#sembra che ho preso pugni in fronte
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rifare la tinta in casa 🤝🏻 sembrare uscita da un combattimento corpo a corpo in AOT o JJK.
#pensieri#me#checolorehaunanimabruciata#artists on tumblr#tumblr girl#sono di nuovo rosso sangue#blood red#tinta#non vi metto o mando foto#tanto so che non vi frega#per l'egocentrismo su Instagram nelle storie#no beh dai narcisismo#ma non patologico#sembra che ho preso pugni in fronte#ho guardato AOT mentre aspettavo che fosse ora di sciacquare
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Bisogna fare attenzione a tutto a casa mia; a come ti muovi, a come respiri, a come parli, a come stai zitto, è davvero un massacro soprattutto nei giorni come oggi.. pieni di malinconia e freddezza.. odio questa vita e mi piacerebbe cambiare il mio futuro ma sembra una cosa impossibile. Una parola di troppo e vieni sbattuto a terra peggio delle bestie….ricordo che ieri sera volevo tornare in camera e mio padre vedendomi girare l’angolo inizio col solito pippone al che io tornai indietro e gli risposi, dissi anche che andare in camera a farmi i cazzi miei era l’unica cosa che mi era rimasta praticamente è se mi avesse tolto anche questo tantovale morire.. non posso far nulla chiuso in casa, mi ritrovo ad aver paura anche del fatto che io esista e non esco dalla mia stanza la maggior parte delle volte proprio per questo.. la gente capisce che sto male ma non aiuta anzi mi fa stare peggio.. e non importa anche se rimarrò così .
Ieri sera come volevasi dimostrare fini in lite comunque, mi venne un attacco nervoso come non capitava da anni, come succedeva alle medie o peggio i primi anni di superiori quando soffrivo di depressione, attacchi di panico misto ad epilessia e nervosismo. Ho preso ad urlare insulti e lanciato il pianale del tavolo in legno massello dall’altra parte della sala, presi a lanciare cose ai muri ed andai addosso al mostro che era lì di fronte, pensai che troppe volte in questi giorni ho subito ed era ora della mia momentanea vendetta, presi a menare continuando a urlare cose, manate e pugni a caso per qualche manciata di istanti per poi trovarmi dolorante per terra, mi rialzai peggio di un cavaliere in battaglia e le manate in volto non tardarono ad arrivare, sgusciai dopo aver sferrato altri pugni scivolando nuovamente per terra con le lacrime che mi solcavano il volto e il naso sanguinante, mi rialzai accanto ad un mobile in cucina, vicino comparse il mio cane e dopo poco sbuco’ da dietro il muro la fonte dei miei problemi, era provato è graffiato in volto, un po’ rosso dalle mie botte ma nn troppo rispetto al dolore secondo me; mi guardò e mi sputo addosso lanciando il piatto che aveva in mano poi si giro e se ne andò nel bagno. Ero terrorizzato e provato, tanto come ora che dopo parecchie ore mi sono convinto di raccontare;
lavai i piatti nel lavello ripensando alle scene di poco prima e andai a rassettare la sala alla benomeglio buttando qualche pezzo di roba volata qua e là, poi spensò la tv ancora accesa e mi sedetti sul sofà con la coperta che è sempre piegata ai piedi. Lui uscì dal bagno e dopo esser rimasto seduto qualche minuto si rialzò e uscì dalla stanza.
Quel tempo lo utilizzai per rimettere a posto il tavolo, i quaderni volati, tovaglia e tutto ber poi accendere netflix e mettere un film, finire qualche sudoku e rimettermi sul divano dove mi addormentai messaggiando con un amico.
Stamattina mi alzai parecchio sfatto e cercai mentre tutto era ancora silente e buio di andare in bagno e sistemarmi senza far troppo rumore, caffè veloce subito dopo e via in camera.. dove sono tuttora che sono le sei di sera…
So che è una vita difficile e schifosa la mia ma se cercassi aiuto so già che sarebbe peggio.. oddio dipende da chi l’aiuto perché continuare a chiamare 113 e assistenza sociale l’ho già fatto da tempo e ogni volta non ha mai funzionato fino in fondo, con mia madre invece cerco di evitare troppe parole dato che ho paura delle conseguenze soprattutto per lei se si sa in girano che mi sta aiutando. So benissimo che dovrei essere io a smettere di essere la possessione di uno stronzo del genere, dovrei andarmene e dar voce al giusto ma tra paura per me è per gli altri attualmente non c’è la faccio, non posso andar via ne rimanere, è una situazione paradossale come tutto nella mia vita ma è così, e so che stavolta è andata così perché l’ho voluto io perché sono io ad aver attaccato per primo perché magari si sarebbe risolta con quattro insulti e due sguardi cattivi ma avevo una rabbia dentro giuro che nessuno immagina. La rabbia del non poter fuggire we del non poter rimanere, la rabbia per la mia facci tosta, la rabbia per la mia stupidità, la rabbia verso chi mi vuole male o chi non mi apprezza e giudica solo, la rabbia verso chi non vuol capire il mio stato e soprattutto per la rabbia verso me stesso e i miei sentimenti, per come non sappia mandare avanti un cazzo di nulla .
Stare sul letto a scrivere e pensare nn era la mia più grande aspirazione di giornata ma vabe, domani e un’altro giorno e si vedrà almeno nn ero su a menare in lungo e in largo e a rovinarmi l’esistenza con le paranoie e la rabbia verso chi attualmente vive con me . Giuro però che ho iniziato ad amare davvero la mia persona e a capire di essere speciale nnche l’unica persona che mi può aiutare in tutto questo, ma l’odio verso la persona con cui vivo va al di là di tutto perché me ne ha fatte passare così tante che nemmeno mi ricordo più tutto, è difficile la vita ma non impossibile, pensare positivo e andare avanti è l’unica strada.
👋🏼👋🏼a dopo o a domani vedremo
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Il tempo e le appendici
03/0/2021
Il tempo a un certo punto è diventato un problema. È successo poco prima che la pandemia, ampiamente annunciata da più direzioni anche se proprio non volevamo crederci, diventasse una questione tangibile nelle esistenze della maggior parte di noi, dilatandolo (il tempo) e, di fatto, rendendolo inutilizzabile come un elastico slabbrato.
Erano i primi giorni del 2020 e sicuramente i miei quarant'anni appena compiuti avevano un peso specifico in questo cambio di percezione.
Un caro amico, parlando di corsa, una volta mi ha consigliato di adottare il trucco che utilizzano i piloti di formula uno per portare in fondo un circuito senza lasciarsi sopraffare dalla durata della competizione (gli ho creduto sulla fiducia, perché come ho già detto altrove, per me le automobili sono solo un mezzo per andare da un punto A a un punto B): conta i giri che hai fatto, non quelli che ti mancano ancora da fare. Nella corsa si possono sostituire tranquillamente i giri con i chilometri, visualizzare a mente il percorso come una mappa da colorare con l'evidenziatore mano mano che si procede: il discorso resta il medesimo e si può serenamente applicare in generale a tutte le attività che richiedono di addomesticare quella bestia vorace che si ciba di ore e giorni.
Prima del giro di boa dei quaranta, l'atto di ricordare aveva per me un sapore dolcissimo. Stare seduto su uno scalino, birra alla mano, insieme a qualche prezioso pezzo di vita e raccontarsi a memoria quante ne abbiamo fatte insieme, sbellicarsi o intenerirsi per le urgenze di allora, darsi pacche sulle spalle o far baciare i pugni, dirsi dio, se ti voglio bene! e mandare giù sorsi generosi, era quello che amavamo definire una “seratona”, serata enorme, grandiosa, ideale.
Ecco, quella roba lì, superata la vetta di quattro decenni, condita con il successivo isolamento del lockdown, ha preso un retrogusto strano e il tempo vissuto non ha più trovato quella dominante nota fruttata. Certi giorni sa solo di tappo, sa di privazione, di un sapore perduto per sempre e non riesco a non guardare di fronte a me con apprensione l'entità dei giri da fare ancora, a non rimpiangere la forma e la sostanza delle giravolte dei miei anni più luminosi.
È un sabotaggio della mia testa (il terrore di aver già visto il meglio), ci mancherebbe ne sono consapevole, ma un sabotaggio maledettamente ben orchestrato. E allora ho provato, nell'ansia più cieca, a cavalcarlo il tempo, spezzettandolo in parti piccolissime, imbrigliandolo in liste di cose da fare giorno per giorno, stipandolo in scatole ben etichettate, chiudendolo in tanti ridicoli recinti e neanche a dirlo, ho fatto peggio. Riuscivo a vedere solo quello che alla fine della giornata non ero stato in grado di portare a termine, il resto sembrava materia viscida e scivolosa scappata dalla presa delle mani. Nella lunga sospensione di questi mesi, che non torneranno più allo stesso modo, anche se imponessero altri lockdown, scoppiassero nuove pandemie, blocchi esterni e interni, la sensazione che ho provato è di aver sprecato l'occasione irripetibile per fare un balzo in avanti, scrivere e riscrivere i miei bisogni, rimescolare un po' le carte e imparare a setacciare le cose importanti in mezzo a cumuli maleodoranti di stronzate.
Il mondo è rimasto quello di prima e io con lui, nonostante tutto.
Quindi credo sia il caso di smetterla con questo ostinato voltarmi indietro o buttare l'occhio oltre le colline. Mi concentro sul presente, dopandomi con la musica che si schianta nella caverna del condotto uditivo, prendendo in considerazione solo la ragnatela di cretti che spaccano la terra che calpesto o una foglia morta arrotolata, un pezzo di cacca secca, un giubbotto lercio abbandonato sopra a un divieto di caccia. Non do udienza ai muscoli, ignoro la mia spina dorsale, non ascolto il respiro e so che a livello sportivo è tutto profondamente sbagliato. Non sono uno sportivo, non sfido me stesso. Sono rimasto indietro, ancora nella fase in cui cerco di comprenderlo me stesso, dentro. Poi magari, domani, mi occuperò anche dell'involucro esterno e della necessità o meno di sfidarlo.
Il senso vero sta nel “qui e ora”, direbbe una psicologa in gamba che conosco, nella falcate a tamburo di questa discesa rompicollo cosparsa a pioggia di sassi puntuti, nella voce catatonica di un J Mascis sempre uguale a sé stesso eppure nuovo, con quella Fender Squier che sembra un'emanazione mentale e rabbiosa, sempre pronta a rincorrerlo o precederlo, come un'appendice meccanica necessaria per tradurre quello che il resto del suo corpo non riesce a dire.
Alessandro Pagni
Ascolto: Dinosaur Jr, Take It Back
#corsa#correre#lartedicorrere#lartedicamminare#camminare#sofferenzeopzionali#cretesenesi#tempo#tempo perso#autoritratto#self portrait#dinosaur jr#j mascis#fender squire#formula uno#pandemia#lockdown#pensieri#ricordi
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Sacrifice, Chapter 13
PAIRING: Wanda Maximoff & James Bucky Barnes
"Oh andiamo Natasha! Hai avuto il tuo tempo con Wanda ieri, ora lasciala a me"disse James dal lato opposto della scuola, vicino al cancello.
"Le stavo solo parlando di come sarebbe bello il nostro cartellone appeso nella classe del signor Barton, non sono come la tua ex..."
"Ed io non sono una pallina da ping pong che va avanti e indietro"disse Wanda fingendosi offesa.
"Lo so, tu e Sharon siete molto diverse Natasha. E scusami Wanda, non volevo intendere quello..."
"Sto scherzando tranquillo, non me la sono presa..."disse lei dandogli un leggero colpetto sulle spalle.
Entrambi sorrisero e James provò persino a fermarla ma riuscì solo a prendere la sua mano sinistra fra la sua destra e stringendola di poco.
"Sai che pugni come i tuoi non mi fanno nulla?"
"Io ci provo lo stesso, lasciami provare..."
"Braccio di ferro appena arriviamo a casa?"
"Te lo scordi, ti sei dimenticato che il signor Stark vorrebbe sentirmi domani sul primo capitolo di fisica ed io non ne ho studiato neanche la metà?"
"Ehi, ehi, ehi frena...chi hai come tutor?"
"Il capitano Barnes, ma cosa c'entra con questo?"
"Sono anche il primo della classe di fisica, te ne sei dimenticata?"
"Non me ne sono dimenticata, ti chiedo di muoverti sennò finisco di non dirgli niente a quello..."ma fu zittita dal dito di lui sulla sua bocca.
"Non dire cose cattive che pensi sulla gente, è maleducato..."disse mentre Wanda cercava di togliersi il suo dito da sopra la sua bocca.
"Disse colui che aveva mandato la sua ex fidanzata a fanculo dinanzi a mezza scuola"
"Lì è diverso e mi sono sfogato anche parecchio"
"Non è diverso, sei stato maleducato tu e non io"
"Preferisci camminare oppure vuoi che ti zittisca in un'altra maniera?"
Appena disse quelle parole lei si fermò in mezzo alla folla di studenti che stava uscendo dalla scuola mentre lui si maledisse interamente. Qualcun'altro la poteva facilmente interpretare in una maniera completamente sbagliata, ma non era così e James sapeva di aver fatto la sua prima figura di niente con Wanda, forse il suo subconscio lo stava già prendendo a schiaffi se non fosse per il fatto che non era solo. Certo, c'era un modo per fare questo ma James non si spiegava ancora il perché voleva farlo.
Insomma Wanda era carina, gentile e anche simpatica. Aveva quel sorriso che gli mandava in fumo il cervello e quando la vedeva non aveva abbastanza autocontrollo da potere pensare alla cosa giusta da dire.
"Scusa, non..."
"No, va tutto bene...proseguiamo?"
Lui annuì e per tutto il tragitto non smetteva di pensare alle parole che gli aveva detto. Perché era rimasta ferma? Perché non aveva detto una parola subito? Perché lo guardava come se fosse un pazzo? Da quando in qua James Barnes era nervoso con una ragazza? Beh, da oggi o forse da quando aveva visto per la prima volta Wanda Maximoff.
Certo non che lo fosse stato anche quando di fianco a lui c'era Sharon Carter, ma sappiamo tutti che il rapporto con lei non era dei migliori e per fortuna che è terminato.
"Saremo soli?"sbottò lei e subito si girò a guardarla.
"Si, si certo. Mio padre è in ufficio mentre mia madre ha il turno di mattina all'ospedale"
"Tua madre è un'infermiera? Non me l'avevi detto la volta scorsa che mi accompagnasti a casa"
"Beh...non avevo trovato motivo"
"Mh, okay. E tua sorella?"
"Tornerà a momenti, sperando che non sia arrivata prima"
Arrivarono ad un cancello di legno massiccio, abbastanza grande e messo orizzontalmente e con il mazzo di chiavi James aprì quello piccolo messo di fianco, dello stesso materiale ma messo verticalmente.
"Vivi qui? È tutto così bello ma anche..."
"Troppo eccessivo, lo so. Mi piacerebbe davvero vivere in un bel appartamento di Brooklyn senza tutto questo eccesso ma purtroppo..."
"Beh, sembra che hai davvero tutto ciò di cui hai bisogno..."disse lei mentre lui la faceva entrare nella sua casa.
"È davvero bella"disse lei iniziando a camminare nel grande living.
C'erano due divani bianchi, uno messo a destra delle scale e l'altro alle spalle della sala da pranzo. Di fronte alla porta scorrevole a sinistra, dello studio di suo padre, c'era una poltrona girevole dello stesso colore.
Un camino e di fianco ad esso c'era persino una tv. La sala da pranzo affacciava sulla cucina, da dove proveniva un profumo parecchio invitante.
"James sei tu?"una voce la fece girare dove c'era James e vide, dalla porta della cucina vicino a quella di casa, uscire una donna che a lei sembrava familiare.
"Si, mamma sono qui ma potrei farti la stessa domanda..."disse lui rivolgendo uno sguardo alla sua destra.
"Ho finito prima questa mattina e visto che le tue lamentele sono infinite quando non trovi nulla da mangiare ho pensato di cucinare qualcosa...ma non sei da solo!"disse sua madre vedendo poi Wanda.
Aveva un sorriso timido sulle labbra e le mani giunte, la sua pelle bianca faceva da contrasto al colore che aveva spalmato sulle sue unghie, il nero.
"Salve,sono..."
"La ragazza del burro d'arachidi?"chiese la donna e James, suo figlio, la guardò con un'espressione confusa.
"Esatto, ma all'anagrafe sarei Wanda"
"Già vi conoscete?"chiese James con un sorriso tutto rivolto a Wanda.
"Beh...di vista"disse la castana allargando di poco le braccia.
"L'ho incontrata l'altro ieri al Walmart, avevo chiesto a tuo padre di prendere del burro di arachidi ma come sempre era a telefono. Cosi mi sono sacrificata io e l'ho preso anche per lei..."
"Io direi che è tutta sfortuna, visto che sono bassa..."
"Oh, ma non è vero! Nella botte piccola c'è il vino buono, io sono Winnifred"
"Lei è la ragazza di cui ti parlavo, quella delle ripetizioni..."disse James.
"Si, me lo avevi detto! Ma non avevi accennato al fatto che fosse davvero così bella"
A quella affermazione, un leggero rossore si impossessò delle guance di entrambi, ma soprattutto James che per la prima volta non sapeva cosa fare.
"Beh, grazie signora Barnes"
"Oh, tesoro chiamami Winnifred, tranquilla"
"Va bene...mh, andiamo?"chiese lei infine guardando James.
"Si, ci vediamo dopo..."disse lui e contemporaneamente Wanda prese il suo zaino e insieme a James si diressero al piano di sopra, nella stanza di lui.
Lui aprì la porta e un miscuglio di bianco e nero le saltò subito agli occhi. C'era un'enorme finestra che affacciava sulla strada e messa di fronte ad essa c'era una scrivania, sulla sinistra c'era il suo letto e tanti altri mobiletti sempre sul bianco e sul nero.
"Davvero una bella stanza"disse lei e poggiò la sua borsa sul letto.
"Iniziamo?"chiese lui sorridendole e lei annuì.
Anche stavolta, nel giro di soli due giorni, si ritrovò in una stanza di una persona che aveva conosciuto da poco ma che, chissà per quale motivo, sembrava di conoscere da una vita intera. Era davvero strano, ma nella stranezza generale lei ci trovava qualcosa di bello, anche se non sapeva ancora cosa.
"La cosiddetta scomposizione armonica è un'onda periodica che si può sempre scomporre come combinazione di funzioni sinusoidali..."
"Okay, non dimenticarti di dire che il luogo dei punti in cui l'onda ha la stessa fase e la stessa ampiezza si chiama fronte d'onda. Nel caso bidimensionale è un elemento di famiglia di curve, in caso tridimensionale è un un elemento di famiglia di superfici"
"Okay, sembra facile"disse lei guardando gli appunti presi
"Facile? Credevo che per te fosse arabo"
"Si, ma tu sai spiegarti molto bene..."disse lei alzando lo sguardo.
Lei era seduta con le gambe incrociate sul tappeto bianco e nero della sua stanza, insieme a lui.
Bel modo di fare ripetizioni insieme, giusto? Beh a James non importava molto, visto che in quello stesso istante si trovava con Wanda e qualsiasi posto sarebbe stato perfetto per poter rimanere con lei.
Rimase interdetto, non sapeva cosa rispondere. Se fosse stata un'altra ragazza lui avrebbe trovato subito la risposta adatta ma diciamo che non aveva ancora ben chiaro il motivo per cui non riusciva a dire una sola parola quando si trovava di fronte a lei.
Era strano, non riusciva a spiegarselo.
Solo il tempo gli avrebbe dato le risposte giuste...
"È un complimento?"chiese lui ma Wanda non riuscì a rispondere, interrotta dal bussare della porta di camera.
James fece entrare nella sua stanza una piccola bambina, con dei capelli castani e una maglia rosa sgargiante. Lei corse verso di lui e Wanda guardava la scena parecchio divertita.
"Tu sei Wanda?"la voce piccola di Rebecca la fece sorridere di più e le rispose annuendo.
"Finalmente James si è dato da fare, quella bionda che avevi portato a casa l'altra volta non mi è piaciuta per niente"
Wanda rise e James guardava sua sorella anche lui con un sorriso.
"Ti piace prendere in giro il fratellone?"chiese Wanda alla piccola Rebecca e lei annuì.
"Ehi, io ti sto aiutando! E tu piccolo mostriciattolo, se continui a prendermi in giro non giocherò più con le tue Barbie e i loro mille vestiti"
Gli occhi di Wanda erano fissi sulla scena radiosa e piena di gioia che le si presentava dinanzi agli occhi. Due fratelli che si volevano bene e soprattutto il grande sorriso di James mentre faceva il solletico alla sua sorellina.
Sorriso che forse non avrebbe più scordato, insieme a quegli occhi.
"Okay, okay pace! Sono solo venuta a dirvi che la mamma ha preparato la torta al cioccolato"
"Cioccolato? Sembra essere buona!"disse lei guadagnandosi l'attenzione della piccola Reb.
"Si, il fondente è buonissimo!"disse la piccola scendendo dalle ginocchia di suo fratello.
"Ed anche il mio preferito!"disse Wanda.
"Allora vieni, sarai la giudice della mamma"disse la piccola stendendo la mano di fronte al viso di Wanda e lei si alzò quasi subito.
La seguì fino all'uscio della porta di camera, fin quando non si girò e vide James che la guardava per l'ennesima volta dalla testa ai piedi, estasiato più che mai.
"Tu non scendi?"chiese lei voltandosi e facendo ondeggiare i suoi lunghi capelli castani.
"Si, si...arrivo subito"disse lui tornando alla realtà dopo un lungo sogno ad occhi aperti.
Chi c'era in quel sogno? La stessa persona che avrebbe voluto per tutta la vita. Ma ancora non sapeva che prima di averla per sempre fra le sue braccia, avrebbe dovuto sacrificare qualsiasi cosa, persino se stesso.
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Qualcuno vuole sentirsi libero e qualcuno teme che i suoi sentimenti facciano rumore
Parole: 4074 Beta: server di Discord Fandom: Sanremo RPF (Cenone di Natale AU/Sanremo Family AU) Ship: Ancora nessuna (sempre molto tecnicamente) Avvertimenti: ???, I N A M I C I Z I A, alcol, lieve menzioni di comportamenti leggermente autodistruttivi, personaggi molto in background sono lievemente creepy, pubblicità gratuita a Netflix Note autore: Ambientata poco dopo il finale di questa (X). Sì, di questi titoli ne avremo ancora per un po’. Inizia ad essere necessario un masterpost per il Cenone AU (e lo farò, davvero)... Conoscendo gli sviluppi futuri rileggere questa è stato... Interessante.
Cally guarda l’orario dall’orologio della sua camera e si convince finalmente a vestirsi. È assolutamente inutile fare la doccia in anticipo se poi resto mezz’ora a fissare il soffitto. Butta l’asciugamano da una parte e si alza per recuperare la biancheria dalla valigia. Incredibile che non l’abbia ancora sistemata nell’armadio, ormai sono arrivati da una settimana.
Mentre si sta infilando i pantaloni che ha scelto, il suo telefono comincia a squillare. Cally sbuffa e si sposta verso il comodino per recuperarlo e rispondere «Oh ma quindi vieni a giocare a biliardo?» chiede Rancore quasi urlando per sovrastare il vociare dei cugini intorno a lui «Ancora? Eccheccazzo Tarek, te l'ho già detto che c'ho da fa' stasera...» risponde Cally mentre sistema due camicie sul letto per cercare di decidere quale indossare. Nera o bianca? Sente Rancore sbuffare ed una risatina che sembra appartenere ad Anastasio «Sì, sì, me l’hai detto... Ma tu dici tante cose... E poi è una scusa del cazzo "c'ho da fare", dai! Almeno sii più specifico se devi inventarti cazzate, no? Che hai da fare di così segreto, mh? Un appuntamento? Oh. SÌ HO RAGIONE VERO? come ho fatto a non pensarci prima?» si lamenta Tarek «Oh Marco mi sa che Cally se la fa con qualcuna! Ma perché non ti tieni aggiornato sui tuoi stessi parenti?» aggiunge chiaramente rivolto a Anastasio che deve essere a poca distanza da lui. Cally chiude gli occhi e sospira pesantemente prima di iniziare ad indossare la camicia bianca. Tanto vale andare sul classico.
«Non è un appuntamento.» dice secco sopra le esclamazioni di Tarek «Esco con un'amica. È una serata tra amiche.» continua mentre recupera le bretelle da un cassetto prima di chiuderlo forse con un po’ troppa forza. Tarek si fa improvvisamente più curioso «Sto riuscendo a farti rivelare i tuoi piani... Mhhh... Dimmi un po' com'è che tu stai in vacanza con la tua famiglia ed organizzi appuntamenti? E cos’è questa inversione di ruoli tra me e te?» continua a stuzzicarlo «È stata una coincidenza: anche lei è in vacanza con la sua famiglia in questa zona... È arrivata un paio di giorni fa e, dopo aver scoperto che anche io ero qui, mi ha proposto di farci una serata in un locale. E dato che una serata tra amiche è sempre una buona idea, ho accettato. Non si tratta affatto di un’inversione di ruoli. Io se ho un appuntamento, lo chiamo appuntamento. Non mi faccio certo le tue pare mentali… È una serata tra amiche.» spiega Cally mettendosi le bretelle prima di spostarsi verso il bagno per sistemarsi i capelli. «Sì, certo come no. Ma tu con questa ce vuoi prova'?» continua Rancore. Cally deglutisce e poi risponde con il tono più neutro possibile «Tarek vuoi che ti mando a quel paese per telefono o prima di uscire passo al biliardo per farlo di persona?» risponde e Rancore ridacchia «Oh, oh... Okay ho capito. Serata tra amiche. Nessun appuntamento. Peccato comunque... Potevi stare a divertirti con noi, bere un po', stuzzicare Anastasio come fai di solito, magari fare un po' di gossip su Diodato... Ma no, vai vai con la tua amica...» risponde con tono di resa.
Cally è improvvisamente più interessato, ma non vuole darlo troppo a vedere. Prende discretamente un respiro profondo e cerca di far suonare la sua voce disinteressata «Ah sì... Mi sto perdendo proprio una seratona... Fare quello che faremmo di solito con il bonus del biliardo... E dell'inesistente gossip su Diodato che da quando è finita la sua storia con mia cugina non ha fatto assolutamente nulla... Tra un po' potremo mettere un cartonato al posto suo e sarebbe la stessa cosa!» mentre finisce la frase si morde il labbro e trattiene qualche imprecazione cercando di non prendersi a pugni da solo «Come niente gossip su Diodato? Cally pensavo che non vedessi l'ora di parlare della sua nuova acconciatura da quando siamo arrivati! Stiamo facendo teorie sul perché si sta facendo crescere i capelli da giorni ormai! Dov'è finito il tuo spirito investigativo? Vuole essere più Johnny Depp anni novanta o Leonardo Di Caprio anni novanta? È ancora una sua pessima reazione alla rottura? O vuole cercare di rimorchiare qualcuna? Non ci credo che proprio tu non te lo sia chiesto... Mi aspettavo che stessi preparando almeno un centinaio di nuove battute... A meno che tu non sappia già il motivo di questo cambio di look...?» risponde Rancore senza notare il tono forzato di Cally «Ah intendevi quello! No, no... Non so perché l'abbia fatto ma davo per scontato che stesse attraversando una fase Beatles... O cazzate così... Comunque ovviamente ho già pensato ad un nuovo repertorio di battute, per chi mi hai preso?» ribatte Cally e si stupisce lui stesso di quanto la bugia gli esca facilmente. Tarek ride «Adesso ti riconosco! Comunque divertiti con la tua amica… Scommetto quello che vuoi che alla fine te la porti a letto…» dice con tono ironico. Cally si morde il labbro e raccoglie per l’ennesima volta i suoi pensieri «Sì, certo Tarek… Infatti sappiamo quanto sei fortunato con le scommesse… Invece che cercare di combinarmi con le mie amiche, concentrati a cercare di farti Marco per favore. Tre appuntamenti e ancora non l’hai baciato, dai… Che vergogna… Mi sto pentendo di averti combinato con lui, in fondo mio cugino si merita meglio di così, no?» replica con un aspro tono sarcastico prima di salutare mentre Tarek cerca di balbettare qualcosa e riattacca. Cazzo, forse ho esagerato un po’, pensa, ma sa anche che Rancore lo conosce e che non penserebbe mai che dicesse sul serio. Almeno lo spera.
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Cally si piazza a poca distanza dall’ingresso del locale e si accende una sigaretta mentre aspetta. Non c’è esattamente freddo, è estate in fondo, ma c’è una leggera brezza che viene dal mare e gli sta facendo venire i brividi. O forse è solo la sua impressione. Nessuno intorno a lui sembra in alcun modo infastidito o infreddolito. Forse è davvero solo lui. Temevo di arrivare in ritardo io ed invece… A quanto pare la signorina si farà aspettare? Cally sorride tra sé e sé mentre si fa un tiro. Adesso ovviamente l’unica cosa a cui non devo pensare troppo è che sto prendendo una cotta bella e buona per Anita, giusto? Cazzo, di sicuro in questo momento non ha bisogno anche delle mie idiozie… A proposito di Anita… Cally controlla l’orario. È un po’ in ritardo rispetto all’orario prefissato… Magari ci ha messo un po’ di più a prepararsi o… O è stata fermata da qualcuno della famiglia. No, in quel caso avrei già ricevuto qualche chiamata ed almeno cinquanta messaggi. Però… Potrebbe essere rimasta in camera, troppo insicura e troppo agitata per azzardarsi ad uscire. In quel caso non solo Cally avrebbe fallito completamente nel suo intento di farla rilassare, ma avrebbe anche causato più problemi di prima.
Alla fine si decide a provare a chiamarla. Attende qualche squillo e poi si mette subito in allerta quando sente che qualcuno ha risposto «Ehi, ciao.» dice con tono delicato Anita, ma Cally non riesce a capire se sia triste o allegra «Ehi! Non avrai deciso di darmi buca, spero…» risponde Cally con l’intonazione più allegra che riesce ad ottenere e cercando di non sembrare troppo preoccupato. Non è ancora certo che lei stia effettivamente bene. «Mhhh… Sai, non è una cattiva idea…» inizia a dire Anita con tono scherzoso e Cally si rilassa «Quasi quasi resto in camera… Qui ho una buona scorta di caramelle e Netflix a disposizione…» conclude Anita e Cally si sente un po’ meno sicuro, anche se riesce a sentirla sorridere. «Oh wow, se lo dici così allora ti do ragione, dammi buca assolutamente… Però… Posso dire in mia difesa che magari, e solo magari, posso essere interessante quanto Netflix ed una buona scorta di caramelle?» ribatte con un sorriso «Dietro di te, Mx. Interessante.» gli risponde Anita facendosi scappare una risatina prima di chiudere la telefonata. Cally corruga per un momento la fronte confuso, ma poi si volta quasi inciampando su sé stesso. Wow. Altro che troppo insicura. Anita si avvicina in perfetto equilibrio su un paio di tacchi decisamente alti, ondeggiando i fianchi messi in risalto da una gonna molto corta ed attillata. Cally non si aspettava che una con un guardaroba così sobrio e semplice potesse avere qualcosa di quel tipo. Indossa anche una camicetta scollata piena di brillantini ed è riuscita a radersi completamente e a truccarsi… Sta da favola. Non ci sono altre descrizioni possibili. «Sono arrivata puntuale, giuro… Non ti avevo visto e… Poi mi hai chiamata…» spiega appena si trova più vicina e sembra quasi… Timida. Lei. Che riesce a camminare con quella disinvoltura in quei vestiti… Cally scuote la testa per prendere contatto con la realtà e riprende in mano la sigaretta che era rimasta a pendere tra le sue labbra. «Oh, non fa niente figurati… La notte è ancora giovane, abbiamo tutto il tempo del mondo per bere e ballare…» la rassicura con un sorriso ed un occhiolino prima di porgerle il braccio per appoggiarsi e condurla verso l’ingresso «Almeno se cadi da quei trampoli, saremo in due a cadere.» aggiunge «Stai molto bene comunque, scelte di stile approvate dall’amichevole lesbica di quartiere.» Anita ridacchia «Grazie, anche tu non sei male.»
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Scegliere il locale non è stato esattamente facile. Doveva essere abbastanza distante da non rischiare di incontrare per sbaglio qualche membro della famiglia che aveva deciso di non partecipare alle attività di gruppo serali e doveva essere sicuro per due persone LGBT. Cally si è preoccupato più per Anita che per sé stesso ad essere onesti, ma comunque l’obbiettivo era uguale. Per fortuna è riuscito a trovare il locale giusto, che per un’incredibile e fortuita coincidenza ha anche dell’ottima musica. In ogni caso, un ottimo modo per stare più tranquilli è bere, quindi Cally porta subito Anita verso il bancone.
«Allora… Possiamo iniziare con qualcosa di leggero, giusto per dare il via alla serata, oppure direttamente con uno shottino… Anche se non vorrei che tu prendessi subito qualcosa di troppo pesante, magari inizia con una birra… Sei un po’ un peso piuma e non credo che regg-» inizia Cally con un sorriso divertito, Anita alza un sopracciglio e prima che finisca di parlare si rivolge direttamente al barman «Per me un margarita ed uno shottino alla menta, per la mia amica una birra. Grazie.» il barman annuisce e si sposta per mettersi all’opera. Cally si volta verso Anita e la fissa con un’espressione confusa ma divertita, inclinando leggermente la testa «Oh. Okay. La signorina da solo l’impressione di essere tutta casa e chiesa, allora.» commenta con un ampio sorriso ed Anita fa spallucce, poi viene brevemente distratta dalla musica e chiude gli occhi per seguirla con dei leggeri movimenti. Cally la osserva per un secondo senza dire niente. Non ho nessuna battuta di spirito da fare. Dovrei vergognarmi di me. Però sembra che si sia rilassata ed il suo obbiettivo era quello, quindi non importa. Quando Anita ritorna alla realtà si scusa quasi subito «E di che ti devi scusare? Ti ho portato qui per farti ballare, non per bere del tè…» le risponde Cally porgendole il margarita appena arrivato ed offrendo un brindisi con la sua birra. «Alla salute!» esclama Anita prima di bere quasi metà del suo drink in un colpo solo. Cally quasi si soffoca con il suo sorso di birra «Cazzo, Ani, non è uno shottino! Fai piano, ti prego!» esclama con un filo di voce ed Anita guarda il suo bicchiere come se non capisse quale sia il problema «Ah sì, certo.» dice poco convinta e poi porge il bicchiere a Cally «Vuoi assaggiare?» chiede come se niente fosse. Cally fissa Anita e poi il bicchiere «Oh sì, margarita e birra, che buon mix…» commenta sarcastico, ma si avvicina comunque al bicchiere per prendere un sorso alzando appena gli occhi verso Anita. Lei lo guarda per un attimo, ma poi allontana lo sguardo come se stesse pensando a qualcosa «Aspetta… Com’è che mi hai chiamata prima?» chiede mentre Cally ritorna alla sua birra «Ehm… Signorina?» offre mentre ripensa alla conversazione «No, no… Quando mi hai detto di bere più piano…» spiega Anita. Cally spalanca gli occhi per un attimo. Le ho dato un soprannome per sbaglio? Oh no. Non devi mai dare soprannomi, poi ti affezioni. Cazzo. «Mi hai chiamata… “Ani”?» chiede con un sorriso. Non sembra infastidita. «Ehm… Sì… Mi è sfuggito, scusa…» cerca di giustificarsi Cally, ma Anita lo interrompe subito «No, no, non scusarti… Mi piace! È carino… Ho un soprannome per il mio nome adesso! È perfetto!» dice allegra prima di continuare a bere.
Chiacchierano un po’ mentre finiscono i loro drink, principalmente di gossip familiare e poi discutono brevemente di musica «Ah, a proposito… Ti devo fare i complimenti per la scelta del locale… Buona musica… Però mi aspetto anche che tu venga a ballare con me.» commenta Anita facendo un occhiolino. Cally sorride «Certo, l’intero scopo della serata era questo: costringerti ad andare sulla pista da ballo e metterti in assoluto imbarazzo.» risponde ironico finendo il suo ultimo sorso di birra. «Perfetto allora.» dice Anita prima di buttare giù il suo shottino ed afferrare il braccio di Cally per portarlo in pista. Si muove con una disinvoltura sorprendente, considerando i tacchi, l’alcol e la situazione completamente nuova. Sembra quasi che non si renda conto di quello che ha intorno, come se stesse ballando nella sua camera invece che in un locale affollato. Cally non può fare a meno di seguirla nei suoi movimenti a ritmo di musica. È passato un po’ di tempo dall’ultima volta che si è lasciato andare così.
Passano una mezz’ora intera a ballare varie canzoni dance, poi il dj passa ad un repertorio più hip hop. Cally balla con entusiasmo sul beat di una canzone di Eminem e con il labiale ne segue il testo. Quando alza lo sguardo su Anita si rende conto che non solo sta ballando con un entusiasmo pari al suo, ma sta seriamente cantando alla perfezione ogni parola della canzone. Vorrebbe commentare la sua incredibile performance, ma con il volume della musica così alto sarebbe impossibile farsi sentire, quindi si limita a fissarla esterrefatto e fare un cenno di approvazione. La canzone finisce ed Anita si allontana dalla pista per prendere fiato. Cally la segue fino al bancone in tempo per sentirla ordinare qualche altro drink. «Tu vuoi qualcosa?» chiede Anita voltandosi verso di lui «Ehm… No, aspetto che sia passata almeno un’ora… Aspetta vuol dire che hai ordinato solo per te?» chiede Cally confuso. Anita ride «Non temere, non sono un peso piuma come sembro…» dice prima di buttare giù tre shottini di fila e trascinare di nuovo Cally verso la pista come se niente fosse.
Cally continua a ballare con Anita, che non sembra aver subito particolarmente l’effetto dell’alcol. Okay, direi che sta bene. È tutto okay. Si dice mentre cerca di farsi trascinare di nuovo dalla musica. Adesso però c’è più gente in pista e si ritrova a prestare più attenzione a quello che sta accadendo intorno a loro. Qualcuno lancia loro delle occhiate, qualcuno si avvicina non troppo discretamente, qualcuno fissa Anita in un modo che a Cally non piace per niente. Lei tiene gli occhi chiusi per la maggior parte del tempo e sembra non accorgersi di niente. Cally si avvicina un po’ di più e fa in modo di tenere le mani più vicine a lei, senza toccarla troppo, mentre lancia occhiate assassine ad un paio di persone. Dopo qualche tempo Cally torna al bancone ed ordina un’altra birra. Non sa esattamente perché, ma non si sente in vena di bere niente di più pesante. Anita si appoggia al bancone e si sporge verso il barista «Io prenderò un AK-47, grazie.» dice facendo una piccola smorfia divertita. Cally appoggia la sua birra «Ani… È ancora molto presto, sai? Non ci corre dietro nessuno…» prova a suonare scherzoso ma teme che la sua voce sia pregna di preoccupazione e non vuole che ad Anita sembri che la voglia rimproverare. Lei fa un gesto con la mano come per dirgli di lasciar perdere ed inizia a bere il suo drink. Dopo aver seccato un quarto del bicchiere lascia Cally al bancone dicendogli di stare a guardare e torna a ballare. Cally la osserva ballare dalla distanza seguendo i suoi movimenti. Per un momento quasi la perde, quando qualcuno si mette davanti a lei, bloccando la sua linea di vista. Stringe il bicchiere nella mano e cerca di sporgersi per vedere meglio. Riesce a trovare nella folla la sua testa, ma solo per qualche momento. Gli sembra che avesse gli occhi chiusi. Sta buono. Non sei un cane da guardia. Non ha bisogno di te. Lasciala divertire, cazzo. Il tizio che bloccava la sua vista si sposta di qualche passo e adesso Cally riesce a vedere che ci sono due ragazzi vicino ad Anita che stanno chiaramente cercando di avvicinarsi per toccarla, lei ha ancora gli occhi chiusi.
Cally appoggia la birra e si alza di scatto per marciare verso la pista da ballo. Si fa strada nella folla di fretta, probabilmente dando anche qualche spallata a qualcuno. Raggiunge Anita e le prende delicatamente un braccio per spingerla ad aprire gli occhi, appena lo riconosce porta l’altra mano intorno alla sua vita e la spinge lievemente per portarla via dalla pista. «Perché mi hai portata via?» chiede confusa Anita guardando prima la pista alle loro spalle e poi Cally. Adesso si riescono a notare di più gli effetti dell’alcol. Le sue reazioni sono più lente e non sembra più sicura come prima sui tacchi. «Oh, nessun motivo. Mi hai abbandonato così al bancone… Volevo divertirmi con te, tutto qui.» risponde Cally mentre la porta di nuovo vicino al bar sperando che farla appoggiare possa aiutare. Lei lo guarda sospettosa, ma quasi subito ritorna a sorridere. I loro bicchieri sono ancora lì. Anita afferra il suo di colpo e se lo porta alle labbra buttando la testa all’indietro come se dovesse finirlo in un colpo solo. Cally allarmato le ferma le braccia che lei ha già mandato giù due sorsi abbondanti. «Ani!» esclama mentre lei lo guarda sempre più confusa. Appena riesce a toglierle il bicchiere dalle mani, Cally si addolcisce. Con delicatezza prende il suo volto tra le mani e cerca di studiare la sua espressione «Ani…» sussurra. Gli occhi di lei si riempiono di lacrime «Cosa ti prende?» chiede Cally con cautela continuando a guardarla negli occhi. «Non lo so.» risponde con un filo di voce Anita mentre le lacrime cominciano scenderle lungo il volto. Cally le accarezza le guance con delicatezza e riesce ad asciugare qualche lacrima. «Andiamo a prendere una boccata d’aria, okay?» chiede ed Anita si limita ad annuire debolmente.
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La temperatura ormai è scesa di qualche grado, ma comunque non è freddo. Cally offre ancora il suo braccio per aiutare Anita a camminare e la porta ad appoggiarsi contro una parete dell’edificio. «Anita… Io non volevo forzarti a fare qualcosa che non volevi… Se non te la senti di stare in pubblico o di andare a ballare va bene… Hai tutto il diritto di fare le cose alla tua velocità…» cerca di cominciare il discorso per rassicurarla. Lei si asciuga la faccia con una mano, scuote la testa e poi la appoggia contro il muro «No… Non preoccuparti… Questo non ha niente a che fare con te… Io… Sono contenta di essere uscita, davvero… E non ho mai potuto dire di aver fatto una “serata tra amiche”, quindi ne avevo davvero bisogno… Solo che le vacanze estive sono già pesanti da sopportare di loro e anche fare qualcosa che voglio e che mi piace diventa… Pesante… Non posso essere me stessa e… Continuo a pensare a quante occasioni ho perso.» spiega Anita cercando di trattenere altre lacrime quando la sua voce si spezza. Cally si avvicina e la trascina silenziosamente in un abbraccio «Va bene. Anche se non hai mai fatto niente del genere prima, va bene… Non vederla come una lista di occasioni perse, vedila più come una lista di possibilità, una lista di straordinarie prime volte. Non qualcosa che avresti potuto fare prima, ma qualcosa che stai facendo adesso e che stai facendo alla grande. Tu non ti sei vista in pista ma eri fantastica… Hai sicuramente il bollino di approvazione di ogni lesbica del locale, me inclusa.» dice Cally a bassa voce. Anita ridacchia «Ah, davvero ce l’ho? Tu non credo, ti muovi da schifo…» risponde ironica e a Cally sfugge una risata che lo costringe ad allontanarsi «Wow! È così che ti voglio! Brutale!» esclama tra una risata e l’altra. Quando si calma ritorna serio per un attimo «Allora dimmi tu cosa vuoi fare, sono assolutamente a tuo servizio. Anche se vuoi rifugiarti in camera tua a guardare Netflix con la tua scorta di caramelle.» dice con calma ed aspetta che Anita ci rifletta sopra. «No, la notte è ancora giovane, torniamo dentro e divertiamoci! Ma tienimi lontana dal bar… E poi come diavolo pensi che sia possibile vedere Netflix nella mia stanza senza farci beccare da almeno mezza famiglia?» risponde lei con un sorriso allegro. Cally fa spallucce «Beh posso sempre entrare ed uscire dalla finestra.» commenta facendo un gesto per invitarla a rientrare.
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Passano il resto della serata a ballare quasi senza accorgersi del tempo che passa. Anita sembra dimenticare con facilità la piccola crisi che ha avuto prima e non si azzarda a bere niente che non sia acqua. Cally si perde di nuovo nella musica lasciandosi trasportare per ore solo dal beat. Quando vorrebbe cedere alla stanchezza e propone di andare via mettono una canzone che Anita sembra riconoscere dalle prime note dal modo in cui si mette in allerta e sorride soddisfatta. «Oh, adesso ti faccio vedere cosa vuol dire ballare!» commenta mentre trascina Cally verso un punto più aperto della pista. Al momento la zona è semi deserta quindi non deve preoccuparsi molto di quello che ha intorno. Cally non riconosce la canzone, ma ha un sound pop leggermente più lento delle canzoni precedenti, un beat molto marcato ed una profonda voce di donna. Anita comincia a muoversi con sicurezza in quella che sembra una coreografia ben definita. È ipnotica. È affascinante. È seducente. Cally si ritrova incapace di muoversi mentre segue con lo sguardo ogni minimo movimento di Anita che sorride rilassata e lo guarda dritto negli occhi. Cazzo. Non riesce a formulare pensieri più elaborati. Anita gli gira intorno, si appoggia a lui, lo porta a ballare con lei guidando i suoi movimenti.
Se prima Cally non si era azzardato a toccare Anita se non per farla spostare da qualche altra parte adesso non riesce a trattenersi dal far scorrere le sue mani lungo il suo corpo mentre balla con lei. E lei continua a sorridere e a guardarlo negli occhi con quell’espressione serena, completamente a suo agio. Cally non riesce a toglierle gli occhi di dosso ed è improvvisamente più conscio dell’ambiente in cui si trovano. Le luci colorate del locale danzano sui suoi lineamenti, i suoi capelli sono scombinati ormai da ore, sul suo collo e lungo la sua scollatura riesce a vedere qualche gocciolina di sudore che scende per sparire sotto i suoi vestiti. Wow. Anita continua a seguire la sua coreografia, senza perdere la contrazione o l’equilibrio nemmeno per un secondo e senza accorgersi minimamente di come Cally la sta guardando finché la canzone non finisce. Cally resta stordito per un momento e riesce a riprendersi solo quel tanto che basta per seguire Anita fuori dalla pista verso l’uscita «Scusami… È una canzone che adoro e mi piace molto quella coreografia non ho potuto fare a meno di ballarla prima di andare via…» si spiega lei quando arrivano fuori «Come? Ah sì, sì… Non preoccuparti, mi fa piacere sapere che mi nascondi anche una carriera da ballerina a quanto pare…» commenta Cally. Quella era la battuta più cretina che potessi fare. Anita ridacchia «Io una ballerina? No, assolutamente no… Ho imparato solo qualche passo… E dato che quella canzone mi piace molto ho voluto imparare una coreografia completa… Per me… Non per esibizioni o cose del genere…» risponde facendosi improvvisamente più timida. Non ci credo è pure arrossita. Lei. «Mah… Se lo dici tu… Credo che potresti considerarla come carriera però, non si sa mai.» dice facendole un occhiolino.
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Uno degli obiettivi che mi ero prefissata di raggiungere nel 2020 era quello di impegnarmi per leggere di più. Lo scorso anno avevo deciso che avrei letto almeno venticinque libri, e, dal momento che allo scoccare della mezzanotte del 31 dicembre ero riuscita a superare la quota con un vantaggio di undici, per quest’anno ho alzato l’asticella a quaranta. Se la pandemia non avesse colpito il nostro pianeta, è alquanto improbabile che sarei stata in grado di trovare tutto il tempo necessario per riuscirci addirittura prima dello scadere dei primi sei mesi dell’anno.
Considerato che nonostante le misure restrittive si siano leggermente allentate, per lo meno in Italia, molte persone si ritrovano ancora con immensi spazi vuoti da dover riempire nelle proprie giornate, ho pensato che condividere l’elenco di quanto letto finora potesse essere utile per dare qualche spunto sulle prossime pagine da sfogliare. Oltre che per alimentare ulteriormente la mia vena di egocentrismo che deriva dall’essere riuscita a completare questo compito autoimposto. I titoli sono in ordire cronologico e i giudizi che saranno al loro fianco non rispecchiano altro che la mia semplice, e priva di qualsiasi competenza in ambito letterario, opinione. Quindi, take it easy.
1. China Girl, Don Wislow (3/5): preso in prestito per sbaglio - il mio obiettivo era King Kong Girl, ma devo aver avuto un momento di confusione di fronte allo scaffale della biblioteca - si è rilevato come niente male. Forse un po’ troppo pedante su certe descrizioni, ma con un colpo di scena finale decisamente inatteso.
2. Divorziare con stile, Diego de Silva (5/5): è divertente, ironico e con un pizzico di scetticismo riguardo alla vita di tutti i giorni. Ho fatto fatica a trattenermi dalle risate su un regionale pieno zeppo di gente.
3. Cat person, Kristen Roupenian (4/5): tanti piccoli racconti più o meno verosimili che, una volta terminati, sembra ti abbiano scagliato contro un bel numero di pugni dritti allo stomaco.
4. Gli uomini mi spiegano le cose, Rebecca Solnit (4/5): il primo non-fiction dell’anno e il primo non-fiction in cui mi sono finalmente sentita compresa. Un passaggio obbligato per la letteratura femminista.
5. Chilografia, Domitilla Pirro (5/5): un’esistenza fin troppo comune con un finale tutt’altro che banale. L’ho adorato.
6. Io Khaled vendo uomini e sono innocente, Francesca Mannocchi (5/5): è uno di quei libri a metà tra finzione e realtà; non si capisce dove cominci una e finisca l’altra e forse, per le nostre coscienze occidentali, è meglio non porci proprio la domanda.
7. L’amore che mi resta, Michela Marzano (5/5): nella classifica dei libri ‘pugni allo stomaco’, questo si piazza senza dubbio sul podio. Un viaggio doloroso alla scoperta di sé e della legittimità dei propri desideri.
8. Testosterone Rex, Cordelia Fine (4/5): non sono un’appassionata di scienza, ma se trecento pagine servono a smentire scientificamente che il testosterone sia la causa naturale dei comportamenti maschili allora mi troverete a leggerle dalla prima all’ultima.
9. Vita segreta di noi stesse, Wednesday Martin (5/5): un inno alla necessità e all’importanza della libertà femminile, in tutti i campi. Quello sessuale in primis.
10. Ultima fermata Delicious, James Hannaham (5/5): struggente, intenso e realistico a dir poco. A riprova che, in certe condizioni, l’amore di una madre per il proprio figlio possa incontrare degli ostacoli insormontabili.
11. L’anno in cui imparai a leggere, Marco Marsullo (5/5): un libro che racconta una storia d’amore decisamente anticonvenzionale. Vi scalderà il cuore.
12. Citizen, Claudia Rankine (5/5): uno spaccato crudo e vivido di cosa significhi affrontare la vita di tutti i giorni nella pelle e nel corpo di una donna afroamericana. Se dovessi descriverlo con un solo aggettivo, quello sarebbe ‘potente’.
13. Due o tre cose che so di sicuro, Dorothy Allison (5/5): l’unico modo per poter capire di cosa tratti questo libro è quello di leggerlo. Con attenzione, delicatezza e rabbia.
14. La libertà possibile, Margaret Sexton (4/5): tre generazioni che si incrociano e faticano a comprendersi. Affascinante.
15. Confidenza, Domenico Starnone (1/5): forse non l’ho compreso del tutto, ma purtroppo è il libro che mi ha lasciato poco o nulla. Lo stile non è male, ma è la storia a non reggere più di tanto. Ripeto, si tratta solo del mio giudizio personale.
16. King Kong Girl, Virginie Despentes (5/5): tutto quello che ho sempre pensato e sostenuto messo nero su bianco con una maestria impeccabile. E’ diventato la mia nuova Bibbia.
17. Psicologia del maschilismo, Chiara Volpato (5/5): vale quanto detto sopra. Uno scorcio sui meccanismi che regolano la nostra società, e la realtà italiana in particolare.
18. Donne, razza e classe, Angela Davis (5/5): se mai qualcuno potesse avere dubbi sul fatto che il femminismo debba abbandonare l’idea di proporsi come movimento per la liberazione femminile attraverso un’ottica esclusivamente bianca e occidentale, gli dia un’occhiata. Un’altra pietra miliare per comprendere un po’ di più le realtà che ci appaiono estremamente lontane, ma che sono più vicine di quanto non siamo disposti a credere.
19. Irresistibile, Adam Alter (2/5): la spiegazione con dati alla mano del perché non riusciamo a staccarci dalle nostre nuove appendici digitali. Non dà troppi consigli pratici su come liberarsene, ma dopo averlo terminato ho cercato di tenere il cellulare il più lontano possibile.
20. Half of a yellow sun, Chiamamanda Ngozi Adichie (5/5): ne ho parlato e riparlato almeno un milione di volte. Probabilmente il mio romanzo preferito in assoluto.
21. Acciaio, Silvia Avallone (5/5): il libro che ha inaugurato la stagione delle riletture dopo che la mia biblioteca è stata chiusa per l’emergenza coronavirus. Potente e straziante come la prima volta.
22. Da dove la vita è perfetta, Silvia Avallone (5/5): le pagine che sanno fin troppo di casa. Nel bene e nel male.
23. Perduti nei quartieri spagnoli, Heddi Goodrich (2/5): tutto il fascino di Napoli raccontato dagli occhi innocenti di una studentessa universitaria. Mi ci ha fatto innamorare di nuovo.
24. Shantaram, Gregory David Roberts (5/5): un inno d’amore per l’India e tutto ciò che essa rappresenta. Struggente.
25. Noi, ragazzi dello zoo di Berlino, Christiane F. (3/5): la sensazione di disagio comincia alla prima pagina e non abbandona mai. E’ proprio lì, alla bocca dello stomaco, e non se ne va nemmeno dopo aver posato gli occhi sull’ultima frase.
26. Il potere di adesso, Eckhart Tolle (1/5): gli spunti sono interessanti, ma non vengono approfonditi quanto sarebbe necessario. La scrittura è a dir poco terribile, e dubito che sia tutta colpa della traduzione.
27. La paranza dei bambini, Roberto Saviano (5/5): la prima opera di Saviano che abbia mai letto e che mi ha affascinato dalla prima riga. La sua Napoli è ineguagliabile.
28. Bacio feroce, Roberto Saviano (4/5): i sequel tendono sempre a non entusiasmarmi quanto gli originali. O forse avrei solo voluto un finale totalmente diverso. Quattrocento pagine vissute sul filo di un rasoio sperando in una boccata d’aria che non arriva.
29. Non ti muovere, Margaret Mazzantini (4/5): da leggere tutto d’un fiato, come si vivono le storie clandestine che, alle volte, sono decisamente più autentiche di quelle legittime.
30. Non ho mai avuto la mia età, Antonio Dikele Distefano (3/5): il tema è fortissimo e alcune pagine sono di un’intensità spaventosa. Una citazione ha preso posto anche nella mia tesi di laurea.
31. Fuori piove, dentro pure, passo a prenderti?, Antonio Dikele Distefano (2/5): è quello che deifinirei un comfort book. L’equivalente di un panino del McDonald’s o delle cucchiaiate direttamente dal vasetto di Nutella dopo una rottura con il fidanzato. Non per tutti i giorni, ma solo per quelli in cui si ha un bisogno quasi viscerale di essere certi di non essere gli unici a provare determinate emozioni.
32. Us, David Nicholls (5/5): una storia d’amore anticonvenzionale, o fin troppo convenzionale. Non so se preferisco questo a One Day. Irriverente e leggermente sbadato come il suo protagonista.
33. Le luci delle case degli altri, Chiara Gamberale (4/5): ne avevo sentito parlare come di un assoluto capolavoro, e forse le mie aspettative ne sono state influenzate. L’idea di fondo è geniale, ma si perde un po’ nel finale.
34. La ragazza del treno, Paula Hawkins (5/5): letteralmente trangugiato in meno di ventiquattro ore perché non sopportavo l’idea di andare a letto senza conoscere tutta la verità. O, più realisticamente, non sarei riuscita ad addormentarmi con l’angoscia addosso.
35. Isola di Neve, Valentina d’Urbano (5/5): una piacevolissima sorpresa. Il colpo di scena finale vi emozionerà.
36. La bambina che scriveva sulla sabbia, Greg Morteson (2/5): non si tratta del mio genere preferito, e il mio giudizio ne ha risentito. Una storia di speranza senza, per fortuna, quella mania di protagonismo assoluto dei volontari occidentali.
37. Il pianista di Yarmouk, Aeham Ahmad (2/5): la guerra in Siria da un punto di vista che troppo spesso viene trascurato, quello di coloro che l’hanno vissuta - e la stanno vivendo - sulla propria pelle.
38. Dritto al sodo, Greg McKeown (4/5): se avete bisogno di un segno che vi dica di smettere di fare ciò che odiate e di dedicarvi a quello che vi rende felici, eccolo qui. Semplice, efficace e motivante.
39. Prima che tu venga al mondo, Massimo Gramellini (5/5): una lettera d’amore ad un figlio che deve ancora nascere. La dolcezza equivale, almeno in quantità, la simpatia. Bellissimo.
40. L’amore che dura, Lidia Ravera (5/5): il libro giusto al momento giusto. Non saprei come altro descriverlo.
- i miei (primi) 40 libri del 2020
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ABOUT BRENDAN
E’ bastato leggere il mittente dell’e-mail per farla uscire rapidamente dall’appartamento. Ha portato dietro di sé delle birre, un cavatappi e il pad oltre che poche cose. Ha visto il messaggio, lo ha bloccato sul nascere mentre la sua casa improvvisamente è diventata stretta. Via per le stradine scomode e strette, una dannata corsa mentre l’aria fredda della sera le ha ferito la pelle del volto. Via sulle scale secondarie di una palazzina e poi fino ad un tetto, già visitato in passato. Uno dei suoi posti preferiti, silenziosi, alti, isolati. Da lì la città è ai suoi piedi, il panorama non è niente male. Si muove in direzione del cornicione, le gambe esili e toniche coprono quei pochi metri. Si siede e le lascia lì a ciondolare nel vuoto. Le birre in attesa di Rhys. Il resto è solo quel suo corpo tremante, le dita sottili che con trepidante attesa accende quel tablet. Stringe dentro la sua felpa lunga, le gambe che si protendono nel vuoto, i piedi avvolti in delle converse chiare ma sporche per l’usura. I capelli riversi in avanti, privi di piega ma profumati. Il resto sono lunghi secondi avvolti nel silenzio, rotti solo da qualche miagolio lontano o dalle sirene che attraversano le vie del South. Aziona il video che è stato inoltrato da Constantine Scott, il fratello maggiore di Brendan. Prende un grosso respiro la telepate un po' come se stesse per andare in apnea. I suoi occhi sono già gonfi da tutto il giorno, perciò basta vedere quella faccia per renderli ferocemente lucidi ancora una volta.
Si vede Brendan con dietro di sé quello che sembra un muro spoglio di cemento, sembra quasi uno scantinato. È sempre il solito, male in arnese, maglietta grigia e jeans, dall'abbigliamento il video deve essere stato girato da poco. Durante il discorso fuma un paio di sigarette nel solito modo avido ed è seduto su una sedia di plastica, sembra sereno, fiducioso e beffardo allo stesso tempo. Tutto il modo di fare trasuda la solita serenità incoraggiante.
Stinge le labbra ancora una volta, corruga la fronte e fa diverse smorfie e l’arcata dentale scivola contro il labbro inferiore, tormentandolo ancora una volta, fino ad arrossarlo. Non capisce molto, non capisce che cosa sia quel video ed è piena di punti di domande al momento ma vederlo così, vivo, sorridente come lo era il giorno precedente quando si erano sentiti per telefono, per chiederle come stava. Ed ora l’idea che sia morto, le mette su il magone ancora una volta, non vede più nulla. Si passa il braccio sulla faccia, il mascara le crolla nella palpebra inferiore come una patina. Cerca di non piangere ma manda via tutto, con ostinazione, con rabbia e dolore. Finalmente ascolta, guarda.
«Se mio fratello vi ha mandato questo messaggio allora vuol dire che sono morto. Un bel modo di cominciare, vero? Non è il primo video di questo tipo che giro da quando sono Preside, e onestamente spero di fare come faccio ogni giorno, tornare qui e cancellarlo. Se Andrea mi becca sono un uomo morto, ma per altri motivi» segue una risata sentita e rauca del Preside.
Anja rimane incredula ad ascoltare le sue parole, il volto è ancora indurito e forse un poco arrabbiato al momento. Confusa mentre la voce di Brendan le riempie le orecchie, così come la sua vista la consola.
«Avrei potuto onestamente scrivere un messaggio, ma come Rory dice e Simmons ama ripetere, parlo troppo. Così ho pensato di sfruttare questa cosa. Allora, torniamo al campo base e ricapitoliamo. Se qualcuno o qualcosa è riuscito ad uccidermi faccio loro i complimenti. Magari sono morto per la famosa cornice del quadro in testa. Dei dell''Olimpo, sarebbe il colmo.» ennesima risata beffarda.
“Non ci sta nulla da ridere!” lo dice, inveisce con il pad, contro quel qualcuno che ormai non le può rispondere. Ed il primo input è quello di lanciare via il dispositivo o semplicemente dargli fuoco con la sua mano sebbene poi, si controlli e non lo fa. Torna ad ascoltare.
«Comunque, qualunque cosa sia successa, non dovete preoccuparvi. I'll be back come Terminator. Quello che mi preme dire è ben altro. Il nostro compito è difficilissimo, è come far partire una scintilla. Non lasciate che brucino i roghi senza controllo, ma con questa scintilla accendete il fuoco della speranza, siate un faro per tutti quelli che credono in noi e per le anime più sperdute. Portate avanti il nostro ideale ragazzi, perché gli ideali non muoiono mai. Ricordate, non lo facciamo per noi stessi.
[…] Fatemi vedere quanto posso essere orgoglioso di voi, e lo sono già molto.
Voglio che siate coraggiosi e non perdiate mai, mai, mai la speranza che tutto possa cambiare. Ma veniamo a noi.»
Ascolta ancora una volta con trepidazione, i denti che tartassano il labbro inferiore, la schiena incurvata, i capelli che le scivolano in avanti, i piedi che ciondolano nel vuoto, gli occhi arrossati e addolorati. E’ il suo momento di inbruttirsi prima di tornare attiva e sorridente a Scuola. Ascolta le parole di Brendan, elencano nomi, consigli, uno dopo l’altro. Alcuni strappano sorrisi, altri piccoli mugugni o lamentele.
«E arriviamo a voi due...Anja e Adam.»
Mantiene lo guardo ancora sullo schermo, la vista annebbiata. Certa che romperà la diga ancora quando toccherà a lei. Respira a fondo, poi posa gli occhi stanchi verso il panorama offerto, sulle case silenziose lontane. “Ha ragione, Matt. Parli troppo”. Scuote il capo, un altro pensiero che vola verso il telecineta, ancora vivo grazie al cielo e che le strappa una forte stretta allo stomaco. Prende un altro grosso respiro mentre il cuore le martella forte nel petto. Torna al presente solo quando il suo nome viene di nuovo menzionato.
«Quello che ho da dirti è molto importante, Anja Lightwood, e vorrei che ti fidassi come hai fatto fino a questo momento. Ti abbiamo vista arrivare e cambiare, da giovane telepate spaventata a quello che sei ora: un'Assistente modello, intraprendente e speranzosa. Hai trasformato i tuoi dubbi in punti di forza, hai ascoltato e hai appreso, hai studiato i casi che abbiamo e vi hai dato il tuo contributo. È giusto ora che tu inizi a dare quello che hai preso e che anche il tuo percorso continui: se vorrai c'è un posto da Professoressa per te. Ci saremo sempre intorno a darti una mano, non avere paura. Sono fiero di te, cerca di esserlo anche tu. Sono fiero di tutti voi.» Un sospiro, guarda qualcosa fuori campo, probabilmente un orologio «Ho parlato fin troppo, come previsto. Ora direi basta. Non abbiate paura: curate quella scintilla, fatela vostra. So che potete farlo.» Brendan si alza e si avvicina, il video si chiude subito dopo.
Anja se ne rimane in silenzio, il dorso della mano che ricaccia via ogni possibile lacrima, non ha permesso nemmeno ad una di quelle di scendere. Tira su con il naso e poi annuisce con un certo vigore, decidendo di alzarsi in piedi dopo aver poggiato il pad sul cornicione. Stringe i pugni, fa ancora freddo ma cerca sostegno in quel calore che proviene da dentro. Respira a fatica, gli occhi però questa volta sono carichi, non è solo il dolore, la tristezza, la rabbia ma anche determinazione, speranza che mai l’ha abbandonata. Pare respirare a pieni polmoni, corruga la fronte e poi, dopo un grosso respiro, tira fuori tutto parla, grida contro il vuoto “SIII!” stringe i pugni, scalpita appena mentre il South è ai suoi piedi “ACCETTOOO! MI HAI SENTITO MALEDETTO YODA! ACCETTOOOO!” sfiata aria calda “Maldetto… mi devi un tavolino nuovo” a cui ha dato fuoco appena ha scoperto ciò che era accaduto. Si calma un poco, torna a sedersi. Ormai Rhys sarebbe arrivato da un momento ad un altro.
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Autobus!AU - parte uno
Dopo millenni sono finalmente tornata con un nuovo chilometrico headcanon a punti! Ci stavo rimuginando su da almeno due mesi, solo che la mia idea ha subito numerose trasformazioni e alla fine il mio cervello, a causa dei molteplici autobus presi nelle ultime settimane, ha partorito questo.
Breve contestualizzazione: Ermal studia lingue a Roma e, abitando piuttosto lontano dall’università, è costretto a muoversi con i mezzi pubblici. In un’ordinaria mattina di ottobre, a causa del suo coinquilino Marco, perde l’autobus ed è costretto ad aspettare il successivo. È così che il destino gli fa incontrare Fabrizio, che cerca di racimolare soldi mitigando da un lavoro all’altro e, di tanto in tanto, esibendosi in qualche locale notturno. Il resto è storia.
Nonostante la corsa olimpionica dall’androne del palazzo fino alla pensilina della fermata, Ermal arriva giusto in tempo per vedere l’autobus ripartire e sfilargli davanti, senza che lui possa fare niente per fermarlo
In quel preciso istante il suo cervello sta già formulando improperi in tutte le lingue e i dialetti da lui conosciuti, oltre che un piano infallibile per vendicarsi di Marco, il suo sventurato coinquilino
“Io ho lezione alle nove, tu alle undici. Ergo, in bagno ci vado prima io”
Peccato che quella mattina Marco, dopo aver passato la nottata insonne, aveva deciso che necessitava di una lunga doccia fredda e aveva tenuto occupato il bagno per mezz’ora
E a poco erano serviti i pugni sulla porta e le velate minacce di morte: non era comunque riuscito a prepararsi, a mangiare quel tanto che bastava per non svenire in aula, a ritrovare l’abbonamento – che chissà come era finito in mezzo ai libri – e a non perdere il bus
Così adesso, seduto su una panchina con le braccia incrociate al petto e con uno sguardo omicida dipinto in volto, è costretto a prendere la corsa successiva. Sarebbe riuscito comunque ad arrivare in tempo, ma avrebbe dovuto rinunciare al solito caffè in compagnia di Dino e probabilmente sarebbe crollato dopo nemmeno la prima ora
Sono due le cose che Ermal odia di più in assoluto: arrivare in ritardo e rinunciare al caffè, soprattutto quando lo aspettano due ore di linguistica. E lui è in ritardo – almeno rispetto ai suoi standard – e non assume caffeina da più di dodici ore
La giornata è decisamente iniziata con il verso sbagliato e non può che finire col peggiorare
L’autobus arriva venti minuti più tardi, mentre Ermal sta scrivendo un messaggio a Dino e sta pensando ad un metodo per rasare il ciuffo di Marco senza essere scoperto
Perlomeno non è eccessivamente affollato e ci sono dei posti a sedere. Si fionda su quello più vicino, proprio di fronte ad un ragazzo intento ad ascoltare musica ad alto volume. È talmente forte che riesce a sentirla pure lui e questo lo scazza ancora di più
In realtà non è nemmeno troppo fastidioso, ma la giornata è appena iniziata e a lui già girano le palle, quindi gli urterebbe anche il ronzare di una mosca
Prima che possa scoppiargli un mal di testa atroce, decide di dirgliene quattro chiedergli gentilmente di moderare il volume, il tanto che basta per non ostentare i suoi gusti musicali a chiunque si trovi nel raggio di pochi passi
Ma quando si volta in sua direzione la sua bocca non riesce a produrre nessuna frase di senso compiuto, rimanendo semiaperta e conferendogli un’espressione a dir poco ridicola. Perché il ragazzo di fronte a lui è innegabilmente bello, tanto da fargli perdere ogni funzione cognitiva
Avrà qualche anno in più di lui, i capelli castani e gli occhi scuri, tra i più belli che avesse mai visto. Il naso è all’insù, contornato da una leggera spruzzata di lentiggini, e le labbra carnose e screpolate, che normalmente avrebbe considerato orrende ma che su di lui stavano d’incanto. Inoltre non può fare a meno di notare le braccia ricoperte da tatuaggi.
Ermal.exe non risponde
Non riesce a staccargli gli occhi di dosso. Sembrava essere stato scolpito dal più abile degli scultori. L’avrebbe volentieri fissato per ore ed ore, studiando ogni singolo particolare
Vabbè dai, possiamo anche dire che si è preso una bella sbandata per un perfetto sconosciuto
Manco nei romanzi rosa o nelle soap opera più scadenti
“Aò regazzì, che te sei ‘ncantato?”
Ermal è talmente andato che nemmeno si è accorto che il tipo si è tolto un auricolare e lo sta guardando abbastanza confuso. Probabilmente l’avrà anche scambiato per un pazzo o un maniaco
È stato beccato in pieno e non può camuffarlo in alcun modo. Infatti nemmeno si è premunito di abbassare o distogliere lo sguardo. Il suo unico intento è quello di non arrossire, almeno per mantenere un minimo di decenza
E la prima figura di merda della giornata è stata fatta
Non gli ci vuole molto per mettere su l’espressione più strafottente che conosca e fare sfoggio della sua tagliente ironia, l’arma più valida ed efficace che possegga. Anche perché l’unica cosa che può fare è buttarla sul ridere
“Scusa, ma è colpa tua. Ti hanno mai detto che sei tremendamente bono?”
Tanto la sua dignità l’ha già mandata a puttane un minuto fa, non ha niente da perdere
Il ragazzo sembra apprezzare il suo tentativo di battuta, perché ridacchia imbarazzato e si copre gli occhi con una mano
Ermal.exe è completamente fuso
“Pe’ caso ce stai a provà co’ mme?”
Ma no, cosa te lo fa pensare?
“È così che attacco bottone. Di solito funziona”
ErMarpione mode on
No davvero, ci manca solo che ammicchi
“Sono Ermal, comunque”
“Io so’ Fabrizio”
Ermal nota adesso che si era sfilato un auricolare, quindi si allunga per afferrarlo e se lo porta all’orecchio destro. Almeno così avrebbero avuto un argomento di conversazione – perché un’altra cosa che odia sono i lunghi silenzi imbarazzanti – ed è troppo curioso di sapere cosa stia ascoltando
Quando riconosce la canzone si illumina, ma cerca in ogni modo di non far uscire il fanboy che è in lui. Fabrizio l’ha ovviamente notato e il sorriso gli si allarga un po’ di più
“Non mi dire, anche a te piacciono i Radiohead?”
Tempo due secondi e già stanno discutendo di generi musicali, artisti e concerti vari. Ermal è a dir poco entusiasta: lui ama la musica, ma non riesce mai a parlarne con i suoi coetanei, perché, oltre ad essere terribilmente ignoranti in materia, hanno dei gusti alquanto discutibili e lontani anni luce da quelli che sono i suoi
Scopre inoltre che nel tempo libero Fabrizio suona e scrive canzoni, proprio come lui
Non solo è bellissimo, ma è anche un musicista. Ermal è a tanto così dal chiedergli di sposarlo
“Un giorno di questi devi farmi ascoltare qualcosa di tuo”
“Un giorno di questi? È il tuo modo pe’ chiederme ‘n appuntamento?”
“Forse”
“Ce sto, ma solo se me fai ascoltare pure qualcosa di tuo”
Questi due sono ormai dentro ad una bolla, potrebbero continuare a chiacchierare fino a che non si faccia sera. Tornano alla realtà solo nel momento in cui Ermal si accorge di essere arrivato alla fermata e finalmente ricollega i puntini: ha lezione all’università, è in ritardo e se non vuole arrivare fino al capolinea forse è il caso che si affretti a scendere
Ermal scatta in piedi, già pronto a correre a perdifiato fino alla sua aula pur di trovare un posto decente, ma Fabrizio lo ferma poggiandogli una mano sul braccio
“Ci vediamo domani mattina, Ricciole’?”
“Certo, a domani”
Inutile dire che questo è solo la prima serie di molti altri “ci vediamo domani”. Da questo momento, infatti, Ermal prende abitualmente l’autobus delle otto e un quarto col solo scopo di vedere Fabrizio almeno una volta al giorno. Egli, d’altro canto, gli occupa sempre il posto di fronte o, se è già occupato, gli cede con molta galanteria il suo
E quelle semplici chiacchierate si trasformano ben presto in molto altro: una colazione e una sigaretta smezzata in una fredda mattinata di novembre, una pausa pranzo passata insieme quando Ermal ha lezione al pomeriggio, interi weekend trascorsi a casa di Fabrizio ad ascoltare musica e strimpellare la chitarra. Senza dimenticare che, quando può, Fabrizio lo accompagna fino al campus universitario e si ferma con lui fino a che non cominciano le lezioni
“Avete la mia benedizione” aveva sentenziato Marco la sera in cui finalmente il suo coinquilino gli aveva presentato Fabrizio. Ermal l’aveva invitato a cena senza dirgli nulla, quindi era rimasto un attimino scioccato quando era rientrato a casa e aveva visto in cucina i due flirtare palesemente battibeccare come una vecchia coppia sposata e scambiarsi sguardi languidi. Subito aveva sentito il bisogno di ritirarsi nella sua camera, sentendosi di troppo, e di ripresentarsi solo una manciata di minuti più tardi
Marco ha capito da subito quanto Fabrizio sia importante per Ermal, l’ha capito da tutte le accurate descrizioni che gli fornisce e dal sorriso che mette su quando lo nomina – e quel sorriso ce l’ha solo quando parla di sua mamma e dei suoi fratellini
E insomma, è piuttosto palese che si sia preso una bella cotta, peccato che Ermal sia terribilmente cocciuto e, piuttosto che ammettere una cosa del genere, preferirebbe nuotare in acque infestate dai piranha
Ha provato anche ad affrontare l’argomento con lui, ma il suo coinquilino gli è letteralmente scoppiato a ridere in faccia
Va bene, non può negare che Fabrizio sia splendido e che gli provoca non pochi scompensi. Ed è vero anche che in pochissimi mesi abbia assunto un ruolo fondamentale nella sua vita. E sì, ama passare quanto più tempo possibile in sua compagnia e, quando non riescono a vedersi, sente un pochino la sua mancanza. E la sua voce lo fa impazzire, potrebbe ascoltarlo cantare per giorni interi senza mai stancarsi
Ma da qui a dire che si è innamorato che ne vuole, sebbene tutti quelli che conosce sostengano il contrario
E ne rimane fermamente convinto fino ad una fredda mattina di metà gennaio
Ermal ha un importante esame e, nonostante abbia studiato per tutte le vacanze di Natale, è più in ansia del solito. Sente di non essere abbastanza pronto e teme di dimenticare anche quelle poche cose che ha memorizzato
Si è svegliato con una fastidiosa sensazione di nausea e non ha nemmeno fatto colazione. Adesso se ne sta pentendo perché non solo si sente debole come uno straccio, ma il suo stomaco ha anche iniziato a brontolare. Una volta arrivato all’università avrebbe bevuto come minimo tre caffè
Fabrizio si è accorto che ha qualcosa che non va, l’ha capito quando era salito sull’autobus senza degnarsi di salutarlo e tenendo gli occhi fissi su quelle che sembravano pagine e pagine di appunti e schemi
“Non so un cazzo, Fabrì” esordisce Ermal, dopo aver passato gli ultimi cinque minuti a ripetere sottovoce lo stesso argomento a mo’ di cantilena
“Dai, mo’ non esse’ tragico. A me sembra che le cose le sai”
“Non sono tragico, sono realista. Non so davvero un cazzo”
E Fabrizio cerca di tranquillizzarlo, ma le sue parole sono completamente inutili. Ermal non lo sta minimamente ascoltando ed è tornato a concentrarsi su quei fogli
Quindi si sporge verso di lui, e gli appoggia una mano sulla coscia, col tentativo di rasserenarlo un po’
Quando Ermal se ne accorge, deve autoimporsi di mantenere un certo contegno e di pensare soltanto ai suoi appunti. Ripassare non è mai stata un’impresa così ardua
Senonché il pollice di Fabrizio inizia a tracciare dei cerchi concentrici sulla sua coscia ed è allora che Ermal compie un errore fatale: incrociare lo sguardo dell’altro
Nello stesso momento il cuore prende a battergli furiosamente nella cassa toracica e cerca di convincersi che no, questo non vuol dire che si sta innamorando
Poi Fabrizio gli sorride in un modo così puro ed adorabile e all’improvviso si sente mancare la terra sotto i piedi (in realtà sta seduto, ma dettagli). Non può fare a meno di ricambiare
E sì, forse si è un attimino perso in quegli occhi nocciola, perché ci mette un po’ a realizzare di essere arrivato
“Io… dovrei andare” bisbiglia Ermal, rompendo quell’attimo magico e deciso a mettere quanta più distanza fra loro, perché è fin troppo confuso
Così confuso che di primo acchito nemmeno si accorge che Fabrizio – che è molto meno stupido di Ermal e figuriamoci se lo fa scappare via proprio adesso! – è sceso con lui e gli ha poggiato una mano sulla spalla per fermarlo
“Ti posso offrire una colazione? Me pari ‘n cadavere, non puoi affrontà l’esame in ‘ste condizioni”
“Ma non mi sembra il caso. E poi tu devi andare a lavoro…”
“Non ti preoccupà pe’ mme. Avverto che faccio ‘n po’ tardi. E poi te c’hai bisogno d’aiuto ed è a questo che servono gli amici, no?”
Sì sì, Fabrì, proprio amici siete
Venti minuti e due muffin al cioccolato dopo, Ermal si sente decisamente più carico e l’ansia opprimente sembra essere svanita quasi del tutto. E il merito è da attribuire solo a Fabrizio: quel ragazzo gli fa davvero tanto bene
Fabrizio si è anche offerto di aiutarlo a ripetere qualcosa – o meglio, di ascoltarlo mentre ripete, perché le sue conoscenze di inglese sono alquanto limitate
E infatti lascia che Ermal parli a ruota libera mentre lui rimane imbambolato, annuendo di tanto in tanto. Quell’insieme di suoni sono indecifrabili, ma di una cosa è certo: Ermal che parla in inglese è il sesso
“Guarda, non ho capito una mazza, ma secondo me farai un figurone”
“Grazie mille, Fabrì. Davvero. Senza di te, a quest’ora sarei già svenuto dalla fame”
“Ma figurati, Ricciole’, pe’ così poco!”
Senza pensarci troppo, Ermal allunga la mano verso quella di Fabrizio e gliel’afferra. Stretta che Fabrizio ricambia immediatamente, facendo intrecciare le loro dita
A questo punto, se avessimo a che fare con due persone normali, scatterebbe in automatico il bacio. Purtroppo, i nostri due eroi sono tutto fuorché normali, quindi niente. Si limitano solo a sorridersi come dei beoti
“Merda, si è fatto tardi!” esclama Ermal dopo quelli che sembrano secoli, controllando l’orario sul cellulare e scattando in piedi
Recupera tutti i fogli e li infila alla rinfusa nello zaino, mentre anche Fabrizio si alza e lo aiuta
“Chiamami appena finisci, va bene?”
“Sarai il primo a cui comunicherò il voto”
Fabrizio se lo abbraccia tutto e gli dà un bacio, che inizialmente avrebbe dovuto essere sulla guancia ma, siccome Ermal si era leggermente voltato verso di lui, finisce per poggiare le labbra sull’angolo della bocca
Error 404, Ermal.exe doesn’t work
È il primo a sciogliere l’abbraccio, imbarazzato fino alla cima dei capelli
“Ci sentiamo dopo, Bizio” gli dice in tono fin troppo soft e si allontana prima che l’altro possa vedere che le sue gote si sono graziosamente colorate di porpora
Okay, forse si è davvero innamorato di Fabrizio
E fine! Almeno per il momento…
Non so, avrei una mezza idea per un continuo, ma non vi assicuro niente (già per scrivere questo ci ho messo due settimane). Fatemi sapere se può interessarvi.
#ermal meta#fabrizio moro#metamoro#metamoro headcanon#madonna se fa schifo rispetto ai capolavori che scrivete voi#perdonate il mio romanaccio maccheronico#vabbè io mi dileguo
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Domenica 28 ottobre | aula del WWFFB scolastico
10:33 28/10 Peritas_Wolfhound (Domenica 28/10, ore 16, alula del WWFFB scolastico) Quella del WWFFB scolastico è una delle tante aule del castello ormai inutilizzate e in disuso che negli anni i portavoce del club si sono impegnati a sistemare e rendere più ospitale. Oggi ospita quasi adiacente alla parete in fondo, una vecchia scrivania su cui è seduta l`attuale e nuovissima portavoce, la diciassettenne Peritas Wolfhound, universalmente nota per gli immancabili capelli arcobaleno, oggi raccolti in due treccine che le ricadono sulle spalle, coperte da una mantellina rossa ancora bagnata, tanto da stare creando una piccola pozzanghera sul pavimento. Per il resto la ragazzina, con indosso un maglione bianco oversize e jeans stappati, è più o meno asciutta, escludendo gli anfibi neri che hanno l`aria di esser stati tuffati in ogni singola pozzanghera sul loro cammino. Gli occhioni azzurri della cheerleader si spostano dalla porta aperta dell`aula (che tutti i neoiscritti del club avranno ricevuto indicazioni via gufo per raggiungere) e i banchi allineati in due file per formare due lunghi tavoli, coperti da tovaglie di plastica arancioni. È inoltre possibile notare, ai piedi della cattedra su cui siede scomposta la Wolfhound, uno scatolone di cartone chiuso, sul quale ronfa felicemente il gufo comune che poco prima ha consegnato a tutti le indicazioni per raggiungere l`aula. Il povero pennuto è così profondamente addormentato che non protesta neanche al «BENVENUTI!» Esclamato a gran voce e con tanto tanto entusiasmo dalla Tassorosso all`arrivo dei primi neosoci
10:47 28/10 Gwen_Clover (Aula WWFFB – domenica pomeriggio) Grazie al permesso della sua capitana, per quel pomeriggio ha lasciato le cheers qualche minuto prima del previsto giusto il tempo di tornare nello spogliatoio per cambiarsi e darsi una veloce rinfrescata. Ed è stata veloce sul serio considerando che rientra al castello vestita di tutto punto e col mantello sulle spalle, pronta a dirigersi alla solita aula del WWFFB. Libera dall’obbligo di indossare la divisa, l’abbigliamento di oggi della grifondoro è totalmente composto da abiti babbani. Il tutto consiste in una blusa a maniche lunghe di un blu molto scuro tempestata qua e là da richiami floreali che variano dai toni del beige, del rosa chiaro e di un tenue azzurrino ben sistemata all’interno di un semplicissimo paio di jeans chiari che le fasciano entrambe le gambe in modo molto aderente. Ai piedi, invece, indossa dei semplicissimi stivaletti beige che le superano di un paio di centimetri le caviglie. Il viso è privo di trucco, a parte uno strato leggerissimo di mascara e matita nera che le valorizzano ancora di più i suoi occhioni azzurri. I capelli mossi, invece, sono raccolti in una coda alta ancora abbastanza umida a causa della veloce doccia appena fatta e come sempre profumano di buono, vaniglia per l’esattezza. Gli unici accessori che indossa sono un paio di semplicissimi orecchini a bottoncino di perle, il solito braccialetto di cuoio nel polso sinistro e al collo la collanina con un ciondolo a forma di ampollina, visibile grazie ad uno scollo a V non particolarmente profondo della blusa. Sa benissimo dove si trova l’aula della riunione perciò senza indugi la raggiunge, illuminandosi in un ampio sorriso nel momento in cui varca la soglia. «CIAO PERI!!!!» esclama felice e con lo stesso entusiasmo della tassorosso. Si leva il mantello di dosso, probabilmente poggiandolo da qualche parte che non dia fastidio, così da potersi avvicinare alla nuova portavoce. «Quali novità ci sono quest’anno?» comincia a chiederle sempre entusiasta nell’attesa che anche gli altri iscritti arrivino alla riunione. Si sfrega le mani pronta ad incominciare e spostando lo sguardo dalla tassorosso allo scatolone di cartone chiuso su cui ronfa il gufo. Chissà cosa c’è all’interno….
10:50 28/10 Sophia_Maffett (ingresso Aula WWFFB scolastico | Domenica 28.10 | ore 16) La scozzesina si avvicina saltellando e canticchiando una canzoncina dei pescolini che sfidano il grande oceano per sfuggire alle aragoste «E ancora un pesciolino-ino-ino con la sua pinnetta-stretta-stretta affronta il grande mare e si lancia a testa in sù uuuuh!» ed eccola così arrivare di fronte alla porta di ingresso. La piccola corvonero indossa il maglioncino di uniforme con tanto di bordature e la gonnellina plissettata sempre della casata, ha delle calze grigio chiaro lunghe e ai piedi porta delle scarpette nere ricoperte di brillantini. I capelli, che ormai sono semplicemente biondi, sono raccolti in due codini tenuti fermi da due elastici, uno color bronzo e l’altro blu scuro. Sulla spalla ha la sua tracolla piena oltre ogni dire perché oltre a libri, appunti, barattoli di vetro, spago, fettuccine di stoffa rossa penne e bacchetta contiene anche i ricambi per uscire poi all’allenamento di Quidditch insomma sembra implorare pietà ad ogni passo della piccola, il solo fatto che riesca a saltellare con quel peso addosso già denota la forza fisica della biondina. Ma non è finita! Alla cintura sopra alla gonnellina appunto, ha assicurato una zucca secca che funge da borraccia e un canocchiale nella sua apposita custodia. L’oggetto misterioso del giorno invece è uno scolapasta a manico che pende dal fianco sinistro, opposto alla tracolla. Ah, ha anche un sacchettino che sembra piuttosto bagnato umidiccio, quasi fosse un cartoccio di roba fresca da cui esce un vago sentore di pesce, alle volte capita che arrivi il pacco da casa e proprio lasciarlo in dormitorio non poteva. Quando approda finalmente all’aula WWFFB è tutta un gigantesco sorriso per PERI verso la quale zompetta felice «Ciao!» le dice allegra «posso… posso appoggiare sul tavolo?»domanda quindi appunto additando uno dei tavoli coperti da tovaglie visibilmente desiderosa di liberarsi di tutto quel peso che ha addosso. «ah! Noi non abbiamo ancora iniziato creature magiche, ma ho preso il libro di erbologia» dice alla colorata tassorosso «può andare bene? Nel caso inizio con le piante io?» finalmente uno sguardo intenerito verso il gufo dormiente e un sorriso verso l’animale e poi verso GWEN «Ciao» le dice quindi cordiale, «oh, quindi tu sei già un esperta» la guarda «forse ho fatto male a prendere il libro…» azzarda un poco dubbiosa con un sorriso intimidito mentre lo sguardo infine torna verso la porta in attesa di vedere arrivare gli altri partecipanti.
10:52 28/10 Juniper_Lisowski {Aula del WWFFB scolastico | Pomeriggio, ore 16} BEN è stato opportunamente acciuffato lungo il tragitto, così da avviarsi assieme verso l’aula indicata nella missiva che fino a poco fa la Grifondoro stringeva nella manina e che ora caccia invece nella tasca (gialla a motivo tartan come anche i bordi, coff coff) dei jeans chiari. Weekend significa pugni dritti nelle rètine di chiunque abbia la sfortuna di guardarla, e quindi come possono mancare un maglioncino verde acqua brillante con la stampa di un unicorno al centro del petto e il logo di Rainicorn sul retro? Ogni passetto molleggiante è attutito dalle sneakers babbane turchese acceso con lacci bianchissimi, e oggi in via del tutto eccezionale l’amato Zainicorno ha lasciato il posto a una più matura (?) borsetta a forma di testa di unicorno, brillantinosa con criniera e corno arcobaleno perché i babbani hanno un’idea tutta loro delle creature magiche in questione. Sorrisone che va da un orecchio all’altro, occhi grigi animati di vivace entusiasmo, guanciotte un po’ arrossate e chiazzate di efelidi come anche il naso, chioma color carota che raggiunge i fianchi sciolta da ogni elastico, al solito insomma. «Sono stracontentissima, il WWFFB è un’organizzazione eccezionale, altroché! Certo, non è come la Unicorn Squad, per carità, ma ha uno scopo altrettanto nobile, e farne parte è un onore, sì, e poi metti che magari ci portano a vedere gli unicorni?» trilla nelle orecchie del povero BEN, presumibilmente tenuto sottobraccio dalla rossa per sua sfiga. «Lo sai che papà Jake è stato anche lui felicissimo quando gli ho detto che mi ero iscritta? Mi mancano un sacco i miei, però non so se per le vacanze torno a casa, tu che fai Ben, ci torni, dai tuoi, per Natale dico? Ma tanto prima c’è Halloween, Natale è ancora lontano, c’è tempo per pensarci…»fortunatamente per il messicano però raggiunta l’aula la ragazzina molla anche la presa dal suo braccio «CIAO PERI!» esclama a pieni polmoni, agitando una manina in un cenno di saluto verso la Tassorosso, mentre ad accompagnare tutto c’è un sorrisino elettrizzato dei suoi «Allora, che facciamo? Andiamo a salvare qualche unicorno dai terribili Chupacabra? Anche se gli unicorni sanno difendersi da soli, sia chiaro» dicendo questo lancia occhiate serissime a… beh a chiunque le capiti a tiro, braccia esili incrociate al petto e qualche cenno del capino per rimarcare il concetto: gli unicorni sono fighi, eh! Non appena scorge GWEN le vengono letteralmente gli occhi a cuoricino, soffoca con ambe le manine un trillo da fangirl e tenta di correrle in contro per un «Ti prego, dopo mi fai un autografo? Per favore favorissimo!» con tanto di sfarfallio di ciglia, sguardo da cucciolo puccioso (?) e labbro inferiore un po’ sporgente. Ma si ricompone subito dopo, tossicchia e se ne tornerebbe accanto a BEN se il Tassino non la calciorotasse via prima. E «PHIA! Ciao, come stai?» sì, ne abbiamo anche per la Corvonero, coff coff, cenni di saluto in abbondanza e altro sorrisone tutto gongolante.
11:02 28/10 Aurora_Buchanan «Aula WWFFB | 28/10 | ore 16» Un freddo pomeriggio quello di questa domenica, sebbene l’abitudine alle temperature scozzesi permetta ad Aurora di zampettare come suo solito, in maniera buffa e scoordinata, lungo il corridoio che dovrebbe portarla direttamente all’aula designata. Stringe tra le mani al petto la fascia della borsa a tracolla che le ricade sul fianco destro, mentre su quello sinistro c’è il fodero di pelle con la bacchetta all’interno. Si affaccerebbe all’aula con un pizzico di timidezza: prima la testa, dando un’occhiata a PERITAS e GWEN per poi mostrare tutto il corpo e procedere all’interno. Non è una tipa di grandi parole ma è assolutamente presente con tutti quei cenni con la manina che sventola o i mezzi inchini di saluto a tutti i presenti, educata e sorridente, fresca come un fiorellino di campo. Più ampi e spontanei i sorrisoni che potrebbe dedicare a JUNIPER, BEN e SOPHIA, venendo poi tempesta dalle parole di quest’ultima: «iniziare che cosa?»chiede curiosa ed interrogativa sull’erbologia, alternando lo sguardo tra la concasata e i presenti. Indossa abiti comodi: jeans chiari con fondo sfrangiato, all-star azzurro pastello, felpa grigia con cappuccio della Wizarding Supporters of Scottish Rugby Union, con il cognome della ragazzina in stampatello sulla schiena, insieme al numero della maglia di Angus Buchanan. In aggiunta si potrebbe accennare come al polso ci sia inoltre un nastro color albicocca e come i capelli siano legati in una bassa e morbida treccia che lascia il tempo che trova, con tutti quei ciuffetti ribelli che ricadono di qui e di là, alcuni anche sul viso pallido e sporcato di lentiggini. C’è un delicato profumo di lillà ad accompagnarla sempre.
11:03 28/10 Emma_Stansmith (Domenica 28/10, ore 16, aula del WWFFB scolastico) La secondina si affretta a raggiungere l’aula indicata nel bigliettino recapitato dal gufo. E’ elettrizzata per la curiosità di cosa la aspetterà: ha sempre avuto una grande sensibilità per gli animali (normali e fantastici) e questa potrebbe essere una buona occasione per fare qualcosa di concreto ed utile, forse per la prima volta nella sua vita. La pioggia batte placida sui vetri delle finestre della scuola, niente di diverso dal solito clima scozzese che costringe per lo più gli studenti a trascorrere i fine settimana tra le pareti del castello. E’ per questo che la giornata l’ha passata tra la biblioteca e la sala comune, cercando di mettersi in pari con i compiti, aspettando con ansia l’unica coa interessante della giornata. Niente divisa quest’oggi, come tutti i fine settimana. Un caldo maglioncino di lana blu e dei jeans scuri, stretti alla caviglia, accompagnati da degli anfibi neri (di marca babbana, comprati a Londra l’estate appena trascorsa). I capelli sono raccolti in una coda che le ricade sulle spalle, probabilmente è ora di tagliarli ma le piacciono troppo per prendere la decisione definitiva. Varca la porta dell’aula, dove i banchi sono disposti in due file. Sulla scrivania in fondo riconosce la ragazza dai capelli multicolore. «Ciao Peri!!» esclama sorridente facendole un cenno di saluto, felice di conoscerla già dopo il progetto di Storia della Magia dello scorso anno. Si avvicina poi ad uno dei banchi prendendo timidamente posto, rivolgendo sorrisi di saluto a chi è vicino a lei, per poggiare la borsa contenente bacchetta e qualche piuma e pergamena. Poi si siede in silenzio, aspettando con ansia l’inizio della riunione.
11:05 28/10 Paul_Wolfhound (Domenica 28/10, ore 16, alula del WWFFB scolastico) Con passo svelto sale l`ultima rampa di scale che lo divide dall`aula dell WWFFB scolastico, del quale PERI è la coordinatrice. Indossa una felpa grigia, che serve a tenere caldo il busto dal clima che ormai emula quello invernale. Un pantalone in jeans, del colore classico, ricopre interamente le gambine da asticello, di coloro a cui non piace abbuffarsi. Ai piedi delle sneakers, babbane, come tutto il resto dell`abbigliamento, mentre dal collo pende un ciondolo, che rappresenta un drago, intento ad avvolgere una sfera di colore viola, con il corpo e le zambe, mentre le ali fanno si che il ciondolo si leghi alla catenina, e il piccolo non ha ancora capito se è un oggetto magico o babbano. Alle spalle si lascia una scia che porta la fragranza della lavanda, che deriva probabilmente dai fiorellini della pianta stessa, che tiene in tasca, raccolti da poco nei dintorni del castello. Arrivato di fronte alla porta del club, andrebbe per varcarla, trovando all`interno gli altri membri. Un saluto veloce a Peri «Ciaoo!» seguito dalla manina pallida che sventola a mezz`aria, come se non si fossero visti pochi minuti prima, e dopodichè andrebbe per avvicinarsi a qualcuno di sua conoscenza già lì: JUNIPER. «Heilà!» saluterebbe l`amica, vista di sfuggita a pranzo «Posso sedermi?» domanda, non sia mai che il posto sia già occupato. Una volta seduto, tutta la sua attenzione andrebbe a concentrarsi sulla scatola in cartone con sopra Cleo, che ronfa beata dopo un “faticoso” lavoro.
11:11 28/10 Benjamin_Turner { Hogwart, Aula del W.W.F.F.B. || 28/10; Pomeriggio } Strano, ma vero, nell`ultimo periodo è assai improbabile trovare Ben da solo che accompagnato o in compagnia della stessa JUNIPER, con la quale sembra condividere buona parte del suo tempo, fatta eccezione per quando alcuni bisogni impellenti lo portano ad allontanarsi o quando è ora di andare a dormire, eppure la cosa non lo ha mai disturbato, anzi, è stata sempre una cosa che ha apprezzato, per non parlare poi di quanto si sia fatto accalappiare più che felicemente dalla primina Grifondoro, seguendola a passo spedito, per via della differenza di altezza, accompagnato il tutto da vari e numerosi saltelli per movimentare un po` la cosa, se mai ce ne fosse il bisogno. In quanto sono assenti le lezioni, il ragazzino ne ha approfittato per indossare quel maglioncino giallo sabbia che la madre gli ha gentilmente fatto, risultando dunque più largo e più lungo del dovuto, un paio di pantaloni neri e infine degli scarponcini nocciola, rovinati in diversi punti e con delle macchie più o meno evidenti, a simboleggiare lo smodato uso. Se ne sta tutto allegro a saltellare, con la puffola gialla che gli rimbalza tra la chioma, seguendo l`esempio del padroncino, nel mentre che, stranamente in silenzio, ascolta quello che JUNI ha da dirgli, «E se tipo facciamo una collaborazione con il WWFFB o come si chiama? Come supporto per la Unicorn Squad! Sai, anche i super eroi hanno bisogno di aiuto, in alcuni casi… Tipo gli Avengers! Ci sta lo SHIELD che li aiuta diverse volte!» e qui probabilmente solo PAUL potrebbe capire a cosa stia effettivamente facendo riferimento, ma sono dettagli, il concetto dovrebbe comunque arrivare, si spera (?). «OOOH SERIO!?» in merito a vdere gli unicorni, tutto allegro e felice se mai una cosa dovesse succedere; fa spallucce in merito anche alle vacanze e cosa abbia intenzione di fare a riguardo, tanto che arriccia il naso «Non so! Mi sa che torno dai miei, comunque e andiamo o in Messico da nonna Odie oppure lei viene qui! Però boh, non saprei…» non è il momento di pensare a queste cose, in quanto dovrebbe esserci ancora tempo. «CAPITANA!»verso PERITAS, perché si, lei prima di tutto è la capitana delle Cheerleader e, seconda cosa, Miss Rainbow, a cui si vuole tanto tanto bene (?). Eppure le sue attenzioni, come quelle di JUNI, puntano poi su GWEN «QUE GUAY!» verso la quartina «Ma tu sei quella dei Magical… Quelli, no?» e si, dovrebbe aver indovinato, o almeno è quello che spera. Ai restanti PRESENTI, si limita a sventolare le manine e sorridere a tutto con dolcezza, come è solito fare.
11:21 28/10 Aderyn_Worley {Domenica | ore 16 | aula del WWFFB scolastico} «Caspita ma sarà che arrivo sempre in ritardo?!» sta ulando la grifetta mentre di corsa scende le scale che portano all`aula del WWFFB. All`esclamazione qualche quadro e studente di passaggio gli lancia un`occhiata storta, ma non c`è nemmeno il tempo di stupirsi di ciò. Le gambette sottili scattano di qua e di là, quasi fosse uno slalom tra gli studenti di passaggio. Sta quasi superando la penultima rampa di scale quando queste si muovono all`improvviso e la primina, essendo stata colta di sprovvista dal movimento improvviso, cade a terra con la faccia in giù. Per fortuna i pochi riflessi che ha permettono alle mani di fermare la caduta proprio un attimo prima che il naso si schianti sul pianerottolo che divide una rampa di scale dall`altra. «Ahiiaa!» in realtà mica si è fatta male ma per circostanza un urletto le scappa comunque. «PORCO BOLIDE!» Eh già, ci siamo già adeguati ai termini di Hogwarts, o almeno a questi qua. Non c`è nemmeno il tempo di spolverarsi i pantaloni, quindi si precipita giù per gli ultimi scalini, saltando gli ultimi quattro con un balzo. Trafelata raggiunge la porta dell`aula col fiatone, il corpicino esile e minuto infagottato in una maxi-felpa e in un paio di jeans larghissimi con mille risvolti alla fine, segno che prima di essere passati a lei, erano di qualcuno dei suoi fratelli. «Buh-buongiorno a tutti….» tra un respiro e l`altro dovuti al fiatone riesce a spiccicare solo un paio di parole prima di dirigersi in direzione della compagna di dormitorio numero uno «Ueii Juni! Come te la passi» Finalmente un sorrisone si apre sulle labbra piene dell`undicenne, cercando di sistemare i biondi e lunghi capelli un po` scompigliati e scarmigliati in testa. Poi rivolta a PERI esclamerebbe eccitata all`idea di iniziare questa nuova avventura «Quando si inizia?!»
11:27 28/10 Peritas_Wolfhound (Domenica 28/10, ore 16, alula del WWFFB scolastico) «Ciaooooo» esclama agitando le manine verso tutti coloro che varcano quella soglia, invitando con un gesto GWEN ad avvicinarsi di più e farle compagnia, rivolgendo un sorrisone particolarmente ampio a JUNIPER, un cenno del capo soddisfatto a PAUL e tanti altri sorrisi a SOPHIA, BEN e così via… è possibile che conosca tutti lei? Almeno non serviranno presentazioni Comunque la prima risposta che da è «Scusa Soph, ma i tavoli ci servono liberi, posa tutto qui sulla scrivania però, se vuoi» e scende anche dalla cattedra per far spazio a tutto quello che la primina si è portata dietro, ridacchiando a tanto entusiasmo e commentando allegra «Noi non facciamo lezione quindi non ti serviranno i libri. Almeno per stavolta. Se ti serviranno, invece, te li presterò io, okay?» Si lascia travolgere ed intenerire dell`entusiasmo di JUNIPER a cui risponde in tono esuberante «Non salviamo unicorni oggi, ma facciamo un`altra cosa che con gli unicorni c`entra qualcosinainaina» ma non spoilera altro, restandosene con quel sorrisetto sghembo. Quanto alla povera GWEN che praticamente sembrava aver ignorato la raggiunge saltellando ed esclama «Gwen, qui, è una veterana e sarà molto contenta di fare autografi a tutti!» Ah sì? «Inoltre ha fatto un`ottima domanda! Di nuovo c`è che la portavoce dell`anno scorso, Rebekha Grimes, si è trasferita a Beuxbatons quindi io sono diventata la portavoce quindi a breve nominerò un vice» spiega allegramente «Quest`anno come ognuno dei precedenti il nostro obbiettivo è far conoscere e apprezzare a tutti la biodiversità e le meravigliose creature che abbiamo vicino e che dobbiamo proteggere. A questo scopo distribuiremo volantini per cause sempre diverse e raccoglieremo fondi tramite varie iniziative tra cui quella di oggi» annuncia ricomponendosi un minimo «Quindi oggi prepareremo qualcosa che è perfetto da vendere sotto Halloween: dolcetti!» E qui la diciassettenne solleva con una certa impacciataggine lo scatolone con uno «Scusa Cleo» quando il povero gufo viene scacciato via dal suo trespolo per sonnellino e va a posarsi niente di meno che sulla spalla di EMMA che, sì, le sta simpatica. «Tutti intorno ai tavoli!» Ordina allegramente la Tassorosso aspettando che tutti facciano come dice prima di chiamare «AURORA, vieni a darmi una mano» e se la primina farà quanto richiesto le verra messa in mando una teglia di muffin con l`ordine di «Distribuiscili tra JUNI, BEN e PAUL» poi viene presa un`altra teglia dallo scatolone delle meraviglie, questa volta piena di biscotti da decorare, a forma di drago, più piccoli di un palmo «Di questi te ne occupi tu» sì, sempre AURORA, «e anche EMMA e GWEN» e la teglia sarà posta tra le tre «Invece SOPHI, LA BAMBINA IN RITARDO» ciao, ADERYN «ed io lavoreremo con la pasta di zucchero» e una svoglia di pasta di zucchero rossa viene tolta dallo scatolone e posata su un tavolo. «QUESTI sono i prototipi» e da questo enorme scatolone emergono un muffin decorato da unicorno, un biscotto a drago con dettagli verdi, colorato per bene e dall`aria deliziosa e una piuma di fenice di pasta di zucchero rossa, semplice ma bene intagliata «e questi sono i vostri strumenti» ecco a voi, glassa colorata, coltelli, panna, pasta di zucchero di ogni sorta, zuccherini e quant`altro. Così non resta che augurare «Buon lavoro!» Che suona un po` come “alla carica”
11:57 28/10 Gwen_Clover (Aula WWFFB – domenica pomeriggio) Lasciare Peritas da sola in quella che sembra a tutti gli effetti un’invasione di primini non le sembra una così buona idea perciò, resta lì, in piedi vicino a lei pronta nel caso ad esserle aiuto. Aspetta con pazienza l’arrivo di tutti e la prima è SOPHIA a cui la grifondoro regala uno sguardo allibito prima a lei e poi alla pesante tracolla che porta con sé. Come puoi una bambina così piccola portarsi dietro un peso così grande?! Lo sguardo allibito però resta davvero poco tempo perché quando la ragazzina si rivolge a lei salutandola, il viso della grifondoro si apre nuovamente in un sorriso. «Non è mai un male portarsi qualche libro dietro» quasi a volerle rivelare chissà quale perla di saggezza. «Sono Gwen, comunque» e le porge la mano destra per presentarsi e cominciare a rompere il ghiaccio con questi nuovi iscritti. Sophia viene subito seguita da JUNIPER e Ben e beh, diciamocelo, l’entusiasmo della grifondoro non passa di certo inosservato, proprio come il suo amore per gli unicorni. Più la osserva, più le vien voglia di procurarsene al più presto uno in peluche, il più glitterato possibile da sistemarselo sul letto su in dormitorio. Questi pensieri unicornosi (?) però vengono al più presto scacciati via dal trillo da fangirl prodotto dalla primina. Resta sorpresa dalla sua richiesta ma di certo non sarà una domanda del genere a spegnere il sorriso della quartina. Anzi, il sorriso le si apre ancora di più mentre annuisce divertita. «Certo! Te lo faccio appena finiamo la riunione!» ma sì, mettiamoci a smerciare autografi! A questo punto rispondere alla domanda di BEN sarebbe quasi inutile ma lei lo fa lo stesso con un «Sì sì, sono io!», giusto per non sembrare scortese. Wow, non si aspettava di essere così famosa! L’occhio le cade poi sulla borsetta a testa di unicorno della primina e beh, non può trattenersi dall’affermare «Ma è troppo carina la tua borsa!» con una voce tutta zucchero e miele e gli occhi a cuoricino. Sì, è deciso: deve procurarsi anche lei un unicorno! E al più presto! Man mano che arrivano, saluta il resto dei ragazzi con un sorriso, mentre aspetta che siano al completo per cominciare. La presentazione della sestina che la considera una veterana la fa sorridere, ma sorride un po’ meno quando si parla di far autografi a tutti. «Ah sì? A tutti?» le chiede un soffio udibile solo a lei. Farlo solo a Juniper va bene ma… a tutti? Beh, la quartina deve ancora abituarsi a quella notorietà. Pronta però ad immolarsi per la causa, annuisce alle parole della tassorosso, così da darle man forte. Per il resto nulla da aggiungere quindi la ascolta in silenzio, annuendo ogni qual volta si trovi d’accordo con lei. All’idea di preparare i dolcetti che venderanno ad Halloween si anima più di quando già non sia e, battendo le mani contenta, eccola sistemarsi vicino ad un tavolo pronta a cominciare. Osserva i prototipi dei vari dolci e beh, impossibile trattenersi da un «Wow, sembrano buonissimi!!!». Con più attenzione però studia i biscotti a forma di drago, quelli capitati a lei. Si posiziona vicino a quelle che dovrebbero essere AURORA ed EMMA, pronta a cominciare il lavoro. «Pronte?» chiede con un sorriso alle primine, mentre alza entrambe le maniche della blusa così da non essergli d’impaccio. «Non sono molto brava nella decorazione dei dolci ma spero di riuscire comunque a decorarlo il più realistico possibile» anche se lei ne dubita fortemente. Eccola quindi prendere il primo biscotto ancora spoglio e sistemarselo davanti dando una veloce occhiata agli utensili a disposizione. «Voi sapete decorarli?» chiede dolcemente alle ragazze vicino a lei, mentre si attrezza di un po’ di glassa verde per cominciare il lavoro. Ha le mani ferme mentre comincia a metterne un po’ sul biscotto ma si vede lontano un miglio che non è esattamente un lavoro che fa per lei. Concentrata e con la lingua in mezzo ai denti, continua la sua decorazione, spostando ogni tanto lo sguardo sui biscotti delle ragazze vicino a lei. «Se avete bisogno d’aiuto, non avete che da chiedere» anche se quella bisognosa d’aiuto sembra lei e non gli altri. 12:01 28/10 Sophia_Maffett (Aula WWFFB scolastico | Domenica 28.10 | ore 16) La ragazzina sorride annuendo a PERI «certo, scusa» e quindi inizia a scaricarsi di tutta la roba che ha sulla scrivania, massaggiandosi la spalla pure un pochino quando è libera dalla sacca. Stringe la mano a GWEN «oh piacere, Sophia» fa anche un leggero cenno col capino «oh, non sapevo fossi così famosa» aggiunge poi un po’ impettita anzi addirittura farà un vero e proprio inchino rispettoso «ti chiedo scusa» aggiungerà quindi come se la cosa fosse assolutamente naturale. Tanto che l’istante successivo sorride verso JUNI «sto benissimo grazie!» le dice «sto andando avanti con la creazione per Halloween!» le spiega tutta eccitata lo sguardo che poi si sposta su BEN accanto alla rossa sorride ancora piegando appena la testolina di lato con fare un poco intenerito, e annuisce persino quando PERI li mette insieme a fare degli unicorni muffin con un sincero sguardo di approvammirazione nei confronti della colorita tassorosso. Un saluto anche verso PAUL quindi con la manina che si solleva appunto in direzione del compagno del primo anno. Quindi è il turno di AURORA alla quale sorride, ovviamente prima di risponderle «iniziare le nuove avventure! che altro?» le dice tutta contenta. Cerca di mettersi diritta con la schiena mantenendo una certa compostezza mentre prende posto al tavolo accanto ad ADERYN alla quale annuisce con fare allegro «è questo lo spirito!» le dice lasciando che sia lei a presentarsi a PERITAS. Inizia quindi dandosi una sistemata ai capelli, giusto perché non la impaccino durante il lavoro pasticciario rifacendo quindi i due codini «allora mettiamoci all’opera!» aggiunge quindi lo sguardo che va verso PERI di nuovo si vede che gongola un po’ del poter lavorare fianco a fianco alla ragazza più grande tanto che sussurrerebbe alla primina al più fianco «hai visto… siamo nella squadra con Peri che è la più forte di tutti!» quasi una confidenza giusto per sentirsi importanti. Ed ecco che finalmente viene srotolata la pasta di zucchero di fronte alle bimbe, la speranza è che l’entusiasmo delle biondine riesca a far ritornare anche la voglia a questa pasta rossa! Ecco che Sophia quindi prende uno dei coltellini «è un po’ come disegnare!» le dice tutta contenta iniziando a seguire l’esempio della piuma per intagliare la sua con dei segni più profondi per il contorno e più delicati per i dettagli intanto riflette «Peri, pensi che se prendiamo dei granelli di zucchero e li coloriamo d’arancione possiamo poi sparpagliarli attorno alle piume così sembra che ci siano delle scintille di fuoco, che fa ancora più fenice!» le dice sorridendole «ma magari avevi qualche idea ancora più spettacolare» aggiunge senza che il suo buonumore scenda di una virgola «nel caso possiamo usare quello» indica lo scolapasta che si è portata appresso «per sparpagliare le scintilline» conclude col suo solito fare entusiasta, lei spara idee ma continua il suo lavoretto di decorazione «fortuna che non devo fare i Muffin» afferma quindi verso le due compagne di tavolata «che a casa non ho mai fatto dei dolcetti, però ho fatto un sacco di disegni, anche se le penne non è che siano proprio il mio fortissimo, ma è sempre bello disegnare» afferma quindi per poi rivolgersi verso ADERYN «tu hai già fatto dei dolcetti a casa?» la domanda così, tanto per chiacchierare un poco mentre si lavora. 12:08 28/10 Aurora_Buchanan «Aula WWFFB | 28/10 | ore 16» Ridacchia alle parole di Sophia per poi direzionare la sua attenzione su PERITAS: ascolta attentamente tutto ciò che viene spiegato e si illumina all’idea del lavoro che andranno a svolgere, aggiungendo un cenno d’assenso vivace del capo, per poi ritrovarsi con una teglia in mano: «signorsì signora!» risponde tutta vivace, quasi non aspettasse altro che ricevere un qualche tipo di compito. Eccola lì a passare tra JUNIPER, BENJAMIN e PAUL: «questi sono i vostri, dove ve li metto?» andrebbe a chiedere serenamente, avvicinandosi anche un pochino al tavolo, di modo, in caso, da poggiare il tutto dove i ragazzi andranno poi a sedersi. Fatto il misfatto, anche in base alle loro risposte, potrebbe poi tornare a recuperare la teglia di biscotti e portarla in un’altra sezione del tavolo, lì dove avrebbero presto posto EMMA E GWEN. Annuisce vivacemente, con un sorriso delicato alla bellissima GWEN, prendendo spazio accanto a lei ed andando a togliersi la tracolla di dosso, poggiandola dove capita. A quella domanda che le verrebbe posta: «le uniche decorazioni che ho fatto di recente sono state di carta, per un quadro del primo piano ma…» s’arrossa appena sulle guance «farò del mio meglio!» confessa verso la CONCASATA, decisa ed allegra mentre recupera una saccapoche dal tubetto fine. Con una spatola vorrebbe infilarci dentro un po’ di glassa nera per decorare il suo biscotto-drago, posizionato proprio davanti a lei. Mentre farebbe questo, potrebbe rivolgersi con una vocina appena accennata a GWEN: «al concerto siete stati bravissimi!» si trova a dirle, sorridendole morbida, per poi chiedere ad EMMA: «tu c’eri?» tranquilla e spontanea anche verso di lei prima di distogliere lo sguardo e cominciare a stringere la saccapoche per far uscire la glassa. 12:09 28/10 Juniper_Lisowski {Aula del WWFFB scolastico | Pomeriggio, ore 16} Strabuzza gli occhi e fissa BEN con evidente sorpresa, sebbene pian piano gli angoli della bocca si arriccino in un sorrisone ancora più raggiante «Awe, che idea straordinaria che hai avuto! Assolutamente sì, hah, dopo dobbiamo chiederglielo, a Peri, così almeno potremmo creare una Covenant di quelle ben fatte, la Covenant dell’Unicorno!» solleva una manina e con quella descrive un mezzo archetto ben oltre la fronte, seguendolo anche con lo sguardo, a indicare figurativamente l’idea in questione. «Hey Pavel!» cinguetta alla volta di PAUL, lo sguardo vaga poi nei dintorni dell’altro alla ricerca di qualcuno in particolare «Awe, Purriwinkle non c’è?» domanda tanto per farsi i fatti della gatta altrui, tranquilla proprio come se niente fosse, ascolta poi la risposta di BEN, annuisce piano, pensierosa, ma porta un indice alle labbra quando il ragazzino si rivolge direttamente a GWEN «Fai piano, altrimenti i paparazzi sapranno che è qui e le daranno il tormento, e non va bene!» bisbiglia convintissima alla volta del messicano, con annessa occhiata carica d’ammirazione tutta per GWEN, appunto, specie alle sue risposte «Grazie un sacco, lo conserverò gelosamente!» le assicura, poi ovviamente non perde occasione di girarsi un po’ per mettere meglio in mostra la borsetta «Ti piace? L’ho comprata da Rainicorn! È il mio negozio preferito preferitissimo, hanno cose stupende, ci compro anche tutti i miei vestiti»indica con un cenno l’outfit che definire sgargiante sarebbe riduttivo «E i miei unicorni di peluche, e l’astuccio, lo Zainicorno, le penne colorate…» vabbè sta di nuovo facendo pubblicità a Rainicorn, roba che potrebbe avviare una partnership col negozio di questo passo. «RYN! Ciao! Sto bene grazie, e tu come stai? Sei emozionata? Io sì, tantissimo, non vedo l’ora di prendere parte attivamente alle attività con cui il WWFFB persegue le sue nobili cause!» attacca subito bottone anche con la concasata, raggiante, con quel sorrisone perennemente accampato sulle labbra, solo per poi strabuzzare gli occhi alla volta di PHIA «Strabiliante! Continua così! Sono sicura che il risultato sarà eccezionale, ma se ti serve una mano chiama, ovviamente» sì, certo, jolly co-operation e quant’altro, no? Rimane poi zitta zitta (strano ma vero) ad ascoltare PERI, e ancora una volta strabuzza gli occhi, batte le mani con entusiasmo quando sente che comunque qualcosa di unicornesco di mezzo ci sarà e «Sìììììì, fantastico!» trilla. Applaude tutta felice ed estasiata al discorso di PERI, per poi alzare la mano. Se le fosse data parola non esiterebbe a fare un passetto avanti, fin troppo orgogliosa «A proposito di fondi! Harper Grimm e io abbiamo realizzato una swear-jar, e oltre a servire per insegnare le buone maniere da tenere anche in Sala Comune» ciao Grifi coff coff «Abbiamo deciso che il ricavato andrà tutto tuttissimo al WWFFB! Hah!» vanterie a parte, quando le vengono dati i muffin da RORY, è all’amichetta che elargisce un sorriso particolarmente affettuoso e un più scherzoso inchino «Vi ringrazio di cuore… principessa» sogghigna divertita e qui strizza l’occhio sia all’amica Corvonero che a BEN. Alla vista dei prototipi a cui rifarsi le sfugge proprio un «SIIII, NOI ABBIAMO GLI UNICORNIH!» enfatica, coff coff. Come se la Tassorosso dai capelli ARCOBALENO non l’avesse fatto apposta, comunque ve se ama e non ci pensa su due volte ad armarsi anzitutto di panna «Ade me l’ha insegnato, a decorare le torte, se volete faccio vedere anche a voi come si fa!» si rivolge ora a BEN e PAVEL, tutta tronfia con tanto di petto esile opportunamente gonfiato un po’ e mento alzato, ci manca solo uno swish finale ma se lo risparmia, non sia mai che i capelli contaminino i dolcetti, ew «Guardate, bisogna fare così» recupera una sac-a-poche in cui versa due o tre cucchiaiate di glassa, con la mano stretta accanto al beccuccio dirige il getto (?): parte dal centro, poi comincia a descrivere una spirale lungo i bordi che via via si fa più stretta man mano che gli strati di panna si sovrappongono e una volta formata una punta smette subito di esercitare pressione sulla sac-a-poche e ne scansa il beccuccio dal muffin «Mi raccomando, non premete troppo altrimenti la glassa esce troppo in fretta e rovina tutto! Piano piano, con calma, sempre con la stessa forza, così non ce n’è troppa qui e troppa poca di là, così, ecco…» mormora nel mentre, accigliata per quanto si concentra, e con questo si dà pure ai tutorial, adesso, la rossa. Una volta fatto, il risultato dovrebbe essere comunque abbastanza simile al prototipo mostrato loro. A questo punto recupera due orecchiette e un corno come quelle del muffin prototipo e le dispone con cura nella spirale di glassa per dare il tocco finale «Hah, ecco fatto! PERI, così va bene?» cerca subito l’approvazione della Tassorosso con uno sfarfallio di ciglia e un che di già fierissimo nello sguardo. 12:18 28/10 Emma_Stansmith (Domenica 28/10, ore 16, aula del WWFFB scolastico) I sorrisi e le risate si sprecano sul suo volto a vedere l’entusiasmo di tutti i membri del gruppo. La giornata ha preso una piega decisamente positiva rispetto alla monotonia di prima. Gli altri sembrano conoscersi già tutti e lei rivolge ai presenti sorrisi timidi, rimandando le presentazioni ad un momento più consono (o sperando che non ce ne sarà bisogno di tanta formalità). Si affretta a riprendere la borsa dal tavolo quando PERI annuncia che i tavoli devono essere liberi e se la rimette in spalla, pronta a mollarla vicino a lei non appena capirà qual è il loro compito del pomeriggio. E’ quindi con entusiasmo e felicità che ascolta le parole della nuova portavoce del gruppo. «Beuxbatons? Oh cavolo, che cambiamento» commenta a voce leggermente più alta di quanto non debba esserlo un sussurro. Non le piacciono per niente i cambiamenti drastici, dopo le sue burrascose vicissitudini familiari. La sua espressione per un attimo lascia trasparire quei ricordi tristi. Ma il solo sentir parlare di dolcetti la rinfranca totalmente! «Ohhh che bella idea» commenta rivolta a PERI con occhi pieni di ammiraione, cercando il consenso degli altri presenti. «C’è una causa in particolare per cui li vendiamo?» chiede curiosa, con un sorrisino che si riconduce all’entusiasmo di JUNIPER per gli unicorni. «O cerchiamo fondi da destinare a tutti gli animali?» chiede, mentre nella testa le partono già mille idee su come sensibilizzare i possibili acquirenti con racconti strappalacrime o con minacce velate, del resto è una Serpeverde e Mallory docet! Guarda con interesse allo scatolone preso da PERI quando Cleo, il gufo addormentato su di essa si viene a poggiare proprio sulla sua spalla. «Oh ciao! Come sei carino» lo guarda con occhi a cuoricino accarezzandolo con la mano opposta a quella della spalla su cui è poggiato. «Ho sempre desiderato averne uno, ma ho già due gatti» annuncia con un sospiro. Mottle sta ronfando in sala comune al momento, Chanel è a casa con i suoi genitori, troppo legata a loro per infrangerle il cuore separandola da Londra. La teglia di biscotti che si posiziona davanti a lei, GWEN e AURORA ha un aspetto decisamente invitante. «Wow che bello» commenta entusiasta nel sentire quale dovrà essere il loro compito. Quindi si posiziona vicino a loro, non prima di aver invitato Cleo a poggiarsi sullo schienale della sedia dietro di lei, cercando di essere più delicata possibile e dandogli carezze e buffetti. Sarebbe impossibile lavorare senza disturbarlo. «Ciao, io sono Emma» sorride rivolgendosi alle compagne. La primina deve averla incrociata per i corridoi ma non hanno mai parlato, GWEN invece la conosce di vista e di nome, per la sua appartenenza alla band. «Si c’ero» risponde alla Grifondoro. «E’ stato sensazionale» commenta, unendosi all’ammirazione della primina per la quartina. Ma è il momento di pensare alle decorazioni dei biscotti. «Insieme riusciremo a fare un ottimo lavoro», dice sicura di sé. E’ per questo che inizi ad armeggiare con le glasse colorate da mettere dentro le varie siringhe da spremere sui biscotti per comporne le decorazioni. «Che ne dite di metterci anche della panna e glasse di vari colori? Magari oltre ai colori verde e rosso possiamo fare dei draghetti con i vari colori delle 4 casate, potrebbero essere più invitanti!» dice entusiasta, mentre continua ad armeggiare con i vari ingredienti. Che bel pomeriggio che si prospetta! 12:36 28/10 Aderyn_Worley {Aula del WWFFB scolastico | Pomeriggio, ore 16} E appena la SESTINA indica i tavoli a cui sedersi, Aderyn sarà la prima a fiondarcisi, prendendo posto in quello a destra, buttandosi con tale slancio sulla sedia, quasi da ribaltare la stessa e a cadere a terra. Fortunatamente però le ditina sottili afferrano in tempo il banco per ristabilizzarsi e far ricadere al proprio posto la sedia con un tonfo secco. «Evvai! Salviamo gli unicorni e sterminamo gli abominevoli Chupacabra» manca solo la risata diabolica. Il capino annuisce all`affermazione di SOPH «Grande!». Poi gli occhioni azzurrissimi e vispi si posano su JUNI e un gran sorrisone si apre sul visetto lentigginoso «Oh sì! Non vedo l`ora di iniziare! Ho rubato» e qua si intende `preso in prestito` «un libro di Creature in biblioteca ed è tipo WOWW! Ci sono gli ippopotami però tipo con le ali e non ci assomigliano agli ippopotami ma il nome sì» buongiorno Ippogrifi, questo è il vostro nuovo nome «e poi quelle specie di cavalli neri tutti pieni di rughe e tipo con gli occhi fuocosi» threstal naturalmente «e poi quell`uccello fuoco e fiamme e oro ed è tipo magnifico che si chiamava tipo fenide o cose così»e qua ancora non ci ricordiamo come si chiama «E poi naturalmente gli unicorni che sono i più belli e buoni e splendidi e tutto!» completa il discorso di cui si sarà potuto capire poco e niente con gli occhi sgranati sul nulla e lo sguardo strasognato. La voce della SIGNORINA ARCOBALENATA richiama la sua attenzione «Ohhh sì! Che bello Halloween! E` vero che ci dobbiamo travestire ma anche mangiare» e sì mangiare come un lupo è la sua prima aspettativa di feste di qualunque genere esse siano. Le orecchie si tendono ad ascoltare le parole di PERI e a sentire il compito che le spetta si illumina «Ecco come si chiamava! Fenice, sì, fenice! E` quasi bella come l`unicorno!» poi una mano verrebbe portata alla fronte ad imitare il noto saluto militare «SIGNORSI` SIGNORA!» e così dicendo afferra la mano di SOPH, per trascinarla con sé verso PERI e le sue fantastiche piume rosse. «No non ho mai cucinato» e questo dovrebbe già mettere in allarme la CORVETTA, parole che presagiscono i pasticci che ne verranno fuori «Ma c`è sempre tempo per imparare no?!» sì, no, forse, boh! Poi gli occhioni si sgranano di nuovo «Oh che idea fantastica!» sì, si riferisce alle scintille ideate da SOPH «Così poi quei robi sono ancora più buoni! E poi guarda » il braccino si tende ad indicare gli esempi che PERI mostra loro «sono così belle!! Da dove incominciamo?!» così dicendo si rivolgerebbe alla SESTINA, della quale sarà compito spiegare alla grifetta cosa si farà. 12:47 28/10 Benjamin_Turner { Hogwart, Aula del W.W.F.F.B. || 28/10; Pomeriggio } E come un ombra silenziosa che striscia lungo le pareti, lo stesso ragazzino, con un ampio sorriso in volto che gli fa spuntare due graziose fossette ai lati delle labbra, se ne sta momentaneamente in silenzio, assistendo a quello scambio di saluti e quelle chiacchiere senza proferire alcuna parola, anche perché sarà la stessa puffola, Sunrise Fuzz, ad infastidire il padroncino, non smettendo di saltellargli sulla testolina e di emettere squittii divertiti e allegri, quasi fosse più entusiasta lei di essere alla riunione del club che lo stesso giovane anglo-messicano. «Peri! Peri! Ma tipo il vice…»tenterebbe dunque di farsi sentire dalla giovane SESTINA, sorridendole tutto felice, «Il vice è scelto in base all`anno scolastico o a quanto partecipa con il WWFFB?»insomma, perché se in caso non dipendesse dall`anno, se non lui, probabilmente andrebbe immediatamente a proporre JUNI, «No, perché JUNI secondo me sarebbe perfetta!» e non ha nemmeno preoccupazione di affermare una cosa simile, troppo innocente e probabilmente spensierato nel riflettere che magari possa dipendere da altri fattori o semplicemente perché magari potrebbero esserci altri, tutto qui (?). «OH OH! Ma tipo lo possiamo assaggiare?!» e quando si tratta di mangiare lui non si tira mai indietro, mai e poi mai, «Nel senso per vedere se sono buoni, ecco…» fa spallucce, come se l`idea non fosse per mangiucchiare qualche dolce, ma semplicemente per accertarsi che siano effettivamente buoni da mangiare e non ci sia nulla che in realtà non vada, ovviamente si affiderebbe alla clemenza di PERI per una risposta, come sempre. Il naso verrebbe arricciato nel mentre che i muffin gli verrebbero adagiati davanti, osservandoli con non troppa convinzione, non perché non voglia aiutare, semplicemente: «Ma io non sono capace a decorare `ste cose…» ovviamente, tanto che la voce andrebbe ad assumere una lieve decadenza ritmata, a voler sottolineare una piccola cantilena a proposito, come se si stesse lamentando, tutto sempre verso PERITAS «E se poi lo rovino? Non posso fare qualche Churros? e Poi qualcuno ci disegna sopra? Tipo lo possiamo ricoprire di glassa verde e fare delle decorazioni per farlo sembrare a quell`animaletto che assomiglia ad uno stecchino verde, che vive sugli alberi, ma non è un insetto… Tipo l`ho letto su un libro delle Creature Magiche, dovrebbe chiamarsi As… At… Asticello! Si si! Se tipo facessimo tutti mini churros, per poi decorarli con la glassa e fare degli Asticelli di zucchero?» tutto purché non gli lasciate una sac-a-poche in mano, altrimenti potrebbero arrivare ondate di glassa decorata addosso ad altre persone involontariamente. «Hey Principessa!» verso RORY, perché si, si unisce anche lui alla chiacchierata tra AURORA E JUNIPER, così, tanto per far vedere che c`è anche lui e dare un po` di fastidio gratuitamente. «OOHH, SERIO?» Verso JUNIPER, che come la manna dal cielo, si è offerta gentilmente di insegnargli come decorare una tortina o quello che è, cosa di cui ha necessariamente bisogno, di conseguenza poi rimarrebbe in silenzio, tenendo appena il capino verso quello che JUNIPER sta facendo, per poi tentare di ricopiare esattamente ogni suo movimento, non avendo però la stessa manualità e capacità dell`altra, però, risultando così che quella glassa venga un po` traballante ed eccessiva in alcuni punti, poca in altri, ma abbastanza omogeneo, si spera: «Sembra che `sto muffin mi sia appena caduto a terra…» ha un`autostima elevatissima, come sempre (?). 13:00 28/10 Peritas_Wolfhound (Domenica 28/10, ore 16, alula del WWFFB scolastico) Al sussurro incerto di GWEN risponde altrettanto sottovoce, con tono fiducioso «Puoi farcela, ma se non ti va lo fai solo a Juni e Ben e gli altri un`altra volta» poi a voce più alta «Se lavoriamo sodo adesso, ci concediamo un assaggio più tardi. Per… controllare la qualità!» Esclama facendo l`occhiolino un po`a tutti, con un enorme sorriso che le scopre tutti i denti bianchissimi. Annuisce piena di approvazione per l`entusiasmo di Sophia e sembra quasi esternare una piccola punta di orgoglio «Sì è come disegnare, per questo è assegnato a te!» Un po`come ha assegnato i muffin alla unicorn squad. Quanto alla proposta della corvetta si ritrova ancora più entusiasta di prima «Sì! Proviamo, il colorante alimentare lo abbiamo! E anche lo zucchero ovviamente!» E così passa una boccettina di vetro trasparente piena di liquido arancione rossastro per poi dedicarsi alla ricerca dello zucchero «Dove l`ho messo? Mmm… uh, era ancora qui!» Ma quanta roba c`era nello scatolone? Comunque ora SOPHIA ha tutto il materiale per testare la sua idea e anche un bel sorriso di incoraggiamento «Grazie mille di aver distribuito tutto, AURY. Sei stata efficentissima» esclama poi verso la primina che le ha fatto da cameriera «La carta, i dolci, se hai quel tipo di manualità non avrai problemi! E se invece non ce l`hai… imparerai!» Cinguetta affabile prima che tra le chicchiere di JUNIPER una attiri la sua attenzione molto più delle altre «TU E HARPER SIETE DELLE GENIE!» Esclama correndo estasiata verso la rossa per tentare di abbracciarla al settimo cielo «Sei un genio!» Ripete che più di così il suo sorriso non si allarga poi, facendo qualche passo indietro esclama «Grandioso! Magari la prossima volta puoi portare anche Adelaide ad aiutarci!» Le propone per poi spostarsi su EMMA «Sì, Beuxbatons è parecchio lontana ma Bekha è fortissima e porterà il wwffb anche lì!» Commenta. Alla domanda sulla causa a cui sarà devoluto il ricavato scrolla le spalle e risponde «Questo ricavato sarà in generale, ci occuperemo più tardi di progetti più specifici» ridacchia intenerita dall`intesa tra il suo gufo e la serpetta ma non fiata a riguardo quanto alla proposta per la colorazione dei biscotti drago ovviamente per lei è una «Fantastica idea! Solo che non so se ci basta la glassa gialla… al massimo la coloriamo col colorante alimentare!» C`è una soluzione a tutto, ma il sorriso le si guasta alla sete di sangue di chubacabra di ADERYN «Signorina» la redarguisce senza veemenza ma piuttosto severamente «NOI del WWFFB siamo CONTRO lo sterminio di qualunque essere vivente. Non proteggiamo solo le palle di pelo con gli occhi dolci proteggiamo l`ambiente e la biodiversità» spiega rimarcando in tono chiaro alcune parole. Ridacchia invece al contenuto del libro di crearure magiche rubato. Del rubato non si preoccupa, no. Invece si preoccupa giustamente di spiegarle «Allora prendi un coltello e facendo attenzione a non tagliarti incidi un rettangolo nella pasta di zucchero. Da quel rettangolo devi poi tagliare via una piuma ma è un po`difficile e se vuoi puoi appoggiarci sopra questa già fatta e seguire il contorno. Poi puoi decorarla se vuoi!» Esclama contenta. Poi passa a rispondere a BEN «Il vice non dipende certo da quanti anni ha, ma da quanto tempo è iscritto al wwffb scolastico sì, perché può darmi una mano con più conoscenze. Poi avremo anche dei miniprogetti ed eleggerete voi i capogruppo»spiega mentre riguardo alle incertezze del ragazzino lo raggiunge e gli risponde «Abbiamo tanti muffin su cui esercitarci, se non riesco sibito non importa e poi Juni è un`esperta e ti aiuterà!» Finalmente, dopo aver provato ad arruffargli i capelli torna al suo posto esclamando «Sei bravissimo Ben, puoi farcela» e inizia a intagliare la sua piuma di zucchero «Qualche altra domanda? Qualcuno vuole cantare qualcosa per insegnarci una canzoncina e aiutarci col lavoro?» 13:28 28/10 Gwen_Clover (Aula WWFFB – domenica pomeriggio) Dopo essersi presentata stringe delicatamente la mano di SOPHIA sorridendo all’affermazione che segue e al piccolo inchino che le riserva la ragazzino. «No ma che…» e scuote entrambe le mani davanti a lei come a volerla fermare. «No, non sono così famosa» da ricevere un inchino. «Sono solo un membro di una band. Tutto qui» perciò niente formalismi e soprattutto nessun inchino. Ma questo è decisamente nulla a confronto delle parole bisbigliate a BEN da JUNIPER. I paparazzi?!? Oddio, le viene quasi voglia di nascondersi sotto il tavolo per la vergogna di essere così tanto al centro dell’attenzione. Ma questo è il prezzo della notorietà e soprattutto di aver fatto un concerto clandestino in giardino perciò… tanto vale abituarsi a tutto ciò ed affrontarlo con un sorriso. «È davvero davvero carina!» ripete nuovamente riferendosi alla borsetta. «Rainicorn? Mhh..» bene, ha mentalmente segnato il nome del negozio così che molto presto possa spendere tutti i suoi risparmi lì e rendere almeno un po’ più unicornoso (?) il suo angolo di dormitorio. L’idea di fare autografi per tutti i presenti la rende un po’ nervosa ma, niente di troppo eccessivo, quindi con un sorriso sussurra alla tassorosso «Non si possono mica rifiutare gli autografi» anche perché a saperlo, Nimbus non la prenderebbe di certo bene. Ma, bando alle ciance, eccola armeggiare con biscotti, saccapoche e grassa verde che, nonostante lei cerchi di distribuire in maniera lenta ed uniforme, riesce ugual mente a sporcarsi le mani e parte del tavolo da lavoro. «Gwen» si presenta ad EMMA, anche se dopo la presentazione di Peritas di poco prima le sembra quasi inutile. «Decorazioni di carta per un quadro?» chiede, curiosa di saperne di più, continuando a decorare il suo drago con la lingua in mezzo ai denti. È super concentrata adesso che si st dedicando alle ali del drago, cercando di renderle il più realistiche possibili. Concentrazione a parte, ascolta lo scambio di battute delle ragazze e sorride per i complimenti del concerto. «Grazie, davvero! Non pensavamo neanche minimamente che avremmo avuto un successo così grande eppure…»eppure adesso tutti la considerano famosa. L’idea di Emma le piace davvero ma davvero molto perciò, alzando lo sguardo dal suo drago, osserva la secondina con un sorriso annuendo. «Sai che hai avuto un’ottima idea?» e poi, rivolgendosi ai RAGAZZI che stanno preparando i muffin-unicorno «Ci prestate un po’ di panna?» con voce squillante, così da essere sentita da tutti. «Il verde per i serpeverde ce l’abbiamo» ed ecco il suo primo drago verde pronto e quindi spostato leggermente di lato affinché non si rovini. «Provo a farne uno col rosso» così da provare a vedere come le riesce con i colori della sua casa. Con una nuova saccapoche riempita di glassa rossa eccola riprendere il lavoro su un nuovo biscotto, sembrando questa volta più disinvolta nel lavoro. Ormai ci sta prendendo la mano e probabilmente alla fine del pomeriggio sarà una pasticciera provetta. Magari non una delle migliori ma sicuramente è già qualcosa per lei. «Sìììì dai! Qualche canzoncina nuova!!!» si rivolge entusiasta al resto dei ragazzi nella speranza che qualcuno decida di cantare. Eh sì, un pomeriggio davvero divertente! 13:32 28/10 Sophia_Maffett (Aula WWFFB scolastico | Domenica 28.10 | ore 16) Annuisce alle parole di GWEN con un sorriso comunque gentile e rispettoso che pure in tutta la sua gentilezza lascia ben intendere che ormai l’abbia considerata come “una superiore”. La corvetta all’opera si ritrova tutta china sul tavolo, la testolina a qualche centimetro dalla piuma e dal coltello che si muove nel fare la sagoma della penna di fenice, anche la linguetta compare spuntando tra le labbra della piccola segno che è veramente molto concentrata, solo quando avrà terminato di sagomare si solleverà guardando PERITAS ammirata e assolutamente entusiasta nel vedere che le dà corda sulla questione delle scintille, inizia quindi a mettersi all’opera andando pure verso la sua sacca per recuperare il colino, i dei barattoli in modo da colorare lo zucchero ma non troppo facendo appunto passare il colorante attraverso il colino insomma per lo meno questo è il tentativo numero uno, sorride e poi con fare un po’ ingenuo e infantile si rivolge alla SESTINA «e io che speravo di vederteli colorare con un incantesimo…» lei la butta là non si sa mai che possa vedere la strega in azione. Lo sguardo poi verso BEN, quando parla di JUNI e senza rendersene conto si intenerisce un poco sospirando, rimane così imbambolata per qualche istante fino a che PERI non spiega per bene le regole del WWFFB scolastico e del suo vice riportando la corvetta sul momento presente e nella realtà dell’istante e al suo lavoro. «Quindi salviamo anche i mostri marini?» le domanda con sincero interesse. Sorride quindi verso ADERYN «wow stai andando alla grande!» le dice quindi ammirando il suo operato «non abbiamo fretta sai, quindi puoi ritagliare con calma quello che conta è essere decisi è un po’ come disegnare con l’inchiostro» le dice quindi tranquillamente ma poi ecco che PERI esordisce con una bomba ossia cantare lavorando la piccola biondina rimane quasi di stucco, la bocca socchiusa a fissarla incredula e rimane bloccata quasi incantata per qualche istante «ti… prego…» le dice con un filo di voce emozionato «un giorno facciamo i compiti di pozioni insieme»davvero un po’ come se avesse appena avuto una visione mistica tanto che ha quasi il fiato corto «se ti va…» aggiunge poi guarda ADERYN che le è accanto un po’ come per avere conferma che tutto ciò stia succedendo davvero «è un mito» le dice quindi semplicemente con gli occhi sgranatissimi per poi sorridere verso la più grande «io in genere le invento sul momento secondo quel che faccio» le dice «esistono delle canzoncine che si possono imparare?» e quindi comunque si schiarisce un poco la voce «comunque non ho la stessa voce di Aurora eh…» previene prima di iniziare a canticchiare sul semplicissimo ritmo di un valzer «taglia qua, taglia qua ta-taglia qua è la penna di una fenice… Se tagli qua, fa un segno là e poi la metti là questa penna sarà felice…» sorride verso ADERYN «con calma-mà prendi la misu-ra-rà e la penna perfetta sarà!» intanto lavoricchia persino, eseguendo appunto l’operazione di taglio mentre la colorazione degli zuccherini si completa e quelli asciugano nel colino. 13:35 28/10 Aurora_Buchanan «Aula WWFFB | 28/10 | ore 16» Molto vivace a quel saluto del TASSOROSSO: «buon pomeriggio Sir Turner!» ridacchiando appena. Sorride ampiamente e di rimando a JUNIPER, «come state?» ad entrambi per poi, ovviamente, andare a farsi tutta rossa quando viene fatto quel cenno particolare con l’utilizzo di un particolare appellativo nei suoi confronti, tanto più che va a balbettare: «ehm,» e ridacchiare imbarazzata «sì, uhm, eh-eh» e nel mentre allontanarsi furtivamente in maniera del tutto ridicola per qualche ambigua ragione. Chissà. Trilla tutta contenta quando PERITAS le rivolge la parola per ringraziarla: «dovere!» ribatterebbe semplicemente verso di lei con un gran sorrisone. Una volta arrivata alla postazione che le appartiene, invece: «oh sì» risponderebbe alla domanda di GWEN: «la signora del quadro al primo piano lamentava di non avere una cornice adatta al suo rango» e ridacchia appena, annuendo sicura. «Piacere» risponde delicata nel tono e modesta nel volume di voce «io sono Aurora» appena più vivace e fresca, ciondolando il capo di qui e di là, piuttosto contenta verso EMMA. E sempre su di lei: «sìì, che bello!» davanti all’idea di fare i draghi con i colori delle casata: «allora questo lo faccio di Tassorosso mettendoci un po’ di glassa gialla» dato che aveva già cominciato con la saccapoche riempita di nero. Sorriderebbe al dire di SOPHIA e al complimento che le viene fatto: «oh, uhm, grazie» arrossendo tutta «ma anche tu sei brava!»rivela sincera prima di accordarsi a canticchiare con la ragazzina, a voce molto bassa. E così resterà per il pomeriggio a lavorare e canticchiare con gli altri componenti del club. 13:38 28/10 Juniper_Lisowski {Aula del WWFFB scolastico | Pomeriggio, ore 16} Ridacchia quando PERI concede loro un assaggio dei dolcetti per un controllo della qualità, una volta ultimato il tutto, e si lascia invece abbracciare poco dopo, anzi ricambierebbe pure l’abbraccio stritolando un po’ (?) la Tassorosso più grande «Grazie, grazie, modestamente…» modestissima proprio «…abbiamo unito utile e dilettevole per prendere due nobili cause con un barattolo!» se la ride da sola alla battutina a dire il vero un po’ triste, coff coff, poi torna al proprio lavoro, tutta presa. «Sì, Rainicorn! È a pochi minuti di passeggiata da casa mia, non è stupendo? Se vuoi ti ci accompagno!» anche se risponde a GWEN, un’occhiatina a RORY ci vuole, ovviamente. Il primo muffin/tutorial è andato e così passa al successivo, tornando a glassarlo partendo dal centro e poi salendo man mano con la spirale zuccherina che si stringe in una sorta di conetto «Awe, allora poi devi farmi vedere quel libro, sono sicura che è strafantastico e strabiliante, eh sì!, le creature magiche sono tutte eccezionali, non è vero?» trilla in risposta a RYN, sorrisone ampio ed entusiasta ad accenderle il visetto chiazzato di efelidi, nel mentre recupera ancora orecchiette e corno da apporre sul muffin e via. Quando poi PERI riprende la concasata, è ancora ad ADERYN che Juniper rivolge un cenno con la testa e un’occhiatina complice, il sorrisetto sulle labbra sta a significare che va tutto bene anche così. verso BEN il sorriso si fa ancora più ampio, incoraggiante nell’arricciare un po’ le guanciotte, sguardo sicurissimo tutto per il visetto del messicano: «Ma no Chapo, che cosa dici? È venuto fantastico, specialmente visto che è il primo che fai! Io ogni tanto anche a casa vedevo che cosa faceva papino, e poi Ade mi ha insegnato il resto, quindi parto avvantaggiata. Non abbatterti: serve sempre tanto tantissimo esercizio, per la glassa come per la lotta contro il male, quindi non demordere: determinazione, ecco che cosa serve! Hai dei limiti? Vai oltre!» PLUS ULTRA! «I churros sarebbero squisiti ma oggi si decora e basta, credo: i dolcetti che ci hanno dato sono già pronti, non è che li stiamo cucinando da zero, i churros invece adesso dovresti andare in cucina a farli» azzarda la risposta con una stretta di spalle e un’occhiatina cauta a BEN, quasi temesse che anche solo una risposta negativa possa sciuparlo. Dopo averlo incoraggiato, comunque, gli circonderebbe le spalle con le braccia per stritolare pure lui in un abbraccio, sì fugace ma bello stretto «Awe, grazie, che dolcioso che sei! Non preoccuparti, ora non ho ancora sufficiente esperienza per fare da vice, ma in futuro…» e già pensa a scalare la gerarchia nel WWFFB (?) «… Se me lo meriterò, magari… ma ora decoriamo dai, e non abbatterti: stai andando alla grande! Cerca solo di non stringere di più o di meno, prova a metterci sempre la stessa forza. Non è per niente facile all’inizio, lo so, ma ti assicuro che è solo questione di abitudine, insomma, l’hai vista la torta, no?» allude a quella del proprio compleanno, sorrisetto tronfio e «Dai, riprova: parti dal centro, poi verso i bordi, fai con calma ché la fretta non serve, d’accordo?» cercherebbe di indirizzarlo, annuisce pure quando anche PERI lo consola «Altroché se lo aiuterò! Sono qui per questo!» no, ma sorvoliamo. Ridacchia. E ancora alla domanda di GWEN drizza le orecchie e alza la testolina «Mh? Oh, sì sì, ma certo, prendete pure!» ma prima scambia un’occhiatina con i compagni decoratori, chiaramente, per assicurarsi che vada bene anche a loro, ecco. Andrebbe lei stessa a portare la panna da GWEN, sorridendo a lei, a RORY, a RYN, a PHIA, a tutti insomma, ché non si discrimina nessuno, qui «Ecco qua!» e trotterellerebbe di nuovo alla propria postazione, sguardo veloce per controllare come proceda da BEN e PAVEL. «Bene grazie, e tu?» ancora rivolta a RORY, di fronte al rossore altrui non può che sfuggirle un sorrisone intenerito. La lascia allontanarsi (per ora) e intanto, mentre recupera la sac-a-poche per continuare a glassare i muffin, canticchia a bassa voce la canzoncina improvvisata da PHIA, allegra e contenta. 13:42 28/10 Emma_Stansmith (Domenica 28/10, ore 16, aula del WWFFB scolastico) Un sorriso enorme le riempie il viso alla prospettiva dell’assaggio finale. Questo le dà una motivazione ancora più forte per fare del suo meglio, non che ce ne sia bisogno del resto! Con Cleo che monitora le mosse di tutti si concentra nel so compito rivolgendo qua e là sorrisi e sguardi felici nel sentire le proposte degli altri e nel vedere cosa stanno combinando con i loro compiti. «Grazie per l’approvazione, spero che così sarà più facile convincere gli altri a comprarli!» A ogni casata il suo colore! Nessuno si rifiuterà di comprare dei draghetti vestiti con i colori di appartenenza, o almeno lo spera! Con siringa e sac- a-poche fa del suo meglio per decorare i draghetti. «Se riesco cercherò di fargli un cravattino» dice, rivolta alle compagne, sorridendo per l’approvazione di GWEN. «Spero di essere più precisa possibile» aggiunge cercando di destreggiarsi con la siringa più piccola e riuscire a comporre ciò che ha in testa. Del resto non è facile disegnare i dettagli, occhi, bocca, ali e zampe. Spera che AURORA e GWEN siano più fortunate di lei. «E’ un bel modo di passare il pomeriggio no?» commenta entusiasta rivolgendosi alle due Grifondoro, mentre si avvicina a PERI per chiederle il colorante giallo. «Meglio se seguo il tuo consiglio, non voglio sprecare tutta la glassa e non lasciarne per gli altri, che ne dici se lo mischio a un po’ di panna per qualche biscotto Tassorosso?» chiede, aspettando un consiglio da parte sua, a maggior ragione per il fatto che sarebbero i biscotti della sua casata. In tutto ciò decorare biscotti e dolci favorisce un clima adatto alla socializzazione ed è per questo che si rivolge alle due compagne di gruppo «Quali sono i vostri animali preferiti?» dato che siamo in tema. Per poi rivolgersi nello specifico a GWEN «E’ bello che tra tutti i tuoi impegni…immagino che la band ti porti via molto tempo…tu faccia parte anche di questo gruppo. Deve essere proprio importante!» rivolgendole un sorriso ampio di ammirazione. Nel frattempo la “predica” di PERI le giunge alle orecchie, facendola riflettere su quanto sia importante e necessario il loro operato. «Bè immagino che allora una candidata a vice sarai tu, GWEN» commenta con un sorriso. Del resto è giusto così: l’importanza del loro gruppo necessita di persone con esperienza che sappiano coordinare bene i vari lavori e possano sensibilizzare il più possibile gli altri. «Cantare?! Non sono la persona adatta» ridacchia con la siringa della glassa in mano, in opera su un draghetto Corvonero, aspettando che qualcun altro prenda la palla al balzo per allietare il lavoro (o tormentare, non si può mai sapere!) che li terrà occupati per tutto il pomeriggio, fino a quando non sarà ora di salutarsi per la cena e cominciare a fare il conto alla rovescia per il prossimo incontro.
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𝑵𝒐𝒓𝒕𝒉𝒇𝒊𝒆𝒍𝒅, 𝑱𝒐𝒍𝒍𝒚 𝑮𝒚𝒎 - "𝑺𝒕𝒂𝒚 𝒂𝒘𝒂𝒚 𝒇𝒓𝒐𝒎 𝒉𝒆𝒓!"
L’ultimo mese è stato una vera e propria sfida per il rapporto di Edward e Josephine. Se in un primo momento quello restio ad aprirsi e a confidarsi poteva sembrare il ragazzo, ultimamente la situazione sembra essersi capovolta. Josephine non fa altro che allontanare Edward, ripetendo sia a lui che a sè stessa che va tutto alla grande ed evitando come la peste ogni conversazione più intima. Edward ha deciso di aspettare i tempi della ragazza e di non forzarla a confidarsi con lui, ma questa situazione con il passare dei giorni sta diventando sempre più ingestibile. Vorrebbe rendersi utile, non c’è cosa che desideri di più, eppure Josephine non se lo permette.
Per sfogare tutta la sua rabbia e frustrazione, che in prossimità della notte di luna piena non fanno altro che amplificarsi, Edward decide trascorrere il pomeriggio in palestra, approfittando del ticket giornaliero.
“Prima volta?”
Esclama un ragazzo moro, raggiungendo Edward ed aiutandolo a sistemare i pesi sul bilanciere. Edward rimane a guardare il giovane con un’espressione perplessa, non comprendendo che diavolo voglia da lui. Non è in vena di conversare. Non vuole risultare maleducato, ma vorrebbe metterlo ugualmente in chiaro.
«Grazie.»
Risponde Edward a testa bassa, senza rivolgere nemmeno uno sguardo al giovane che lo ha appena aiutato.
«Hey, amico. Giuro che non ci sto provando con te. Fa parte del mio lavoro… Insomma, chiedere se è la tua prima volta qui, aiutarti a preparare una scheda di allenamento, convincerti ad approfittare del nostro super allettante abbonamento mensile... »
Aggiunge il ragazzo lasciandosi sfuggire una risata. Sa bene quanto possa risultare sfiancante avere uno sconosciuto che osserva ogni tuo movimento alle calcagna, in attesa di manipolarti per bene in modo da convincerti ad andare più spesso in palestra. Odia risultare invadente, ma purtroppo fa parte del suo lavoro. Edward porta una mano alla fronte, maledicendosi per non esserci arrivato prima.
«Scusa… Ti sarò sembrato un maleducato!»
Esclama Edward poggiando una mano sulla spalla del ragazzo, tentando di rimediare alla presentazione sgarbata di poco prima.
«Ma che, figurati! So che molta gente vorrebbe allenarsi in santa pace senza nessuno in mezzo ai piedi... Io sono uno di quelli.»
«Grazie per l’aiuto… E sì, è la prima volta che mi alleno. Qui, intendo. Non nella vita.»
«Lieto di averti tra noi! Il mio nome è Ian e sono a tua disposizione!»
Esclama il ragazzo, porgendo la mano ad Edward. Ian… Quel nome gli suona piuttosto familiare, ma in un primo momento non capisce il perchè. Il biondo ricambia la stretta di mano, accennando qualcosa di simile ad un sorriso.
«Scusa la formalità… È il protocollo. Ma dico sul serio… Se hai bisogno di una mano con qualche attrezzo o semplicemente di qualche consiglio, mi trovi qui in giro.»
“Ian”, ecco dove lo aveva sentito. È lo stesso nome del famoso ragazzo che ha dato buca a Joey, giusto qualche settimana prima che lei ed Edward ricominciassero ad uscire. Edward rimane a fissare il ragazzo incuriosito, domandandosi per tutto il tempo se si tratti dello stesso Ian oppure no. Dopo qualche istante, si rende conto di non essersi ancora presentato a sua volta.
«Edward, io sono Edward. Piacere di conoscerti.»
Aggiunge con un cenno, non riuscendosi a togliere quell’idea dalla testa.
«Bene. Ci si vede Edward.»
Risponde Ian indietreggiando, incapace di sostenere una conversazione più consistente con un soggetto non particolarmente loquace. Edward rimane a scrutarlo ancora un po’, richiamando la sua attenzione poco prima che si allontanasse troppo.
«Conosci una certa Josephine?»
Domanda e basa, attanagliato dalla sua stessa curiosità. Un sorriso si fa strada nel viso di Ian non appena sente il ragazzo pronunciare quel nome.
«Joey? Certo che la conosco! Una forza della natura...»
Nell’ultimo periodo ha avuto l’occasione di conoscerla un po’ meglio e sì, non avrebbe potuto trovare parole migliori per descriverla. Quello che era nato come un semplice inconveniente del mestiere, si è trasformato in breve tempo in una sorta di amicizia e la cosa non potrebbe fargli più piacere.
«Già, lo è...»
Ripete Edward continuando a scrutarlo sospettoso. “Che faccia tosta”, pensa nel frattempo tra sè e sè. Dopo averla umiliata in quel modo ha pure il coraggio di parlarne come se la conoscesse davvero, come se fossero grandi amici.
«Scommetto che ti ha mandato lei!»
Aggiunge Ian additando il ragazzo con l’aria di uno che ha capito tutto.
«Come scusa?»
«Sei il suo coinquilino, giusto? Mi ha detto che sarebbe passato in settimana… Ha iniziato a prendere a pugni un sacco da boxe una volta a settimana ed ora crede di avere il potere di convincere tutti i suoi amici a vivere una vita più sana. È assurdo, non credi?»
Edward fissa il ragazzo completamente spaesato, cercando mentalmente di rimettere tutti i pezzi del puzzle al proprio posto.
«E quando te lo ha detto?»
«Non ne ho idea, amico. Forse qualche giorno fa... »
In seguito a quella confessione, Edward non ci vede più dalla rabbia. Non è mai stato un tipo particolarmente violento, o meglio non lo era prima che il gene della volpe non avesse la meglio su di lui e sul suo modo di pensare estremamente razionale. È da ormai undici anni che tenta di reprimere i suoi impulsi animaleschi, ma purtroppo non sempre questo gli riesce bene. Non significa che non sia un tipo geloso, lo è eccome. È solo che la volpe è in grado di rendere tutto quello che prova… più intenso. Quando ama, ama con tutto sé stesso, quando soffre, il mondo sembra crollargli addosso, quando è incazzato…
«Senti, perchè non le stai alla larga?»
Esplode all’improvviso, tirandogli uno spintone nel bel mezzo della sala attrezzi, di fronte a tutti i presenti. Ian resta per qualche secondo a fissarlo, incapace di realizzare subito che cosa sia successo.
«Ma che diavolo—? Che problema hai?»
«Che problema ho? Sei tu il mio problema, razza di idiota!»
Esclama guardandolo in cagnesco, come un animale che non aspetta altro che ricevere l’ennesima provocazione, giusto per avere una scusa per attaccare.
«Fammi indovinare… Sei il fidanzato?»
Edward grugnisce, facendo capire ad Ian che ci ha preso. Ian assume un’espressione accigliata, ma la sua indole da pacificatore lo spinge a mantenere la calma, sperando che il ragazzo faccia lo stesso. Non vuole certo dare spettacolo sul posto di lavoro.
«Non so quale assurda idea ti sia passata per la testa… Ma puoi tenertela. Dico sul sero, non sto cercando di portartela via o altro, intendevo dire che è una ragazza a posto, è simpatica. Tutto qui.»
Edward annuisce e fa un respiro profondo, tentando di mantenere la calma. Certo, Josephine gli ha nascosto il fatto che lei ed Ian si sentano ancora, ma probabilmente non c’è niente di più. Conosce bene la Cooper e sa che non potrebbe mai fare nulla di così… “meschino”.
«Forse dovrei andare...»
Risponde Edward, genuinamente mortificato dall’accaduto, dopo aver preso la sua borraccia e l’asciugamano.
«Già, vatti a fare un giro…»
Ripete Ian, ancora parecchio infastidito dalla vicenda, pronto a voltarsi e a proseguire per la sua strada.
«Razza di pallone gonfiato...»
Aggiunge borbottando tra sè e sè quando è abbastanza lontano da non essere sentito, ignaro del fatto che l’oscuro abbia un super udito e che quel commento non sia passato decisamente inosservato. Edward avanza a passo svelto verso il giovane e non appena questo si volta gli tira un bel gancio destro, prendendo Ian alla sprovvista.
«Sta lontano da lei!»
Ian incassa bene, e si rimette in piedi nel giro di qualche secondo. In altre circostanze avrebbe reagito, ma non ha intenzione di perdere il posto di lavoro per un coglione qualsiasi. Si avvicina pericolosamente al kitsune, guardandolo con aria di sfida, e poi lo dice e basta.
«Levati dal cazzo e non farti più vedere qui.»
Esclama con lo stesso tono pacato di qualche minuto prima, facendogli cenno di uscire. Mentre Edward segue il suo consiglio e abbandona l’edificio, una serie di domande attanagliano la mente di Ian. “Che diavolo è passato per la mente di quel tizio? E soprattutto, cosa ci vede Joey in un tipo come lui?”.
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Ma tu lo sai com’è stata la mia vita per mesi? Riesci a immaginarlo anche minimamente? Magari prova a sforzarti un po’.
Ti racconto la mia giornata tipo.
In realtà non avevo una vera e propria giornata, dato che dormivo tutto il tempo per evitare di vivere.
Quando mi svegliavo la mattina la prima cosa che facevo era piangere perchè non sapevo come affrontare un altro giorno, e prima di trovare la forza di alzarmi ci mettevo ore (contate) che passavo fissando il soffitto.
Poi se ce la facevo andavo a pranzare, altrimenti digiunavo, e così anche la sera.
Invece le notti le passavo in bianco.
Si chiama depressione, ed è una malattia.
Ah e praticavo l’autolesionismo. Oh sì, mi tagliavo, oh mio dio che schifo.
E sai perchè lo facevo? Perchè a volte mi sentivo così vuota e morta dentro che sentire dolore fisico e vedere il sangue sgorgare era l’unico modo per sapere se fossi ancora viva. E altre volte lo facevo per punirmi perchè mi odiavo fottutamente.
Per un periodo li ho nascosti con braccialetti e correttore, ma a un certo punto ho smesso di farlo e mi sono accorta che nessuno se ne fregava niente.
Quando uscivo con te non li ho mai coperti. E mi sembra difficile che tu non li abbia mai notati, visto che erano rossi e su tutto il braccio. A volte quasi mettevo il braccio sotto al tuo naso per vedere la tua reazione.
Mi hai mai chiesto cosa fossero quei segni? Mi hai mai chiesto qualcosa a riguardo? No, non l’hai fatto.
Forse ricorderai che giravo spesso in jeans neri e maglie lunghe e nere sotto al cole cocente, beh perchè odiavo anche il mio corpo.
Stavo così male che non uscivo di casa per settimane, non mi lavavo per settimane, mi trascuravo ai limiti del pensabile.
Ma quando vuoi morire e non ti alzi dal letto neanche per mangiare, perchè dovresti farlo per lavarti i denti e i capelli?
E stavo così male che avevo paura di uscire, ti rendi conto? Avevo paura che la gente mi guardasse, avevo paura di tutto.
Sai anche che io stessa ho provato a uccidermi? Era un pensiero fisso, dalla mattina alla sera. E per tre volte sono stata sul punto di farlo. Se non l’ho fatto è stato solo perchè un momento prima di ingerire quelle pillole ho pensato a quando mi avrebbero trovata morta i miei genitori, quando l’avresti saputo tu. Mi importava solo di quello, non mi importava di morire.
Ma non l’ho fatto e ho scelto la strada difficile.
Ho deciso di iniziare a parlare con una sconosciuta per un’ora a settimana, di raccontarle la mia vita.
Io, una col mutismo selettivo, puoi immaginare che fatica abbia fatto?
Ma ho deciso di andarci, anche se dovevo fare mezz’ora di strada sotto al sole con i vestiti pesanti. A volte trovavo scuse per non andarci perchè non volevo uscire di casa, però ci andavo. Ce l’ho fatta seguendo gli obiettivi che lei mi dava, sudando e piangendo. E’ stata la fatica più grande della mia vita.
Ma ce l’ho fatta, sono viva.
Completamente da sola, ma ce l’ho fatta.
Non ce l’ho fatta grazie a te e grazie a nessuno.
Sai che significa rialzarsi da una cosa del genere con le proprie forze?
Ma alla fine ne sono felice perchè ora sono più forte che mai e continuo a rialzarmi da sola ogni volta che sto male.
Dov’eri tu? Dov’eri quando piangevo da sola in un angolo di una stanza buia? Dov’eri quando tiravo pugni ai muri? Dov’eri quando stringevo una lametta e non la tua mano? No, tu non c’eri, tu non ci sei mai stata. Ed ero proprio lì, di fronte a te.
E tu vieni a dirmi che non sai quanta forza ci voglia per restare forti e resistere alle tentazioni di farsi del male?
Scusami ma qui mi scappa il vaffanculo.
Sei tu a non sapere quanta forza ci voglia per uscire dal girone dell’autolesionismo, non sai quante volte ho preso la lametta in preda alla disperazione e con quanta fatica io l’abbia messa da parte, dopo mesi che mi ero abituata a farlo continuamente, come una droga.
Non venirmi a dire che non lo so.
No, sei tu che non lo sai.
Non ho per nulla un carattere facile, tutto il contrario. Non parlo di ciò che vivo, ma perchè non ci riesco, non perchè io non voglia. Ho tante di quelle voci nella mia testa, ma rimangono lì dove sono e la bocca diventa una prigione chiusa con doppia serratura. Molte volte è difficile intuire che io stia male, perchè non dico nulla e spesso rido per non essere scoperta. Ma solo perchè non piango e non mi sfogo come fai tu, non significa che io non stia male.
Ma tu mi hai vista stare male, oh sì mi hai vista. Ma hai scelto la via comoda, non chiedere nulla e lasciarmi lì, da sola.
Non mi hai mai capita veramente.
Mi hai lasciata sola.
E dov’eri tu?
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⁖ ♡ Sophia & Josh @ Sala Comune di Grifondoro / 19 Febbraio –– pt. 2
( ... ) s’è smossa dal suo letargo, dopo l’ultimo messaggio, per infilarsi un maglioncino da sopra i pantaloncini ed il reggiseno. Niente di più. Con i capelli lasciati sciolti sulle spalle e senza trucco lascia il proprio Dormitorio, insolitamente — e non è sorpresa quando trova già Josh su di un divano. Si limita a sederglisi accanto. ‹ Quindi? Hai portato almeno gli anelli? ›
Lui vive indossando tute praticamente ogni volta che può – sempre firmate, anche se, in questo caso, non ha intenzione di ostentare alcunché. Quando Sophia gli si siede accanto, Josh usa la bacchetta per trasfigurare il bicchiere d’acqua sul tavolino in un paio di manette. Le porge alla ragazza, dicendo: «Così gli anelli possono essere usati con fantasia!»
Non che Sophia non lo sappia, che quelle non sono semplici tute: riconosce i capi griffati ad un miglio di distanza. Il suo stesso “ semplice “ maglioncino è comunque firmato Chanel. E quindi ( ... ). Però per stavolta non ci fa neanche caso, ha indossato la prima cosa morbida e larga che ha trovato, e ne è felice — perché piega le gambe di lato in modo semplice. L’osserva con interesse, per cercar di capire cosa voglia fare, e poi ride. ‹ Avrei dovuto aspettarmelo. › e se le prende pure, le manette, facendosele roteare su un dito. ‹ Allora? Come mai sei incazzato? ›
Come mai è incazzato? Per tutto. Tutto, tutto, tutto. Dai motivi più futili a quelli più profondi e inammissibili. Ma la rabbia è qualcosa che può ammettere, a differenza della tristezza. Perciò ora scrolla le spalle e risponde: «Non mancano mai le ragioni per cui incazzarsi! Tu non sei incazzata? Perché dovresti!» Che senso ha quel che ha detto? Per lui ne ha, okay.
Lei non è incazzata, è delusa. Però questo non lo specifica. Si limita ad aggrottare giusto un po’ la fronte, prima di strisciare sul divano per ritrovarsi più vicino a lui, piegando il capo in modo da arrivare a posarglielo su di una spalla. ‹ La vita è proprio una merda. › si limita a dire. Proprio / saggia /.
Gli piace la rabbia perché lo rende più forte. La delusione, invece, rende debole, esposto, vulnerabile, e lui, incapace di tollerarla, ha appreso come trasformarla in ira, come non renderla più un sentimento passivo. «Hey, hey, hey!» Si ritrova subito a dire, allontanandosi da lei solo per posare due dita sotto il suo mento e sollevarle il viso. A testa alta! «Se la vita è una merda la si prende a pugni, non si lascia che ci prenda a pugni!» Josh Russell ha appena detto una cosa intelligente? Dio, dev’essere grave... «Adesso facciamo una cosa. Tu mi dici quello che rende la vita una merda e dai un pugno...» Si toglie il cuscino da dietro la schiena. «...qui.»
A contrario, Sophia la rabbia la detesta; la detesta perché la rende irrequieta, irrefrenabile, violenta. La delusione, la tristezza... sono sentimenti con cui ha imparato a convivere, nel corso degli anni, che per quanto possano farle male al cuore riesce più o meno a gestire — nonostante ne sia vittima. Anche adesso, che lascia vagare lo sguardo chiaro nel vuoto prima di riportarlo sull’altro non appena sente la pressione di quelle dita sotto il mento. E non se lo aspettava. Non da Josh, almeno, tanto che sgrana un attimo gli occhi per la sorpresa, perché... insomma, quello che ha detto / ha senso /. Solo che Sophia è abituata a farsi “ prendere a pugni “! ‹ La vita fa schifo per così tante cose che potrei renderlo una pappina, quel cuscino. E pure la tua schiena. Non voglio farti male! › seria, adesso, perché / vabbè /: l’ultima volta che ha dato un pugno è stato qualche settimana prima, dritto sulla faccia di Selene e poi sul pavimento, ma ne sente ancora il formicolio nelle ossa.
Rotea gli occhi in modo plateale, benché con un certo divertimento che si manifesta nel suo sorriso. «Esagerata!» Esclama. Conoscendosi, poi, sa che se Sophia rifiutasse il gioco sarebbe arrabbiato anche per quello. Già, ha davvero, davvero bisogno di sfogarsi... insomma, gli ci vorrebbero a lui, i pugni nel cuscino! «Mi sottovaluti. Resisto benissimo, io! E pure questo mi sembra fatto con ottima stoffa.» ...Visto? Non ha già più senso quello che dice, forse.
Sophia a questo punto inarca un sopracciglio, scrutando l’altro dritto in volto per un / lunghissimo / lasso di tempo, prima di decidersi a parlare nuovamente. ‹ Okay, allora facciamo che ci sto — ma solo se poi dopo facciamo a cambio. › Perché insomma, non ci vuole mica un genio a capire che l’altro abbia / davvero / bisogno di sfogarsi! E se può aiutare... perché non dovrebbe farlo?
Sophia lo prende in contropiede perché... non aveva preso in considerazione, prima, di fare lui stesso ciò che ha proposto. Poi, però, si dice che non sarà un problema: non rivelerà chissà cosa, no? «Facciamo che ci sto anch’io!» Esclama. «Ma inizi tu!»
‹ Okay, d'accordo! › e si sistema meglio a sedere sul divano, con gli occhi rivolti a nulla e la fronte aggrottata –– nel tentativo di ricordare i maggiori motivi per cui la vita fa schifo. Quelli che può rivelare, almeno. ‹ Mio fratello ha lasciato Hogwarts. Mia madre continua a trattarmi come se fossi scema. Questa scuola è una merda, tranne che per poche persone. › ad ogni frase un pugno, e solo alla fine si tira indietro con un sospiro. ‹ Okay, tocca a te. ›
Regge con entrambe le mani il cuscino, lasciando che l’impatto di ogni colpo ne sia attutito. Ascolta, è naturale, ma è deciso a non commentare le tre affermazioni di Sophia: quel gioco è per uno sfogo, non per un giudizio. Non li sopporta proprio più, i giudizi, dato che ne dà già abbastanza a se stesso. Dopo aver passato il cuscino alla ragazza, allora, parla, pur non rivelando quel che non può esserlo: «Sono troppo stupido.» Un pugno. «Mio fratello è sempre meglio di me.» Un pugno. «Non passerò i G.U.F.O.» Un pugno. Non ha finito. «I miei mi ritireranno da Hogwarts.» Adesso ha finito. Sospira. Si sente più leggero, anche se è consapevole che non basta questo a far passare la rabbia.
Anche lei ascolta in silenzio, e solo poco dopo si porta il cuscino sotto il viso, rannicchiando le gambe al petto e stringendoselo contro. ‹ Non sei stupido. › si limita a dire, scrollando appena un po' le spalle, e sulla questione del fratello neanche ci mette bocca –– perché in un certo senso riesce a capire cosa intenda, cosa provi. Resta in silenzio ancora un po', il cuore che batte lentissimo. ‹ Magari possiamo fuggire prima che ti ritirino. › con un sorriso un po' vago, per smorzare la tensione.
«Tranquilla, non c’è bisogno che provi a consolarmi.» Ecco. Ecco come reagisce Josh a delle parole gentili. È che non ci crede, in effetti, che Sophia, o chiunque altro, possa non ritenerlo stupido –– secondo lui... lo è, e lo è in modo oggettivo, qualsiasi cosa questo voglia dire. Poi, però, si rilassa, appoggiandosi con la schiena al divano e puntando lo sguardo sul soffitto. «Quindi... Los Angeles. E poi? Seconda tappa?»
Aggrotta solo un attimo la fronte, lei, perché... ‹ Non sto provando a consolarti. Sono onesta. › con tanto di scrollatina di spalle, perché a dire la verità a lei Josh non l'è mai sembrato stupido. Solo che non aggiunge niente, perché lo sa bene com'è quando si è convinti di qualcosa e non v'è niente che possa farti cambiare idea. Quindi si limita a distendersi sul divano, posando il capo sul bracciolo e allungando una mano per tirarlo accanto a sé. ‹ Los Angeles, New York. Sai dove non sono mai andata? In Messico! ›
La tristezza si trasforma in rabbia o in battutine, a seconda dei giorni, a seconda dell’umore, a seconda della circostanza. Adesso, per esempio, dopo aver seguito la richiesta muta della ragazza ed essersi disteso accanto a lei, se ne esce con un sorriso velato di un’ombra e con un «Guarda che se ci mettiamo in questa posizione potrei non riuscire a controllare certe reazioni naturali». Frase che... vabbè... sapendo che l’unico modo in cui ha un’erezione con una ragazza è chiudendo gli occhi e pensando ad altro... fa ridere davvero, per non mettersi le mani tra i capelli... ma non lo sa nessuno e, dunque, si spera che faccia ridere lo stesso. «Messico! Non sono sicuro di vedertici, coi baffi e il sombrero!»
Sophia è abituata, a questo tipo di battute –– perciò rotea appena gli occhi al cielo, solo che... ecco, è una / battuta /. Si sente. Ed il modo in cui l'altro sorride, quasi indeciso, con quell'ombra che non lo rende autentico al cento percento, un po' le dà da pensare. Certo, non immagina il motivo reale che si cela dietro quello stato d'animo, però... ‹ Sono più che certa che saprai come contenerti! › ironica anche lei, ovviamente, mentre posa la guancia sulla sua spalla. Vabbè. Si mette a ridere solo una volta che ode le sue prossime parole, fingendosi indignata. ‹ Tu dici? Mah. Secondo me invece sarei bellissima. Potrei fare le treccine ai baffi come Jack Sparrow. ›
Esagera la maggior parte del tempo, Josh. È che, capirete bene, quando qualcosa non viene naturale e ci si costruisce una maschera, non è semplice evitare di creare una caricatura. Se è vero che l’ironia e i riferimenti sessuali sono allineati con la sua personalità, dunque, è anche vero che di frequente ne dice a dismisura per alimentare quella sua immagine da ragazzino in preda agli ormoni e attratto da qualsiasi ragazza esistente. «Naaah! Per carità! Vuoi mettere in versione Elizabeth Swann stretta in un corpetto? Quella sì che è tanta roba!»
Non è l’unico a vivere di apparenze, Josh, ché anche Sophia vi è abituata — e d’altronde a vivere in una famiglia come la sua non potrebbe essere diverso. Solo di recente ha lasciato ricadere la maschera, e non completamente: è difficile lasciarsi andare quando credi la tua mente sia malata. No? Però con Josh riesce ad essere più se stessa, con le spalle un po’ più rilassate nonostante il dolore e nessun cipiglio costantemente divertito dipinto sulla faccia. ‹ Non so, ho i miei dubbi al riguardo— › mentre si volta per guardarlo in viso, un sopracciglio appena inarcato. ‹ Secondo me i corpetti sono sopravvalutati. ›
❪ CONCLUSA ❫
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AU dove John e Sherlock frequentano lo stesso liceo; John gioca a football e Sherlock passa i pomeriggi nel laboratorio di chimica. O per meglio dire, AU dove l'infermeria è chiusa, John è ferito e Sherlock si improvvisa un dottore.
Okay prima di tutto TI ODIO I TUOI PROMPT SONO SEMPRE BELLISSIMI E IO SONO UNA CIOFECA NON SON DEGNA. Ma a parte questo. Dato che mi sono iscritta giusto stasera a un esame, è Cosa Buona e Giusta continuare la tradizione della fic al giorno!!! E dato che è San Scemino (o almeno lo era quando ho iniziato a scrivere), suppongo non ci sia niente di più appropriato di un po’ di sane patate sceme che miscommunicano sempre e per sempre. Purtroppo non sono al 100% sicura di aver centrato il prompt, ma spero sia comunque leggibile!!! Also non sono fisicamente in grado di rileggerla perché sono le due e mezza del mattino (diciamo le quattro meno dieci) quiiiiiindi magari la rileggerò domattina/pomeriggio per correggere eventuali (inevitabili) errori.
Sherlock sospira.
Finalmente, pace. Niente studenti chiassosi. Niente professori irritanti. Solo lui, i microscopi, e i suoi esperimenti. Da quando Kyle Il Custode gli ha generosamente consegnato le chiavi del laboratorio di chimica -a patto che smettesse di “ficcare il naso negli affari altrui, specie nei miei” ed evitasse di fare esperimenti troppo pericolosi- Sherlock ha trovato una motivazione valida per sottoporsi a quella tortura nota come istruzione pubblica obbligatoria. (Una in più, gli ricorda una voce melliflua. Mycroft, persino nella sua stessa testa. Terribile, davvero.)La scuola non è tecnicamente chiusa, per il momento: ci sono ancora i collaboratori scolastici -non Anderson, fortunatamente- alle prese con le pulizie, e la squadra di football ha gli allenamenti tutti i martedì pomeriggio fino a tardi. Non che lui sappia gli orari degli allenamenti di football. O cose del genere.
Tempo di mettersi a lavoro, pensa, e tira fuori dallo zaino i campioni di terreno che ha raccolto negli ultimi mesi.
Ha tempo di lavorare per mezz’ora, quando inizia a sentire dei passi. Sono passi familiari, e si ritrova a sorridere involontariamente.
Alla fine, è venuto davvero.
Gli basta un attimo per rendersi conto dell’errore: i passi sono… strani. Più lenti del solito, per quanto appartengano a lui, e sono seguiti da quelli di qualcun altro. Camminata svelta, ma pesante. Si avvicinano, e Sherlock non è mai stato abituato a reprimere la propria curiosità, perciò non sente la minima remora nell’avvicinarsi alla porta chiusa per sentire meglio.
“Ti fa ancora molto male?” domanda la persona dai passi sconosciuti. Mike Stamford, ovviamente. Avrebbe dovuto capirlo subito.
“Nah, è solo un graffio” ribatte lui. John Watson. John.
Dio, sembra una dodicenne.
“Mi sentirò meglio quando sarà disinfettato” ribatte Mike, con quel tono che solitamente usa quando sta convincendo Sherlock a fargli pagare i caffè. E’ un tipo strano, Mike Stamford.
I passi continuano per qualche metro, poi si fermano di botto. Un rumore sordo, come di una testa che sbatte contro la porta -conoscendolo, quella di John. “Non posso crederci. Non la chiudono mai” afferma Mike, confuso.
Il sospiro di John si potrebbe sentire anche a chilometri di distanza.
“Potremmo… potremmo provare il laboratorio di chimica, dovrebbe esserci un kit di emergenza” dice John, dopo qualche minuto di silenzio. E’ stranamente esitante, le parole slegate le une dalle altre, come se stesse proponendo di fare una camminata sui carboni ardenti.
Non riesce a fare a meno di pensare che la riluttanza di John sia in qualche modo dovuta a lui. Il pensiero è stranamente simile a un pugno nello stomaco.
“-be essere chiuso?” chiede Mike. Sherlock lo sente a malapena.
“Sherlock mi aveva detto che sarebbe stato qui. Ha le chiavi del laboratorio, o qualcosa del genere. Voleva studiare le caratteristiche dei terreni di diverse parti di Londra, probabilmente sarà così preso che nemmeno si accorgerà della nostra presenza.”
Giusto. I campioni. Meglio sembrare impegnato, se è questo che John vuole.
John e Mike non bussano nemmeno, ma se non altro hanno la decenza di non fare troppo rumore nell’entrare. Salutano entrambi. “John si è fatto male durante l’allenamento, stiamo cercando un po’ di disinfettante e delle garze” lo informa Mike. Lui scrolla le spalle, senza alzare il capo, cercando di sembrare immensamente interessato a ciò che vede al microscopio. John, in piedi davanti alla porta, sussurra un “Vedi? Troppo impegnato per darci retta” appena udibile. Mentre Mike cerca rumorosamente tra gli armadietti del laboratorio, John gli si avvicina con finta nonchalance. “Quella terra è davvero così interessante?” gli fa, un evidente sorriso nella voce. La sua mano, in una mossa studiatamente casuale, si poggia sulla schiena di Sherlock.
Fino a qualche secondo fa sembrava che trovarsi nella stessa stanza con lui sembrava una terribile tortura, e ora- questo?
“Già” risponde, rigido.
John sembra ricevere il messaggio, perché toglie la mano immediatamente, come scottato.
Mike continua a frugare, in uno sbattere di ante e tintinnio di beaker. “Sherlock, per caso sai-?”
Senza una parola, Sherlock si alza, apre l’ultimo cassetto della cattedra e tira fuori la valigetta del primo soccorso. La abbandona sulla cattedra facendola sbattere, per buona misura.
“Almeno cercate di fare silenzio, vorrei lavorare” dice, prima di tornare al suo microscopio. Se evita di guardare John, non è volontario.
“In realtà, è già tardi… ci sono… i miei… che mi aspettano. Sì, già, sono venuti a prendermi in macchina dopo gli allenamenti, quindi…” Sherlock non ha bisogno di guardarlo per sapere che si sta torcendo le mani, i sensi di colpa che già lo divorano per quella bugia. “Pensi di farcela?” chiede a John, poi, stavolta sinceramente preoccupato.
John annuisce.
“Beh, quindi… devo andare. Ci vediamo domani, giusto?”
Sherlock scrolla le spalle. Sente John salutare. La porta si chiude di scatto.
John sbuffa. “Ti chiederei che ho fatto per meritare il trattamento del silenzio, ma tanto non risponderesti comunque, giusto?” gli dice, mentre lentamente si avvicina alla cattedra. Sherlock, nonostante la rabbia e la continua sensazione di essere stato preso a pugni alla bocca dello stomaco, non può impedirsi di osservarlo, da sopra gli oculari: il profilo concentrato mentre cerca ciò che gli serve nella cassetta, la schiena dritta, le spalle tese, la fronte corrugata da quelle che devono essere fitte di dolore che fino a poco prima si era premurato di nascondere. L’idiota.
Lo guarda sedersi sulla sedia dell’insegnante, un piede sopra la cattedra, mentre cerca di applicare il disinfettante su quella che sembra una ferita, per quanto non molto profonda, piuttosto sporca ed estesa sul polpaccio destro. Sherlock sa già che è improbabile che riesca nell’impresa, ma dopotutto, non è affar suo. Concentrati, si dice, riportando lo sguardo sugli oculari. Ma non basta: in dieci minuti, John riesce a nominare in modo molto poco appropriato molti più santi di quelli che Sherlock abbia mai conosciuto e far cadere la bottiglia di disinfettante ogni venti secondi circa.
Misure drastiche, dunque.
Si rialza dalla sua postazione in uno sbuffo, facendo stridere la sedia contro il pavimento; lo sguardo di John è immediatamente su di lui, una sensazione percepibile fisicamente come i raggi solari sulla pelle, ma lui non ricambia, fissando ostentatamente la bottiglia di disinfettante mentre si avvicina.
“Faccio io” afferma. Si sente come fatto di legno, incapace di fare movimenti complessi e fluidi. Le emozioni lo rallentano: eccone la prova. I sentimenti non sono un vantaggio. Inizia a pulire la ferita con la cautela che riserva solo alle più complicate reazioni chimiche, ma John sibila comunque dal dolore nel momento in cui il disinfettante tocca la porzione di pelle lacerata. Lui non può impedirsi una smorfia. La sola idea di far male a John è intollerabile.
“Se ti do tanto fastidio, posso anche andare da qualche altra parte a disinfettarmi. Capisco che ‘gli esperimenti vengono prima di tutto’, ma non credevo di essere così tremendo.”
“Non essere ipocrita, sei tu il primo che non voleva venire qui” risponde, e vorrebbe immediatamente ritirare tutto; non si è mai esposto così, non con un’altra persona, e l’idea lo terrorizza più di quanto pensasse. Non ha il coraggio di guardare John in faccia mentre realizza che stava ascoltando l’intera conversazione, perciò si concentra sulla ferita, sull’eliminare i detriti dai tagli.
“Io non- non intendevo quello!” protesta. Sherlock solleva un sopracciglio, scettico. “Sì, okay, non volevo venire qui con Mike, ma- è perché non volevo venire qui con Mike. Se fossi stato da solo…” lascia in sospeso la frase, una mano che si va a grattare il collo con imbarazzo, ma non ha bisogno di continuare. Sherlock ricorda bene cosa è successo negli ultimi tre giorni in cui sono rimasti soli.
“Mike è un conoscente di entrambi, non capisco dove sia il problema” replica, forse premendo un po’ troppo forte il cotone sulla ferita. Con le spalle incurvate e lo sguardo basso, si sente di nuovo un bambino di cinque anni rifiutato dai compagni di scuola. Una sensazione odiosa.
Stavolta, John sospira e, con due dita, gli solleva il mento per guardarlo in faccia. E’ paonazzo, e la sua mano libera è stretta in un pugno tanto forte che le nocche sono bianche, ma lo fissa deliberatamente negli occhi. “Sherlock, non stai capendo. Non è perché sono imbarazzato da… questo. E’ che- non so come comportarmi davanti agli altri, okay? Non so cosa va bene e cosa no e cosa ti piace e cosa no e quindi avrei preferito vederti prima da solo, ecco” spiega, tutto d’un fiato. Una volta finito di confessare, abbassa lo sguardo e toglie le dita dal mento di Sherlock.
John non è abituato a parlare di cose importanti. (E’, probabilmente, il motivo per cui ci sono voluti mesi di sguardi e di frasi a metà perché si baciassero nel macinino di seconda mano di John.) Diventa rosso e si blocca dopo due parole e si arrabbia con se stesso e col mondo, che non sa decifrare i suoi messaggi in codice. Sherlock, tutto questo, lo sa. Ed è proprio perché lo sa che riesce a capire l’importanza del discorso, e il dolore allo stomaco si allevia.
“Quindi… non volevi evitarmi?” chiede, senza pensare.
“Stamattina ho promesso che saremmo tornati a casa insieme, no?” risponde immediatamente. “Non è esattamente il comportamento di qualcuno che ti vuole evitare. E’ che- quando c’è Mike, o Molly, o Greg… non so se posso fare certe… cose. Se ti vanno.”
“Cose?”
John si morde l’interno della guancia, in un mal riuscito tentativo di non sorridere. Gli posa una mano sul viso, accarezzandogli la guancia con pollice in un ritmo languido; l’altra, la poggia su quella di Sherlock, ancora sul suo polpaccio. Strizza appena gli occhi quando la pressione combinata delle loro mani preme il cotone un po’ più forte sulla ferita. “Cose” gli sussurra.
Oh. Cose.
Probabilmente la sua espressione è indicativa dell’epifania appena avvenuta, perché John stavolta si lascia andare a un sorriso. “Quindi?” chiede.
Sherlock sbatte le palpebre una decina di volte, troppo distratto da quel sorriso e dalle mani di John per poter far mente locale su quale fosse la domanda. Impiega immensi minuti (ad occhi chiusi, per evitare che il suo sguardo lo distragga ancora di più) per riprendere il filo del discorso. Quando riesce nel suo intento, riapre gli occhi, e si avvicina abbastanza perché le loro fronti si tocchino. “Pensavo fosse ovvio” mormora. Strofina la punta del naso con quella di John, lentamente. “Qualsiasi cosa. Puoi, possiamo, fare qualsiasi cosa tu voglia. Va bene. Va tutto bene.”
Il sorriso che fa John prima di baciarlo potrebbe oscurare il sole.
#teenlock#bbc sherlock#bbc johnlock#miscommunication#developing relationship#le cose che rita fa prima degli esami#non chiedetemi che cazzo è sta fic è una rollercoaster di cazzate madò#domani mattina ci sarà da ridere quando la rileggerò ah ah aha#@frà perdonami il tuo prompt non meritava questo
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“La vita è un’arena per gladiatori dell’anima”. Il capolavoro di Norman Mailer, “Il nudo e il morto”
Il capolavoro – a volte accade così – nacque, innocentemente, nella menzogna. Norman si chiamava, in verità, Nachem Malech, nato nel New Jersey, classe 1923, da famiglia ebraica. Edotto a Harvard, Norman Mailer voleva divorare la vita: a vent’anni impalmò Beatrice Silverman, la prima delle sei mogli – che gli diedero nove figli – s’era convinto di diventare il più grande autore americano di ogni tempo, non voleva andare in guerra. Fallì entrambe le intenzioni – ma il tentativo fu più clamoroso dell’esito.
*
Voglio dire. Norman Mailer fu un uomo di mondo, del suo tempo. Fu impegnato – tra l’altro, per i Democratici si candidò a sindaco di New York –, mondano, inappagato seduttore (la sua biografia di Marilyn Monroe adombra una ambrata relazione). Girò una manciata di film, collaborò con Sergio Leone, scrisse di tutto, anche poesie. Doveva essere insopportabile e divertentissimo – pensava che lo scrittore potesse aggiogare la Storia alle sue voglie. In effetti, all’epoca i suoi libri fecero storia – The White Negro, Le armate della notte, Il parco dei cervi, Un sogno americano – poi la storia passa, va, come carta velina, e ora Norman Mailer – andato in altri mondi nel 2007 – sembra uno splendido oggetto di antiquariato, una tigre di bronzo. Non riuscì a diventare il più grande scrittore americano di ogni tempo. Neanche il più grande del suo tempo – se contiamo Saul Bellow, Flannery O’Connor, Philip Roth, Truman Capote… Lo obbligarono a imbarcarsi verso le Filippine, durante la Seconda guerra. Leggete The Fight, il reportage del 1975 sull’incontro tra Muhammad Ali e George Foreman a Kinshasa, ma il suo libro più bello, Mailer lo ha scritto in guerra, aveva 24 anni, fu un bestseller.
*
La guerra, in quel grumo di mondo, si può dire in due modi, dissonanti. Il primo è narrare dei fatti il fango, il concreto cordoglio. Penso al film in forma di dittico di Clint Eastwood, Lettere da Iwo Jima e Flags of Our Fathers (2006), che racconta il fronte da sguardo americano e nipponico. Oppure, va narrato il groviglio dei ricordi, le macerie sentimentali, l’attesa sonnambula, come ha fatto Terrence Malick in La sottile linea rossa. Detto altrimenti, Il nudo e il morto, esordio tra i più clamorosi e benedetti della letteratura, è un libro turgido e imperfetto, ingenuo e intrepido, enciclopedico (oltre 800 pagine). Tradizionale. Norman Mailer ha collezionato premi – compreso un Pulitzer nel 1969 –, non riusciva a vivere scevro dalla polemica, aveva un carnale bisogno di nemici. Nessun altro libro fu portentoso quanto il primo. Nulla da spartire, comunque, con i più grandi libri di guerra scritti in Italia, Il partigiano Johnny (sia lode a Fenoglio) e Kaputt (sua enormità Malaparte).
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Il romanzo, per energia, tensione ‘popolare’ e una certa crudezza, ebbe, appunto, un successo planetario. Stampato da Rinehart & Company nel 1948, atterrò in Italia due anni dopo, per Garzanti, traduce Bruno Tasso. Il romanzo tornò – stessa traduzione – per Baldini & Castoldi, nel 1998. Chiara Stangalino ha curato una nuova traduzione per Einaudi, nel 2009, che è la stessa ripresa ora da La Nave di Teseo (i libri risultano entrambi in commercio). Tra i romanzi di Mailer, nonostante i tentativi dell’autore di minimizzarlo (“In molte sue parti il libro è stato scritto in modo trasandato”; leggi sotto), è quello che avuto la considerazione più alta. Fu Gore Vidal – noto antagonista di Mailer – a svelarne il carattere astratto, refrattario al sangue, alla verità: “La mia prima reazione dopo averlo letto: è un fake, un falso. Un falso intelligente, per carità, mirabilmente eseguito. Non ho cambiato opinione… ogni volta che procedevo nella narrazione scoprivo una serie di trucchi, personaggi prevedibili estratti, più che dalla vita vera, dai romanzi che avevamo letto”. Una parte di verità c’è: Mailer rinnova il romanzo ottocentesco nella melma filippina.
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Doveva sentirsi sempre sotto attacco, offeso, nudo. Questa è la droga. Sempre nel rischio di vedersi sorpreso alle spalle, preso per le palle, sotto tiro, Mailer. Faceva a pugni con l’aria, satura di ovazioni, all’altare preferiva la tribuna, al dio sostituì un manifesto con il suo faccione dallo sguardo scaltro, un po’ lubrico. Un satiro a New York, Norman Mailer. Dal suo libro fu munto un film, nel 1958, diretto da Raoul Walsh, non un capolavoro. Nel cast, per la gioia di Mailer, spiccavano Lily St. Cyr, spogliarellista di grido, e la bellissima Barbara Nichols.
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Nella giustificazione, scritta per festeggiare i primi cinquant’anni dall’uscita del romanzo, Norman Mailer ammise di essere stato influenzato da Lev Tolstoj. Anche quello era un desiderio delirante, bellissimo: essere il Tolstoj del proprio tempo. Mailer dice, in particolare, di essersi ispirato ad Anna Karenina. Si alzava la mattina e prima di scrivere leggeva brani da Anna Karenina, per orientare la propria lingua. Curioso. Il libro dell’amore totale, del tradimento, della passione e della compassione, della guerra dei sensi e dei sotterfugi, per scrivere la guerra degli uomini, l’orrore. Il romanzo femminile per narrare le pistolettate tra maschi. Piuttosto, nel romanzo di Norman Mailer pare agitarsi lo spettro di Dostoevskij. Qui, quando Martinez ammazza un soldato giapponese, ad esempio. “Senza far rumore, quasi con calma, piantò la punta del coltello tra la gola e la spalla del soldato e spinse con tutte le sue forze. Il giapponese si agitò fra le sue braccia come un animale che non voglia farsi prendere in braccio dal padrone, e Martinez sentì solo una debole irritazione. Perché faceva tutto quel rumore? Il coltello non era andato a fondo, quindi lo estrasse in parte e lo conficcò di nuovo nella carne. Il soldato si contorse ancora un istante tra le sue braccia, poi collassò… La sentinella morta gli faceva schifo, era una cosa da evitare. Sentiva quel misto di sollievo e di ripugnanza che si prova dopo aver a lungo inseguito uno scarafaggio e averlo alla fine schiacciato sul muro. Ne era turbato proprio in quel modo, non di più. Tremava per il ribrezzo del sangue che gli si andava seccando sulle mani, ma avrebbe tremato nello stesso modo per la poltiglia dello scarafaggio schiacciato”. Pare un brano dei Demoni, barbaro fino a farci sciamare i denti. Uccidere un uomo come si schiaccia uno scarafaggio. Qui Mailer non mente. D’altronde, la giovinezza non è innocente, è una guerra, una menzogna. (d.b.)
***
Ora che sono passati cinquant’anni dalla prima edizione del Nudo e il morto, pubblicato per la prima volta nel maggio del 1948, credo sarebbe interessante parlarne nei termini di un bestseller scritto da un dilettante. Naturalmente, come spesso accade con i bestseller, si trattava di un buon romanzo, e lo scrittore che aveva iniziato l’opera a ventitré anni per completarla quindici mesi dopo, all’epoca aveva già all’attivo più di duecentocinquantamila parole scritte al college. Si trattava pertanto di un dilettante che quantomeno lavorava sodo, amava scrivere e si sentiva pronto, come può esserlo un ventiquattrenne, a mettere la propria spada a disposizione della causa della letteratura. Era comunque un ingenuo, un innamorato della scrittura che padroneggiava ben poco la sottile arte dello stile. Non aveva molte inibizioni e scriveva sotto la spinta dell’entusiasmo. Non sapeva bene se il suo posto nella letteratura sarebbe stato accanto a Tolstoj, o se era invece totalmente privo di talento. Insomma, un dilettante.
Era anche uno scrittore che presto sarebbe diventato l’autore di un libro di grande successo. In effetti, Il nudo e il morto sarebbe rimasto il suo unico, prodigioso bestseller. La storia era buona, e migliorava andando avanti. Il libro aveva inoltre il dono dell’immediatezza, e venne pubblicato proprio nel momento in cui, a tre anni dalla fine della seconda guerra mondiale, tutti erano pronti a leggere un grande romanzo di guerra che desse un po’ l’idea di cosa era successo: i combattimenti abbondavano e lo stile era quello dei bestseller. In molte sue parti il libro è stato scritto in modo trasandato (le parole venivano fuori troppo in fretta e con troppa facilità). Si trova a stento una frase in cui un sostantivo non sia accompagnato dall’aggettivo più ovvio e scontato: troverete caffè bollente e paura terribile dappertutto. Gli aggettivi facili sono il marchio di fabbrica della scrittura popolare. Il libro possedeva inoltre una certa forza. E questa è la bellezza dei bei libri scritti dai dilettanti. Si avventurano in scene che lo scrittore più esperto (e con più preoccupazioni professionali) o lascia perdere del tutto o si limita soltanto ad accennare. Il nudo e il morto è pieno di sfide, e quelle vinte sono più di quelle perse: è diventato un bestseller a ragione, perché ha almeno una delle due caratteristiche necessarie per questo tipo di libri: essere scritti o da qualche dilettante pieno di sé o da professionisti di nicchia che conoscono un determinato argomento più di quanto dovrebbero. Detto ciò, non si dovrebbe chiedere all’artigiano che sta componendo queste righe quali siano le virtù del suo lavoro da dilettante. La risposta è che ha avuto la fortuna di essere profondamente influenzato da Tolstoj nei quindici mesi che ci vollero a comporre l’opera, tra il 1946 e il 1947: tutte le mattine, prima di iniziare a lavorare, leggeva qualche pagina di Anna Karenina. Quindi le sue pagine riflettono quanto aveva appreso da Tolstoj sulla compassione, pur con tutti i limiti di un ventiquattrenne. Perché questa è la vera genialità del grande vecchio: Tolstoj ci insegna che la compassione ha valore e arricchisce le nostre vite solo quando è severa, cioè quando riusciamo a percepire tutto quel che di buono e di cattivo c’è in una persona, e riusciamo comunque a capire che la somma di bene e male negli esseri umani pende leggermente più verso il bene. In ogni caso, buoni o cattivi, ci ricorda che la vita è un’arena per gladiatori dell’anima, e così ci sentiamo rafforzati da coloro che resistono e impietositi e addolorati per coloro che soccombono. Questo lato di Tolstoj, la consapevolezza che la compassione non ha valore senza severità (altrimenti non sarebbe al riparo dal sentimentalismo), ha conferito al Nudo e il morto il valore che seguita ad avere oggi, qualunque esso sia, e ha catapultato il dilettante che l’ha scritto tra le fila di quegli uomini e quelle donne di lettere costretti a diventare professionisti per sopravvivere. Il che non è facile, perché implica che ogni giorno di lavoro sia produttivo, anche quando la giornata non lo è, e in effetti questa è la qualità che distingue gli scrittori professionisti dagli altri.
E così, a me, Il nudo e il morto piace ancora. Ha i suoi pregi e i suoi difetti, ma ha senz’altro un salubre, forse anche stimolante, tocco di compassione tolstojana che mi permette di coltivare speranza per tutti noi le rarissime volte che mi guardo indietro e ne rileggo qualche pagina. Lasciatemi quindi credere che sia possibile trovarvi un bel po’ di speranza qualora lo si legga per intero.
Norman Mailer
maggio 1998
L'articolo “La vita è un’arena per gladiatori dell’anima”. Il capolavoro di Norman Mailer, “Il nudo e il morto” proviene da Pangea.
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Capitolo 7
Senua spalancò la porta d'ingresso del Corno di Capra.
La ragazza inalò il forte odore di birra e alcol, leccandosi le labbra, ignorando i commenti indignati degli altri clienti alla vista di due marchiati nel locale. Si passò una mano tra la massa di capelli, di color biondo acceso, procedendo a passi decisi verso il bancone.
Il locandiere dietro di esso li guardò con disgusto.
«Non serviamo i senzacasta, fuori da qui!»
Senua si scambiò uno sguardo divertito con il suo compagno, Tahir, rigirandosi tra le mani un coltello dall'aspetto letale.
«Guardaci meglio e ritenta.» Disse all'oste. Quello sgranò gli occhi, fissando prima il coltello, poi i tatuaggi che avevano in faccia, infine di nuovo le armi che portavano addosso.
«Oh, scusate, siete... M…ma certo.» Balbettò. «Posso fare qualcosa per voi?»
«Puoi dirci dove trovare un certo Oskias.» Rispose Tahir.
L'altro deglutì a vuoto. «Sì... è qui, con lo stesso boccale da due ore. Ma ha pagato bene, in anticipo. Che ha fatto?»
Senua si appoggiò al bancone, sporgendosi verso di lui e guardandolo dritto negli occhi, godendosi lo sguardo intimorito dell'oste. «Tanto per cominciare, non ci ha offerto da bere.»
«Ah... Permettetemi di rimediare!» L’uomo barbuto dietro al bancone si asciugò il sudore sulla fronte col dorso della mano, per poi girarsi, trafficare con due boccali e poggiarli sul bancone pieni fino all'orlo. Li spinse verso i due nuovi arrivati, ritirando rapidamente le mani e rimettendosi a distanza di sicurezza dietro al bancone. «Beh, fate quello che dovete fare, io sono sul retro a sistemare, se avete bisogno...» Balbettò allontanandosi.
Senua e Tahir afferrarono con calma i boccali, battendoli sulla pietra del bancone e facendoli risuonare. La ragazza se lo portò alle labbra, annusandone l'aroma, per poi berne a lunghe sorsate.
«Salroka! Potresti anche gustartela...» La rimproverò il compagno, facendo un lungo sorso e tenendola in bocca per qualche istante.
«E ripensarci per il resto dell'anno?» Ribatté lei. «Meglio non ricordarsela troppo, altrimenti lo schifo che beviamo di solito non farà altro che peggiorare.»
L'altro grugnì il suo dissenso. «Preferisco godermi le cose belle della vita.» Prese due lunghi sorsi, socchiudendo gli occhi. «Una buona birra, una bella donna... a proposito, come sta la tua meravigliosa sorella?»
Senua sbuffò stizzita, sforzandosi di ignorare la fitta di gelosia che le stringeva le budella ogni volta che Tahir faceva un apprezzamento su Rica. Sapeva di non essere bella come lei, di certo non aveva la sua grazia e raffinatezza, le sue mani pulite e le sue labbra rosse e carnose, il viso sempre perfettamente curato... «Mai stata meglio, se tiri fuori i soldi forse… potresti scopartela come tutti in città…» Commentò acida.
Il tono di voce, ovviamente, non sfuggì al compagno. «Salroka, lo sai che non andrai mai a letto con Rica… è come se fosse di famiglia!» Le diede una pacca sulla spalla.
Prima che potesse parlare di nuovo, Senua ricambiò la pacca, mettendoci una discreta forza. Ignorando le proteste dell'altro, buttò giù il resto della sua birra. «Muoviti, che abbiamo del lavoro da fare.»
Di malavoglia, Tahir la imitò.
L’uomo che cercavano, un mercante che veniva dalle pianure, era seduto ad un tavolo di pietra, lo sguardo perso nel boccale. Sembrava aspettare qualcuno.
Senua si sedette prepotentemente sulla sedia di fronte a lui.
«Quel posto è occupato!» Protestò quello, facendo per alzarsi. Tahir gli si piazzò alle spalle, intimidendolo.
«Sì, da me.» Ribatté Senua. «Ora svuota le tasche, senza fare scene.»
Oskias spostò lo sguardo da lei a Tahir, visibilmente spaventato. «Non sapete con chi sono…»
Senua sfoderò il coltello con rapidità, piantando la punta in una delle crepe del tavolo e tenendolo saldamente in verticale. «Chi credi che ci mandi, idiota?» Fece un cenno al compagno, che afferrò la borsa che l’uomo teneva accanto a sé. Quello guaì spaventato, tenendo stretta una delle cinghie.
«Ascoltate... sono sempre stato leale con Beraht, io e la mia famiglia gli dobbiamo molto...» Tahir gli strappò la borsa di mano, rovistando tra il contenuto.
«Ah! Sembra che abbiamo trovato qualcosa.» Commentò poi sorridendo in direzione della ragazza.
Oskias andò nel panico. «E va bene! Ho due pepite d’oro, dovevo venderle ad un mio contatto...» Li guardò implorante. «Vi prego, è la prima volta.»
«Prima e ultima.» Sentenziò Senua. «Anche se da questa storia, potremmo guadagnarci, Tahir.»
L'amico la guardò interrogativamente. «Alle spalle di Beraht?»
Senua si rigirò tra le mani l'impugnatura del coltello. «Non ci saranno testimoni a parlare.»
Oskias scattò in piedi, afferrando l'elsa della propria spada. Prima che riuscisse anche solo ad estrarla per metà, sobbalzò e si accasciò con un gemito sul tavolo, uno dei pugnali di Tahir che gli spuntava dalla schiena, conficcato fino all'elsa. Fece per tentare di rialzarsi, ma Senua lo afferrò per i capelli, sporgendosi e sollevandogli il volto verso di sé.
«Niente di personale.» Gli disse, prima di conficcargli il proprio coltello in un'orbita.
Oskias sussultò violentemente, per poi crollare riverso per terra.
«Non c'è nulla da vedere, qui, abbiamo finito!» Annunciò Tahir ad alta voce, incrociando gli sguardi di alcuni curiosi. Gli altri clienti del Corno di Capra, che avevano capito dall'inizio cosa stesse per succedere, si affrettarono a tornare a fissare intensamente i propri boccali.
Senua recuperò la propria arma, pulendo la lama sulle vesti del cadavere. Tahir fece lo stesso.
«Allora, che hai intenzione di fare con queste?» Le chiese a bassa voce, indicando la borsa aperta ma senza tirare fuori il contenuto. Dopotutto, era probabile che Beraht avesse dei contatti anche lì in quel momento.
«Una la vendiamo, l'altra la usiamo come prova del fatto che lo stesse fregando.» Decise Senua.
«Conosco una persona che ce le comprerà. Cinquanta e cinquanta?»
«Ovvio, come tutto.»
Uscirono dal locale, guardandosi attorno e dirigendosi verso uno dei banchi dei mercanti del quartiere popolare. Tutti coloro che incontravano li guardavano con schifo, a volte lanciandogli insulti. Due senzacasta per il mercato, un vero affronto all'ordine della città.
Da bambina Senua sarebbe arrossita di vergogna, trattenendo a fatica le lacrime. Quel tempo era però passato da un pezzo: gonfiò il petto e tagliò per la piazza a testa alta, ignorando i commenti.
Una lavandaia lanciò un grido di ammonimento, scansandosi con un balzo da loro, nonostante fossero abbastanza lontani da non potersi scontrare in alcun modo.
«State indietro! Queste sono le vesti del Custode del Sapere!» Lì ammonì sgarbatamente.
Senua si limitò a guardarla storto, facendo defilare la serva con uno squittio.
«Sei di buon umore oggi.» Commentò Tahir con un sogghigno.
Si avvicinarono ad un banco che esponeva oggetti di uso comune. Una donna di bell'aspetto li salutò cordialmente. «Tahir! Che ci fai qui, vuoi provare a sedurmi per ottenere altri nastri per la tua ragazza?»
«Piuttosto, voglio convincere te a diventare la mia ragazza, Katja. Sai che il mio cuore langue per te.» La salutò di rimando, sfoderando il suo tono migliore e sorridendo alla donna.
Senua alzò gli occhi al soffitto con una smorfia.
«Non dirlo quando c'è mio marito. Chi è la tua amica?» Ribatté l'altra, guardando Senua.
«Non posso crederci, Tahir non vi ha mai parlato della sua migliore amica?» Rispose la ragazza in tono sarcastico, lanciando uno sguardo velenoso al compagno.
«Ehi, quando sono con una signora, l'ultima cosa a cui penso sei tu.» Disse lui.
«Stronzo.» Sibilò tra i denti lei, attenta però a non farsi sentire dalla mercante.
«Beh, posso farvi uno sconto, dato che siete amici, ma non posso regalarvi nulla.» Disse Katja.
«In realtà, volevamo vendere.» Annunciò Senua, allungandole la borsa. L'altra la prese velocemente, nascondendola alla vista dietro al banco.
«Non so dove l'abbiate preso, né voglio saperlo.» Annunciò Katja. «duecento monete ciascuna.» Offrì loro.
«Solo?!» Si lamentò Tahir. Era ovviamente molto meno di quanto valesse.
«Il prezzo di mercato è questo, e mi ci vorrà del lavoro per rivenderla. E dovrò trovare qualcuno che non faccia domande sulla provenienza.» Spiegò la donna.
«Affare fatto.» Tagliò corto Senua. duecento monete era praticamente quanto riusciva a racimolare in due mesi di lavoro per Beraht.
Presero il denaro, allontanandosi in fretta dal banco.
«Prima di andare da Beraht, lasciami nascondere i soldi a casa.» Disse Senua. «Non vorrei che si mettesse a frugarci nelle tasche...»
«Ottima idea.» Annuì Tahir. «Sempre che tua madre non lo veda e finisca tutto in una pozza di vomito dopo una delle sue solite sbronze.»
«Deve solo provarci.» Ringhiò la ragazza.
Tornarono velocemente verso il Distretto della Polvere. La ragazza fece segno all'amico di aspettarla fuori. Aperta la porta di casa, il familiare puzzo di vino scadente si univa a quello del profumo che la sorella di Senua, Rica, usava per rendersi desiderabile dai clienti del Distretto dei Diamanti.
«Chi è? Che vuoi? Rica, sei tu?»
Senua buffò rumorosamente.
«Sono il Re Barbaro.» Rispose, sbattendo la porta dietro di sé per chiuderla. Il tonfo fece sobbalzare la madre, che quasi lasciò cadere la bottiglia ormai quasi vuota che reggeva in mano.
«Non prendermi per il culo, razza di ingrata! Ti ho fatta io, e ne posso fare un'altra uguale.» Bofonchiò la donna. Il suo alito puzzava di vino scadente e di qualsiasi altra cosa si fosse bevuta durante la giornata. Senua strinse i pugni, le braccia rigide lungo il corpo.
«Sono l'unica ragione per cui non sei morta in qualche vicolo.» Le ricordò velenosamente.
«E allora lasciami morire! Tanto, che motivi ho per restare in vita?» Ribatté la madre, con un singhiozzo finale. Prese un altro sorso dalla bottiglia, scuotendola.
«Me lo chiedo tutti i giorni.» Le voltò le spalle, andando nell'altra stanza. Un baule, riempito perlopiù della roba di Rica, giaceva in un angolo. Dall'altro lato, una rientranza con una tinozza in pietra. Si avvicinò ad essa, spostando un paio di pietre e nascondendoci la sacca di pelle con le monete che aveva ricavato dalla vendita delle pepite. Tornò verso la porta, dove la madre stava bofonchiando qualcosa che non riuscì ad afferrare. «Me ne sto andando. Puoi pure affogartici in quella merda, per quel che me ne importa.»
«Non osare parlarmi in quel modo! È ancora casa mia, questa dove vivi! Casa mia, hai capito?!» Gridò l'altra, incespicando sulle parole e agitando la bottiglia in aria.
Senua perse le staffe. Si avvicinò in tre passi al tavolo, sbattendo entrambe le mani sulla superficie di pietra e facendo tintinnare violentemente tutte le bottiglie vuote abbandonate su di esso.
«Chi cazzo credi che la stia pagando, questa baracca di merda?! Eh?!» Urlò furiosa. La madre si ritrasse sulla sedia, gli occhi sgranati. Senua le strappò la bottiglia dalle mani, agitandogliela davanti al naso. «E di chi cazzo credi che siano i soldi che usi per ammazzarti con questa roba?!» Osservò la bottiglia, poi la scagliò violentemente contro il muro. Quella esplose in mille pezzi, spargendo cocci ovunque e quel poco che restava del vino.
«Non fosse per me, saresti a pregare qualche stronzo di comprarti gli ultimi tre denti buoni che ti restano in bocca, pronta a metterti in ginocchio per un sorso di quello schifo!» La donna la fissava con occhi sgranati. Non era la prima volta che Senua urlava in quel modo, ma non succedeva spesso. Anche perché la ragazza faceva di tutto per passare il meno tempo possibile in casa, e quelle poche volte che tornava per lavarsi e cambiarsi la madre era spesso svenuta sulla sedia o assente a procurarsi altre bottiglie.
«Scegli un modo più economico di morire, perché io ho chiuso con te.» Ringhiò Senua, scostando lo sguardo e andandosene a grandi falcate.
Qualsiasi cosa fosse l'incarico successivo di Beraht per lei e Tahir, sarebbe stato certamente meglio di tutta la merda che doveva sopportare a casa.
Il Principe Arsim, secondogenito del Re e discendente del grande Bul Khatos, si stava sistemando la barba castana con cura, quando venne interrotto dal suo Secondo, che irruppe nella stanza senza quasi bussare.
«Mio signore.» Si annunciò. «La vostra arma è stata lucidata e affilata.» Gli porse la grande ascia da guerra, che Arsim soppesò per qualche momento, prima di sistemarsela sulla schiena.
«Grazie, Noglar.» Inspirò a fondo. «Possiamo andare.»
Il compagno d'armi sembrò capire alla perfezione la riluttanza del Principe. «Il Re si aspetta la vostra presenza al banchetto, certamente, ma non c'è fretta. Tutti i capi Clan passeranno ore a fare richieste e lamentele di ogni genere a vostro padre...»
«Credimi, amico mio, preferirei trovarmi nelle Vie Profonde ad affrontare un'armata di Falmer, piuttosto che districarmi tra dei vecchi lamentosi e vendicativi.» Commentò Arsim. La politica faceva parte del suo sangue, da sempre i discendenti del Re Immortale Bul Khatos erano saliti al trono, compreso suo padre, ma nonostante tutto lui preferiva la semplice arte della guerra piuttosto che tenere conto di quale vecchio stesse complottando cosa contro chi in favore di chissà cosa. Un Falmer poteva essere un avversario formidabile, ma un'ascia piantata in mezzo al cranio calvo e deforme del mostro era sempre la strategia migliore. La stessa cosa, purtroppo, non si poteva dire riguardo ai complotti giornalieri dei capi Clan dell'Assemblea.
«Proprio di questo si trattava, mio signore. Joritz il Potente ha indetto delle Prove per testare in duello i giovani che vi accompagneranno domani nella spedizione nelle Vie Profonde. Forse dovremmo andare e mostrargli cosa significa davvero combattere.» Si grattò la barba, pensieroso. «Beh, più che altro, voi dovreste mostrarglielo. Io vi darò il mio supporto dagli spalti.»
«Cosa stiamo aspettando, allora? Potrebbe dare una svolta a questa noiosa giornata.» Esclamò il Principe con entusiasmo. Combattere in almeno uno scontro gli avrebbe risollevato di molto il morale.
Si avviarono verso l'ingresso, sorpassando la camera di suo fratello minore Serkan.
Un guizzo di capelli biondi e un forte profumo femminile, seguito da un'esclamazione sorpresa, catturarono la loro attenzione. Sentì la porta della stanza del fratello chiudersi di scatto.
Arsim sospirò profondamente, prima di girarsi e tornare sui suoi passi. Bussò tre volte, per poi entrare senza aspettare risposta.
«Mi... mi scuso tantissimo vostra altezza!» Esclamò una ragazza. La prima cosa che saltò all'occhio del principe fu il tatuaggio che quella aveva sulla guancia destra, segno che ella apparteneva ai senzacasta. Aveva brillanti capelli biondi legati in un'acconciatura piuttosto elaborata e un abito troppo decorato ed elegante per una come lei. «Pensavo foste il Principe Serkan, e io...»
Arsim scosse la testa, alzando una mano per zittirla. «Non importa, niente di grave. Tuttavia, mio fratello sarà al banchetto per il resto della serata. Fareste meglio ad andarvene.» Le suggerì.
La ragazza si inchinò profondamente, mantenendo la schiena dritta, segno che era stata ben addestrata. Come lei, molte altre ragazze, le più carine e prospere, venivano imbellettate e educate ad essere piacevoli e piacenti per i clienti.
«Ma certo, mio signore. Col vostro permesso.» Disse la ragazza prima di filare via. Arsim notò che aveva una grossa collana al collo, che non poteva che essere un regalo da parte del fratello.
«Deve piacerle davvero.» Commentò. «È risaputo che Serkan abbia un debole per le bionde.»
Sentì Noglar ridacchiare. Uscirono dal Palazzo, superando i vari banchi che i mercanti avevano allestito straordinariamente nel Distretto dei Diamanti, mentre il cielo sopra di loro prometteva pioggia. I due si diressero verso l'Arena delle Prove. Sulla strada, due ragazze dall'aria promiscua richiamarono la loro attenzione, ma Arsim non le degnò di un secondo sguardo.
Non era decisamente dell'umore giusto.
Li aspettavano alcune guardie personali del Re, che li scortarono fino all'Arena.
Il rumore della folla che urlava e gridava il proprio supporto ai combattenti li investì molto prima che si affacciassero dal balcone che dava sull'Arena.
«Vostra Altezza, è un onore avervi qui.» Lo salutò il Maestro delle Prove. «Siete venuto a vedere combattere questi prodi guerrieri in vostro onore?»
«Veramente, l'idea era di combattere io stesso.» Lo contraddisse il principe.
«Vostra Altezza, le Prove di oggi sono in vostro onore...» Provò a ribattere l'uomo.
«E allora rendetegli onore facendo ciò che il vostro principe vi ordina.» Lo interruppe Noglar.
Arsim posò una mano sulla spalla dell'amico, fermandolo. Non c'era bisogno di essere così duri con il Maestro, la sua era un'osservazione legittima. «Mia intenzione è di onorare i combattenti di oggi sfidandoli a duello e testando le loro abilità contro di me.» Spiegò all'uomo.
«Ma certo, vostra Altezza, com'è vostro diritto in quanto figlio di Bul Kathos.» Si inchinò l'uomo. Si avvicinò alla balaustra, schiarendosi la voce, mentre Arsim si preparava ad entrare nell'Arena.
«Signori e signore di Harrogath, abbiamo un ingresso all'ultimo momento in queste Prove.» La folla rumoreggiò, in trepidante attesa del misterioso candidato. «Ecco a voi, il Principe Arsim Auducan!»
Un boato si sollevò dagli spalti. Centinaia di uomini si alzarono in piedi urlando la propria approvazione a gran voce, guardando il secondogenito del re fare il suo ingresso.: nella sua armatura di squisita fattura, le spalle possenti, la barba e i capelli curati e il viso autoritario ma al tempo stesso piacevole, era difficile non amare il principe di Harrogath.
«Questa, è una Prova gloriosa, combattuta sotto i vigili occhi dei Campioni di Harrogath!» Annunciò il Maestro.
Arsim alzò il braccio a salutare la folla urlante, per poi squadrare il suo avversario.
«Sua maestà il Principe combatterà contro Aller Bemot, il figlio minore di Lord Bemot del Clan della Vipera!» La folla rumoreggiò il proprio incoraggiamento.
«Mi fate onore, Vostra Altezza.» Disse Aller Bemot, chinando il capo.
Entrambi gli sfidanti si calarono l'elmo sulla testa, sfoderando le proprie armi.
«Il primo a cadere, sarà lo sconfitto. Combattete!»
Il suo sfidante non era male, aveva una buona tecnica e sapeva usare bene il martello da guerra che portava, tuttavia non era all'altezza del principe. Arsim fece durare più a lungo del necessario il combattimento, esibendosi in alcuni colpi esagerati soltanto per dare spettacolo, mentre evitava senza troppe difficoltà i tentativi di Bemot di colpirlo, rendendo tuttavia credibile lo scontro. Non voleva arrecare disonore all'avversario.
Dopo qualche tempo, decise che era il momento di concludere, assestando un colpo preciso sullo spallaccio dell'altro, sbilanciandolo, e mirando poi allo sterno con il piatto della propria arma per mandarlo a terra. La folla si esibì in un boato di apprezzamento.
Arsim si risistemò l'ascia sulle spalle, togliendosi l'elmo e tenendolo sottobraccio mentre allungava una mano verso l'avversario a terra.
Bemot, un po' acciaccato e sanguinante, la afferrò senza pensarci un attimo, rimettendosi in piedi traballante e sorridendo in direzione del pubblico.
L'avversario successivo di Arsim era Hadal Helmi, una guerriera dalla corporatura snella e l'armatura leggera che le permetteva movimenti rapidi e fluidi, con cui riuscì a mettere in difficoltà il principe. Dopo un acceso scontro, e aver riportato un paio di contusioni leggere, Arsim si rivelò nuovamente vincitore.
L'ultimo sfidante era un tizio ormai quasi anziano, calvo e dalla barba grigia, che rispondeva al nome di Arkhut del Clan dell’Orso, Comandante di una legione delle Vie Profonde. «Questo ti sarà di lezione, ragazzo. Cerca di imparare qualcosa, quando sanguinerai.» Esordì quello.
Arsim l'aveva incontrato qualche volta sul campo di battaglia e non gli era mai andato a genio. Aveva sentito tessere grandi lodi sulle abilità militari dell'uomo, ma anche tante lamentele dalle nuove reclute che si ritrovavano a servire sotto di lui.
«Buona fortuna anche a voi.» Ribatté Arsim senza scomporsi. Non c'era bisogno di deriderlo a parole, il vecchio sarebbe finito col culo per terra molto presto. E stavolta, non si sarebbe risparmiato nemmeno un colpo.
Arkhut tornò nella sala d'attesa dei duellanti portato a braccio da quattro uomini, privo di sensi e con il pubblico che urlava a squarciagola il proprio supporto per il principe.
Arsim tornò al proprio posto sulla balconata con un ghigno soddisfatto stampato sul volto.
«Un ottimo spettacolo, mio signore.» Gli disse Noglar.
Non restava altro che guardare gli altri sfidanti affrontarsi tra di loro, per vedere chi avrebbe combattuto contro il principe nello scontro finale.
Un guerriero in particolare attirò l'attenzione di Arsim.
Combatteva con due spade corte, tenendole in modo non convenzionale, muovendosi come un serpente, saettando qua e là e sorprendendo lo sfidante puntando più sulla velocità che sulla tecnica. Messo alle strette, ad un certo punto potè giurare di averlo visto tirare una manciata di terra negli occhi dell'avversario, finendo poi per spedirlo a terra con un calcio nelle parti basse e puntandogli una delle due lame davanti alla feritoia per gli occhi dell'elmo.
«Non è sicuramente un combattente convenzionale, mio signore, ma è efficace.» Commentò Noglar divertito. La folla sembrava condividere le sue idee, perché avevano cominciato a gridare a gran voce il nome del guerriero. Quello sollevò il braccio in segno di vittoria, tuttavia senza togliersi mai l'elmo.
«Everd Bera.» Ripeté Arsim. «Come mai non ne ho mai sentito parlare?»
«Perché prima d'ora era conosciuto solo per essere un gran bevitore e per aver sconfitto a duello soltanto molte botti di birra e qualche nug.» Spiegò Noglar ridacchiando. «Oggi sembra sia la sua giornata buona, però.»
«Se ne sconfigge un altro, il pubblico avrà di che divertirsi.» Commentò il principe. Fece segno ad uno dei servitori lì vicino di riempirgli il boccale di birra al miele, prendendone due lunghi sorsi e osservando Everd prepararsi allo scontro successivo. Il nuovo avversario era una novizia delle Sorelle del Silenzio, Lenka. Se avesse superato la Prova, sarebbe entrata ufficialmente nell'Ordine, rinomato per le sue letali guerriere. Lenka combatteva anch'ella con due lame.
Il Maestro delle Prove annunciò che, date le circostanze, il combattimento era da considerarsi all'ultimo sangue, poiché era la prova finale che la novizia doveva affrontare. Everd non fece una piega, restando impassibile sotto il suo elmo, immobile al centro dell'Arena, le armi già sguainate e pronto all'attacco.
Fu un aspro combattimento dall'esito incerto.
Arsim riconosceva chiaramente la superiorità nello stile della novizia, tuttavia Everd dimostrava una straordinaria capacità di adattarsi ai diversi stili di combattimento degli avversari, cambiando continuamente tecniche, al punto che il principe finì per domandarsi se ne avesse effettivamente una. Gli affondi sembravano completamente casuali eppure andavano sempre a graffiare l'armatura della novizia dove essa era più vulnerabile, saltando subito indietro e schivando le lame dell'avversaria senza che essa riuscisse a sfiorarlo. Everd era sgraziato, brutale e istintivo, non esitava ad usare tutto ciò che aveva a sua disposizione, e tutto ciò funzionava. Arsim quasi sobbalzò sullo scranno, quando l'iniziata riuscì a buttare l'avversario a terra, colpendolo ad un fianco e spillando sangue. Lenka fu però troppo lenta a sferrare il colpo di grazia: Everd, strisciando su un lato, le tirò un calcio da terra, colpendola alla gamba e facendola sbilanciare. Cadde in ginocchio, cercando di rialzarsi, ma Everd con un salto si era già rimesso in piedi, scattando contro di lei e buttandola a terra di peso.
Quando il guerriero con l'elmo si rimise in piedi, una delle sue spade era conficcata nel collo della novizia. Il pubblico, dopo un attimo di esitazione e sgomento, esplose in un boato trionfante, omaggiando il guerriero e pregustando lo scontro finale tra il Principe e il nuovo, improbabile avversario.
Arsim si alzò in piedi, battendo le mani e lanciando un grido di approvazione. «Questo sì che sarà uno scontro degno di nota!» Esclamò entusiasta, finendo la propria birra e infilandosi l'elmo sottobraccio, pronto ad entrare nell'Arena.
Il cuore di Senua batteva all'impazzata.
Il fianco destro, dove quella stronza muta l'aveva colpita, le faceva parecchio male, mentre il sangue che le colava da una ferita sulla fronte le rendeva difficile tenere l'occhio sinistro aperto. Quel maledetto elmo era pesante e troppo grande per lei, così quando era stata colpita da un colpo alla testa, il metallo all'interno le aveva graffiato la faccia. Le spalle le facevano male per il peso dell'armatura, aveva il fiatone e riusciva a malapena a respirare sotto tutta quella maledetta roba.
La folla, appartenenti a tutti i Clan della città, stavano facendo il tifo per lei.
“Tecnicamente, per Everd.” Si disse, tuttavia sotto quell'armatura c'era lei, non quell'ubriacone incapace che tutti credevano che fosse. Lei aveva sconfitto i tre guerrieri che la separavano dalla prova finale, era lei che il pubblico applaudiva a gran voce.
Il Maestro delle Prove si riaffacciò dalla balconata sopra l'Arena, zittendo il vociare eccitato.
«Everd Bera avanzerà allo scontro finale, che deciderà il vero campione dell'Arena, contro il Principe Arsim discendente del Re Immotale Bul Khatos!» Annunciò l’uomo.
Fece il suo ingresso il principe in questione, un uomo di bell'aspetto, la corta barba castana che ricadeva su un'armatura imponente, che probabilmente valeva quanto la somma di tutte le armature dei guerrieri che aveva affrontato in quella giornata. Il principe avanzò baldanzoso, tenendo la gigantesca ascia da guerra e mostrandola al pubblico, che si alzò in piedi in un'ovazione che le rimbombò nelle orecchie, sovrastando per qualche attimo il battito frenetico del suo cuore.
Lei, una senzacasta, una marchiata, la peggiore feccia di Harrogath, stava per sfidare l'amato e venerato Principe, lo stesso che tutti, in città, davano come favorito a sedersi sul Trono di Giada.
Se fosse riuscita a batterlo... Scosse la testa, non era il caso di distrarsi.
«Combatti bene. È un onore avere un avversario così valido.» Le disse il principe, chinando il capo.
“Tahir starà morendo dal ridere. Un principe che si inchina ad una senzacasta...”
Fece del suo meglio per rispondere all'inchino, attenta a non farsi sfuggire una parola, poi sfoderò le sue due spade corte. Erano più lunghe e pesanti dei coltellacci a cui era abituata, ma la lama tagliava il cuoio delle armature e la pelle sottostante come fossero fatti d'acqua. Una delizia.
Vide il suo avversario calarsi in testa l'elmo, mentre il pubblico si zittiva in trepidante attesa.
I due sfidanti iniziarono a girarsi attorno, studiandosi. Senua sentiva su di sé le centinaia di paia di occhi puntati su di loro. Osservò il guerriero di fronte a lei, come si muoveva sicuro di sé, come se non fosse altro che una scaramuccia di taverna di fronte ad un boccale di birra profumata.
Il Principe si fermò di colpo, interrompendo il semicerchio che stavano percorrendo, come ad invitarla a farsi sotto. Senua avrebbe potuto scommettere che quello stesse sogghignando tronfio, sotto la sua bella armatura decorata. Decise di non dargliela vinta, fermandosi e restando ad osservarlo a distanza di sicurezza. “Fatti avanti, stronzo.”
L'altro accettò la sfida. Sollevò l'ascia da guerra, avanzando verso di lei molto più velocemente e con più grazia di quanto si Senua si aspettasse. In un attimo le era addosso, e lei dovette schivare per non ritrovarsi il fianco sfracellato. Era cerca che la sua armatura, per quanto ben fatta, non avrebbe retto un colpo del genere: il principe aveva sì uno splendido equipaggiamento, ma era anche molto bravo, sicuramente la sua fama di guerriero non era esagerata.
Senza darle nemmeno un attimo, l’uomo roteò l'ascia sollevandola dietro la testa e fece per colpirla dall'alto, costringendola a buttarsi nuovamente da un lato. Cogliendo l'opportunità, Senuasi gettò in avanti, superandolo e girandosi su sé stessa, mirando sotto i possenti spallacci, dove l'armatura doveva avere una giuntura. La lama raggiunse la spalla, ma si limitò a scalfire il metallo, poiché il principe si era girato di poco, tornando subito a risollevare la propria arma.
Senua, sbilanciata, non poté fare altro che gettarsi per terra per evitare di ritrovarsi l'ascia in pieno petto. Rotolò di lato nella polvere, schivando un altro fendente dall'alto.
La lama dell'ascia si conficcò momentaneamente a terra, dandole il tempo di scattare in avanti e colpire l'avversario al braccio. Ancora una volta, l'armatura attutì il colpo, lasciandolo illeso.
Il principe liberò con uno strattone la propria arma, facendola ruotare agilmente e costringendo Senua ad allontanarsi con un salto.
Senua dovette fare qualche passo indietro, per riprendere fiato. L’uomo sembrava manovrare quell'affare come se non avesse peso, e quella montagna di metallo che aveva addosso non lasciava praticamente nessun punto libero, a parte qualche centimetro in corrispondenza delle giunture, ma con quello che roteava l'ascia come fosse un nastro di seta, non riusciva ad avvicinarsi abbastanza da colpirlo. Poteva solo schivare.
La folla rumoreggiava, indignata che qualche colpo non fosse ancora andato a segno.
Senua aveva perso completamente la vista all'occhio sinistro, ormai chiuso e incrostato di sangue secco. Le braccia le sembravano in fiamme, e il fianco le faceva terribilmente male, impedendola nei movimenti. Osservò il principe, ma quello sembrava fresco e riposato. Effettivamente, lei aveva combattuto tre incontri di fila prima di quello, mentre lui era probabilmente a bere col culo piazzato su una comoda sedia a godersi lo spettacolo.
Digrignò i denti, facendo due passi avanti e preparandosi ad un nuovo scontro.
Il principe fece fare un giro completo in aria all'ascia, maneggiandola con abilità mentre avanzava verso di lei a passi larghi e sicuri.
La folla si zittì improvvisamente.
«Ehi! Quella è la mia armatura!» Biascicò qualcuno ad alta voce.
Senua si girò di scatto: Everd, la camicia ancora macchiata di birra e vomito, barcollava instabile nella sua direzione, il braccio puntato verso di lei. “Merda.”
«Chi sei?!» Tuonò il Maestro delle Prove. «E come osi interrompere…»
«Lo conosco! È Everd!» Urlò qualcuno.
La folla rumoreggiò di sorpresa.
«Tu!» Urlò il Maestro delle Prove per sovrastare il frastuono, indicando Senua con un cenno imperioso del braccio. «Togliti l'elmo, e fatti vedere!»
Senua indietreggiò spaventata. Se l'avessero vista... Qual era la punizione per una cosa del genere?
«Le tue abilità sono impressionanti, ma sei da solo. Mostrati, o ricorreremo alla forza! Guardie!» Tuonò un uomo dall'alto della balconata. Al suo segnale, altri tre uomini entrarono nell'Arena, circondandola. Il principe si avvicinò anche lui, minacciosamente.
In trappola, la ragazza obbedì. Lasciò cadere a terra le armi, sollevando le mani e portandosele ai lati della testa. Inspirò forte, prima di sollevare l'elmo e gettandolo ai propri piedi.
Gli spettatori urlarono indignati, le guardie rimasero impietrite. Persino il principe si immobilizzò per la sorpresa.
Senua si costrinse ad alzare il mento in segno di sfida.
«Senzacasta!» Urlò oltraggiato il Maestro. «Insulti la natura stessa di queste Prove!»
La ragazza si limitò a sostenere lo sguardo. Qualsiasi cosa avesse provato a dire, sarebbe stata ignorata e sovrastata dal chiasso.
Si lasciò trascinare via dalle guardie, senza opporre resistenza. Mentre la portavano via, vide il Principe togliersi l'elmo, lo sguardo incredulo e irato.
“Chissà quanto gli brucerà il culo, a sapere che è stato colpito da una marchiata.”
Se fosse morta nel giro di qualche ora, almeno se ne sarebbe andata con un sorriso sulle labbra: nessun senzacasta aveva mai osato fare una cosa del genere.
Qualcuno la colpì alla testa, facendole perdere i sensi.
Si risvegliò dolorante, la testa che pulsava e il fianco che sembrava in fiamme. Il sangue secco che aveva in faccia puzzava, quasi quanto l'aria attorno a lei. Era sdraiata con la schiena sulla pietra, il soffitto era basso e pieno di stalattiti. Si mise a sedere a fatica, sfregandosi l'occhio.
«Senua! Sei sveglia?» La chiamò qualcuno con un sussurro. «Mi senti?»
«Tahir ?» Rispose lei con voce impastata, riconoscendo l'amico. «Che ci fai qui?»
«Ho pensato di farti compagnia.» Rispose quello sarcastico. «Appena ti hanno scoperto, sono tutti impazziti. Si sono messi a controllare la casta di chiunque nell'Arena, sugli spalti... quando mi hanno scoperto, hanno subito capito che lavoravo con te. Mi hanno interrogato, ma credo sapessero già chi c'era dietro a tutto...»
«Non è una delle solite celle.» Osservò Senua. «Dove siamo?»
«Beraht deve aver pagato qualcuno. Queste non sono certo le prigioni delle guardie.»
La ragazza imprecò tra i denti. «Qual è la punizione per aver fatto il culo all'intera Casta dei Guerrieri?» Chiese, anche se aveva già un'idea.
«Fustigazione pubblica. Taglio della mano sinistra per aver rubato un'armatura, della mano destra per aver insozzato il lavoro di un fabbro, scorticamento in pubblico per aver impersonato un membro di una casta superiore...» Elencò Tahir. «E se non sei ancora morta, esecuzione per aver dissacrato le Prove.» Concluse con voce funebre.
Senua soffiò forte dal naso, appoggiando la testa alla parete dietro di sé. «Beh, almeno se lo ricorderanno per anni.»
Tahir sbuffò divertito. «Quello sicuro, salroka. Sei stata grandiosa.»
Vennero interrotti da dei passi. Jarvia, la mano destra di Beraht, emerse dal buio con un ghigno.
«Bene, sei sveglia.» Disse. «Avete causato un gran casino e Beraht ha perso cento monete. Le Prove sono state dichiarate invalide e l'Assemblea ha aperto un'indagine. Non puoi neanche immaginare come stesse Beraht quando mi ha detto di venirti a prendere.» La cosa sembrava divertirla terribilmente. «Godetevi l'ultima notte insieme. Peccato vi abbiamo messi in celle separate, o vi avrei augurato un'ultima scopata.» Se ne andò con un ghigno ancora più tronfio di quello con cui era arrivata.
Senua restò in silenzio per un attimo, guardandosi attorno. Intravide delle schegge di metallo sul pavimento. «Tahir , non so tu, ma io non ho intenzione di restarmene qui ad aspettare che quello schifoso ci ammazzi.» Annunciò, prima di mettersi al lavoro sulla serratura della cella.
Era arrugginita, e quelli non erano certo i suoi attrezzi da scasso, ma dopo qualche tentativo la porta si aprì cigolando. Esultante, uscì e si affrettò a fare lo stesso con la porta della cella del compagno.
Si ritrovarono a vagare per i corridoi, recuperando delle armi e evitando gli scagnozzi del capo per non allertare l'intero palazzo. Due volte Senua dovette farne fuori un paio che bloccavano loro la strada, ma se la cavarono senza troppi problemi, arrivando in fretta dove doveva esserci l'uscita.
«Se quella schizzata della sorella non sa stare al suo posto, non me ne faccio nulla nemmeno della troia.» Disse qualcuno, la voce attutita proveniente da dietro una porta.
“Beraht.” Lo riconobbe subito Senua. Si schiacciò contro la porta, per ascoltare meglio.
«Rica?» Commentò un altro. «Volevo da tempo farci un giro, con una bellezza come quella...»
Tahir le fece segno di andarsene, ma Senua non ne aveva alcuna intenzione. Prendersela con lei era un conto, ma non avrebbe permesso a Beraht e ai suoi schifosi scagnozzi di toccare sua sorella.
Spalancò la porta con un calcio, gettandosi contro il suo capo approfittando dell'effetto sorpresa.
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capitolo 4
Ingrid
Sbatto le palpebre qualche istante rendendomi conto che fuori piove prima ancora che io possa trovare la forza di sollevare le palpebre. Deglutisco qualcosa di denso che mi sento in gola, ma mi rendo conto di non avere veramente nulla tra le labbra. Realizzo ciò che è successo qualche ora fa e balzo a sedere sul letto trovandomi ancora madida di pioggia e sudore sostenendomi con le mani. Sento un forte mal di testa che mi porta a sollevare la mano in prossimità della fronte inondata di lunghi capelli neri.
Ricordo di essere andata nel negozio di quella cartomante che mi aveva inquietata oltre ogni misura, di aver incontrato quel ragazzo insopportabile che avevo visto al locale, quel gatto -per così dire visto che le sue dimensioni erano più quelle di un'oca- e di essere sbottata all'improvviso. L'immagine di quel momento è vivida dentro la mia testa. Cosa era stato? Era azzurro, era freddo, e sembrava provenire da dentro di me, come se fosse stata l'emozione di quel momento a scardinare la mia realtà sbattendomi in faccia il suo opposto.
<Meo?>
trattengo un urletto, mi dimeno. Cado dal letto. Il gatto è lì. Mi sollevo da oltre il bordo del letto ai piedi del quale la mia valigia giace ancora abbandonata, in attesa di essere disfata, come se dovessi fuggire da un momento all'altro. I miei occhi azzurri incontrano quelli grandi e acquosi del Margay che si sporge verso di me. Non mi ritraggo come la prima volta ma la osservo incuriosita almeno fino a che una delle sue zampe soffici non mi si pianta dritta in fronte spingendo lievemente, come a volermi indurre ad abbassare gli occhi.
“Ehi, tu, sporca umana, non infangare la mia regale immagine con i tuoi occhi indegni.”.
Il fatto che quel gatto sia ancora lì vuol dire una sola cosa. Ma prima di accertarmene decido di alzarmi , avvisare che stasera non ci sarò per il mio nuovo lavoro, e di andare a fare una doccia.
Ne riemergo mezz'ora dopo, con i capelli umidi. Prendo un abito estivo dalla valigia che ancora non mi decido ad aprire del tutto, come se lì dentro ci fosse qualcosa che non desidero vedere in questo momento. Mi siedo qualche momento sul bordo del letto. Il mio sguardo rimane sopito ad osservare la pioggia che cade. Non so quanto tempo passa ma quello spettacolo ha il potere di mettermi in pace con ciò che ricordo, con ciò che la mia esistenza è diventata da quando ho perso una famiglia intera. Scivolano gli occhi pallidi sino ad una mezza canna rollata e dimenticata – spenta- sul bordo del comodino. La prendo e cerco l'accendino che ho comprato per accendere le candele. La infilo tra le labbra e la rianimo con l'aiuto del fuoco, in un bagliore aranciato che si spegne nel grigiore del giorno che muore. Mi sdraio sul letto mentre il gatto si acciambella sul mio petto, in silenzio, chiudendo gli occhi ed iniziando a fare fusa in prossimità del mio cuore che batte.
E più passa il tempo più mi sembra di sentire calore nell'impronta del suo corpo piccolo e vivo, e mi sembra di sentire il rumore del mio stesso sangue che mi tambureggia nelle orecchie. Sospiro, e con i piedi nudi mi dirigo davanti alla valigia. Mi sento una leggera tachicardia, l'espressione rilassata e la testa leggera. So esattamente cosa voglia dire. I miei ricordi sono sfumati ma chiari. Ricordi lontani di quando ero in Russia; e mentre li ripercorro mi chiedo se quel joint fosse stato abbandonato li per caso, sapendo in principio – e perfettamente – di no. Ma ora sono pronta per fare ciò che sto facendo. Voglio una conferma e devo innescare un'emozione, come quel pomeriggio.
Deglutisco. Ed apro la valigia. Lo cerco, sotto i vestiti; un pezzo di carta, piccolo, infinitesimale; Apro la busta ed eccola: una polaroid.
Nascosta, imbustata, persino al mio sguardo.
La guardo.
A Mosca. Quando ancora cercavo di proteggerlo da ciò che ero, dalla mia dualità che quasi non ricordo. Mi sembra mentre la stringo tra le mani, forte, ed inizio a tremare, che tutto mi crolli addosso; una valanga di pietre che non riesco a trattenere, sotto la quale non riesco a rimanere in piedi. Tremo, forte, non riesco più a vedere ciò che stringo tra le mani, appannato, sfocato, ondeggiante. La poso e richiudo la valigia. Il mio petto si alza e si abbassa veloce, sento il cuore che colpisce così forte la cassa toracica che sembra voglia uscire fuori dal petto e correre lontano. I miei piedi vanno verso la zona giorno, dove sento il chiacchiericcio della televisione, ma lontano, ovattato. Non mi dirigo da quella parte, nonostante una sensazione di fastidio delicato alla nuca si faccia strada a pugni tra le mie sinapsi. E' in cucina che mi dirigo, camminando nel buio, avvolta nell'abito bianco che mi lascia le spalle nude, ondeggia attorno alle mie ginocchia come ritagli di nuvole estive. Apro la porta che da sul giardino posteriore, la selva di piante casuale che ho guardato la notte precedente. Mi sembra così lontana. Come me. Come me mentre sospingo la zanzariera all'esterno e cammino sul portico. Mi rendo conto solo distrattamente che sto piangendo. Il groppo nel petto si fa più pesante, il formicolio nel mio corpo sfuma in un oceano di emozioni che non riesco quasi a controllare. Cammino sul sentiero di pietra tracciato da quadrati precisi attraverso le ortensie e la lavanda, rimanendo lì, in piedi, ferma, sotto la pioggia. I miei occhi sono aperti eppure mi sembra di non vedere nulla. Mi sono costretta a guardare nel passato per crollare nuovamente. Ma questa volta – con l'aiuto di quel joint abbandonato al mio patibolo – non c'è barriera da abbattere. Piango forte, a singhiozzi. Il suono della mia voce è ovattato sotto la pioggia che cade furiosa, eppure appare straziante alle mie stesse orecchie mentre lo ascolto e stringo forte le palpebre, sollevando il volto in favore dello schiaffo della pioggia. Fino a che la gola mi brucia, fino a che sento la rabbia montarmi dentro.Stringo i pugni ed urlo. Urlo forte, tendendomi tutta, fino a che la gola mi brucia e la voce si spezza in mille frammenti. E' l'attimo di un bagliore, azzurrato, arrogante persino in quell'afa che risale vomitata dalla terra sino a me, ed attorno a me, improvviso, è inverno russo, distante, e quasi non mi rendo conto. Io non vedo.
Ma è attorno al mio corpo che la mia rabbia, quasi in un disegno metaforico, sta conficcando lunghe lame di ghiaccio come sbarre di una gabbia, chiudendomi in quel sacrificio cieco e sordo, lì, in piedi, sotto il temporale estivo pieno di lampi e tuoni, fino a che tutto si infrange ad un mio singhiozzo che mi lascia cadere in ginocchio, fradicia e sussultante, in un turbinio di gelidi fiocchi di neve. Sospiro, tremante, rassegnata, leggera, sentendomi la testa altrove e danzante, rimanendo a far seccare le ultime lacrime nella scia che il temporale lava via dalle mie guance, ferma in ginocchio mentre lascio ciondolare il capo a destra e sinistra. E' dalle ortensie, attraverso quella tempesta di neve passeggera che una piccola figura bianca si fa strada verso di me, silenziosa. Non riesco subito a metterla a fuoco, eppure è verso di me che si dirige. Si siede di fronte a me, in silenzio, guardandomi con felini occhi d'ambra ed avvolgendosi nella folta coda bianca dalla sommità intinta nella tenebra. Ma è quando incontro i suoi occhi che...
Tutto, tutto quanto, sino a quel momento, sembra avere un senso.
Ogni sofferenza, ogni sacrificio, ogni lacrima, sembra avermi portata a quello sguardo, a quel momento, a quegli occhi d'ambra.
<Shabat...> esce dalle mie labbra in un sussurro affaticato e quasi erotico, memore di una kitsune che da spoglie mortali erse un regno. Il suo nome è stato scelto decenni addietro quando ancora non ero altro che una ragazzina. Ed ora eccolo rotolare fuori dalle mie labbra, mentre sento quel nodo, all'altezza del cuore, stringersi forte attorno a me e a lei, come se non potessi mai rifuggirne. Il suo muso si solleva verso il mio volto, scivolando con il tartufo nero sulla scia usurata del mio pianto. Mai.
Mi sollevo, ancora scossa, deglutendo, e tornando sui miei passi. Non so perché avessi bisogno proprio di sentirmi in aria grazie all'erba per arrivare ad una sublimazione di un ricordo. Ma ora che sono al coperto, sulla veranda, rimango lì, col fiatone, mentre l'adrenalina spinge altrove nelle mie vene il thc facendone scemare per il momento l'effetto catartico del fumo.
<Una volpe>.
Mi volto nella direzione da cui proviene la voce che riconosco praticamente subito. Non chiedo cosa ci fa lì visto che ai miei occhi è palese che si sia messo comodo. Il petto nudo, irto di tatuaggi con piercing ad entrambi i capezzoli, i pantaloni stretti slacciati in prossimità della vita, i piedi nudi, i capelli spettinati, una canna in una mano e una bottiglia di vodka russa nell'altra.
<Fai pure come se fossi a casa tua.>
<Ehi. Sei pesante da trascinare bellezza, mi sono preso la giusta ricompensa.>
Mi avvicino in silenzio a lui, mentre ascolto il suono della pioggia. Non so perché lo faccio. Ma mi avvicino a lui, fradicia, coi capelli neri e lunghi, come un lugubre manto, attaccati addosso. La mia mano si dirige in prossimità della cartina, facendo per rubargliela. Ma lui ritrae la mano di scatto. Mi guarda in viso, ci scambiamo uno sguardo che sembra durare un'eternità, sotto il palpito della pioggia. Improvvisamente ho come la sensazione che l'aria si sia fatta densa ed irrespirabile, come miele.
Ma dopo un momento di stasi quasi ieratica le sue dita – pollice e medio- con ancora il filtro intrappolato tra di loro sapientemente, si accosta alla mia bocca lentamente, e questa si apre con la stessa lentezza, per suggere il fumo ad occhi socchiusi. Sento le sue dita che si adagiano sul labbro inferiore. E' meno di un attimo. Ma è un'elettricità potente dentro di me, come se fossi caricata a molla. Quella sensazione di apnea si fa più pesante, all'improvviso, e mi sembra di essere dentro una fornace, nello spazio limitato di quei secondi. <Sarà la canna che hai lasciato in camera mia...> lo dico piano, come se non ne fossi certa, espirando il fumo lentamente ad ogni parola, sbattendo le palpebre all'indirizzo dello sguardo di lui, per poi proseguire <Ma quando sono vicino a te mi sento animata da una scossa...> sussurro piano.
Non saprei spiegarlo meglio in quel momento, lì, in piedi davanti a lui, mentre la mia mano si presta questa volta alla bottiglia di vodka da cui prendo un sorso abbondante. Uno solo, che mi scalda fino allo stomaco, bevendo con parsimonia, come ho sempre fatto, da buona umana. Ma è pensando quella parola che la mia certezza crolla.
<Non sono una semplice umana vero...?> sembra un'affermazione mentre lo dico; e nel momento in cui lo pronuncio il cordino a cui ho lasciata attaccata la moneta sembra pesare al punto che mi costringo a stringerlo in un pugno ,nascondendo la moneta per qualche momento.
<Beh lentiggini...Mi hai chiesto di lasciarti in pace, ma come ti ho detto già, non credo sia il destino, quanto più un disegno più ampio a cui non possiamo sottrarci per il bene umano vero e proprio...>
Tra le mie labbra, a pugni e spinte, si fa strada un pensiero ad alta voce, pensato silenzioso ma troppo arrogante per rimanere ad aspettare in un angolo della mente, pensando alla patina con cui il ricordo si è spezzato, qualche ora prima. Una cortina di fiamme durata un momento e che ha calato il sipario sulla percezione cosciente di me.
<...deve cambiare radicalmente e lo farà attraverso il fuoco che purifica ogni cosa... Ma in questo c'è sia liberazione che condanna...>
<Che cazzo hai detto?> sembra stranito, quasi divertito mentre lo dice. Scuoto il capo in segno di diniego. Ma mentre ripenso a tutto ciò che mi ha detto Maeve, la cartomante, Shabat – così come il mio istinto mi ha detto di battezzare quell'animale apparso dal nulla, da un momento di rabbia- si avvicina alle mie gambe, avvolgendole nella sua coda vaporosa e sfregando il muso sulle mie ginocchia, cercando i miei occhi che in una sorta di magnetismo vengono attratti dai suoi, inspiegabilmente. <Niente...> lo dico con una mite rassegnazione, sembrerebbe. Ma mentre ricambio lo sguardo di quell'animale, so che lei è il dono della mia rabbia, e se quello che la cartomante ha detto è vero, quell'uomo purificherà il mio cammino e sarà il perno del mio cambiamento. Lo penso con la lucidità del tossico, e so che domani me ne sarò dimenticata, ma è mentre le mie labbra si piegano in un sorriso che dico. <Ordiniamo una pizza?> richiamata alle esigenze immediate non dallo stomaco che brontola ma dalla necessità del thc. <Intanto puoi stare in mansarda, c'è una stanza in più. Sembra che tu sia l'unico a cui possa affidarmi per quello che sta succedendo. E puoi iniziare a spiegarmi per esempio cosa sono...> guardo prima la volpe e poi il margay, voltando il capo a destra e sinistra mentre si annusano e iniziano a girarsi attorno in cerchi sempre più stretti, con mugolii animaleschi e delicati. <...loro.>
Passa un'ora, circa. Arriva la pizza, mangio voracemente e racconto tutto ciò che posso, fino al momento del rapimento di Asher, fino all'arrivo a New Orleans e all'incontro con lui.
<Però voglio pensarci domani...> lo dico delicatamente, scuotendo la testa mentre mi passa la canna che ho rollato io questa volta. La tengo in mano forse più del dovuto fino a che me la strappa di mano , sporgendosi sopra il tavolo e dicendo. <Beh dopo aver sentito un sacco di cazzate sul tuo marito scomparso direi che possiamo uscire a festeggiare.>.
<Ci metto un attimo.>, mi alzo in piedi e barcollo, inciampando sulla poltrona e andando in camera. Metto qualcosa di asciutto, le mie all star blu ed un abito smanicato che arriva sino alle cosce, nero, estivo, che ricalca abbastanza bene la figura, legando i capelli in una coda alta, senza nemmeno truccarmi.
Non ricordo più tanto bene, so solo che lui mi segue scoglionato per New Orleans, per il luna park, dove sparo a delle lattine, vincendo un enorme peluche, accompagnati dalla nube onnipresente dell'erba. E' molto buio, c'è musica, e io sono in aria, totalmente in aria. Anche mentre mi giro a cercarlo e lo vedo parlare con la ragazza dell'altra sera, in modo fitto, mentre seguo con gli occhi lo scivolare della mano di lei sui suoi calzoni, al riparo della bancarella dello zucchero filato, e il bicchiere di birra che tiene in mano si inclina pericolosamente fino a versarsi sui loro piedi, lo vedo ridere. Sono qualche metro in la, in silenzio. Poi penso che lascerò la porta aperta e mi volto, tornando a quella che mi sembra doveroso – costretta dalle circostanze – chiamare casa.
Parte slegata
Mi alzo di soprassalto.
<Ma lo sai che cazzo di ore sono.>lo dico con la voce roca, sporgendomi a cercare l'abatjour mentre vedo la sua figura aggirarsi per la mia stanza. Ormai mi sembra di conoscerlo dall'odore perenne della canna che lo accompagna, mentre lui si anima improvvisamente, illuminato dalla luce della cartina che brucia.
<Shh la svegli!>
<Ma chi.>
<Quella.>
lo guardo in volto in silenzio per qualche momento. Ho ancora gli occhi appiccicati dal sonno. Mi tiro su il lenzuolo addosso, consapevole della mia nudità sotto il lenzuolo, visto il caldo afoso che giugno sembra aver portato
<Non sai nemmeno come si chiama vero?> lo dico con un tono infastidito, mentre accendo la luce notturna e la mia camera dai neutri colori sabbia si illumina fiocamente mostrando il suo corpo quasi nudo, eccezion fatta per i boxer. Lo vedo sporgersi dalla porta, ascoltando il silenzio della casa, sporgendosi all'esterno per poi richiudere la porta.
<Certo che no, con due tette così non ha bisogno di un nome>
Mi strofino gli occhi con la mano, cercando la sveglia con gli occhi e alzando le sopracciglia mentre cerco di mettere a fuoco i numeri a led che piano piano si stabilizzano sul piccolo schermo.
< Cristo santo sono le tre del mattino!> <Abbassa la voce!>lo dice in un sussurro concitato, gesticolando mentre fuma nervosamente, sedendosi scomposto poi dal lato libero del letto matrimoniale.
<Perché cazzo non l'hai cacciata fuori come hai fatto con tutte le altre.>
<Ma che ne so. Non ho fatto in tempo a riempirla che si è addormentata! Cazzo non credevo di avere questo effetto soporifero.>
<Quindi?> lo ripeto come se non dovesse essere affar mio, tirandomi il lenzuolo addosso e cercando la maglietta dispersa in un attacco di nudità estivo al di sotto delle lenzuola. <Lo sai vero che mi sono addormentata un'ora fa vero? Perché la tua amica urlava come una cornacchia...vero?> sento l'incazzatura farsi strada nella mia voce, secondo dopo secondo mentre trovo la maglietta e me la infilo con una serie di contorsioni sotto il lenzuolo, lamentandomi.
<Non la definirei proprio una cornacchia, quanto un soprano mancato.> lo vedo fumare mollemente con la strafottenza e la pacatezza di chi non ha di meglio da fare. <Ma torna di la cazzo! Perché non sei di la?!>lo dico con un tono esasperato stemprato in un sospiro, lasciandomi cadere sul cuscino e scalciando le lenzuola.
<dorme>
<e dormi anche tu> allargo le braccia in segno di protesta.
<che schifo, no!>
<e perchè lo stai cacando a me?> rinuncio a dormire in quel preciso istante, prevedendo la sua risposta dopo un mese di convivenza o poco più cercando il pacchetto di sigarette sebbene la mia voce sia ancora roca e non abbia bevuto nemmeno un sorso d'acqua.
<perchè hai da fare?>
<Vorrei dormire ma sei qui a rompere >
<perché io non dormo con nessuno> lo dice con un tono da conte, spegnendo la cicca della canna rollata a mano nel posacenere e sprimacciando già il cuscino con precisione chirurgica.
<ma stai per infilarti nel mio letto>
<quello che credi non è RILEVANTE. E in ogni caso non sei una donna, sei un manico di scopa.> Lo fisso in silenzio con il miglior sguardo acido che riesco a sfoderare in quel momento, immobile con la sigaretta appesa alle dita, in attesa di essere consumata. <ah>.
<Spegni quella luce.>
<Pure!>
<Dai domani TI PREGO...> il suo tono si fa implorante e mentre continuo a guardarlo , prendendo l'ultima sorsata di nicotina dal filtro. <fingeresti di essere la mia ragazza che torna a casa ed entri in stanza in preda ad un attacco isterico? Uno di quelli come...> sembra rifletterci anche, come cercando la miglior risposta, o performance, per poi trovarla nei ricordi, probabilmente, e continuando <come quando te lo appoggio!>
<Cristo santo chiudi quella fogna e dormi.>
<Mmmhhh mi piace quando sei sboccata.>
<Ora ti sbocco io con un pugno se non dormi.> sporgo la mano verso la luce e la spengo con uno scatto del polso. Stiamo in silenzio ognuno dal suo lato del letto.
<Dai ti prego...>
<E tu che mi dai?> lo chiedo piccata, con uno strepito nel buio, tirandogli anche una mezza gomitata mentre mi volto su un fianco, afferrando sotto il gomito anche i miei capelli sciolti.
<Ti libero dalla mia presenza per un giorno intero.>
<Ma vaffanculo. Buonanotte.>
<Buongiorno semmai.>. Sto in silenzio. Cerco di prendere sonno, iimmobile. Fuori albeggia, gli uccelli iniziano a cinguettare vicini alla finestra. Apro gli occhi, e sono passati meno di cinque minuti da che ho posato la testa sul cuscino in un vano tentativo di riposare. Sbuffo. Prendo il telefono e sblocco lo schermo inserendo il codice.
<Cosa fai?>
<Punto la sveglia.>
Lo sento ridacchiare.
<A tra poco.>
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