#sfoglio
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jpop you will be allowed to live another day, i guess
#le edizioni per moto hagio sono belle nulla da dire. poi spesso raccolte in volumi unici. prezzi umani. godo#prima o poi comprerò anche il clan dei poe siccome pure quello le scans online sono orribili e frammentarie#a#sta uscendo a cruel god reigns con questa collana ora. troppo lungo per comprarlo però lol ma lo sfoglio in fumetteria#la qualità della stampa è bella. le sue illustrazioni clamorose riescono a far superare la trama alla hanya yanagihara
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Prima sono andata a casa di mia madre per prendere in prestito un trapano visto che il mio è in negozio (nb. Scopro che mia madre non ha più il trapano perché ho anche il suo in negozio. Perché? Che cazzo ne so).
Sono scesa al piano interrato e ho cominciato a cercare, cerca di qua, cerca di là, mi sono imbattuta nella scatola con i miei progetti dell'Università, la riapro sempre quando la vedo, sfoglio le prime cose, guardo i vari pezzi di poliplat, ma non arrivo mai al fondo, non voglio rovinarmi la sorpresa perché so che un giorno arriverò al fondo della scatola e penserò "seee vabbè e questo chi se lo ricorda?" oppure "ma quando mai ho fatto sta cosa" o probabilmente "che cacata" ma anche "geniale, che talento sprecato". Poi ho intravisto su un mobile una scatola con scritto "Camera vecchia C'houncazzodicasino". L'ho aperta e ho adorato tutto. I pochi cd originali che avevo, insieme alle varie compilation, la macchinetta portatile con cui facevo le foto in ogni momento ai miei amici, sempre, sempre, ad ogni occasione avevo quella macchinetta in borsa, un soprammobile in resina che raffigura un fungo del mondo degli gnomi con occhi e naso, un vecchio pass per maison et object, i quadernini e le moleskine dove prendevo appunti all'università di storia dell'Architettura (conservati gelosamente), il vecchio lettore mp3 e una scatolina con alcuni ricordi del nonno. Anche qui non sono arrivata al fondo della scatola. Volontariamente.
Quanto mi piacciono quelle cinque sei scatole piene di ricordi e cose che ho sparse per casa mia e casa di mia madre. Mi passano di mente o forse ci penso ogni giorno. Mi passano di mente e ci penso ogni giorno.
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non seguo, ma ogni volta che passa sfoglio le foto, così passa continuamente.
e io sono così stanca e vorrei solo essere ricca, comprare una casa in mezzo al nulla e non lavorare mai più.
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Mi piace leggere le vite dei santi perché trovo siano la perfetta unione di horror e fantasia. In particolare, fatta eccezione per san Lorenzo e san Sebastiano, amo le vite delle sante, che sono sempre assurde. Riconducibili (e vorrei vedere) ai miti greci, queste donne, quando non psicolabili, molto spesso subivano l'ira di dio e degli uomini per colpe di altri. Espiavano peccati non propri. Si ribellavano. Morivano male. Diventavano sante.
A Palermo ho comprato un libro molto bello. Sante ragazze, di Ljubiza Mezzatesta, (cercatela) una donna fantastica, ingarellata sull'agiografia femminile. Lo sfoglio spesso, confronto le informazioni con quelle che conosco io, imparo nuove cose e leggo dei pezzi alle mie gatte che non comprendono moltissimo di quello che dico; così ho pensato di leggere per chi mi ascolta, il che, per il lavoro che faccio, è davvero una cosa buffa e a parti invertite, ma tant'è. Ho problemi con le erre e all'inizio del pezzo ce ne sono tantissime. Ho problemi con il respiro, perché fumo e non sono abituata a leggere ad alta voce. Ho problemi proprio nella gestione della mia voce, ma mi sono divertita tantissimo e sento di avere un futuro nei podcastahahahahah.
Evviva Santa Lucia. (l'immagine è Santa Lucia, sempre di Ljubiza Mezzatesta)
#sto post durerà pochissimo#perché già mi vergogno#ma sono cose che devo fare#santa lucia#Ljubiza Mezzatesta
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Stasera appena staccato dal lavoro decido di non tornare a casa e passare per la libreria della mia città, ho bisogno di un po’ di leggerezza dopo una giornata decisamente pesante come questa. Entro in negozio e mi fiondo sulla sezione “romanzi rosa” tentando di cercare un libro che non avessi già letto (visto che li ho praticamente divorati quasi tutti).
Mentre sono accovacciata, intenta a leggere la trama di un libro, fanno capolino accanto a me un paio di stivali neri, sono di una ragazza che spulcia lo scaffale: ha i piedi puntati verso l’interno, le mani in tasca e il suo sguardo curioso tradisce la sua apparente timidezza.
Io passo un po’ di tempo a sfogliare i vari libri e noto che lei torna spesso a curiosare tra gli stessi romanzi che sfoglio io, finché non prende in mano un libro: “Magnolia Parks”. Incuriosita, decido di prenderlo anch’io e di capire cosa l’abbia colpita di quel romanzo tanto da tenerselo subito stretto al petto.
Le dico che ha colpito anche me il libro che ha preso e che ho tutta l’intenzione di leggerlo anch’io, lei mi guarda e mi sorride e mi dice che le piacciono le storie che sanno toccare il cuore e da lì mi racconta dei suoi romanzi preferiti, del suo fidanzato (anche lui appassionato di letture rosa), del suo lavoro stressante e di come le piaccia leggere sul treno.
Dopo un po’ mi chiede che lavoro faccio, io le dico che sono una psicologa e lei subito sgrana gli occhi dicendomi che era da tempo che pensava di andare in terapia e che le farebbe piacere iniziare con me. Ci scambiamo i contatti e lei tutta contenta mi dice che non si aspettava di trovare una sorpresa come me in questa serata di dicembre, io le rispondo che sono dell’idea che nulla accada per caso e che forse, semplicemente, questo era il momento giusto. Lei mi stringe la mano, non fa che sorridere e il mio cuore ancora una volta si meraviglia di quanto la vita, a volte, possa essere sorprendente.
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Ci si può lasciare con amore. Qualche ora fa, #TizianoFerro ha pubblicato un post che dovrebbe ricordare a tutti che anche i matrimoni finiscono e che tutto prima o poi si trasforma, per bontà, per capacità o semplicemente perché la vita ci restituisce poi sempre a noi stessi e sempre un po’ più interi. Una carezza Tiziano alla tua bella famiglia, alla tua ricostruzione e ai tuoi bimbi.
Tiziana
“~T & V~
𝟐𝟓/𝟔/𝟏𝟗 ✺ 𝟏𝟓/𝟑/𝟐𝟒
È andata così.
E preferisco raccontarvelo io, come ho fatto con tutti i miei amici, prima che possa trapelare e diventare l’ennesimo pettegolezzo sterile.
La nostra storia è ufficialmente conclusa.
Non è la fine del mondo.
Non è un massacro.
Non è un fallimento, se non lo vogliamo.
È un lutto: si passa attraverso il dolore, ma poi il dolore passa.
E diventa un dono, esperienza, saggezza.
Per ora, speranza.
Quindi grazie vita!
Grazie Dio.
Grazie amici miei.
Grazie a chi mi ha salvato sul ciglio del burrone.
Grazie a chi ha abbandonato la nave mentre affondava.
Grazie cucciolotti miei, donatori di vita eterna.
…grazie Vic.
Sfoglio l’ultima pagina, mentre mi accorgo che sto già scrivendo un capitolo nuovo.
Quindi sorrido: buona ricostruzione, Tiziano!”
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La seconda: non chiedermelo più
Anche la tua, di bellezza, è una cosa irraggiungibile. Se ci penso mi ricorda una foto di dieci anni fa di un palazzo che è stato demolito ieri, o sentire casualmente per strada un odore del passato, ma inafferrabile, impossibile da collocare con precisione.
Anche se non ci parliamo più, e forse ti ricordi ogni tanto di me solo mentre spingi il pesantissimo cancello di casa tua, o nei pochi momenti in cui sposti i mobili della tua camera; io ricordo ogni giorno i tratti della tua bellezza. Nitidi, trasparenti: come se li avessi qui davanti in questo momento.
Sdraiata a letto hai in mano una bottiglia d’acqua quasi vuota, poi sei su un treno davanti a me, con una gonna lunghissima in piena estate. Mi dai un biglietto della metropolitana, ci vediamo a colazione, piangi perché hai perso un aereo, ridi con le stesse frasi di una canzone che ripetiamo allo sfinimento. Prendi un ascensore e per un attimo dimentichi il mio piano, ti nascondi in un bosco pieno di conigli, l’anno scorso mi hai detto che vuoi imparare a lavorare il legno.
Sfoglio distrattamente le migliaia di foto salvate sull’iPhone, e nella scheda Persone c��è un cerchio con dentro il tuo viso, e sotto un punto interrogativo. Dai un nome a questa persona?, mi chiede un sistema operativo pensato tanti anni fa in California. No, gli dico, perché dare un nome alle cose le rende reali, e tu non hai più niente a che fare con le mie mattine o le notti in cui non dormo. E mi sento così forte durante questa breve presa di posizione, mi sento così forte che tutti i pezzi mancanti della vita sembrano rimettersi al loro posto, prima di distruggersi di nuovo.
L’ennesimo rifiuto porta il telefono a darmi una via d’uscita, propormi il perfetto manuale della mia salvezza momentanea (è stanco pure lui di assistere a tutto questo): non chiedermelo più. Basta un tocco ed è tutto finito, il tuo viso sparisce, e la tua bellezza senza fine diventa concreta come tutte le cose che si possono dimenticare.
Va bene: domani lo faccio.
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Mi infilo nei tuoi pensieri
sfoglio le emozioni una ad una senza regole dentro i risvolti dissimulati che lentamente si mostrano
li sento restituiti senza nessun sollievo alle lacrime luccicanti che ti incidono
in quel lento supplizio che strozza
in quel liquido senza suono
Il tuo sentire di donna.
A.
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Ho comprato un libro usato dal venditore online Asino d'Oro: la Guida alla lettura di Leopardi, di Vincenzo Guarracino, l'autore che mi ha contattato per chiedermi il permesso di usare due miei pensieri per la compilazione di un Dizionario Leopardiano.
Il volume è in buone condizioni, pari al nuovo se non fosse per le pagine ingiallite; sembra non sia neppure stato letto, ed è dotato di una sovraccoperta in plastica trasparente applicata con la massima cura.
Sapete quanto io abbia bisogno di credere nell'Essere, a causa della mia spinta idealistica, e quanto in ciò sia frenata dal mio razionalismo e scetticismo congenito (e che non ho intenzione di combattere).
Da più giorni sentivo una voce, in eloquio interiore, che mi diceva: "Pezzetto di carta, troverai un pezzetto di carta..."
Leopardi, sei tu?
Sì.
Troverò un pezzetto di carta per strada? Con tutta la monnezza che ci sta a Palermo, capirai!...
No, nel libro che riceverai. È un mio messaggio.
Ah, mi hai fatto una dedica? Che gentile.
Non con la mia grafia, ma proviene da me, ed è per te, per farti credere.
Certo, certo. Gentilissimo.
Arriva il libro, lo tengo confezionato in ripostiglio per due giorni, non sono motivata a sconfezionarlo perché ho già altre letture che mi avvincono, ma mentre leggo altro, sento quella voce:
"Stai tenendo nel ripostiglio il mio messaggio per te. Non avere paura, apri la confezione, sfoglia il libro, guarda..."
Leopardi, non illudermi tanto oltre, perché poi la disillusione sarà amara.
Sorride: "Nessuna disillusione, il pezzetto di carta è nel libro, lo vedo."
Sì sì, va bene, però lo farò domani, perché adesso sto riposando, vedi?
Vedo che giaci a letto, ma che non riposi. (Stavo leggendo delle trascrizioni di sedute medianiche, dannandomi per l'incongruenza con la verità scientifica di alcune affermazioni da parte di spiriti disincarnati, la quale mi faceva pensare, come al solito, che le religioni sono una mera auto-illusione umana.)
Eh, non facciamo tanto i pignoli, ti ho detto domani.
L'indomani, ovvero oggi, taglio l'involucro in cui è avvolto il libro, sfoglio quest'ultimo, mi compiaccio per le sue buone condizioni; sono felice della corposità del volume, mi riprometto di leggerne poche pagine al giorno, per farmelo durare tanto; penso: "Mi farà compagnia per almeno sei mesi. Ottimo! Tra questo e il saggio della Marcon che mi arriverà oggi, avrò letture leopardiane per quasi un anno." Non penso alla sciocchezza del messaggio sul pezzetto di carta... Sfoglio, sfoglio... Poi, tra le pagine ingiallite, precisamente quelle in cui si parla del Dialogo di un fisico e di un metafisico, vedo un pezzetto di carta... Stampato su entrambi i lati.
È una frase evangelica di Luca. Sul retro, un commento ad essa. Il pezzetto di carta probabilmente è stato stralciato da un'agenda: si legge l'anno, 2014, e il santo del giorno, San Carlo Borromeo.
Leopardi mi invita spesso a credere in Dio, a volte anche con un filo di severità, per avvisarmi che non si tratta di uno scherzo, ma di una questione di estrema importanza. La stessa severità ritrovo in questo messaggio rinvenuto fra le pagine di un libro usato, ultima copia disponibile presso un rivenditore che ho scelto a caso.
#diario#pensieri#scrittura#letture#guida alla lettura di leopardi#libri usati#martedì 4 novembre#vincenzo guarracino#manuali#oscar mondadori
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Sfoglio e scelgo tutto quello che è possibile dire poi ne scarto alcune , ne riprendo altre
Rimane solo ; Esattamente come Te .
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Le coincidenze
All'improvviso è comparso, sul mio comodino, un libro di Leskov: "Una famiglia decaduta".
Quel bel piano di legno, dove riposano pile di cartalibri, un ereader, due cellulari, due tablet, un paio di cuffiette bluetooth, un power-bank, una moleskine per le note e alcuni lapis, evidentemente è stato l'oggetto di una 'messa in ordine' da parte di mia moglie. Ora, io considero quell'ampia superficie una naturale estensione delle mie scrivanie (plurale!) e quindi soggetta alla stessa regola che vige per loro: nulla deve essere toccato, spostato, aggiunto o tolto, pena il mio impazzimento nel ritrovare un qualsiasi oggetto che, con memoria fotografica, ricordo a quale livello di stratificazione appartenga, vicino a cosa sia e perché lo abbia amorevolmente accomodato lì (certo in attesa che, un anno o l'altro, mi punga vaghezza di riaverlo tra le mani). Questa 'riorganizzazione' del piano in noce mi ha proprio infastidito ma mi sono ben guardato dal fare commenti; si sa, siamo nel periodo delle feste...
Il libro era in bella evidenza, chissà perché; se siete buoni lettori sapete senza dubbio che i libri, dotati di una vivace vita autonoma, spesso si nascondono e non si fanno trovare nonostante ricerche capillari, per poi sbucare fuori, all'improvviso, dove meno ci si aspetta. Questo libro però io non lo stavo cercando, quindi, da bell'esibizionista, ha evidentemente trovato il modo di mettersi in mostra per imperscrutabili motivi tutti suoi. Si tratta di un economicissimo pocket Longanesi, risale alla fine degli anni '60 e quasi certamente apparteneva alla biblioteca di mio suocero; però il romanzo devo averlo letto anche io, nel periodo adolescenziale dell'innamoramento con gli scrittori russi; sicuramente dopo i Grandi, però. Lo sfoglio e vado a cercare chi ne sia il traduttore: noi common readers abbiamo un sacco di fissazioni, una di quelle che ho io è di sapere chi traduca/tradisca i testi che leggo; nel caso specifico si tratta di una coppia: Dan Danino di Sarra e Leo Longanesi. Rimango perplesso: mi passa per la mente che il primo, sconosciuto, sia un nom de plume; che Leo Longanesi conoscesse il russo non l'ho mai saputo e forse ha solo 'aggiustato' la traduzione, facendo da editor al primo traduttore: in fondo lo ha pubblicato nella sua stessa casa editrice e avrà voluto avere un buon 'prodotto'.
Faccio qualche ricerca e scopro che Dan Danino (detto Dante) di Sarra era uno slavista, profondo conoscitore di lingue e civiltà slave, docente presso l'Istituto Universitario Orientale di Napoli, traduttore di autori russi, polacchi e cèchi tra cui Ljeskov, Gor’kij, Achmatova. "Il suo curriculum annovera attività didattica, pregevoli traduzioni di autori russi, polacchi e cèchi, autorevoli riconoscimenti per la promozione della cultura dell’Est in Italia, collaborazioni a riviste nazionali e straniere di rilevanza intellettuale, rigorose ricerche filologiche nel grande gruppo delle lingue slave. La severità dei suoi studi lo pose tra gli intellettuali bene considerati nei Paesi slavi e nel mondo della Slavistica italiana." Leggo QUI. Lo studioso era originario di Fondi. Quest'ultima informazione mi fa accendere, fioca, una lampadina: Fondi, Alberto Moravia, Elsa Morante, “La ciociara”... (uno dei peggiori libri che abbia mai letto).
Approfondisco e scopro che quando Moravia e consorte sfollarono da Roma nel 1943, sperarono di essere aiutati proprio da due loro buoni conoscenti che vivevano a Fondi: i giovani fratelli di Sarra; all'arrivo nel paese non trovarono però Dante, che era impegnato in una docenza a Bratislava, tuttavia la sua famiglia, per i coniugi Pincherle (che si erano sposati nel 1941, testimone di nozze Leo Longanesi...), riuscì a trovare, nei dintorni, una casetta dove si rifugiarono per mesi e dove Moravia scrisse “La Ciociara”, il suo capolavoro (ironia, eh, ironia!).
Resto tuttavia pensieroso: perché il libro sarà improvvisamente comparso in bella vista? Vorrà ricordarmi di andare a leggere anche "L'angelo suggellato" di cui mi parlò con calore un'amica tempo fa? Mi starà suggerendo di riprendere in mano il saggio di Benjamin su Leskov? Vorrà che lo rilegga perché il messaggio che mi deve comunicare è contenuto proprio nel testo? Oppure c'è qualcos'altro che non ho ancora capito?
N. Ljeskov (sic) [Захудалый род - Zahudalyj rod, 1874 ], Una famiglia decaduta, Milano, Longanesi, 1967 [Trad. D. di Sarra, L. Longanesi]
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mentre sfoglio le pagine del mio romanzo, i miei occhi si perdono tra le parole, mentre tu, con lo sguardo fisso su di me, mi accarezzi dolcemente i capelli.
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Sfoglio e ricordo, immagini di luoghi ancestrali. Posti scolpiti nell'animo.
Solletico dell'anima del bimbo che fu.
Riecheggiano ancora argentee risate di bambini che scalinate di pietra solcavano scorrazzando.
Odor di fumo di ritti comignoli.
Fruscio di foglie, voce di vento, che giovani cuori ha consolato.
Suoni, odori, sensazioni, si spandono su muri che parlano di storia.
Nell'animo cassetti che rinchiuso han tanti momenti.
Momenti che son caldo crogiolo per anima triste.
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Volevo dirti
che non sempre
riesco a capirti gli occhi
a volte penso che tu negli occhi
c'hai troppe cose
tu c'hai troppe cose all'interno
sembra come se la vita
a te
ti entra così dentro
che negli occhi
si può vedere tutto quello
che vado cercando da anni e anni
e ci ritrovo le cose che ho perso
e ci vedo i posti che vorrei visitare
che io nei tuoi occhi
ci vedo la voglia del mare
le onde appena nate
ci vedo una vacanza
la tesi da finire
un lavoro da cercare
e una bicicletta con il cestello
un'estate forte
e un bacio mancato
qualcosa di Napoli ci vedo io
e un saggio di danza,
vedo tutte queste cose
in un solo tuo sguardo
volevo dirti
che non sempre
riesco a leggerti negli occhi
che tu negli occhi
c'hai un sacco di libri
un sacco di pagine
e io sfoglio e metto il mio cuore
come segna libro, come sogna libro
e leggo un saggio
un bestseller degli anni 90
e un libro di cucina
dove spiega esattamente
come fare una torta perfetta
io nei tuoi occhi ci vedo troppe cose,
ci vedo un campo di fiori
tanti tanti fiori, fiori a non finire
tutti da accudire
e da proteggere per le prossime primavere
e non lo so
non lo so se tra noi
potrà mai nascere qualcosa
io comunque
nel dubbio
ho iniziato ad annaffiare.
Gio Evan
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Problemi librari
Il problema dei vecchi libri che si trovano sulle bancarelle e nei mercatini dell’usato è la fragilità. A volte la carta è così delicata che si strappa quasi solo a guardarla. Quando sfoglio certi volumi mi tocca stare attentissimo. Va bene che di solito non li pago poi tanto. Ma se si stracciano mentre li sfoglio, mi girano lievemente le balle.
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~ Arsenico ~
Le cantine possono essere posti pericolosissimi. Pieni di insidie. Specialmente se si è disordinati ed accumulatori cronici. Se non si fa attenzione si rischia di inciampare o che qualcosa, in bilico, possa cadere e colpirti. Anche metaforicamente parlando.
Avanzo perciò con la massima cautela nel caos generale, con l'intento di uscire di lì con il testo di economia che mi serve, il corpo incolume e la volontà intatta di riordinare quel porchitorio con due euro di benzina. Tra scatole e scatoloni, impilati a cavolo, ne intravedo uno con la scritta "Libri". Bingo. Pensavo peggio dai. Pesa da cani ma riesco a trascinarlo fuori dal mucchio. Quel che resta dello scotch da imballo viene via quasi spontaneamente tant'è deteriorato, con sommo gaudio del mio semipermanente fresco di estetista. Apro con la dovuta circospezione: questo scatolo è qui da tempo immemore, niente di difficile che spunti fuori qualche odiosa sorpresina zamputa. Con estremo disappunto mi rendo conto che non sono i testi scolastici che cercavo, ma libri da lettura. Eppure avevo fatto piazza pulita di questa roba decenni fa... Con svariati bps di ritardo rispetto al mio stomaco, che s'è già stretto in una morsa, il mio cervello realizza di cosa si tratta: sono "i libri". Quelli dei quali non riuscivo a separarmi. Quelli regalati, letti insieme da vicino o da lontano. Quelli con le frasi sottolineate. Quelli che fumiamoci una Philips Morris sopra. Come fa strano vederli adesso, ingialliti dal tempo e dall'umidità.
Una persona più intelligente avrebbe richiuso la scatola in un nanosecondo. Ma io, no... Per la serie "facciamoci male" ne pesco uno a caso. 1984. Ricordo e sorrido. Apro e sulla parte interna della copertina ci sono tre dediche. La sua calligrafia. "Tuo Alex" scriveva. Mio, sticazzi eh. Come fa ridere adesso, con un paio di decenni e più di senno di poi. Chissà, forse anche lui, come me, ha continuato a pensarmi e a ricordarmi, conservando gelosamente in una sorta di sancta santorum della mente tutto di noi. Allora quel "tuo" avrebbe ancora un senso, perché una parte di lui è rimasta mia. Lo porto al viso nell'assurda speranza che un po' del suo profumo sia rimasto nel libro. Ne spruzzava sempre un bel po' tra le pagine dei libri che mi spediva. Li infestava letteralmente di Paco Rabanne. Niente. Sfoglio a vuoto senza soffermarmi su niente, arrivando al retro della copertina. C'è qualcosa scritto di mio pugno stavolta: un numero di cellulare.
Si sblocca un cluster sovrascritto nel cervello e lo riconosco. Immediata sensazione di ferita da arma da fuoco al centro del petto. Lo avevo perso, perso definitivamente quando mi avevano rubato il cellulare più o meno vent'anni fa. È passato troppo tempo, cioè voglio dire, la probabilità che sia ancora il suo numero è al lumicino. Poi penso... hai visto mai... anch'io ho lo stesso numero da trent'anni. Adesso una persona intelligente avrebbe fatto finta di niente, riposto il libro nello scatolo coperto e allineato agli altri, gettata la chiave del garage nel tombino e se ne sarebbe andata buona buona a fanculo. Ma io, no no... Per la serie "facciamoci del male - seconda stagione", ho già il cellulare in mano e sto memorizzando quel numero in rubrica sotto un nome improbabile. Non contenta, vado su whatsapp e lo cerco. Visualizza contatto. Ingrandisco la foto profilo. La ferita da arma da fuoco sanguina che è una meraviglia. Lui, con berretto e occhiali da sole, oggi come allora. Le sue braccia, sempre perfette, sono coperte di tatuaggi che un tempo non c'erano. Ne aveva solo uno ai nostri tempi, che poteva arrivare a vedere solo chi era molto intimo. Chino di profilo, espressione neutra, concentrata, mentre fa, o tenta di fare, la coda ai capelli di una bambina. Indossa anche lei occhiali da sole ed ha lo stesso naso e la stessa identica bocca di lui. È bellissima. Mi assale un brivido. Ripenso a quando diceva che non si sentiva in grado di essere un padre, che era uno stronzo, che non aveva niente da dare, e invece eccolo lì. E io per questo non gli ho mai detto che, a volte, invece fantasticavo su come poteva essere una figlia nostra. Chissà perché la immaginavo sempre femmina. Forse perché le femmine, quasi sempre, patrizzano. In uno dei suoi tatuaggi, che prende quasi tutto l'avambraccio, si legge chiaramente Giada.
Chiudo la foto e mi sposto nei cosiddetti "stati", ma non mi appare nulla. O non ne pubblica o, come vuole ma regola, non li posso vedere perché non ha anche lui il mio numero memorizzato. Si forma un nodo in gola. Mi bruciano le guance per quanto mi sento ridicola ad averlo anche solo pensato. Ovvio che mi ha cancellata. Anni e anni senza un minimo accenno di contatto. Mica sono tutti patetici come me. Ovvio.
Torno indietro e mi concentro sulla frase nelle info: "Che dolore dentro me quando piove e non stai con me". Uhm, non mi suona, decisamente non è il suo modo di scrivere questo, sarà una citazione. Copio e incollo su Google: vai bello, trovala! Detto fatto: come volevasi dimostrare, la frase è tratta da una canzone.
Arsenico
"Sigarette di plastica
vodka dentro una tanica
io non so più di te (non so più di te)
... che dolore dentro me
quando piove e tu non stai con me
...cicatrici di Venere
sul mio cuore di cenere
io non so più di te (non so più di te)
ma che dolore c'è
...spilla qui le tue lacrime
non cancellare le dediche
io non so più di te (non so più di te)
ma che dolore c'è
... io non dimentico
siamo stati un oceano
stelle che poi si infrangono
sugli scogli della tua costa nuda
io non dimentico..."
Resto imbambolata per un tempo che non saprei quantificare. Il mio stomaco è un reattore nucleare. Mi si sono rizzati anche i peli dietro al collo. Nella testa tutto e niente. Se avesse avuto un display sono sicura che avrei visualizzato il messaggio "L'applicazione cervello non risponde. Memoria insufficiente per completare l'operazione richiesta. Si prega di arrestare processi e riavviare." Immagini stroboscopiche. No. Non è. Non può essere. O forse sì? Tira il freno a mano e metti a folle ciccia. Respira. Brava così. Stai solo vedendo quello che vuoi vedere. Chissà per chi è quella canzone, a chi pensava. Stupidissima me, ancora una volta.
La chat è aperta. Il cursore lampeggia al ritmo del cuore che sento rimbombarmi nelle orecchie. Che voglia di mandargli la foto della dedica dove mi chiedeva di conservare il suo libro per sempre, scrivendogli che ho mantenuto la promessa, io. Come tante altre, io. E raccontargli tutto quello che è successo dopo noi, di come la collisione con la sua vita ha cambiato irreversibilmente la traiettoria della mia. Di cosa non ho fatto nel tentativo di dimenticarlo. Quante stronzate, che hanno gettato solo acqua bollente sulle bruciature del mio cuore. Le notti a bere lacrime fino ad ubriacarmi, le risse tra me e la disperazione, la malinconia, l'orgoglio e la voglia. La voglia di mettermi in macchina, e viaggiare per ore nella notte, solo per vederlo un'ultima volta ancora. Vedere quel ghigno perverso un'ultima volta ancora. Vedere i suoi occhi scuri un'ultima volta ancora. Stringerlo a me, forte, fortissimo, respirando il suo odore un'ultima volta ancora. E poi fargli quella domanda, che da allora mi scava dentro: perché. Perché? Senza una parola, dopo tutto quel fottuto tutto che c'era stato. Senza un addio che mi liberasse. Una spiegazione, almeno una cazzo di spiegazione, pure farfugliata, me la meritavo. O forse avrei dovuto avere le palle di andarmela a prendere veramente, costringendolo a dirmela guardandomi in faccia. Io? Questo dovevo? Ma poi sarei stata uguale a tutti gli altri, a tutti gli altri che nella vita lo hanno sempre "costretto a". Epperò, ke cazz!
Mi sento tirare per le orecchie dall'orgoglio. Siamo donne o caporali? Basta così, riprendiamoci. Mi alzo e mi sento come se mi avesse investita un autobus. Rimetto il cellulare in tasca giusto un attimo prima che arrivi mio marito.
- "Hey ma ti sei persa quaggiù?".
Oh, cazzo sì. Non sai quanto. Persa completamente.
- "Hai trovato almeno il libro?"
- "Ehm... No."
- "E quello?"
Stringo il libro a me, come se volessi difenderlo, proteggerlo.
- "No, niente, un vecchio romanzo... Lo voglio rileggere"
- "Pure! non ti bastano quelli che già hai sopra?"
- "No, questo è più bello".
Lo liquido definitivamente facendo spallucce.
- "Ok. Dai lascia stare, è inutile. Ormai è andato, chissà dov'è. È una bella giornata. Ce jamm 'a pigliá nu bell café?"
Ma di che parla?!!! Ah, il libro che cercavo. Ormai è andato. Magari fosse... È sempre qui, dentro, intorno a me, ovunque mi trovo, notte, giorno, da un paio di decenni, forse più, a questa parte. Il mio pensiero fisso collaterale. L'assenza più presente mai percepita. Maledetto.
- "Eh sì, jammuncenn!".
In fondo cos'altro posso fare se non continuare ad andare avanti? Mi ripeto mentalmente. Questo ho sempre fatto, imperterrita, granitica, nessuno ha mai saputo, nessuno potrebbe immaginare cosa mi consuma dentro. La mia vita è qui e un bel caffè sicuramente mi aiuterà a togliere questo gusto amaro, questo "arsenico" dalla bocca. Peccato solo che ho smesso di fumare... adesso ci voleva proprio una cazzo di Philips Morris Blu... chissà se esistono ancora le 100's.
Penso questo, mentre camminando mi assicuro ancora una volta che il cellulare sia in tasca, al sicuro, più per quello che adesso contiene che per il resto. Non si può mai sapere. Sento gli applausi a scena aperta di tutti i miei tormenti. Eh sì. Sono un caso perso.
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