#so che vi mancava
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ambièntáli 20240930: martello pneumatico
so che vi mancava. la parola ambientáli può legittimamente vedersi anticipato l’accento: ambièntali, autoesortazione del registrante affinché centri/colga cronotopicamente i cittadini, o i concittadini. (dove non altrimenti specificato, s’intenda dunque: Roma). 30 set 2024
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letto le anticipazioni di domani
#CI MANCAVA EFFETTIVAMENTE IL PANTERA#🚀🚀🚀🚀#potevano prendere anche sbarra richiamarlo non so#gia che stiamo copiando tutto???#☠️☠️☠️☠️#come se poi simone con un problema del genere non ne avesse parlato prima con manuel invece che con dante.......#che disagio#che bruttezza#stanno snaturando simone balestra vi ammazzo
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Manca poco.
Oggi dalla montagna al mare di nuovo, però invece di Milo-Aci Trezza la tratta è stata Nicolosi-Aci Castello, ma non da solo. Dopo il pranzo in campagna dei genitori del compagno di mia sorella, con pietanze a base di carne grigliata, era tanto che non mangiavo carne così spesso e penso che ne farò a meno per i prossimi mesi, sistemati i tavoli e visto che la maggior parte degli adulti si è abbioccata chi sui divani e chi su amache e dondoli, mi è balenata in mente l'idea che potevo andare al mare a fare il bagno vista anche la temperatura, allora vado da mia nipote e amiche e le dico che fa andiamo? E anche loro avevano in mente la mia stessa idea, quindi passati a prendere costumi e asciugamani ci siamo diretti appunto ad Aci Castello e le ho portate in un posto dove andavo con mio padre quando ero piccolo, robe a cavallo tra gli anni 70 e 80, solo perché si sono degli scalini scavati nella pietra lavica e si può scendere in acqua agilmente. Arrivati il mare era un pò mosso, ma niente di eccezionale, quindi mi sono fatto avanti e sono sceso piano ma con decisione, l'acqua era fredda ma non tanto e dopo un pò di bracciate ero già a mio agio, poi vedendo che le ragazze temporeggiavano sono risalito, poi però si sono immerse anche loro, anzi loro sono state più di me, beh giovani e in possesso di grasso corporeo. Poi le ho accompagnate a casa e sono tornato col sorriso stampato in faccia perché era una cosa che volevo fare, anzi mi mancava tanto il sale sulla pelle, peccato che appena tornato a casa mi sono trovato mia madre che gracchiava le sue lamentele continue ed è quasi stato come se niente fosse. Mancano veramente poco, due giorni Martedì e Mercoledì, perché poi Giovedì notte/mattina presto andrò a prendere l'aereo, non importa se dovrò affrontare un viaggio lungo, non mi importa neanche di guardare quanto tempo ho da aspettare nell'unico scalo, so solo che una volta a Tallinn prendo il bus e dopo 2 ore e mezza sarò a casa tra le braccia della mia bella, che è un sogno ricorrente di queste ultime settimane. Scriverò qualcosa a riguardo di questi quasi due mesi più avanti con calma e mente fresca, per ora voglio solo partire. Vi lascio con una band che mi piace.
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Ieri sera ho scritto a mia sorella.
Io: Ci sei domani mattina?
Lei: Si, perché?
Io: Andiamo a fare colazione?
Lei: ok, e?
C'è sempre un e...?
Io: Poi vieni con me al cimitero?
Lei : ah...va bene, usciamo presto.
Il cimitero fuori dal casino, si entra in un'altra dimensione, un silenzio fuori dal normale, come è giusto che sia.
Riempio l'annafiatoio che mi sono portata da casa, per dare acqua a quella terra già secca e arida nonostante i giorni di pioggia.
Hai solo una lapide per il momento, due piante di quelle che forse non muoiono, perche non è passato nemmeno un anno e il terreno di deve assestare, cosi dicevano. Potevano cremarti, almeno ti avrebbero tenuto in casa, invece no anche li questioni del tipo
"si ma poi siamo obbligati ad andare in casa degli altri."
Come se venissero qui a portarti dei fiori così spesso o semplicemente a salutarti .Io compresa.
Avevo bisogno di venire oggi, non so perché.
Nonostante tutto ogni volta che vi penso non ci credo,mi si stringe lo stomaco, nemmeno guardando la tua foto sorridente su quella lapide mi convinco . Mentre lo penso, mia sorella lo dice.
Ti immagino in quel giorno fatidico, quando nessuno è riuscito ad aiutarti, spero tu non ti sia accorto troppo, spero sia stato un attimo.
È stato lacerante in quella giornata di pioggia vedere come coprivano il buco dove ti avevano infilato. Sottoterra, cribbio, mi mancava l'aria a me.
Eri una testa di cazzo, davvero, sei riuscito a farti sotterrare in posto che non è nemmeno casa tua,che poi cosa conta ormai.
Spero tu abbia trovato la pace, non so in cosa credo.
Ma non voglio pensare al buio eterno. Mi manda al manicomio il pensiero del buio con la scritta, Fine.
Sono pensieri confusi misti a un pianto liberatorio che ogni tanto mi prende.
Eri presente anche con le tue assenze, e adesso mancano anche quelle.
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Sono in treno e potre quasi quasi impiegare il tempo per scrivere un po' di cazzate. Cazzate come il mio 2023. Pieno di cazzate. E con il suddetto termine indico quelle cose, decisioni, fatti, avvenimenti avvenuti per mia stessa decisione. Come quella di prendere il treno oggi senza prenotare nonostante ci fosse scritto nero su bianco sull'öbb di riservare. Decisione che mi ha portato a fare un viaggio di due ore seduta sugli scalini davanti al cesso. Ecco, il mio 2023 è stato solo una lunga serie di decisioni simili. In qualche remoto angolo del mio cervello devo aver pensato per tre secondi "mmh qua' c'è qualcosa che non va" per poi dimenticare tutto presa dalla frenesia della vita. No, non della vita. Del "dover fare". Nel mio caso, di dover fare come tutti gli altri hanno fatto. E ancora più grave è che con tutti gli altri mi riferisco a quel gruppo di esseri umani di scarsissima dote culturale che si trova nel paese dove sono nata. Gente che ho sempre odiato. Con molti di loro non ho neanche a che fare da anni. Eppure questo è ciò che fa quella parola orribile chiamata "educazione". Gli esempi di riferimento inculcati nei primi vent'anni di vita. Che cazzo ti porta a fare ah. Ti porta a plasmare la tua vita a idee degli altri. Alle idee di gente che pensavi anche di aver totalmente dimenticato. Alle idee di gente a cui pensavi di non pensare da anni.
Eh niente. Tra una domanda filosofica e un attacco di panico e l'altro un paio di settimane fa sono finita in un bel reparto colore giallo e azzurro ( che combinazione de merda ) con gente un po' strana. Ma anche io sono da sempre strana. Sono? Boh. Mi sento? Sì. Fatto sta che dopo due giorni sono diventata ancora più strana, pure per i miei standard. Presumo, ma non ne sono ancora sicura, che fosse per la mezza pillola blu la mattina. Non mi sentivo così strafatta dal liceo. Mi mancava? Direi di no. Ma dooormivoo finalmente. Non so se sapete di cosa parlo, ma per una persona che da sei mesi dorme circa 15 ore a settimana quando finalmente riesce a dormire una notte di seguito il mondo si manifesta veramente sotto un'altra luce. Uscivo la mattina sull'entrata con l'amico, presumo serbo, con il catetere e pensavo: cazzo ora mi ricordo. Mi ricordo perché pensavo che la vita fosse bella. Perché io davvero lo ho pensato. Per un lunghissimo periodo. Pensavo proprio che la vita fosse bella. Ho passato tanta ma tanta merda nella mia vita ma ci sono stati molti momenti dove io mi svegliavo e pensavo, che bella la mia vita.
Quest'anno è andato tutto a puttane. Vorrei dire che non so cosa sia successo ma mentirei perché la mia terapeuta me lo ha spiegato, chiaramente, come lei fa sempre. Pure più volte. Succede quando impronti la tua vita sul "dovere". Già la parola "devo" è una stra grande puttanata di suo, se poi questo "dovere" appartiene pure ad altri... allora ti ritrovi nel reparto giallo/azzurro a Innsbruck con me. Magari siamo vicini di letto. Non sono una coinquilina molto simpatica, te lo dico subito. Sto sulle mie. Sembro sembre un po' scazzata ma alla fine sono un pezzo di pane. Però per i primi 20 giorni mi starai sui coglioni di principio, sono sincera.
Comunque, cazzate bei Seite come si dice qua da me, auguro a tutti di fare quel cazzo che volete nella vita. Basta che non mi rompiate i coglioni. Se volete essere barboni su una strada con un cuscino e un cane, vi auguro di poterlo diventare. Se volete lavorare 60 ore alla settimana per accumulare un sacco di soldi su un conto bancario alle Seychelles per pipparvi pure il buco del culo nei tre giorni di ferie all'anno che avete, go for it. Se volete lavorare come cameriere 20 ore alla settimana, thats even better.
Perché questo sarà lo scopo della mia vita d'ora in poi e ci metterò tutte le mie energie: mandarvi tutti a fare in culo dal primo all'ultimo insieme ai vostri consigli di merda non richiesti su come io dovrei vivermi l'unica vita che ho
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Ho condotto l'Innominato, la Dama di tutte le dame, al canale Navile, e lì, vicino alla cascata, ho pianto quasi tutte le mie lacrime (non tutte, perché non sono ancora finite e non finiranno così). Lì, tra le zanzare e le anatre, ho pronunciato un altro giuramento, che poi è sempre il solito. Madama trasportava qualcosa che per me aveva un senso, ma non era il senso stesso. E così, davanti al pollo fritto dello Juan, mentre le lacrime, copiose, scorrevano ancora, ho confidato a Madama, e a me stessa, il significato di quelle lacrime. Prima non lo sapevo, oppure lo sapevo ma non avevo il coraggio. Da lontano, applausi scroscianti facevano il loro spettacolo, applaudivano una figura, ed ero io quella Figura. Il ritratto delle mie sembianze allora divenne certo, e io seppi, lì a quella tavola, dove si fosse posato il mio solo e unico amore. Mi tornarono in mente le lamentele disperate, i copioni sparsi nelle stanze, le tazzine da lavare, la mozzarella da assaggiare per la prima volta- tanto loro mi avrebbero insegnato tutto-quelle vecchie tavole impolverate, e il lume, coraggioso, protettore, dei proiettori la sera delle generali. Tutto quel mondo si è catapultato tra lo Juan e le cascate, tra l'estate dei matti cosentini cocainomani, l'anno passato di soppiatto a dire che qualcosa mi mancava. Ed era sempre la stessa cosa. Madama non aveva dapprima compreso quel mondo. Mi aveva fatto credere che la realtà fosse migliore, che lì dove c'è finzione non può esserci la verità. La verità non sta in mezzo né all'interno, la verità sta sempre intorno.
E a te in ginocchio io offro la mia vita, mio Teatro senza fine, mio Teatro senza spine. A te dono tutti i fiori, tutti i miei diari, tutti i cori che sotto la neve di un giorno lontano cantavano le tue peripezie. Mio Teatro, so come mi manchi e come mi cerchi, so come ti trovo negli spazi dove non voglio trovarti, e ancora eppure ti cerco, e ti inseguo, e tutte le mie lacrime sono per te, saranno sempre per te. Tutti gli amori, impavidi, sempre in Te finiscono, dentro Te marciscono e poi rinascono. In un microfono ho detto la parola che ha creato il cosmo. E' il suono che dà vita alla vita. ''C'è qualcosa che mi manca, che sempre mi manca''. Come tutto era pieno, e poi come tutto vuoto. Sipari, botole, quinte, quella era la casa di tutte le case, il mondo di tutti che in tutto è mondo. Mio Teatro che in sogno sei giunto, come Madama. Sempre dai sogni vi ho presi e trascinati in scena, sempre dai sogni. Tutto ciò che ritorna non ha destino perché è il destino. Tutto il destino che c'è, da un ritorno riporterà la Divina Nostalgia.
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Tarocco Siciliano raffigurante il Cavallo di Spade
Madam Effie e l’uomo che non poteva amare
Terza parte: Una semplice caramella
Ora Signori miei, iniziando questa terza parte, e dovendo riassumere le parti precedenti, voglio solo dire che per risolvere il mio problema, Madam Effie mi aveva fatto parlare con il mio “Io” nascosto e da li ho capito che se con le donne non riuscivo a fare niente era per la paura di far loro del male a causa degli esempi che da bambino avevo avuto. Madam mi ha fatto prendere due pozioni ed io sul momento non ho neanche realizzato a che servivano. La prima pozione “Fuoco dell’Assenza”, che io ho ribattezzato la “Forma dell’Assenza”, fece effetto subito e da quel momento non ho visto più le donne. Vedevo sagome trasparenti e sentivo la loro voce, il loro profumo, ma non le vedevo. Quando scoprii la cosa in un bar sulla strada di casa, non ne afferrai l’effetto devastante che avrebbe avuto su di me. Il giorno dopo andai al mercato per comprare le cose che in settimana servivano a mia madre. Fu li al mercato, nel mezzo di voci e rumori nati per le donne e da esse arricchite con i loro colori e le loro forme, che l’assenza delle donne si rivelò in tutto il suo drammatico effetto. Mi guardavo intorno vedendo tutte quelle forme gelatinose ma non i loro occhi, i capelli, la pelle, i sorrisi, le labbra. Fu come se d’improvviso ad agosto vi fosse una grigia giornata d’inverno, piovosa e nebbiosa, senza sole e calore. Questa sensazione Signori miei fu fortissima.! Non era neanche una … come dire … questione poetica, dove l’assenza delle donne equivaleva all’assenza di sensibilità, di forza creativa, di sentimenti elevati perché io sto a queste sensazioni poetiche come un vegano sta ad una macelleria! Ecco, era che d’improvviso capii che mi mancava qualcosa di fondamentale, un riferimento esistenziale, una parte delle mie sensazioni, della mia prospettiva, del panorama che mi circondava. Non so come spiegarvelo, ma noi finché siamo soli, siamo incompleti, ci manca il vento che muove la vita, ci manca la misura della bellezza, ci manca quell’ingranaggio che unito con noi, ci trasmette il senso dei giorni, il loro gusto, le loro emozioni più forti ed autentiche! Non importa se a voi piacciono gli uomini o le donne, vi piace sempre qualcuno con cui vi sentite completi, con cui riuscite ad aggiungere alle bellezze sensoriali intorno voi, una bellezza dell’animo, per cui, quando siete con una donna o un uomo, vedete il mondo per come deve essere, nella sua completezza. Per questo motivo ogni persona che guardate è una stagione nuova che vi si offre, un domani diverso, una golosità carnale che vi allarga il respiro dell’anima. Insomma è il motivo per cui la vita vi sorride perché vi offre una o più opportunità di gioia mostrandovi chi ne riassume la bellezza, chi è la tavolozza dei colori con cui dipinge il piacere di essere. Ma se questo non succede, se questa opportunità non vi viene offerta, se lo spirito vitale che dovrebbe innalzarvi fino al paradiso viene a mancare, se l’arcobaleno della gioia non può mostrarsi, che minchia di vita diventa quella che ogni giorno consumate senza la speranza di averne alcun piacere? Sarebbe come arrivare su una spiaggia e non vedere il mare, guardare il cielo di notte senza vedere le stelle o dormire senza mai sognare.
Io Signori miei lo ammetto: guardavo ogni donna nella speranza che il mio problema si risolvesse ed io potessi dare sfogo con la mia carne, ad anni di desideri. Invece, nella piazza del mercato mi sentii come se mi avessero rubato metà della mia vita, perché questo sono le donne per me: metà della vita. Ero come un’ostrica a cui avevano diviso le due conchiglie: in che modo una delle due conchiglie può vivere senza l’altra? D’ improvviso tutte le donne, con le loro forme, voci e colori erano scomparse e il non vederle era peggio che non poter fare l‘amore con qualcuna di loro. Mancava l’aria fresca, il sale della vita, perché ogni donna è un paradiso che indipendentemente dall’età e dalla forma, ogni uomo dovrebbe vivere. D’improvviso mi accorsi che il cielo aveva perso la sua luce ed il suo azzurro. La bellezza pura, non esisteva più. Se in quel momento mi fossi trovato in un deserto, mi sarei sentito meno solo. Ora, se invece delle donne vi piacciono gli uomini, immaginate un mondo senza uomini o se non vi interessano ne gli uomini ne le donne ma solo la cioccolata, immaginate un mondo senza cioccolata e nella disperazione che vi scoppierà nell’anima a concepire che non potrete mai essere felici perché chi vi dona la felicità che cercate non esiste, sentirete quello che io provai quel giorno a trovarmi nell’enorme mercato in mezzo ad una massa trasparente, quasi gelatinosa che con il suo essere nulla mi soffocava. Pensai che dovevo tornare da Madam per dirle che aveva sbagliato, che in quel modo, a non veder più le donne, non sarei mai guarito perché se dovevo risolvere il mio problema e riuscire a fare con una donna quello che tutti gli altri uomini facevano, allora dovevo almeno vederle, se no come potevo raggiungere quella normalità che cercavo. Fermai un minuto il mio ragionamento. Ma allora, la Regina di denari? Quella donna che mi avrebbe cambiato la vita e fatto di me un uomo? Madam l’aveva vista e se lei l’aveva vista voleva dire che sicuramente l’avrei incontrata: Madam non sbagliava mai! Allora perché questa tortura: privarmi della visione di chi poteva risvegliare la mia virilità? Pensai a Casanova che per primo aveva testato la pozione datami da Madam e al fatto, che privato anche lui di vedere le donne, fosse tornato ad amarle ancora di più, tanto da diventare famoso per il “di più” con cui le amava. Mi dissi che per mangiare devi avere fame, e più il cibo lo desideravi e sognavi, più avevi fame. Poi ci ripensai, Non poteva essere così. Io avevo già fame e allora? Mi ero messo in fila al banco della frutta e verdura e una signora, o meglio la sua forma trasparente chiese alla forma gelatinosa della venditrice se le zucchine fossero locali o meno perché le ultime che aveva comprato sembravano buone ma una volta cotte non sapevano di niente: erano tutte apparenza e nessuna sostanza. Fu allora che capii, capii veramente! Io in quel momento, anche se trasparente, delle donne vedevo la sostanza e non l’apparenza! Il “Fuoco dell’assenza” non era la mancanza di quell’immagine che io cercavo per vincere la mia castrazione psicologica, ma era l’assenza di quella sostanza, di quella anima interiore, che io nelle donne non consideravo. Da me le donne, a causa del mio problema, erano considerate solo come uno stimolo visivo, un innesco che la loro apparenza, il guscio di cui io vedevo adesso il contenuto, doveva far scattare. Così considerandole però, ne negavo l’essenza, l’identità, l’unicità. Era questo che Madam Effie voleva farmi comprendere: per vedere la Regina di Denari, dovevo prima guardare le donne in modo diverso. Basandomi su quanto avevano dentro e non stimolato solo dalla forma esteriore. Ma in che modo si poteva osservare quanto non si vedeva perché era solo vagamente accennato?
Stavo ragionando su tutte queste cose che mi sentii chiamare “Turi, Turi, come stai” Era Ernestina, una mia ex che non vedevo da tanto tempo. L’osservai stupito perché mentre le altre donne erano come meduse trasparenti, lei riuscivo a vederla anche se in modo parziale. Ne intravedevo i capelli, gli occhi, parte del volto e del corpo. In effetti ad Ernestina, avevo voluto bene veramente e se non avessi avuto il problema del mio apparato virile, che era anche lui solo apparenza e niente sostanza, l’avrei sposata. Vedevo solo metà del volto e già quello mi appariva bellissimo, ma malgrado gli anni passati assieme, le discussioni, l’amore platonico e i viaggi all’estero che avevamo fatto, ne vedevo solo una parte. Segno che per conoscere veramente qualcuno, oltre la sua apparenza esteriore, occorreva di più, molto di più. Chiesi di suo marito e di quella peste del figlio, e lei prendendomi sotto braccio, mi raccontò le ultime malefatte del piccolo mostro. Io ridevo di gusto mentre lei mi raccontava le sue vicende e d’improvviso si fermò ed osservandomi disse “Sono contenta di averti incontrato, ti vedo più sereno, più … sicuro” E nel dirlo la sua faccia mi apparve completa, come se in quel momento, di lei io sapessi tutto “Sto facendo una cura … per il mio problema e mi sento meglio” “Davvero? Sono contenta! Spero che guarisci e trovi qualcuno. Tu sei una bella persona!” Lo disse convinta e per un attimo pensai che lei potesse essere la Regina di Denari “Si, spero di risolvere il mio problema: ho già perso molte buone occasioni…” Mi guardò intensamente, quasi a volersi gustare quello che volevo dire. “non guardare al passato – mi disse alla fine sorridendo – quello non può tornare più! Bisogna guardare sempre avanti e non arrendersi mai” Sorrise ancora una volta e guardando l’orologio si stupì del tempo che avevamo consumato per parlarci. Mi diede un bacio sulla guancia e mi promise di chiamarmi per il prossimo compleanno del figlio. L’osservai andare via e nel vederla quasi completamente, capì che era la sua anima, la sua intima entità che stavo osservando e che come io vedevo lei in maniera completa, allo stesso modo lei vedeva me e che era questa unicità di vedute, questo osservare vedendo dell’altro ogni dettaglio dell’anima, che ci univa, che tra noi ci faceva comprendere e capire. In tutti gli anni che la conoscevo quella era la prima volta che la vedevo e questo mi fece pensare che per anni lei era stata per me solo fonte di imbarazzo perché aveva certificato i miei fallimenti sessuali. Da quanto mi aveva detto forse io non ero stato solo un fallimento, ma qualcuno, per qualche motivo importante e se non avessi perso tempo a voler risolvere ad ogni costo il mio problema erettivo, forse con lei avrei già trovato la soluzione. Mi sentii un coglione perché alla fine non avevo mai considerato ogni donna che amavo come la donna che era , ma solo come un rimedio e che quell’erezione “ad ogni costo” la stavo cercando solo per sentirmi normale, non per far felice o per amare qualcuno. Fu questa considerazione a farmi capire che la cura di Madam, stava dando qualche effetto perché capivo che avevo sempre cercato un solo lato delle donne, quello che mi era più utile o necessario ma che semplificava troppo chi avevo davanti fino a renderla una banale apparenza. Da allora incominciai a cercar di dare una personalità, un valore originale ed unico alle forme trasparenti che mi apparivano di fronte. Con qualsiasi figura gelatinosa con cui mi relazionavo, incominciavo a parlare, a chiedere, ad osservare, sia che fosse una casellante, la cameriera di un autogrill o la magazziniera di una ditta dove dovevo caricare o scaricare. Avevo capito che nel momento in cui avrei visto una donna completamente, quella per me sarebbe stata speciale e che quanto la rendeva speciale avrebbe reso superfluo il mio problema. Non lo avrei risolto io da solo, ma quello che avrei provato per lei. Avevo quindi fame di comprendere ogni donna che incontravo, di cercare in ogni forma gelatinosa quanto la rendeva particolare, diversa dalle altre tanto da donarmi emozioni uniche. E questa mia curiosità e ricerca, le donne lo capivano e sorprese dall’interesse che mostravo, erano tutte disposte a rivelarsi così come a conoscermi perché alla fine quello che io cercavo, anche loro lo cercavano.
Ora Signori miei voi penserete che tutto era a posto, che prima ci parli e poi fai fiche-facche, no? Non era così. Io ci parlavo, ma alla fine … niente. Loro erano contente di avere un nuovo amico, io era contento di avere delle nuove amiche, ma laggiù, nel luogo deputato a riprodursi, non c’era niente di nuovo, tutto era immobile e inerte, come già era prima. In più questa assenza delle donne, del loro bellissimo apparire, incominciava ad angosciarmi. Tutto il mondo infatti mi appariva ingrigito. Tutto quello che vedevo sembrava coperto da una patina di polvere che lo spegneva. Le donne e il desiderio di normalità che per me significano, avevano riassunto per me la vita, non vederle, era come se il mondo restasse sospeso, noiosamente immutabile, come quelle autostrade con nulla intorno, che percorri senza avere un punto di riferimento e ovunque sei, sei dove eri già stato qualche chilometro prima. Così mi capitava sempre più spesso di pensare di tornare da Madam per dirle di darmi un'altra porzione. Che c’era qualcosa ancora da aggiustare. Mi ero fatto tante amiche, ma la mia vita era come sempre una lunga autostrada dove correva solo il mio camion.
Arrivò il caldo e con la buona stagione le strade si riempirono di macchine e di lunghe file di automobili e di autisti incazzati. Ero dopo Lagonegro, con tutto il traffico imbottigliato su un'unica corsia. Ero messo dietro un camper con una fila infinita di mezzi davanti a me. Molti avevano spento le macchine ed erano usciti dalle lamiere arroventate dal caldo per guardare cosa era successo. Seduto al volante di Cicciuzzo stavo lucidando il cruscotto, cosa che facevo ogni volta che mi fermavo per strada. Ad un certo punto vedo sulla sinistra, dietro il guardrail, una cagna magra che cammina seguendo il fossato a lato del guard-rail. L’osservo perché non c’è nulla da fare e seguo lei con lo sguardo come un marinaio segue le onde del mare. La vedo che, sorpassato il camper, si ferma all’altezza della cabina del camion che lo precede e guarda verso l’alto. Qualcuno le lancia un pezzo di pane che lei prende al volo masticandolo con forza. Le arriva un altro pezzo di pane e poi un altro ancora. Ad un certo punto, lo sportello del camion si apre e qualcuno scende. Ha in mano una vaschetta trasparente piena d’acqua che appoggia delicatamente vicino alla cagna che subito si precipita a bere. Io guardo la figura e penso “Bravo collega, bonu facisti!” Poi guardo meglio. Il sedere era troppo tondo ed i fianchi erano troppo stretti per essere quelli di un camionista. Quando la figura si mette di profilo capisco che sto guardando una donna e solo in quel momento realizzo che la sto vedendo interamente. Resto sorpreso e impiego alcuni secondi a comprendere che forse era lei la Regina di Denari che aveva visto Madam. Penso di scendere e di raggiungerla per vederla meglio, ma il tempo di levarmi la cintura, spegnere il camion e aprire la porta, che lei velocemente sale sul camion perché come spesso succede nelle code, le macchine avevano ripreso a camminare e tutti stavano riaccendendo i motori per ripartire. Si riparte velocemente ed io cerco di non perdere di vista il camion della donna. Il camper che ho davanti mi fa vedere solo la cima del suo camion e non riesco a vedere nessun segno particolare per poterlo ritrovare nel caso lo perdessi. Piano piano tutta la fila di mezzi prende velocita ma restando tutti su una corsia unica non riesco a raggiungere il camion della donna. Finalmente la seconda corsia si libera ed il camion si sposta verso destra seguito dal camper. Per un secondo penso di sorpassali entrambi ma poi pensandoci mi accodo stando ben attento a non perdere di vista il portellone del camion. Andiamo avanti per diversi chilometri fino a quando ad un certo punto il camper mette la freccia a sinistra e sorpassa il camion. Io rallento per vedere bene di che camion si tratta. Vedo però che con la freccia sta accostando a destra verso una stazione di servizio con ristorante. Avevo già perso molto tempo in coda e sarei arrivato in gran ritardo dove devo scaricare per cui dovrei tirare dritto a gran velocità. Invece metto la freccia e seguo il camion. Essendo più piccolo del mio trova subito parcheggio nella stazione congestionata dai turisti. Mi fermo osservando cosa fa la donna sperando che scenda per mangiare e non per andare in bagno. Si dirige verso il ristorante e quindi cerco disperatamente parcheggio trovandolo solo perché un collega riparte. Scendo di corsa ed arrivo al ristorante cercando tra gli avventori la donna. La vedo da parte ad un tavolo che per via del Covid, oltre al suo ha solo un posto disponibile. Non voglio che noti che vado direttamente da lei, voglio che pensi ad un incontro casuale. Una forma gelatinosa che dovrebbe essere la cameriera mi indica un posto dal lato opposto del salone. Io faccio passare avanti altre forme gelatinose e quando la cameriera torna le dico che vado nell’unico posto rimasto libero che è quello dove c’è la donna del camion. Quando mi siedo lei mi osserva stupita. Io guardo curioso il suo volto come se fossero anni che non ne vedevo uno. Signori miei, lo ammetto: se non fossi stato sotto la cura di Madam, io a quella donna, non avrei mai fatto caso. Era troppo banale, troppo semplice, una già vista e saputa! Non è come quelle donne che cercavo io con la gonna corta, la coscia forte e il seno danzante o con un posteriore da far resuscitare i morti. È una madre di famiglia, come tante che in passato ignoravo ma che ora li, in quello squallido ristorante sul bordo di una anonima autostrada, per me risaltava come la luna piena in una notte d’agosto. Ogni donna che avevo incontrato fino ad allora, era una donna, aveva quello che gli uomini non hanno, lei invece “fimmina vera”, ha tutte quelle bellezze, quelle amorevoli passioni, quelle infinite tenerezze, quelle intime complicità, quel profumo di vita che ogni uomo desidera e cerca in una donna. Ogni sua più piccola cosa mi piace, ogni ciglio dei suoi occhi è un inno alla perfezione, le sue labbra sono belle come un’alba d’estate sulla Salerno-Reggio Calabria e la sua pelle è così chiara e perfetta che sembra debba essere vestita solo di baci e carezze. I suoi occhi emanavano una luce che mi abbaglia l’anima, sono due lame che mi entrano nella carne, due fontane a cui i miei occhi non smettono di bere assetati. Ha lo stesso profumo dei primi giorni di primavera ed è come se lo avessi sempre sentito. Mi dico che ogni sua cosa, il gusto della sua saliva, il suo sorriso, il profumo dei suoi capelli, la tenerezza dei suoi capezzoli, come si aggiusta i capelli mentre parla, l’odore dei suoi fianchi, ogni sua cosa, anche la più intima e segreta, era come se l’avessi già sentita, conosciuta, provata, baciata, leccata e adorata. Qualcosa dentro di me vibra, scende lungo la mia spina dorsale e arriva fino a quella cosa morta che ho sul davanti facendola muovere lentamente come un serpente che si sveglia dal letargo. Ormai ne ero sicuro, era lei la Regina di Denari
Aveva finito l’insalatona ed aveva chiesto un dolce. Mentre lo mangiava era pensosa. Alzò la testa dal gelato che stava mangiando. “Devi darmi il numero di telefono del tuo amico” “Ah si – feci prendendo il cellulare – dammi il tuo numero che ti invio le sue coordinate” Lei mi guardò sospettosa “Ti do il numero del lavoro” E me lo dettò. Le inviai il numero e l’indirizzo e le dissi che l’avrei chiamato chiedendolo di contattarla. Lei mi mandò il suo contatto Whats-Up e nell’Avatar che si aggiunse al numero vidi lei sorridente con un bambino che l’abbracciava intensamente con due piccole braccini magre e apparentemente fragili “È tuo figlio? – le chiesi ed aggiunsi senza aspettare la risposta – ti assomiglia” Sorrise. “Mi raccomando chiamalo il tuo amico – mi fece improvvisamente seria – è importante!” “Non ti preoccupare. Al mattino è preso all’ortomercato. Lo chiamerò verso le dieci quando va al bar per il terzo caffè” Teoricamente non avevamo motivo per continuare a parlare: avevamo finito il pranzo e il ristorante si era svuotato. Fuori, sul piazzale della stazione di servizio, illuminato dalla luce bianca spettrale dei grandi lampioni, non vi era più nessuno e la fila di Tir che erano nel piazzale avevano tutti i vetri coperti perché gli autisti erano tutti andati a dormire per riposare qualche ora prima di partire all’alba. L’accompagnai al suo camion che, come aveva detto era vecchio e scassato. Si accese una sigaretta e si sedette su un muretto che delimitava la zona del parcheggio. Mi disse che non aveva sonno e così mi sedetti anch’io e le chiesi cosa faceva prima di diventare camionista per necessità. Rispose che lavorava in un laboratorio di ceramica dove disegnava e colorava vasi e piatti. Iniziammo di nuovo a parlare, non ricordo neanch’io di cosa. Mi chiese se ero impegnato e le risposi che mi sarebbe piaciuto esserlo. Continuammo così, fino all’alba, quando i grossi camion incominciarono a rombare e per tutti iniziava un'altra giornata di lavoro. Lei salì sul suo e lo accese poi scese a salutarmi mentre il motore borbottava come se fosse già stanco “ Devi farlo vedere, ha gli iniettori che non funzionano bene” Sorrise ancora una volta “ Se il tuo amico paga, li rifaccio d’oro – mi guardò felice – grazie: è stata una bella serata. Vorrei rivederti …” Aggiunse tutto di un fiato quasi vergognandosi di quanto diceva. Mi aveva anticipato di poco perché anch’io volevo farle la stessa richiesta “Non ti preoccupare, ti rivedrò. Tra salire e scendere puoi fermati in questa o nella stazione di fronte e lo stesso posso fare io” Le risposi sicuro, anzi, sicurissimo che l’avrei rivista. Lei sorrise. Vedersi in quel luogo comune e transitorio era quasi non vedersi, ma per il momento le bastava, ed io lo capii solo osservando il suo sorriso. Per questo non era come le altre , trasparente ed invisibile, perché ne capivo ogni pensiero solo guardandola. E probabilmente lei faceva lo stesso, per questo era la Regina di Denari. Partì qualche minuto dopo ed io sul piazzale già illuminato dalla luce insicura dell’alba, l’osservai andare via dispiaciuto e felice. Non ero più solo. Non ero più solo sulle lunghe corsie dell’autostrada, non ero più solo in quei paesi stranieri cupi e tristi in cui portavo il sole della mia terra, non ero più solo nelle notti chiuso in cabina o nei ristoranti da camionisti. C’era sempre lei. Volava nei miei pensieri, accendeva i miei desideri, scompariva e ricompariva di minuto in minuto. E se non era nei pensieri, era nei messaggi del telefono dove chiedeva se avessi chiamato l’amico, in che paese ero, dove bisognava andare per raggiungere questo o quel posto o questo o quel ristorante. Oppure avevamo telefonate con il vivavoce lunghe centinaia di chilometri o per quanto dovevamo fermarci per riposare. Quando trovavo un WiFi decente facevamo lunghe chiamate per vederci e raccontarci che cosa avevamo visto o di suo figlio o dei miei nipoti, ma sapevamo benissimo anche se non lo ammetavamo, che avevamo chiamato solo per vederci, per guardarci e inconsciamente desiderarci. Fu nel parcheggio di Sasso Marconi che feci una scoperta straordinaria. La notte avevo sognato Angela e al mattino mi ero svegliato con qualcosa di enorme e rigido tra le gambe: la mia prima erezione da anni ed anni. Ne fui sorpreso e disorientato ma immediatamente capii che dovevo vederla, così in discesa le chiesi se potevamo incontrarci che le avevo preso un bel pezzo di Parmigiano Reggiano di cui il figlio era goloso. Nel frattempo lei aveva incominciato a lavorare con il mio amico già da diverse settimane, per cui poté fermarsi senza problemi alla stazione di servizio che avevamo concordato. Quando mi vide arrivare lungo la strada che immetteva al parcheggio, mi salutò alzando la mano felice. Andammo a bere un caffè e mi raccontò del nuovo lavoro di cui era molto contenta: poteva stare di più con il figlio e veniva pagata regolarmente. Tornando al parcheggio guardò con ammirazione Cicciuzzo che, modestia a parte, rispetto al suo vecchio camion, è come un’astronave con tutte le sue luci, il computer, il forno a microonde, lo stereo e tutti gli altri accessori che avevo messo. Mi chiese se poteva sedersi al volante. Le aprii la portiera facendola salire e una volta seduta si mise a ridere perché non riusciva a toccare i pedali tanto il sedile era spostato indietro. Mi appoggiai sul gradino e le spiegai come doveva portarlo avanti. Mi misi tra lei e il volante cercando la leva per spostare il sedile. Nel far questo ero con il volto a pochi centimetri dal suo, e per caso, i miei occhi furono nei suoi e a sentirla così vicina a tutto il mio corpo pensai “ora la bacio” Invece lei prese d’improvviso il mio volto tra le sue mani, e mi baciò con tanta voglia e intensità che il bacio che avrei voluto darle era al confronto il bacio di una suora ad un bambino. Signori miei, che vi devo dire? Ho pensato per anni ad un momento come quello, in cui il corpo traduceva in sensazioni reali, concrete quello che l’animo provava e per anni mi ero bloccato pensando che cosi avrei usato violenza verso qualcuno. Invece Signori miei, d’improvviso scoprivo che non dovevo usare nessuna violenza, che quello che si desidera quando si vuole bene a qualcuno, è cosa comune, ognuno dei due nel suo intimo lo vuole e desidera, perché è questa minchia di cosa che chiamano amore che uccide ogni violenza, che ragiona al posto tuo quando non sai o non puoi ragionare. Fu come tuffarsi dentro a un cavallone che si infrange contro gli scogli ed ora eravamo dei corpi dominati dalla tenerezza della schiuma e dalla potenza dall’acqua ed ora eravamo l’uno per l’altra la forza dell’acqua e la leggerezza della schiuma e dei nostri corpi facevamo quello che i nostri più intimi desideri volevamo. Eravamo assetati, affamati, da quel tipo di sesso che chiamano amore o dall’amore diventato sesso e da esso bruciati, consumati, distrutti e rinati, da esso giustificati e chiamati alla vita. Si Signori miei, perché era questo che mi era venuto da pensare in quei momenti: che di tutti i miei giorni passati a cercar di far resuscitare un pezzo di carne che non voleva saperne di fare quello per cui era stato creato, di tutti quei giorni vissuti nel corpo e nei modi a minchia morta, osservando donne senza vederle, ascoltando donne senza sentirle, desiderando donne senza saper far nascere in loro alcun desiderio, l’unico giorno che stavo vivendo completamente era questo in cui ero nella brandina di Cicciuzzo a saziare semplicemente, intensamente, amorevolmente la mia e la sua carne. Senza pensare neanche se la mia proboscide riproduttiva si alzava o meno, perché ormai quella ragione di vergogna e amarezza, non era più un mio problema, quel chiodo fisso che mi aveva avvelenato la vita, quell’infinito disagio e amara pena, ormai reagiva naturalmente e prontamente ai desideri di lei, era ormai la dominante schiava, la servizievole padrona della Regina di Denari. Tutto quello che provavo, era un rovente sole che brillava dentro il mio animo, dove viveva il mio cinico ed immaturo “Io” che aveva sentenziato l’abiura di quel piacere che provavo. Era un sole che finalmente splendeva bruciando, distruggendo quel silenzioso signore e nascosto padrone, quel burattinaio della psiche che aveva regnato nel buio dei miei pensieri. Ma nell’immaginarlo bruciare nell’intensità di quanto provavo penso, che ne provasse piacere perché il peso che portava dentro lo poteva finalmente dimenticare e finalmente poteva tornare ad essere quello che per anni, tra sensi di colpa e doveri morali, non era mai potuto essere: felice! Quando tutto finì e lei era li tra le mie braccia seminuda ed io ero accanto a lei con poco addosso, c’era solo silenzio nella penombra creata dalle tendine che coprivano i vetri. Malgrado il rumore dei camion, delle macchine che sfrecciavano sulla vicina autostrada, noi sentivamo solo i nostri respiri, la quiete che nasceva dall’aver consumato ogni forza, la calma che ci restava dopo aver liberato nel caos della nostra carne, l’universo delle nostre anime. “Ho un fatto peccato mortale” Disse lei ad un certo punto “Amare non è mai un peccato se sei onesto con te stesso e con chi ami” “e tu lo sei?” “con te lo sono e lo sarò per sempre…” Lei sorrise e si strinse a me “Anch’io” Rispose e fu cosi che, nella buona e nella cattiva sorte, nel dolore e nell’allegria, nel bene e nel male, ci siamo scelti e sposati. Si voi, Signori miei, potrete dirmi che era già sposata, che ci sono le convenzioni, che c’era il figlio, il marito distrutto dall’incapacità di affrontare la vita e tutto quello che volete. Ma per noi tutte queste cose erano e sono, con rispettu parrannu, strunzati. Noi due eravamo noi, i due gusci dell’ostrica che si erano trovati e uniti per sempre. Eravamo il Folle e la Regina di Denari che l’universo parallelo dei Tarocchi, avevano scritto che non si sarebbero più lasciati e che dopo essersi cercati tra sensi di colpa e solitudine, si erano trovati. Da quel momento, la vita rincominciò. Incominciai a rivedere le donne in tutte le loro forme, a riscoprire i colori nel cielo e neile loro emozioni. Ogni giorno appena sveglio le scrivevo, ogni notte prima di dormire leggevo i suoi pensieri per me e questo rendeva meraviglioso quel deserto fatto di chilometri e chilometri macinati parlandoci, desiderandoci, ascoltandoci e vivendoci virtualmente. Con regolarità, c’era sempre un giorno della settimana che dedicavamo a noi stessi, trovandoci in qualche albergo, o in qualche piazzola di sosta fuori mano per sfogare, per dimenticare i tanti minuti in cui non ci eravamo guardati e toccati, il cui non avevo sentito il profumo del suo seno o lei non aveva sulla sua bocca il sapore della mia. Quando ci lasciavamo era solo il vuoto, un assenza che correvamo a riempire con telefonate e messaggi. La felicità assoluta Signori miei, non esiste. Per questo quella felicità che provavamo tra le immense distanze che ci separavano, era tutto quello che mi bastava a vivere. Lei aveva una vita più regolare, guadagnava e stava vicino a Sabbuccio. Io avevo un riferimento, una stella polare con la quale regolavo i miei giorni e le rotte sulle strade del mondo. Avevamo un momento in cui poter fare un gran respiro e riempirci i polmoni di vita prima di tornare immersi sott’acqua nel mare di quel tempo che dovevamo subire e non vivere. Non avevamo bisogno di altro, non potevamo desiderare altro e chiusi nella nostra piccola storia, vivevamo, ripeto ancora questa parola da niente che vuol dire tutto: felici.
Poi arrivò il sogno.
Ero in un paese del nord e per via della neve ero arrivato al magazzino quando era già chiuso. Mi mangiai qualcosa e mi parcheggiai nel piazzale davanti al alla ditta dove dovevo scaricare pronto di primo mattino e a partire subito dopo. Sognai che guidavo Cicciuzzu su una strada dritta e lunghissima, in un giorno assolato con un cielo dal colore blu elettrico. Morivo di caldo come se l’aria condizionata di Cicciuzzu non funzionasse. D’improvviso su lato della strada vedo una macchia nera e avvicinandomi distinguo una limousine nera, di quelle americane lunghe dieci metri. A lato della macchina stava una figura dritta e immobile come una statua. Io fermo Cicciuzzu e scendo avvicinandomi con qualche esitazione. Nella figura con il vestito nero riconosco Apollo con i suoi basettoni ed orecchie da scimpanzé. Sollevato, sorrido e mi avvicino allungando la mano per salutarlo. “Autista, ti nzignasti a canciare i roti?” Gli dico contento di vederlo e mi avvicino con la mano tesa per stringere la sua. Lui allunga la mano e nel palmo della mamo che avevo steso verso di lui mi mette una caramella. Una di quelle tonde di zucchero che si danno ai bambini. “ti sta aspettando” Mi dice con una voce bassa e profonda ed apre una portiera della macchina. Io entro guardandolo stupito, mettendomi la caramella in tasca e mi siedo dentro la macchina trovandomi nella stanza buia di Madam, nella sedia che occupavo di fronte alla sua scrivania quando ero andato a trovarla. Lei è li, seduta alla scrivania e ne vedo solo gli occhi dal taglio orientale ma, anche se non vedo la sua bocca, penso che stia sorridendo “Come stai?” Chiede “Bene” E le racconto tutto felice di Angela Lei mi ferma con una mano “Non abbiamo molto tempo. Devi ascoltarmi e agire. Per essere felice c’è sempre un prezzo da pagare, se è grande o piccolo dipende solo da quanto eri infelice o da chi è la ragione della tua felicità. Tu, il prezzo per la tua felicità, l’hai già pagato. Ma la Regina di Denari non ha pagato nulla e questo potrebbe ritorcersi contro di lei” “che vuol dire – reagì quasi incazzato – lei ha già pagato con suo figlio e suo marito, la felicità se l’è guadagnata!” Scosse la testa “Non è così. L’universo è un insieme di energie che si muovono dalla più grande alla più piccola o da una energia negativa ad una positiva, o da quella più ingiusta a quella più giusta. Questo fluire domina la nostra esistenza, e vive degli effetti che su di noi crea. Tu eri in un avvallamento energetico, una prigione fatta di energie negative; non potevi muoverti, chiuso tra energie più forti di te. Io ho aperto una breccia, una piccolissima fessura e tu sei scivolato verso la Regina di Denari, uscendo dalla tua prigione. Lei però è ancora chiusa in una prigione simile alla tua e questa sua felicità influisce sulle energie negative che la circondano e che per reazione possono solo distruggerla: devi evitare la rabbia del Cavallo di Spade … “ “Il cavallo di Spade?” ”Si, qualcuno molto vicino alla Regina di Denari, che può fare molto male a lei e a suo figlio. Devi farla uscire dalla sua prigione, devi essere tu a creare la fessura attraverso cui lei possa fuggire. La felicità che provate è meravigliosa, ma la bellezza della felicità sta nella sua intrinseca fragilità. Devi evitare che questa fragilità la uccida, … la uccida … la uccida ….” Mi svegliai di soprassalto, sudato e con il cuore in gola. Non riuscii più a dormire e mi agitai senza pace fino all’alba. Appena il cancello del magazzino si aprì mi presentai con la bolla di carico. Il magazziniere l’osservò e mi suggerì di prendermi un caffè mentre cercava il muletto per lo scarico. Mi avvicinai alla macchinetta del caffè e misi le mani in tasca cercando due spiccioli. In tasca avevo però solo qualcosa che non capivo cos’era. Tirai fuori la mano e l’aprii: nel mio palmo c’era la caramella tonda che nel sogno mi aveva dato Apollo. Capii che Madam mi aveva mandato un messaggio che non potevo ignorare.
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Laccio emostatico
In un pungente pomeriggio di metà dicembre, assistito in una camera dell'ospedale c'ero io,o meglio, il mio corpo.
Un corpo pallido,un viso spento,la fronte imperlata di una corona di rugiada che era il mio sudore, un po' come quando i disennatori decidono di offrirti il loro bacio, avete presente no?
Da subito i medici mi avevano trasferito in rianimazione introducendomi in coma farmacologico,fermando il tempo come in un film dove la pausa era stata inserita e più sbloccata. Quanto tempo rimasi a contemplare il mio corpo? Non lo so, di certo molti dato che la neve cadeva sempre più fitta. Erano giorni che certamente rimasi tra la vita e la morte costantemente attaccato agli appositi strumenti che monitorano l'attività cerebrali e le mie esigenze corporee.
Tuttavia,mentre ero sospeso in un limbo ultraterreno dove vedevo i medici affaccendarsi attorno alle macchine, prelievi di sangue e continue analisi su quell'involucro vuoto, la mia mente continuava a lavorare ed il mio spirito ad esistere,mentre giacevo immobile, cadaverico ed apparentemente privo di conoscenza, sperimentavo anche un lucido e incredibile viaggio dentro me stesso,la prospettiva era del tutto nuova .
Era come sedere in tribuna e vedere uno spettacolo terrificante,ma incredibilmente affascinante dal quale non si riesce a distogliere l'attenzione nonostante non si desideri altro,come essere ad una mostra e venire colpito proprio dal quadro meno venduto perché più ripugnante.
Tutto ha avuto inizio dal momento che percorso un lungo tunnel buio giunto all'estremità mi ha atteso un mondo di luce accecante ed una moltitudine di colori,una cascata di suoni,sensazioni tattili febbrili,sapori disonesti che lasciavano dolce ed amaro sulle labbra, utopico, un mondo perfetto in cui avrei dovuto sentirmi sollevato, rilassato, libero. Credevo di essere stato catapultato in un sogno,ma tutta questa perfezione mi fece capire che non era reale,che io non ero lì, che la vita non era quella, che il meglio doveva ancora essere scritto.
Nella memoria rimasta di quel periodo ho incontrato ma ancor di più sentito una vocina soave che esprimendo amore assoluto, ben al di sopra di quello sperimentabile nella vita reale, e parlava con me con messaggi sublimi come il soffio di un alito caldo alla fine dicendomi che no ,no , non era ancora arrivata la mia ora per restare lì e invitandomi a tornare indietro.
Ma voltandomi non vi era più né il tunnel né la sua entrata,il sentiero era svanito ed al suo posto aveva lasciato una landa deserta e desolata di insicurezze,dubbi,paure che mi legavano mani e piedi,come un laccio emostatico avvolto intorno alla gola, ma finché non ricordai chi ero stato,chi ero e chi volevo essere.
Il mio corpo era pronto,la mai mente era pronta,la mia anima era pronta,ma ancora non mi svegliavo..."perché perché " mi chiedevo disperatamente da mesi,mentre la neve lasciava posto ai fiori, finché non capii che qualcosa mancava,per tornare indietro mi serviva qualcosa per tracciare la strada, ma cosa? Ci mesi tempo a capire che per tracciare la strada avrei dovuto usare,sangue sudore e lacrime, aveva ragione il buon vecchio Churchill ad esortare i suoi ricordando loro questo sacrificio,era quello che a me mancava per tornare ad essere un vivente consapevole di essere tale.
E così tornai,oh non fu facile,ma strappai quel laccio,quelle flebo,quel coma,quel corpo ai miei aguzzini,ai miei demoni.
Oggi sono passati 2 anni e posso finalmente dire di essere rinato.
-umi-no-onnanoko (@umi-no-onnanoko )
#laccio emostatico#writing#scrittura#umi-no-onnanoko#23.03.21#life#vita#coma#lotta#fight#scrivere#write#after life
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Mancano 23 giorni e a me sta salendo una malinconia assurda.
È strano perché mi doveva venire quando mancava un mese e mezzo.
Ma il fatto che la sera lui va al bar, il sabato e la domenica va al mare, insomma tutte cose che farebbe anche con me.. mi butta giù. Perché vorrei essere con lui. Ma a volte proprio da starci male. Datemi della strana ahha ma purtroppo è cosi.
Non so nemmeno perché sto facendo questo post, forse per buttare fuori quello che davvero sento. Perché vi giuro a volte vorrei scoppiare.
Metteteci anche il fatto che Leonardo dietro ad un telefono non riesce ad estraniare la dolcezza. Ma basta anche solamente una videochiamata per sorridere e vederlo sorridere. Di persona poi è quasi irriconoscibile ahah è la persona più dolce del mondo. E strano che ogni tanto mi manda messaggi inaspettati. Il più banale che è stato è: "mancavi solo te oggi" o "questa è la cosa che più mi manca" al mio 'ma almeno siamo uno accanto all'altra'. E tanti altri che rimangono nel mio cuore (e telefono ahah).
Mi manca davvero davvero tanto. Questi giorni sono pochi sostanzialmente, ma alcune volte sono davvero duri, e non so come mai sto periodo mi è preso così. Abbiamo passato questi 2 anni e mezzo senza problemi, forse un po' tutto ciò che mi circonda, booooh
Scusate la pappardella, se non vi interessa andate avanti tranquillamente, volevo solo sfogarmi ahah
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Hey, Italia, tutto bene?
No, sai com'è... Siamo nel 2021 e c'è gente convinta che dare un pugno in faccia a qualcuno solo perché ha una borsa con l'arcobaleno comprata da Tiger, sia libertà di espressione.
C'è gente, nel 2021 che è convinta che due donne, o due uomini, non possano essere dei buoni genitori.
Nel 2021 viviamo in un paese che mi vieta di esprimermi come mi pare.
Che è convinto che essere Trans, Non-Binary sia un capriccio, io non scelgo di essere.
Io scelgo solo di accettare chi sono, ma vi ricordo una cosa... Anche se si prova a nascondere, quella parte di noi non andrà mai via. MAI!
Io scelgo di essere libera, scelgo di accettare la mia realtà, non si sceglie chi amare, come sentirsi.
Posso scegliere di iscrivermi in palestra, non la mia sessualità.
Un applauso a voi, che avete applaudito in Senato, perché avete negato un diritto, il diritto di essere tutelatə.
Ma vi ricordo una cosa, cari politici, non so se avete mai letto la nostra bellissima Carta Costituzionale, forse qualcuno di voi l'avrà usata solo per pulirsi il culo o come carta da usare nel camino.
Ma voglio ricordarvi l'Articolo 3.
"Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali" bene, leggetelo e rileggetelo fin quando non ne capirete il senso, ma ho qualche dubbio che capirete.
Ah, dimenticavo...
Grazie Italia, grazie dinosauri per avermi dato la spinta che mi mancava per riprendere a studiare seriamente e andarmene da questo paese. Io ti amo, ma a quanto pare tu non ami me.
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fool’s gold: chapter 1
questo é il primo capitolo, e niente, spero vi piaccia
written by: me
word count: 1.019
warnings: nessuna, qualche imprecazione (credo)
All the love xx
-M
Harry lo sapeva. Ne era perfettamente consapevole, senza che i suoi amici o che i suoi famigliare stessero lì a ricordarglielo ogni secondo, ma non poteva farne a meno. Era più forte di lui, come se una forza invisibile non facesse altro che attirarlo verso di lei.
Lei, la causa di tutti i litigi con sua madre e con sua sorella, il motivo per il quale i ragazzi non facevano che mandargli sguardi e occhiatine ogni volta che la nominava.
Lei, bella come una dea, ma con il cuore freddo come l’inferno. Come poteva rimanere impassibile mentre lo guardava struggere per l’amore che provava per lei? Come poteva dormire la notte al sua fianco sapendo di usarlo ogni giorno per comprarsi un nuovo paio di scarpe? Come poteva essere in pace con se stessa ogni volta che lui dichiarava di amarla e lei lo guardava come se fosse pazzo, riprendendo a fare qualsiasi cosa fosse stata appena interrotta da una stupida confessione d’amore. E non era colpa sua, davvero. Lei non ci stava nemmeno provando a nascondere il fatto che non lo amasse quanto la sua carta di credito. Era lui che non poteva farne a meno. Che nonostante tutto, tutto il dolore, tutti i rimproveri delle persone che gli stavano accanto che gli dicevano di lasciarla stare prima che il suo conto in banca si prosciugasse, continuava a seguirla come un cucciolo smarrito che aspetta solo una carezza che però non arriva mai.
“ sono pronta, ti decidi a muoverti?” e ecco di nuovo la sua voce dolce e allo stesso tempo fatta di veleno puro, che lo rimproverava nonostante fosse lei quella che ci avesse messo tutto questo tempo per prepararsi.
Harry si alzò dal divano e si girò a guardarla, osservandolo in tutta la sua bellezza e magnificenza. Ogni volta che la vedeva, che fosse appena tornata da un’altra giornata di shopping con le amiche, appena sveglia o vestita perfettamente come adesso, gli mancava il fiato.
“sei bellissima, piccola” si avvicinò a lei, e gli stampò un tenero bacio sulle labbra che gli fecero scatenare le farfalle nello stomaco, ma che per lei invece era solo un’altro contatto di labbra.
Senza nemmeno rispondere, Y/N aprì la porta di casa uscendo e dirigendosi verso la macchina, sicura di essere seguita da Harry.
Una volta che entrambi furono in macchina, Harry mise in modo e le prese la mano, ma non passò poco tempo che lei la tolse per scrivere qualcosa sul suo cellulare, lasciando che il silenzio fosse l’unica cosa a riempire il veicolo.
***
“abbiamo un ordinazione a nome Styles” disse Harry al cameriere che lo stava a malapena a sentire, troppo occupato la squadrare la sua ragazza dall’alto in basso. Non che a lei desse fastidio, comunque.
“certo, vi accompagno al vostro tavolo” disse, e iniziò a farsi strada in mezzo a tutti gli altri.
Una volta arrivati, spostò la sedia di Y/N e porse a entrambi i menù, prima di andarsene.
Harry non concedette nemmeno un’occhiata al menù prima di prendere la mano di Y/N e incrociare le loro dita. Più la guardava, e più vedeva la vera natura della bellezza, anche se con la faccia riempita dal trucco. Le diceva spesso quanto fosse più bella ai suoi occhi senza, ma a lei semplicemente non interessava la sua opinione.
“sei bellissima” glielo disse, era quasi un obbligo per lui, trovarsi davanti a tanta meraviglia e non dire niente
“l’hai già detto” rispose lei, che nemmeno alzò gli occhi per guardarlo in faccia, tenendoli fissi sul menù, perdendosi così il modo in cui la sua faccia speranzosa di qualsiasi gesto o parola affettuosa cadde.
“scusa” mormorò, prima che il cameriere tornò a prendere i loro ordini.
***
Una volta usciti dal ristorante, decisero di fare una passeggiata per il silenzioso parco accanto. Era molto grande, una parte dove crescevano fiori e piante con una viale al centro, e un’altra riservata ai giochi per i bambini. Alla loro vista, Harry non potè fare a meno che pensare a suoi bambini, che andavano spensierati sullo scivolo, mentre lui e la donna al suo fianco erano seduti sulla panchina abbracciati e con un gelato in mano. Il pensiero gli fece stringere di più la presa che aveva sul suo fianco
“stavo pensando ai nostri bambini.. vederli giocare in questo parco tra qualche anno”
“Harry” disse Y/N, come per avvertirlo, ma lui era troppo perso nella sua bolla d’amore anche solo per stare a ascoltarla
“pensi mai a come sarebbero? Spero avranno i tuoi bellissimi occhi e il colore dei tuoi capelli. Anche se vorrei avessero i miei ricci. E magari anche le fossette. Sarebbero così belli, non credi?”
“Harry, smettila” ripetè ancora una volta Y/N, cercando di fermare il suo farneticare, senza successo
“- e magari potremmo dargli il nome di mia madre. Amerei avere una bambina con te, che ne pensi di Darcy Anne Styles? Io lo adoro. E magari anche una maschietto, potremmo dargli il nome di tuo padre, e anche William o Will, so che lo adori. Oppure-“
“Harry basta! Smettila! Falla finita!” questa volta Y/N alzò la voce, e Harry smise finalmente di parlare e si girò a guardarla, notando le piccole lacrime ai lati dei suoi occhi che rischiavano di uscire.
“piccola, perché stai piangendo? È colpa mia, vero? Mi dispiace, non avrei dovuto iniziare a parlare di bambini. Magari tu non vuoi averne, e io sto solo facendo dei film mentali. Non ti costringerei mai a diventare madre se non è quello che vuoi, amore. Mai”
“Non è questo Harry! È il tuo essere sempre così dannatamente dolce e adorabile, nonostante tutto quello che ti faccio! Ti tratto peggio di un cane e tu sei ancora qui a adorarmi a dirmi che mi ami! Come fai a essere così-così… urgh!”
Harry non stava capendo. Era completamente confuso. Di cosa stava parlando? Non ne aveva idea. Non gli aveva mai detto apertamente di essere consapevole di come lo trattava, o che addirittura lo trovava dolce e adorabile.
“Y/N, piccola… cosa stai dicendo?”
“No! Non chiamarmi piccola! Smettila!”
“tu-… tu mi stai facendo innamorare”
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Seconda serata Sanremo commenti dalla vostra esperta di moda assolutamente richiesti.
Partiamo da Amadeus, sempre peggio. Sembra il mago che inviti alle feste dei bambini: voto 3
Fiorello è pronto per il reboot de La Mummia, se ci mettiamo pure che le sue battute fanno venire delle ulcere: voto 3
Primo tipo dei gggggiovani (non so i nomi): classico cantante dei quartieri che ti tampina per ascoltare la sua canzone. Cappellino perché? Quella giacca sportiva perché?: voto 4
La tipa ha deciso di riutilizzare il suo vestito del diciottesimo, le mancava il ciondolo Pandora e poteva spegnere le candeline. Avrei voluto un bel calzino bianco su quelle scarpe e un’aria da Lolita, ma niente invece ci becchiamo la basic con la Vuitton nel camerino (mi ci gioco la casa): voto 3
Tizio tossichello, abito pure pure, MA QUELLA CAZZO DI CINTURA MARRONE RUBATA A UNA TIPA AMERICANA AL COACHELLA? Basta con ste cinture, vi volete far fare i pantaloni su misura? La camicia luccicosa perché?: voto 1
I gemelli, niente raga erano due che sono entrati a Sanremo per fare uno scherzone e non potevano cacciarli, altrimenti non mi spiego come ti possa venire in mente di salire sul palco con una giacca di jeans, magari dopo vanno in spiaggia a fare un falò con la chitarra. Voto -3
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Parlerò di te come se mi fossi davanti. Come se potessi sentire la mia voce, il mio respiro.
Sono arrivata al punto in cui non so se ridere o essere dispiaciuta per te, ma credo che punterò alla prima.
Si dice che chi disprezza compra, e cazzo, ne sei la prova vivente. Eppure non vedevo questo lato di te. Vedevo sempre la parte buona, quella che riusciva ad amare, ma quello che sei è tutto meno che un umano con dei sentimenti.
Ridere di te, questo mi mancava, ridere della tua finzione, del tuo aprire la bocca per versare veleno su di me. Ridere per nascondere la sofferenza, come se queste risate possano cancellare tutto. Per ora si, ma e momentanea come cosa, lo so.
Eppure, ora sei con una persona che di veleno ne sputa quanto te. Una persona che hai criticato, insultato, sminuito. Esattamente come facevi con me.
Chissà quante cose brutte dici sul mio conto agli altri. Quante cazzate avrai inventato per far bella figura davanti alle altre tipe. Così squallido che appunto, mi fa ridere.
Sono felice per te, per voi. Perché siete la stessa cosa. Fate soffrire tutti quelli che vi vogliono bene. Era destino che diventaste una coppia di vipere. Bere lo stesso veleno per poi vomitarlo addosso agli altri. Come un drink di amore tossico. Stupendi.
Ti ho dato tutto, ma ho sbagliato, non ti meritavi e non ti meriti nulla.
Non mi hai mai aiutata a stare bene. Ma infondo diciamocelo. Non stai bene neanche tu.
Ti ho visto fare tante di quelle minchiate nella vita, ma questa ha superato i limiti della concezione umana. Ti giuro, sei patetico.
E no, non è gelosia, vorrei lo fosse almeno smetterei di ridere. È solo la realtà che esce fuori da quel cumulo di amore dove avevo sotterrato lo schifo che sei. Anzi, che siete.
Io vado via da te per sempre. Anche se ora tu stessi male e avessi bisogno di me, credimi, non mi troverai.
Ricordi cosa ho detto nell’ultima lettera? Ti avevo lasciato il cuore fuori dalla porta. “Polvere e cenere”. Ricordi no? Beh, è volata via l’ultima parte di me.
Non ti odio, non ti voglio neanche più bene, provo solo tanta tristezza nel vederti ridotto così.
Eri una bella persona credimi, lo eri, ora sei solo un coglione.
Sono anni che scrivo di noi. Mille fogli e quaderni pieni di parole. Avevamo un progetto prima di chiudere, quello di scrivere un libro su di noi, sulla nostra vita. Ora te ne esci con “voglio le lettere così le metto nel libro” ma tesoro, sono anni che butto tutto il mio dolore e amore la sopra, non sai neanche cosa significa scrivere intere ore con le lacrime agli occhi e con la mano che trema.
Quindi no, non farai di quello che era nostro una cosa tua, non avrai mai le lettere. Non avrai più niente da me. E se scriverai quel libro, sarà soltanto la conferma che alla fine non hai rispetto, ma soprattutto non hai valori.
Ti auguro il meglio, anche se continuando così non so come potrai averlo.
Addio.
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Il condominio (The apartment building)
Elena apre la porta del suo appartamento.
Elena opens the door of her apartment
Il suo cane, Max, corre fuori.
Her dog, Max, runs outside
Torna qua!
Come back here
Max corre su per le scale.
Max runs up the stairs
Abbaia a una porta.
He barks at a door
Che c'è che non va?
What’s wrong?
Una donna sale le scale.
A woman comes up the stairs
Oh, salve.
Oh, hello
Ci conosciamo? Io sono Fiorella!
Have we met? I am Fiorella!
Io sono Elena. Mi sono trasferita qui la settimana scorsa.
I am Elena. I moved here last week
Ti piace qui?
Do you like (it) here?
Beh, è difficile fare nuove amicizie.
Well, it is difficult to make new friends
E mi manca la casa con il giardino in cui vivevo...
And I miss the house with the garden I used to live in...
Al mio cane, Max, piace molto giocare in giardino.
My dog Max likes to play in the garden
Oh, ecco perché è venuto alla mia porta!
Oh that’s why he came to my door!
Fiorella apre la porta.
Fiorella opens the door
Caspita! C'è un giardino... sul terrazzo!
Wow! There’s a garden... on the rooftop!
Anch'io avevo un giardino prima di venire ad abitare qui.
I also had a garden before I came to live here
Mi mancava, perciò ne ho creato uno.
I missed it, so I made one
Tu... e Max... potete usarlo se vi va!
You... and Max... can use it if you’d like!
Max corre nel giardino.
Max runs into the garden
Vieni! Ti mostro i pomodori!
Come! I will show you the tomatoes!
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