiti: New Girl. Jess scopre per caso che il ragazzo con cui sta da sei anni la tradisce, decide allora di abbandonare la casa in cui convivono e trova un annuncio per una stanza in un loft in cui vivono tre ragazzi: Schimdt, Nick e Coach (sostituito poi da Winston) che la accettano come coinquilina dopo la diffidenza iniziale. Jess infatti è quanto più di lontano ci sia dal loro equilibrio tutto maschile, ma dopo un po’ Jess riesce a penetrare le resistenze di tutti e insieme a Cece, la sua migliore amica, costruisce un rapporto speciale con i ragazzi, fino a formare un gruppo solido e apparentemente indistruttibile. 
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Gli episodi da venti minuti sono perfetti da vedere mentre preparo i pasti e mangio e trattandosi di una commedia i toni sono leggeri e estremamente divertenti. Il mio personaggio preferito è Nick e la scena epica del primo bacio tra Jess e Nick resterà per sempre scolpita nella mia memoria come uno dei baci più belli. Al momento sono arrivata alla quinta stagione e sono intrippata come la prima volta che l’ho visto, e anche più del rewatch che ho fatto di Scrubs. E sempre #teamNick
BEAUTY
A giugno ho voluto provare a fare un cambiamento che non avevo mai fatto: colorare le punte dei miei capelli. Non ho mai tinto i miei capelli, ma farmi le punte colorate è uno sfizio che volevo togliermi da un sacco di tempo. È per questo che ho comprato la tinta Colorista Washout di L’Oreal color burgundy una di quelle che vanno via dopo una ventina di shampoo e che non poteva fare troppi danni neanche in mano ad una principiante della tinta come me. Una domenica pomeriggio armata di tanta pazienza ho pasticciato con il tubetto e non speravo neanche si colorassero… invece il risultato è stato più che dignitoso e mi piace un sacco.
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CIBO
Questo mese sono tornata finalmente a mangiare un gelato. Un gelato buonissimo perché sapeva anche un po' di libertà. Mentale soprattutto. Sembra impossibile ma a piccoli passi mi sto riappropriando di quegli spazi che facevano parte della mia esistenza fino a febbraio.
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Ma non posso non citare i Jajangmyeon i Noodles con salsa ai fagioli neri che ho mangiato con le Merendine al ristorante coreano una delle volte che ci siamo riviste.
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RANDOM
A inizio giugno c’è stato un evento su youtube chiamato Dear Class 2020, una festa per la conclusione del percorso scolastico per gli studenti di tutto il mondo. Hanno preso parte all’evento un sacco di personalità illustri: gli Obama, Beyoncé, Lady Gaga, Katie Perry, John Green etc… e tra queste anche i BTS. Si, lo so, sono monotematica, ma il discorso dei ragazzi sud coreani e soprattutto di Jin mi è rimasto nel cuore.
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Non so se ne avevo mai parlato ma un argomento che mi ha sempre intrigato molto è quello della Caccia alle Streghe. Non so spiegarmelo neanche io, in realtà. Ho beccato un elenco del The Guardian (un po' opinabile in realtà, ci sono dei titoli che io boh, non ho capito) che mi ha fatto ripensare ad uno dei libri più interessanti che abbia letto sull'argomento I diavoli di Loudun di Aldous Huxley. Lo stavo cercando su Amazon, ma sembrerebbe fuori produzione. A me lo aveva regalato mia zia e lo avevo letto in una torrida estate chiusa nell'ufficio turistico dove ho lavorato negli anni dell'università.
E voi che avete combinato a giugno?
Raccontamelo in un commento.
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tmnotizie · 6 years ago
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MACERATA – Favorire la costituzione di un modello di sviluppo economico e sociale che valorizzi produzione culturale, innovazione e sostenibilità ambientale attraverso la sinergia di una rete di istituzioni e imprese pubbliche e private del territorio e un sistema di alta formazione universitaria e postuniversitaria.
Con questa visione condivisa e la firma – oggi 29 gennaio in municipio –  del protocollo di intesa triennale da parte del Comune di Macerata e di una rete di partner sostenitori pubblici e privati, prende il via il Progetto Start per la creazione di un ecosistema urbano per l’innovazione e l’imprenditorialità nel territorio maceratese.
Nel corso dei prossimi mesi, il progetto si concretizzerà con una serie d’iniziative che l’Amministrazione comunale di Macerata ha già messo in cantiere, come la riqualificazione di strutture urbane per la creazione di spazi di lavoro collaborativi (coworking) e il conferimento di risorse economiche a progetti e imprese meritevoli e si svilupperà ulteriormente grazie ai servizi e alle attività di sostegno alle imprese che la rete dei sostenitori del progetto Start sarà in grado di realizzare a partire dalla firma del protocollo di intesa.
Sostenitori del Progetto Start Oltre al Comune di Macerata capofila e promotore del progetto messo a punto insieme all’ISTAO, sono partner le Università degli Studi di Macerata, Camerino, Urbino e la Politecnica delle Marche di Ancona, l’Accademia di Belle Arti di Macerata, la Banca Macerata, le associazioni artigiani CNA e CGIA di Macerata, la Confindustria di Macerata, la Federazione Provinciale Coldiretti Macerata, il Macerata Opera Festival e l’Apm. Alla firma del protocollo e ai successivi passaggi del progetto partecipa anche Adolfo Guzzini, Past President di Confindustria Marche in qualità di garante della vocazione imprenditoriale e di innovazione del territorio.
La firma del protocollo d’intesa è avvenuta al termine del primo incontro del Tavolo operativo tra i partner nella sala riunioni della sede comunale di piaggia della Torre 8 a Macerata, cui hanno partecipato insieme al sindaco di Macerata Romano Carancini e al presidente ISTAO Pietro Marcolini, Adolfo Guzzini, Past President di Confindustria Marche in qualità di garante della vocazione imprenditoriale e di innovazione del territorio e i rappresentanti di tutti gli enti coinvolti.
Per le quattro università delle Marche il prorettore dell’UNIMC Claudio Ortenzi e Francesca Spigarelli delegata per la progettazione comunitaria, il rettore dell’UNIVPM Sauro Longhi,  il prorettore dell’UNIBO Fabio Musso, il prorettore dell’UNICAM Andrea Spaterna, il vice presidente di Banca Macerata Nando Ottavi, il direttore CNA Luciano Ramadori, il presidente CGIA Renzo Leonori, il direttore Confindustria Gianni Niccolò, il direttore di Coldiretti Francesco Fucili, il presidente APMGiorgio Piergiacomi. Accademia di Belle Arti  e MOF firmeranno in un secondo memento per impedimenti.
Finalità Le finalità del progetto Start saranno perseguite attraverso un insieme di attività sinergiche dai partner chiamati a svolgere le azioni indicate nel protocollo d’intesa: sostegno economico all’attività di ideazione e sviluppo di start up attraverso bandi di gara; recupero di spazi urbani da destinare ad attività di coworking, formazione ed eventi. Sono inoltre previsti servizi e progetti di sostegno allo sviluppo di nuove imprese e di giovani imprenditori. Infatti, sono soprattutto i giovani con elevata preparazione culturale e vocazione imprenditoriale i destinatari delle azioni volte a dimostrare che anche il nostro territorio può essere un luogo ideale per costituire nuove imprese e sviluppare la loro professionalità puntando su innovazione, sostenibilità e qualità ambientale e sociale.
“Siamo orgogliosi di essere arrivati oggi alla firma di questo Protocollo, che rappresenta lo strumento essenziale per la realizzazione degli obiettivi del Progetto Start. – ha affermato il sindaco di Macerata Romano Carancini. Un  progetto che presentiamo oggi dopo un percorso articolato, compiuto per larga parte fianco a fianco con Istao, che è servito per definire gli obiettivi, le risorse necessarie e le collaborazioni che come si può vedere sono tante e significative. È un progetto importante che cerca di affrontare e dare risposte a grandi tematiche quali l’occupazione giovanile e lo sviluppo economico e sociale del nostro territorio. Tutto questo viene fatto andando a recuperare anche spazi urbani bellissimi che in questo modo saranno valorizzati come meritano.  L’ex mattatoio che si chiamerà MATT e degli spazi ex Rossini vicino alla stazione.
Macerata ancora una volta si pone come capoluogo di Provincia capace di richiamare attorno a sé alcune tra le più grandi realtà di questa Provincia e non solo, siamo molto felici di avere la presenza a questo tavolo delle Università delle Marche.Sono profondamente orgoglioso di vedere così tante realtà coinvolte nel progetto perché questo è sintomo del suo valore ma non solo, è anche il segno che questo nostro territorio , quando serve, è in grado di fare rete e oggi questo è sicuramente un fattore determinante per pensare di far crescere una realtà come la nostra. La collaborazione, il fare sistema, il fare squadra è la ricchezza più grande che possiamo mettere in campo”.
Percorso istituzionale e impegni del Comune di Macerata
Il progetto Start è il compimento di un percorso istituzionale che l’Amministrazione comunale sta compiendo per favorire la realizzazione di un nuovo modello di sviluppo in grado di creare maggiori opportunità di reddito e occupazione nel nostro territorio. Un percorso che trova fondamento nel Programma di mandato, approvato dal Consiglio comunale nel 2015, in cui è espresso l’obiettivo di sostenere nuove idee d’impresa con risorse comunali. Una delibera di Giunta di fine 2016 amplia la visione strategica e definisce i contenuti dell’ecosistema urbano per l’innovazione e l’imprenditorialità.
Questo obiettivo  trova spazio nel Piano Strategico di Citta, In-Nova Macerata, che ha partecipato nel 2017 al bando ITI della Regione Marche garantendo alla città nuove risorse economiche. Saranno destinate a vari progetti di sviluppo e trasformazione fra cui, interessanti per lo scopo del progetto Start, un nuovo bando per le start up operanti nella produzione culturale e nei settori di eccellenza del nostro territorio e la riqualificazione dell’Ex mattatoio che sarà destinato a spazi per coworking e attività di formazione e non solo. Inoltre, la partecipazione del Comune al Bando per il Piano Nazionale per la riqualificazione sociale e culturale delle periferie ha permesso di acquisire ulteriori risorse che verranno destinate alla riqualificazione degli spazi Ex Rossini vicini alla stazione ferroviaria con simile destinazione.
“Abbiamo voluto posizionare molto in alto l’asticella per dare un’opportunità in più a chi (giovani e non solo) ha voglia di creare il futuro con le proprie mani, le proprie aspirazioni e ambizioni Noi lo sosterremo a beneficio di tutto il territorio con due i bandi con cui entro l’estate selezioneremo le cinque nuove idee di impresa e le startup (da 10 a 15 nuove imprese)” – ha sottolineato Mario Iesari Assessore Sviluppo economico e territorio
La rete e gli impegni dei sostenitori del progetto START Obiettivi cosi importanti e ambiziosi nel nostro territorio possono essere raggiunti solo mettendo insieme una rete di soggetti istituzionali, istituti di alta formazione, istituti bancari e imprese pubbliche e private che ne condividono la finalità. La firma del protocollo d’intesa suggella quindi la prima fase di costituzione della rete dei sostenitori del progetto Start, che hanno accettato l’invito della Amministrazione comunale di Macerata e di Istao e che si dedicheranno a sostenere le finalità del progetto secondo le proprie finalità e competenze. La rete è aperta a nuove realtà che vorranno partecipare alla costruzione del nuovo sistema urbano per l’innovazione e l’imprenditorialità.
L’ISTAO, le quattro Università marchigiane e l’Accademia di Belle Arti promuovono e incentivano l’animazione degli spazi attraverso la realizzazione di iniziative volte alla valorizzazione delle iniziative imprenditoriali.  In particolare, le Università ed Accademia promuovono l’organizzazione congiunta di eventi di formazione, seminari, incontri con il territorio e gli utenti degli spazi di coworking, nonché la conoscenza degli spazi e delle iniziative realizzate, tramite i propri canali, reti e spazi ricercando inoltre, ove possibile, sinergie con le proprie attività istituzionali, le proprie iniziative formative e le proprie eccellenze e competenze, anche in tema di autoimprenditorialità.
“La presenza a questo tavolo testimonia la volontà di partecipare a questo progetto e ai valori che mettono al centro la persona e che vogliono far rinascere questo territorio” ha detto il rettore di UNIVPM. Per l’UNIMC “Gli spazi messi a disposizione saranno un’opportunità importante per tutti gli studenti delle università marchigiane, per coltivare i talenti integrando le specificità degli atenei marchigiani. Con questo protocollo UNIMC e il Comune possono attivamente collaborare per la realizzazione di un ambiente cittadino in grado di favorire la creazione di nuove imprese anche in settori innovativi con una particolare attenzione alla cultura e alla creatività.”
 Per l’Università di Urbino è “un progetto pilota d’interesse per l’intera regione. L’idea dell’ecosistema supera la logica dei distretti per settori a favore delle contaminazioni in grado di sviluppare nuove risorse e di pensare a un nuovo modello marchigiano di crescita.” Un’opportunità per portare concretamente a beneficio del territorio i risultati delle proprie ricerche” per UNICAM. L’ISTAO partecipa a questo progetto come volano organizzativo “Con la firma di oggi inizia il vero lavoro per dare concretezza alle progettualità nel rispetto delle differenze dei partner e delle loro specializzazioni. Obiettivo sfidante ed entusiasmante”ha detto il presidente Pietro Marcolini
Le associazioni imprenditoriali promuovono le finalità del progetto e le singole attività di formazione ed eventi considerati rilevanti presso la propria rete di associati, realizzano in collaborazione con i gestori degli spazi di coworking una serie di iniziative di formazione e/o eventi, e possono proporre al gestore occupazione di spazi (uffici, open space) per attività che gestiscono direttamente.
Un’occasione per risvegliare il territorio, per “ricominciare a pensare con le mani per comunicare e promuovere il valore della nostra terra” come ha sottolineato Adolfo Guzzini
Le imprese produttive e culturali e istituti bancari partecipano con attività di mentoring nei confronti delle start up, che potranno così contare su un percorso di apprendimento guidato da figure competenti ed esperte. Le imprese promuovono anche loro corsi di formazione ed eventi e potranno proporre al gestore l’affitto degli spazi per specifiche iniziative e/o promozione del proprio brand che rispondano coerentemente alla missione del progetto.
“Un’assunzione di responsabilità – hanno sottolineato le imprese produttive – che il Comune ha lanciato e che il territorio ha accolto, per andare oltre le proprie bandiere e uscire da questa emergenza.” “Banca Macerata  – ha detto il vice presidente Nando Ottavi – è convinta di poter essere utile a questo progetto di creazione di un ecosistema urbano per favorire lo sviluppo imprenditoriale del territorio ponendo a disposizione di chi lo vorrà la sua competenza”.
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tuttolionssicilia2015 · 8 years ago
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Un anno…mozzafiato
Il Presidente del L.C. Canicatti Castel Bonanno organizzava una uscita in barca (18 ml compreso bompresso con i suoi regolari 20 gradi per avere, per come ha, una buona predisposizione di vela adatta anche a traversate oceaniche) ed effettuare una visita di un tratto di costa siciliano, veramente mozzafiato e che non è di recente scoperta, ma che sicuramente soltanto l’effetto di una campagna pubblicitaria (positiva e meno positiva) è riuscito ad attirare un numero impressionante di Visitatori!!! (circa 750 mila anno).
Comincia così l’Anno del Centenario; Cultura a piena vista e a pieni polmoni. Qualche ambizione? Beh!!! Direi proprio di si, a tal punto da aver fatto storcere il naso anche al più benevolo dei Conservatori. Ma ovviamente tutto ciò ha preso solo di striscio e non ha condizionato più di tanto. Un Anno Sociale, quindi, da onorare nel miglior stile lionistico: Generosi nella Lode e Cauti nella Critica.
Questi, tra gli altri buoni moniti e via si parte alla volta del Picciolo. Quattro Amici al Picciolo: Con Me, Rosa Maria, Giuseppe e Pietro, uno staff che ha guardato al Passato così come ha progettato per il Futuro. E’ Stato un anno non facile, ma non ci sono anni facili!!! Un anno cominciato subito mettendo subito alla prova lo Staff che si è dimostrato monolitico. Un terremoto di proporzioni devastanti propone da subito un impegno umanitario di prim’ordine.
Ecco perché già all’apertura dell’Anno Sociale Rosa Maria ci partecipa con convinta commozione di essere operativa e in luogo di operazione. Amatrice una delle tante sedi colpite e una delle sedi dalla quale far partire una voce di speranza. Siamo già in mare aperto e l’Anno si contraddistingue per fatti organizzativi che guardano nel contempo alla Solidarietà e all’Amicizia. Lions Day ad Agrigento, Incontro di Autunno a Mazara del Vallo, prima riunione di Zona ad Agrigento e prima riunione di Circoscrizione a Ravanusa.
Gli Amici Daniela Cannarozzo e Antonio Garufo nei rispettivi ruoli di Presidente della Zona 26 e della IX Circoscrizione, danno le prime dritte e consentono di Armonizzare l’insieme dando parole e gesti di incoraggiamento ai Presidenti di Club della Zona 26 Balsamo, Milazzo, Vella e Paci; quattro Cavalieri, così da subito vengono etichettati dalla Presidente di Zona, la quale è compiaciuta per la sinergia che hanno saputo gestire e portare a buon frutto sino alla visita Amministrativa del Governatore Spata e oltre e che alla Conclusione dell’Anno Sociale, che li ha visti riuniti alla Charter del Club Ravanusa Campobello, ne ha dato ampia prova.
Beh!!! Tracciare un anno di fatti Concreti e sulla rotta della Solidarietà è stato compiuto felicemente. Il Lion Club Canicattì Castel Bonanno è stato presente ed attivo ed è riuscito anche a distinguersi tra Clubs ben diretti e che altrettanto hanno saputo brillare di luce propria. Siamo ormai al Capolinea, non cambia il tram ma solo il conducente. Un Conducente fiero di aver reso un servizio apprezzato; questo apprezzamento è venuto a più voci e nei fatti. Il Club ha espresso oltre che la voglia di fare anche la capacità di tenere fermo il timone e non infrangersi sugli scogli dove sarebbe stato facile naufragare.
Siamo al Mese di Giugno, abbiamo da poco superato il centenario, festeggiato brillantemente il 7 giugno dall’Amico Carmelo Paci, e poi che dire del passaggio della Campana, tenuto nel terrazzo più spettacolare, per la vista, di Canicattì, con la presenza di due futuri Governatori Leone e Collura, ad una Donna, Liliana Munda che muove i suoi primi passi del secondo centenario nella tradizione di genere femminile che ha dalla nascita contraddistinto il Club Canicattì Castel Bonanno.
Il Passaggio della Campana è stato un momento di grande emozione e questa emozione è stata più grande quando abbiamo ascoltato il Giudizio dei Presidenti di Zona e di Circoscrizione e dei due futuri Governatori!!! Un Club in Salute? Direi di più un Club che ha tanta voglia di dare e di servire, in piena sintonica con il Governatore che tornerà da Chicago, Ninni Giannotta. Non ancora appagati per le tante iniziative promosse e portate a compimento (Poster della Pace, Raccolta Occhiali Usati, Camper Oftalmico), dobbiamo anche completare un iter intrapreso prima della Festa degli Auguri, per la Festa della Donna tenuta nella nuova sede “Re di Coppe” e annunciato alla Conferenza d’Inverno; la raccolta fondi per la messa in sicurezza del Castel Bonanno!!!
L’Ultimo atto si è consumato oggi 26 giugno con l’inaugurazione dei lavori di messa in sicurezza alla presenza di Sponsor e Amministratori comunali: gli Sponsor che hanno messo a disposizione preziose testimonianze del loro talento, i Pittori Proietto Giovanni e Michele Giardina e l’incisore Evelyn Costanza; a questi si è aggiunto anche l’artista Artigiano Spoto che hanno consentito una raccolta fondi ricavata dalla vendita dei biglietti della lotteria che ha assegnato ben quattro opere.
Una consegna di targhe doverosa per la loro generosità e un sobrio rinfresco in una giornata calda che non ha scoraggiato la partecipazione di numerosi Soci del Club Canicattinese. Questa esperienza conclusiva dell’Anno Sociale, definita tappa che segna solo il passaggio alla guida così come fanno i ciclisti, dove chi sta davanti è colui che taglia l’aria e compie il maggior sforzo mentre gli altri stanno al seguito sfruttando la momentanea e temporale scia.
L’intervento compiaciuto del Sindaco Di Ventura ha sottolineato gli ottimi rapporti tenuti tra il Club Service e l’Amministrazione che hanno potuto reciprocamente fregiarsi dell’Amicizia e Solidarietà, auspicando così in una prosecuzione nel tempo. Appena due giorni fa del resto una ulteriore dimostrazione del lavoro sinergico con il Convegno tenuto sabato 24 al Teatro Sociale che ha avuto amplissima eco e partecipazione(oltre 150 Tecnici tra Architetti, Ingegneri, Geologi, Agronomi e Geometri), in collaborazione con gli Ordini Professionali della provincia che hanno garantito crediti ai partecipanti e alla presenza di personalità come il Giudice TAR Giuseppe La Greca e l’Urbanista Maurizio Carta che con due spettacolari relazioni hanno dato vita e corpo ad un significativo confronto dialettico con funzionari dell’ARTA e deputazione regionale intervenuta a favore dell’approfondimento e del confronto.
Pertanto un Grande successo e anche questo un grande progetto in embrione e che per l’impegno profuso che ha consentito gratuitamente di assistere ad un Convegno formativo di primissimo livello. L’Amministrazione Comunale è stata ben lieta di organizzare l’evento e mettere a disposizione l’edificio che sicuramente rappresenta uno dei tanti fiori all’occhiello della Comunità Canicattinese.
Grande soddisfazione quindi per la riuscita di un Anno Sociale di Spessore, Tenuto in perfetta Armonia con le Istituzioni Locali e i Club Service della Zona. Un Ringraziamento particolare il Presidente l’ha rivolto al suo Staff, con un augurio particolare all’Amico Tesoriere Giuseppe Lana che si è infortunato mentre operava nella raccolta degli occhiali usati.
Il Presidente a fine cerimonia si è intrattenuto con gli astanti ringraziando pubblicamente la Compagna della sua Vita per la pazienza e il contributo fattivo dato al successo dell’Anno Sociale che va a chiudersi e una calorosa stretta di mano a colei che per tutto l’Anno Sociale è stata prodiga di buoni consigli dall’alto dei suoi trenta anni di lionismo e che ha sempre incoraggiato, anche nei momenti più difficili, Carmelina Cucurullo ed infine il Past President Calogero Cavallaro, Socio oltremodo disponibile e sincero Amico.
Ancora un grazie va a tutti coloro che hanno reso possibile questo Anno Sociale e che sicuramente lo porteremo nel cuore come un anno di vera svolta che apre ad ottimistici auspici. WE SERVE
Giuseppe Vella
LC Canicattì Castel Bonanno Un anno...mozzafiato Il Presidente del L.C. Canicatti Castel Bonanno organizzava una uscita in barca (18 ml compreso bompresso con i suoi regolari 20 gradi per avere, per come ha, una buona predisposizione di vela adatta anche a traversate oceaniche) ed effettuare una visita di un tratto di costa siciliano,
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chiamatemefla · 5 years ago
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A novembre già nessuno gioca più nel campetto dietro al supermercato, l’erba è di nuovo a chiazze e qualcuno ha portato via le reti dalle porte, pronti a rimontarle con l’arrivo della bella stagione. Non è neanche il freddo, a dir la verità, a scoraggiare i ragazzi che ogni estate si radunano in quella macchia verde, ché negli ultimi anni il tempo è diventato via via più clemente e giornate di grosse nuvole innocue ed umidità hanno sostituito le lunghe ore di pioggia della sua infanzia,.
È forse solo una sorta di rito di passaggio che porta tutta al gioventù di quel buco di mondo a transumare verso il campetto coperto in cima alla collina non appena si supera il quindici ottobre, una piccola tradizione che porta il bar della palestra accanto al campetto coperto a fare affari d’oro sei mesi l’anno.
Infila le mani nelle tasche del giacchetto e salta un po’ sul posto, non tanto per scaldarsi quanto più per svegliarsi, i libri nello zaino che si muovono su è giù contro la sua schiena e le chiavi di casa che suonano nella tasca della tuta.
Di Antonio ancora nessuna traccia, constata, dando un’occhiata all’orologio a cui deve decidersi a cambiare il cinturino - è un regalo di suo zio e gli costa fatica pensare che potrebbe non essere più com’era quando glielo ha regalato cinque anni prima, ognuno ha i suoi problemi
Può darsi che quello di Antonio sia, un po’ come al solito, il tizio delle ripetizioni di matematica che non lo lascia andare e che poi pretende anche di farsi pagare le mezz’ore in più che lui si prende senza che nessuno glielo chieda.
«Dovresti cambiare tizio delle ripetizioni.» è il modo in cui si salutano ogni giovedì intorno alle cinque e mezzo, quando finalmente Simone lascia andare il suo amico e possono farsi due tiri in porta senza che nessuno si metta tra il pallone e la cornice di ferro.
«In paese c’è solo lui, io non mi faccio venti minuti di autobus per sentirmi dire che so fare le cose e poi prendere tre e mezzo ai compiti.» è la risposta di Antonio mentre appoggia lo zaino contro gli scalini di cemento a bordo campo e controlla che il piede non gli faccia troppo male per giocare.
Flavio l’ha conosciuto due estati fa, saltellante su un piede solo, l’altro ingessato e, a suo dire, dolorante, mentre se ne stava seduto su quegli stessi gradini di cemento a guardarli giocare sotto alla calura di un fine agosto stranamente spensierato anche per Giacomo che, per la prima volta, non si era portato a settembre neanche una materia.
Avrebbe scoperto solo a settembre che era il figlio della nuova preside delle scuole medie, che si era rotto il piede trasportando il tapis roulant che sua madre aveva comprato, e che abitava nell’appartamento proprio accanto a quello di Gabriele - il quale, dal canto suo, non l’aveva visto che due volte perché passava la maggior parte delle sue giornate a casa di Flavio.
Quell’agosto di un anno fa Antonio era una persona diversa: più silenzioso, quasi imbronciato, troppo preso dal suo telefonino per essere al cento percento dentro alle conversazioni.
«Sto avendo un po’ di problemi con una persona che ho lasciato giù.» aveva ammesso, mesi dopo, lanciando il telefono sul divano di casa di Giacomo mentre tutto il resto della ciurma è nella stanza accanto a torturare il microfono di un Canta Tu ad un volume improponibile, il festeggiato che urla più degli altri, qualcuno che va fuori tempo.
«Hai lasciato la spasimante a Napoli e questa ancora pressa?» s’era sentito in dovere di chiedere, con aria da gran rubacuori, da Dottor Stranamore che se ne intende di storie e sentimenti e poi non ha mai avuto una ragazza come si deve.
Ricorda ancora il modo in cui aveva arricciato le labbra, quasi infastidito, prima di annuire e rispondere con un vago «Sì, una cosa del genere.» che lo aveva poi portato ad alzarsi con la scusa di andare ad unirsi al coro stonato in sala da pranzo.
Di quella serata ricorda solo la forza di volontà che gli era servita per non provare a vedere il nome della tizia ossessionata da quello che stava, lentamente, diventando il suo amico e lo strisciante senso di invidia che gli aveva fatto prudere le mani e lo aveva portato ad andarsene che non era neanche mezzanotte e senza aver mangiato la torta di mamma Silvia.
C’erano voluti mesi interi per capire che quell’invidia, che avrebbe dovuto in realtà chiamare gelosia ma certo non sta qui a formalizzarsi sui termini, non era minimamente legata al fatto che Antonio avesse una ragazza e lui no.
Anche perché poi era arrivata Francesca, e qualsiasi cosa loro due abbiano insieme, e quella brutta sensazione ogni volta che Antonio si eclissa per rispondere al telefono non la riesce comunque a superare.
Torna a sedersi sui gradini di cemento, le mani ancora ostinatamente in tasca, la coda dell’occhio che registra l’altro avvicinarsi con passo svogliato, addosso la felpa che usa per starsene in panciolle sul divano, nessuno zaino sulle spalle e nessun telefonino stranamente in vista.
«Scusa se ho fatto tardi.» esordisce, scavalcando la rete bassa e già rovinata che dovrebbe fungere da limite invalicabile «È che non mi andava di venire.» continua, senza il suo solito sorriso, tanto che quello sulle labbra di Flavio si era spegne con una velocità disarmante perfino per lui.
«Non eri obbligato.»
«Lo so. Ma se restavo a casa mi spaccavo anche l’altro piede prendendo a calci le cose.» borbotta, salendo un gradino per sedersi dietro di lui, fissando un punto indefinito sullo scheletro di quel palazzo in costruzione da almeno dieci anni.
«Hai intenzione di spaccare qualcosa anche qui? Perché ci sono solo le porte e mi sembrano abbastanza resistenti. Magari dopo il piede ti giochi un braccio.»
Antonio sembra pensarci un attimo, arriccia un angolo della bocca nell’ennesima smorfia del pomeriggio, sembra quasi non gradire la solita dose di umorismo da due soldi che si rifilano a vicenda. 
«Nelle prossime due ore hai intenzione di farti vedere molto innamorato di qualcuno per poi dirgli che la distanza uccide il sentimento?» chiede, a bruciapelo, e Flavio si ricorda di aver spento il telefono proprio perché non voleva davvero sentire nessuno in quelle due ore che si prende per lui una volta a settimana, che a fare quello innamorato di qualcuno non c’è ancora mai riuscito e probabilmente mai ci riuscirà
«Non penso.»
«Allora non spacco niente.» ribatte Antonio, con lo stesso tono secco che ha caratterizzato le ultime due settimane e a cui Flavio riesce a far caso solo ora che sono in due, senza il vocione di Gabriele che sovrasta le loro chiacchiere, senza Giacomo che urta cose a caso ed inizia ad imprecare, senza tutti gli altri.
« Se vuoi non dico più niente e ci mettiamo a dare du’ calci. Io in porta e tu tiri. »
« Poi le spese del dentista te le devo pagare io, però. »
« Se riesci a non spaccarmi di nuovo l’incisivo già spaccato facciamo che offro io, lo so che le ragazze ti fanno diventare scemo, bisogna in qualche modo sfogarsi. » 
Il «Già, le ragazze…» di Antonio si perde nel ma vaffanculo! che urla mentre gli tira una pallonata intimandogli di borbottare meno e giocare di più.                                                         *
Sono seduti ai due lati opposti del tavolo ovale di casa sua, Antonio che continua a sfogliare avanti e indietro il dizionario di latino alla ricerca di quella specifica frase già tradotta.
«È Tacito, no? Io non l’ho mai tradotto davvero Tacito: sta tutto già fatto, che fatico a fare?» ripete ogni dieci minuti, ormai da mezz’ora, continuando a stropicciare la carta sottilissima di cui sono fatte le pagine di quel librone già piuttosto fatiscente.
Più che quello di sua madre, sembra venire direttamente dall’Unità d’Italia.
La maturità è ancora lontana eppure i due giorni consecutivi di sole in un febbraio altrimenti terribile, gli fanno sentire giugno sempre più prossimo e la consapevolezza del loro non aver assolutamente voglia di uscire con un voto di merda ancora più forte. Cicerone starnutisce, acciambellato sulla poltrona, facendoli sussultare e rompendo il silenzio teso che si è creato in quella stanza piena di soprammobili a cui neanche il gatto ha il coraggio di avvicinarsi.
Alza, con non poco imbarazzo, gli occhi su Antonio e nota come abbia spostato gli occhiali un po’ più giù sul naso perché non riesce a trovare una posizione in cui non gli diano fastidio a quel maledetto nervetto sul lato destro; a come stia facendo e disfacendo la stessa frase, il foglio del quaderno quasi consumato a forza di cancellare i segni a matita.
L’ultima volta che si è proposto di aiutarlo, che, per inciso, è stata anche l’ultima volta in cui hanno studiato insieme, risale alla settimana prima delle vacanze di natale, ed è finita così male da spingerli a non provarci più per almeno qualche mese, a lasciar passare le vacanze senza parlarsi.
Se lo ricorda ancora quel pomeriggio, ricorda che si erano chiusi in camera per ordine di sua nonna, troppo presa in una fitta discussione con sua zia per aver voglia di disturbarli con quell’incessante blaterare di parenti morti e figli sposati, che avevano tirato fuori i libri e che, per un discreto numero di minuti, avevano anche tentato effettivamente di studiare. Ricorda poi che avevano cominciato a ridere per una cazzata, e già a partire da qui inizia a dimenticare e non sa dire quale fosse effettivamente la parola che li aveva distratti, che aveva portato ad un discorso che era poi degenerato.
Ricorda bene Antonio che gesticola, tanto e con i suoi soliti gesti ampi, e ad un certo punto aveva perso la concentrazione ed il filo del discorso perché, ad un certo punto, non sono più le mani dell’altro che sta fissando ma la sua bocca.
E la porta chiusa.
Gli occhi che saettavano dall’una all’altra cosa e, no, non capisce come da una versione di latino si sia finiti a parlare di biciclette e telescopi, ma sa che quel pensiero è così semplice e gli ronza in testa da così tanto tempo che un po’ lo blocca e un po’ lo riempie di adrenalina, nello stomaco la stessa sensazione di quando ti fanno battere il rigore decisivo.
Ricorda gli occhi di Antonio che lo avevano inchiodano sulla sua sedia con le rotelline non appena aveva avuto il coraggio di tornare a guardare lui e non le sue labbra, o le sue mani, o la porta della camera chiusa, e ricorda come lo aveva scrutato con aria quasi afflitta.
«Io non so se ho capito quello che vuoi fare » aveva esordito, appoggiando il gomito contro la sedia della cucina che avevano trascinato in camera, continuando a fissarlo anche se con meno sicurezza nonostante la posa disinvolta, lo sguardo di sfida «Però se è quello, tu sappi solo che non è che poi devi invitarmi a cena o cose del genere.» 
Erano finiti a baciarsi contro l’armadio a ponte di camera sua, portandosi via con la schiena un poster con la formazione della Roma di un paio d’anni prima, ad un certo punto Antonio aveva dato una capocciata al muro tale da farli fermare, immobili, aspettandosi i passi di sua nonna lungo il corridoio, ricominciando a respirare, o meglio baciarsi, solo dopo averla sentita ridere due stanze più in là.
E per questo ora, con gli esami di maturità che non sono così vicini ma con lui che fa comunque schifo in matematica e Antonio che ancora, dopo cinque anni di classico, non digerisce il latino, Flavio ha paura di alzare di nuovo lo sguardo e vederlo di nuovo fissarlo con la stessa espressione negli occhi, i pensieri che, ormai da due ore, non vanno che in una sola direzione. Possibilmente una direzione in cui sono entrambi sulla poltrona da cui Cicerone è appena sceso con aria scocciata e riprendono il discorso da dove lo hanno lasciato qualche mese prima, questa volta magari senza gli imprevisti annessi e connessi.
Senza Francesca e la sua sfuriata assolutamente fuori luogo, senza che lui si senta una merda.
«Francesca che dice di questa cosa che sono tornato a studiare da te? Intende venire a mandarmi a fanculo di nuovo davanti a tutti o…?» Antonio posa la matita una volta per tutte, si appoggia al dizionario con aria annoiata.
Ricorda come era arrivata sul piazzale, la sua Seicento nera parcheggiata storta, ed come era scesa senza neanche chiuderla solo per raggiungere Antonio, seduto a fumare su un gradino delle scale antincendio, e davanti a tutta la cricca sputargli uno sprezzante «Vai a fare in culo lontano dalla mia vita.» che alludeva a qualcosa di cui un po’ tutti sembravano ignari, lasciare un libro a Flavio, ed andare via come se niente fosse sgommando sulla discesa che portava alla piazza.
«Boh? Niente? Non gliel’ho detto, mica deve sapere ogni cosa che faccio, mica stiamo insieme.»
«Verso ottobre mi sembravi meno sicuro di questa cosa. »
«Te l’ho già detto che abbiamo rotto non appena se n'è partita per l'università.»
«Sì, me lo hai già detto. Ma mi ha comunque mandato a fanculo davanti a tutti. Cioè, ci è scesa da Bologna per farmi quella scenata?»
Flavio abbassa lo sguardo, sposta un po’ il piede mentre il suo gatto decide che i lacci delle sue scarpe sono esattamente ciò con cui vuole giocare al momento.
«Comunque Gabriele e Giacomo non hanno fatto domande…»
«Mica è detto che non le faranno, però. E in quel caso che dovremmo dirgli?»
Gli dà fastidio il tono di Antonio, così pacato e semplicemente curioso, gli dà fastidio il modo in cui non sa esattamente cosa rispondere e come rispondere - lui ha sempre detto la verità, a dicembre era già tutto finito, non è uno che mette sottosopra la sua esistenza a sei mesi dall'Esame di Stato per niente, senza essersi rosicchiato lo stomaco a suon di rimuginare.
Al contempo, però, sa che Antonio ha ragione.
Lo sente sospirare, chiudere il dizionario, e la mano dell'altro è sulla sua con discrezione, gli dà una pacca perché la apra quel che serve per poterla stringere.
«Io non lo so dove andrò dopo giugno, però.» ammette l'altro, ed ha le sopracciglia un po' inarcate di chi cerca di capire la reazione della persona che ha di fronte.
«Intanto devi riuscire a diplomarti anche sei fai schifo di latino.» 
«Io più ti conosco più capisco perché quello di religione ti voleva sospendere in secondo.»  
                                                              *
Gabriele lo chiama che fuori è ancora notte, sono le quattro ed è l’undici agosto solo da poche ore. Il mondo è ancora lo stesso, il suo gatto sonnecchia sulla sua scrivania e il suo migliore amico è appena diventato padre di una bambina che sarebbe dovuta arrivare tra due settimane è si e presentata all'improvviso.
Come ogni cosa nella vita di Gabriele, anche sua figlia è arrivata cogliendolo di sorpresa e lui, con la resilienza di chi ne ha viste tante e le ha raccontate tutte trasformandole in aneddoto, ha vissuto il tutto con quella calma che agita gli altri.
Ha la voce concitata, probabilmente i capelli legati sulla nuca come ogni volta che è preso in qualcosa e deve pensare lucidamente, e può sentire distintamente i passi che fa mentre, sottovoce, gli dà la lieta novella, gli chiede per favore di dirlo anche a Giacomo e agli altri, risponde “arrivo subito” a qualcuno che gli dice di raggiungerlo appena ha fatto.
Gabriele è il primo a diventare padre, la pancia di Rosa che sembrava crescere con esasperante lentezza, la strana convinzione che il tempo sarebbe rimasto sempre così, immobile, niente sarebbe cambiato: i suoi amici sempre quasi genitori senza mai diventarlo davvero. Un'eterna età adulta senza tutti i doveri che questo comporta.
Si passa una mano sulla faccia per cercare di portarsi via il sonno strofinandosi gli occhi, cerca a tastoni il telefono per scrivere a Giacomo, un messaggio breve a cui sicuramente riceverà subito risposta, e poi a Lorenzo, a Chiara, a Francesca - non ha senso non scriverle in questo caso, si dice, dopotutto Gabriele e Rosa sono ancora amici suoi.
Le spunte blu non tardano ad arrivare, il telefono che vibra di messaggi sulla chat di gruppo che non ha usato per educazione nei confronti di quei pochi fortunati che di notte hanno tempo per dormire.
Vede Lorenzo inviare l’ennesimo vocale che nessuno ascolterà con grande delusione del suo animo narcisista, toglie anche la vibrazione prima di buttare il telefono da qualche parte sul materasso e si ritrova ad avere un solo pensiero in mente: è come l’ultima puntata di Friends e lui è Joey.
Antonio sbadiglia alla sua sinistra, si alza a sedere con il telefono in una mano mentre, con l’altra, tasta il comodino alla ricerca degli occhiali e dell’interruttore dell’abat-jour.
«Se mi sbrigo riesco ad arrivare all’ospedale una decina di minuti prima di te.» e deve fermarsi ogni due parole per sbadigliare, i movimenti rallentati dal sonno mentre scende dal letto e fa per infilarsi i pantaloni che ha appoggiato sul davanzale poche ore prima, cerca con gli occhi le scarpe sotto al letto.
È tornato da poco nella sua vita, in un giorno qualsiasi ha ricevuto una sua chiamata a cui non ha fatto in tempo a rispondere e l’ha poi ritrovato seduto sotto ad uno degli alberi della passeggiata con un husky al guinzaglio e l’aria annoiata.
«Non vivevi in Spagna, tu?» 
Antonio aveva sorriso, annuito con poco entusiasmo, tirando appena il guinzaglio del cane fin troppo preso dall’annusare il nuovo arrivato.
«In teoria sì. In pratica mi è scaduto il contratto ed eccomi di nuovo qui a cercare lavoro a Roma senza vivere a Roma.»
«Se sei tornato per i supplì di Dina devo darti una brutta notizia...»
«Ha chiuso, lo so, me l’ha detto Rosa. Era l’unica a sapere che, sai no?, sarei tornato. Sono atterrato l’altroieri, oggi è la prima volta che esco.»
Flavio aveva annuito, Antonio si era alzato dalla panchina, aveva dato uno sguardo intorno come se stesse ancora prendendo le misure di quel che è cambiato in quel paese da quando l’ha lasciato più di dieci anni prima.
«Mi dispiace per la storia...io e Lucia, tutto il resto» aveva detto, giocando col guinzaglio.
«Non stavamo insieme, potevi fare quel che ti pareva.» 
«Non cambia il fatto che mi dispiace.»  
Glielo aveva ripetuto ogni giorno negli ultimi dieci mesi. Glielo aveva ripetuto mentre si davano appuntamento “per caso” nel bar vicino al capolinea dell’autobus, mentre andavano da qualche parte in macchina, a cena in quella casa in cui doveva entrare di nascosto per non farsi vedere dai genitori del suo migliore amico.
Ed ora è in piedi dall’altra parte del letto a cerca di sistemarsi i capelli mentre cerca di decidere se la maglietta che sta per indossare sia sua o meno, se ha voglia di sentire lo sguardo di Rosa perforargli la nuca mentre cerca di capire se ha qualcosa da dirgli o se, almeno per questa volta, può passare la mano.
«Statte bono.» ha appena la forza di dire, gli occhi ancora chiusi e la mano stesa ad aspettare quella dell’altro perché torni a stendersi accanto a lui, possa rinunciare a tutto quel teatrino che continuano a montare su da quando hanno ricominciato a frequentarsi dopo la grande crisi del post diploma, quella di cui nessuno sa niente ma di cui tutti erano al corrente
«Dieci minuti e mi alzo, mi sveglio, e andiamo all’ospedale.»
«Si sono rotte le acque anche a te? Devo sbrigarmi? Diventerò padre? Hai avvertito Aniello che avrà un fratellino?»
«Sì, sì per tutto, quindi guidi chiaramente tu.»
«Strada tutti tornanti, sarà divertente, tu ami la mia guida.» 
Il telefono continua a vibrare sul letto, la sveglia segna le quattro e venti dell’undici agosto di dodici anni dopo, il campetto dietro al supermercato è stato smantellato e Gabriele è appena diventato padre, Francesca presto sposerà Giacomo e lui sta cercando il modo di capire quando, e soprattutto come, gli ultimi undici anni siano passati lasciandoli immutati in quel che conta, cambiandogli solo i connotati, il colore dei capelli, la taglia dei vestiti.
Per il resto è come avere di nuovo diciassette anni ed aspettarsi sugli scalini di cemento del campetto, pronti a togliersi i segreti dalle tasche e a dire che del futuro si può parlare più tardi. ________________________________________________ Come ogni anno, in ritardo e vagamente spettinata, eccomi con il consueto TANTI AUGURI ANNA !!!! Latito ormai da mesi e lo so, questo è il pensierino che riesco a farti tra una corsa in macchina e l’altra per ringraziarti 1) di esistere 2) di aver creato gli unici personaggi su cui riesco a scrivere in questo brutto periodo della mia vita. BOH, ENJOY, SPERO CHE TI PIACCIA, QUESTO È SEMPRE PARTE DEL GRANDE PIANO (o piano ineffabile) (a te la scelta) @blogitalianissimo ma anche @pomodorotiamo
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