#studio allarmante
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Consumers Reports l’organizzazione no profit newyorkese ha diffuso uno studio allarmante sul cioccolato fondente al metallo tossico #studioallarmante #barrettadicioccolato #cadmio #cioccolatofonfentealmetallotossico #consumerreports #foodanddrugadministration #piombo #fabriziosbardella
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“ Mentre la vita pubblica e persino quella privata assumono i caratteri dello spettacolo, è in atto un contromovimento che cerca di modellare lo spettacolo, il teatro, tutte le forme di espressione artistica, sulla realtà — di annullare la differenza stessa tra arte e vita. Entrambe le tendenze diffondono un senso dell’assurdo caratteristico della sensibilità contemporanea. Va notata la stretta connessione tra un eccesso di elementi spettacolari, il cinismo dell’atteggiamento disincantato ormai diffuso anche tra i bambini, l’impermeabilità alla sorpresa o alle emozioni violente e la conseguente indifferenza a distinguere tra illusione e realtà. Siamo troppo ciniche [scrive Joyce Maynard di se stessa e di una bambina di quattro anni che ha portato al circo], per non intuire il trabocchetto nel gioco di prestigio, l’imbottitura del Santa Claus dell’Esercito della Salvezza, i trucchi della telecamera negli show pubblicitari alla TV (“Non è la mano di un folletto che spunta fuori dalla lavatrice,” mi dice Hanna, “è soltanto un attore coi guanti.”) Non diversamente al circo... ella si appoggiò indietro sul sedile imbottito, la mia bambina di quattro anni... prevedendo capitomboli e scivoloni, severa, sveglia, triste, saggia, matura, disincantata, più assorta nello zucchero filato che affascinata dal Più Grande Spettacolo del Mondo. [...] Avevamo assistito, impassibili, a spettacoli ben più straordinari, tutto il nostro mondo era un’indigestione per gli occhi, un circo a dieci piste con cui non avrebbero potuto competere neppure i Ringling Brothers. Un uomo ficcò la testa nelle fauci di una tigre e io lo indicai alla mia gelida, imperturbabile amica, con espressioni di sbalordimento esagerato, e quando essa non si curava di guardare... le giravo la testa verso la tigre, la costringevo a seguire il numero. La tigre, penso, avrebbe potuto staccare la testa al domatore con un morso, inghiottirlo in un boccone e tramutarsi in scimmia e lei non avrebbe battuto ciglio. Davanti a noi almeno due dozzine di clown ammucchiati in una Volkswagen cercavano di uscirne senza che Hanna capisse qual era lo scopo di tutto ciò. Non è solo perché sa che escono da una botola che Hanna non riesce a entusiasmarsi. Anche se non fosse a conoscenza del trucco, non dimostrerebbe maggiore interesse.
La sovraesposizione a illusioni prefabbricate distrugge rapidamente la loro efficacia rappresentativa. La componente illusoria del reale non produce, come sarebbe prevedibile, una intensificazione del senso della realtà, ma genera, nei confronti della realtà stessa, uno stato di allarmante indifferenza. Il nostro senso della realtà si trova allora a dipendere, per quanto sembri strano, dalla nostra disponibilità ad accettare l’aspetto illusorio del reale. Persino la comprensione razionale delle tecniche illusorie non annulla la nostra capacità di considerare l’illusione prodotta come una rappresentazione della realtà. La smania di conoscere i trucchi del prestigiatore, come l’interesse suscitato recentemente dagli effetti speciali di un film quale Guerre stellari, hanno in comune con lo studio della letteratura il desiderio di apprendere dai maestri dell’illusione lezioni sulla realtà stessa. Ma quando si riscontra un’indifferenza totale persino per la meccanica dell’illusione, è prevedibile il collasso della stessa idea di realtà, che dipende in ogni suo elemento dalla distinzione tra natura e artificio, realtà e illusione. Tale indifferenza rivela l'erosione della capacità di interessarsi a qualsiasi cosa esterna al sé. Così la bambina impassibile, che ha già visto tutto, si riempie di zucchero filato e quanto succede non le importerebbe neppure se non sapesse in che modo ventiquattro clown riescono a infilarsi in una macchina. “
Christopher Lasch, La cultura del narcisismo. L’individuo in fuga dal sociale in un’età di disillusioni collettive; Nuova postfazione dell’autore, traduzione di Marina Bocconcelli, Fabbri (collana Saggi Tascabili), 1992. [Libro elettronico]
[Edizione originale: The Culture of Narcissism: American Life in an Age of Diminishing Expectations, W. W. Norton, New York City, 1979]
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Quando, tra il settembre e l’ottobre del 1935, si dedicò alla stesura de L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Walter Benjamin non sapeva ancora che la pubblicazione di quello che unanimemente è considerato il suo lavoro più influente sarebbe stato rimaneggiato dalla redazione della rivista Zeitschrift für Sozialforschung tanto da farlo incazzare come una iena e spingerlo all’ennesima riscrittura di un testo che avrebbe visto la luce solo postumo nel 1955.
Nel tredicesimo capitolo della prima stesura dattiloscritta dell’opera, Benjamin gettò lì una frase che pur fotografando una situazione fattuale anticipava nelle sue implicazioni di qualche decennio Andy Warhol: «Ogni uomo contemporaneo avanza la pretesa di essere filmato». Nella sua lapidarietà, questa frase rivela un mondo. Non soltanto ci parla di una nascente società di massa che si interfaccia con lo shock del cinematografo, ma ci fa comprendere come, pur cambiando a distanza di quasi un centinaio d’anni la natura dei media, l’approccio dell’ uomo “contemporaneo” non sia cambiato, anzi.
Ma quanto colpisce del testo di Benjamin è la requisitoria che segue, una critica sociale verso la tendenza autoriale dei lettori, che abbandonavano il ruolo passivo di fruitori per diventare essi stessi scrittori. Nulla da eccepire: ci troviamo agli albori di una democratizzazione della scrittura, che in linea di massima non sarebbe in contrasto con gli ideali di Benjamin, ma che in realtà fece scattare in lui un allarme. Il sospetto era che dietro la scomparsa della distinzione tra autore e pubblico vi fosse all’opera una logica capitalista: era il lavoro stesso a prendere la parola.
Nel suo secondo pantagruelico romanzo Il pendolo di Foucault, Umberto Eco ambientò parte delle vicende nella redazione della casa editrice Garamond, dove Casaubon, Jacopo Belbo e Diotallevi vengono introdotti proprio dall’editore ai perversi meccanismi delle Edizioni Manuzio. Quest’ultima è un APS (acronimo di Autori a proprie spese): cioè una classica vanity press, con gli stessi autori che, nell’illusione di entrare a far parte del fantastico mondo dell’editoria, finanziano la stampa del proprio libro.
Il malcapitato di turno (nello specifico Eco decide per un pensionato con il vizio della poesia, tal commendator de Gubernatis) farà i salti mortali per firmare un contratto vessatorio celato dietro un lancio editoriale “satrapico”: delle diecimila copie promesse ne saranno stampate solo 1.000, di cui solo 350 rilegate. Per finire in bellezza, 200 di queste saranno cedute all’autore, le altre distribuite a biblioteche locali, redazioni e riviste pronte a cestinare il plico, nonostante le dieci cartelle di presentazione entusiasta. Un meccanismo spiegato con sottile ironia dal filosofo piemontese, ma che sostanzialmente illustra un mercato dell’editoria parallelo e, che in alcuni casi, si sovrappone a quello ufficiale.
Il mercato editoriale post-pandemico ha conosciuto un’evidente e positiva crescita, che ha visto come settore trainante quello dei fumetti, unico segmento che nell’ultimo decennio è stato in costante e continua crescita. Eppure, questo scenario idilliaco è stato scosso da un dato allarmante. Secondo uno studio realizzato da CAT Confesercenti Emilia-Romagna in collaborazione con SIL, Sindacato Italiano Librai Confesercenti, e con il supporto scientifico di Nomisma, i dati non sono così incoraggianti.
Il 30% dei libri pubblicati – spesso tra autopubblicazioni, editori improvvisati e vanity press – non vende neanche una copia, e 35.000 titoli su quelli pubblicati nel corso del 2022 hanno venduto meno di dieci copie. Quando ho letto la notizia ho subito pensato alle pagine del romanzo di Eco, e sostanzialmente la situazione nell’arco di quasi trent’anni è peggiorata: il bacino dei lettori si è notevolmente ristretto a scapito invece di quello degli autori. Certo, è indubbio che il quadro è più complesso: a una scarsa selezione a monte – con un lavoro quasi nullo di scouting e editing – si aggiunge una promozione assente o basata sull’improvvisazione e sulla buona volontà dell’autore.
Al computo dei libri che nessuno compra vanno sicuramente annoverati una serie di titoli “scientifici” o accademici spesso pubblicati grazie a sovvenzioni pubbliche o fondi personali utili a creare un rating spendibile e che praticamente hanno una vita editoriale praticamente nulla. Ma quest’ultimo è un discorso un po’ ostico.
Senza dubbio, di libri inutili ne vengono pubblicati a migliaia ogni anno, alimentando un mercato dopato e falsamente democratico. La falsa speranza che la possibilità che a tutti venga data voce e dignità di stampa nasconde, come sottolineato da Walter Benjamin, una strategia del capitale che in maniera bulimica si sostenta della vanità autoriale di lettori avidi di gloria editoriale.
Se i dati possono essere riportati anche sul segmento che riguarda il fumetto dobbiamo inferire che molti dei titoli pubblicati spesso da editori minori e con scarsa capacità di proiezione sul mercato non vengono acquistati e letti. Questo dato non può non essere sovrapposto alla scarsa qualità dei contratti proposti agli esordienti. Sull’onda della campagna #ComicsBrokeMe, anche i fumettisti italiani hanno evidenziato situazioni di sfruttamento e scarsa tutela del diritto d’autore. Spesso contratti vessatori e capestri diventano la norma,soprattutto nel caso di esordienti e wannabe interessati a entrare a far parte di questo settore.
L’associazione MeFu ha sottolineato il problema, evidenziando soprattutto le ricadute sul diritto d’autore e sulle royalties. Fermo restando che sono pochi gli autori in grado di vendere tante copie da generare compensi derivanti da royalty in un mercato curvato sui soliti nomi. Che, pur generando interesse e facendo da traino per l’intero segmento, monopolizzano un settore con poche reali possibilità di successo per giovani autori che meriterebbero più attenzioni anche e soprattutto da parte dei loro editori.
Ora, a latere sarebbe opportuno forse avere il coraggio di demistificare l’importanza del libro cartaceo: nonostante alcuni lavori non possano fare a meno della capacità del supporto cartaceo – vuoi per soluzioni cartotecniche particolari, vuoi per un formato di lettura che ha nel libro la sua struttura cardine – ci sono decine di migliaia di titoli, tra cui sicuramente anche fumetti, che non meritano la dignità di stampa e che potrebbero forse vivere una vita più agevole nella loro dematerializzazione, sfruttando le opportunità democratiche e anarchiche del web.
Forse è arrivato il momento di invertire la rotta e sovvertire l’idea che la dignità di stampa renda un’opera degna di essere letta. Il feticismo del libro come simulacro del proprio pensiero è una narrazione un po’ obsoleta e deleteria: ognuno avanza la pretesa di essere pubblicato in un mercato in cui la maggior parte dei libri finisce al macero o a prendere polvere sugli scaffali. Il libro nell’epoca dei social è un oggetto anacronistico, un vezzo avvolto da un romanticismo affettato e imbolsito.
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Il campo di ghiaccio di Juneau in Alaska si sta sciogliendo a un ritmo "incredibilmente preoccupante", affermano gli scienziati Il rapido scioglimento del campo di ghiaccio di Juneau in Alaska Uno studio condotto da scienziati ha rivelato che il campo di ghiaccio di Juneau in Alaska si sta sciogliendo a un ritmo allarmante, perdendo 1,4 miglia cubiche di ghiaccio all’anno tra il 2010 e il 2020. Questo indice è il doppio rispetto al decennio precedente. Impatto del cambiamento climatico sui ghiacciai Il ghiaccio dell’Alaska è destinato a svolgere un ruolo significativo nell’innalzamento del livello globale del mare nel corso di questo secolo. Il Juneau Ice Field, che si estende su 1500 miglia quadrate a nord di Juneau, ha subito
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Cura della pelle del viso: l'ultima ossessione
La cura della pelle del viso è l'ultima ossessione delle donne giovani e non. Meglio nota come skincare è la più degna figlia del nostri tempi segnati dai social. Normali routine come la pulizia del viso o la preparazione della pelle del viso al make up sono portate all'estremo. Lo scopo è mostrare un aspetto quanto più possibile naturale. Una giornalista americana ha analizzato nel dettaglio il fenomeno punto d'incontro tra le ultime strategie di marketing e le nuove dipendenze. Dermorexia: cos'è e perché è un pericolo Nella sua newsletter The Review of Beauty, la giornalista Jessica DeFino ha coniato, infatti, il termine Dermorexia, che in italiano potremmo tradurre come Dermoressia. Stretta parente della hortorexia, ortoressia, che indica un'attenzione patologia per il cibo sano, la dermoressia indica un interesse altrettanto patologico per la cura della pelle. Un recente studio pubblicato sulla National Library of Medicine ha evidenziato come il ricorso alle procedure cosmetiche per la cura del viso rientri a tutti gli effetti tra le nuove dipendenze. I rischi della dermoressia, però, non finiscono qui. L'eccessivo uso di prodotti cosmetici per la skincare rischia di alterare il microbiota della pelle. In parole più semplici, rischia di azzerare la naturale capacità della pelle di riequilibrarsi e provocare la comparsa di dermatiti. L'eccessivo ricorso a peeling ed esfoliazioni può, come avvertono i dermatologi, provocare un assottigliamento dello strato corneo della pelle, il più superficiale, che funge da protezione naturale esponendola al rischio di infezioni. Cura della pelle del viso: la skincare delle star L'attenzione per la skincare si aggrappa fortemente alla schiera di star, soprattutto hollywoodiane, che hanno abbondantemente superato gli anta ma che continuano a sembrare ragazzine. La cura della pelle a suon di maschere e detersione è diventata la nuova frontiera dell'eterna giovinezza. Cionondimeno fa da apripista a tanti trattamenti estetici mirati per preservare un aspetto quanto più fresco e giovane. Il dato più allarmante resta, però, l'interesse per la pelle da parte di donne (ma anche di uomini) sempre più giovani. La skincare è diventata una sorta di prevenzione per rughe e altri segni di invecchiamento. Una pelle da social I social, neanche a dirlo, stanno facendo da cassa di risonanza del fenomeno. Tutti i canali abbondano di video e tutorial di influencer che, oltre a testare l'ultimo mascara messo in commercio o il fondotinta diventato virale, forniscono i loro utili consigli sulla skincare. Anche in questo campo i trend si inseguono veloci. Chi bazzica per questi canali sa, per esempio, che la skincare coreana è la più virale. Una routine (con prodotti specifici) che dona alla pelle un aspetto di porcellana, luminoso, base ideale per il make up. Un make up che si fa sempre più minimalista, come testimoniano altri trend, per donare un aspetto quanto più possibile "acqua e sapone" come si diceva una volta. I prodotti più promossi sono basi che minimizzano i difetti della pelle, blush effetto vedo, non vedo. Video di dieci minuti spiegano come truccarsi per non sembrare truccate. E' la nuova farsa della bellezza senza filtri, della bellezza che non ha bisogno di trucchi. E' il male del nostro tempo: trasformare la cura in ossessione. In copertina foto di Alexandr Ivanov da Pixabay Read the full article
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Autismo, dati in aumento negli ultimi 40 anni
Nuovo post pubblicato su https://wdonna.it/autismo-dati-in-aumento-negli-ultimi-40-anni/117461?utm_source=TR&utm_medium=Tumblr&utm_campaign=117461
Autismo, dati in aumento negli ultimi 40 anni
In Italia, circa 600.000 individui (1 ogni 100) sono affetti da autismo, una condizione che vede un’incidenza maggiore nel genere maschile con un rapporto di uno a quattro. L’Osservatorio nazionale per il monitoraggio dei disturbi dello spettro autistico indica che uno su 77 bambini tra i 7 e i 9 anni è colpito. Le statistiche mostrano un incremento continuo: negli USA, l’unico paese con dati certi, le diagnosi sono salite del 477% negli ultimi 25 anni.
Durante la Giornata Mondiale per la Consapevolezza sull’Autismo del 2024, l’Italia ha visto numerose iniziative. Tra queste, il Palazzo H, sede del Coni, sarà illuminato di blu per un congresso sul tema “Progetto di vita nell’autismo: dallo sport all’inclusione lavorativa”, che culminerà in una cena di gala alla quale parteciperanno figure di spicco come il presidente del Coni, Giovanni Malagò, Anna Ascani, Orazio Schillaci e Andrea Abodi.
Ad Ostia l’evento “Nel blu dipinto di…”, una festa dedicata a tutti i bambini per promuovere inclusione e contrastare stereotipi e pregiudizi, favorendo l’integrazione e la partecipazione attiva.
Per quanto riguarda gli eventi in tutta Italia, a Verona, il Comune e l’ULSS 9 Scaligera organizzano “Insieme per l’Inclusione Scolastica di Bambini e Ragazzi con Autismo”, mirato a condividere strategie per migliorare l’inclusione scolastica.
In Sicilia, la Giornata viene celebrata con la 15ma edizione della Fiaccolata a Palermo, sotto l’egida dell’Associazione Nazionale per l’Autismo, la Regione Siciliana e la Città di Palermo, il 7 aprile 2024.
Milano sarà teatro dell’In&Out Festival, il primo festival italiano dedicato all’inclusione sociale e lavorativa delle persone autistiche, con un programma che include incontri, dibattiti, proiezioni e presentazioni di libri, dal 17 al 19 maggio.
Autismo Dati
L’autismo colpisce un numero crescente di individui, evidenziando un fenomeno allarmante. Un recente studio nazionale dell’Istituto Superiore di Sanità ha rilevato che un bambino su 77 è affetto da autismo, mentre i dati più recenti del CDC di Atlanta, negli Stati Uniti, indicano una frequenza di uno su 36. Questa tendenza al rialzo si osserva anche in Piemonte, dove il tasso di autismo supera l’1% della popolazione, con un trend in aumento. Fattori ambientali inquinanti e una maggiore precisione nelle diagnosi contribuiscono all’incremento di questa condizione. In particolare, a livello adulto, più di 1.200 persone sono assistite dal principale centro ambulatoriale dell’Asl cittadina, dimostrando la crescente rilevanza del problema.
Una diagnosi accurata è cruciale per affrontare questo disturbo. Le diagnosi tardive, soprattutto nelle donne, dove l’autismo può essere celato da un’apparente empatia biologica, sono comuni. Inoltre, l’esordio dei sintomi avviene nei primi anni di vita, ma l’intelligenza elevata può mascherare le difficoltà relazionali, esponendo i bambini a rischi di ansia, depressione e bullismo.
La complessità dell’autismo va oltre la mente, influenzando ampiamente le capacità intellettive e comportamentali. Questo spettro va da disabilità intellettive severe a livelli superiori alla media. Le difficoltà di relazione possono portare a problemi comportamentali significativi, che gravano sulle famiglie. L’importanza di considerare eventuali condizioni mediche organiche prima di attribuire il comportamento problematico esclusivamente a questioni psicologiche è enfatizzata, evidenziando l’errore di ricorrere a psicofarmaci senza un’adeguata valutazione fisica.
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Veneto. Violenza contro le donne, la Regione destina quasi 5 milioni e mezzo di euro alle attività di contrasto. Zaia e Lanzarin, "piaga sociale che ha bisogno di risposte concrete"
Veneto. Violenza contro le donne, la Regione destina quasi 5 milioni e mezzo di euro alle attività di contrasto. Zaia e Lanzarin, "piaga sociale che ha bisogno di risposte concrete". "Indimenticabili, sono ancora nella mente le recenti immagini dei funerali di giovani donne che hanno trovato la morte nel corso o alla conclusione di relazioni con uomini violenti che non hanno saputo gestire la relazione se non con la loro aggressività distruttiva e omicida. I media e i dati ci dicono che questi episodi sono la punta di un iceberg più vasto e diffuso. Le notizie che la cronaca ci propone, con allarmante frequenza, ci impongono di rispondere con atti concreti che diano sostanza allo sdegno e alla preoccupazione. Provvedimenti come quello appena varato, danno una risposta a quelle donne costrette a misurarsi con questo triste fenomeno, che si consuma molto spesso tra le mura domestiche, intervenendo inequivocabilmente contro questa piaga sociale con attività di prevenzione, protezione, accoglienza riscatto e informazione". Così il presidente della Regione del Veneto, Luca Zaia, commenta favorevolmente la delibera che la Giunta regionale - su proposta dell'assessore alla sanità e alle Politiche sociali, Manuela Lanzarin - ha approvato con la nuova programmazione dei fondi per le attività di contrasto alla violenza contro le donne. Il provvedimento mette in campo risorse per un valore complessivo di 5.490.949,68 euro tra fondi regionali (1.550.000 euro) e provenienti da quelli messi a disposizione a livello nazionale (3.940.949,68 euro). Il progetto è stato condiviso con il "Tavolo di coordinamento regionale per la prevenzione ed il contrasto alla violenza contro le donne" che, riunito dall'Assessore lo scorso mese, ha dato parere favorevole all'unanimità. "Novità importante della ripartizione dei fondi di quest'anno è l'apertura degli sportelli antiviolenza nelle università di Padova, Venezia e Verona – sottolinea l'assessore Lanzarin -. La possibilità di ricevere un aiuto diretto avviando un percorso entra anche nei luoghi di studio. Dai recenti tristi fatti di cronaca abbiamo avuto la conferma che dall'essere vittima di questa piaga non sono escluse studentesse e giovani donne. Questi nuovi sportelli sono il frutto di una precisa sinergia della Regione con gli Atenei. Un servizio che va ad aggiungersi a quelli compresi nella vasta rete specifica organizzata nel Veneto e in continua espansione da alcuni anni". "Ancora una volta, infatti, nell'affrontare il tema della violenza contro le donne, manteniamo un impegno preso con la società veneta, quello di garantire una dotazione importante all'articolazione di servizi mirati – conclude l'Assessore-. Il Veneto dispone di una rete che si articola principalmente in 25 Centri antiviolenza, 31 Case rifugio e numerosi sportelli su tutto il territorio. Un'attività che punta su numerose linee d'intervento oltre quella della protezione. Sono messe in campo, infatti, iniziative non solo per fare uscire la donna dall'eventuale circuito di violenza, ma anche pensate per assicurare la ripartenza sociale ed economica, per il sostegno abitativo e il reinserimento lavorativo e contrastare situazioni di violenza psicologica o fisica con interventi di prevenzione, assistenza, sostegno". Nel dettaglio le risorse sono così suddivise FONDI REGIONALI: • 1.000.000,00 € contributo per l'autonomia delle donne prese in carico dai centri antiviolenza e case rifugio A e B, con riparto diretto e in egual misura alle strutture che risulteranno iscritte negli elenchi regionali. • 50.000,00 € contributo per l'apertura di sportelli presso le sedi universitarie, con assegnazione diretta alle Università di Padova, Venezia e Verona con accordo di collaborazione. • 300.000,00 € per dare sostegno alle attività e servizi delle case rifugio con riparto diretto e in egual misura alle strutture che risulteranno iscritte negli elenchi regionali. • 200.000,00 € per le attività di informazione, comunicazione e formazione. FONDI NAZIONALI: • 1.403.560,69 per il sostegno alle attività e servizi dei 25 CAV. • 1.427.388,99 per il sostegno alle attività e servizi delle 31 case rifugio. • 210.000,00 per il sostegno agli sportelli. • 400.000,00 per il sostegno dei centri antiviolenza e delle case rifugio, con attenzione al finanziamento delle rette di accoglienza, anche in emergenza, delle donne e delle figlie e dei figli minori, vittime di violenza. • 150.000,00 per il sostegno alle attività e servizi dei centri antiviolenza contribuendo ai costi di gestione. • 150.000,00 per il sostegno ai centri antiviolenza e alle case rifugio - contributo per spese formazione e supervisione operatrici. • 200.000,00 per le attività di informazione, formazione e comunicazione per il territorio regionale con gli Enti afferenti ai protocolli di rete.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Indovina chi viene a scuola? Rom, sinti e caminanti
Nel nostro Paese tanti bambini e adolescenti sono in un limbo. Capita su vari fronti della vita sociale, spicca sul fronte scolastico: dall'accesso al sistema educativo pubblico ai metodi di insegnamento, dall’accoglienza in classe al diritto/dovere di frequentare la scuola dell’obbligo, fino all’opportunità di imparare correttamente la lingua italiana. Chi sono questi ragazzini? Sono gli alunni della comunità romanì, nei documenti burocratici definiti “rom, sinti e caminanti” (questi ultimi formano una piccola comunità radicata in Sicilia).
Il 2 agosto del Grande Divoramento
Sebbene siano, salvo una piccola frazione extra-comunitaria, cittadini italiani o di vari Paesi dell’UE, vengono trattati come “migranti” e “clandestini”. Anzi, spesso sono considerati “più stranieri” dei migranti, nonostante i loro antenati siano arrivati in Europa, quindi in Italia, tra XV e XVI secolo (forse prima), dopo una lenta migrazione dall’India settentrionale. Non è questa la sede per ricordare nei dettagli la terribile persecuzione di cui rom e sinti sono stati vittime: la Germania nazista, con il sostegno dell’Italia fascista e di altri regimi alleati, ne ha sterminati più di mezzo milione, in un olocausto denominato in lingua romanì Porrajmos (significa ‘grande divoramento’) e ricordato il 2 agosto, sebbene pochi lo sappiano. Così come richiederebbe molto spazio un resoconto della discriminazione tuttora in corso, in un groviglio di pregiudizi. Di certo, rappresentano oggi la minoranza più discriminata.C’è il rischio, tra gli altri, che in Italia i più giovani (i minorenni sono il 60%) non solo non arrivino alla fine della scuola dell’obbligo, ma non la frequentino affatto. I dati sulla loro scolarizzazione sono diversi a seconda della fonte, perché non c’è una visione generale. Di certo, nelle scuole di alcuni Comuni varie prestazioni legate al diritto allo studio (refezione, sostegno ai disabili, borse di studio) sono negate, perché non risultano residenti. In alcuni istituti scolastici il minorenne romanì (italiano o straniero) viene segnalato come “nomade” e gli stessi ministeri usano spesso la parola “nomadi”, sebbene solo il 3% lo sia davvero. I problemi maggiori nascono nei cosiddetti (ci risiamo…) “campi nomadi”, dove vivono circa 26.000 persone, il 20%: è chiaro che abitare in una baraccopoli – di solito scollegata da scuole e centri abitati – contribuisce a rendere difficile una frequenza regolare.
Pandemia e dispersione scolastica
La dispersione scolastica è stata resa ancora più allarmante, tra 2020 e 2021, dall’emergenza sanitaria, con la fine delle lezioni “in presenza” e, come è intuibile, con problemi ancora maggiori per questi ragazzini, rispetto ad altre fasce svantaggiate, nell’utilizzo della didattica a distanza (Dad). Soprattutto all'interno dei campi. Ci sono stati casi virtuosi di docenti e assistenti sociali che, in alcune aree metropolitane, hanno cercato di rimediare. Tuttavia, oltre a computer e tablet, per svolgere la Dad servono energia elettrica, connessioni decorose al Web, competenze tecniche da parte degli adulti. Nelle baraccopoli non sempre ci sono e questo crea ulteriore dispersione scolastica. Infatti, una volta riaperte le aule, è capitato – a Roma per esempio – che 4 bimbi su 10 non siano rientrati. Eppure una recente indagine demoscopica – dedicata alla loro scolarizzazione e svolta da SWG per conto del “Movimento Khetane, rom e sinti per l’Italia” – svela, fra l’altro, che i due terzi dei genitori ritengono la scuola utile per aprire prospettive lavorative e sociali ai figli. Quindi l’emarginazione pesa più della supposta scarsa disponibilità a favorire l’istruzione.
I sentimenti antizigani degli italiani
Per inquadrare la portata della questione è opportuno un chiarimento sui numeri presunti della comunità. Presunti perché non esiste – per fortuna – un censimento su base etnica (sebbene nel 2018 l’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini avesse tentato una schedatura con scopi repressivi), contrario all’articolo 3 della Costituzione e a varie convenzioni europee e internazionali. Rom e sinti in Italia sarebbero 140.000 (è il dato medio valutato, sulla base di dati ufficiosi, dal Consiglio d’Europa), quindi lo 0,25% della popolazione, una delle percentuali più esigue nel continente; mentre i sentimenti antizigani degli italiani sono i più alti (82%). Nonostante luoghi comuni e pregiudizi, spesso eccitati da certa politica e da certi media, la stragrande maggioranza (4 su 5) sta in abitazioni convenzionali e conduce una vita normale. Come già segnalato, solo il 3% è effettivamente nomade; mentre nei “campi nomadi” vive (o è costretto a vivere) uno su 5, in gran parte con la residenza anagrafica. Secondo l’European Roma Rights Centre, nel 2010 la metà dei rom e sinti risultava formata da cittadini italiani; un quarto da quelli di Paesi dell’UE; gli altri erano originari di Stati continentali extra-UE. Insomma, sono parte integrante dell’Europa premoderna, moderna e contemporanea.
Dialetti del romanés e italiano
Torniamo così agli alunni rom e sinti che frequentano le nostre scuole: al di là delle difficoltà citate, esiste anche un aspetto che lega questioni linguistiche a questioni didattiche. Nel senso che per questi bimbi l’italiano spesso è la seconda lingua, dato che in famiglia si usa (sempre nel 50% dei casi, parzialmente negli altri) uno dei dialetti del romanés, lingua neo-sanscrita, tradizionalmente tramandata solo oralmente (anche se stanno nascendo, per ora a livello dei loro intellettuali, un sistema di scrittura condiviso e una lingua standard, strumenti necessari anche per raggiungere un riconoscimento politico-culturale).
Bilinguismo sottrattivo e bilinguismo additivo
Di certo, una lingua-madre che si tramanda per via orale – una delle poche oggi rimaste – richiede “una diversa impostazione di glottodidattica interculturale” sul fronte della scolarizzazione. Lo scrive – in un articolo su EL.LE – Paola Desideri, fino al 2020 professoressa ordinaria di Didattica delle Lingue moderne all’Università Gabriele d’Annunzio di Chieti-Pescara, che si è addentrata in un campo poco studiato. Spiega che a scuola, “nel rispetto del pluralismo delle differenze, il primo passo è quello di riconoscere l’alterità del mondo” dei rom e sinti, “senza pretendere di reprimerlo o di cancellarlo; anzi proprio questo mondo tanto contrapposto, se conosciuto, può diventare la base per una corretta educazione linguistica in italiano L2 (seconda lingua, ndr)”. La professoressa sostiene che “la scuola non può esimersi dal prendere in carico la questione dell’alunno rom, con tutte le problematiche linguistiche e socioculturali che comporta. In primo luogo, bisogna porsi il problema di convertire il cosiddetto ‘bilinguismo sottrattivo’ tipico delle minoranze – che comporta un depauperamento della L1 (prima lingua, ndr) minoritaria, priva di qualsiasi prestigio sociale e completamente assente nella scuola – in ‘bilinguismo additivo’, il quale, al contrario, non va a discapito della lingua madre, ma anzi rappresenta per il soggetto una forma di arricchimento”.
Il metodo fonico-sillabico
La linguista indica, tra gli strumenti inclusivi che possono favorire con efficacia il processo di apprendimento, il cooperative learning (gli studenti apprendono in piccoli gruppi, aiutandosi reciprocamente), il learning by doing (l’imparare facendo) e la didattica laboratoriale. Sono volti a “sviluppare la cooperazione tra pari, le abilità relazionali, il miglioramento del clima di apprendimento e la rivalutazione delle attitudini dell’alunno, in poche parole la crescita interculturale dei soggetti”. Precisa: “Il learning by doing sembra la strategia didattica più efficace per imparare attraverso la manualità, cioè attraverso attività pratiche tali da migliorare la ‘funzione euristica’ e il potenziamento linguistico-cognitivo”. Inoltre, secondo Paola Desideri, per “l’alfabetizzazione dei bambini rom” è preferibile usare “il ‘metodo fonico-sillabico’, perché valorizzando l’articolazione fonetica si dimostra adatto per questi soggetti con una L1 esclusivamente orale”. Inoltre, “uno strumento molto utile per favorire la strutturazione del pensiero e la condivisione dei significati è la costruzione di mappe concettuali, gioco che appassiona i bambini e li stimola a confrontarsi”.
La formazione degli insegnanti
Tuttavia la linguista segnala altri due problemi. Uno riguarda la formazione dei docenti al confronto con rom e sinti. “Il problema esiste sicuramente, non solo per questi ragazzini ma anche per quel che riguarda bimbi di altre etnie”, afferma, dialogando con Treccani.it. “È chiaro che gli insegnanti dovrebbero possedere le conoscenze e le competenze necessarie per gestire tali situazioni. Purtroppo le hanno raramente”. La conferma indiretta arriva dalla ricerca “Gli insegnanti degli alunni rom e sinti. Un'indagine nazionale”, svolta alcuni anni fa sulla base di un questionario. Alessandro Vittorio Sorani, su Quaderni di Sociologia, fa notare che gli stessi docenti intervistati percepiscono “come insufficiente la formazione in loro possesso”. Ciò è accompagnato da una “percezione stereotipata dei rom/sinti come entità culturale”, tanto che il 77,4% degli insegnanti dà un giudizio negativo sull’influenza determinata dalla presenza in aula di quegli alunni.
Una minoranza linguistica non riconosciuta
I ragazzi rom e sinti si trovano però svantaggiati anche per una questione cruciale di ordine giuridico (frutto di scelte politiche) con pesanti ripercussioni nell’ambito scolastico e istituzionale: si tratta, spiega la professoressa Desideri, della “negazione dei diritti linguistici alla minoranza alloglotta rom/sinta da parte della Legge 482 del 15 dicembre 1999 (Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche, ndr)”. Spiega: “Dopo un lungo e controverso iter parlamentare durato diversi anni, tale legge riconosce e tutela soltanto dodici lingue minoritarie storiche e territorializzate. Tra queste è assente il romanés, che è indubbiamente una minoranza storica, in quanto presente in Italia da almeno seicento anni, ma non territorializzata... Il pretesto della mancanza della delimitazione e della definizione territoriale ha dunque deprivato le comunità di usufruire delle disposizioni e delle forme di tutela a tutti i livelli, tra cui il legittimo diritto di adottare il romanés nelle occasioni istituzionali e di disporre dei mediatori linguistico-culturali, quanto mai indispensabili nell’ambito scolastico”. Dovrebbero pretendere questo riconoscimento pure i gagi (gagé indica nella lingua romanì i “non-rom”). Purtroppo, sebbene qualche proposta legislativa sia stata avanzata, da 22 anni è tutto fermo, probabilmente anche perché la presunta “diversità” di rom e sinti italiani fa comodo alla propaganda di certa politica.
Dalla negazione all’affermazione
Eppure, dice a Treccani.it Eva Rizzin, sinta italiana, “la scolarizzazione è sicuramente la chiave della futura emancipazione delle nuove generazioni rom e sinte”. Anche lei, nata nel 1977, parente di tante vittime dei lager nazisti, ha dovuto affrontare molti pregiudizi quando andava a scuola. Oggi è dottore di ricerca in Geopolitica, responsabile scientifico dell’Osservatorio nazionale sull’Antiziganismo presso il CREAa dell’Università Verona. Nell’ultimo libro che ha curato – Attraversare Auschwitz. Storie di rom e sinti: identità, memorie, antiziganismo, pubblicato nel 2020 – ci sono le testimonianze di tante persone della comunità; inclusi i ricordi scolastici, quasi sempre dolorosi. C’è anche il suo, che ha un lieto fine: “Mia mamma e i miei zii… negli anni Sessanta… hanno dovuto frequentare le ‘Lacio Drom’, le ‘classi speciali per zingari’... Spesso relegati nei sottoscala, con orari differenti dagli altri... Si sentivano degli appestati ed alla fine rifiutarono di andarci… Mia madre è rimasta analfabeta, ma ha sempre avuto la forza e la consapevolezza di affermare che il riscatto per me e per tutti i sinti potesse e dovesse passare dalla scuola”. Continua la dottoressa Rizzin: “Anch’io ho scoperto di essere ‘zingara’ (nome imposto dall’esterno che rom e sinti rifiutano, ndr) il primo giorno di scuola, quando alcune compagne mi dissero che non potevo giocare con loro. La maestra fu eccezionale e mi portò per mano a giocare… Dopo l’adolescenza… sono riuscita a passare dalla negazione all’affermazione, con quella grande consapevolezza che devo a mia madre e a tutta la mia famiglia”. Poi la maturità, la laurea in Scienze politiche (110 e lode) e il dottorato, con la prima tesi sulla sua comunità e l'altra sull’antiziganismo: “La cosa che ricordo con più affetto è naturalmente mia madre il giorno della discussione della tesi di laurea, ma anche l’aula magna dell’università affollata di sinti. ...C’erano con l’orgoglio di chi attendeva un riconoscimento per tutta la comunità e non solo per me”. Non possiamo che augurarci, tutti, un futuro così.
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Più vinti che vincitori: la fauna selvatica sta morendo più velocemente di quanto pensassimo
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Il direttore della Discoteca Elysium, licenziato, sostiene che i nuovi proprietari hanno preso il controllo della ZA/UM con una frode
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Mentre lo studio sostiene che il regista è stato licenziato per cattiva gestione. Il direttore del gioco Disco Elysium, Robert Kurvitz, e il direttore artistico, Aleksander Rostov, hanno pubblicato un esplosivo lettera aperta ai fan in cui si spiega la loro estromissione da ZA/UM, lo studio di sviluppo del gioco. La cosa più allarmante è l’affermazione che il nuovo azionista di maggioranza di…
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4 capitolo
Cristopher si svegliò un po’ controvoglia, il giorno del matrimonio di sua madre. Era però in ritardo all’appuntamento con Beatrice, programmato prima della cerimonia.
Arrivò da Beatrice al CiakCoffee e stava parlando al telefono.
“Ciao, scusami per il ritardo, ma questa notte non ho chiuso occhio”.
“Non preoccuparti, ho appena ordinato. Che hai fatto ieri sera?”
“Niente di che, ho portato Gin a spasso”.
Il barista arrivò con i caffè, lo yogurt con i cereali al miele e i waffles che ordinavano ogni volta.
“Io sono stata a casa invece, avevo dei libri da studiare.”
“Che libri?”
“Filosofia e Storia”. Beatrice era bella ma anche intelligente Aveva lunghi capelli neri con la frangetta e occhi azzurri. Non era una novità che ogni volta che stavano insieme i ragazzi la notavano.
“C’è il compito di fisica la prossima settimana”- ricordò Cristopher.
“Sì, lo so, voglio stare al passo con lo studio”. Cristopher in realtà non aveva ancora toccato il libro di fisica, per non parlare degli altri.
“Forse è meglio che inizio ad andare”. Chiamarono il barista per farsi portare il conto, e fra lui e Beatrice ci fu uno scambio di sguardi più durevole del solito e Cristopher sorseggiava silenziosamente il caffè quasi per non rovinare il momento fra i due.
“Beatrice, avrà forse cinque o sei anni in più di te.”
“Sono stata solo cortese, e poi ha un bel sorriso, a cosa alludi?”
“Niente, niente, so che ti vuoi scordare al più presto del tuo ex, ma non vorrei che ti addentrassi in storie molto più difficili, se non impossibili”- chiarì Cristopher. Beatrice gli fece un sorriso rassicurante.
•••
Cristopher arrivò in tempo alla cerimonia, e salutò tutti i suoi parenti che stavano entrando in chiesa. Salutò suo cugino Michele e andò a sedersi accanto a lui. Poteva notare suo zio Gianpiero dall’altra parte della chiesa, con una ragazza molto più giovane di lei, probabilmente la sua ennesima fidanzata, sua zia Grazia più avanti a lui, il signore e la signora Sorrone, i genitori dello sposo.
Dopo alcuni minuti di attesa, Gabriella arrivò, con un elegante abito bianco svasato e la marcia nuziale iniziò a suonare, e raggiunse Giorgio, e Cristopher sapeva che stava sorridendo dietro il velo bianco, e sorrise anche lui al pensiero.
Il matrimonio ebbe seguito in una locanda con un’ampia pista da ballo, fuori città, nei pressi del Parco Gigliodoro, uno dei parchi più eleganti di Fontana Moscati, il quartiere più in della città.
Arrivò a salutarlo suo zio Gianpiero e la sua nuova fidanzata, che aveva vent’anni in meno di lui.
“Come va Cristopher? Tutto bene a scuola?”
“Si zio, tutto bene. Ti trovo in gran forma”.
“Bene, bene”. Cristopher gli sorrise poi continuò a sorseggiare un po’ di champagne e a camminare al lato della sala, notando l’assistente del wedding planner che aggiustava dei nastri sulla scala che portava al palco. Conosceva quasi tutti in quella cerimonia. Era molto intima ma gli invitati non erano pochi. Notò Isabella, una ragazza che andava a scuola con lui, e non capiva come fosse imparentato con lei. La ragazza mentre parlava con un invitato notò anche lei della presenza di Cristopher, e gli sorrise. Poi Cristopher continuò a camminare e vide sua zia Grazia a uno dei tavoli in fondo che sembrava un po’ giù di morale.
“Zia, tutto bene?”
“Ciao Cristopher. Sì grazie, mi fanno male solo un po’ i tacchi. Credo infatti che li toglierò e li metterò sotto il tavolo”. Si tolse i tacchi e nascose i piedi sotto il tavolo.
“Tua madre e Giorgio li vedo così bene insieme. Sai forse finalmente ha trovato davvero la sua anima gemella, dopo tre matrimoni”. Rivolse un sorriso a Cristopher e lui rispose di cortesia. Sua madre notò curiosa che Cristopher e sua sorella stavano parlando, rivolgendoli un cenno di sorriso, e continuò a parlare con Giorgio.
“Sai, è difficile trovare la propria metà. Soprattutto se quella metà non pensa minimamente che tu possa essere quella giusta per te.”- continuò zia Grazia.
“E cosa potrebbe pensare, zia Grazia?”
“Purtroppo non sono ancora in grado di capire cosa passi dalla mente delle persone. So solo che l’universo non è sempre buono con tutti”. Cristopher gli sorrise e continuò a camminare. Sua zia Grazia era sempre stata un po’ fuori dal comune.
Mentre il pianista stava suonando un motivo allegro, la corrente saltò e la musica smise di suonare. Da un clima un po’ allarmante, Rodolfo, il wedding planner cercò di calmare tutti quanti.
Dopo un brusio ansioso, si sentì un urlo provenire da un tavolo in fondo. La signora Sorrone era in preda a una crisi, vedendo suo marito sanguinante dal cuore, giù a terra. Tutti iniziarono ad agitarsi, ma qualcuno della sicurezza cercò di calmare le persone. Cristopher cercò di avvicinarsi al luogo del delitto. Tutti erano sconvolti.
Il clima di festa era stato scaraventato in un secondo, dopo il blackout e tutti erano in panico. Arrivò la polizia, la scientifica iniziò a supervisionare il luogo del delitto. L’investigatore iniziò a parlare con la moglie e chi era al tavolo con lui. Cristopher era agitato, e andò da sua madre.
“Cristopher, tutto bene?”. Sua madre era spaventata, ma cercò anche di tranquillizzare Giorgio, che se in apparenza cercava di prendere il controllo, non sembrava molto in sé.
L’investigatore Langretti cercò di richiamare l’attenzione di tutti: “Buonasera signori, mi dispiace di questa tragedia, ma se collaboriamo possiamo chiarire quanto è successo in questa sala”.
“Dovete assolutamente rimanere qui perché l’attentatore potrebbe ancora essere fuori di qui. Inoltre bisognerà fare degli accertamenti e per porvi delle domande, prima dei colloqui individuali. Non ve ne andrete di qui almeno per le prossime tre o quattro ore, prima che la scientifica abbia preso tutti gli indizi necessari e la mia scorta abbia perlustrato tutto l’edificio e il parco.”
Così l’investigatore Langretti fece sedere ogni invitato e li dispose di fronte a lui.
“Da quando è iniziata la cerimonia, qualcuno ha visto qualcuno che non era stato invitato?”. Gli invitati si guardarono intorno.
“Qualcuno che non sembrava avesse buone intenzioni? Parlo anche di chi fa parte del catering, qualcuno vi ha fatto supporre che c’era qualcosa che non andava per il verso giusto?”. Cristopher cercò di rammentare quando vide gli invitati alla cerimonia, e poi di quando arrivarono al parco. La famiglia di Isabella non c’entrava, scoprii dopo che era la figlia del cugino di Giorgio. Altre persone estranee dalla sua famiglia e di quella di Giorgio gli parve non esserci state. Il signor Sorrone era un avvocato, e qualcuno ha voluto scegliere il giorno del matrimonio di suo figlio per fargliela pagare per qualche processo che non gli è andato a genio. Le cause potevano essere molte.
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Stop palloncini...Stop lanterne cinesi. Un nuovo studio - "A quantitative analysis linking seabird mortality and marine debris ingestion" - conferma l'alta mortalità tra gli uccelli marini causata dai palloncini e dai frammenti dei palloncini. La ricerca è allarmante, un uccello su cinque che ingerisce parti dei palloncini muore. La ricerca condotta dall'Università della Tasmania ha esaminato le cause di mortalità su 1733 uccelli marini e il 32% aveva ingerito detriti marini. Plastica dura come mattoncini LEGO o cannucce, componevano il 92% di tutto l'ingerito. Plastica come packaging, gomma, spugna sintetica, cordame e pezzi di palloncino rappresentano solo il 5% della plastica ingerita ma sono stati responsabili del 42% dei decessi.
Cerchiamo di sensibilizzare il più possibile affinché nei festeggiamenti non si liberino questi oggetti che causano il decesso di molti animali.
https://e360.yale.edu/digest/balloons-more-deadly-for-seabirds-than-any-other-kind-of-plastic?fbclid=IwAR11AXNPRtW3ygGYl8hoO5ozkjgsCD_o2mrr2pI9KKoVun_iYCtRc8M7SLM
#kokulandela #cybertrackeritalia #cybertrcker
Fonte Fb
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Uno studio pubblicato in questi giorni dalla Cgia di Mestre pone l’accento, al contrario, sulle grosse inefficienze della Pubblica Amministrazione e che peserebbero per ben 200 miliardi di euro all’anno, il doppio del dato sull’evasione. Per quanto i numeri, si legge, non godano di “rigore scientifico”, il quadro che ne emerge resta allarmante.
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"La differenza tra allarmante e catastrofico": la megafaglia di Cascadia ha una sezione particolarmente mortale, rivela la nuova mappa Scoperta la struttura della megafaglia di Cascadia La zona di subduzione di Cascadia potrebbe generare terremoti devastanti nel Pacifico nordoccidentale e nella Columbia Britannica. Una nuova mappa rivela che è segmentata in diverse regioni, ciascuna con potenziali effetti sismici differenti. Possibili coni di ombra sismici Le varie regioni potrebbero scatenare terremoti individualmente o simultaneamente, influenzando l’entità del danno. Questo potrebbe significare la differenza tra una situazione allarmante e una catastrofe, soprattutto per città come Tacoma e Seattle, come sottolineato dal coautore del studio. Mini-terremoti e informazioni cruciali In molte zone di subduzione, i terremoti minori forniscono importanti informazioni sulle faglie
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Subsidenza geotecnica: cos'è e perché la Cina è a rischio
Subsidenza geotecnica: in cosa consiste il fenomeno e perché se ne parla in questo periodo? Pur essendo un evento naturale, l'azione dell'uomo può aggravarlo fino alle estreme conseguenze. Le ultime rilevazioni scientifiche hanno evidenziato, per esempio, che la Cina rischia lo sprofondamento per il 45% del suo territorio. Le zone più fragili del Paese sono alcune città come la capitale Pechino e la città costiera di Tianjin. Gli studiosi concordano sulla necessità di trovare soluzioni al problema oltre che continuare le misurazioni attraverso il satellite. Subsidenza geotecnica: cos'è e come si manifesta Per subsidenza, detta anche subsistenza, si intende un lento e graduale processo di abbassamento del suolo di un'area continentale o di un bacino marino. Il fenomeno può essere causato da diversi fattori naturali e antropici. Tra i fattori naturali si annoverano: - accumulo di detriti che posandosi sulla superficie la appesantiscono - naturali movimenti delle placche tettoniche Tra i fattori antropici ritroviamo: - l'eccessivo sfruttamento delle falde acquifere - l'estrazione di idrocarburi - bonifiche idrogeologiche Tra subsidenza prodotta da cause naturali e subsidenza provocata da cause antropiche c'è un'enorme differenza. La prima procede con tempi abbastanza lenti; la seconda, invece, ha ritmi molto più veloci fino a poche decine di anni. L'azione antropica, inoltre, può aggravare o addirittura innescare il processo della subsidenza. Il caso della Cina Uno studio condotto dagli scienziati dell’Università dell’East Anglia e del Virginia Tech, pubblicato su Science, ha rivelato un dato davvero allarmante sulla subsidenza. Il 45% delle aree urbane della Cina sta sprofondando. Il 16% di questo territorio si abbassa a un ritmo di 10 mm all’anno o più. Lo studio ha esaminato 82 città con una popolazione complessiva di quasi 700 milioni di persone. A livello nazionale, gli studiosi stimano che circa 270 milioni di residenti urbani siano stati colpiti e quasi 70 milioni hanno subito un rapido abbassamento di 10 mm all’anno o più. Shangai, la città più grande della Cina, si è abbassata di 3 metri in un secolo e il trend è lungi dal fermarsi. I punti più a rischio sono, tra gli altri, la capitale Pechino e Tianjin, città affacciata sull'Oceano Pacifico. Le città costiere sono le realtà più a rischio poiché lo sprofondamento del terreno aggrava il cambiamento climatico e l'innalzamento del livello del mare. Secondo gli studiosi, sarebbe questa una delle cause dei danni provocati a New Orleans dall'uragano Katrina nel 2005 Le conclusioni degli studiosi La subsidenza è un fenomeno noto agli studiosi già da diverso tempo in Cina. L'ultima ricerca, però, ha suggerito ai suoi autori che è giunto il momento di trovare soluzioni a livello nazionale. La comunità scientifica, ribadiscono, dovrebbe non solo monitorare il fenomeno ma anche valutare le sue implicazioni. Ovvero, le misurazioni satellitari sono senza dubbio uno strumento validissimo per lo studio del fenomeno ma è altrettanto necessario trovare soluzioni. Il fenomeno della subsidenza, in parole semplici, deve essere affrontato nell'ambito dei cambiamenti climatici. In copertina foto di sean sheng da Pixabay Read the full article
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Chernobyl: quale è la situazione dopo 30 anni
Dopo 30 anni dal disastro la situazione non sembra essere cambiata particolarmente, lo studio condotto dall’Università di Bristol, per mezzo di droni fatti volare entro 15 chilometri quadrati nei dintorni della centrale, ha dimostrato a tutti gli effetti che le radiazioni nell’area sono ancora particolarmente elevate. Allo stesso modo è stata notata la totale assenza di esseri viventi, situazione molto preoccupante (a detta degli esperti) sopratutto dopo un così grande lasso temporale.
La zona ancora più pericolosa sembra essere la foresta rossa, chiamata in questo modo per la colorazione che le piante hanno assunto in seguito al disastro. Il motivo sembra risiedere proprio nella grandissima quantità di radiazioni assorbita dalle stesse, con il conseguente rilascio molto graduale nell’atmosfera.
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