#sto bene vero?
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Che vizio di merda che hanno alcuni dei professori dell'uni di pubblicare l'appello esattamente una settimana prima dell'esame
#se tutto va bene riesco in 3-4 settimane#è vero ultimamente mi sto lasciando un po' andare#ma così non è fattibile
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ho scoperto che mida di amici farà un liveset alle terme del mio paese DEVO ANDARCI
#MA CHI SE LO SAREBBE MAI ASPETTATO#fanno un contest di bellezza ogni estate (che io schifo) e dopo fanno sempre un liveset di qualcuno#ma hanno sempre invitato dei cantanti di m3rda e invece quest'anno almeno uno decente e che mi piace pure#devo solo capire come si partecipa perché non vado mai agli eventi locali perché fanno schifo ma a sto giro plot twist#AAAAAAAAAAA#mi stavo giusto lamentando qualche giorno fa che quest'anno non avevo nessun concerto in programma#non è un concerto vero e proprio ma VA BENE LO STESSOOOO
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HETALIA ☆ WORLD STARS (516)
Ibispaint is a powerful app, if only it didn't cause pain... And, in this chapter, misunderstandings! (And awesomeness!!!)
Translation notes at the end: ‘cuz I took a lot of “creative freedoms(?)” and sometimes I forgot the meaning of words (“kanji”). Warning: I don’t know Italian (thanks Reddit) and German (my sister knows).
T/N:
(Not too much language (or willpower) bc of exams, just the stuff I already knew)
Page 1.
"Anführer", "Leader", or, in this case, "representative".
Page 3.
"Stronzi”, plural of “Stronzo”, literal meaning is "Ta*d"
"Amici", "friends".
"Vero?!", "Right?!".
Page 5.
"Sto bene", "I'm okay".
"Sosta!", "Stop!".
"Occhiali da sole!", "sunglasses".
"Bastardo", "bastard".
Page 6.
"Liebes brüderchen", "dear little brother".
Page 7.
"Du bist ein idiot!", "you are an idiot!".
"Va bene", "It's okay".
Page 8.
"Bruder", "brother".
"Sua Maestà!", "Your Majesty!"
"Klar!", kind of, "Clear" when you accept or complete an activity.
Is there a problem/error? Please say so! And thank you for your support!
#hetalia world stars#japanese to english#english translation#hetalia translation#hws germany#hws prussia#hws italy#hidekaz himaruya
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La speranza è la prima a rammollire
Nei periodi come questo, quando gli occhi peggiorano drasticamente, mi rifugio nei ricordi. È l'unico posto dove i colori sono ancora gli stessi e le persone ancora definite. Ho un archivio di ricordi fotografati accuratamente nel corso della mia esistenza. Reperti dal millennio passato. Ci navigo tra cartelle organizzate per argomento. Passo ore così. Ricordando. Ricordo ad esempio quando tutto questo calvario era iniziato una qundicina di anni fa. Ricordo che la luce era troppo forte e non riuscivo ad andare in giro durante il giorno. Di notte entravo al cinema indossando gli occhiali da sole perché la luce dello schermo era lame che infilzavano la retina. In quel periodo, quello che inizialmente fu solo un'eredità degli anni 90, documentare divenne un vero e proprio obbiettivo. Fotografare tutto per non perdere niente. Non riuscivo a godermi quello che stavo vivendo completamente ma potevo fotografarlo e poi, la notte, abbassando la luminosità dello schermo al minimo, potevo ripercorrere lo scattato e comprendere quello che avevo vissuto. Ho vissuto sempre in due tempi diversi. Il primo nel momento stesso in cui accadeva, incapace però di comprenderlo pienamente, il secondo quando il momento era passato, rivivendolo attraverso i ricordi, aggiungendo i sensi mancanti. Questa modalità di vivere comporta il subentrare di un ingrediente tanto saporito quanto terribile: la nostalgia. Io ero in quelle foto. Ero dietro l'obbiettivo ok, ma io ero lì, incapace di godermelo eppure c'ero! Così, quando ripercorrevo, mi mancava non esserci stato davvero. Poi ahimè si è ripercosso su tutto. Anche nei periodi in cui la vista non ha grossi problemi, resto sempre distante. Non mi fido di quello che sto vivendo perché preferisco diventi un ricordo in cui aggiungere tutta la nostalgia che voglio a mio piacimento.
Equivale a vivere in tempi diversi. Ho perso fiducia nel futuro. L'ho dovuta ridimensionare davanti a un'altra terapia fallita. Io davvero ci speravo questa volta ma poi lo dico sempre che ci spero. Non sono cinico come sembro. Sono un cinico a posteriori. Accade qualcosa di brutto e dico "Ah ma tanto lo sapevo che andava così" e in realtà non sapevo niente, anzi, nel mio cuoricino di adolescente pulsava linfa di speranza. Come un coglioncello. Ci speravo in questa terapia perché non mi sarebbe dispiaciuto avere un pensiero in meno. Ma poi, se le cose fossero andate bene, che me ne sarei fatto del bene? Io il bene non me lo so godere. Sembro uno di quelli che inviti a cena, gli metti il piatto in tavola e lui aggiunge subito altro sale senza nemmeno aver assaggiato. Giusto perché deve rovinare quello che riceve. Questa terapia doveva funzionare ma poi sai che palle che mi sarebbero venute ad andare in giro e magari godermi quello che c'era attorno?
Al telefono con mia madre non riesco a sorridere, mi dice che le manca il Matteo che fa lo scemo e fa battute. Manca anche a me quel Matteo. Mi manca non poterlo chiamare e fargli fare il suo spettacolino per tranquillizzare i genitori e per fortuna stiamo a centinaia di chilometri di distanza così questi contatti si centellinano altrimenti dovrebbero confrontarsi con un uomo che giace per la maggior parte del tempo sul divano con il telefono quasi schiacciato in faccia per riuscire a guardare video da qualche social network asiatico. Non mi piace avere gente attorno a me quando sto così. Non mi piace dover spiegare cosa si prova e quello che odio più di tutto è quando mi viene fatto presente che potrebbe essere molto peggio. Lo so cazzo. Tutto potrebbe essere molto peggio. Ma molto potrebbe anche essere non dico meglio ma almeno evitare di rompere il cazzo.
Ti chiudi in te stesso e non vuoi dire come stai. Almeno riesco a scrivere. Ci sono alti e bassi. Oramai questa tecnica di scrittura simile a un diario mi aiuta a tenere traccia delle maree della mia salute. Non voglio dimenticare i precedenti del male per ricordare che poi, forse, se si è fortunati, passa tutto. Bisogna ritirarsi nella propria caverna, mentale o reale, e aspettare. Avere sempre pazienza. Questa estate ho avuto un paio di momenti dove sono stato davvero bene e me li sono appuntati perché non scappassero durante i periodi bui. Bui sul serio. Bui come il bar dove mi rinchiudo a scrivere scappando dal timido sole viennese. Mi costringo a ricordare attraverso le foto, gli archivi, le pagine del diario, i tatuaggi. Il mio corpo è una mappa del tesoro, nascosti tra i rotolini di ciccia ci sono racconti, amori del passato, battute. Devo ricordare.
Quando mia nonna si è ammalata di Alzheimer ho capito che quello sarebbe stato il mio inferno. Perdere pezzi del mio passato, della mia identità. Certo, sarebbe stato un allegerirsi, ma il prezzo è troppo alto. Dimenticare i nomi delle persone a cui voglio bene. Dimenticare dove sta il bagno. Dimenticare il tuo piatto preferito.
Vorrei la mia testa funzionasse esattamente come le cartelle dove deposito quello che non voglio perdere. Sperando che nessun virus o difetto dell'hardware accorra. Vorrei salvare tutto per i momenti difficili. Organizzare per data e importanza. Alcune cartelle le avrei nascoste o addirittura cancellate. Le volte in cui ti ho fatta piangere. Le volte in cui non sono stato abbastanza. La foto che ho scattato quando hai detto che non mi amavi più, che ho scattato per commerare quel dolore mentre tutti e due stavamo sorridendo. Come quando scatto un ritratto davanti allo specchio per poi guardare nel telefono che aspetto ho, come sto invecchiando. Se la mia testa fosse organizzata così io sarei più tranquillo. Non avrei paura di un eventuale peggioramento della mia condizione perché tanto potrei andare sul desktop e cliccare da qualche parte un'icona gigantesca (per facilitarne l'individuazione) e navigherei in quel mare, remando tra momenti pessimi e momenti lontanamente buoni.
La musica aiuta. È autoreferenziale lo so, ma anche la musica che ho scritto io mi aiuta. Riascolto alcune tracce sperando di poterle tornare a suonare. Accadrà. Lo so. Lo sento. Quando non vedo mi torna il bisogno di cantare. Che rottura di cazzo deve essere avermi accanto. Non biasimo il mio gatto che mi odia e anzi, lo capisco. Ha sempre fame. Costantemente. Io oramai lo accontento e basta, ho provato a dargli delle regole, a farlo dimagrire, ma poi ho pensato, cosa è meglio per lui? Una vita breve ma piena di cibo e quindi rilassata, oppure una vita lunga e sana ma sempre dietro a chiedere di essere nutrito e insoddisfatto? Sai quando pensi di fare il bene per qualcun altro e allora prendi una decisione ma poi non serve a nulla perché comunque non rendi l'altro felice perché prova tu a spiegare che ci vuole tempo perché le cose migliorino a chi non ha idea di cosa sia il tempo perché è una palla di pelo rossastro.
Scrivere di getto mi aiuta. Sono i discorsi che non sto facendo a nessuno perché non riesco a comunicare con nessuno e che non voglio neanche fare a un essere umano reale voglio scriverli perché scrivendoli resteranno. Potrò rileggerli. Ti immagini andare da una persona e dirle "Oh senti ti ricordi quello che ti avevo detto quella volta che non stavo tanto bene e allora mi sono messo a parlare di come mi piacerebbe avere un sistema di archiviazione nel mio cervello simile a..." e poi mi fermerei perché anche meno dai. Trattieniti. Forse sono sempre stato questa forma di scrittore. Uno a cui piace parlare da solo. O parlare con se stesso. Che ha diverse personalità che entrano in scena quando le cose si complicano.
Non c'è una nuova terapia all'orizzonte. Quella che è fallita era l'ultima speranza. Allora si torna indietro. Si prova una terapia che era fallita anni fa. Proprio agli inizi della mia carriera di malato cronico. La provo adesso, quindici anni dopo, anche perché non ricordo esattamente cosa andò storto all'epoca perché non avevo preso appunti a riguardo! Errore fatale! Adesso invece ho imparato e scriverò tutto e poi lo confronterò tra altri quindici anni quando tornerò a provare la stessa terapia per la terza volta. Si spera io sia vivo tra quindici anni e che non sia diventato un calcolatore elettronico strabordante di cartelle contenenti foto e testi e tracce audio.
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Ecco si, ci mancava, non bastano le ore che già ci passiamo, facci anche un bed and breakfast, con un bel ristorante, cosi ci veniamo a vivere. :)
Fino adesso fungeva come rifugio e diario, d'ora in poi posso usarlo anche come bar pub o punto d'incontro. Finora è stato un luogo di lettura e di scrittura, da ora in poi potrò usarlo anche per far festa e invitare qui tutti i miei amici, i followers e conoscere tutti i miei like. È domenica e dunque quale migliore occasione per conoscerci? Beh, è naturalmente un gioco, ma in verità, ho pensato spesso, anzi sempre, a chi c'è dietro a quel post, a quello schermo, a quell'avatar, a leggere tra le righe lo stato d'animo, il vero significato del suo scritto, a cosa si cela davvero dietro quel suo sto bene o sto male, o di cosa ha bisogno o cosa sta cercando. Noi qui siamo più numerosi di un vero popolo e se la mia non fosse un'utopia che forza potremmo avere!!! Comunque siete tutti invitati. Per due risate, per una chiacchierata davanti ad un buon caffè, o semplicemente per un sorriso.
lan ✍️
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CONTRO LA TEOCRAZIA IRANIANA
Sono pauroso. Sono pigro. Lo dico subito, perché se c'è una cosa che odio è l'autonarrazione eroica. Ma nel mio modo imperfetto, con tutte le mie fragilità, con le mie paure, con le mie debolezze, sono contro.
Sono sempre stato di sinistra e dal 31 dicembre 2019 (sì, mi sono segnato la data), sono anarchico.
Io sono contro in un modo singolare. Perché mi dicono che essere contro certe cose è sbagliato.
Vi faccio un esempio. Sono contro la teocrazia iraniana. Ecco, a quanto pare non va bene. Faccio male. Faccio il gioco di qualcuno. Lo sto leggendo dappertutto.
Non conta il fatto che io sia ferocemente critico nei contronti degli Stati Uniti, della Nato, dell'Unione Europea, dell'imperialismo occidentale, dello sterminio compiuto dall'esercito israeliano a GAZA, del colonialismo in Cisgiordania. Se critico la teocrazia iraniana, per incantesimo mi trasformo in un alleato della CIA e in un esportatore di democrazia. E ovviamente divento un islamofobo.
E allora vorrei chiarire un concetto, a costo di essere antipatico.
Io, proprio perché libertario, non intendo la rivoluzione sociale come imposizione delle mie idee. Quindi sgombriamo il campo da concetti come "esportazione della democrazia".
La tua comunità segue determinate regole religiose considerate sacre? Non ho nulla in contrario. Nulla. E quando visito un tempio mi comporto con educazione. Sono ateo e anticlericale, ma rispetto la spiritualità delle altre persone.
Ma allora in che senso sono contro la teocrazia iraniana? Voglio imporre il modello occidentale? No. Ve l'ho detto, io non impongo niente a nessuno.
Di sicuro non chiederò mai alle donne musulmane di rispettare canoni di vestiario occidentali per adeguarsi a una certa visione del mondo. Lo fanno i leghisti. Lo fanno i suprematisti occidentali. Io non lo farò mai.
Allo stesso modo, per me la gente in Italia può rispettare tutte le regole imposte dal cristianesimo. Io non scelgo al posto degli altri. Io non dico agli altri come vivere.
Ma quando una donna, nei paesi musulmani e in occidente, lotta per rivendicare il suo diritto all'autodeterminazione e cerca di liberarsi dai vincoli imposti della religione (a cominciare da quella cristiana), io sono dalla sua parte. E nel mio piccolo appoggio la sua lotta contro l'istituzione, la teocrazia o la chiesa che vuole dirle come vivere.
Torniamo alla teocrazia iraniana. So per certo che gode di grande consenso. Supponiamo pure che questo consenso sia pari alla stra-grande maggioranza della popolazione. Ma c'è una minoranza oppressa che si ribella. E la sua ribellione viene schiacciata con una repressione spaventosa.
Sostengo la lotta delle minoranze oppresse in Italia, negli USA, in Iran, in qualsiasi posto nel mondo.
E aggiungo un'ultima considerazione: il vero razzismo mi sembra quello delle persone che di fronte alle ribellioni delle donne iraniane pensano sempre che ci sia dietro l'occidente. Perché ci stanno dicendo che le donne iraniane non sono capaci di pensare con la loro testa. Ci stanno dicendo che le donne iraniane non posseggono il concetto di ribellione contro il potere, a differenza di noi occidentali. Ci stanno dicendo che la storia, nel bene e nel male, è fatta solo dall'occidente.
È così difficile essere contro tutte le ingiustizie, senza tollerarne alcune perché hanno "la bandiera giusta"? [L'Ideota]
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Da pochi minuti è andato via lo psicologo/pedagogo/checazznesochefa dello Jugendamt, l'ufficio tedesco che si occupa dei bambini in affido, per controllare come va la situazione e fare domande alla bimba sul fatto se si trova bene o meno qui (perché sì, in quanto affidatario Lilly non appartiene a me, appartiene al Governo Tedesco, ed io sono sempre un genitore sotto esame, c'è sempre qualcuno che sorveglia quello che faccio, non posso essere stronzo come tutti gli altri genitori, pena la perdita di Lilly, non vi dico l'ansia su questa cosa), ad ogni modo test superato anche stavolta, al prossimo controllo.
La parte divertente è che 'sto tizio ha portato delle carte da gioco per bimbi che si chiamano Gefühle-Quartett, ovvero delle carte dove ci sono delle immagini di bimbi felici, tristi, che piangono, che sono incazzati, che sono tranquilli, orgogliosi, e Lilly, guardandole, doveva provare a descrivere che tipo di sensazione sta provando il personaggio della carta in quel momento.
Una delle carte che riguardavano la paura aveva come immagine un tizio con un lenzuolo a mo' di fantasma, ed un bimbo che si spaventa alla vista di tale fantasma.
Tizio: allora, Lilly, questo bimbo ha paura perché ha visto un fantasma, vero? Lilly: MA QUALE FANTASMA, si vedono pure le scarpe sotto al lenzuolo!
Quello del quale sono più orgoglioso è la sua razionalità affilata come un rasoio.
#lilly#questa fa scopa con quella del razzo rotto e torniamocene a casa di due post fa#il tizio rideva#eh ridi ridi#t'ha fatt alla grande 4 anni e buona
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Varcò la soglia di quel bar coi capelli legati e la mano sventolante vicino al viso: faceva caldo, troppo caldo, nonostante fossero appena le 8 di mattina. Le goccioline che le partivano dalla fronte scendevano giù lungo tutto il viso arrivando alla bocca rimpolpata da quel suo lipgloss appiccicoso che usava sempre. Il locale era pieno, le voci erano alte, tutti di fretta ma non troppo: va bene andare a lavoro, sì, ma con calma, ce n'è di tempo per lavorare, ma per esser felici e spensierati ce n'è troppo poco. Si avvicinò al bancone, a servirla c'era un bel giovane sorridente. «Non ti ho mai vista qui, sei nuova?» il sorriso si fece ancora più ampio, ma come risposta ricevette il sopracciglio inarcato e indispettito di lei. «Buongiorno, innanzitutto» rimbobò. Erano già due mesi che era lì, ma ancora non si era abituata a quella confidenza che chiunque si prendeva. Sapeva non fosse cattiveria, ma un po' l'infastidiva. Tutti conoscevano tutti e lei, a sentirsi dire sempre la stessa frase, si sentiva un po' un pesce fuor d'acqua. «Sì, sono nuova. Ma ricordate tutti coloro che passano o è proprio un vostro modo di approcciare?» continuò quindi lei. Il giovane si passò la mano tra i capelli lisci che gli cadevano sulla fronte «signorina, non mi permetterei mai di approcciarvi... O almeno, mi correggo, non così» rise, era bello. «Scusatemi se mi sono permesso o se vi ho dato fastidio... Diciamo che qui ci conosciamo tutti» botta secca «o comunque, più o meno mi ricordo chi passa, un viso così bello lo ricorderei». Le lusinghe erano tante, ma la pazienza la stava proprio perdendo. «Sì, capito, capito. Mi può portare un caffè, per favore?» «sì, certo, permettetemi di presentarmi almeno, io son-...» dei passi lenti dietro di lei la interruppero «Antò, e falla finita! Ti vuoi sbrigare? Non è cosa, non lo vedi? Portagli 'sto caffè e muoviti, glielo offro io alla signorina». La situazione stava degenerando, la ragazza in viso era ormai paonazza e non di certo per il caldo. «Scusatemi tutti, il caffè me lo pago da sola! Posso solo e solamente averlo?! Si sta facendo tardi, non pensavo che qui fosse un delirio anche prendere un caffè!» per un attimo calò il silenzio che non c'era mai stato, nella mente di lei passò un vento di leggerezza e sollievo, senza rendersi conto che, con quell'affermazione, si era di nuovo sentita come tutto ciò che non voleva sentirsi: un pesce fuor d'acqua. «Scusatemi» bofonchiò, poi di nuovo «potrei avere gentilmente un caffè? Grazie. Mi andrò a sedere al tavolo» il barista la guardò, un po' dispiaciuto «signorì, se permettete, cappuccino e cornetto, offre la casa. Sentitevi un po' a casa, vi farebbe bene» e si dileguò. Non disse nulla e si trascinò verso il tavolino, non poteva combatterli: erano tutti pieni di vita lì in quel posto. Che alla fine, un po' di gioia dopo anni di sofferenze, non sarebbe poi mica guastata.
Si sedette lì, ad un tavolino accanto ad un immenso finestrone: da lì si vedeva il mare, mozzafiato. Si guardò intorno. Il viavai di gente era irrefrenabile e la mole di lavoro assurda, ma la cosa più bella di quel posto è che nonostante le richieste più assurde dei clienti, venivano accolti tutti con il sorriso più caloroso del mondo.
Sorseggiava il suo cappuccino, lasciando vagare il suo sguardo di tanto in tanto, fin quando non si fermarono inchiodati su quello di un altro. Nell'angolo, in fondo, c'era un ragazzo. Gli occhi scuri tempesta bloccati nei suoi ciel sereno. I capelli un po' arricciati gli scappavano qua e là dalla capigliatura indefinita che portava. Un ricordo è come un sogno lucido, che però puoi toccare, sentire, annusare, vivere ad occhi aperti, vivere senza dormire. In quell'angolo di stanza, c'era lui. I battiti partirono all'impazzata all'unisono, nel bar non c'era più nessuno, solo loro. So potevano quasi toccare co mano, nonostante la distanza a separarli, le loro mani accarezzavano i rispettivi visi come a gridare “sei vera? Sei vero?”. Un impeto di emozioni, un vulcano in eruzione, la pioggia sul viso, il vento che porta il treno che sfreccia, il pianto di un bambino, la risata di un ragazzo. «Signorì, tutto apposto?» il tempo di sbattere le palpebre: lui non c'era più «sì, sì... Pensavo di aver visto qualcuno di mia conoscenza».
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Un giorno di chiusura
Un giorno, avevo detto alle dipendenti, potremmo pure chiudere, penso, lo meritiamo un po’ di riposo, in fondo. Il 19 dicembre invio un messaggio a tutti i clienti, informandoli dei giorni di apertura e chiusura del doposcuola durante le vacanze. Oggi pomeriggio in sequenza:
Giuseppe, ma non apri?
Giuseppe, scusa, la bambina oggi non potrà venire purtroppo perché è influenzata. (Ma menomale)
Giuseppe, ma a che ora apri?
Giuseppe, ma sempre chiuso stai? Sono passata e ho trovato la saracinesca abbassata. (Strano, chissà perché)
Un giorno di chiusura, uno. Evidentemente non è concesso. Ma il problema non è poi tanto il pretenderti sempre pronto e disponibile al servizio, quanto il non saper leggere un messaggio. Le scarsissime capacità di comprendere un testo sono, a mio parere, fra i massimi problemi del nostro tempo. Me ne accorgo coi ragazzi a scuola, quando nessuno è in grado di eseguire un vero/falso su un testo appena letto (e dico un vero/falso, perché se non sei in grado di fare questo, puoi anche lasciar perdere le domande aperte), me ne accorgo coi clienti e me ne accorgo qui su tumblr, quando commentate (o peggio rebloggate) scrivendo cose che non hanno alcuna attinenza con l’argomento del post, supponendo informazioni che avete colto chissà dove. La causa è una ed una soltanto: superficialità, mancanza di attenzione. Non dico che dobbiate farvi durare i libri 7 anni come faccio io (quella è malattia), ma un minimo d’attenzione dedicatela a ciò che state facendo, ogni tanto. “Leggo veloce perché le cose lunghe mi annoiano”, “Ho letto in fretta perché non avevo tempo”, “Non ho letto tutto, ma ho colto il senso”, a me va bene, che dire, una meraviglia per una persona che vive e muore sulle parole. Che poi siete gli stessi che ascoltano gli audio di 30 secondi a 2x. Cosa ne farete di tutto 'sto tempo risparmiato, boh, spero solo vi torni utile un giorno.
#ma vabbè io non faccio testo#ascoltavo i 50 minuti di audio della mia ex senza fiatare#ma ripeto#quella è una malattia
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Una forza e una generosità straordinarie sono il dono di ogni madre, e sono la base di quell’amore incondizionato che solo una madre sa offrire e che tutti dovremmo avere la possibilità di assaporare. Un vecchio proverbio napoletano recita: «Chi tene ‘a mamma, nun chiagne» (chi ha la mamma, non piange), ed è vero. Le madri sono scudo pronto a difenderci da ogni dolore, a volte persino esagerando.
La verità è che l’amore può tutto, che un sorriso, uno sguardo sincero, una carezza sono sorsi di eternità, che nel dolore la fiducia nel domani può soltanto diventare più grande.
Una terribile battaglia da combattere “un lungo addio”.. “un addio rubato..un addio mancato.. un addio finto”.
Perché tra di noi, mamma, non può esserci addio.
La mia persona più amata si dissolve lentamente in piccoli pezzi, ed è impossibile andare a ripescare quale sia stata l’ultima conversazione. Struggente ed emozionante, «il segreto della vita».
Tutto ruota intorno ai ricordi e alla memoria, al loro disperdersi e riemergere continuo e imprevedibile, trasportando tutti in una sorta di infinito presente. Una storia di cui non conosco né l’inizio né la fine, ma di cui ho vissuto e vivo intensamente ogni giorno con dolore, paura, rabbia, fatica, solitudine, curiosità, ostinazione. Facile perdersi in questo guazzabuglio di emozioni. Non so dire con precisione quando quel processo abbia avuto inizio. Sono stata incapace di cogliere i primi segnali quotidiani. E mi sono trovata direttamente a decidere quanti scatoloni avrebbero occupato i ricordi della mia infanzia e della mia adolescenza, riempiendoli ad una velocità molto superiore a quella delle mie emozioni, che mi soffocavano la gola. “Questo è il momento più difficile”, mi racconto ma intanto sto tatuando il mio cuore. In maniera indelebile.
Figlia unica di un genitore non autosufficiente, come la definisce la USL.
Il muro che ho dovuto attraversare per trovare il mio binario è fatto di rifiuto, disoriento.
Dovevo combattere con i fantasmi del mio passato, guardare negli occhi una persone che non mi riconosceva piu e specchiarmi nelle sue paure. Una micidiale danza di emozioni contrastanti: l’eterno presente senza ieri e senza domani il passato remoto improvvisamente prende vita catapultandoti in una dimensione surreale e spiazzante. Mi trito il cuore cercando di cogliere un’espressione diversa sul volto, un lampo negli occhi, un gesto, ma lei ė in un'altra dimensione e questo fa male. Come tenere tutto dentro.
Ecco come vedo, assisto e vivo questo lento perdersi. Un lento svanire. Spegnersi poco a poco, spettatore di questa surreale esibizione della vita. Dove il regista è il tempo e la trama è composta dalla memoria, dai ricordi, che a tratti riemergono da quel luogo fuori dallo spazio e dal tempo. Sono sempre lì. Sono sempre loro. Solo nascosti in qualche angolino. Basta aspettare il momento giusto... ed eccoli.
Un viaggio nei legami affettivi più forti, nelle nostre paure e nei nostri bisogni di amare, alla ricerca della felicità anche nelle situazioni apparentemente più avverse.
A 52 anni proprio non me lo aspettavo. Di figli ne avevo già uno, ormai grande, proiettato verso un futuro luminoso insieme alla famiglia che si era creato.
Ed io, invece, ecco che mi ritrovo, inaspettatamente, a dover fare i conti con la dolorosa esperienza di diventare “madre di mia madre", nel suo lento declino fisico e mentale.
Eppure il suo sguardo, di tanto in tanto, torna per un fugace momento (tanto fugace che, a volte mi chiedo se sia veramente successo) a fissarsi su di me, limpido e cosciente. Come se davvero fosse tornata a vederMi...tornata ad essere mia madre. Quella che si preoccupava per me. E si prendeva cura di me, sempre con un sorriso sulle labbra. Non so bene come spiegarmi. C’è da non trovare le parole quando hai a che fare con una persona che se ne sta andando lontano, sempre più, suo malgrado. C’è da augurarselo di non trovarle, mettere in fila i pensieri richiederebbe di voler vedere quello che si ha davanti e io non voglio.
“Mamma, sono io, sono Francesca”. Te lo ricordo, te lo ripeto, non perderlo il mio nome. Non lasciarmi andare. Nei tuoi pensieri troncati, assillanti, confusi non sei persa, perché non si può affogare in una pozzanghera, e non sei rinchiusa finché fai di tutto per stare a galla. Attaccati a me, aggrappati all'amo, salda più che puoi, con le mani e con lo sguardo, che ti tiro verso di me, non smettere di respirare.
Quanto fa male trasformarsi. “Sono io, mamma, sono Francesca”. “Lo so,” mi rispondi. Sei arrabbiata. In te c’è ancora forza...non molli, non cedi, ti ribelli. Mi prenderesti a schiaffi. Ti vedo, seduta sul divano. Ti stringi, ti rimpicciolisci, scompari, eppure io ti trovo sempre. So dove cercarti. So dove trovarmi. Anche se potremmo essere il gioco dei contrari io e te. Tu, che sei tanto diversa da me eppure ti assomiglio. Ho paura..e nello stesso tempo ho Il bisogno di non far vedere agli altri che sto male.
Ho tanti sensi di colpa: sono una mamma, come te. Quanta malinconia c’è, quanto mi ricordo di te..ricordi che si diluiscono. All’inizio mi concentro sul come fare per catturarti e quando ti ho catturata penso a come trattenerti; quando sto per perderti cerco di invogliarti a restare con un nuovo stratagemma; quando ti ho persa iniziano i propositi per fare meglio la volta dopo. Ricomincio, riprovo, non mollo mai. I tentativi si susseguono senza sosta. Non c’è fine, non c’è pausa. Ci pensi anche quando non lo fai. Ci deve essere da qualche parte una linea di confine che, se oltrepassata, è un cambio perenne di stato. E ci pensi mentre fai la spesa o sei in fila dal dottore, mentre parli al telefono con un’amica e perfino mentre ti fai la doccia. Quando sei sotto il getto dell’acqua tiepida piangi per il fallimento: non importa quanto poco ti consoli l’esserci per accudirla. L’acqua si miscela alle lacrime nel gorgo dello scarico e dovrebbe andare giù, lasciarti, non tornare, giusto? No, non va giù. La lacrima stagna, imputridisce. Si deposita. È l’acqua delle pozzanghere. Non conosce colore, non conosce fine. Non riflette tutto il cielo, non è nemmeno una finestra. Non bisogna scoraggiarsi.. ma mi mancano le forze o forse il coraggio. A volte ricordo i tempi piu felici che sono anche i più taglienti.“Eccomi! Ciao, come stai oggi? Hai visto che è arrivata l'estate???....
Guardami,
"sono Francesca, mamma
Mamma❤”.
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Charles Bukowski: “Sei incancellabile tu”
Succede che una mattina ti svegli e vedi che fuori non piove più e allora ti chiedi – beh? Che è successo?
Ecco, quella mattina successe a me che da tanto tempo non amavo, ma non per chissà quale motivo, non amavo e manco io sapevo il motivo preciso, ma forse sì che lo sapevo: che senso poteva avere per me l’amare se non amare che te?
Quella mattina io avevo una gran voglia di dirti – ti amo -, almeno credo.
Quanto mi manchi amore mio. Certo, io lo sapevo già dentro di me di questa cosa che mi manchi ma l’ho capita bene solo quando fuori ha smesso di piovere e a me mi giocava il cuore.
che prima avevo la scusa per non vedere il sole, pioveva, mica era colpa mia, ma le nuvole ora sono andate via portandosi dietro tutte le scuse. Ok, tu non ci sei, ok, ma va bene, va bene anche se va male, va bene perché io ti amo lo stesso.
C’è come un diario che ho chiuso nel petto, sento che devo tirarlo fuori e devo farlo senza schemi se non gli schemi che mi porto nel cuore.
Ah! Mannaggia mannaggia, mannaggia al cuore che non sa far calcoli ma che pure spesso sbaglia i conti.
Ma io non ero riuscito a dirti quel ti amo.
Era una primavera quando andasti via, lo ricordi? Io cercavo di farmi forza, la vita andava avanti sentivo dirmi da tutti.
Quando te ne sei andata io mi sono un po’ rincoglionito.
Mi persi, diciamoci la verità, perdendoti io mi persi. E tu? Ah! No scusa, non volevo chiederti se anche tu ci sei rimasta male, era un e tu come stai? Roba del genere insomma, un e tu cosa fai ora? Che stai facendo adesso, adesso è in questo momento, che stai facendo in questo momento? Non mi interessa cosa stai facendo nella vita, io non ci sono più nella tua vita, cosa vuoi che mi importi?
Sicuramente starai facendo tante cose belle, bellissime, ma a me importa adesso, adesso adesso mi importa, adesso in questo momento. Io adesso ti sto pensando facendomi del male. Io vorrei non pensarti ed averti invece qui, qui vicino a me.
Ma non ci sei. Non voglio pensarti ma non lasciarmi solo, non andare via anche dai miei sogni.
Tu dolce ferita mi tagli il cuore, ma io sorrido sai? Non mi fa male questo maledetto male. Sorrido perché dentro ci sei te e ti vedo, almeno posso vederti. Ti vedo pure che dai un bacio a quello lì e questo un pò a dirti il vero mi fa incazzare.
Ma tu non lasciarmi lo stesso, tienimi con te pure se sono incazzato.
Tienimi con te. Non mi fa male la ferita al cuore, no, non mi fa male, sei tu che non ci sei, non andare via oltre.
A volte mi sento tanto forte da poterti dire che non esisti senza di me.
Ma non è vero sai? È che ci provo ad andare avanti, bisogna comunque provarci o almeno provo a convincermi che bisogna provarci.
Fossi riuscito a dirti ti amo oggi me ne fotterei della pioggia che smette o che non smette, facesse cosa cavolo vuole la pioggia, fossi riuscito a dirti ti amo io ora non sarei qui a pensare a dimenticarti senza cancellarti.
Sei incancellabile tu.
Sei come quelle macchie di inchiostro sul taschino della camicia, solo che sulla camicia ci puoi mettere una giacca, un maglioncino, ma su di te cosa ci posso mettere?
(Charles Bukowski)
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Molti mi definiscono “diversa”, io semplicemente, penso di essere “rara”; ho dei difetti, ne ho parecchi, ma ho anche dei pregi, forse pochi.
Sono una persona di cuore, lo sono troppo. Non do mai tanto quanto gli altri danno a me, se posso e se voglio do tutta la mia vita. E no, non me ne pento mai, se c’è una cosa che voglio lasciare dentro una persona è il mio bel ricordo. Amo lottare per chi penso possa valerne la pena, e non mi tiro indietro al primo problema, anzi, abberei muri e cancelli.
Lascio agli altri la libertà di farmi del male, non sono stupida e nemmeno una fifona, purtroppo vedo del buono anche nelle brutte persone provando a tirar fuori il loro meglio, vorrei davvero che le persone fossero come realmente le vedo io. Sono un’ingenua, basterebbe solo aprire un po’ di più gli occhi. Le brave persone, quelle che ti amano soprattutto, non ti farebbero mai lo sgambetto.
Sono testarda, quando mi impunto non c’è verso che io cambi idea, ho bisogno di sbattere contro un palo e di cadere 1000 volte, per far sì che ascolti i consigli degli altri. Non ho paura del giudizio altrui, anzi non mi tocca minimamente, ma voglio sbagliare e camminare con le mie gambe, voglio poter capire da sola quali sono le cose che ostacolano il mio cammino e non mi lasciano passare.
Sono impulsiva, maledettamente impulsiva. Se c’è qualcosa che odio sono le bugie e le doppie facce. Ho bisogno di dire tutto ciò che penso, non riesco a trattenermene una. A volte questo mio lato viene “condannato”, non a tutti piace la verità sbattuta in faccia, eppure penso si vivrebbe meglio. Viviamo in un mondo fatto di menzogne.
Odio il grigio, o è bianco o è nero, le mezze misure non mi piacciono. Quando chiudo una porta, butto via la chiave, non torno indietro, tendo a farmene una ragione sin da subito.
Sono la persona più paziente al mondo in assoluto, sopporto fino a quando non scoppio, ma quando mi incazzo non mi trattengo.
Sono una romanticona, mi piace l’amore, io amo l’amore. Odio le sdolcinatezze, non mi si addicono per niente (sono quasi una scaricatrice di porto). Preferisco il cinema alla discoteca, un film con una pizza piuttosto che una cena a lume di candele al ristorante. CHE IMBARAZZO!! Sono passionale, mi piace fare l’amore con la persona per la quale mi batte il cuore. Sono una sognatrice, mi piace immaginare cose che per la maggior parte delle volte non accadono, però mi fanno star bene, meglio di niente, no?
Mi chiudo a riccio quando non conosco qualcuno, sono sfiduciosa verso il genere umano, ma quando prendo confidenza divento logorroica e inizio a parlare di tutto il mio albero genealogico e della mia vita dalla mia prima parola.
Sono insicura, non sempre mi convincono le decisioni che prendo e spesso, tendo a cambiare idea facilmente anche mentre la sto cambiando, mi sento una pazza!!
Sono folle, mi piacciono le pazzie, d’amore...
Sono una persona gelosa, non morbosa ma controllata, so cosa è giusto e cosa è sbagliato, nei limiti.
Sono complicata, è vero, ma non chiedo né pretendo nulla da nessuno, sono questa PRENDERE O LASCIARE
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-Era sera e i rifugi a me accessibili non avevano posto o costavano troppo per un pellegrino che stava facendo il suo già lungo cammino di fede.
Ricco tra i ricchi e povero tra i poveri. Vivere in un'oasi come fossi un Re e dormire per strada sotto le stelle senza niente da mangiare come fossi un barbone. Ma non mi faceva cosi tanta differenza. Conoscere il successo, ma anche il fallimento. Forte con i forti debole con i deboli, soffrire con il sofferente, non avere pane, sazio di sola preghiera, e piangere con chi nel pianto affoga. Dare gioia a tutti quelli con l'animo rotto e regalare un sorriso vero a chi mentendo lo ha stampato sulle labbra ma non ce l'ha più nel suo cuore. Io sto bene e ora si, che sono veramente ricco. Ricco di benedizioni, di ricordi e di sane e belle amicizie. Sono ricco di ineffabili emozioni, sono ricco di amore quello vero, quello con la A.
lan ✍️👣📷
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E' finita.
Lo so sono stato poco presente in questo periodo perché mi sono concentrato a risolvere il problema inter coppia che si è venuto a creare da, diciamo, almeno un anno. Ma Domenica la doccia fredda è arrivata comunque. "Non voglio stare più con te". Già, l'ha detta. Non sto a scrivere motivazioni e tentativi potrei essere ancora qua per capodanno, ma nella sua bontà e visto che la casa è la sua, non mi sta sbattendo fuori di casa, oggi completo la sistemazione della stanza degli ospiti, aka ex ufficio twitter, c'è un divano che ho faticato 77 camicie per portarlo sopra e rimontarlo in quello spazio così stretto, ma va bè è già stato utile una volta a quanto pare abbiamo un destino incrociato.
Un paio di settimane fa ho parlato con mio cugino lo psicologo, mi aveva rassicurato, è il suo lavoro, ma ora ho scritto ad uno locale che mi è stato fornito dalla dottoressa e che non è a pagamento, attendo risposta. Spock aveva già intuito tutto quello che stava accadendo dai miei racconti, giustamente lui ha un punto di vista esterno, mi aveva già fatto un audio di diversi minuti dove mi diceva che per lui, o per come la vedeva lui, il rapporto è finito, l'amico vero si vede anche in questo.
Come sto? Dopo 25 anni di tribolazione, rinuncie, dedizione a lei alla famiglia al nostro cercare di vivere la vita ecc ecc, mi sento malissimo. Oggi ho bigiato il lavoro, è successo la settimana scorsa che per lo stress accumulato a casa e a lavoro mi è venuto un attacco di panico e ho iniziato a piange a fare cose sconnesse, sti poveri cristi che non mi conoscono non sapevano che pesci prendere, allora gli ho spiegato la situazione. Ad oggi non mi va di andare al lavoro, spesso in questa settimana ho finito il turno anzi tempo, fondamentalmente mi basta lo stress di questa situazione, andrei a lavoro per stare sereno non per aggiungere altro stress, mi serve un'altra tipologia di lavoro, innanzitutto meno ore 12/13 ( all'impiedi ) non riesco a farle più, quindi se mi mettono parttime mi fanno un favore, però guadagnerei di meno. Stando ad oggi Maarja, adesso posso scrivere il suo nome dopo anni che l'ho sempre mensionata come "lei", Maarja, visto anche il mio ruolo nella sua vita, mi concede un pò di tempo per riprendermi. Qua mi viene in mente una frase che mi ha ripetuto spesso in questi mesi dopo il mio ritorno dalla Trinacria "Io ti voglio aiutare", la capisco. Mi ha ripetuto anche un concetto che mi disse quando stavo a Londra, che io qua ho sempre un posto e che lei mi vorrà bene sempre qualsiasi cosa succeda, mi rincuora anche perché in questo esatto momento della mia vita oltre a Spock non ho amici con cui mi relaziono giornalmente, e Maarja è l'altra amica, quindi totale 2, i colleghi di lavoro non sono amici sono colleghi, appunto.
Per concludere vi riporto una battuta che mi ha fatto mentre parlavamo della mia carriera musicale, a lei piacerebbe molto che ritornassi sul palco, le piace quello che mi sta venendo adesso, anche se io lo trovo a tratti melodrammatico, mi ha detto "Vedi ora che stai male stai scrivendo bella musica", non è il mio modus operandi fare il chitarrista con problemi per creare, preferisco di gran lunga un equilibrio e una stabilità che mi aiutano a pensare, aspetti che in questo momento non ho. Finisco con il barlume di speranza, un pò lo stesso che mi ha riportato qua dalla Trinacria, che se le cose cambiano è possibile che lei, Maarja, ci ripensi e magari chissà, ma so che è un'illusione e lei me l'ha confermato con l'espressione del viso, la conosco non sa mentire. Spock mi dice che non mi posso rimproverare nulla ho fatto il mio dovere fino in fondo e che ora mi meriterei di vivere la mia vita serenamente, suonare, viaggiare, conoscere persone nuove ecc ecc, ma questo potrei anche farlo benissimo stando con lei.
Dal baratro in cui sono caduto è tutto ci sentiamo prossimamente.
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- Buon otto marzo, amore.
- Grazie.
- Indovina cosa ti ho portato?
- Il diritto costituzionale all’aborto.
- Quasi, le mimose.
- Ma io volevo il diritto costituzionale all’aborto.
- E invece ho le mimose. Ecco, le mettiamo in un bel vaso. Ti piacciono?
- Insomma.
- Ma son gialle, son belle. E da questa prospettiva guarda cosa sembrano?
- Cosa sembrano?
- Il diritto costituzionale all’aborto.
- Non è vero.
- Ma sì, vieni, mettiti qua dove sto io. Uguali proprio. Comunque mica ti ho portato solo le mimose.
- Ah, ecco.
- Ti ho portato anche quella cosa che mi chiedi da un po’ di tempo.
- Essere presa sul serio nei diversi contesti sociali?
- Esatto, il gelato per la festa della donna.
- No, era essere presa sul serio nei diversi contesti sociali.
- Semifreddo striato con purea di frutti di bosco e decorato con pan di spagna. I frutti di bosco son lì perché...
- Son rosa.
- Capito? Abbracciami.
- …
- Che c’è? Su, non fare quella faccia, credi davvero che oggi me la sarei cavata con un fiore e un gelato?
- Ah, meno male.
- In questo giorno speciale ti voglio fare il regalo più importante di tutti.
- Cioè?
- Il minimo indispensabile.
- Prego?
- La promessa che anche quest’anno farò il minimo indispensabile.
- Amore…
- La promessa che anche quest’anno non t’ammazzerò.
- …
- La promessa che anche quest’anno non abuserò di te. Fisicamente o psicologicamente.
- …
- La promessa che non ti oggettificherò, che non ti sminuirò, che non ti limiterò, che non proverò a controllarti o a manipolarti.
- …
- La promessa che anche quest’anno ti tratterò con un pochetto meno condiscendenza dell’anno scorso. Che non ti dirò come devi pensare, che ti ascolterò per bene non solamente quando devo venderti qualcosa o portarti a letto.
- …
- La promessa che proverò a mettermi nei tuoi panni ogni volta che sarà funzionale ai miei scopi. La promessa di continuare a chiudere consultori, escludere gli assorbenti fra i beni di prima necessità, e prendere tutte le decisioni sulla tua vita, ma ogni tanto di fare anche io i lavori di casa.
- …
- La promessa di trattarti con l’ottanta percento di dignità sul posto di lavoro, e di sforzarmi ogni volta per riconoscere il tuo ruolo professionale. La promessa di ritenere il tuo parere pari a quello di uomo. La promessa di pagarti quasi quanto lui.
- …
- La promessa che discuterò in televisione con altri uomini dei tuoi problemi e qualche volta ti inviterò per parlarne. La promessa di darti sempre il mio parere, anche quando non è richiesto.
- ...
- La promessa di non identificarti esclusivamente come un’incubatrice, ma di premiarti se mi sforni almeno tre figli.
- …
- La promessa di fare tutto questo. E niente più di questo.
- …
- Be’? Non sei contenta?
- Contentissima.
- E l’anno prossimo, un’altra mimosa.
Dal web
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Lo scorso weekend sono andata di nuovo a dormire dalla mia amica che abita vicino Tokyo.
Ogni volta mi porta la Domenica a pranzo dai suoi genitori, che ormai considero i miei nonni giapponesi, dato che mi fanno trovare la tavola imbandita così come farebbero i miei nonni, sebbene non ho alcun legame di sangue con loro.
La sera prima invece con la mia amica si fanno lunghi discorsi. A un certo punto ci siamo rese conto che erano passate 6h eppure erano volate.
Ad esempio, quando mi lamento che voglio fare altro, qualcosa che mi stimoli di più, lei dice che sono troppo seria e che pretendo troppo. Mi ha detto che sono la sua amica più piccola e altre sue amiche italiane a 40 anni o più, nemmeno sanno cosa fare e al momento lavorano ripiegando su altro. Quindi non mi devo preoccupare, va bene così, mi dice.
Io però boh. Forse sbaglio a non accontentarmi mai? In fondo lo fanno tutti. Il fatto è che non riesco a sopportare di non star imparando niente. Io vivo per sapere cose nuove, qualsiasi giuro, pure se fosse ingegneria mi andrebbe bene. Ma se non imparo e faccio sempre le solite cose mi sento spenta e arida dentro, mi scoccio. Sebbene le abbia detto: "almeno non sto rendendo la mia laurea inutile" (perché è vero, parlo giapponese e inglese tutti i giorni, quindi di che mi lamento?), in realtà è che non ho imparato nessuna skill nuova se non la solita "relazione con i clienti". I PC vanno solo aggiornati, resettati e cambiate qualche impostazione (cosa che saprebbe fare chiunque) quindi manco posso dire di star diventando un'esperta in questo campo.
I colloqui vanno male, quei pochi che me lo chiedono. Perché centinaia di altri mi rifiutano senza nemmeno chiedere il cv. Sto iniziando a pensare che sto sbagliando qualcosa. Forse è perché ancora non ho il JLPT? Forse è perché non ho esperienza se non in questo cazzo di IT? Forse è perché non scrivo cose accattivanti per il lettore? Per non parlare del fatto che propongono tutti stipendi più basso del mio attuale e a quello dovrei aggiungere la metà dell'affitto che ora mi paga la mia attuale azienda. Also, non c'è altro che servizio clienti - che sia hotel, aziende di videogiochi, aziende di viaggi ecc si tratta sempre e comunque di servizio clienti. Possibile che nessuno mi possa insegnare a fare qualcosa lavorando?
Mi sento sbagliata. Come sempre, d'altronde.
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