#si mi riferisco a mamma mia
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il declino della qualità nella produzione musicale italiana è così triste😭😭
If the slytherins had socials…part XV
<- part XIV
-> part XVI soon
#bro non possiamo avere solo bocelli come cavallo di battaglia#Annalisa facci na canzone che non sia uguale a bellissima#maneskin ricordatevi che siete italiani e non usate le frasi più banali di sto universo#si mi riferisco a mamma mia#aboliamo la trap#(anche se sembrerebbe che si sta discutendo se farla diventare un nuovo genere letterario#perché in classe stavamo parlando di come la poesia lirica è diventata un genre letterario solo nel 500#e che quindi tutto è in continua evoluzione#ma besties#questo no eh. no. andate viaaa.)#fedez smetti di fare il politico e torna a fare canzoni daje#magari fa un tormentone ALMENO QUELLO OH#forse Giorgia si salva#“tu mi porti suuu e poi mi lasci cadereeee”#la smetto#con l ted talk nei tags LOL
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Salve Kon.
Oggi ho portato dal veterinario un gatto che vive da quando è nato a casa mia. Da abusivo, così come la mamma e la nonna. Vivo praticamente in campagna, i gatti vanno e vengono. E si riproducono. Vado al dunque: ha perso l’uso delle zampe posteriori, la coda è spezzata, gli sfinteri rilasciati. L’ho trovato così qualche giorno fa, ha senz’altro beccato una ruotata da qualche stronzo che andava a manetta. Non ha praticamente speranze di recuperare l’uso delle zampe, dalla lastra che il veterinario ha fatto si vede la vertebra spezzata. In più non ha reagito agli stimoli fatti con la pinza sui polpastrelli. Il micio (Apu per la cronaca) mangia e beve, ma sempre dalla lastra si vede la vescica gonfia, pipì e popó escono per caduta, non sente gli stimoli. Ha solo due anni, è giovane, e fino a qualche giorno fa, è vissuto libero di andare e fare quello che voleva. Non lo vedo proprio con un pannolino su un carrellino. Credo di avere già preso una decisione in merito a cosa fare, ma ho un enorme dubbio, misto a magone: è giusto/ corretto che sia io a decidere sull’esistenza di Apu?
Terribile dilemma e ancora più terribile proporlo qua su tumblr, dove il gatto è l'animale guida di una buona percentuale di utentə.
Andrò subito al punto (non è vero)...
Tu hai già preso una decisione.
E non mi riferisco a eutanasia sì/eutanasia no ma al fatto che, per quanto selvatici e 'di campagna', hai comunque deciso di intrecciare la tua vita con la loro e dal quel momento sei diventata responsabile della loro vita, in tutte le accezioni.
In natura, senza nessuno che lo nutra, Apu sopravvivrebbe pochissimi giorni e sì, essere responsabile di un essere vivente significa anche decidere quando lui non può farlo.
La paraplegia è una condizione molto seria che richiede attenzione e cure costanti, con un rischio nemmeno troppo remoto di blocco intestinale o vescica neurologica, rischio sempre più consistente man mano che il gatto invecchia.
Salutalo con amore e fa' che nel tuo dolore per la sua perdita crescano cose luminose per chi rimane.
<3
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Mi chiamo Silvia, ho sofferto per 17 anni di #Anoressia e per 3 anni di #Bingeeating. In totale 20 anni di terrificanti DCA. Da diverso tempo sono #guarita e sono #mamma di due meravigliose bimbe. Essendo consapevole di quanto accudirle mi assorba ogni giorno e di quanto per un lungo periodo, alla sua nascita (mi riferisco alla mia figlia più grande), inevitabilmente io abbia dovuto “annullarmi” completamente come donna e come individuo per soddisfare i suoi bisogni, ho pensato di scrivere qualche riflessione relativa alla maternità, ragionando sul mio passato. In tutti i miei anni di #malattia ho intrapreso parecchi percorsi di #cura, a livello ospedaliero e non solo, e ho avuto la possibilità di conoscere tante ragazze, molte delle quali mamme... malate come me! Ora che sono mamma anch'io, mi rendo conto della grandissima fatica che queste donne hanno fatto... combattute tra sentimenti ed emozioni contrastanti verso i loro figli e verso se stesse. Un figlio è un dono, bellissimo, una gioia e un orgoglio, ma è anche un grande impegno, una responsabilità e richiede tantissima energia e presenza fisica e mentale! Oggi mi domando come avrei potuto prendermi cura di un'altra persona, strettamente dipendente da me, dal momento che non ero neanche in grado di provvedere al mio benessere! Per questo stimo, oggi più che mai, le mamme malate che ho conosciuto che hanno deciso di intraprendere un percorso di cura, che hanno accettato di mettersi in discussione per riprendersi la loro vita, anche per il bene delle proprie creature. Durante la cura è fondamentale imparare a prendersi cura di se (da tutti i punti di vista, alimentare e non solo), giorno dopo giorno e questo richiede forza, costanza e concentrazione per chi da tempo si fa del male tentando di soffocare emozioni e dolori. Diventare genitore può spesso riaprire anche ferite storiche, dinamiche malate instaurate coi propri genitori e per non riversare antichi rancori sui nuovi nati occorre avere fatto pace e comunque risanato le proprie relazioni familiari. Continua: http://www.chiarasole.com/disturbi-alimentari-e-maternita/ (presso MondoSole anoressia bulimia binge disturbi alimentari (dipendenze)) https://www.instagram.com/p/Cp7U3eNNxIl/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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Oggi è giovedì, un giovedì caldo e soleggiato e per una volta in questo giovedì mi sono svegliata alle otto e sono a casa. Dovrebbe essere una notizia buona, una di quelle piacevoli e invece non è così
Ieri è stata una delle giornate più stressanti di questo lungo periodo. Ora racconterò tutto e non importa se mi dilungherò, io il dono della sintesi non ce l'ho! (Sorry)
Durante il racconto troverete delle assurdità, cose che a confronto un drago sarebbe più reale, ma purtroppo no è tutto vero e l'Italia è sempre più un posto meraviglioso.
Ieri mio fratello tornato a casa dal lavoro ci comunica che (anche lui ignaro fino a qualche ora prima) è risultato positivo al test di controllo che hanno fatto in azienda. Il giorno prima ha avuto mal di gola (mia mamma aveva chiamato subito la dottoressa dato che è uno dei sintomi segnalati e la dott. Ci aveva comunicato che la "procedura covid" l'avrebbe potuta far partire solo dopo 3 giorni di febbre e con lo stesso sintomo). Direi che il controllo a sorpresa dell'azienda in cui lavora ha accelerato i tempi. Dopo averci comunicato questa notizia c'è stato un attimo di "panico" generale e mille pensieri che hanno iniziato a correre per la testa di tutti noi. Primo pensiero il lavoro! Secondo pensiero papà che è un soggetto a rischio e che da martedì sentiva gli stessi sintomi di mio fratello
Fase 1: chiamare subito la dott. Fase 2: prenotare subito 3 tamponi urgenti (sotto anche suo consiglio per toglierci ogni dubbio) Fase 3: isolare mio fratello, mentre noi alle 14.30 per grazia divina ci rechiamo all'appuntamento.
Facciamo questo terribile tampone che mi è toccato far per prima e chiamarlo fastidioso è falsoooo, perché brucia e gli occhi ti lacrimano e anche se dura secondi questa esperienza ti resta impressa (SHOK BECAUSE) e veniamo informati che l'unico membro familiare negativo è.... rullooooo di tamburi: io.
Già proprio così! Subito la signora dice che dovranno isolarmi e assolutamente pulire tutta la casa con candeggina, disinfettanti, lanciafiamme e bla bla bla (Ringrazio di aver avuto l'idea di andare con due auto)
Ci ritroviamo a casa, sentiamo la dott. cosa dobbiamo fare ora perché automaticamente siamo stati tutti registrati sul portale, nel mentre io continuo a pensare al mio lavoro e ai miei superiori, alle colleghe e al fatto che sono negativa e vipregomandatemialavorochenonvoglicrearecasiniiii ma la doc ci comunica che
1: nessuno può uscire di casa
2: io non posso andare a lavoro
3: i miei genitori conosceranno Emily
4: dobbiamo rifare il tampone per accertamenti perché questo è come se non fosse valido (50 euro a tampone la validità è meglio che la troviate :))) )
Ci richiama dopo qualche ora mentre noi eseguiamo e ribaltiamo la casa, cercando di capire e trovare un modo per tenerci tutti a distanza e avere meno contatti possibili. Salterò tutta questa parte perché is not important
Nella chiamata la doc dice di voler parlare con me perché l'unica diretta interessata (appost!) E mi comunica che mi potrà metter in mutua solo per questi due giorni (giovedì e venerdì, il giorno del secondo tampone ufficiale) dando per scontato che poi è Pasqua e c'è il weekend e si sta tutti a casa felici e contenti e nel frattempo penso "se miao magari" e le dico che no il sabato lavoro e pure a Pasquetta, allora dice che può prolungarmi la mutua massimo fino a lunedì ma non oltre e mi spiega che (qui c'è davvero dell'incredibile) dobbiamo sbrigarci perché il problema per chi è negativo è che l'Inps non accetta la richiesta. SIAMO UN PAESE FANTASTICO
Ricapitolando io voglio andare a lavoro perché sono negativa, non posso e mi è imposto obbligatoriamente dalla legge perché "sono a contatto" con persone positive ma allo stesso tempo loro non mi pagano i giorni a casa perché risulto negativa! Ahhh CHE BELLA LA BUROCRAZIA
Mi dice che devo fare la richiesta di protocollo bla bla bla e che martedì poi in base all'esito del secondo tampone vediamo come proseguire. Riferisco tutte queste informazioni al mio datore di lavoro, e con gran sorpresa, niente urla, imprecazioni, arrabbiature (per questa notizia che si ripercuoterà sul cambio di turni ecc), ma anzi è lui a rassicurarmi e dire di non preoccuparmi perché sì sanno che le procedure sono lunghe e infinite e che ci aggiorniamo ecc ecc...
Insomma ora, che sono davvero quasi arrivata alla fine della storia, devo sperare di risultare negativa anche al secondo tampone anche se ammetto che un po di ansia ce l'ho. Non so cosa può succedere in questi giorni e da ieri sono isolata a mangiare in camera mia, sulla scrivania, comunichiamo tramite chiamate e messaggi, indossiamo per forza la mascherina e non posso utilizzare niente che tocchino loro. Praticamente è una sorta di isolamento al contrario! Dobbiamo fare i turni solo per andare in cucina che è l'unico posto in comune e so che bisogna solo abituarsi e all'inizio è un po strano ma questa situazione per quanto ironicamente e allegramente cerchi di prenderla è davvero pesante. L'unica cosa che mi era rimasta quando tornavo da lavoro era la corsa e poter uscire a passeggiare ed ora dovrò passare il più delle ore di ogni giornata dentro le mura di camera mia. Non so è una sensazione davvero strana e non so bene come spiegare quello che sto provando, anche per la situazione in generale, l'atmosfera che c'è tra la mia famiglia, i pensieri che passano nella teste di ognuno di noi, specialmente di papà e ieri ho visto per un attimo andare tutti in tilt e il panico nei loro sguardi. Ringrazio che per il momento stiano bene se non per un semplice mal di gola e raffreddore ma spero che passi e finisca il più presto possibile perché ora anche quel briciolo di normalità che era rimasto almeno all'interno della nostra casa, è stato spazzato via.
E in tutto questo sono furiosa e allibita ma non stupita da come le cose si svolgano e funzionino male in Italia ed è inutile fingere il contrario, ma non possiamo stupirci se poi i casi aumentano ogni giorno e se passeranno anni prima che finisca questa dannata storia. Basta solo vedere cosa succede e quante cose senza senso ci sono quando uno chiama per dire che ha un sintomo...3 giorni e chi dice che sono per forza tre giorni, ad una persona magari gliene basta uno di febbre! questo è tutto tempo perso che non torna.
Ho finito, davvero. Ora vado a dipingere
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Koh Samed, le pasticcerie ambulanti e un anno da dimenticare
Questa mattina ho aperto per sbaglio la cartella delle bozze, una sorta di cassetto dove finiscono tutti i racconti che per un motivo o per l'altro non ho mai condiviso, e ho trovato una serie di pensieri sconclusionati che riletti a oltre 7 mesi di distanza hanno più senso di quando li buttai giù. Non è la prima vota che vi avverto quando sul diario metto un post che non ha né capo né coda.
Questo è uno di quelli, pensieri sparsi, senza ordine logico o cronologico.
Questo post è stato scritto in 3 momenti diversi: a fine dicembre 2019, quando ero comodamente seduto sulla veranda del piccolo bungalow a Koh Samed, in vacanza con i miei all'inizio di febbraio2020, quando si iniziava a parlare di Covid 19 (anzi di Coronavirus) e i miei erano giunti alla fine del loro soggiorno in Thailandia e oggi, a una decina di giorni dal mio XYesimo complenanno. Quello che state leggendo però non segue necessariamente un ordine cronologico preciso.
Fra pochi giorni, salvo imprevisti ovviamente, sarò di nuovo a Koh Samed, per la prima volta in 7 mesi e da lì passerò a Koh Kud (o Koh Kood), per la prima volta dopo 10 anni. Ho voglia di ritrovare quella che ho sempre detestato, la normalità!
E allora la mente vola e mi chiedo se a Samed potrò riassaporare quel senso di spensieratezza pre-pandemia. Non ci saranno i miei ma non ci saranno neppure molti degli amici che lavorano sull'isola da anni, chi bloccato fuori dal paese, chi tornato a casa perché sull'isola manca il lavoro. E mi chiedo se il post sulle "pasticcerie ambulanti che volevo scrivere a dicembre avrebbe ancora senso. Tante volte da Koh Samed avrei voluto parlarvi delle "pasticcerie ambulanti"... le avete mai viste?
Chi non è mai stato in Asia potrebbe far fatica ad immagianrsi una cucina-mobile. I ristoranti di strada, con cucine attrezzate montate su 2 ruote, sono la normalità da queste parti, con trabiccoli che spostano interi ristoranti, cucina, tavoli e sgabelli. In Thailandia ci si imbatte spesso in ristoranti mobili, spesso specializzati in noodles, altre volte in pollo fritto o spiedini alla brace. Ora vanno di moda quelli che preparano piatti tipici Isaan. Ma quanti di voi conoscono le pasticcerie nomadi?
La prima volta che ne ho vista una ero proprio a Koh Samed e per un goloso come me era come fosse un'oasi nel deserto. Il profumo dello zucchero lo sentii da lontano. E non posso non pensare a lui, l'abile pasticcere senza forno e senza frigo, il compagno di tante scorpacciate al chiaro di lune, Lan. Sarà ancora a Ao Tubtim? Quando ci siamo conosciuti era ben più giovane anche se è probabilmente la vita che conduce e il sole a farlo sembrare pi vecchio di quanto non sia. Quando lo incontrai la prima volta era appena sbarcato sull'isola con il fratello più piccolo e un cugino. Cercavano "fortuna" o meglio fuggivano dalla miseria del loro paese. Si vergognavano a dire che non erano tailandesi ma non volevano neppure che venissero scambiati per cambogiani. Essere birmani era (ed è tutt'ora) al tempo stesso motivo di vergogna e orgoglio. Non avendo trovato un lavoro se ne inventarono uno: pasticceri da spiaggia!
A distanza di 9 anni (ora quasi 10) Lan era ancora l�� a Samed quando arrivammo in spiaggia, io, mia madre e quello "zucchero-dipendente" di mio padre. Ora è sposato e ha una bellissima bimba. Il fratello è tornato in Birmania dopo essersi sposato con una giapponese - e Dio solo sa come se la sta passando ora che in Birmania a causa del Covid vige ancora il coprifuoco e le frontiere sono bloccate. C'è così tanta disperazione che stanno sacceggiando pure i templi di Bagan! Con il cugino ha (o forse dovrei dire aveva) in mano il monopolio dei ROTI di Koh Samed.
Il roti è una sorta di pane tipico dell'Asia meridionale di cui ne esistono molte varienti sia per il tipo di farina usato, sia per la modalità di cottura sia per l'uso che ne viene fatto. Quello indiano è sbarcato in Malesia (dove accompagna molti piatti tipici a base di curry) nel sud della Thailandia (dove viene servito caldo insieme alle zuppe di curry verde) e in Birmania (dove è spesso servito come dolce).
Lan la sua fortuna la deve proprio all'essere birmano e all'aver portato con sè l'abilità di preparare i roti dolci.
Tutti i giorni prima del tramonto spinge(va) il suo carretto sulla spiaggia. Accende il fornello sotto la piastra di metallo leggermente concava e unge accuratamente il piano sul quale prepara i sui roti. Arriva con le pallette di pasta già pronte, in bella mostra sul carrello, accanto a zucchero, marmellate e gelatine, banane fresche, sciroppi e Nutella.
Un cliente tira l'altro. Le mani abili di Lan si muovono in completa autonomia senza bisogno che gli occhi controllino quello che fanno. La gente lo guarda affascinata dalla maestria con cui con pochi colpi sicuri trasforma le pallette in sottilissime sfoglie pronte da essere cotte sulla piastra rovente. Un po' di burro rende più croccante il roti che una volta cotto viene adagiato su un piattino di carta e guarnito a seconda del gusto personale dei clienti. Con 30-60 Baht, a seconda di quello che si ordina, si va via sorridenti.
A me non chiede più cosa voglio. Sa bene che se vado prima del tramonto è per prendermi il roti con limone e zucchero mentre se vado dopo cena la scelta è sempre banana e Nutella. Sorride e mi parla in tailandese facendo un po' di gossip sui clienti stranieri che ci stanno intorno. Mi racconta del fratello e mi confida che anche lui un giorno tornerà nella cittadina del nord della Birmania dove aveva lasciato la mamma oramai anziana alla quale ogni mese mandava quello che poteva per aiutarla. Sorrideva pensando che la sua vita sull'isola era ben più dignitosa di 9 anni fa ma era triste e si sententiva in colpa visto che la mamma era morta e lui non era riuscito a rivederla e ad andare al funerale.
Quando anche l'ultima palletta di pasta è stata servita spegne il fuoco, pulisce la sua pasticceria ambulante e riporta il carretto a casa dove lo aspettano moglie e figlia. Mi saluta dicendo "See you tomorrow Pi (che in tailandese significa fratello maggiore)" anche quando il "tomorrow" magari è fra 2 o 3 mesi, o 7 come in questo caso, sempre che sia ancora lì e non sia stato deportato come è invece accaduto a tanti suoi connazionali.
Partire, lasciare il paese in cui si è nati, salutare amici e parenti sembra semplice quando sogniamo una vita all'estero, quando il paese dove siamo nati ci sta stretto. Quando poi il sogno si avvera si vedono le cose da altre angolazioni e qualche volta la nostalgia diventa pesante, soprattutto durante le feste.
La pasticceria mobile di Lan ha le ruote e sicuro che lo seguirà ovunque decida di trasferirsi e fintanto che non tornerà a casa sua, nel paese dove è nato. Io non ce l'ho un carretto da spingere ma in questo periodo mi chiedo spesso se e quando tornerò in Italia, se e quando rimetterò le radici nel paese in cui sono nato.
È nella separazione che si sente e si capisce la forza con cui si ama. Fëdor Dostoevskij
Vi lascio con un video MOLTO LUNGO in cui si parla anche di Koh Samed... e dove a distanza anche i miei dicono la loro su questa bellissima isola.
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More Than a Trickster - ATTO XVII [ITA]
Autore: maximeshepard (BeatrixVakarian)
Genere: Mature
Pairing: Loki/Thor
Sommario: questo è il mio personale Ragnarok. Si parte e si finirà alla stessa maniera, alcune scene saranno uguali, altre modificate, altre inedite. Parto subito col precisare che qui troverete un Loki che non ha nulla a che fare con il “rogue/mage” in cui è stato trasformato in Ragnarok, e un Thor che si rifà a ciò che abbiamo visto fino a TDW.
Loki e Thor sono stati da sempre su due vie diverse, ma quando il Ragnarok incomberà inesorabile su Asgard, le cose cambieranno. Molte cose cambieranno.
Capitoli precedenti: Atto I - Atto II - Atto III - Atto IV - Atto V - Atto VI - Atto VII - Atto VIII - Atto IX - Atto X - Atto XI - Atto XII - Atto XIII - Atto XIV - Atto XV - Atto XVI
@lasimo74allmyworld @piccolaromana @miharu87 @meblokison @mylittlesunshineblog
N.d.a.: Lo so, ci sto mettendo una vita. Ma davvero, me ne stanno capitando di tutti i colori ultimamente e ho veramente voglia di terminare questa storia, tuttavia la mia ispirazione e la mia concentrazione sono affidabili quanto Loki di fronte al Tesseract con un cartello scritto “Non toccare”. xD
Siccome io tumblr lo visualizzo o a lavoro in pausa o quando sono morta nel letto, tendo a dimenticarmi cose e a vederle tipo eoni dopo. Tendo anche a farmi prendere dal nervoso quando leggo determinate cose che ben sapete e quindi vedo rosso. E quando vedo rosso, voglio rimanere lontano da ciò che mi da conforto. Quindi recupero qui le risposte xD
@miharu87: Come sempre, grazie a te! Siamo un fandom terribilmente sfigato, non c’è definizione più calzante. A fronte del fatto che ci hanno davvero tolto tutto, ci hanno distrutto Asgard in ogni sua forma, significato, lasciandoci solo gli amari ricordi (e non mi riferisco, come ben sai, unicamente al pianeta, ma a tutto il dannato franchise), bene… Ho deciso di vivere di ricordi e di farli rivivere. Per me Thor, come franchise, continuerà sempre nelle nostre storie. Che la Marvel si metta il cuore in pace. Non ci faremo derubare anche di ciò che più amiamo. Quello non ce lo possono portare via. Per cui finirò questa storia e continuerò con altre. Non mi avranno mai.
@meblokison: Mamma mia, io non so più come risponderti. Mi… Mi lusinghi oltre modo! Addirittura farti re innamorare della Marvel? Temo ci voglia un miracolo… Ma ho capito cosa intendi e ti ringrazio veramente dal profondo del cuore! E sono terribilmente sollevata dal fatto che il mio Thor e il mio Loki piacciano, che non li troviate OOC - cosa che mi spaventa davvero moltissimo. Mi rendo conto di aver dato una fracca di spazio in più a Loki, forse fin troppo, ma qui è il mio cuore che parla e francamente me ne infischio (cit.). Alla fine, è ciò che tutti abbiamo sempre voluto. Loki al pari di Thor. Ed è anche ciò che ha fatto crollare - probabilmente - le fondamenta di questo franchise, ma questo è un altro discorso e mi fermo, prima di imprecare sonoramente e augurare notti sul water in maniera random a gente random. Grazie ancora per il supporto!
BUONA LETTURA!
- Atto XVII -
Quando Loki si calò dall’aeronave assieme a Rekis e ad un nutrito gruppo di uomini di Brunhilde, Heimdall sbucò dalla feritoia in cima alla lunga scalinata che portava nel cuore della montagna.
Diede precise istruzioni ai nuovi compagni, per poi attivare uno dei portali di Asgard e manifestarsi proprio innanzi al Guardiano. Tutte le innumerevoli persone riunite in quella stanza si voltarono sorprese – solo un mormorio indistinto nell’aria, prima che calasse il silenzio.
Loki sorrise impercettibilmente – un cenno di saluto.
“Ti ho visto arrivare” commentò Hemdall, appoggiando il peso sulla spada a due mani, puntata a terra. Loki lo superò con passi misurati, guardandosi attorno.
“Ovviamente” commentò ironico, per poi passarsi una mano alla base dei capelli e richiamare il suo seidr: al passaggio delle sue dita, l’elmo dorato cominciò a prendere forma, in un elegante scintillio.
Quando aprì gli occhi in quelli della popolazione di Asgard, scorse qualche sorriso di speranza tra sguardi di diffidenza. Erano più che spaventati: vi era un numero davvero esiguo di uomini adulti, per lo più quei rifugiati rappresentavano donne, giovani e bambini. Pochissimi anziani.
Loki strinse le labbra in una smorfia.
“Si sono battuti con onore” sussurrò il Guardiano, raggiungendo il Principe di Asgard al suo fianco.
“E’ un miracolo che così tante persone siano rimaste in vita. Tu e Sif avete fatto un ottimo lavoro. La guardia reale?”
“Si sono salvati in pochi. Sono con lei. Hela sta venendo qui”.
Loki prese un grosso respiro, facendosi largo tra la folla. Una ragazzina sui quattordici anni sfuggì di mano alla madre, correndogli incontro e aggrappandosi stretta alla sua vita.
“Aiutaci”.
A Loki si strinse il cuore e un nodo si formò in fondo alla gola. Per qualche istante rimase come folgorato, impietrito nel da farsi, incapace quasi di processare quel gesto, sotto gli occhi sgranati della folla. Posò quindi, delicatamente, la mano sul capo della ragazzina, accarezzandole i capelli. La sentiva tremare sotto le dita.
Le tirò il mento verso l’alto, asciugandole le lacrime. Quegli occhi chiari erano pieni di terrore e disperazione di chi ha visto cose che non doveva vedere. Non indugiò in un sorriso o in gesti plateali, bensì pronunciò parole che mai si immaginò di pronunciare.
“Sono qui. Siamo qui. E vi porteremo in salvo” rispose con tutto il volume possibile che quel nodo alla gola potesse permettere. “Heimdall, procedi con l’evacuazione. Non passerà nessuno da quella porta”.
Thor era seduto sul trono – Gungnir stretta nella sua mano. Era seduto sullo scintillante e dorato trono di Asgard, dopo aver scavalcato le macerie delle ampie volte, disseminate nella parte superiore della navata centrale, dopo aver attraversato il corridoio vuoto e silenzioso, i colonnati, salito la grande scalinata che dava accesso alla sala del trono. Tutto era uguale a come l’aveva visto giorni fa – fatta eccezione per il soffitto, ma, allo stesso tempo, tutto pareva diverso.
L’ingombrante presenza di Hela traspariva dall’atmosfera che si respirava, benché della donna non ve ne fosse traccia. L’inquietante silenzio in cui Asgard era sprofondata, era qualcosa che riusciva a mettere i brividi pure a lui.
L’unica anima che avevano incontrato, quando erano atterrati sul Bifrost, era quella di un’enorme bestia dalle fattezze di lupo. Il suo pelo grigio scuro, color antracite, faceva spiccare le sue verdi iridi contornate di rosso: Banner aveva trovato il suo avversario, per il momento e Brunhilde aveva coperto il suo re, mentre rapido sfilava correndo verso il palazzo – i fulmini tra le dita, lo sguardo furioso, la lancia di suo padre stretta tra le mani.
Era pronto ad affrontare Hela. La rabbia del tuono era ora dalla sua parte – e non solo quella. La rabbia di tutti quelli che avevano patito le conseguenze di Hela, lo seguiva come una fumosa ombra sinistra.
Ma quando arrivò nella sala del trono, si ritrovò solo, a fissare i calcinacci a terra, dapprima, poi il soffitto, il quale mostrava affreschi del tutto diversi da ciò che ricordava.
Si era fermato, naso all’insù, il cuore che incrementava il suo battito nel vedere le raffigurazioni di Odino visibilmente più giovane ed Hela, con Mjolnir alzato verso il cielo, in segno di vittoria.
Ebbe un moto di nausea: la sola idea che il suo martello fosse appartenuto, dapprima, a quel mostro – che quel mostro fosse qualcosa di diverso, una volta… Thor non riusciva a fare mente locale, non riusciva a ragionare con lucidità: era come se fosse sprofondato in una spirale di fango. Tutto era nero, fumoso, oscuro.
Strinse la mascella con vigore, portando gli occhi sul trono di Asgard.
Cosa aveva fatto, Odino?
Con quel pensiero, si era seduto sul freddo trono, accarezzando i braccioli scolpiti e le levigature, lentamente. Quell’affresco visibilmente datato, poteva voler dire tutto e niente. Poteva essere un inganno di Hela. Tuttavia, non riusciva a togliersi dalla mente la probabilità che suo padre avesse messo, nuovamente, mano alla verità.
Sbattè tre volte la base di Gungnir al suolo: i suoi colpi, potenti, riecheggiarono per tutta Asgard – come soleva fare l’Allfather nel richiamare l’attenzione. Seduto sul trono, la mano sinistra a stringere gli ornamenti, lo sguardo tumultuoso, fisso sull’ampio portone dell’ingresso. Il viso tirato.
Sarebbe venuta da lui. Ne era certo.
Le due pesanti porte che mantenevano sigillato il covo della montagna, vibrarono sommessamente. Si udì come un rumore metallico, prima che venissero divelte completamente.
Sif era ritornata appena in tempo con parte delle persone recuperate e i superstiti della guardia reale: si stava prodigando con Heimdall per velocizzare l’evacuazione di quella caverna, mentre Loki rimaneva in piedi, fermo, di fronte all’ingresso ancora intatto.
Le sue mani erano circondate da un’aura verde brillante, i suoi occhi serrati. Sif aveva scambiato uno sguardo con il Guardiano, mentre prendeva in braccio due bambini e accompagnava le donne ai primi scalini, verso l’esterno.
Quando le porte vennero scaraventate a terra, non avevano ancora ultimato l’evacuazione e rimase atterrita alla visione di Hela e del suo terrificante esercito alle sue spalle.
Sia lei che Heimdall estrassero le spade. Loki aprì gli occhi, incrociando lo sguardo con la sorella, la quale sorrise compiaciuta.
“Guarda chi è tornato a casa…” constatò melliflua, appoggiando un piede dopo l’altro sulla passerella che aveva creato. Un passo, due. Un terzo.
Il quarto non lo fece.
Tutt’intorno cominciarono a rimbombare i tre rintocchi di Gungnir. Hela si voltò in direzione del palazzo reale con sguardo sorpreso e quando riportò l’attenzione sulla figura di Loki, lo vide sorridere serafico.
“Già” fu la sua risposta asciutta “Temo che qualcuno ti stia cercando, Sorella”.
Loki sperò con tutto il suo cuore, che non si arrivasse a quello che si verificò poco dopo: sperava che Hela concentrasse il suo solo interesse in Thor, che lasciasse perdere la sua assurda caccia agli Asgardiani che erano riusciti a rifugiarsi dentro alla caverna per sfuggire alla disperazione che Sif e Heimdall gli avevano descritto poco prima.
Ma Hela… Hela era un’entità prevedibile quanto inesorabile.
Non proferì parola. Alzò semplicemente una mano, prima di voltare le spalle e dirigersi verso Thor. Diede un ordine con un cenno.
L’esercito di non morti incominciò a marciare sulla passerella, oscuro come una notte senza luna. Un manto nero e verde, dalle sembianze grottesche.
“Loki!” urlò Sif dietro di lui, prima che una luce verde esplodesse nella penombra di quel rifugio sicuro. Una barriera si erse di fronte a tutti loro – le braccia di Loki tese in avanti. Strinse i denti quando l’armata cozzò contro il muro invisibile.
Loki sperò davvero di essere abbastanza forte da resistere a quella furia sconosciuta.
Sperò di essere abbastanza per Asgard, questa volta.
I grugniti di Loki echeggiavano per tutta la caverna, ormai sgombera. Le sue tempie pulsavano, gocce di sudore correvano lungo le sue guance e ogni parte del suo corpo doleva come se fosse rotta.
Heimdall e Sif erano tornati di corsa dall’ultimo giro, Rekis aveva dato l’ordine di decollare con la nave e di mantenersi in orbita per sicurezza.
“Cosa diavolo ci fate ancora qui?!” esclamò Loki, in evidente difficoltà. Il Guardiano gli si era affiancato, osservando la barriera che cominciava a dissolversi ai lati. Alcuni soldati di Hela indugiavano arti e armi attraverso le fenditure.
“Combatteremo. Con te” rispose semplicemente Hemidall, mentre Sif appoggiava una mano sul braccio destro teso di Loki.
“Usa il teletrasporto. Thor avrà bisogno di aiuto, non ce la può fare da solo contro di lei”.
Loki soffocò una risata sarcastica. Quello era l’ultimo scenario che gli sarebbe venuto in mente, fino a ieri. Si sarebbe messo a ridere al solo pensiero di figurarsi in quella caverna, con le braccia tese in avanti, il suo seidr alla massima potenza, Sif ed Heimdall pronti a sacrificarsi come esche per permettergli di salvarsi.
“Come se avessimo una possibilità” la schernì, quasi in malo modo. Sif sorrise amaramente.
“Se mi muovo, la barriera crollerà. E se la barriera crolla, l’orda di non morti ci travolgerà” sibilò, osservando i volti scavati e scheletrici di fronte a lui.
“Cercate la Valchiria. Raggiungete Thor e sconfiggete Hela. Io cercherò di resistere e di bloccarli qui: se Hela viene sconfitta, anche il suo esercito cesserà di vivere – o meglio, di animarsi, visto che ho l’impressione che questi dannati schifosi non possano morire” commentò sarcastico.
“Esattamente” sottolineò il Guardiano.
“Loki…” la donna strinse la presa sul suo braccio, la sua voce greve, ma l’occhiata gelida di Loki interruppe le sue parole immediatamente.
“Oh, Sif, per favore. Non voglio la tua pietà”.
“Non si tratta di questo. Non resisterai ancora a lungo” spiegò lei “E non ti lasceremo qui a morire”.
Loki sospirò frustrato, scuotendo la testa. Non avrebbe avuto tempo di teletrasportarsi: anche se i due compagni avessero intercettato i primi soldati che si sarebbero avventati su di loro, erano in troppi. Si sarebbero riversati come una cascata dentro la caverna.
“Non c’è altro modo” sussurrò lui e quelle parole caddero nell’eco di quel luogo impolverato, nel silenzio spezzato solamente dagli ansimi di quelle creature orrende.
Loki non poteva vederlo, ma Heimdall lo stava scrutando con i suoi occhi d’ambra da diversi istanti. Sif, arresa di fronte alle parole di Loki, incrociò il suo sguardo con una muta richiesta d’aiuto.
“Ne sei sicuro?”
La goccia di sudore sulla tempia sinistra di Loki gli rigò la guancia, procedendo veloce fino al bordo della mandibola, a ridosso del mento. Il suo respiro era corto, la fatica inverosimile.
Portò solo lo sguardo in direzione del Guardiano, inumidendosi le labbra rapidamente. Poi i suoi occhi si sgranarono.
“Dovrai essere veloce”.
“Oh… Non davanti a lei”.
“E’ l’unico modo”.
“Non davanti a lei!” urlò Loki. La barriera tremò, cedendo sul lato sinistro e due creature irruppero nell’atrio: subito, Sif ed Heimdall, si gettarono a combatterli e li atterrarono nel modo più efficace possibile.
“Non davanti a me, cosa?” esclamò la donna, lo sguardo visibilmente spazientito e contrariato. Loki guardò Heimdall, di nuovo, una volta ripresa la concentrazione necessaria a mantenere la barriera.
Il Guardiano lesse il terrore nei suoi occhi.
“Allora? Quei mostri staranno a terra ancora per pochi minuti! Spiegatemi di cosa state parlando!” chiosò Sif, puntando entrambi con la punta della spada, in un gesto secco.
“Io non me ne vado di qui, Loki!” aggiunse, quando lui si chiuse ancora di più nel suo silenzio e il suo sguardo si rivolse verso il terreno. La sua testa stava esplodendo e la sua concentrazione, di quel passo, sarebbe calata drasticamente ed inesorabilmente.
Stava per cedere.
“Temi così tanto il giudizio di Sif, ma non temetti il mio, all’epoca” constatò Heimdall, con la sua solita pacatezza nella voce. Loki sogghignò.
“Tu hai sempre saputo. Nessuno, a parte te e… Odino, mi hanno mai visto così”.
Il Guardiano non rispose. Sif fece per riprendere parola, ma Loki scosse la testa, rivolgendole uno sguardo mesto.
Prese un grosso respiro.
“Ho bisogno di due, tre secondi, per invocare il Casket of the Ancient Winters, ma non sono sicuro di riuscire a fermarli tutti quanti”.
“Cosa c’entra la reliquia di Jotunheim?” fece eco Sif, la quale ormai si era arresa ai misteri celati da quei due. Vide Heimdall estrarre lo spadone e mimò il suo gesto, sguainando la spada e imbracciando lo scudo di fronte a sé.
Loki sorrise ai limiti dell’esasperazione. Un profondo senso di nausea si impadronì di lui.
“Qualsiasi cosa vedrai, Sif” ripose Heimdall “Pensa unicamente a fermare la corsa di quelle creature”.
“Ma-“
“Sif” Loki si voltò nuovamente “Non ce la faccio più”.
E Sif, di fronte a quello sguardo disperato e a quel tono di voce sconfitto, non poté far altro che affiancare il suo Principe, in silenzio.
Il rumore cadenzato di passi, echeggiò nella sala del trono: Thor posò lo sguardo sulla donna che varcò la soglia, districando distrattamente i lunghi capelli neri. Il suo passo era misurato, i suoi gelidi occhi fissi sulla sua figura regale, adagiato sul trono. Sul suo trono.
Thor strinse le labbra e la lancia. Le sue dita tremarono leggermente attorno al fusto di Gungnir. Sarebbe stato falso supporre che non provasse paura, ma più la sua figura si avvicinava a lui, più il sangue dei Warriors Three riverso sul pavimento del Bifrost intensificava il suo colore.
Rosso. Il suo colore distintivo.
“Sorella”.
Hela sorrise compiaciuta, il suo tono suadente quando parlò.
“Sei ancora vivo…”
Thor sorrise di rimando. No, non era facile ammazzarlo. Né lui, né suo fratello. E, a quanto pareva, tutti e tre i figli – di sangue o meno – di Odino, erano duri a morire.
“Ho visto che hai dato un tuo tocco personale a questo posto” commentò con visibile sarcasmo, un’occhiata all’affresco sul soffitto. Hela appoggiò un piede su una delle macerie, calpestandole con viziosità, ma mantenendo lo sguardo sulla figura del fratello.
“Sembra che ad Odino piacesse… Come dire, nascondere diverse cose” gesticolò, con la mano destra.
“O bandirle”.
Hela strinse la mascella, indurendo la sua espressione per qualche istante, prima di fare un lento giro su se stessa – le braccia leggermente aperte, ad indicare tutto quel che vi era attorno a loro.
“Cosa credi che fosse Asgard, prima di te?” domandò “Dove credi che arrivi tutto questo oro, questi ornamenti, queste effigi?”
Tornò a reggere il suo sguardo. “Cosa credi che sia il tuo popolo, quali credi che siano le vere memorie Asgardiane? Chi credi che fosse Odino? Tu non sai niente, Thor… Non conosci nulla di Asgard”.
Thor non rispose: si limitò unicamente ad alzarsi e a scendere un paio di scalini, osservando Hela negli occhi – il suo volto una maschera imperturbabile.
“Io ed Nostro Padre affogammo intere civiltà nelle lacrime e nel sangue. Come credi che Asgard sia arrivata a governare indirettamente tutti i Realm?” continuò lei, avvicinandosi passo dopo passo al trono.
“Io… Ho permesso gran parte di questo. La gloria di Asgard non era mai stata così all’apice, finché…” ed Hela digrignò i denti con disprezzo “Odino non decise di rammollirsi. Di proteggere le sue conquiste con l’ipocrita pretesa di instaurare alleanze e ridare indipendenza. Di proteggere la vita”.
“E fu così che ti esiliò. Sì” commentò Thor “E’ un comportamento tipico di Nostro Padre. E capisco, credimi, la tua voglia di rivalsa. E anche la tua pretesa al trono – tecnicamente, sei la primogenita. Ma…”
Un lampo azzurro si sviluppò dal centro del petto di Thor e si estese come una ragnatela a tutto il suo corpo. Il suo occhio brillò di una luce intensa.
“Ma tu sei un mostro” continuò, mentre Hela socchiudeva gli occhi e passava le dita affusolate sulla sua nuca, trasformando i suoi capelli in corna.
“Tu hai ucciso i miei più fedeli amici. Hai trucidato il tuo popolo. Hai tentato di uccidere me e Loki”. Scese un altro paio di scalini, sprigionando il suo potere che traboccava ad ogni secondo che passava.
“Nostro Padre una volta mi disse che un re saggio non cerca mai la guerra…”
Hela si lasciò andare in un ghigno provocatorio, prima di gettarsi all’attacco e concludere per lui ciò che anche lei sapeva bene.
“Ma bisogna essere sempre pronti per affrontarla!”
nda (de novo): Ho deciso di lasciare l’incontro tra Thor ed Hela molto simile all’originale del film, perché lo reputo bello - sì, sono sincera. Non credo di approfondire più di così Hela. Non è un personaggio nelle mie corde. O meglio, lo sarebbe, se solo le avessero dato un bg più ampio - avessero approfondito cose.
#loki#thor#fanfiction#thorki#thor ragnarok#canon divergence#my personal ragnarok#loki is not just a trickster#He's more than that#hela#sif#heimdall#loki has a quite weight in this story#and i'm not even sorry
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La mia prima esperienza su internet
“Papà, papà, che cos è quella grande scatola? Che cosa c’è dentro?”.
Papà non rispose ma, guardandomi negli occhi e sorridendo, mi disse: “Aiutami ad aprirla”. Beh, lo sappiamo: quando si è piccoli tutto ciò che circonda ci appare più grande di com’è davvero, avete presente? Bene, ciò non vale per quell’aggeggio gigante che mi ritrovai in casa alla tenera età di chissà quanti pochi anni, forse 3, forse 4, là, dove i ricordi della nostra infanzia piano piano si iniziano a formare.
Ah, che tenero… Ecco, quell’enorme “coso” sulla sinistra è ciò a cui mi riferisco.
Un normalissimo computer che papà comprò per dare continuità al lavoro dall’ufficio a casa e che io, nel mio minuscolo mondo lontano da ogni invasione tecnologica, guardavo attraversato da un connubio contrastante di paura e fascino. Lo aiutai così a tirare fuori quell’aggeggio, il computer (e con “aiutai” intendo stare fermo lì accanto, affascinato ed incuriosito, riempiendo di domande quel povero cristo che si era già pentito di aver chiesto il mio aiuto) e sistemarlo alla bell’e meglio sopra un vecchio mobile di casa per poi accenderlo. Poco altro la mia memoria ha avuto premura di mantenere quel giorno, se non l’immagine di mio padre, seduto nell’angolo della stanza, che smanettava ininterrottamente sui pesanti tasti grigi della tastiera sbuffando, ogni tanto, ed ogni tanto compiacendosi per il lavoro svolto; io che, poco lontano da lui, guardavo un po’ spaventato quello schermo nero con un sacco di scritte sopra che sembrava essere animato, come per magia, da un’entità superiore. Tornai a giocare per i fatti miei.
Piano piano accadde che feci amicizia con il nuovo arrivato, sentii che lo stupore iniziale non riusciva più a soddisfare quel sentimento di curiositas nato in me; sentii che il piccolo me dell’epoca, spinto probabilmente, come ogni figlio, anche dal desiderio di emulare il papà, aveva bisogno di qualcosa di più.
“Papà, papà, insegni anche a me a fare quelle cose come fai te?”
Papà, guardandomi negli occhi e sorridendo, mi prese in braccio e mi posò sulle sue gambe. Con il cuore che batteva a mille per l’emozione, ricordò che pigiai con forza sui tasti guidato dalle grosse mani di papà e che in quel piccolo atto, sentii un flusso di enorme potenza che mi scorreva nelle vene. Probabilmente, tutto quello che avevo fatto fu schiacciare un paio di tasti a caso mentre il computer era spento, ma “who cares?”, ero il re del mondo. Delirio di onnipotenza che durò ben poco. Così mi dedicai ad altre attività, quali:
Fonte: Wikipedia
Eh sì, la Kinder regalava in omaggio questi primi giochi per computer con l’acquisto dei pacchetti di merendine. Jackpot.
Arrivò il 2005, anno fondamentale per la mia formazione culturale in ambito videoludico, anno in cui i miei genitori acquistarono per me il mio primo GameBoy e da lì, in seguito, il mio primo Nintendo DS. Ora, per chi ha avuto un Nintendo DS, invito a prendersi un momento per essere onesti con se stessi e con il mondo, porgendo la nostra coscienza ad un attenta valutazione e facendo emergere, solo per un attimo, i pericolosi criminali che erano in noi. Chi, possedendo un Nintendo DS, non ha mai acquistato e fatto uso di questa:
R4 è una flashcard che permetteva di utilizzare ROM commerciali scaricate illegalmente su internet, cheat per alcune tipologie di giochi, supporto per video, immagini ed audio. Insomma, una via facile verso il paradiso multimediale che potevo comodamente inserire nell’apposita slot della mia console. Unico ostacolo: questi giochi da qualche parte andavano presi ed era perciò ora di rimboccassi le maniche, imparare i trucchi del mestiere e tuffarsi nel magico mondo del web. Sempre con l’aiuto del mio unico mentore, papà, imparai così come navigare tra le pagine dell’internet, effettuai i miei primi download, caricai i primi giochi sulla schedina SD e, con non poca fatica, riuscii ad ottenere il tanto atteso risultato. Con l‘accesso ad internet però, iniziarono i primi problemi tecnici: diverse volte il computer fu attaccato da vari virus che, nel corso del mio smanettamento perpetuo online, mi ritrovai a scaricare tra un gioco ed un altro. L’intervento di papà salvò la situazione diverse volte, benché le annesse lamentele non tardarono, giustamente, ad arrivare. I rischi del mestiere, d’altronde.
In seguito, fu la volta dei primi Social Network, che ritengo altrettanto importante da inserire in questa breve carrellata di ricordi. Era il 2007 quando papà, come militare dell’Areonautica, partì in missione per il Kosovo lasciando il sottoscritto e mamma da soli a casa per un intero mese. Fu la prima volta che provai quel sentimento di estrema mancanza di una persona nella mia vita, nelle piccole azioni quotidiana di tutti i giorni, dai pasti in due anziché in tre fino alla buonanotte la sera. Per tal motivo ogni tanto mi immergevo nei miei pensieri per lungo tempo prima di essere (felicemente) interrotto da questo:
Fonte: Wikipedia
Ahh, se lo avete riconosciuto è perché ancora avete gli incubi e, in lontananza, riuscite ancora a sentire l’eco del famigerato trillo. Windows Live Messenger (anche detto, più popolarmente, “MSN”) è stato un servizio di messaggistica istantanea prodotto da Microsoft. In pratica, il nonno di tutti i social di messaggistica istantanea che oggigiorno sono entrati in simbiosi con le nostre vite. Con MSN potevo sentire papà anche se era lontano in Kosovo, potevo parlare con lui, scambiare faccine sorridenti, inviare trilli in continuazione (perfetto equilibrio tra il male più assoluto ed il divertimento sfrenato) e riceverne. Insomma, era roba forte per uno come me che passava tempo davanti al computer e poteva evitare sporadiche telefonate lungo il corso della giornata per dover rimanere in contatto con persone letteralmente dall’altra parte del mondo. Su questa onda social, pochi anni più tardi, fu la volta di Facebook. Ottenuto il permesso di mamma, pressata dalla mia insistenza sul fatto che “tutti i miei amici lo hanno”, mi catapultò nel mondo del web con addosso una bella etichetta con la mia identità.
Ora facevo davvero parte di quel mondo; ora, ero davvero un membro dell’Internet.
Davide Arcolini
#rivoluzdigitale#internet#social#facebook#nintendo#polito#lamiaprimaesperienza#coscienzadigitale#rivoluzionedigitale2019#DAVIDE
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Quanto sei stupida mamma mia, hai davvero scritto quel che hai pensato, forse per tutto questo tempo. Cristo mio, ora so fin dove si spinge la tua stupidità. Sono stato 2 anni, 2 ANNI A DISTANZA in una relazione a DISTANZA, e tu per un mese vuoi farmi credere di esserti sentita trascurata perché il tuo ragazzo è andato in vacanza nel posto di sempre?
Hai sollevato polveroni, messo in mezzo cazzate su cazzate che non c'entravano nulla, hai sezionato le tue amicizie una ad una fino a ritrovarti in modo meschino isolata da un gruppo di persone che ha deciso di accoglierti, e che sebbene vi foste lasciati, un gruppo che ha continuato ad esserci in tutto e per tutto. Te ne esci con 'sta gran cazzata per avergli fatto le corna, sottinteso nel messaggio, dicendo "è certo che se trascuri la tua ragazza per un mese, ci sia il distacco, non perché sia una puttana", ti dai la spiegazione da sola e la mascheri anche questa volta. Ora capisco perché Dio è misericordioso: perché l'essere umano non lo è affatto. E dopo tutto questo tempo che non se ne parlava più, hai ricacciato una stronzata nella più grande delle esposizioni stronze ed esplicite, trattandola come una scusa che tu abbia fatto bene. Ma ti guardi da sola? Sei eticamente e moralmente sbagliata, se ci fosse stato un briciolo di giustizia dentro di te, avresti lasciato un gruppo così come dovevi fare per educazione, o almeno non coinvolgere NESSUNO nei problemi di relazione, e nessuno si doveva mettere in mezzo, cosa che poche persone hanno fatto, e non mi riferisco a quelle per la loro assenza, tornate e trovato un mucchio di cenere, odio e tensione. Effimera bugiarda, manipolatrice, scorretta in tutto e per tutto e priva di dignità, se riesci a passare gli esami che ti aspettano, e te lo auguro, con i soldi che ti fai vedi di comprarti una dignità al posto di inventarti fesserie. Fesserie, sì, lo si nota che dopo tanto tempo ti porti ancora questo macigno al piede cercando ancora di mascherarlo.
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Mi chiamo Silvia, ho sofferto per 17 anni di #Anoressia e per 3 anni di #Bingeeating. In totale 20 anni di terrificanti DCA. Da diverso tempo sono #guarita e sono #mamma di due meravigliose bimbe. Essendo consapevole di quanto accudirle mi assorba ogni giorno e di quanto per un lungo periodo, alla sua nascita (mi riferisco alla mia figlia più grande), inevitabilmente io abbia dovuto “annullarmi” completamente come donna e come individuo per soddisfare i suoi bisogni, ho pensato di scrivere qualche riflessione relativa alla maternità, ragionando sul mio passato. In tutti i miei anni di #malattia ho intrapreso parecchi percorsi di #cura, a livello ospedaliero e non solo, e ho avuto la possibilità di conoscere tante ragazze, molte delle quali mamme... malate come me! Ora che sono mamma anch'io, mi rendo conto della grandissima fatica che queste donne hanno fatto... combattute tra sentimenti ed emozioni contrastanti verso i loro figli e verso se stesse. Un figlio è un dono, bellissimo, una gioia e un orgoglio, ma è anche un grande impegno, una responsabilità e richiede tantissima energia e presenza fisica e mentale! Oggi mi domando come avrei potuto prendermi cura di un'altra persona, strettamente dipendente da me, dal momento che non ero neanche in grado di provvedere al mio benessere! Per questo stimo, oggi più che mai, le mamme malate che ho conosciuto che hanno deciso di intraprendere un percorso di cura, che hanno accettato di mettersi in discussione per riprendersi la loro vita, anche per il bene delle proprie creature. Durante la cura è fondamentale imparare a prendersi cura di se (da tutti i punti di vista, alimentare e non solo), giorno dopo giorno e questo richiede forza, costanza e concentrazione per chi da tempo si fa del male tentando di soffocare emozioni e dolori. Diventare genitore può spesso riaprire anche ferite storiche, dinamiche malate instaurate coi propri genitori e per non riversare antichi rancori sui nuovi nati occorre avere fatto pace e comunque risanato le proprie relazioni familiari. GUARIRE DAI DCA SI PUÒ, con ogni condizione, familiare ed economica. Continua: http://www.chiarasole.com/disturbi-alimentari-e-maternita/ (presso MondoSole anoressia bulimia binge disturbi alimentari (dipendenze)) https://www.instagram.com/p/CZQI875IQRe/?utm_medium=tumblr
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22/10/2020 • Tutto nuovo
Per la prima volta nella mia vita sto vivendo un periodo quasi letteralmente senza far nulla. Mi riferisco soprattutto a studiare, frequentare corsi o sport, andare a ripetizioni e altri impegni stressanti come questi. Ovviamente non possono mancare i pensieri dovuti ad alcuni cambiamenti nelle amicizie e in famiglia, tuttavia ammetto con grande gioia che al momento prevalgono quelli positivi. A proposito di "positivi", quest'anno questo termine assunto un ambivalenza: può essere inteso con il suo solito significato letterale e ottimista (il contrario di negativo) oppure vuol dire positivo al Coronavirus. Quest'ultimo significato ultimamente viene richiamato spesso da qualcuno anche per fare una semplice battuta. "Io sono positivo! Non al covid però!◉‿◉". Comunque tra pochi giorni è il mio compleanno, compierò 19 anni, e non so come festeggiare. Probabilmente con gli amici non potrò farlo per le misure di restrizione anti covid cioè il coprifuoco, il distanziamento sociale e alcuni divieti nei locali, in più c'è una preoccupazione generale delle persone che non escono di casa spesso. Forse i miei amici mi videochiameranno...chi lo sa se se lo ricordano, non ne abbiamo proprio parlato. Tanto c'è facebook che gli salva il culo. Comunque i 18 e i 19 anni li sento benissimo, si sente proprio fisicamente ma anche mentalmente che non sono più bambino, mi stanco facilmente, arrivo a stento a fine giornata, non ho più grandi aspettative sulle cose, e gli eventi li prendo con più serietà. Cambiando argomento, questo mese è arrivato l'autunno, il vero fresco - a tratti freddo - e i meme che dicono che è arrivato il momento dell'anno in cui non sai se indossare una felpa o una maglietta a mezze maniche. Effettivamente hanno ragione, oggi proprio stavo morendo di caldo in giornata eppure in mattinata faceva freddino. Tutto sommato le temperature di questo periodo sono ancora buone per le mie mani, solo a volte diventano fredde ma senza nessuna esagerazione, non ho avuto dolore ma solo indolenzimento raramente, cioè le riesco a muovere poco quando devo usare il cellulare. Non hanno assunto nemmeno brutti coloriti. In questi giorni sto dedicando molto tempo a me e alla famiglia, faccio più servizi, aiuto mia mamma con il pc e il telefono perché deve lavorare a distanza, sto vedendo la serie Grey's anatomy che è bella lunga e mi sta appassionando, ho visto un film. Sto scaricando i giochi sul cellulare con cui giocavo quando stavo alle scuole medie come Bad Piggies, Piante contro zombi 2, Magic piano e forse scaricherò Badland e oltre ai giochi sul telefono ogni tanto ritorno su Minecraft per PC. Film, serie e giochi sono cose che i ragazzi della mia età usano quasi tutti i giorni ma io no, io non trovavo e non volevo trovare il tempo per queste cose per poter fare altro e poi per cercare di riposare il cervello, non ce la facevo a fare nulla prima. Non dedicavo abbastanza tempo a me stesso pur volendolo fare perché la società odierna vede i giovani come macchine per la cultura e per lo stress. La mia vita sta avendo una svolta, per ora è positiva ma non al Coronavirus! ;-)
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in realtà mi riferisco a tutto, cioè proprio come è nata questa cosa, di cosa ti occupi, perché ti seguo veramente da pochi giorni però sono curios* ma se è tanto lungo da spiegare non fa nulla!! mi sembra di aver capito che è una cosa almeno iniziata l'anno scorso se non prima quindi immagino che ci sia tanto dietro
allora i pentagon esistono da 4 anni. e così il fanbase che io gestisco. ho iniziato sola e ora ho un team che mi aiuta. sembra molto più serio di quello che è ma abbiamo avuto le nostre soddisfazioni. siamo state contattate dall'agenzia del gruppo per organizzare il concerto (e organizzare concerti kpop è una bella sfida), abbiamo organizzato un evento promozionale ad un bubble tea dove nonostante le complicazioni pandemia sono venute un bel po' di persone, domani verrò intervistata nel nuovo podcast di jennifer di pechino express (programma con cui avevamo già collaborato) in collaborazione con costantino della gherardesca. noi alla fine traduciamo notizie, traduciamo video, live instagram, i post. e poi altre cose legate a come funziona l'industria musicale in corea (quindi le votazioni per quelle che loro chiamano win nei music shows), quindi ci sbattiamo a fare tutorial, post motivazionali. posso fieramente dire che siamo uno dei migliori fanbase kpop italiani, top3. perché abbiamo da sempre creato un meraviglioso rapporto con chi ci segue diventando una vera e propria famiglia. al concerto in fila era come fossimo 20 amici al campeggio. ed eravamo un migliaio. dietro ci sta tantissimo, ma è un quarto in confronto a quello che c'è dietro tutto ciò che fa il gruppo (proprio oggi uno di loro per ringraziarci ci ha parlato di come passano più tempo in ospedale o a fare fisioterapia che altro) e nonostante io negli anni mia sia allontanata dalla vita da fan accanita in generale con tutti, sento proprio un senso di protezione per questo gruppo per cui farei davvero di tutto. sono proprio motivata a fare sì che abbiano dei successi o comunque sappiano di poter contare su di noi. l'anno scorso per il concerto ho dovuto dare al loro manager i banni creati da me (e la mia grafica) per uno dei progetti del concerto, e proprio oggi l'anno scorso loro postavano la foto con i banner in mano. sono soddisfazioni, per quanto uno possa dire che sono cose stupide. ormai anche mia mamma è interessantissima quando sa che si tratta di loro o ciò che pensiamo di fare noi di pentagon italia per aiutarli.
potrei aver detto troppo senza effettivamente aver risposto alle tue curiosità, perdonami! sentiti liber@ di chiedere qualsiasi altra cosa!
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Da quando mio marito mi ha catapultato nella sua vita in savana, mi rendo conto di aver ritrovato una nuova famiglia, quella che sostituisce la mia a tutti gli effetti visto che i miei genitori mi hanno lasciato troppo presto. Ho una suocera che mi fa da mamma, un nuovo padre e tante sorelle e fratelli. La nonna ha 120 anni e pensiate che ha una figlia di 95 A lei mi sono affezionata particolarmente, quando ero piccola ero molto attaccata alla mia nonna materna, anche lei se ne era andata presto, avevo sei anni ed è stato il mio primo "boccone amaro" da digerire. Ci ho sofferto per decenni, tanto da pensarla ancora in ogni momento difficile da superare che mi si presenta. Quel giorno mi trovavo in cucina, Willy mi raggiunge e mi dice di seguirlo, strada facendo mi spiega che la nonna aveva la febbre da diversi giorni nonostante i maasai avessero già provato ad aiutarla con diversi metodi alternativi ai farmaci che praticano in questi casi (un giorno vi parlerò dei metodi curativi maasai). Entriamo nella capanna della nonna, c'era tanta gente poiché si usa che quando qualcuno sta male non si lascia mai solo... le accarezzo il viso con la mano per salutarla, bolliva da quanto scottava, aveva la febbre altissima e mi sono allarmata. Le dico di lavarsi e prepararsi senza attendere un minuto di più e riferisco a Willy di telefonare a un driver che la venga a prendere per accompagnarla immediatamente in ospedale. La wau (nonna) mi risponde di non avere soldi ma poi ha capito che l'avremmo aiutata noi e da quel giorno mi è riconoscente come se le avessi salvato la vita, mi viene a trovare a casa quasi ogni giorno ed io mi chiedo dove prende tutta l'energia che mette nelle sue lunghe passeggiate aiutandosi da un bastone. http://maasai-travel.com/2019/12/13/il-mio-percorso-di-vita-dal-cancro-a-un-viaggio-a-zanzibar/ #masaitravellife #instatraveling #visiting #family #mytravelgram #onedestination #nationalgeographic #travelgram #tourist #backpacking #traveling #travel #instatravel #travelingram #instagood #vacation #holiday #focu #fun #tourism #maasai #photooftheday #instagood #instapassport #lonelyplanet #trip #ocean #italianinelmondo #arountheworld #travelling (presso Kiberashi, Dodoma, Tanzania) https://www.instagram.com/p/CC8tkykCb0C/?igshid=iec1y57s1nog
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×× ─── ᴛʜᴇ ʙᴏʏʟᴇ 🏠🌳 oh, we’re building a home with the mud and the stones & the branches we bind #ᴛʜᴇᴏʀɪɢɪɴᴏғᴜs sᴜᴍᴍᴀʀʏ 📖 × in questo estratto Cameron e Arlene si incontrano per la prima volta in Scozia a casa Boyle, una sontuosa tenuta nel cuore di Aberdeen. La giovane Donovan, dopo aver avuto la possibilità di fare l'Erasmus alla St. Andrews, viene affidata alle cure della famiglia che le offrono vitto e alloggio. × Cameron fa di tutto per irritare la docile Arlene, la quale ─ nonostante tutto ─ cerca di mantenere un profilo basso, conscia del fatto che sia una pellegrina di quella terra e che è suo compito cercare di rientrare nelle grazie dei Boyle il prima possibile. ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ Le famose voci di corridoio hanno sempre ragione e mi riferisco al cinguettare della domestica. Era in ansia, doveva essere tutto perfetto e per il suo stato dobbiamo solo incolpare mia madre! Tu devi essere la figlia dei Donovan. Piacere, Cameron. Noto però che hai anche occupato il mio posto, quindi senza troppi giri di parole: sposta le tue cose. ᴀʀʟᴇɴᴇ Oh ─ non avevo notato che i posti erano assegnati, c'è per caso scritto il tuo nome da qualche parte? Cameron, Cameron, Cameronnn ─ no ! Non c'è, mi spiace. Io sono tua ospite, ti hanno detto anche questo? Mamma e papà non ti hanno insegnato ad essere accogliente e accomodante con i viandanti di questa casa? ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ Non c'è perché mia madre ha fatto sostituire il tavolo ma sono certo di aver inciso il mio nome con una penna. Momento di noia, sai com'è… Non farmi spazientire, Donovan. Non rivelarti per come ti hanno descritta. Non voglio una bacchettona in casa. ᴀʀʟᴇɴᴇ Bacchettona ─ Sono giunta in Scozia da poche ore e già si parla così tanto di me? Devo avere qualche dote particolare allora, che fortuna! ( … ) Facciamo che tu ti siedi al tuo posto, mh? In cambio la smetti di torturarmi con questo vociare irritante. Andrò a studiare in giardino, finché il tempo lo permette. ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ Va bene, vai pure in giardino, Bacchettona. Anzi, mi correggo: andiamo in giardino! Mia madre vuole che io ti stia dietro perché “Per l'amor del cielo, Cameron! Sii cortese, è appena arrivata e non conosce nessuno!”. La voce era abbastanza stridula? No? Dovrebbero stringermi le palle, in quel caso credo di poter raggiungere lo stesso tono acuto. ᴀʀʟᴇɴᴇ Ti stavi battendo con onore per quella sedia e adesso mi segui in giardino? ─ Confessalo, ti sei già affezionato a me, quella di tua madre è solo una scusa. In quanto alla voce, ne convengo ─ ammesso che ci sia qualcosa da stringere. ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ Peccato, avrei dovuto indossare il kilt per dimostrartelo in una manciata di secondi. Ora andiamo. Ci aspetta un lungo weekend ed io ti starò col fiato sul collo come vogliono i padroni di casa. O da weekend fuori con gli amici si trasforma in weekend chiuso in camera e non mi pare il caso. ᴀʀʟᴇɴᴇ Quindi è vero, voi scozzesi sotto il kilt non portate i boxer? Sì, sto deliberatamente ignorando la tua provocazione, ma in compenso mi dispiace tu debba farmi da balia, dirò ai tuoi che non è necessario. In fondo, viste le voci che girano sul mio conto, presumo che siate stati informati sul mio animo da lupo solitario, no? Non apprezzo la prolungata compagnia e nello studio sono molto individualista. ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ Non stai ignorando la mia provocazione, anzi ti stai informando a riguardo ma ti lascerò col dubbio! Magari la prossima volta controlli tu stessa con una scusa incontrastabile “è per la scienza”. Comunque lascia stare i miei genitori, saranno fuori casa tutto il tempo, ci penserà la domestica a fare loro un rapporto dettagliato poiché in questa casa anche i muri hanno occhi e orecchie! ᴀʀʟᴇɴᴇ Certo, se hai amici in kilt perché no? Quindi mi porterai con te questo weekend? ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ Saranno con le loro ragazze, quindi risparmiati tante cose. Visto che ci sei tu ho accettato la proposta di andare con loro. ᴀʀʟᴇɴᴇ Quindi ricapitoliamo: quello è il tuo posto, ma mi segui ovunque come un cane da caccia perché i tuoi genitori ─ che però non ci sono per tutto il giorno ─ vogliono che tu lo faccia. In più, quando parli del mio esperimento per “ la scienza ” in realtà offri te stesso come cavia e pretendi anche che ti accompagni nelle uscite nei weekend con i tuoi amici fidanzati come se fossimo a nostra volta una coppia? ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ Sei proprio una bacchettona. Una di quelle in prima fila che prende gli appunti senza staccare il capo dal foglio. La tua mano scorre e chi ti guarda si domanda: quanto impiegherà quella stessa mano per staccarsi dal polso e schiaffeggiarla con tutta la potenza che possiede? ᴀʀʟᴇɴᴇ Non so, mi illumini tu o vuoi provare? ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ Ci stai o no, lupo solitario? ᴀʀʟᴇɴᴇ Ci sto. In fondo se provi ad infastidirmi più del solito, lo schiaffo può sempre diventare un pugno. Ho due fratelli più grandi, ho allenato il mio gancio destro negli anni. ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ Attenta a non romperti una mano. » ᴀʀʟᴇɴᴇ Ti preoccupi per me? Che caro. Allora, cosa vuoi che indossi per l'incontro con i tuoi amici? ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ Devo farti anche da costumista? Vuoi fare bella figura con loro o con me? ᴀʀʟᴇɴᴇ Voglio ambientarmi in Scozia, io qui sono una straniera. Provo a rendere indolore la mia permanenza in questa terra per i prossimi due anni, se tutto va bene. ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ Dammi ascolto e ci riuscirai. ᴀʀʟᴇɴᴇ A patto che mi insegni il Gaelico. ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ Mi sembra un giusto compromesso. ᴀʀʟᴇɴᴇ È un piacere fare affari con lei, signor Boyle. ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ Ed ora ti faccio fare un giro, bacchettona. ᴡᴀʀɴɪɴɢs. 🍵 ᴏɪ. ai puritani sconsigliamo di leggere questi estratti. ɪɪ. non vogliamo vedere la nostra storia scopiazzata. ɪɪɪ. questi sono dialoghi estratti da role vere e proprie. ɪᴠ. anche la grafica è una nostra creazione.
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. ×× ─── ᴛʜᴇ ʙᴏʏʟᴇ 🏠🌳 oh, we're building a home with the mud and the stones & the branches we bind #ᴛʜᴇᴏʀɪɢɪɴᴏғᴜs sᴜᴍᴍᴀʀʏ 📖 × in questo estratto Cameron e Arlene si incontrano per la prima volta in Scozia a casa Boyle, una sontuosa tenuta nel cuore di Aberdeen. La giovane Donovan, dopo aver avuto la possibilità di fare l'Erasmus alla St. Andrews, viene affidata alle cure della famiglia che le offrono vitto e alloggio. × Cameron fa di tutto per irritare la docile Arlene, la quale ─ nonostante tutto ─ cerca di mantenere un profilo basso, conscia del fatto che sia una pellegrina di quella terra e che è suo compito cercare di rientrare nelle grazie dei Boyle il prima possibile. ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ : « Le famose voci di corridoio hanno sempre ragione e mi riferisco al cinguettare della domestica. Era in ansia, doveva essere tutto perfetto e per il suo stato dobbiamo solo incolpare mia madre! Tu devi essere la figlia dei Donovan. Piacere, Cameron. Noto però che hai anche occupato il mio posto, quindi senza troppi giri di parole: sposta le tue cose. » ᴀʀʟᴇɴᴇ : « Oh ─ non avevo notato che i posti erano assegnati, c'è per caso scritto il tuo nome da qualche parte? Cameron, Cameron, Cameronnn ─ no ! Non c'è, mi spiace. Io sono tua ospite, ti hanno detto anche questo? Mamma e papà non ti hanno insegnato ad essere accogliente e accomodante con i viandanti di questa casa? » ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ : « Non c'è perché mia madre ha fatto sostituire il tavolo ma sono certo di aver inciso il mio nome con una penna. Momento di noia, sai com'è... Non farmi spazientire, Donovan. Non rivelarti per come ti hanno descritta. Non voglio una bacchettona in casa. » ᴀʀʟᴇɴᴇ : « Bacchettona ─ Sono giunta in Scozia da poche ore e già si parla così tanto di me? Devo avere qualche dote particolare allora, che fortuna! ( ... ) Facciamo che tu ti siedi al tuo posto, mh? In cambio la smetti di torturarmi con questo vociare irritante. Andrò a studiare in giardino, finché il tempo lo permette. » ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ : « Va bene, vai pure in giardino, Bacchettona. Anzi, mi correggo: andiamo in giardino! Mia madre vuole che io ti stia dietro perché "Per l'amor del cielo, Cameron! Sii cortese, è appena arrivata e non conosce nessuno!". La voce era abbastanza stridula? No? Dovrebbero stringermi le palle, in quel caso credo di poter raggiungere lo stesso tono acuto. » ᴀʀʟᴇɴᴇ : « Ti stavi battendo con onore per quella sedia e adesso mi segui in giardino? ─ Confessalo, ti sei già affezionato a me, quella di tua madre è solo una scusa. In quanto alla voce, ne convengo ─ ammesso che ci sia qualcosa da stringere. » ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ : « Peccato, avrei dovuto indossare il kilt per dimostrartelo in una manciata di secondi. Ora andiamo. Ci aspetta un lungo weekend ed io ti starò col fiato sul collo come vogliono i padroni di casa. O da weekend fuori con gli amici si trasforma in weekend chiuso in camera e non mi pare il caso » ᴀʀʟᴇɴᴇ : « Quindi è vero, voi scozzesi sotto il kilt non portate i boxer? Sì, sto deliberatamente ignorando la tua provocazione, ma in compenso mi dispiace tu debba farmi da balia, dirò ai tuoi che non è necessario. In fondo, viste le voci che girano sul mio conto, presumo che siate stati informati sul mio animo da lupo solitario, no? Non apprezzo la prolungata compagnia e nello studio sono molto individualista. » ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ : « Non stai ignorando la mia provocazione, anzi ti stai informando a riguardo ma ti lascerò col dubbio! Magari la prossima volta controlli tu stessa con una scusa incontrastabile "è per la scienza". Comunque lascia stare i miei genitori, saranno fuori casa tutto il tempo, ci penserà la domestica a fare loro un rapporto dettagliato poiché in questa casa anche i muri hanno occhi e orecchie! » ᴀʀʟᴇɴᴇ : « Certo, se hai amici in kilt perché no? Quindi mi porterai con te questo weekend? » ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ : « Saranno con le loro ragazze, quindi risparmiati tante cose. Visto che ci sei tu ho accettato la proposta di andare con loro. » ᴀʀʟᴇɴᴇ : « Quindi ricapitoliamo: quello è il tuo posto, ma mi segui ovunque come un cane da caccia perché i tuoi genitori ─ che però non ci sono per tutto il giorno ─ vogliono che tu lo faccia. In più, quando parli del mio esperimento per " la scienza " in realtà offri te stesso come cavia e pretendi anche che ti accompagni nelle uscite nei weekend con i tuoi amici fidanzati come se fossimo a nostra volta una coppia? » ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ : « Sei proprio una bacchettona. Una di quelle in prima fila che prende gli appunti senza staccare il capo dal foglio. La tua mano scorre e chi ti guarda si domanda: quanto impiegherà quella stessa mano per staccarsi dal polso e schiaffeggiarla con tutta la potenza che possiede? » ᴀʀʟᴇɴᴇ : « Non so, mi illumini tu o vuoi provare? » ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ : « Ci stai o no, lupo solitario? » ᴀʀʟᴇɴᴇ : « Ci sto. In fondo se provi ad infastidirmi più del solito, lo schiaffo può sempre diventare un pugno. Ho due fratelli più grandi, ho allenato il mio gancio destro negli anni. » ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ : « Attenta a non romperti una mano. » ᴀʀʟᴇɴᴇ : « Ti preoccupi per me? Che caro. Allora, cosa vuoi che indossi per l'incontro con i tuoi amici? » ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ : « Devo farti anche da costumista? Vuoi fare bella figura con loro o con me? » ᴀʀʟᴇɴᴇ : « Voglio ambientarmi in Scozia, io qui sono una straniera. Provo a rendere indolore la mia permanenza in questa terra per i prossimi due anni, se tutto va bene. » ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ : « Dammi ascolto e ci riuscirai. » ᴀʀʟᴇɴᴇ : « A patto che mi insegni il Gaelico. » ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ : « Mi sembra un giusto compromesso. » ᴀʀʟᴇɴᴇ : « È un piacere fare affari con lei, signor Boyle. » ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ : « Ed ora ti faccio fare un giro, bacchettona. » ᴡᴀʀɴɪɴɢs. 🍵 ᴏɪ. ai puritani sconsigliamo di leggere questi estratti. ɪɪ. non vogliamo vedere la nostra storia scopiazzata. ɪɪɪ. questi sono dialoghi estratti da role vere e proprie. ɪᴠ. anche la grafica è una nostra creazione.
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21 Febbraio
Ti ricordi di quel 27 Maggio? No, non mi riferisco a cosa successe quella notte, quello lo so benissimo che te lo ricordi. Mi riferisco a noi stanchissimi che dopo una notte in bianco prendemmo l’autobus per andare a Firenze. Ti ricordi di me che mi sentii male? E ti ricordi di te che non ti staccasti un attimo da me, e mi tenesti sempre la mano? Ti ricordi di tutte le volte che mi hai sussurrato “Amore, stai bene?”, “Amore, hai bisogno di qualcosa?”, “Amore sono preoccupato”, o semplicemente un “Amore”? Che senza aggiungere altro parlava più di cento parole messe insieme. Tutt’ora mi chiedo come una sola parola possa significarne così tante, mi chiedo che sensazione si provi a sentirsela dire dalla persona che si ama, perché io non me lo ricordo più e la paura di non saperlo mai più, fidati, è tanta. Ti ricordi di noi dormire abbracciati l’uno tra le braccia dell’altro perché troppo stanchi? Io si, lo ricordo benissimo, in autobus durante il viaggio di ritorno… Ho anche una foto.
In realtà ne ho tante di foto, ma preferisco non guardarle perché quando ci capito per sbaglio poi sto male per un’altra settimana. Ti ricordi di tutte le volte in cui io avevo freddo e tu mi prestavi la tua felpa… non hai idea di come stringessi quel pezzo di tessuto, cullata dal tuo profumo (adesso non sai quanto pagherei per averlo di nuovo).
Però stanno piano piano svanendo tutti i bei momenti passati insieme lasciando spazio solo a lacrime, notti in bianco, giornate passate senza la minima cognizione spazio-temporale. Buttata semplicemente sul letto per ore, ore delle quali mi rendo conto solo dopo che sono trascorse.
E poi Traviata, quella cazzo di opera con la quale ci siamo conosciuti. Un pretesto come un altro, ma non posso comunque fare a meno di pensare a te ogni volta che l’ascolto. Il ricordo di quel primo atto passato a guardarti dall’ordine opposto di palchi, e del quale conservo solo te perché la musica era ormai diventata un sottofondo alla tua immensa bellezza.
Da un mese sono più morta che viva, e pur continuando a respirare mi sento affogare ogni ora, ogni minuto, ogni secondo e ogni attimo che passo senza di te.
Ti ricordi circa il 20 Giugno? Eravamo al mare con Gemma, la mia canina, poi ci siamo stesi sotto quello scoglio; tu eri sdraiato e io giocavo con i tuoi riccioli bagnati. Non so come spiegarlo, ma finalmente una volta nella mia cazzo di vita mi sentivo al posto giusto. Ecco, tu mi facevi sentire giusta, in qualsiasi momento. Con te non mi sono mai sentita né troppo né troppo poco; sempre e solo GIUSTA.
E pensare che anche i periodi bui con te lo sembravano un po’ di meno; eri la mia stella polare, e adesso non riesci nemmeno a guardarmi negli occhi. Me ne sono accorta…ti guardo e fai di tutto per non spostare lo sguardo nella mia direzione…davvero ti ammiro tanto perché non so come fai. Io non ci riuscirei. Te lo prova il fatto che mi ero ripromessa di non scriverti e di non parlarti più ma non ce la faccio. Quanto ho resistito? Poco più di una settimana. Non riesco a fare niente senza che qualcosa mi ricordi di te. Anche con il percorso mentale più articolato e magari insensato, arrivo a te, e credimi se ti dico che è tanto veloce quanto involontario. Vorrei dimenticarti è un mese che lo dico ma non ci riesco. E no, non è vero che non è il momento o che non voglia o chissà quale cosa, la verità è che non ci riesco, non ce la faccio, non riesco a immaginarla una vita senza di te. E magari potrai pensare che stia esagerando ma ti assicuro che non è così.
L’unica cosa per la quale ho la forza di alzarmi dal letto è il violino e quando studio non riesco a non immaginarti seduto sul letto che mi ascolti. Quando suono il concerto di Mendelssohn non riesco a non immaginari davanti a me che dirigi e mi guardi proprio in quel punto dove il solista ha scritto “semplice” e il direttore deve guardarlo per riprendere il ritmo “Allegro molto vivace” che caratterizza quel pezzo. Alle prove d’orchestra vedo direttori e non sei tu, faccio brani e non ci sei tu ad ascoltarli. A fine studio mi rilasso suonando concerti a caso ma non ci sei tu ad ascoltare quella prima acciaccatura La-Fa di Tchaikovsky, non sei tu che senti una serie di terzine e ottave in Si minore. Non sei tu ad esserci e io senza te non esisto più.
Niente di ciò che faccio è più fine a se stesso e niente più è per te, semplicemente perché tu non ci sei più. Ti immagino anche quando faccio la doccia, proprio come quella sera prima di vedere “Il Concerto”, ah maledetto film…spero sempre che tu sia fuori ad aspettare che io esca dalla doccia per darmi un bacio dolce, ma poi tutto d’un botto ritorno al mondo reale, e la verità mi porta sempre più in basso intrappolandomi in un abisso di tristezza e rimorsi. Scusami se sono così vigliacca da scriverti queste cose su un messaggio, scusami se sono così vigliacca da mandartelo a quest’orario improbabile che mi da la certezza che non mi risponderai subito e il tempo per metabolizzare una risposta che so già che mi distruggerà. Scusa per averti chiesto la felpa l’altro giorno, non avevo freddo, stavo morendo di caldo ma avevo bisogno del tuo profumo, quello vero e non la boccetta di deodorante uguale al tuo che porto sempre con me. Sapevo che non me l’avresti mai prestata…e so anche che questa teoria del “tentar non nuoce” mi sta portando all’auto distruzione. Scusa per averti chiesto quell’ultimo bacio, del quale adesso non nego certamente il bisogno, speravo che avrei potuto baciare di nuovo quelle labbra, forse per l’ultima volta. Mi fa tanta paura questa parola….L’ultima volta che ci siamo visti, l’ultima volta che ci siamo abbracciati, l’ultima volta che le nostre labbra si sono incontrate. Mi da tanto la sensazione di attimi passati e che non torneranno più. Perché l’ultima è l’ultima. Non come l’ultima sigaretta, quella sappiamo tutti che è una balla grossa quanto l’amore che provo per te, ma l’ultima per davvero. Penso che sia giunto il momento di porre fine a questa cosa, e la chiamo cosa perché non è realmente niente, alle mie sofferenze nello scriverla, e alle figure di merda che sto facendo, abbassando tutti i miei muri con l’unica persona con la quale dovrei renderli ancora più forti per non crollare ogni volta. Per quanto sarò in grado di aspettarti senza crollare di nuovo, io lo farò. Credo che per dire a una persona “ti aspetto”, ci voglia un coraggio assurdo; a mio parere ancora più del “ti amo”. Infondo nella vita si ama tutti: si ama i parenti, io amo mio fratello, amo mia mamma, amo mio padre, amo anche te (e ormai non ho più paura di ammetterlo). È un sentimento più comune, lo si prova tutti i giorni e può manifestarsi in miliardi di modi, io posso amare la musica anziché l’arte, anziché qualsiasi altra cosa. Una cosa che non capita quasi mai di fare, è aspettare; a partire dalle cose più futili come aspettare l’autobus, aspettare che una persona risponda dall’altro capo del telefono. In fondo, chi è che ha voglia di aspettare un autobus, o il treno? Nessuno.
Beh io credo di amarti così tanto da decidere di aspettarti come se tu fossi l’ultimo treno per la felicità. Questo scritto risale all’anno scorso. Inutile dire che non è cambiato niente.
#amore#mi manchi#traviata#la traviata#mendelssohn#violino#musica#addio#ex ragazzo#fidanzati#ex fidanzati#ti amo ancora#non mi ami più#che fine abbiamo fatto#ricordi#memorie#2017#2016#felicità#tristezza#dolore#amore non corrisposto
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Nuovo post su http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/01/15/a-a-a-cognomi-nuclei-famigliari-e-costumi-marittimesi/
A.A.A.: cognomi, nuclei famigliari e costumi marittimesi
Elzeviro di rimembranza e nostalgia
A.A.A.: cognomi, nuclei famigliari e costumi marittimesi
di Rocco Boccadamo
A quanti, bontà loro, hanno dimestichezza con le mie narrazioni, chiedo venia se, nella parte iniziale di queste note, gli capiterà d’imbattersi in elementi o dettagli già snocciolati, e quindi riscontrati, in precedenza. E, però, in questo caso, la reiterazione concorre a incorniciare gli appunti nel miglior modo possibile.
Dopo aver, per lunghi evi, raggruppato anche la località/comunità di Castro, a un certo punto divenuta invece autonoma sotto l’aspetto amministrativo, il Comune di Diso, dal 1975, comprende l’omonima frazione capoluogo (1097 residenti) e una seconda frazione, Marittima, ossia a dire il mio paese natio (1854 residenti).
Fra gli abitanti di Marittima, sono quattro i cognomi con maggiore diffusione: in ordine decrescente, Nuzzo, Minonne, Boccadamo e Arseni.
Si tratta, chiaramente, di una piccola realtà territoriale, con popolazione risicata e confini angusti, e, tuttavia, ugualmente recante traccia, ancora oggi, sebbene in termini vie più ridotti, di una tradizione consolidatasi nell’arco di millenni a livello universale, sin dai tempi degli antichi Egizi e Greci.
Mi riferisco alla consuetudine, in certo qual modo, rigorosa se non ferrea, di conferire al proprio figlio il nome di battesimo del proprio genitore. Ciò, non solo con finalità meramente dinastiche o successorie in senso materiale, ma con l’intento ideale di creare, mediante il collegamento onomastico fra nonno e nipote, una specie di continuità fra generazioni, ben oltre il tempo.
Ciò raccontato a stregua d’introduzione, passo a spostarmi e a concentrarmi su una delle A.A.A. del titolo: A. come nome di famiglia Arseni (per puro caso, corrispondente a quello portato da mia moglie); dopodiché, a zumare sullo specifico nucleo domestico impiantato, agli albori dello scorso secolo, da Alessandro (in gergo dialettale, Lesandru) Arseni e dalla sua sposa Vincenza (detta ‘mmare, per comare, Vicenza).
Sette figli, Gervasio, Vitale, Costanza, Lucente, Valeria, Michele e Peppino, di cui l’ultimo mancato da poco,
Un focolare, verosimilmente, animato e riscaldato, in pari misura, dai ciocchi, ricavati in campagna dalla potatura degli alberi e posti ad ardere nel camino e da intensi aliti di semplice religiosità e profonda devozione ai culti locali, come comprovato dalla circostanza che, fra gli appellativi della prole, compaiono quelli della famiglia del Santo Patrono del paese, Vitale con la moglie Valeria e uno dei loro figli, Gervasio, tutti martirizzati per non aver inteso rinnegare la fede cristiana, durante l’impero di Nerone.
E, insieme, sia direttamente fra le pareti domestiche di Lesandru e ‘mmare Vicenza, sia in seno alle famiglie create man mano dai loro discendenti, affiorano sentimenti di rispetto, riguardo e omaggio verso le figure genitoriali, cosicché, a tempo debito, i sette fratelli e sorelle sopra menzionati, a eccezione di Valeria, rimasta senza prole, si determinano indistintamente e immancabilmente a dare al loro primo figlio il nome del padre, precisamente Alessandro.
Mi piace rievocare la figura, prima accennata, di Valeria, maestra in una delle manifatture di tabacco del paese e abilissima maestra, anzi vera e propria artista, di telaio per la produzione di tessuti, la quale abitava, col marito Angelo, nel mio stesso rione dell’Ariacorte.
Come pure, mi viene alla mente la casa di Costanza, allietata da sei figli tutti maschi. Fra loro, Alessandro, primogenito, che faceva il contadino e, nelle ore libere, anche il barbiere, con una bottega dove, la sera, si radunavano stuoli di giovani amici per musiche con l’armonica a bocca e canti vari; quindi, Angelo e Damiano, avviatisi, da ragazzi, alla vita monastica, attualmente ancora presenti e attivi presso un’istituzione religiosa di Lecce.
E poi, e di più, vengo a far cenno alla famiglia di Gervasio, andato a nozze con Concettina, nucleo arricchito, anch’esso, da sei figli maschi: il primo, Alessandro, non c’è più, al pari del secondo e del terzo, Antonio e Vitale, mentre Vittorio, mio coetaneo e compagno di classe alle Elementari, Pippi e Mario sono tuttora in mezzo a noi.
A differenza del marito, grande lavoratore, autorevole capo famiglia ma persona discreta, Concettina era una donna estroversa, di grande cordialità, per questo amica benvoluta da tutte le compaesane, nondimeno anche lei impegnata nella cura e crescita dei figli, nella gestione della casa e nel supporto al coniuge per i lavori agricoli.
Aveva una bella voce intonata, Concettina, tanto che, agli inizi degli anni Sessanta del secolo passato, in occasione di un giro radiofonico per l’Italia, il noto presentatore Rai Silvio Gigli, portando una sua trasmissione nel Salento e sostando a Marittima, la chiamò, unitamente a un gruppo di compaesane contadine, e la fece esibire al microfono con due canti popolari dialettali, di cui ho presente il titolo: il primo, “Purciddruzzi e pittule”(specialità culinarie e/o dolciarie salentine), il secondo “Quannu lu ceddru pizzica la puma” (quando l’uccello dà un morso alla mela) che recita:
Quannu lu ceddru pizzica la puma
la ucca se la sente zzuccarata,
la ucca se la sente zzuccarata.
Cusì se sente na carusa zita
quannu se bacia cu lu fidanzatu.
Quannu lu ceddru vola su lu fiore
azzati beddra mia e facimu amore.
Versi tradotti in italiano:
Quando l’uccello da un morso alla mela
si sente la bocca zuccherata,
si sente la bocca zuccherata.
Così si sente una giovane fidanzata
quando si bacia con il fidanzato.
Quando l’uccello vola sopra il fiore
alzati mia bella e facciamo l’amore.
A quell’epoca, io avevo già preso a lavorare in banca, a Taranto, ma ebbi casualmente occasione di ascoltare la straordinaria esibizione della mamma del mio compagno Vittorio, attraverso l’apparecchio radiofonico della padrona di casa che mi ospitava da pensionante.
Una piccola chicca di ricordo, rimastami sempre impressa dentro.
Il primo nato di Gervasio e Concettina, Alessandro, intorno ai vent’anni, aveva concorso per l’arruolamento nel Corpo della Guardia di Finanza, ramo mare, partendosene così dal paese natio e, però, restandogli sempre legato, sino alla scomparsa.
Analogamente, aveva lasciato la famiglia d’origine il secondogenito Antonio, arruolandosi, da parte sua, nell’Esercito e compiendovi una lodevole carriera da Sottufficiale in una cittadina capoluogo nel Veneto, mai mancando, comunque, di tornare puntualmente, ogni estate, a Marittima. Anzi, sulla strada per l’Acquaviva, nei pressi della collinetta denominata Acquareddre, si è costruita una villetta di vacanza, adesso abitata, durante la stagione bella, dalla moglie, dai figli e dai nipotini, pure loro dimoranti, in via stabile, nel Veneto o in altre località lontane.
Termino, con un pensiero di vivida memoria all’indirizzo delle figure che non ci sono più: a cominciare da Gervasio e Concettina che, dalla dimora sopra le nuvole, continuano a guardare e a vigilare, credo soddisfatti, sulle generazioni succedutesi dopo di loro e, quindi, rivolgendomi ad Alessandro, Antonio e Vitale che li hanno raggiunti lassù.
Da ultimo, con un cordiale saluto al mio compagno di classe Vittorio, a Pippi e Mario e, pur non conoscendoli, ai tre figli maschi di Antonio, due dei quali, a quanto ho potuto apprendere, ispirandosi alla carriera militare del genitore, hanno scelto di calcarne le orme e sono arrivati a conseguire il grado di alti ufficiali dell’Esercito Italiano, mentre il terzo è un brillante avvocato. Da ragazzo di ieri, sospinto dalle comuni origini marittimesi, desidero esprimere ai suddetti ultimi giovani e affermati uomini d’oggi, sinceri complimenti e auguri. Ad maiora.
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