#segni del tempo
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L'estetica e la bellezza: l'importanza della medicina estetica per il benessere psico-fisico
La medicina estetica è la branca della medicina clinica che cura il benessere psico-fisico dei pazienti. I pazienti che si rivolgono al medico estetico migliorano la qualità di vita risolvendo un inestetismo o un’imperfezione della pelle, mitigando i segni del tempo. Tale definizione di medicina estetica è in linea con la definizione di Salute come “stato di completo benessere fisico, mentale e…
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#aumento del volume labbra#bellezza#benessere psico-fisico#caratteristiche inestetiche#dolorabilità#fisionomia#imperfezione della pelle#inestetismo#perdita di peso#ringiovanimento della pelle#rughe#salute#segni del tempo#trattamenti estetici
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I segni del tempo © Tiziana Loiacono
#photographers on tumblr#conceptual#portrait#sculpture#ancient art#classical antiquities#classical art#dark
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QUA CI SAREBBE STATO UN TITOLO ALTISONANTE MA QUESTA VOLTA NO
Trovo difficile spiegare quello che sto per raccontarvi, non perché provi vergogna o esitazione ma perché ho impiegato 23 giorni a capire cosa stesse succedendo e tutte le volte che mi fermavo con l'intenzione di parlarne, sentivo che le parole scritte non avrebbero reso il senso di quello che stavo provando.
Questa volta lo butto giù e basta, ben consapevole che le parole immiseriscono ciò che una volta fuori dalla testa non sembra poi così universale o interessante.
L'errore più grande che ho fatto in questi cinque anni (conto un anno prima della pandemia ma forse sarebbero pure di più) è stato credere di avere un equilibrio emotivo tale da poter prendere in carico i problemi e le sofferenze delle persone della mia famiglia.
Non solo, mi sono fatto partecipe e a volte risolutore dei problemi dei miei amici e una volta che sono stato in gioco mi sono reso disponibile ad ascoltare chiunque su questa piattaforma avesse bisogno di supporto, aiuto o di una semplice parola di conforto.
Ho sempre detto che una mano tesa salva tanto chi la stringe che chi la allunga e di questo sono ancora fermamente convinto.
Ma per aiutare qualcuno devi stare bene tu per primo, altrimenti ci si sorregge e si condivide il dolore, salvo poi cadere assieme.
In questi anni ho parlato molto di EMPATIA e di sicuro questa non è una dote che mi manca ma c'è stato un momento - non saprei dire quando e forse è stato più uno sfilacciamento proteso nel tempo - in cui non ho potuto fare più la distinzione tra la mia empatia e la mia fragilità emotiva.
Sentivo il peso, letteralmente, della sofferenza di ogni essere vivente con cui mi rapportavo... uno sgangherato messia sovrappeso con la sindrome del salvatore, insomma.
Sovrastato e dolente.
Mi sentivo costantemente sovrastato e dolente e più provavo questa terribile sensazione, più sentivo l'impellente bisogno di aiutare più persone possibile, perché questo era l'unico modo per lenire la mia sofferenza.
Dormivo male, mi svegliavo stanco, mangiavo troppo o troppo poco, lasciavo i lavori a metà e mi veniva da piangere per qualsiasi cosa.
Naturalmente sempre bravo a dispensare consigli ed esortazioni a curare la propria salute mentale ma lo sapete che i figli del calzolaio hanno sempre le scarpe rotte, per cui se miagola, graffia e mangia crocchette, bisognerà per forza chiamarlo gatto.
E io l'ho chiamata col suo nome.
Depressione.
La mia difficoltà, ora, a parlarne in modo comprensibile deriva da un vecchio stigma familiare, unito al fatto che col lavoro che faccio sono abituato a riconoscere i segni fisici di una patologia ma per ciò che riguarda la psiche i miei pazienti sono pressoché tutti compromessi in partenza, per cui mi sto ancora dando del coglione per non avere capito.
All'inizio ho detto 23 giorni perché questo è il tempo che mi ci è voluto per capire cosa sto provando, anzi, per certi aspetti cosa sono diventato dopo che ho cominciato la terapia con la sertralina.
(per chi non lo sapesse, la sertralina è un antidepressivo appartenente alla categoria degli inibitori della ricaptazione della serotonina... in soldoni, a livello delle sinapsi cerebrali evita che la serotonina si disperda troppo velocemente).
Dopo i primi giorni di gelo allo stomaco e di intestino annodato (la serotonina influenza non solo l'umore ma anche l'apparato digestivo) una mattina mi sono svegliato e mi sono reso conto di una cosa.
Non ero più addolorato per il mondo.
Era come se il nodo dolente che mi stringeva il cuore da anni si fosse dissolto e con lui anche quell'impressione costante che fosse sempre in arrivo qualche sorpresa spiacevole tra capo e collo.
Però ho avuto paura.
La domanda che mi sono subito fatto è stata 'Avrò perso anche la mia capacità di commuovermi?'
E sì, sentivo meno 'trasporto' verso gli altri, quasi come se il fatto che IO non provassi dolore, automaticamente rendesse gli altri meno... interessanti? Bisognosi? Visibili?
Non capivo ma per quanto mi sentissi meglio la cosa non mi piaceva.
Poi è capitato che una persona mi scrivesse, raccontandomi un fatto molto doloroso e chiedendomi aiuto per capire come comportarsi e per la prima volta in tanti anni ho potuto risponderle senza l'angoscia di cercare spasmodicamente per tutti un lieto fine.
L'ho aiutata senza che da questo dipendesse la salvezza del mondo.
Badate che non c'era nulla di eroico in quella mia sensazione emotiva... era pura angoscia esistenziale che resisteva a qualsiasi mio contenimento razionale.
E ora sono qua.
Non più 'intero' o più 'sano' ma senza dubbio meno stanco e più vigile, sempre disposto a tendere quella mano di cui sopra - perché finalmente ho avuto la prova che nessun farmaco acquieterà mai il mio amore verso gli altri - con la differenza che questa voltà si cammina davvero tutti assieme e io sentirò solo la giusta stanchezza di chi calpesta da anni questa bella terra.
Benritrovati e... ci si vede nella luce <3
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Denti
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"Devi andare…"
Si era infilata sotto le coperte, nuda. Aveva fatto l’amore. Era andato tutto come doveva andare, aveva finto. Come sempre. Ed eccolo lì quello sguardo, quell'insofferenza, quel disinteresse. Glielo leggeva negli occhi come lo aveva visto in tutti gli altri. Non faceva quasi più male. Sgattaiolò fuori dal letto, senza dire nulla e si rivestì. Aveva la mente straordinariamente lucida e distaccata, indifferente. Una cena, un uomo, del sesso, il copione sempre uguale. Non serviva tirar fuori le emozioni, per una cosa così, gli uomini non le vogliono. Si impara a non darne, si impara a nasconderle, a camuffarle perché nessuno te le cerca: si può anche farne a meno.
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Il calore effimero di quelle ore stava già sparendo dal suo corpo, al cuore non era neppure arrivato vicino. Sentiva che non lo avrebbe più rivisto e forse ne avrebbe scordato presto anche il nome. Peccato, pensò. Perché questo almeno aveva un sorriso bellissimo in cui per un attimo si era persa, fantasticando di poter restare ed essere la benvenuta. Ciò che aveva imparato sugli attimi era ormai diventato il suo credo: gli uomini ti arrivano in un attimo, bruciano in un attimo e in un attimo spariscono, non bisogna affezionarsi alle meteore. Si infilò il cappotto mentre lo guardava aprirle la porta.
"Allora, ciao" – le disse
"Buonanotte" – rispose lei
Agli addii spesso non serve altro. Nemmeno girarsi per guardarsi un’ultima volta. Se scegli di restare estraneo, lo resti sempre per chiunque. E lei rispettava le loro scelte, sparendo come gli attimi di cui conservava i ricordi e che le avevano tolto il futuro. Non era più tempo di illusioni, l’amore è solo una favola che ti racconti, addosso lascia solo segni.
[2015©Yelena b.] www.yelenabworld.tumblr.com
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"Il sorriso è un gesto di clemenza del silenzio." (Achille Bonito Oliva)
Scusami. Ti scrivo solo per dirti questo: scusami. Ieri sera, mentre facevamo l’amore ho avuto paura: mi stavi mangiando pian piano il cuore e capivo che stavo innamorandomi di te, del tuo muoverti con disperata grazia su di me, del tuo odore e del tuo sapore. Delle tue labbra, che pur assaggiavo e gustavo. E ho avuto paura. Oggi capisco che mi sei entrata nelle vene.
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Forse abbiamo corso troppo. Non c’è stata progressività: ci siamo conosciuti in rete e siamo finiti quasi subito a letto. Il forte bisogno di sentirsi cercati e accettati fa perdere il senno a chiunque. Siamo partiti dalla coda. E tu allora scrivimi o telefonami: interrompi il freddo insopportabile del silenzio che circonda entrambi da ieri.
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Ho avuto paura perché pur stando con me, godendo finalmente entrambi dei nostri corpi, ieri tu facevi sesso con molta rabbia. Sembrava volessi farmi scontare le colpe di un altro uomo. Eri la portavoce guerriera dell’intero genere femminile nella sacra crociata contro quello maschile. Ma io non sono il nemico di nessuno. Semmai, sono nemico dell'odio. Sono un uomo solo apparentemente sicuro di sé, mentre invece custodisco e nutro senza dovermene vergognare una mia timida delicatezza interiore.
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Ameresti la mia variegata fragilità d'animo, se la conoscessi. Vorrei solo vedere i tuoi denti, le tue labbra schiudersi per farmi partecipe di un tuo prezioso, raro e soprattutto autentico sorriso. Non quello formale, da geisha, per i clienti del tuo studio, ma quello vero. Che t'esca spontaneo semplicemente perché sei contenta, proprio felice dentro di vedermi. E di essere finalmente desiderata da un uomo: perché non è ancora peccato desiderare una donna, né lo è godere nell'essere oggetto di brama maschile.
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Non è comune per me desiderare una donna qualsiasi e ieri c’è stata per il mio cuore una rivoluzione copernicana. Sul mio cammino ho trovato te. Non può essere un caso. Si: ho avuto paura di innamorarmi di nuovo. Si ha sempre paura, di qualcosa che si scopre di amare. Paura di perderla, paura di essere vulnerabile. Ancora curo le bruciature profonde e dolorose di due anni fa. E anche tu hai avuto l’anima lacerata. Sebbene tu non mi abbia ancora detto molto a riguardo.
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Iniziamo da capo, col piede giusto: vuoi? Vediamoci stasera, magari domani o doman l’altro; che ne dici del weekend? Mi urgi. Decidi tu e per favore conosciamoci meglio. Schiudiamo le porte dei nostri pudori offesi. Spezziamo la cortina silenziosa che ci circonda. Non ti dirò più “devi andare.” E rinnovo la mia richiesta di scuse per averlo detto. Che vero cafone!
Provo vergogna. Sin da ora ti prego di venire e restare quanto vuoi, con i tuoi pensieri sdraiati sul mio torace: li accarezzerò e ti farò sentire a casa, protetta, coccolata. Mia veramente, stavolta. Mia. È il nostro autunno. E la vita in fin dei conti è solo un lentissimo, inconsapevole scivolare verso la fine. Accompagnami: insieme sarà più dolce.
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RDA
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Islamisti vogliono cancellare il Natale anche in Italia...
L’Italia è sotto attacco, un attacco silenzioso ma devastante che minaccia di cancellare la nostra identità culturale e religiosa. Guardiamo alla Siria, dove i jihadisti hanno già compiuto un atto di barbarie inaudita: le decorazioni natalizie ad Aleppo sono state rimosse, un preludio inquietante che ci mette in guardia su cosa potrebbe accadere qui se non agiamo con decisione. L’immigrazione islamica regolare, lungi dall’essere un arricchimento, è diventata un pericoloso cavallo di Troia per l’islamizzazione del nostro paese. L’arroganza e l’ignoranza hanno raggiunto nuovi livelli di follia. Il giornale “Il Domani” ha avuto il coraggio di etichettare il presepe, simbolo sacro della nostra tradizione cristiana, come rappresentazione di “una comunità escludente e razzista”. Questo è un insulto non solo alla nostra fede ma anche alla nostra storia millenaria. Se gli islamici in Italia si sentono esclusi dal nostro presepe, dalla nostra cultura, dal nostro Natale, allora è meglio che facciano ritorno alla loro terra. Non siamo obbligati a rinunciare alla nostra identità per fare spazio a chi non rispetta, anzi, disprezza le nostre tradizioni. Questo non è un atto di xenofobia, ma di legittima difesa culturale. L’Italia non può trasformarsi in una succursale dell’islam, dove le nostre festività vengono cancellate per non offendere chi non condivide i nostri valori. La nostra nazione è stata costruita sui valori cristiani; questi sono i pilastri su cui si fonda la nostra civiltà. Permettere che vengano erosi in nome di una falsa integrazione è un tradimento verso i nostri antenati e verso le generazioni future. Ogni giorno che passa, vediamo i segni di questa islamizzazione. Le nostre scuole, che dovrebbero essere luoghi di trasmissione della nostra cultura, stanno già modificando le celebrazioni natalizie per non offendere nessuno. Le nostre città, che dovrebbero risplendere di luci natalizie, rischiano di diventare zone oscurate da un’ideologia che non riconosce la nostra storia. È tempo di dire basta. L’immigrazione islamica regolare deve essere azzerata. Non possiamo permettere che la nostra identità venga diluita o sostituita. Gli italiani devono alzarsi e difendere ciò che è loro, prima che sia troppo tardi. Se vogliamo mantenere l’Italia Italia, dobbiamo proteggerla da chi cerca di trasformarla in qualcosa che non è. Non si tratta di odio, si tratta di sopravvivenza. Se vogliamo evitare che le decorazioni natalizie scompaiano dalle nostre città come è successo ad Aleppo, dobbiamo agire ora. L’Italia non deve diventare un altro capitolo dell’islamizzazione dell’Europa. Tornino a casa loro, se non riescono a rispettare e a vivere con la nostra cultura, con i nostri valori cristiani, con il nostro Natale.
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Esattamente come don Chisciotte, tragica figura del vivere fuori tempo - non fuori dal tempo, ma in un tempo estinto nel presente, in un tempo "altro" - anche lui perfetta incarnazione dell'Anacronismo ("Don Quijote vive in un mondo "abbandonato da Dio", dove l'eroismo è diventato ostentazione grottesca e la fede più profonda è scivolata nella follia"...). Il mondo del Quijote è [ormai] il mondo dell'immanenza ma il suo protagonista tenta costantemente di trascenderlo, votandosi al ridicolo. Si pensi alla lettura foucaultiana di Cervantes, in cui appunto Chisciotte è il rappresentante postumo del mondo dei segni a dell'Analogia (della similitudine) in quello che è ormai invece il mondo del reale e della Rappresentazione.
Marco Revelli (Umano Inumano Postumano)
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I segni del tempo raccontano la tua storia.
Disegnano la verità di te in ogni angolo di corpo e anima.
La meraviglia è in chi saprà leggerti in silenzio e amarti in ogni tua imperfezione.
La meraviglia sarà fare del tempo un alleato prezioso che ti renda ogni giorno migliore.
- Letizia Cherubino, Se non t’incontro nei sogni, ti vengo a cercare
© Stephen Carroll / Trevillion Images
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Un sogno che sembrava troppo reale
PARTE OTTAVA
L’indomani mi svegliai presto, i miei pensieri ritornavano al mio accoppiamento proibito, mi sentivo sfrenatamente animalesca. Dicky mi aveva presa e riempita con il suo sperma caldo che pulsava ancora dentro di me. Era tutto sbagliato ma incredibilmente erotico. Mi alzai per preparare la colazione per tutti: Me, Carla e il cane. Non appena entai in cucina, Dicky si alzò per salutarmi scodinzolando e si strofinò contro le mie gambe nude. Un brivido mi percorse la schiena. Lo guardai e il mio cuore sussultò... poteva vedere la punta rosa già sporgente. Mi voleva di già? Mi allontanai con il cuore che mi batteva a mille, spero che Carla non se ne accorga, pensai. Dcky mi seguiva con gli occhi affamati fissi sull’apertura della mia veste, mi strinsi la vestaglia attorno al corpo sentendo un involontario impulso di eccitazione. Trovavo l’idea stranamente eccitante, un segreto colpevole che non riuscivo a controllare. Proprio in quel momento entrò Carla, già pronta per uscire, mi disse che aveva una riunione importante al lavoro a cui non poteva mancare e mi supplicò di tenergli ancora il cane fino a sera, quando sarebbe tornata. Dicky era contento di vedere la sua padrona, ma non con lo stesso entusiasmo che provava per me. Sentii un'enorme ondata di sollievo e non solo, direi molto più lussuria. Io e Dicky ci guardammo leccandoci le labbra, eravamo affamati, sentì il calore aumentare dentro di me, mi tolsi la vestaglia, m’inginocchiai, Dicky capì subito e subito si avventò su di me, in un batter d’occhi mi fu sulla schiena, la sua pelliccia sulla sua carne nuda, sembrava tutto così... naturale. Mi sentivo assolutamente malvagia, presa come una cagna in calore a quel pensiero venni di brutto, mentre Dicky lo spingeva dentro riempiendomi. Era tutto cosi sbagliato ma mi piaceva enormemente lo stesso e tremavo alla consapevolezza di ciò. Ero sul pavimento a faccia in giù con il peso di Dicky che mi teneva ferma. Mi sentii riempire, avvertivo ogni pulsazione del suo cazzo che pompava sperma bollente, cercai di muovermi, ma non potevo. Dicky era saldamente ancorato a me e aveva le zampe anteriori avvolte strettamente attorno a me. Ero totalmente sotto il suo controllo. Sentii i suoi artigli affondarle nei fianchi. Stava lasciando altri segni, altre prove del suo possesso. Questo mi fece andare di nuovo oltre il limite. L'audacia, la sensualità, il tabù, l'abbandono sfrenato, la tagliente consapevolezza di quanto sarebbe stato difficile mantenere questo segreto, soprattutto a Carla, mi dimenavo con l'eccitante mix di emozioni che m’inondavano, mi procurano un altro orgasmo travolgente. Alla fine, sentii Dicky scivolare fuori liberandomi. Sentì la sua pelliccia contro di me che mi lasciava... parte di me volevo che continuasse. Volevo di più...
Proprio in quel momento squillò il telefono! Scossa dalle sue fantasticherie, balzai in piedi e risposi, con il fiatone era Roberta una mia amica che mi comunicava che sarebbe stata da me tra dieci minuti. Avevo la testa ancora annebbiata di tutto quello che era successo. Fui presa dall’ansia avevo pochissimo tempo per darmi una sistematica, corsi in camera indossai un prendisole, delle mutandine e un paio di sandali, ma mentre stavo a metà sala pronta per uscire, arrossì di colpo, quando sentì un improvviso flusso umido tra le sue gambe. Ero piena di Dicky. Non c'era tempo per pulire. Tornai di corsa in bagno, pensando velocemente, mi misi un assorbente e corsi subito fuori , Roberta era già lì che mi stava aspettando, con un sorriso sornione stampato in faccia. Aveva ipotizzato che stessi scopando con qualcuno che mi fossi rimorchiata. Sbigottita, chiesi che cosa glielo facesse pensare, e lei di rimando: “Ti si legge in faccia, il tuo sguardo da stralunata di chi ha appena fottuto, e poi come ti sei vestita, un prendisole sexy e senza reggiseno”. Arrossii fino alla punta dei piedi, ma non gli dissi nulla. Mi sentivo i graffi sui fianchi e l’umido che mi pulsava tra le gambe, i capezzoli irrigiditi, era difficile mantenere quel segreto e un nodo di preoccupazione mi attanagliò lo stomaco. Nel centro commerciale Roberta non la smetteva d prendermi in giro per la mia scopata mattutina che lei aveva interrotto. Pensai che se solo avesse saputo la verità…Ero veramente felice di fare shopping ero in giuggiole per l’incredibile orgasmo che Dicky mi aveva fatto provare, ero in uno stato di grazia e di grande eccitazione, ma allo stesso tempo ero imbarazzatissima perché ero piena di sperma di Dicky . Era un ricordo martellante di ciò che avevo fatto e che sarebbe di nuovo successo. Quando tornai a casa, mi accorsi che avevo comprato tantissima roba senza che me ne fossi accorta, ero carichissima, andai in camera per trovare un po’ di sollievo. Dicky era euforico e pimpante, mi saltò addosso con insistenza, cercando di infilarmi il muso sotto il vestito,ero tentata, mi morsi il labbro, nemmeno in un attimo e Dicky mi placcò spingendomi a terra, mi voltai, lottai con lui , deliziandomi del suo desiderio invadente. Sentivo la sua durezza contro la mia gamba nuda. L'eccitazione era travolgente. Il desiderio animale di Dicky era immensamente erotico. Mi voleva ed era intenzionato ad avermi. Mi ritrovai di nuovo in ginocchio, mi strappai le mutandine fradice e mi offrii a lui.
Era tutto così animalesco, mi ero trasformata in una cagna in calore. Rabbrividii quando lo sentii strisciare sulla sua schiena, la sua pelliccia sfregava contro il mio sedere nudo, spinsi indietro per incontrarlo. "Sono tutta sua”, sospirai. Ero così sottomessa. L'animale chiedeva e io rispondevo. Sussultai quando sentii la punta dura e appuntita trovare la mia apertura pronta, tremavo mentre lui entrava in me e lo spingeva. "È fuori controllo", pensai , mentre stavo avendo un orgasmo martellante, "Non potrò mai impedire a Carla di scoprirlo... non mi perdonerà mai", stavo pensando quando ero in preda a tantissimi orgasmi ripetuti. Dicky venne copiosamente dentro di me e dopo avermi tenuta inchiodata a lui per una mezzoretta, se ne usci e mi lasciò sfinita sul pavimento Il resto del pomeriggio vagavo per casa come una zombie, cercando di sistemare la casa. Indossavo solo una sottoveste e non mi ero presa la briga di mettermi le mutandine, quando vidi che Dicky mi guardava con i suoi occhioni da impertinente mentre mi muovevo per fare le faccende domestiche. Sapevo che il mio amante canino era lì ed io ero vestita, ma molto disponibile, la situazione era eroticiasima. Sentivo dentro di me una voglia che non voleva placarsi del tutto. Così quando Dicky mi arrivò alle spalle la mia prima reazione fu quella di aprire le gambe, gli stavo dando l’accesso ma qualcosa mi gelava dentro sapendo che Carla era ne paraggi, dovevo smettere, non ero una macchina del sesso. Dicky insisteva sapendo che gli avrei ceduto, era stato sempre così dopo tutto. Chiusi le gambe e vidi che Dicky si eccitava sempre di più, ma quando ne ebbe abbastanza di quel gioco con il suo peso mi spinse per terra, m’inginocchiai e sentii tutto il suo peso premere sulla mia schiena, le mie proteste si trasformarono in mugolii di piacere. Dentro la mia testa c’era un turbinio di emozioni , ero fuori controllo, volevo godermi al massimo la mia ultima scopata, tra poco Carla me lo avrebbe portato via. Sapevo che Carla ci avrebbe scoperto, non m’importava niente, Dicky era troppo virile, me la sentivo dolorante ma di contro molto calda, non potevo dirgli di no, era il mio padrone, aveva creato in me dipendenza, ma il dolore iniziò a essere lancinante, non potevo farlo ancora. Mi divincolai, e pensai che se gli avessi fatto una sega, forse si sarebbe calmato. Raggiunsi con la mano la sua erezione, mi misi in ginocchio, pompavo con entusiasmo, mentre la sua erezione cresceva. L’eccitazione era più di quanto mi aspettassi , lo guardavo mentre cresceva nella mia mano, godevo nel vederlo eccitato, era tutto perverso e allo stesso tempo dannatamente erotico, mi sentivo la sua schiava, ero di nuovo lì a soddisfare le sue richieste sessuali. Dicky era pronto a scoppiare. Un quel momento un pensiero mi trafisse la mente. Se ora viene schizzerà il suo seme per tutta la cucina, entrai nel panico, non sapevo cosa fare, alla fine mi venne un lampo, l’unica cosa da fare era prenderglielo in bocca. Strinsi le labbra sulla sua erezione, mi scoppiò in bocca, cercai di deglutire il più velocemente possibile, bevvi quello che potevo il resto lo riversò sul mio corpo e sul pavimento. Limitai di molto i danni.
Pulii alla ben meglio tutto, finii mentre sentii suonare i campanello. Ero in panico totale, era sicuramente Carla. Mi ricomposi in fretta, ingoiai quello che era ancor rimasto nella mia bocca. Carla entrò con un sorriso stampato sul suo bel faccino, la mia testa mi scoppiava mentre si stava avvicinando a me, m’irrigidii, mi scoprirà di sicuro, sentirà l’odore dello sperma di cane su di me. Il mio viso bruciava di vergogna, cercai di allontanarmi, ma Carla veniva sempre più vicina, abbassai gli occhi non riuscivo a reggere il suo sguardo. Mi chiese se ci fosse qualcosa che non andasse. Non potevo più indietreggiare, ero con la schiena contro il muro. Ormai era la fine. Era vicinissima a me, mi accarezzò una guancia, mi sentivo svenire, una scarica elettrica mi percorse la schiena, si appoggio con il suo corpo su di me, mi fissava, ero ipnotizzata, non opponevo nessuna resistenza, sembravo un automa, mi premette le sue labbra sulle mie, la sua lingua si faceva strada, aprii le labbra sentì la sua lingua scivolare nella mia bocca. All'improvviso, la mia vergogna e la mia esitazione furono sopraffatte da una sensazione completamente diversa... pura lussuria! All'improvviso era totalmente erotico. La mia bocca era ancora impastata dello sperma di Dicky, sorrisi in modo malvagio e lussurioso, tra le gambe mi sentivo colare i succhi di Dicky ero ancora piena di lui.
Sentivo il corpo di Carla premere contro il mio. Ci baciamo sfrenatamente, avvinghiate ci dirigemmo in camera da letto , ci strappammo i vestiti di dosso, sentivo la sua mano scivolare nella mia figa inzuppata di cane, raccolse lo sperma di Dicky e portò la mano sulla sua bocca, iniziò a leccare avidamente il palmo e poi le dita una per volta. La guardai con estrema lussuria, avvicinai le mie labbra alla sua bocca e ci scambiammo con i baci infuocati quello che rimaneva del seme canino. Mi disse: “Lo voglio bere tutto il seme del mio cane”, si abbasso sentii le sue labbra che me la baciavano e la sua lingua che raccoglieva l’abbondante colata di sperma di Dicky che continuava a fluire da me. Ero al settimo cielo, ero la loro amante e non era più a tenere quel segreto che mi aveva tenuta attanagliata per tutto quel tempo. . Dopo che ebbe finito di pulirmi fio all’ultima goccia ci avvinghiammo e facemmo l’amore e mentre venivo scopata da Carla avevo dei flashback dei momenti passati con Dicky quando mi costringeva a cedergli prendendomi. Ho artigliato Carla selvaggiamente, come un animale e venni, e venni, e venni . Carla giaceva sveglia, mentre sonnecchiavo davanti a lei. Mi guardava e mi accarezzava. Poi mi disse: “Pensavi che non lo sapessi che le cose dovevano andare in questo modo? Lo sapevo fin dall’inizio”. Mi abbracciò e mi strinse a sé.” Poi ti racconterò tutto”mi disse. (questa sarà un’altra storia).
P.S.
(1) Pubblicato da me Pestifera (la sua compagna) sul suo profilo, secondo le sue volontà, perchè Micia è impossibilitata per il momento a farlo.
(2) Qui chiudo la mia presenza su questo profilo avendone uno personale. Non mandate messaggi perchè non userò più questo profilo. Quando Micia guarirà e spero presto, ve ne accorgerete perchè posterà i suoi capolavori.
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Non sono bello, non sono ricco e tendenzialmente la barba è del tutto bianca, ma forse è un bene ricopre le rughe e i segni del tempo, che non è mai generoso come qualcuno vi lascia intendere. Guardo il mondo con occhi diversi, ho avuto le mie belle scopate, furiose ma anche frettolose...ed è passato parecchio tempo. Le sbornie colossali sono ormai un antico ricordo, a volte bevo ancora più del necessario, più per restare ancorato ai ricordi che per eliminarli...come è capitato di fare. La nicotina resta un brutto vizio, uno di quegli amori tossici di cui non riesco a liberarmi del tutto. E sono malato di quel profumo, quel sorriso, quel modo di parlarmi che ha il sapore della vaniglia che a poco a poco si infrange tra quelle gambe dove anche l'uomo più austero al mondo si perderebbe per quanta dolcezza emanano. Pelle come la luna, labbra rosse che ti strappano ogni volta la voglia di morderle...e provare piacere toccando quei seni delicati...rosei che profumano di latte dove puoi solo sperare che non finisca mai quel momento!
È una donna, una bambina, un mistero che non mi lascia dormire...un rifugio segreto...la vita che mi deve ancora qualcosa!
Domiziana
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I segni del tempo ©Tiziana Loiacono
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Mi ci rivedo molto in quello che hai raccontato sulla depressione e sull'effetto della sertralina... anche io avevo tanta paura di non essere più me stessa e invece forse si potrebbe quasi dire che mi ha permesso di essere più me stessa di quanto non lo sia mai stata... ora però ho un'altra paura: cosa succederà quando smetterò di prenderla? In questi anni di psicoterapia ho veramente imparato qualcosa o sto meglio solo ed esclusivamente grazie al farmaco? Tornerò ad essere schiacciata dal mondo come prima? Questa ora è la mia paura...
Questo è il più antico degli ask del periodo strano (era il 7 Maggio) e pur avendolo letto, ho dovuto aspettare tutto questo tempo per rispondere.
Perché?
Perché ancora una volta mi sono preso del tempo per capire cosa voglia dire 'essere se stessi' e chiedermi se, in fondo, anche il dolore di essere alla fine non faccia parte di questo.
Cerco di farti capire: a figlia piccola (22 anni) qualche mese fa è stato diagnosticato un disturbo borderline di personalità di lieve gravità, per un certo periodo ha assunto quetiapina con notevole beneficio e qualche settimana fa ha chiesto alla psichiatra se poteva sospenderla. L'interruzione non ha creato problemi e lei adesso lavora e vive i suoi rapporti affettivi interpersonali in modo equilibrato e sereno.
Ci sarebbe riuscita senza quetiapina?
Non credo.
Il merito è solo della quetiapina?
NO. Il farmaco le ha permesso di ritrovare quell'equilibrio necessario a riordinare la propria visione del mondo e del suo posto in esso ma se non ci fosse stata a monte volontà di equilibrio, il farmaco da solo sarebbe stato inutile.
A me sta aiutando la sertralina?
Può darsi che non ne avessi più bisogno perché, come mia figlia, penso di aver trovato un mio equilibrio
MA
è ancora un periodo molto strano e delicato... e ora vi dico perché.
Il 28 Giugno - una settimana dopo il mio compleanno - la mia compagna esegue una TAC del campo polmonare perché fumatrice di lunga data... i polmoni sono abbastanza decenti ma ai limiti del campo radiografico
In sede paravertebrale destra, sviluppata a ridosso dei somi di D11, D12 ed L1 si osserva tessuto solido amorfo, con diametri assiali di circa 72 x 17 mm ed estensione cranio-caudale di circa 62 mm, senza segni di diretta infiltrazione delle strutture adiacenti in particolare degli emisomi vertebrali e degli archi posteriori delle coste, meritevole di approfondimento diagnostico con PET/TC e valutazione in ambito specialistico (malattia linfoproliferativa?).
Tradotto in parole povere, tra i reni e le vertebre c'è una massa delle dimensioni di un plumcake che anche se non presenta metastasi potrebbe essere un linfoma.
Aprite una parentesi, metteteci dentro la più profonda delle disperazioni cosmiche, e poi chiudetela il 12 Luglio (due settimane dopo) quando la Tomografia a Emissione di Positroni ci dice che il mezzo di contrasto radioattivo non ha rilevato attività neoplastica nella massa amorfa.
Non è un tumore, insomma, e anche se io avevo cercato di far capire a lei e alle mie figlie che il corpo umano non è come le tavole di anatomia e che siamo pieni di cisti, fibromi, displasie, cavità ed escrescenze, quei 15 giorni sono stati pesantucci...
E ringrazio, quindi, di non aver sospeso la sertralina.
La prenderò tutta la vita?
NO
Sto ritrovando il mio equilibrio ma ora ho bisogno di tutte le mie forze per stare accanto alla mia compagna che ha smesso di fumare, di bere ed è pure a dieta, perché c'è chi gli basta la scienza e chi ha bisogno della paura di morire per riuscire a fare di meglio per stare meglio.
Di solito a me basta la scienza ma adesso ho anche un po' di paura che lei mi uccida con un gambo di sedano spalmato di maionese vegana.
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Camminano le donne, camminano sempre e comunque.
E se i piedi fanno male, si tolgono le scarpe
e le portano in mano.
E se la forza viene meno
si fermano un secondo, un istante.
Il tempo di guardarsi intorno, sospirare
e portarsi i capelli dietro le orecchie,
asciugano il sudore dalla fronte, un nuovo sospiro e ricominciano a camminare.
Scavano solchi le donne con i loro passi.
Scavano piccoli solchi dove altre donne metteranno il piede.
Dove le loro figlie riconosceranno l’impronta della madre anche quando ella non ci sarà più.
Ed è proprio così che esistenze che apparivano inutili, che sono passate silenziosamente nel mondo, hanno in realtà scavato i solchi più profondi, quelli scavati nel silenzio, di nascosto.
Hanno scavato solchi diventati abissi, dai quali
con possenti colpi di ali, come splendidi
aironi tra le nuvole, si lanceranno le donne del futuro.
Nulla è inutile, nessuna è per caso.
Donne che nel silenzio, piccole e operose,
hanno lasciato segni perenni nella storia.
Camminano le donne, camminano sempre e comunque.
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IL CORPO DEL DOLORE
Ecco alcuni estratti di Eckhart Tolle tratti dai suoi libri Il Potere di Adesso e Un Nuovo Mondo che spiegano chiaramente cos’è il corpo di dolore, come nasce e come dissolverlo.
COME NASCE IL CORPO DI DOLORE
Qualsiasi emozione negativa che non sia completamente confrontata e vista per quello che è nel momento in cui nasce, non si dissolve completamente. Si lascia dietro un resto di dolore.
I resti del dolore rimasto da una qualsiasi forte emozione negativa non affrontata, non accettata, e quindi non lasciata andare, si uniscono per formare un campo energetico che vive in ogni cellula del vostro corpo. Questo campo di emozioni vecchie, ma ancora molto presenti e che vivono in quasi tutti gli esseri umani, è il corpo di dolore.
Il corpo di dolore è una forma di energia semi-autonoma che vive nella maggior parte degli esseri umani, un’entità fatta di emozioni. Ha una sua intelligenza primitiva, non dissimile dalla furbizia animale, diretta principalmente alla sopravvivenza.
COME SI NUTRE IL CORPO DI DOLORE
Come tutte le forme di vita, periodicamente ha bisogno di nutrirsi, di prendere nuova energia, e il cibo che richiede consiste di energia compatibile con la propria, un’energia che vibra a una frequenza simile. Ogni esperienza emozionale dolorosa può essere usata come cibo dal corpo di dolore; ecco perché prospera con il pensiero negativo così come nel dramma delle relazioni. Il corpo di dolore è dipendente dall’infelicità.
Può essere uno shock quando comprendete per la prima volta che vi è qualcosa in voi che periodicamente cerca emozioni negative, cerca infelicità.
Si nutrirà di ogni esperienza che entri in risonanza con il suo stesso tipo di energia, ogni cosa che crei ulteriore dolore sotto qualunque forma: collera, capacità distruttiva, odio, afflizione, dramma emozionale, violenza, perfino malattia. Il dolore può alimentarsi soltanto di dolore, e una volta che il corpo di dolore si è impadronito di voi, necessitate di altro dolore, e diventate vittime, o persecutori.
La sua sopravvivenza dipende dalla vostra identificazione inconsapevole con esso, nonché dalla vostra paura inconsapevole di affrontare il dolore che vive in voi. Allora può impadronirsi di voi, diventare voi, e vivere attraverso voi. Deve alimentarsi tramite voi.
Cosi il corpo di dolore, quando vi ha posseduto, creerà nella vostra vita una situazione che riflette la sua propria frequenza energetica, perché se ne possa nutrire. Il dolore può solo nutrirsi di dolore. Il dolore non può nutrirsi di gioia: la trova veramente indigesta!
COME SI INNESCA E RISVEGLIA
Se lo considerate un’entità invisibile a sé stante, vi avvicinate molto alla verità. State in guardia per scoprire eventuali segni di infelicità in voi, sotto qualunque forma: può essere il corpo di dolore che si risveglia. Può assumere la forma di irritazione, impazienza, malinconia, desiderio di offendere, collera, furore, depressione, necessità di avere qualche dramma nei rapporti personali, e così via.
Il corpo del dolore emozionale ha due modalità di essere: latente ed attivo.
Può essere in uno stato latente per il 90 % del tempo. Tuttavia, in una persona profondamente infelice, può essere attivo fino al 100% del tempo.
Alcune persone vivono quasi completamente nel loro corpo di dolore, mentre altre possono sperimentarlo solamente in certe situazioni, come nelle relazioni intime, oppure in situazioni legate ad abbandoni o perdite del passato, ferite emozionali o fisiche e così via.
Qualunque cosa può risvegliarlo, specialmente se risuona con uno schema di sofferenza del vostro passato. Quando è pronto per risvegliarsi dal suo stato latente, perfino un pensiero o un’innocente osservazione fatta da qualcuno che vi è vicino lo può attivare.
Il corpo di dolore è un campo energetico, quasi come un’ entità, che si è temporaneamente istallata nel vostro spazio interiore. È energia vitale che è rimasta intrappolata, energia che non sta fluendo più. Ovviamente il corpo di dolore è lì perché sono accadute in passato certe cose. È il passato che vive in voi e se vi identificate con quello, vi identificate con il passato.
L’identità di vittima è credere che il passato è più potente del presente, che è l’opposto della verità. È il credere che altre persone, e ciò che vi hanno fatto, siano responsabili per chi voi siete ora, per la vostra sofferenza emozionale, o per la vostra incapacità di essere chi siete veramente.
SOLO RISIEDERE NEL MOMENTO PRESENTE PUO’ SCIOGLIERE IL DOLORE
Lo schema abituale del pensiero che crea l’emozione è invertito nel caso del corpo di dolore, almeno inizialmente. In questo caso l’emozione guadagna rapidamente il controllo del vostro pensiero e, una volta che la mente è stata sopraffatta dal corpo di dolore, il pensiero diventa negativo. La voce nella testa vi racconterà storie tristi, oppure piene di ansia o di rabbia, su voi stessi o sulla vita, sugli altri, sul passato, sul futuro, o su eventi immaginari. La voce starà incolpando, accusando, lamentandosi, immaginando. E voi sarete così totalmente identificati con qualsiasi cosa vi dica quella voce, credendo ai suoi pensieri distorti. A quel punto, la dipendenza dall’infelicità è in atto.
In ogni momento mantenete il sapere di quel momento, in particolare del vostro stato interiore.
Se vi è rabbia sappiate che c’è rabbia. Se vi è gelosia, difesa, impulso a litigare, bisogno di aver ragione, un bambino interiore che esige amore ed attenzione, o dolore emozionale di qualunque tipo; qualunque cosa sia, sappiate la realtà di quel momento e mantenete questo sapere.
Non cercate nessun altro stato che quello nel quale siete ora, altrimenti metterete in piedi un conflitto interiore ed una resistenza inconscia.
Perdonate voi stessi per non essere in pace. Il momento in cui accettate completamente il vostro non essere in pace, la vostra non pace viene trasmutata in pace. Qualunque cosa accettiate completamente vi porterà lì, vi porterà nella pace. Questo è il miracolo dell’arrendersi. Quando accettate ciò che è, ogni momento è il miglior momento.”
Respira, sii presente, senti l’energia del corpo di dolore, testimonia i pensieri e le emozioni che sono sorte. Non c’è niente di sbagliato in questo momento, sii consapevole del momento. Puoi anche agire ‘in modo negativo’ ma l’importante è che ci sia consapevolezza. E ogni volta il corpo di dolore sarà sempre più debole e la tua presenza sarà sempre più intensa, e la tua gioia sarà sempre più costante e quella ferita primordiale si dissolverà.
Eckhart Tolle
Da la luce nel buio
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“the chinese dress” photo by Fabrizio Pece (tumblr | 500px | instagram)
Le strade lastricate di ciottoli grezzi e le facciate logore dei palazzi antichi costituivano lo sfondo mutevole per la sua passeggiata senza meta. Lei, una figura solitaria in un abito cinese bianco ornato da eleganti pavoni colorati, si muoveva con una grazia discreta, i suoi lunghi capelli lisci e neri scivolavano lungo la schiena come un fiume d'ebano.
Nessuno poteva dire chi fosse o da dove venisse. La città, con la sua atmosfera intrisa di storia e di segreti, sembrava accoglierla con un sussurro sommesso di benvenuto. Era come se fosse destinata a vagare tra le strade tortuose, un'estranea ammaliante in un mondo di sogni e illusioni.
I suoi passi erano misurati, una danza silenziosa tra i vicoli tortuosi e le piazze affollate. Non c'era fretta nei suoi movimenti, solo una calma contemplativa mentre assorbiva l'atmosfera della città che viveva e respirava intorno a lei.
Attraversò antichi vicoli lastricati, dove le pietre portavano i segni indelebili del tempo. Il profumo del pane appena sfornato si mescolava con l'odore pungente del caffè, che si alzava dalle piccole caffetterie nascoste tra gli edifici storici. La vita quotidiana pulsava nelle strade, una sinfonia di voci, odori e movimenti che creava un tappeto vivente sotto i suoi piedi.
La donna bruna si fermò di fronte a una chiesa antica, le sue guglie si stagliavano contro il cielo color turchese. Un sorriso sottile sfiorò le sue labbra mentre osservava i dettagli scolpiti nella pietra, testimoni silenziosi di secoli di storia e devozione umana.
Continuò il suo cammino, incrociando sguardi fugaci con gli abitanti della città. Ogni sguardo raccontava una storia, un frammento di vita vissuta, di speranza e di dolore. C'erano occhi luminosi pieni di gioia e occhi stanchi segnati dalla fatica, ma tutti parlavano lo stesso linguaggio universale dell'umanità.
La luce del pomeriggio si attenuava gradualmente mentre la donna bruna si avvicinava al fiume che attraversava la città. Le acque scure riflettevano timidamente i raggi del sole, creando un gioco di luci e ombre sulle sue sponde. Si sedette sul parapetto di pietra, lasciando che il suono rilassante del flusso d'acqua cullasse la sua mente.
Chissà cosa avesse portato quella donna bruna nelle strade di quella città? Forse era alla ricerca di qualcosa o forse semplicemente seguiva il flusso della vita, senza sapere cosa il destino avesse in serbo per lei. Ma in quel momento, sotto il cielo che si tingeva di arancione e rosso, accanto al fiume che scorreva placido, era semplicemente una presenza, un'anima in viaggio nel labirinto delle esperienze umane.
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“ Sono tornata in volo da Monaco a mezzogiorno, e sono andata dritta in ufficio, ricaricata, al massimo dell'efficienza. Adoro questi viaggi. Quello che adoro in realtà è la mia efficienza. Mi piace far funzionare le cose, sapere come si fa. Mi piace essere riconosciuta, mi piace che mi diano la "mia" stanza, che si ricordino i miei gusti. Durante il week end ho visto degli amici. O meglio, dei conoscenti di lavoro. Poi, lunedì e martedì, la fiera. Quello che mi piace è "controllare" la situazione. Sono piena di energia, mangio esattamente quello che dovrei mangiare, non bevo un sorso di più, dormo poco, corro in giro tutto il giorno. So esattamente come presentarmi, e come usare la mia immagine. Lunedì mattina mi sono vista con gli occhi degli altri, arrivare alla sfilata, sedermi, tutti che mi sorridevano e mi salutavano. E contemporaneamente sono tornata indietro di quindici anni, e mi sono vista con gli occhi di allora, mi sono guardata nel modo in cui io, a trent'anni, guardavo le donne arrivate, le donne che facevano quel lavoro da tempo. Le ammiravo, volevo essere una di loro, e mentre le osservavo, attentamente, nei più piccoli particolari, cercavo anche quei segni di cui loro non si accorgevano di certo, i segni dei processi che avrebbero portato alla loro sostituzione. Altre le avrebbero sostituite, e io sarei stata una di loro. Di quelle donne, una sola è ancora al suo posto, alcune delle altre continuano a lavorare nel campo, con mansioni diverse, però. Ho passato quattro giorni a cercare di capire cosa c'è in me che mi porterà al licenziamento, o a restare in ufficio con mansioni meno gravose, mentre un'altra - chissà chi - farà questi viaggi al mio posto. Non riesco a capirlo, però. L'età, semplicemente? No, l'età non c'entra! La noia, la "mia" noia? No, non posso crederci, non ancora.
Quando sono tornata in ufficio Joyce mi stava aspettando per andarsene a casa: senza mai prendere accordi formali, facciamo in modo che una delle due sia sempre presente in ufficio. Joyce aveva l'aria stanca. Ha detto di avere passato giorni tremendi, in mia assenza, per via del marito, mi avrebbe raccontato tutto, ma non subito, poi se n'è andata. C'era un messaggio di Hermione: diceva di non aver ricevuto il mio, di messaggio, che il lunedì, e che Mistress Fowler si era rifiutata di far entrare l'infermiera. Questo mi ha riportata immediatamente alla quotidianità londinese. Ho lavorato tutto il pomeriggio, al telefono per lo più, poi ho organizzato i fotografi per domani. Ma intanto continuavo a pensare a Joyce. Ho già capito che questa storia con il marito significherà la fine del nostro lavoro insieme, o comunque un cambiamento. Ne sono sicura. Questo mi ha resa depressa e ansiosa, prima ancora di lasciare l'ufficio. Un'altra cosa ho capito come non avevo mai capito prima: che Joyce è la mia unica vera amica. Voglio dire, "amica". Ho un rapporto, con lei, che non ho mai avuto con nessun altro, mai. Di certo non con Freddie. “
Doris Lessing, Il diario di Jane Somers, (traduzione dall'inglese di Marisa Caramella), Feltrinelli, 1986¹ [ Libro elettronico ].
[ Edizione originale: The Diary of a Good Neighbour, Alfred A. Knopf Publisher, 1983 ]
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