#tempo di riserva
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francescosatanassi · 8 days ago
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TRA LE VERTEBRE
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Il 4 novembre terminava quella carneficina che prese il nome di I Guerra Mondiale. Mio bisnonno Alfredo fu costretto a parteciparvi nonostante fosse una riserva. Era un bracciante analfabeta che non era mai uscito dal paese, bloccato dentro a quel sistema di sfruttamento che separa chi lavora la terra da chi la possiede. Gli tolsero la zappa e gli diedero un fucile per sparare contro altri sfruttati, a 350 km da casa. Partecipò alla battaglia sul monte San Marco, a est di Gorizia, oggi territorio sloveno. Gli austro-ungarici avevano allestito uno sbarramento che gli italiani tentarono di abbattere con perdite gravissime, senza mai raggiungere la cima. Fu colpito alla schiena durante la ritirata, mentre i suoi colonnelli incitavano ostinati all’attacco. Rimase invalido a vita. Furono 450.000 quelli che tornarono infermi o mutilati dalla “grande guerra.” Un massacro che spinse molti alla diserzione e all'autolesionismo. Mentre in Italia continuava la propaganda patriottica, nelle trincee c’era chi si forava i timpani coi chiodi per tornare a casa. Nel 1923 il re Vittorio Emanuele III inaugurò su quel monte un obelisco a ricordo della battaglia, opera che nel 1949 fu abbattuta dalla Lega della Gioventù Comunista Jugoslava. Lo stesso anno fu costruita una replica nel castello di Gorizia, rivolta simbolicamente verso il monte. Alfredo trascorse il resto della vita su una carrozzina di legno, tirando a campare. Morì nel 1942 con un pallino di piombo tra le vertebre. Fece in tempo a vedere il fascismo al potere e suo figlio, mio nonno Dino, partire per la seconda guerra. Morì senza conoscere il significato della parola libertà. A Forlì c’è una piazzetta che lo ricorda.
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et3rnauta · 9 months ago
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Se avete cinque minuti, leggete fino alla fine questo articolo. Astutillo Malgioglio, per gli amici Tito, era il portiere di riserva dell’Inter di Trapattoni, quella dello scudetto dei record. Nel 1987 lo andai ad intervistare per Il Giorno, il quotidiano per cui allora lavoravo, a Piacenza. Avevo saputo che Malgioglio, allora 29enne, aveva aperto vicino a casa una palestra per la rieducazione motoria dei bambini cerebrolesi; aveva chiamato la struttura ERA 77 (acronimo di Elena, il nome della figlia nata appunto nel 1977, di Raffaella, la moglie, e di Astutillo) e coadiuvato dalla moglie prestava questo servizio gratuitamente mettendo a disposizione tutto il suo tempo libero. Per questa intervista vinsi un premio a Como, che mi venne consegnato da Pierluigi Marzorati, il campione della Pallacanestro Cantù, somma che girai immediatamente all’Unicef. Malgioglio mi raccontò cose bellissime e bruttissime. Cose vere. Mi raccontò che stava facendo tutto questo da 7-8 anni ma a fari spenti, quasi in incognito: perché non era buona cosa, per come andavano le cose nel mondo del pallone, che un calciatore professionista si distraesse con pensieri (o attività) inutili o bizzarre come, appunto, aiutare il prossimo. A meno di non incontrare sulla propria strada due persone come Nils Liedholm e Sven Goran Eriksson, come capitò a Tito nei due anni alla Roma dall’83 all’85, che convinsero Dino Viola a mettere a disposizione di Malgioglio, nel tempo libero, la palestra di Trigoria, per permettergli di fare anche a Roma quel che aveva cominciato a fare a Piacenza. Mi raccontò che l’Associazione Calciatori, sul suo giornale, aveva aperto una sottoscrizione tra tutti gli iscritti (gli oltre mille calciatori di serie A, serie B, serie C1 e serie C2) per raccogliere fondi a favore dell’attività di Tito; e che alla fine il ricavato era stato di 700 mila lire, che con un certo imbarazzo l’AIC aveva provveduto a fargli avere. Mi raccontò, soprattutto, che un giorno alla Pinetina Jurgen Klinsmann lo aveva avvicinato e gli aveva chiesto come mai finiti gli allenamenti lo vedesse andarsene, sempre, così di fretta a Piacenza. Tito gli aveva spiegato il perché e Klinsmann gli aveva detto: domani vengo con te, voglio vedere con i miei occhi quello che fai. Klinsmann mantenne la promessa. Salì sul maggiolino scassato di Malgioglio, andò con lui a Piacenza, passo l’intero pomeriggio a guardare Tito assistere i bambini cerebrolesi. Poi, prima di risalire sul maggiolino per farsi riportare a Milano, sfilò di tasca il libretto degli assegni e senza dire una parola scrisse 70 milioni (settanta milioni), staccò l’assegno e lo consegnò al compagno. Aveva gli occhi lucidi. Come quelli di Malgioglio". [Paolo Ziliani da Il Fatto Quotidiano]
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ambrenoir · 18 days ago
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“Ma tu cancelli le persone dalla tua vita così, senza dare una spiegazione?”
Si.
La risposta è un semplicissimo e freddissimo “Si”.
Perché se le cancello vuol dire che loro, prima, hanno cancellato me.
Con la cattiveria, con la falsità, con l’ipocrisia, con il falso perbenismo, con le lame conficcate tra le scapole della fiducia.
Perché ho un carattere strano, è vero, ma non riserva sorprese: se amo, lo dimostro, se disprezzo anche.
Può piacere o meno, ma è pulito.
Con me non ci si sporca.
Non tradisco. Non lo so fare, non voglio imparare a farlo.
E non perché sono santa tra i peccatori.
Non tradisco perché mi rispetto: dopo aver tradito qualcuno, che sia un amore o un amico o una semplice conoscenza, smetti di essere un essere umano e il solo pensiero mi fa venire la nausea.
Non perdono chi mi tradisce.
Non lo odio.
Ma lo sposto nell’oblìo della mia vita: non esiste, non fa male, diventa suppellettile inutile destinato alla discarica del passato.
Per e con le persone che amo io combatto, mi arrabbio, cerco confronti, assillo, annullo l’orgoglio, stringo la presa...a volte anche troppo...rispetto, ma non mollo.
Non ho mai imposto la mia presenza, ma ho preteso coerenza da chi voleva condividere il mio viaggio.
Io cancello senza spiegazioni, è vero: lo faccio nella vita quando l’indifferenza lascia spazio al disgusto.
E lo faccio sui social che per me sono solo un mezzo e non l’essenziale.
La critica se è costruttiva diventa acqua tra le dune arse della superficialità.
La critica diventa fumo tra le parole vuote di chi non guarda mai in faccia nessuno, nemmeno se stesso.
Ho imparato che il tempo è più caro dei diamanti, ed anche il silenzio ha un potere che prima non conoscevo: mi concedo il lusso di viverli, non di buttarli via con chi attribuisce un prezzo a tutto, ma non da valore a niente.
Sono considerazioni di un giorno di pioggia, quando tutto sembra surreale e ti accorgi di essere ormai dipendente solo dall’essenziale...
...come il cuore, come il mare.
Natascja Di Berardino
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sciatu · 2 months ago
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LA BATTAGLIA DI LEPANTO - Nel 1500 la distribuzione della popolazione siciliana era molto diversa dall’attuale. I grandi paesini presenti lungo la costa con la loro caotico agglomerato di case e palazzi, non esistevano a causa delle terribili scorrerie dei pirati turchi. I paesi e paesini fortificati, sorgevano nell’entroterra, spesso su colline o in luoghi ben difendibili. Lungo la costa vi era un sistema di sorveglianza con circa 600 torri che monitoravano il mare a scoprire per tempo la presenza dei temuti pirati. Nei grandi porti e presso i villaggi più grossi, vi erano forze d’intervento che dovevano attaccare le navi dei pirati appena avvistate o i turchi sbarcati che iniziavano una scorreria verso l’interno. I temuti pirati e le loro scorrerie erano una minaccia costante e imprevedibile.
Per questo motivo, quando papa Pio V chiamò alla Guerra Santa contro la flotta turca di Alì Pascià, per soccorrere la guarnigione Veneziana assediata a Cipro, l’adesione da parte dei siciliani fu immediata. Subito fu armata una flotta con i soldi delle città e dei nobili siciliani. Armare una galera all’epoca, non era una cosa semplice ed immediata. I turchi ed i veneziani avevano non solo enormi arsenali ma flotte già pronte conservate in enormi magazzini. Inoltre avevano un sistema di arruolamento collaudato e sicuro per cui non avevano problemi a trovare i rematori (che solo in piccola parte erano galeotti o prigionieri di guerra), gli equipaggi ed i soldati. È da notare quindi la velocità con cui la flotta siciliana (circa una decina di galee) fu allestita e armata, mentre quella spagnola dovette approntarsi con difficoltà recuperando dagli stati italiani materiale per le armi e gli scafi, rematori e marinai.
A Messina si riunì quindi nel luglio del 1571, la grande flotta di poco più di 200 galere formate da veneziani, pisani e genovesi sotto le insegne papali, quindi i cavalieri di Malta, gli spagnoli da Barcellona, quelli del regno di Napoli e la flotta siciliana guidata dall’ammiraglia, la Capitana di Sicilia. La flotta turca, conquistata Cipro nell’agosto di quell’anno, dopo aver messo a ferro e fuoco il basso Adriatico attaccando e conquistando le roccaforti veneziane nella Dalmazia e in Albania, si stava ritirando verso Lepanto, stanca e corto di munizioni, pronta a ricevere l’ordine di ritorno a Istanbul per porre le galere in darsena dato che non potevano affrontare le tempeste autunnali.
Quell’ordine però non arrivò mai.
La flotta della Lega Santa si diresse verso settembre contro la flotta nemica cercando di ingaggiar battaglia prima che il tempo peggiorasse. Le due flotte si ritrovarono a Lepanto, in una insenatura riparata, base dei turchi ma adatta al movimento delle duecento navi della Lega Santa che dovevano affrontare le circa trecento degli avversari. Disposti gli schieramenti gli uni di fronte agli altri, Alì Pascià prese l’iniziativa e puntò la prua direttamente contro la nave di Giovanni d’Austria. La flotta turca lo seguì muovendosi velocemente con il vento a favore. La sua ala destra, guidata dall’esperto capitano Shoraq detto Scirocco, si scontrò contro le navi veneziane e spagnole agli ordini del veneziano Barbarigo che in un primo tempo sembrò soccombere all’urto. Dopo l’arrivo delle navi di riserva venute in soccorso, i veneziani riuscirono a capovolgere la situazione e a catturare e uccidere il comandante avversario.
Sull’ala sinistra i turchi erano principalmente pirati algerini, astuti ed esperti che cercarono di circondare le navi dell’ammiraglio Doria che invece si defilò andando verso il mare aperto inseguito dai pirati che catturarono solo qualche nave rimasta indietro.
Ali Pascià notò che molto avanti rispetto alla linea su cui si era distribuita la flotta nemica erano state disposte sei grosse navi da trasporto chiamate galeazze, lente e tozze, con la murata tanto alta che ne impediva l’abbordaggio. Le galeazze erano scortate dalle galee con le vele rosse della flotta siciliana quasi che quel pugno di navi volesse fermare l’avanzata della potente flotta turca.
Alì Pascià, decise di ignorare quel che considerò un diversivo e si diresse prontamente contro l’ammiraglia della flotta nemica. Le navi che lo seguirono approcciarono le galeazze scoprendo che, contrariamente all’uso di allora, quelle grosse e goffe navi erano dotate di cannoni disposte lungo tutto il loro perimetro. Con una potenza di fuoco superiore di sei o sette volte quella di una normale galera, le galeazze incominciarono a bombardare dall’alto i vascelli nemici, distruggendo e affondando navi su navi e scompigliando la flotta turca che perse slancio e forza. A bordo delle galeazze Giovanni d’Austria aveva fatto collocare gli archibugieri che decimarono gli equipaggi di ogni nave nemica che si avvicinava a loro.
Le galeazze, seguite dalla flotta siciliana, incominciarono a girare in tondo rendendo il tratto di mare vicino a loro, un inferno. La Sultana, l’ammiraglia turca raggiunse velocemente Giovanni d’Austria che vedendo arrivare i nemici, lanciò la sua nave contro quella di Alì Pascia così che la sua guardia personale, il Tercio de Cerdena, una compagnia formata da veterani di Castiglia ed Estremadura di base in Sardegna, andò all’arrembaggio della nave avversaria. I castigliani si trovarono di fronte gli giannizzeri turchi, un corpo scelto formato da slavi cresciuti ed addestrati ad Instabul.
Lo scontro fu durissimo.
Per tre volte gli spagnoli andarono all’arrembaggio e furono cacciati indietro, Giovanni d’Austria fu ferito e spesso sul punto di soccombere. Le navi nemiche si concentrarono intorno alla loro ammiraglia, lo stesso fecero quelle della Lega Santa. Ormai era una lotta all’ultimo sangue.
Gli esperti soldati combattevano ormai all’arma bianca, i marinai, i rematori che spesso erano uomini della strada o gente di campagna arruolata a forza o per debiti, si erano uniti a loro e lottarono con rabbia e determinazione. Ormai tutti combattevano per sopravvivere tra i morti e i feriti, in un intreccio di legni rotti, carni tranciate, sangue e fumo di polvere da sparo.
La grande santa battaglia diventò una caotica, sanguinosa, terribile carneficina.
Le navi dell’ala sinistra turca, vedendo l’inutilità di inseguire l’ammiraglio Doria tornarono su i loro passi e veleggiarono verso l’ammiraglia a darle manforte. Se avessero raggiunto il groviglio di navi nel centro della formazione, le truppe spagnole avrebbero avuto la peggio. Fu questo quello che pensò Giovanni Cardona, capitano dell’ammiraglia siciliana, che subito lasciò le terribili galeazze e incrociò con la sua Capitana, le navi nemiche attaccandole, incurante della superiorità numerica, del mitragliare delle archibugiate e del fuoco delle cannonate. Ferito più volte con i suoi uomini riuscì a fermarle spingendole lontano dalla mischia.
In quel momento, le navi pisane, vittoriose sull’ala destra dei turchi, riuscirono a farsi largo tra il groviglio di remi rotti e alberi maestri tranciati dai cannoni ed arrivarono nella mischia delle ammiraglie, buttandosi all’arrembaggio di quella. Ebbero la meglio sui giannizzeri sopravvissuti agli scontri con i castigliani e catturarono, uccidendolo, Alì Pascià. Alla vista della testa del loro ammiraglio che dondolava sul pennone della sua ammiraglia, le navi turche superstiti (ormai poche e malconce) si dileguarono, o almeno ci provarono a causa delle galeazze che le aspettavano al varco, lasciando dietro di loro un mare di relitti e di sangue.
La vittoria fu una di quelle più pubblicizzata dei suoi tempi. Libri, poesie, grandi quadri, narrazioni epistolari si sparsero per tutta Europa a raccontare la grandiosa vittoria e l’immensa carneficina. I turchi rallentarono la loro pressione via mare ed aumentarono quella via terra dirigendo le loro truppe alla volta di Vienna.
In Sicilia l’evento ebbe una grande risonanza. Prova ne è la descrizione della battaglia rappresentata negli stucchi di Santa Cita e persino nelle carceri dello Speri dove un giovane condannato disegnò la battaglia su indicazione di un veterano. Messina, che era una porta del mediterraneo orientale, grata a Giovanni d’Austria, fece fondere una statua in bronzo che lo ricordasse e celebrasse. Le galeazze cambiarono il modo di concepire la guerra per mare. Presto vascelli dalle alte murate e con un gran numero di cannoni sostituirono le galere ed i pirati turchi furono pian piano eliminati, cosa che permise lo sviluppo dei paesi costieri siciliani e, ai Principi di Palermo, di iniziare a costruire le bellissime ville di Bagheria.
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gregor-samsung · 5 months ago
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" [Giacomo Matteotti] Non ostentava presunzioni teoriche: dichiarava candidamente di non aver tempo per risolvere i problemi filosofici perché doveva studiare bilanci e rivedere i conti degli amministratori socialisti. E così si risparmiava ogni sfoggio di cultura. Ma il suo marxismo non era ignaro di Hegel, né aveva trascurato Sorel e il bergsonismo. È soreliana la sua intransigenza. La concezione riformista di un sindacalismo graduale invece non era tanto teorica quanto suggeritagli dall'esperienza di ogni giorno in un paese servile che è difficile scuotere senza che si abbandoni a intemperanze penose. Egli fu forse il solo socialista italiano (preceduto nel decennio giolittiano da Gaetano Salvemini) per il quale riformismo non fosse sinonimo di opportunismo. Accettava da Marx l'imperativo di scuotere il proletariato per aprirgli il sogno di una vita libera e cosciente; e pur con riserve poco ortodosse non repudiava neppure il collettivismo. Ma la sua attenzione era poi tutta a un momento d'azione intermedio e realistico: formare tra i socialisti i nuclei della nuova società: il Comune, la scuola, la Cooperativa, la Lega. Così la rivoluzione avviene in quanto i lavoratori imparano a gestire la cosa pubblica, non per un decreto o per una rivoluzione quarantottesca. La base della conquista del potere e della violenza ostetrica della nuova storia non sarebbe stata vitale senza questa preparazione.
E del resto, troppo intento alla difesa presente dei lavoratori, Matteotti non aveva tempo per le profezie. Più gli premeva che operai e contadini si provassero come amministratori, affinché imparassero e perciò nei varii Consigli comunali soleva starsene come un consigliere di riserva, pronto a riparare gli errori, ma voleva i più umili allo sperimento delle cariche esecutive. Non ebbe mai in comune coi riformisti la complicità nel protezionismo, anzi non esitò a rimanere solo col vecchio Modigliani ostinato nelle battaglie liberiste, che per lui non erano soltanto una denuncia delle imprese speculative di sfruttatori del proletariato, ma anche una scuola di autonomia e di maturità politica concreta nella sua provincia. Così procede tutta la cultura e tutta l'azione di Matteotti, per esigenze federaliste, dalla periferia al centro, dalla cooperativa al Comune, dalla provincia allo Stato. Il suo socialismo fu sempre un socialismo applicato, una difesa economica dei lavoratori, sia che proponesse sulla "Lotta" di Rovigo o nella Lega dei Comuni socialisti dei passi progressivi, sia che parlasse dall' "Avanti!" o dalla "Giustizia" a tutto il proletariato italiano, sia che come relatore della Giunta di Bilancio portasse nella sede più drammatica e travolgente il suo processo alle dominanti oligarchie plutocratiche. "
Piero Gobetti, Matteotti, Piero Gobetti Editore, Torino, 1924, pp. 25-27.
NOTA: il brano è tratto dall'opuscolo pubblicato alla fine del luglio del 1924, nel vivo della crisi politica ed istituzionale scatenata dalla tragica scomparsa del deputato Matteotti. Il testo riproduceva integralmente un lungo articolo comparso un mese prima con lo stesso titolo sulla rivista di Gobetti La Rivoluzione liberale, così come erano tratti da questa pubblicazione i Cenni biografici sullo scomparso posti in calce all'opuscolo.
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cywo-61 · 9 months ago
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Le relazioni nei social
Con distacco guardo a questo mondo illusorio e che illude. Vedo chi si cerca, si desidera e chi invece segretamente o apertamente si ama, e chi alla fine rimane solo pur credendoci.
Con alcuni crei legami, con altri amicizia, chi si confessa e chi vuole solo fotterti....come la vita vera il mondo è vario.
In una cosa però coincidono i due mondi...c'è tanta solitudine. Alla ricerca di chi ci vuole amare e chi possiamo amare, di amicizie che durano il tempo dell'alleanza per poi vergognosamente spezzarsi on line quando si è discordi.
Ricordatevi che la vita vera è altrove anche se a volte il web riserva delle sorprese...confidenze e risate, qualche amico, che io per discrezione poco cerco.
Un amore...per quello ci vuole la presenza fisica, reale e tangibile. Questo almeno è rimasto uguale.
cywo
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animafragileworld · 2 years ago
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Amore mio,
so che le lettere sono fuori moda,ma sento che è il modo migliore per esprimerti ciò che sento.
Cerca di comprendere le mie paranoie, le mie gelosie, i miei gesti e i miei dubbi. Io sono pronta a starti vicino, abbracciarti, capirti. Mi prenderò cura di te, sempre.
Se mi chiedono per me che rumore ha la felicità,
io rispondo che per me il rumore della felicità coincide con il suono della tua voce. In tutto questo tempo l'amore che sento per te non ha smesso un solo istante di crescere e non smetterà di farlo nel tempo che verrà.
Mi hai insegnato ad amare senza riserva, mi hai insegnato cosa significhi dedicarsi completamente ad un'altra persona, ad ammettere i propri errori quando è necessario. Ora mi trovo ad amarti in un modo che neanch'io credevo di poter fare. Sei il mio fidanzato, il mio migliore amico.. E mi stimoli sempre ad essere migliore. Ciò che ci lega è così unico e speciale da non poter essere sicuramente racchiuso in cinque lettere che sono sulla bocca di tutti. Questa storia l'abbiamo costruita pezzo dopo pezzo, con le nostre litigate all'ordine del giorno, con svariati pianti, con l'allegria che racchiude le giornate passate insieme, con gli abbracci per strada, con le promesse mantenute e anche con quelle venute meno. Ti ho mostrato ogni sfaccettatura di me, il mio lato da bambina, i miei valori, le mie debolezze e anche l'orgoglio che ogni tanto caccio e che tu tanto odi. Sei il mio porto sicuro, l’unica persona con cui vorrei stare e con cui, a fine giornata voglia parlare e sfogarmi, l’unico uomo che vorrei mai e l’unico a cui sarò sempre affezionata e che avrà sempre il mio cuore, nel bene o nel male.
Tu sei l'unico per cui valga la pena litigare e dannarsi ogni giorno. Non voglio un ragazzo perfetto, ne ti voglio uguale a me.. Ti voglio così, come sei. Mi hai fatto scoprire il vero senso delle parole: amare, vivere, ridere. C'è una vita intera davanti a noi, ti va di viverla insieme? Perché tu sei l'amore della mia vita. E io non vedevo l'ora di dirtelo
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canesenzafissadimora · 6 months ago
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Vorrei un uomo Un uomo che lasci le sue impronte accanto alle mie Che m’incontri posando il suo sguardo là dove io lo poso Che mi baci in punta di labbra Che mi sorrida dicendomi Buongiorno al mattino E che mi auguri Buonanotte dandomi un bacio sulla fronte Un uomo che creda che gli alberi hanno una voce e che posso sentirla Che tenendo una pietra tra le mani ne vedo il colore dell’anima Che il crepuscolo è un’ancora rosa posata sul mare che il sole leva mentre il giorno scivola nella notte Un uomo che non mi faccia piangere e che se piango mi asciughi il viso con le mani Un uomo con cui consumare i tacchi delle scarpe per le passeggiate scalcagnarle su una battigia d’inverno Un uomo che sorrida dell’inclemenza del tempo sul mio viso sul suo viso che è anche il suo che è anche il mio Su uno specchio condiviso nella stessa casa Un uomo che abbia una riserva infinita di baci Due su ciascun occhio Due su ogni capello Vorrei un uomo con cui ridere Vivere Morire un solo attimo prima di lui per non vederlo morire per chiudere i miei occhi sul mondo con la sua immagine le nostre immagini incise nel mio sguardo. Un uomo che mi ami Un uomo d’amare Da abbracciare Che nel mio abbraccio senta il nodo inestricabile delle nostre anime Che non abbia il pudore del pianto perché il dolore ha pudore ma si spoglia davanti all’Amore Che sappia che accanto a me non sarà mai solo Perché so come attraversare il tempo e raggiungere le distanze del silenzio Ci camminerei dentro lieve adornandolo di carezze. Quelle mai chieste Desiderate E mai avute Un uomo che si fidi Che abbandoni il capo sul mio petto Per sentire le mie labbra su ciascun capello Sulle lacrime tra le ciglia Un uomo che sentirei d’amare guardandolo dormire Senza sentirmi sola Senza sapere che sta dormendo. Vorrei un uomo.
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abr · 10 months ago
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Come in Italì, come ovunque.
ZTL power, la riserva indiana di Intellò e Affluent (quelli che il clero di un tempo chiamava Aspiranti).
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greenbor · 4 months ago
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Poesia di https://scrivocomeposso.tumblr.com/
l tempo che passa mi spaventa
La mia pelle inizia ad avere dei leggeri solchi, qualche capello si dipinge d’argento e la mia schiena inizia a scricchiolare come un vecchio mobile.
Se tutto il trascorrere del tempo lo vedo passare sul mio corpo, ciò che mi fa più paura è il non avere fatto delle esperienze, il non aver raggiunto degli obiettivi, l’essermi lamentata più del dovuto.
Se la mia mente un giorno si atrofizzerà ed io non sarò stata in grado di arricchirla con tutta la conoscenza, l’esercizio, la saggezza che riserva questo mondo, sarà il mio più grande rimpianto.
Il tempo che passa mi spaventa perché lo vedo fluire inesorabile, veloce, implacabile.
Non prevede fermate per chi, come me, rifiuta la corsa.
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chouncazzodicasino · 1 year ago
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Un mio pensiero felice.
I pensieri felici sono quelli che ti fanno cambiare delicatamente l'umore, che ti fanno fare un accenno di sorriso senza che te ne accorgi, che ti tolgono ragnatele dagli occhi e massaggiano un po' il petto. Il mio pensiero felice del momento è il ricordo di una sera d'estate di credo otto anni fa, metà agosto, è il compleanno di zio e come al solito per i grandi compleanni viene organizzata una festa nella "piazzetta" tra la casa e la legnaia, vengono messi dei tavoli da osteria, si tirano fuori tutte le sedie e le panche, zia cucina le fettuccine al sugo di fianchetto, l'altra zia porta tre quattro casatielli, zio apre la sua riserva di vino che millanta ogni anno come il più buono di sempre e tutti parlano, ridono ad alto volume, i bambini giocano e c'è una bella atmosfera da inizio festa, l'aria è tiepida nonostante sia metà agosto, non fa tanto caldo. Sul gradone sul fondo della piazzetta ci sono i fratelli di mia zia che suonano, sono bravissimi, la batteria, il sax, le chitarre, le voci, sono cresciuta con loro che suonano rock, blues, canzoni napoletane, rock progressivo e non mi stancherei mai di sentirli. Ad un certo punto succede, parte zio Augusto alla batteria e cominciano a suonare lei. Io sono da un lato della piazzetta con il mio bicchiere di carta con un po' di vino dentro e, come ci fosse una calamita, incrocio lo sguardo di mio cugino, appoggiato al muro dalla parte opposta alla mia con la sua camicia bianca di lino da artista, i capelli arruffati in tanti riccioli ribelli e una sigaretta in bocca, che con un sorriso complice e cretino mi guarda. E' una sorta di richiamo il nostro: inevitabile e naturale. Cominciamo a muoverci, spalle lui, fianchi io, ogni movimento è un passo l'uno verso l'altro. Ed è così che in pochi secondi siamo al centro della piazzetta a ballare, sinuosi, buffi e seducenti, un ballo di quelli che ti vengono spontanei quando segui la musica e vuoi solo divertirti, è viscerale, è bellissimo. Mentre ballo scendo lenta sulle ginocchia come fosse un passo di danza, poso il bicchiere a terra, mi alzo e gli rubo la sigaretta, lui apre le braccia e canta. Dietro le sue spalle vedo mia cugina che si avvicina ballando, si tiene la gonna ampia arrotolata con una mano alla vita, è bellissima, poi arriva mia madre col suo modo buffissimo di ballare che le scompiglia i capelli, mio zio con i suoi passi avanti e indietro veloci con le braccia aperte, si aggiunge anche Barba (è il suo battesimo di fuoco), tutti cantiamo e balliamo. E' una serata come tante ed è unica allo stesso tempo, gli zii suonano tutte le nostre canzoni preferite e noi facciamo i cretini, c'è tanto casino ma anche tanta calma.
Il mio pensiero felice del momento.
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nusta · 5 months ago
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Stasera sono riuscita a fare una di quelle cose che rimandavo da tantissimo tempo, tanto che me lo ero dimenticato pure che lo volevo fare, e tutto questo in una sera in cui avrei dovuto fare un'altra cosa che sto rimandando da mesi! La vita di una procrastinatrice cronica riserva anche delle soddisfazioni, eh!
Comunque, la conquista principale di stasera è l'account sulla MediaLibraryOnline tramite il polo dell'Emilia che sta qui e siccome per fare una cosa di questo tipo succede che ne devi fare altre 5 o 6 per portare a termine il percorso, con l'occasione ho rinnovato la password dello spid (per accedere, dato che non so le credenziali della biblioteca a cui dovrei essere iscritta da millemila anni) e scaricato l'app su pc e tablet (perchè purtroppo il prestito online non è compatibile con il kindle, salvo che io non abbia ancora capito come - ma non credo perchè veniva indicato solo il kobo come lettore su cui leggere i prestiti). E ho pure aggiornato Calibre sul pc, anche se userò l'app su tablet, perchè volevo comunque vedere se si riusciva a leggere da lì.
Tutto questo per avere 15 giorni di tempo per finire il libro che ho trovato disponibile (Donna con libro, di Bianca Pitzorno) e attendere 9 prenotazioni altrui per leggerne un'altro (L'Unità, di Ninni Holmqvist) (e presumo di avere poi 15 giorni anche per quello? Forse comunque se non ci sono prenotazioni altrui si può rinnovare - devo controllare) e ne ho trovati già altri 4 disponibili che erano nella mia lista dei desideri da tempo...
Ora la sfida maggiore è evitare di procrastinare ulteriormente la cosa che ho rimandato stasera (perchè è urgente in realtà), ma con tutte ste letture che mi aspettano sarà difficile... me le dovrei tenere come premio per quando avrò finito... vedremo...
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fermatiqui · 6 months ago
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Le emozioni sono "momenti"
che a volte il tempo ci riserva
attimi importanti
riflessioni pensieri
che coinvolgeranno
il nostro stato d'animo
la mente e quando ci fermeremo
ad osservarle
all'improvviso ci accorgeremo
di non riuscire più a trattenere
quelle piccole goccioline
di acqua, stille di lacrime
che sbiadiscono la vista
e sfuggono via via
senza meta
scivolando ovunque
accarezzado il viso
e scorrendo tra le mani
e le labbra sino al cuore
e fino ad emozionarci.
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occhietti · 1 year ago
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Io e la mia ansia abbiamo raggiunto un equilibrio perfetto: lei è sempre lì, presente, accanto a me, mi ricorda che ci saranno mille cose che dimenticherò, agisce sulle mie corde vocali, sui miei sbalzi di umore e a tratti è padrona delle mie ore di sonno. Non mi abbandona, come un'ombra. E io le ricordo che non la temo.
Lei sorride, ma rimane lì accanto.
Alla fine vinco io. Sempre. E con il tempo ho imparato a percepirla come giusto che sia: uno stimolo a migliorare sempre di più, a non accontentarmi dei miei risultati, un modo bizzarro per superare i miei limiti.
Ho imparato ed apprezzato dalla mia ansia che nonostante tutto mi concede quello spazio bellissimo in cui - come una bambina - esulto per le mie piccole soddisfazioni, per le semplici (ma importanti) gioie che mi riserva la quotidianità.
Una nemica/amica che ho imparato ad amare perché nessuno mi conosce come lei, e sa che mai le concederò di vincere.
- Fb Quell'Altrove.
Katerina Belkina photography
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gregor-samsung · 7 months ago
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«Vede, a me non piace né comandare né essere comandato. A me piace lavorare da solo, così è come se sotto al lavoro finito ci mettessi la mia firma; ma lei capisce bene che un lavoro come quello non era per un uomo solo. Così ci siamo dati da fare: dopo quella gran tormenta che le ho raccontato era tornata un po' di calma e non si andava tanto male, ma a colpi veniva giù la nebbia. Per capire ognuno che tipo era ci ho messo un po' di tempo, perché non siamo mica fatti tutti uguali: specie poi coi forestieri. L'ortodosso era forte come un toro. Aveva la barba fin sotto gli occhi e i capelli lunghi fin qui, però lavorava preciso e si vedeva subito che era del mestiere. Solo che non bisognava interromperlo, se no perdeva il filo, cascava dalle nuvole e doveva ricominciare tutto dal principio. Di Staso è venuto fuori che era figlio di un barese e di una tedesca, e difatti si vedeva che era un po' incrociato; quando parlava facevo più fatica a capirlo che se fosse stato un americano d'America, ma per fortuna parlava poco. Era uno di quelli che dicono sempre di sì e poi fanno alla sua maniera: insomma bisognava starci attenti, e il suo guaio era che pativa il freddo, così tutti i momenti si fermava, si metteva a ballare magari anche in cima al traliccio, che mi faceva venire la pelle di gallina, e si metteva le mani sotto le ascelle. Il pellerossa era una sagoma: l'ingegnere mi ha raccontato che era di una tribù di cacciatori, e che invece di stare nella loro riserva a fare tutti quei gesti per i turisti, avevano accettato in blocco di trasferirsi nelle città per fare la pulizia delle facciate dei grattacieli; lui aveva ventidue anni, ma quel mestiere lo facevano già suo padre e suo nonno. Non è che sia la stessa cosa, per fare il montatore ci va un po' più di cervello, ma lui cervello ne aveva.
Però aveva delle abitudini strane, non guardava mai negli occhi, non muoveva mai la faccia e sembrava tutto d'un pezzo, anche se poi sul montaggio era svelto come un gatto. Anche lui parlava poco: era grazioso come il mal di pancia, e a fargli osservazione rispondeva; dava anche dei nomi ma per fortuna solo nel dialetto della sua tribù, così si poteva far finta di non capire e non nascevano questioni. Mi resta da dire del regolare, ma quello ho da capirlo ancora adesso. Era proprio un po' intiero, ci metteva tempo a capire le cose, ma aveva volontà e stava attento: perché lo sapeva, che non era tanto furbo, e cercava di farsi forza e di non sbagliare, e difatti in proporzione sbagliava abbastanza poco, appunto, non capivo come facesse a sbagliare così poco. Mi faceva pena perché gli altri gli ridevano dietro, e mi faceva tenerezza come un bambino, anche se aveva quasi quarant'anni e non era tanto bello da vedere. Sa, il vantaggio del nostro lavoro è che c'è posto anche per gente come quella, e che sul lavoro imparano quelle cose che non hanno imparato a scuola; solo che con loro ci va un po' più di pazienza.»
Primo Levi, La chiave a stella, Einaudi (Supercoralli Nuova serie); prima edizione 1978.
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cywo-61 · 2 months ago
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Sogni
Ognuno di noi ha dei sogni da realizzare. C'è chi sogna un lavoro, chi l'amore, salute o benessere. Alcuni cerchiamo di renderli veri, altri rimarranno segretamente custoditi nei nostri cuori. Poi arriva in momento nella vita che dici a te stesso e se non ora quando. Ecco per me è arrivato quel momento. Un sogno cullato da anni, che ho dovuto rimandare per forza maggiore. Come sempre sono quella che si butta nell'avventura, curiosa della vita e di dove mi porterà. Se si aspetta l'attimo giusto si perde tempo. Con la speranza di farcela mi incamminerò, ottimista al mille per mille come sempre. Accetterò le sfide che la vita mi riserva e le prove che Dio mi assegnerà...ma a Lui ho chiesto di accompagnarmi. I sogni vanno realizzati prima che sia troppo tardi. ✨💫
cywo
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