#se così possiamo chiamarla
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“Capisco. E allora in cosa credi?”. “Non credo in un aldilà in senso letterale”, disse, tormentando con le dita il suo libro. “O, almeno, in un aldilà posticipato. Penso che l’intera faccenda dell’eternità sia disponibile nel qui e ora. Voglio dire, non è strano, quasi brutto, immaginare di ascendere all’infinito, per non fare nulla? Solo starsene seduti in silenzio, obbedienti? Perché l’immortalità, la divinità, la realizzazione spirituale, o come diavolo vuoi chiamarla, perché non può essere qualcosa che realizziamo qui sulla terra? Affermiamo di volere l’indipendenza, ma siamo troppo spaventati per coglierla quando ci sta fissando in faccia. Perché non ce la prendiamo e basta?”. Mi toccai la tempia. “Io… mi stai chiedendo perché semplicemente non ci prendiamo ciò che desideriamo? Forse perché esiste una morale. Solo perché abbiamo un’anima, e quindi il potenziale per la devozione, non significa che possiamo andare in giro a fare quello che vogliamo”. Evan sorrise con impazienza, come se questo fosse semplicemente un esercizio per guidarmi verso qualcosa che avrei potuto digerire in termini più semplici. “E allora cosa?”. “Allora, si spera, siamo qui per fare ciò che è giusto”. “Ma è proprio questo il punto”. Girò la testa, assicurandosi che nessuno ci stesse ascoltando. “Se siamo, in effetti, la fonte dei nostri stessi valori, allora noi siamo ciò che è giusto. Quei desideri che abbiamo troppa paura di realizzare? Beh, per definizione, sono profondamente morali”. “Beh, questo è… ridicolo”. “Perché è ridicolo?”. “Non lo so”, dissi. “Che ne dici per esempio del fatto che abbiamo il bene e abbiamo il male?”. “Bene e male, virtù e peccato, mitzvah e averàh. Sono termini stantii, Eden. L’obiettività non fa che rafforzare il vecchio modo di pensare, il modo che ci fa procrastinare ed evitare i conflitti. Ma i veri picchi? Questi si trovano nel mezzo”. “Per esempio quali?”, chiesi. “Quali sarebbero questi picchi?”. “Che ne dici per una volta di riuscire a seguire te stesso e le tue inclinazioni e non allontanartene?”. “Sì, beh, mi sembra che intraprendere questa cosa del sé interiore potrebbe essere un po’ pericoloso”. “Qualcosa può essere vero al massimo grado ed essere al tempo stesso pericoloso, no?”. Cominciavo a sentire la nausea. Avrei voluto non averlo mai raggiunto. “Prendi per esempio il sole, Eden”. “Il sole?”. “Più lo vedi”, spiegò, “più la tua visione ne viene distrutta”. “Mi sembra un’analogia piuttosto banale”. “Applicala a Dio, allora. La verità completa acceca. Pensa a I predatori dell’arca perduta”. Lo fissai confuso. “Giusto, dimenticavo, sei come un recipiente vuoto, non hai mai visto un film. Proviamo a dirla in termini che conosci. Pensa alla moglie di Lot che si volta a guardare. Orfeo che si volta a guardare. Gli abitanti di Bet Shemesh che guardano nell’arca. Uzzà che tocca l’arca. L’elenco continua, ma è sempre lo stesso: vedi Dio e sei distrutto”. “Non sempre”, dissi. “Non Mosè”. “Precisamente”. Evan diede uno schiaffo alla scrivania abbastanza forte da guadagnarsi un’occhiataccia dal bibliotecario. Si scusò con un cenno della testa. “Non le persone eccezionali. Loro non si fanno male”. Abbassò la voce fino a trasformarla in un sussurro cauto. “La nostra capacità di sopravvivere alla verità assoluta – e questo è il trucco, Eden, seguimi – la nostra capacità dipende dalla forza delle nostre anime. E la forza delle nostre anime è proporzionata a quanta verità siamo in grado di reggere. Allora, come facciamo a saperlo? Come facciamo a sapere quanto in là ci possiamo spingere?”. I suoi occhi erano azzurri e inquietanti. “Ti sto facendo una cazzo di domanda, Eden”, disse, dopo una pausa di disagio da parte di entrambi. “Non lo so, Evan”.
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[...] Per ragioni inspiegabili, i siti meteo dicono che è in arrivo “Big Snow”, e io vorrei tanto cambiare prima di tutto Paese, poi forse anche secolo. “Grandi nevicate”, o anche “tanta neve”, fa così schifo? Non è abbastanza espressivo, o preciso, o eloquente? E ammesso che l’italiano corrente non ci basti a definire le mirabolanti strategie aziendali (nelle aziende ormai anche cambiare la carta igienica nei cessi si dice toilet papering, così sembra tutta un’altra cosa, fichissima, modernissima), almeno la neve possiamo continuare a chiamarla così? I patriottismi e i purismi linguistici sono ridicoli, ma altrettanto ridicolo è sparare ogni tre secondi una parola inglese, o piuttosto inglesoide (vedi i patetici “reputescion” e “destinescion” di Santanchè) per sembrare al passo con i tempi, come impiegatini ansiosi di fare bella figura con il manager (se avessimo continuato a chiamarlo capufficio, il mondo sarebbe migliore). Per capire quanto sia insensato chiamare “Big Snow” una forte nevicata, proviamo a immaginare se un sito meteo in lingua italiana titolasse così: “È in arrivo Grosse Schnee”; “Da domani Grande Neige, o Impresionante Nieve (gli spagnoli esagerano sempre)”. O ancora, in omaggio a chi di neve se ne intende, Bra Snö (svedese), Loistava Lumi (finlandese), Flott Snoe (norvegese). [...]
Il senso del meteo per la neve, M. Serra
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La ricetta – se così possiamo chiamarla – affonda le sue radici nell’Antica Roma e ancora oggi è protagonista nelle pizzerie della Capitale e non solo
Un bel piatto di prosciutto e fichi, magari con quel pezzo di pizza bianca già pronto e spaccato a metà. Dopo quello con il melone, è senza dubbio questo uno degli abbinamenti più estivi e più frequenti per il prosciutto crudo. Un piatto della tradizione romana che soddisfa il palato nelle afose giornate d’agosto, sempre che i fichi siano maturi al punto giusto e che il prosciutto sia di buona qualità.
Le origini di prosciutto e fichi
Prosciutto e fichi è una ricetta dalle origini lontane: già nell’Antica Roma, infatti, il frutto zuccherino veniva mangiato in abbinamento al pane o a focacce non lievitate. Era il “cibo dei poveri”, motivo per cui ancora oggi nel gergo romano si usa dire “mica pizza e fichi”, per indicare che non si tratta di una cosa qualsiasi, ma di qualcosa di una certa importanza. Un’espressione che – in verità - non rende giustizia a un accostamento che, secoli e secoli dopo, resta tra gli abbinamenti simbolo dell’estate a Roma (e non solo) e che continua ad ispirare chef e pizzaioli. Nel tempo, a completare la ricetta povera, è arrivato il prosciutto crudo: un matrimonio destinato a durare in eterno.
Evoluzioni di prosciutto e fichi
Estati ed estati sono trascorse, ma il prosciutto e i fichi sono rimasti un piatto che mai è passato di moda. E se questo abbinamento mette d’accordo famiglie intere di ritorno dal mare, ci pensano anche i pizzaioli a tenerlo in vita, riproponendolo – stagionalmente - sulla loro pizza. Da Jacopo Mercuro, di 180 grammi pizzeria romana (zona Centocelle), che propone la sua Pizza e fichi in trancio (prosciutto crudo di Parma 24 mesi, stracciatella, fichi freschi, erbe amare e citronette) a Gabriele Bonci, la cui pizza prosciutto e fichi è una vera istituzione nella Capitale (e di cui esistono diverse varianti: ripiena, con o senza la stracciatella, persino un supplì eccezionale). C’è la versione di Forno Monteforte in pieno centro e quella di Elettroforno Frontoni a Ostiense. C’è anche la pizza “Fichi” del ristorante Frezza - Cucina de Coccio di Claudio Amendola, a due passi dall’Ara Pacis, con mozzarella fior di latte, spinaci, fichi secchi e prosciutto d’oca.
Come scegliere il miglior prosciutto per i fichi
Prosciutto e fichi è un piatto semplice, ma che necessita di una materia prima di qualità. I fichi devono essere maturi al punto giusto (vanno bene sia quelli con la buccia verde che quelli con la buccia nera). Ma per il prosciutto? Qual è la scelta perfetta? CiboToday lo ha chiesto a Sandro Tomei di Tomei Cibo Giusto, bottega alimentare di altissima qualità nel quartiere Tuscolano: “È importante creare un contrasto equilibrato tra dolce e salato, dunque, con i fichi, solitamente consigliamo un prosciutto di montagna tendente al sapido, un umbro, un toscano, il Norcia è perfetto” dice Tomei.
Nel caso in cui a prosciutto e fichi si abbini anche un bel pezzo di pizza bianca, la scelta può anche deviare verso un altro tipo di prosciutto: “Con il sale della pizza si può scegliere un prosciutto più dolce, un Parma ad esempio”. Sulle quantità, infine, Tomei non ha dubbi: “Una fetta di prosciutto ogni mezzo fico”.
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epistola n.boh
Questo episodio ha il sapore delle cose davvero inaspettate.
Torno a scomodare le epistole dopo anni di assenza dai sentimenti veri (forse qui esagero) per parlare di te, Denise, che fra tutte sei la persona che di queste parole ne ha ricevute meno. Non che si tratti di un vanto o un privilegio, o forse sì, ma mi concedo di cogliermi ancora oggi, a 27 anni, impreparato.
Ho spesso pensato che il tempo in cui scrivevo così corrispondesse all’apice della mia sensibilità. Probabilmente mi sbaglio, ma sono sicuro che farlo in qualche modo aiuta. Che serva ad allontanare, a dimenticare, a migliorare: qualcosa farà.
Su un treno di ritorno dalla nostra città del cuore, penso per la prima volta che:
Bologna è una fase.
Mi odio mentre lo scrivo, ma l’ho pensato veramente. Non mi era mai successo di scendere in strada, guardare i tetti delle chiese disseminate casualmente ai tuoi piedi e provare un sentimento di ansia. Leggera tachicardia e spaesamento per lo meno, e non credo centrasse il caldo.
La verità è che da quasi una settimana io ti vedo D, che io abbia gli occhi aperti o chiusi. Nonostante le canne sono tornato a sognare, ma solo il tuo viso: tu che sorridi nella replica notturna di quei momenti in cui pensavo che fossimo speciali; che io potessi, con la mia banale presenza, far sparire tutti i tuoi dolori.
Quando mi raccontavi nelle nostre ustionanti distanze che Bologna da sola ti causava agitazione, io non ti capivo. Non ti ho capito finché non l’ho provato e mi è bastato. Sarà che non siamo più abituati a stare male, che abbiamo altri pensieri più incombenti da mettere in prima linea (sarà che siamo cresciuti!!!!), ma vivere le strade di Bologna così mi è sembrato un duplice omicidio: spaziale e personale, se posso inventarne un paio.
L’agglomerato urbano che più mi ha ispirato fino ad oggi mi si ritorce contro causandomi sensazioni frustranti, anche quando in compagnia di persone a cui voglio bene. Mi è sembrato, per l’ennesima volta, di nascondere la mia pura verità, che forse non ho concesso nemmeno a te.
La persona che nella mia vita attuale (possiamo chiamarla “avvicinamento all’adultezza”?) mi ha più toccato, ora ritorna sotto forme diverse, fantasmiche, per ricordarmi i peggiori sbagli: quelli fatti con il cuore.
Non so se sia legittimo che io rincorra l’orgoglio di essere un uomo tutto d’un pezzo, che riesce a gestire (cioè sopprimere) certe emozioni per non causarne di più pericolose agli altri. Quante volte mi ripeto questa cosa? Mi do i brividi.
Io lo so che non posso metterti al corrente di come mi sento, innescherei un loop distruttivo che non ti meriti, non ci meritiamo, per l’ennesima volta. Soprattutto ora che stai cercando di essere felice lontana da me con persone nuove, mi sono promesso di non interromperla e che se si dovesse arrestare, per lo meno non sia per causa mia. Resterò zitto e buono (come sempre dopo tutto) perché sembra che io sia in grado di fare del male solo involontariamente, quando credo di non fare, ma semplicemente di essere.
Eppure, oggi come quella volta in cui ti ho vista camminare in Piazza Maggiore, sento un richiamo naturale, come nei film che ci hanno insegnato ad amare male. Non so dire se la psicologa sarebbe d’accordo, glielo chiederò lunedì, ma per l’ennesima volta sto bloccando una sensazione che urge di uscire. O forse esplodere come una guerra di secessione. Siamo alla ricerca del vero in questo mare di nebbia.
Le tue recenti apparizioni mi hanno versato in un disagio mai provato prima: come descrivi quella sensazione che da bella diventa brutta? mi fa tornare in mente tutte le paranoie che mi hanno inculcato negli ultimi 10 anni di relazioni tossiche e fallimentari.
Mi è stato detto così tante volte di essere la causa della rovina altrui che alla fine ci ho creduto, e ora ho paura di sfiorare qualsiasi ragazza per paura di romperla. Non tutte sono fragili come te, eppure mi ostino a metterci lo stesso tatto, a tenermi a debita distanza, a non entrarci in contatto per nulla.
Non è nemmeno questione di “non riesco più a fidarmi”, ma più di “non so più come si fa”.
Come si fa a parlare ad una ragazza e far passare quel tipo di interesse? Quel tipo di interesse, in primis, deve esserci, manifestarsi, e non arriva mai.
Ritorni sempre tu.
Sopra Aurora. Sopra Anna. Sopra me.
Forse è l’ennesimo rimuginio che un attempato Toni si concede per sentirsi giovane, o l’ennesima trappola della retorica retromane che colpisce anche chi ne è stato avvertito, ancor più veementemente.
Hai fatto tornare anche quella leggera fiamma competitiva che sopraggiunge alle superiori, che mi fa pensare che Davide sia solo la mia brutta copia (lo è, fattuale), ma non è questo che serve alle mie fila, non è questo il punto. Mi perdo inutilmente nelle interpretazioni della tua realtà, che non è più la mia, cercando di convincermi che tu stia tenendo una distanza cautelare perché non mi hai ancora gettato nel dimenticatoio. Se le nostre ultime parole in quell'abbraccio sono state vere, non posso non crederci almeno all'1%.
Fa malino al cuore vedere che condividi la musica e i concerti con lui.
Forse me lo merito. Forse questa storia non da risposte a nessuno, semplicemente scorre, come tutto finché siamo presenti per esserne testimoni.
Non mi sono mai sentito solo come negli ultimi mesi senza di te. Crescere da soli, avevi ragione, può essere logorante. Vi vedo tutti sorridenti e accompagnati, anche quando piove, che è quello che più amavo di noi: la pigrizia che esisteva solo per farci stare incollati, la fatica di scendere a fare la spesa perché volevamo sfamarci di amore e nient'altro era la nostra fragile forza.
A dircelo non ce la facevamo, ma a farlo le abbiamo provate davvero tutte.
Anche se forse non proprio tutte tutte.
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L’antisemitismo contemporaneo è l’espressione più becera e virulenta dell’antioccidentalismo. Israele e gli ebrei sono detestati perché rappresentano una propaggine dell’Occidente liberale in un territorio dominato dal rifiuto della modernità e della società aperta.
Non più soltanto pregiudizio etnico-religioso, questo neo-razzismo ammantato di falso umanitarismo fu venduto con successo al mondo già mezzo secolo fa dalla propaganda sovietica come “antisionismo”, in un’applicazione da manuale del doublespeak orwelliano.
Pur richiamandosi a concetti teoricamente di alto valore morale, come la lotta al colonialismo, all’imperialismo o alla discriminazione, nella pratica si è rivelato il solito kit ideologico buono per tutte le stagioni, da contrapporre frontalmente alle detestate “libertà capitalistico-borghesi”, ovvero a conquiste di civiltà come la democrazia, il pluralismo e i diritti umani, che solo da noi hanno trovato applicazione universale.
Lo scandalo è Israele perché lo scandalo è l’Occidente, catalizzatore dell’invidia del proletariato esterno e interno (si vedano sull’argomento i lavori di Luciano Pellicani e Victor Alba), in quanto società che ha costruito il suo successo, finora ineguagliato, sul rispetto delle prerogative essenziali dell’individuo. Una realtà intollerabile per i totalitari di ogni latitudine.
Prendendo a prestito la definizione di Hanna Arendt, l’antisemitismo si ripresenta oggi come “l’ideologia di tutti gli scontenti rosi dalla frustrazione e dal risentimento”.
È qui che si salda l’alleanza tra sinistra e islamismo radicale, sancita dai boicottaggi, dalla violenza verbale, dalle occupazioni delle piazze e dei campus universitari, dal ricatto e dall’intimidazione. Un’alleanza quasi naturale, anche se mai prima d’ora esplicitata in forma così palese, che deriva dal comune disprezzo per i principi e i valori della civiltà liberale e democratica, in un caso filtrato dalla dottrina marxista-leninista e i suoi derivati, nell’altro dalla predicazione dei mullah.
Questo duplice focus – sugli ebrei come incarnazione dell’Occidente e sull’Occidente come protettore degli ebrei in Medio Oriente – rafforza sia i sentimenti antiebraici che quelli antioccidentali, intrecciandoli in modo da amplificare l’ostilità verso entrambi i poli. Le teorie del complotto, la retorica anti-capitalista, il rifiuto del liberalismo politico ed economico, la negazione del diritto di Israele ad esistere, si alimentano a vicenda in un vortice che può sfociare solo nella demonizzazione o nella guerra aperta.
In un simile contesto politico e ideologico, si intuisce facilmente che i vecchi schemi sulla “questione palestinese” come conflitto eminentemente territoriale sono oggi del tutto inadeguati a interpretare uno scontro a tutto campo, all’interno del quale Israele è solo il primo nemico da abbattere. L’integralismo islamico ha come missione ripulire il Dar al-Harb (il mondo non ancora musulmano) dagli infedeli, che sono gli ebrei ma anche i cristiani, categorie entrambe da convertire o da eliminare.
È questa identificazione tra Israele e Occidente che rende la presenza ebraica inaccettabile per i fondamentalisti, così come in passato per il Gran Muftì di Gerusalemme, già alleato di Hitler. L’opposizione non è più – ammesso che lo sia mai stata – tra Israele e Palestina, ma tra dittature islamiste (Hamas a Gaza, l’Iran con i suoi proxies) e democrazie liberali. Non una contesa territoriale ma una minaccia esistenziale: il jihad, la guerra santa, la nazione dell’Islam da Teheran a Rafah, passando per il Mar Rosso e i territori libanesi da dove partono i razzi di Hezbollah diretti oltreconfine. Una visione totalitaria ed escatologica in cui non c’è spazio per l’accomodamento, e la tregua o la trattativa sono solo espedienti temporanei per recuperare le forze e rilanciare l’attacco.
Oltre all’oscena equiparazione tra i capi di un proto-Stato terrorista e i rappresentanti di un governo democratico, la recente richiesta di arresto per crimini di guerra formulata dal procuratore della Corte Penale Internazionale (ICC) Karim Khan a carico del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e del ministro della Difesa Yoav Gallant ha riportato in auge la narrazione secondo la quale le azioni dello Stato ebraico a Gaza sarebbero assimilabili a quelle della Russia in territorio ucraino. Si tratta, anche in questo caso, di una pericolosa e malintenzionata fallacia, sia dal punto di vista morale che da quello strettamente concettuale.
Innanzitutto perché, a differenza dell’ingiustificata aggressione russa, Israele è stato trascinato dal massacro del 7 ottobre in una guerra di sopravvivenza che non aveva nessuna intenzione di combattere; in secondo luogo perché, mentre i russi colpiscono deliberatamente le infrastrutture civili ucraine, gli israeliani hanno sempre cercato di minimizzare il più possibile le conseguenze per la popolazione palestinese, in un contesto urbano in cui i non combattenti sono usati come carne da cannone da Hamas, per alimentare la propaganda del genocidio; infine, e qui troviamo il cortocircuito logico decisivo, perché Ucraina e Israele stanno combattendo la stessa guerra difensiva, per analoghe ragioni esistenziali, e che la lotta di entrambi rappresenta un argine al dilagare in Europa dei nuovi totalitarismi, secolari o religiosi. Sconcerta, allora, osservare come anche molti paladini della causa ucraina riversino su Israele le stesse accuse e le stesse mistificazioni promosse dall’ideologia antioccidentale nei confronti sia di Kyiv che di Gerusalemme.
“Si chiama antisemitismo, il suo fascino muove istituzioni grandi e potenti come l’ONU e l’Unione Europea, cambia il discorso pubblico, ipnotizza le università, lo sport, l’arte, la giustizia (…)”, ha scritto di recente Fiamma Nirenstein. Se nelle società democratiche, invece della consapevolezza delle minacce incombenti e della necessità di farvi fronte, continueranno a prevalere l’inversione permanente delle responsabilità, l’autolesionismo, il relativismo morale e l’erosione sistematica del principio di realtà, nessuno potrà più dirsi al sicuro.
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Luke Marani, il fuffa guru che ci vende l'imitazione della felicità attraverso beni e servizi. Bastava così poco?
Prima di diventare milionario? Studente universitario squattrinato, famiglia oppressa dai debiti, adolescenza trascorsa in una casa di periferia. Lo racconta mentre beve un cocktail di proteine nella sua abitazione, al sessantaquattresimo piano di un grattacielo a Dubai. "La cosa bella dell’esser ricco è godere dei servizi", basta questo per essere felici? Luke Marani, mago dell'e-commerce, visto dalla scrittrice Veronica Tomassini, che su MOW con la rubrica "Fuffa guru" descrive cosa rappresentano i santoni online della nostra epoca: gli imprenditori digitali. Ecco un nuovo capitolo
l concetto filosofico che deve passare è questo: è possibile tirar su il plastico della felicità, congegnarla, pur non essendo felici. Possiamo disegnarla, darle una forma. Chiamarla felicità, e in sordina, non esserlo. Così Luke Marani, come i suoi colleghi (migliori o peggiori non saprei), vende possibilità, entra nel mercato dell’ecommerce. Forbes lo premia tra i dieci imprenditori italiani del pianeta da tenere d’occhio. Classe 2000. Voglio dire o sei un genio a 24 anni o non lo sarai mai. C’è il fattore ics. O ce l’hai o buona fortuna. Bisogna poi capire dove indirizzarlo, eticamente e teologicamente, dovremmo lanciarlo verso la salvezza, salvezza comunque, salvezza di qualcosa. Ma la storia di Luke Marani mi piace, perché ha una faccia bella, pulita. E chiedo perdono per l’enorme pregiudizio. Quanto conti la bellezza per scagionare, nobilitare, edificare? Non lo so, ci penso. Puoi ad esempio essere un millantatore e presentarti nelle fattezze di un ragazzo perbene? Dei guru del web non possiamo dire molto, esser sicuri che siano attendibili o truffatori, giudicate da soli; giovanissimi necessariamente, perché sono i nativi del tempo fluido, imprendibile, dei software, delle community e delle idee che sorgive si affidano all’estro futuristico spesso imberbe, nuove come l’araba fenice che una volta serviva a un mestiere, oggi a un altro.
Forse non è così urgente stabilire se ci stiano vendono la fontana di Trevi o lo zerbino della signora di fronte. Lo sanno fare, hanno ragionato su come realizzare il trompe l’oeil. Sembra la fontana di Trevi, lo dice tanto bene, e non ti accorgi che invece è solo uno zerbino. Premiamolo per l’arditezza e il talento, nel gabbare con eleganza. O magari dice semplicemente una specie di verosimiglianza. In un video su Youtube, Luke Marani racconta efficacemente la sua ascesa, studente universitario squattrinato, famiglia oppressa dai debiti, adolescenza trascorsa in una casa di periferia. Lo racconta mentre beve un cocktail di proteine nella sua abitazione, al sessantaquattresimo piano di un grattacielo a Dubai. Non è esattamente la felicità. Eppure la imita, la tradisce, restituendole connotati arbitrari e in fondo approvati dalla parzialità di un gusto collettivo. Sembrano deduzioni molto ovvie, eppure sono inesplicabili. La felicità comparata a un terrazzo sul mare degli Emirati Arabi, rifrange su vetrate dove riflette il sole lattiginoso che pare emanare raggi esclusivi, una placenta poco brillante, una luce inquieta e flebile sul finale, quasi stanca, come a ribadire: la felicità, cioè la sua ricerca testarda e insopprimibile, tutto sommato sfinisce.
Dunque non sappiamo se credere a Luke Marani, giusto? Nell’orbita dei fuffa guru, lui è il più credibile? Non è importante, per me, non lo è. Stabiliamo che dietro ci sia segretamente una ragione migliore, questa sì, non le manovre dedite a un guadagno facile; il motivo è la felicità. Sì, l’ombra talvolta che ci perseguita, il ricordo remoto, l’anelito ultramondano. Il calco. La felicità. La ricordiamo. E senza sapere davvero, cerchiamo di riformularla, imitarla, congetturarla, percorrerne il confine imaginario. E non trovarla. Dov’è la felicità? Se noi ai fuffa guru e agli onesti, ai nativi del tempo due punto zero, agli arrampicatori digitali, concedessimo una chance innocente. Ecco. Non lo sanno, ma anche loro desiderano il sogno di un uomo comune, essere felici. Essere amati. Non è tutto più bello, tutto perdonabile? Luke dice: la cosa bella dell’esser ricco è godere dei servizi. Tutto quel che vuoi. E certo. E come no. Con o senza brillio negli occhi. Nella luce stanca, nel dinamico flebile che produce. Che deve produrre. La felicità.
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ah giusto quasi dimenticavo, non hai bisogno di me per parlare di questi argomenti, sei fin troppo intelligente di tuo, per forza, la vita ti ha costretta ad esserlo, anche se a volte sarebbe bello deporre la corazza e tornare esseri umani con una vita normale, vero?
godersi la vita, quel poco tempo che abbiamo in questo mondo neanche troppo bello, come se fossimo emeriti idioti
"fortunato tu che sei intelligente", insomma, non è sempre così
legit per l’ultima frase.
io ti assicuro che più studio, più vado a fondo con gli anni nelle questioni umane, piu vado in crisi perché è tutto tende così fottutamente a un equilibrio che mi pare impossibile da raggiungere, pur provandoci con tutti i mezzi a disposizione.
non lo so, spesso sono positiva, ma mi hai preso in un momento di molta “delusione” se così possiamo chiamarla… o meglio, mi sento disillusa ora. però vorrei parlarti, o quantomeno capire chi sei (se non vuoi poi interagire con me, qualunque sia il motivo.)
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ALLEMAGNE/ANNÉES 1920/ NOUVELLE OBJECTIVITÉ/AUGUST SANDER (parte II)
(Segue) I pezzi esposti, insieme alle più note tele di George Grosz, di Otto Dix, di Christian Schad, ma anche ad altre meno note come quelle di Lotte Perchner, di Albert Birkle, appartengono alla straordinaria raccolta intitolata “Uomini del XX Secolo”, un lavoro sistematico di catalogazione di tipi umani della società tedesca (la catalogazione è un inevitabile retaggio del razionalismo). Il lavoro è suddiviso in sette gruppi tematici, con una quarantina di ritratti per ogni sezione e cerca di dar conto dello sviluppo dei mestieri e delle professioni a partire dai gradini più bassi, quelli che spettavano ai contadini e agli operai,fino agli artigiani e ai professionisti e agli imprenditori, attraverso, appunto “l’oggettività” della fotografia o, per essere più precisi, del fotoritratto. È tuttavia evidente che questa ricerca, nata per fini per così dire “sociali”, finisca in realtà per essere più una ricerca sulla psicologia dell’individuo che non uno studio sociologico di mestieri e professioni. Tra gli scatti più noti esposti a Beaubourg il celeberrimo notaio accompagnato dall’inquientante levriero, il ritratto del prete cattolico, quello della missionaria e tanti altri celeberrimi. Nella sezione fotografica collaterale a quella di Sander, vanno certamente ricordati gli scatti di Martin Höling (magnifico il suo Europa Tanz Pavillon) o la magnifica affiche per la Deutscher Werkbund di Will Baumeister del 1927. Di particolare interesse poi, oltre la prevedibile oggettistica da Bauhaus dalla spietata estetica razionalista, una curiosa sezione dedicata alla trasgressione, al mondo omosessuale e transgender, temi oltremodo invisi ai nazisti che,di lì a poco, avrebbero preso il potere. Un ampio spazio è dedicato alla pittura industriale, se così possiamo chiamarla, e che ha la sua totale sublimazione (o degenerazione, dipende dai punti di vista), in “Der Maensch als Industriepalast”, ovvero l’uomo come edificio industriale, un manifesto che riproduce uno spaccato del corpo umano con la rappresentazione dei suoi apparati come fossero catene di montaggio. Brutaliste e angoscianti anche le opere di Kluas Völker, come “Beton” del 1924 (anno in cui in Francia nasceva ufficialmente il Surrealismo), con binari ferroviari che sprofondano in un sottopasso di cemento. Ampio anche il repertorio di quadri che rappresentano infrastrutture ingegneristiche e raggelanti, spietatamente “oggettive”. La mostra di Beaubourg, mette in evidenza, e anche questo è un suo merito, una oggettività spesso disumanizzante e lontana dalle altre avanguardie artistiche del Novecento.
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Bene amici, vi racconterò una storia iniziata alcuni mesi fa. Durante il lockdown avvenuto nel nostro splendido paese chiamato Italia.
È una storia lunga per poche persone, per chi vorrà leggerla.
Conosco I.
Lei sarà I.
Parliamo, scherziamo, prima video, prima notte a parlare, giochiamo, obbligo o verità, scambiamo foto, nulla di che chiariamo.
Il tempo passa. Mi parla del suo ex che ancora ci pensa spesso.
Provo a farla ragionare, non perché voglio che sia mia, neanche ci pensavo.
Non mi piaceva le cose che diceva. Il suo ex mi sembrava sbagliato o cattivo.
Il tempo passa, diventiamo più intimi, dolci, ci piace parlare e ce lo diciamo, che ci piace, che ci manchiamo.
Ci vediamo dopo un po', per un'ora e mezzo circa, imbarazzo assoluto
Si poggia a me, dice di star bene, le dico lo stesso. Prima di andar via ci baciamo.
Un errore forse, dopo quel bacio abbiamo corso, lei aveva in mente il suo ex aveva bisogno di tempo.
Non volevo farle paura, i sentimenti, spaventano.
Andiamo alla reggia di Caserta; insieme, bella, stiamo bene anche Li.
Succede una cosa.
Fin lì tutto bene
Continuiamo a parlare, andiamo avanti e sempre più cose insieme, leggiamo libri, giochiamo, vediamo film, online tutto, per videochiamata.
Andiamo a napoli.
Giro splendido, castelli, pizza, hotel.
Succede qualcosa, I sta male perché pensa al suo ex, io la consolo.
Lei dice di non volermi sentire torno a casa distrutto, mi chiede scusa dice che non vuole perdermi e che l'ho consolata nel migliore dei modi, e no, non parlo del sesso.
In tutto ciò il suo ex non è mai andato via realmente.
Vado a Napoli per vederla un paio di ore mentre va in vacanza e fa scalo per la Calabria.
Settimana scorsa vado a Roma diversi giorni per star con lei.
Tutto ok i primi giorni, il secondo il suo ex la chiama di continuo.
Il terzo, succedono cose, pensa al suo ex.
Panico.
Divento un mostro, devo starle lontano, non devo toccarla, non dobbiamo più sentirci.
La faccio riprendere, l'aiuto a vestirsi, la lascio andare.
Cosa vuoi fare quando qualcuno non si lascia toccare come se bruciasse ogni tuo tocco?
Decido di tornare a casa il giorno seguente con una notte in più pagato in hotel e quindi la regalo all'hotel.
Mi scrive scusa, mi chiama, si scusa.
Mi chiede di vederci il giorno dopo come programmato ma io dovevo andare via.
Mi chiede di rimanere io lo faccio cambiando i programmi.
Resto.
Giorno dopo treno, vado da lei andiamo dove dovevamo.
Giornata divertente, calda, e nervosa non le piace fare giri a vuoto e non siamo riusciti ad andare dove voleva
Parto, torno a casa. Tutto ok.
Giorno dopo è il suo compleanno, le avevo comprato un libro che voleva tanto in libreria, fatto un video stupido pieno di foto stupide ed un lungo audio, non è da me in realtà ma volevo farla divertire.
Forse è piaciuto.
Ma lei era strana
Il giorno dopo le chiedo se sono di disturbo, questo, ieri.
Lei mi scrive che mi stima, ma che non vuole mentire a me e se stessa, che non possiamo sentirci, che sa che starò male per causa di quel messaggio ma che non risponderà più a chiamate e messaggi
Beh così sta facendo, oltre a bloccarmi su Tumblr, telegram, Instagram e forse anche whatsapp e chiamate normali.
Avevo pensato persino di far passare un paio di settimane e provare a chiamarla, perché le voglio bene, mi manca.
Poco dopo ho letto un post sul suo blog con il messaggio inviatose dal suo ex.
Ho capito tutto.
Quando vedi scritto "quest'anno l'ha scelta bene, cose belle 16.08".
Grazie ex per aver rotto i coglioni fino alla fine.
Grazie I per aver bloccato chi ti rispondeva alle due di notte, chi ti ha consolato, fatto regali, portato in giro, sopportato e amato.
Grazie per avermi trattato come uno stronzo qualunque.
Io che ti ho aiutato ad affrontare le tue paure.
Grazie.
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Uptown Boy
“Tuo figlio maggiore.”
“Yeah.”
“Max, this kid is at the very least 17 or 18.”
“...”
“E posso credere a tutte le puttanate che mi hai rifilato nelle ultime due ore incluso al fatto che hai giocato a palla con Cerbero nell’Oltreromba, but for fuck’s sake you DID NOT bang Iris Carter when you were fifteen.”
L’acqua luccica del sole di un fresco pomeriggio primaverile nella piscina, gettandosi oltre il bordo in un flusso costante che da l’impressione che la vasca possa proseguire all’infinito, fino al mare non distante. Con un bicchiere di vino in mano é sotto l’ombra offerta dalla veranda, Maximilian Carter-Lee distoglie lo sguardo dalle sue sponde, riportandolo su Liam Cooper che attende una risposta per un sospiro a fronte aggrottata.
“È complicato.”
“Non dirmi che c’entra qualcuna di quelle assurdità col Multiverso.”
“...”
“Jesus Christ, Max. You’re supposed to protect this reality, not fuck with it.”
“Which I do. Questa situazione è assolutamente controllata e il prezzo non lo paga il Multiverso, lo paghiamo io e mio figlio.”
“Non lo sai questo.”
“Lo so invece.”
“No, tu “presumi” di saperlo, che è molto diverso.”
“Forse dovresti chiudere la bocca sulle faccende di cui non sai e di certo non capisci nulla, Liam.”
La risposta arriva secca. Forse troppo, di certo leggermente arrogante. Il figlio di Ade, Direttore di EIOS e presunto protettore di questa e altre realtà, se ne pente subito, ma Liam ha effettivamente chiuso la bocca, o scelto di impegnarla a bere la sua birra, a seconda dei punti di vista.
Beth Lee ha consegnato il messaggio a suo nipote in mattinata: Liam Cooper ha chiamato ieri sera, per sapere come sta lui, dopo le scarse e allarmanti notizie diffusesi su Vardo. Solo a quel punto si è ricordato del ragazzo di Bella Vista, amico d’infanzia, migliore amico per oltre due decenni, lasciato indietro per una vita migliore assieme a tanti altri elementi del proprio passato ormai molto tempo fa. Ha incluso all’ultimo momento Liam nella lista dei destinatari dell’invito per il venticinque Aprile, gli ha telefonato, gli ha chiesto di accompagnarlo a New York a controllare che a casa li sia tutto okay. Quanto di questo è voglia oggettiva di riconnettere e quando è invece senso di colpa, Maximilian non saprebbe dirlo.
Liam è intento a guardare il cielo.
“What do you people even do, up there?”
“A Città di Stelle?”
“Yeah. La Hightown.”
L’aria per un momento sembra soffiare più fredda che fresca sul deck che si affaccia sull’Oceano Atlantico.
“Non chiamarla cosi.”
“E perché no. A Bella Vista la chiamano tutti così.”
“Non è quello che è.”
“Ma è quello che sembra. Hai sentito le notizie, corsie preferenziali per la sanità, agevolazioni fiscali, un badge per i residenti... È l’ennesimo ghetto. Solo uno d’oro per gente ricca, stavolta. Why didn’t you do anything about it?”
“You know why. I’ve been spending the last fucking month on a fucking frozen planet in the fucking middle of fucking nowhere, ecco perchè non ho fatto niente.”
“E adesso che sei qui cosa farai?”
“Perché dovrei farci qualcosa?”
“Perché non è giusto.”
Maximilian stropiccia il viso. Il bicchiere di vino ha perso tutto il suo appeal ma forse così è anche per la birra di Liam perché entrambi calice e boccale sono poggiati sul tavolo di legno chiaro.
“E chi dice che devo essere io a combattere per quello che è giusto?”
“...You do? O cosa, perché adesso questa ingiustizia sociale non ti tocca di persona non te ne frega niente?”
“Liam, sopravvaluti di molto la mia posizione. I might be the Head of Security ma non ho nessun potere decisionale. Non faccio le leggi.”
“You fucking did with Zelda Cowen.”
“Era una situazione completamente-“
“You’re letting them make you the villain, Max.”
Per un attimo, Liam è visibilmente arrabbiato. Il viso gentile, con sempre una battuta e uno scherzo pronti, è piegato in un’espressione più dura, i pugni sono stretti lungo i fianchi. Le labbra del Semidio con cui l’umano parla sono strette in una riga sottile, un taglio obliquo nel viso marmoreo.
“I’m not the villain, here.”
“Not yet, but do nothing and you will be. Can’t you see?”
Sulla distanza, il suono stridulo dei gabbiani si mischia all’infrangersi delle onde sulla spiaggia, più forte quando il vento aumenta, increspa l’acqua della piscina.
“Panucci ha chiuso. Non riesce a pagare l’affitto.”
“...What.”
“E il calzolaio dietro l’angolo. Il negozio di Mary Caputo, la libreria di Charlie. Your space toy is killing us, Max.”
“I don’t... Non ne sapevo niente.”
“Of course. Come non sai che Lucas non ha potuto pagarsi la chemio e gli hanno detto che ha tre mesi di vita. O che Linda ha dovuto licenziare tre ragazze dal saloon e cancellare le vacanze. O che io e Jade abbiamo dovuto rimandare il nostro matrimonio a data da destinarsi perché, semplicemente, non possiamo permettercelo.”
La voce di Liam non si alza mai, le pupille sono dilatate, i pugni stretti. Lo sguardo è quasi di sfida, orgoglioso negli occhi azzurri, pieno di quella determinazione che impregna le persone che sanno di avere ragione.
“Tu e... E Jade? As in Jade la mia ex? Vi sposate?”
“Si. Well. Se mai avremo i soldi.”
“Ma... You never said...”
“You never asked.”
Il silenzio si dilata. Sono solo le voci dei bambini dal terrazzo della villa a fare alzare ad entrambi gli uomini gli occhi. Liam sospira, si strofina il viso- sorride.
“And thing is, I’m not even mad at you. Tu hai... Questa vita stupenda. Una moglie che non è nemmeno di questo mondo. Figli in salute. Un lavoro che ti permette di comprare una villa assurda come questa: why would you even care anymore about the rest of us?”
“But I do, Liam. I do care.”
“When was the last time you called?”
“...”
“Appunto. And I get it, ok? Ma quello che sta succedendo su Babylon, because of Babylon... È sbagliato. You need to see that.”
Lui sceglie il silenzio, una volta di più. Un silenzio che forse viene interpretato come un’ammissione di colpevolezza, perché Liam solleva le mani, poi scuote la testa, abbassando le braccia sconfitto, lo sguardo verso l’orizzonte.
“Non so nemmeno cosa ci faccio qui.”
“What do you mean...?”
“I mean I don’t know why I’m here. La piscina, la villa, i fiori, lo sfarzo... Non... Non credo sia il mio posto, Max. Non posso seguirti dove stai andando.”
“Liam, don’t-“
“I better go. Ringrazia tua moglie per l’ospitalità, she’s really lovely.”
“...D’accordo. Prendo le chiavi della macchina e andiamo.”
“Don’t bother, I’ll call a cab.”
“Non essere sciocco, non puoi permetterti un taxi da qui all’aereoporto.”
“In qualche modo farò.”
C’è ostinazione e orgoglio nel modo in cui Liam taglia la conversazione. Maximilian lo guarda allargando le braccia mentre semplicemente attraversa la porta che da sull’ingresso. E poi supera anche quella.
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Comunque è sconfortante tutta questa... non saprei nemmeno come chiamarla. Vorrei chiamarla ignoranza, ma forse è ideologia o comunque qualcosa di culturalmente e socialmente potente. È sconfortante vedere ragazze di trentanni con madri malate condividere i post in cui la mascherina viene vista come museruola; oppure vedere mogli ultrasessantenni con mariti malati di cancro ai polmoni dire che non è vero che c’è il virus, il Covid; ma anche vedere i tg che passano delle informazioni ambigue, in cui non è chiaro il senso, allarmisti e angoscianti, non è che sia molto di conforto. E la lista sarebbe molto lunga. Certo, poi capita, di tanto in tanto, di leggere qualche notizia come quella in cui in Cina hanno eseguito nove milioni di tamponi per un focolaio di sei casi e allora penso che forse qualche atteggiamento sensato si riesce pure ad intravvedere ogni tanto. Ma è troppo poco e troppo distante. Mi sembra di essere circondata da persone totalmente irrazionali, e magari fosse circoscritto al paese dove abito! Pagine sui social, gente che condivide le minchiate delle pagine sui social, gente anche laureata che fa certi discorsi, giornalisti, ma anche medici, politici. Ma che cos’è tutto questo? L’unico leggermente più sensato sembra essere Conte, anche se pure lì... ma se non altro, in mezzo a tutto questo scempio, pare il meno peggio. A questo punto è come se non temessi tanto la malattia - che della malattia temo più che altro la possibilità di trasmetterla a mio padre, soggetto a rischio - ma le persone e le loro “ideologie”. Possono essere chiamate così? Perché già creare delle categorie come “negazionisti”, “antivaccinisti” ecc è dare loro una sorta di potere politico e quindi sociale. Mi capita di leggere, sentire certe cose e allora quasi vorrei piangere: come ci si difende da tutto ciò? Come posso proteggere me stessa e la mia famiglia da tutto questo? Come possiamo vivere in un mondo guidato e formato da gente irrazionale? Non riesco a venirne a capo e ciò è profondamente sconfortante.
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Il grande sconfitto é sempre lui.
Nell'ambito della vicenda del ritorno di Hagia Sophia a moschea noto che alla fine la discussione é tutta tra cristiani / non musulmani e musulmani. Con i primi per la soluzione "museo" e i secondi per la soluzione "moschea". Mentre i primi sono arrabbiati, i secondi (in tutto il mondo e non solo i musulmani turchi) festeggiano.
Tra i primi non mancano casi di islamofobia e di vera approssimazione se non ignoranza, su un argomento come quello di Hagia Sophia (e smettiamola di chiamarla Santa Sofia. Non si tratta di una santa! Se volete chiamarla in italiano usate: Divina Sapienza) straordinariamente complicato. Non mi meraviglia che in prima fila ci sono quei politici abili nel parlare solo alla pancia della gente.
Trovo davvero sconcertante la paura che molti hanno circa il destino degli elementi artistici presenti all'interno della moschea. Ma davvero é plausibile che i turchi distruggono tutto? Siete a conoscenza che la Hagia Sophia di Trabzon e di Iznik, convertite in moschee da qualche anno, conservano ancora le decorazioni cristiane che rimangono visibili per tutti quando non c'é la preghiera?
Tra i musulmani invece é un rinfacciarsi di moschee diventate chiese o degli errori che hanno fatto i cristiani verso i musulmani, ieri e oggi. Alla fine stanno festeggiando, quello che arriva alle loro orecchie é miele.
Direi che tecnicamente dal 1453 non é cambiato nulla.
Naturalmente la discussione é politica ma se la si immagina come una bandiera che di volta in volta si piazza su Hagia Sophia, la discussione potrebbe diventare almeno interessante. E invece fatica a diventarlo. Sempre.
Ad esempio si potrebbe iniziare a dire che gli interessi e le priorità della società turca sono diversi rispetto al 1923. Naturale. Normale. Vale per tutti. Bisogna vedere se queste priorità sono necessarie per il bene del popolo turco o meno.
Se la discussione é esclusivamente manichea, da un lato il bene e dall'altro il male assoluto, facciamo "il gioco" di chi ha piazzato la bandiera su Haghia Sophia.
E' sempre stato cosi.
Per dire anche quella merda, ma con le idee e le strategie chiarissime, di Pat Buchanan: "Se spacchiamo il paese a metà, poi possiamo prenderci la metà più grossa”.
Lo é stato quando divenne un museo con i musulmani che il giorno successivo hanno pensato su come riprendersela. Con i greci ormai rassegnati dopo l'enorme occasione del post Prima Guerra Mondiale. E se la data per l’apertura al culto é il 24 luglio c’é un motivo: é l’anniversario del trattato di Losanna. Il 24 luglio del 1923 si pose fine al conflitto greco-turco e ridisegnò i confini attuali tra Grecia, Bulgaria e Turchia. Come vedete l’utilizzo di Hagia Sophia come simbologia c’é sempre. E ci sarà sempre.
Non escludo nemmeno un ripensamento dell’ultima ora.
Il grande sconfitto? L’Unesco con una dichiarazione, a mio parere, davvero imbarazzante, puerile e poco intelligente.
No. Il grande sconfitto non é Atatürk. Se proprio vogliamo dirla tutta. Il grande sconfitto, quello che si gira e rigira nella tomba, da quando gli iconoclasti distrussero tutte le icone di Hagia Sophia, rimane sempre lo stesso: Giustiniano.
Nota: Il 13 Luglio viene intervistato su Hürryet il Sindaco di Istanbul: "Ho sempre pensato ad Hagia Sophia come a una moschea. Per me è sempre stato così dal 1453. Non è vero che le prime preghiere si faranno il 24 luglio. Da 30 anni i credenti vengono a pregare cinque volte al giorno", (nota: Si riferisce che all'interno di Hagia Sophia ci sono luoghi dove é possibile pregare). "Sono favorevole alla riconversione in moschea di Hagia Sophia se questo passo arricchisce moralmente e materialmente il Paese". (Ekrem Imamoğlu, Sindaco CHP di Istanbul)
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Tema di agosto: Intervista, by Beatrice Zampetti - scritta da Barnaba Benedetti
L’immaginazione è una facoltà straordinaria propria della mente umana, ma forse non è usuale figurarla come un’arma a doppio taglio. Se infatti da un lato è il motore che, incessantemente, spinge e sprona il progresso delle scienze e la carica espressiva delle arti, dall’altro, se non viene debitamente domesticata, può prendere scompostamente il sopravvento nell’equilibrio psichico, convincendo una mente di quanto più irreale e strampalato possa essere – per l’appunto – immaginato. La profonda convinzione di un individuo in lapalissiane assurdità genera, nel migliore dei casi, un moto d’ilarità in chi ne venga a conoscenza; nel peggiore dei casi, tuttavia, può dar vita a uno spaventoso effetto a valanga, nel caso in cui chi ne sia convinto goda di un certo grado di autorevolezza, espandendosi diffusamente nella popolazione, divenendo talora idea dominante e permanendo nel substrato culturale per generazioni. Abbiamo cercato di smentire almeno una tra queste assurdità, fallendo clamorosamente.
INTERVISTA AL GRIGIO
B: Buongiorno un corno! Slegatemi su-bi-to!
G: Ora non è possibile. La procedura è iniziata. Non sentirà alcun dolore, e al suo ritorno non avrà alcuna memoria di ciò che sta accadendo.
B: Per l’amor del cielo, sono il cronista, sono qui per l’intervista!
G: Oh, ci perdoni. Pensavamo fosse il soggetto dell’esperimento. Prego, è libero dalle cinghie, ci segua…ecco, si sieda pure qui, di fianco alla centralina di comando.
B: Santo cielo, ci siete arrivati, finalmente. E dire che dovreste essere organismi senzienti!
G: Lo siamo per certo, tuttavia ciò non può eliminare ogni probabilità d’errore.
B: Certo, certo, ora mi calmo. Abbia pazienza, non è piacevole trovarsi legato senza preavviso a un tavolo da vivisezione. A dire il vero, non sarebbe piacevole nemmeno con largo preavviso. Fate così con tutti i soggetti dei vostri esperimenti?
G: Sì, è la procedura standard. Sulla base delle circostanze è previsto un eventuale tentativo di contatto preliminare attraverso la psiche del soggetto; successivamente si procede al prelievo vero e proprio. Una volta conclusa la fase di studio, il soggetto viene rilasciato con minime – preferibilmente nulle – tracce visibili della procedura.
B: Vi rendete conto che in questo modo terrorizzate chiunque venga in contatto con voi?
G: che cosa significa terrorizzare?
B: Spaventare, atterrire… no, non mi capirebbe…
G: Non eseguiamo alcuna procedura particolarmente pericolosa per i soggetti, questo è garantito dal protocollo.
B: D’accordo, cercherò di spiegarlo al mio ritorno. Signor Grigio… beh, come posso chiamarla?
G: Non è rilevante, l’identità individuale è trascurabile nella nostra cultura. Signor Grigio va benissimo, qualunque cosa significhi.
B: Allora, signor Grigio, chiariamo subito un punto. Da quanto tempo siete qui?
G: Siamo qui già da molto, molto tempo.
B: Una risposta dal misterioso sapore cinematografico. Permetta, che cosa ci fate, dunque, qui?
G: Studiamo e aumentiamo la nostra conoscenza e comprensione dell’universo. Non vedo altri motivi per cui dovremmo sostare in questo pianeta.
B: Chiaro. Ma gli altri pianeti, allora? Non c’è dell’altro da studiare? L’universo, come sapete di sicuro, è immenso: come mai il pianeta Terra sembra essere così prediletto da voi?
G: Non è affatto prediletto, sa? Nostri simili stanno eseguendo attività analoghe alle nostre su di altri sistemi stellari, su di altre forme di vita. Tuttavia, limitatamente al Sistema Solare, l’unica forma di vita complessa si trova sul pianeta Terra, ed ecco spiegato perché avete l’impressione d’essere oggetti di studio eletti.
B: Aspetti, lei ha detto che siamo l’unica forma di vita complessa del Sistema Solare. Non vorrà forse insinuare che esistono altre forme di vita, semplici, nel nostro sistema?
G: Non sono autorizzato a riferire informazioni di classe A.
B: Capisco, si tenga pure i propri segreti; non tutti, però, spero. Confesso che, da bambino, il vostro aspetto mi impressionava come nient’altro. Avete una linea inusualmente umanoide, ma snaturata in qualche modo: colorito grigio, testa molto grande, occhi grandi e neri e bocca piccola e inespressiva. È forse il risultato di un’evoluzione convergente?
G: Chiarirei prima di tutto che, per quanto ci riguarda, è il vostro aspetto a risultare grigioide. Ad ogni modo, è probabile che quanto lei afferma sia corretto. Dopotutto sopravviviamo nel vostro pianeta da millenni, quindi nel nostro pianeta d’origine le condizioni in cui la vita si è sviluppata e ha proliferato non possono essere che molto simili; dunque è probabile che abbiamo assunto un aspetto simile al vostro, benché voi lo riteniate impropriamente mostruoso.
B: Si è spiegato. Nella vostra attività di studio è previsto l’anonimato? Voglio dire, sembrerebbe di sì, poiché non vi siete mai dichiarati pubblicamente alle autorità, e tuttavia praticamente ogni persona al mondo sa di voi, tanto che siete divenuti parte integrante della nostra cultura urbana.
G: Come le ho già detto, l’individualità è irrilevante, e perciò lo è anche l’anonimato. Inoltre, forse lei conosce qual è il genere di attività che eseguiamo, nel dettaglio?
B: No, certo che no.
G: Ecco, appunto: voi non sapete che cosa facciamo. Sapete che vi studiamo, d’accordo, e tanto basti. La nostra tecnologia e le nostre procedure non vi sono note, né è previsto che lo siano.
B: Chiaro, ma allora perché rapire le persone? Non sarebbe più onesto richiederne il consenso informato?
G: Beh, la sua è un’obiezione legittima. Ci abbiamo provato, ripetutamente. Inizialmente non eravate in grado di comprendere il nostro linguaggio, dunque abbiamo dovuto attendere. Quando la vostra civiltà si è sufficientemente evoluta per poterci comprendere, siete divenuti pericolosi e ostili. Quindi abbiamo optato per quello che voi chiamate rapimento, ma che non ha nulla a che vedere con il reato descritto nei vostri codici. Potremmo piuttosto definirlo un prelievo di un campione biologico, che viene conservato per un periodo limitato prima dell’inevitabile e previsto rilascio, in condizioni di totale incolumità.
B: Eseguite tutte le operazioni di studio in questi vostri velivoli a forma di disco?
G: Sì, sostanzialmente tutte. Cerchiamo di scendere al suolo il meno possibile, solo quando è strettamente necessario. Come le ho detto, abbiamo ragione di ritenervi una forma di vita alquanto aggressiva, sia interspecie che intraspecie.
B: Vorrei poterle dare torto. Vi è mai capitata qualche sorta d’incidente, con le cavie o con i velivoli?
G: Non cavie, per favore, ma oggetti di studio. Comunque non è mai accaduto nulla di veramente rilevante. La maggior parte dei problemi con i soggetti sono dovuti a risvegli traumatici e a stati di panico incontrollato alla nostra vista, il cui susseguente stato di agitazione può causare gravi danni alla nostra strumentazione. Non ci risultano invece incidenti a carico dei velivoli.
B: Dunque non è avvenuto alcun incidente, per esempio, a Roswell, nel 1947?
G: Non è presente nei nostri registri. Probabilmente avete preso un abbaglio: è tipico della vostra specie dare spiegazioni fantasiose agli avvenimenti per diletto o per ricercare l’attenzione altrui.
B: Ben poco lusinghiero da parte vostra. Poco male, è l’ora di lasciarci.
G: Ma certo. Possiamo rilasciarla dove preferisce. Che ne dice della sua camera da letto?
B: Grazie, ma non vorrei allarmare il vicinato, qui sulla strada va benissimo. Buon proseguimento!
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Tall/short [LH]
summary: mentre Luke e Y/N fanno l’albero di Natale, la differenza d’altezza tra loro due colpisce ancora
written by: me
word count: 575 (leggermente corto, ma secondo me è carino)
enjoy
Natale. solo con questa parola possiamo dire una delle cose preferite al mondo di molte persone. La famiglia, i regali, i dolci, la veglia, le luci, le decorazioni, le canzoni, il caldo, il calore umano che si risveglia. a praticamente tutti piacciono queste cose. Y/N non faceva differenza, e già dal primo dicembre entrava in modalità “folletto di natale”, come il suo fidanzato piaceva chiamarla. Certo, anche lui amava il Natale, ma non aveva la biancheria intima con le renne sopra.
Y/N e Luke si trovavano nel salotto di casa loro (già completamente decorato a tema, esattamente come il resto della casa), montagne di scatoloni piene di decorazioni a terra, mentre facevano l’albero. Y/N aveva calzini con disegnate delle calze sopra, un cappello da babbo natale, un maglione rosso con le renne (di Luke, ma lei lo ha costretto a comprarlo e indossarlo così che avesse il suo odore sopra e lei potesse indossarlo) e delle palline con disegnato sopra babbo natale sulle orecchie. Luke invece indossava solo un noioso, comune maglione rosso sbiadito (parole della sua ragazza, dopo che lui aveva rifiutato di mettersi le orecchie da renna). Comunque, mentre Luke finiva di mettere le lucine intorno all’albero, Y/N cercava nelle scatole il puntone [non ho idea se si dica così, io la chiamo semplicemente “punta”] da mettere in cima all’albero.
“trovato!” urlò felice, una volta preso l’oggetto che cercava da più di cinque minuti, facendo saltare Luke dallo spavento.
“congratulazioni, babe” le rispose questo roteando gli occhi, ma sorrideva
“Luke, non sei emozionato? saremo i primi ad avere un’albero di Natale!” chiese Y/N, quasi saltellando dall’eccitazione, e Luke sorrise per quanto fosse tenera la sua ragazza
“questo perché nessuno fa ancora l’albero il 2 dicembre, elfetta” disse, toccandole la punta del naso, facendoglielo arricciare
“guasta feste” borbotto Y/N, per poi riprendersi d’animo
“ma ti perdono, perché a Natale siamo tutti più buoni”
“oh! come sono fortunato, non sarei riuscito a sopravvivere altrimenti” le rispose Luke con fare teatrale e una mano sul cuore
Y/N non rispose, ma passò a mettere il puntone sull’albero.
“hai bisogno di una mano?” disse Luke, ghignando, vedendola saltare per mettere il puntone in cima
“no, ce la faccio” borbotto la sua ragazza, ancora cercando un qualche modo per arrampicarsi sull’albaro senza farlo cadere. dopo altri tentativi, si girò finalmente verso Luke, che stava ancora ridendo sotto ai baffi, con un sorriso furbo sulle labbra
“sai, non capisco perché ci serva per forza il puntone sull’albero. insomma c’è una legge che lo dice? inoltre, è esagerato. Credo che per quest’anno possiamo anche farne a meno” brontolò Y/N, diventando ancora più frustrata, vedendo il sorriso di Luke crescere
“babe, non possiamo evitare di mettere il puntone, dopo l’albero non sarebbe completo” Y/N sbuffò e si girò per continuare a provare di mettere il puntone, ma appena fu di spalle al suo ragazzo, Luke la prese per i fianchi e la sollevò
“Luke, che diavolo fai? mettimi giù!”
“metti il puntone!” le disse ridendo, e la rimise a terra solo a lavoro completato
“te l’avevo detto che avevi bisogno di aiuto” disse ridacchiando Luke, ricevendo un leggero schiaffo sul braccio
“sei troppo bassa per arrivare lassù”, continuando, scoppiando poi a ridere vedendo la faccia imbronciata di Y/N
“io non sono bassa, sono leggermente sotto la media. sei tu che sei un gigante”
“e comunque, se ce lo chiedono, ho messo il puntone da sola”
“mmm, certo. ora baciami però, piccolo elfo”
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I PREFERITI DEL MESE #3: Marzo
Marzo è letteralmente volato dalla finestra e mai come questo mese mi sembra di non aver combinato niente, di aver lasciato passare settimane senza concludere niente. La quarantena fissa, l’obbligo di rimanere in casa accentuano sicuramente questa sensazione di perdita di mobilità. Viviamo in una realtà frenetica, il cui valore sembra essere dato dagli obiettivi conquistati e dai posti raggiunti e non potersi buttare in strade battute o inesplorate obbligano tutti a fare i conti con sé stessi, con la propria incapacità di stare da soli. Lavoro da remoto dal 24 febbraio e nonostante sia in una call quasi continua con colleghi e clienti, inizio a sentire il peso della solitudine, della mancanza di contatto umano. Quando finirà tutto questo non voglio più saperne di smartworking. Vivo da sola in un monolocale di pochi metri quadri, ma ringrazio di non dover dividere i miei spazi con un’altra persona, sarei impazzita dopo poco alla mancanza di spazi solo miei. E quindi oscillo tra la profonda nostalgia per la mia famiglia e la consapevolezza che è giusto così, che sono immensamente fortunata. Potrebbe andare meglio, ognuno lotta con le sue difficoltà, le sue paure e le sue angosce, ma ce la faremo, non posso lasciarmi andare. Tutto questo finirà e sarà difficile ma ne usciremo. Cerco di pensare positivo nonostante tutto.
Comunque, per cambiare le carte in tavola e dare una rinfrescata a questo blog, dallo scorso mese ho deciso di portare qui su questo spazio di web una delle rubriche che più mi piace guardare su Youtube e che sostanzialmente dimostra che non mi so inventare niente, ma che amo inglobare nel mio modo di essere espressioni, modi e idee che mi colpiscono l’immaginario. “I preferiti del mese” è un format che forse non si presta molto alla parola scritta ma ci proviamo, che tanto se non funziona lo facciamo funzionare a modo nostro.
MUSICA
La mia playlist si chiama L’indie è morto è contiene ogni tipo di canzone che mi capita a tiro e che inizio ad ascoltare ossessivamente, dai The National a Calcutta, dai Coldplay ai BTS, passando per i Måneskin (grazie Fede per avermeli fatti ad ascoltare in una mattinata frenetica in camera tua) e ultimamente grazie a Dario Matassa di Space Valley che ne parla ossessivamente da un po’ (degli Space Valley ve ne ho parlato nel primo episodio di questa rubrica) ho iniziato ad ascoltare Motta. In particolare La fine dei vent’anni è diventata una delle canzoni da ascoltare ossessivamente in questo mese rinchiusa in casa (la sto ascoltando a ripetizione anche adesso che sto scrivendo questo post). Non posso ascoltare sempre le stesse canzoni… giusto?
LIBRI
Questo mese ho letto veramente pochissimo, e quando dico pochissimo intendo pochissimo. Mi sento abbastanza in colpa per questa cosa, ma allo stesso tempo cosa posso farci? La mia concentrazione è ai minimi storici e già è tanto se non ho smesso del tutto. Menzione quindi per Gli anni incompiuti di Francesco Falconi. A confine tra due generazioni, Marco e Aurora si incontrano, si conoscono, si vivono, con l’incanto dell’infanzia, la ribellione della giovinezza e la brutalità della vita adulta. Francesco Falconi dipinge con abilità il quadro della loro storia, tratteggiando accuratamente i personaggi e le dinamiche, regalando al lettore una storia meravigliosa. Vi lascio la mia recensione.
FILM & SERIE TV
Ah ragazzi miei credo di avere un problema, piuttosto grande. Mi sono fissata di nuovo con i drama, maledetta me, li sto guardando senza soluzione di continuità, facendo le ore piccole e divorandone tantissimi. Maledetta me. Vi cito il mio preferito in assoluto, che ormai è anche tra i miei preferiti di tutti i tempi: ARE YOU HUMAN TOO? Si tratta di uno sci-fi con un cyborg che sembra perfettamente umano. Ha una trama abbastanza ingarbugliata e piena di colpi di scena, un protagonista bellissimo e adorabile e una scenografia molto accurata. Non ho ancora smesso di pensarci.
BEAUTY
Pensavo che avrei lasciato questo spazio vuoto, perché che beauty vuoi mettere, mica mi trucco per stare in casa… in realtà l’ho fatto in un paio di occasioni. Per la laurea di mia cugina che ho visto in live streaming comodamente seduta in casa e per un aperitivo virtuale con le mie amiche. In questa seconda occasione ho indossato uno dei miei rossetti liquidi preferiti il I’m glamour di Pupa tonalità 012 che ho appena scoperto essere un’edizione limitata e quindi non si trova più. Si tratta di un rosso metallizzato e un po’ brillantinato oro, abbastanza confortevole, che brilla molto. Io non lo metto molto perché sono una mezza frana a mettermi il rossetto in generale, ma mi piace moltissimo.
CIBO
Le mie amiche dal Giappone mi avevano mandato questa specie di mandorle caramellate al miele, che avevo tenuto da parte perché adoravo il pack. Poi le ho aperte, centellinandole, poi in un giorno in cui ero triste le ho finite in un colpo. E le amo molto. Non le mangerò mai più, però insomma, ci sono le api sopra.
Restando molto a casa, come la maggior parte degli italiani anche io mi sono data alla cucina, una delle cose che ho fatto più spesso è l’hummus, anzi in realtà è tutto tranne che hummus possiamo tranquillamente chiamarla crema di ceci. Come la fai mi chiedete? Bene con i ceci quelli precotti schiacciati e/o frullati, con il succo di lime, un goccio di olio, sale, pepe, paprika e curcuma. La amo molto.
RANDOM
Vi darò una grande notizia, di cui probabilmente non vi importerà nulla, ma che mi ha rallegrato una notte in cui non riuscivo a prendere sonno. Zach Braff e Donald Faison gli interpreti di JD e Turk di Scrubs hanno iniziato un podcast in cui riguardano Scrubs e lo commentano intitolato Fake Doctors e Real Friends with Zach & Donald è uscito solo il primo episodio ed è naturalmente in inglese, ma raga Scrubs è la mia serie della vista.
E voi, quali sono i vostri preferiti del mese?
Raccontatemelo qui sotto.
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Voglio andarmene da qui, dicono che l'Italia ha problemi, ma sapete qual'è lunico problema dell'Italia? Gli italiani.
Andare oltre il buon cibo, i monumenti, la "cultura"se così possiamo chiamarla, la moda e l'amore, qua si parla di un aumento di ignoranza e cattiveria.
Non siamo liberi di scegliere chi essere, di amare, di vedere le cose come siano veramente, perché già da piccoli ci impostano il loro modo.
Una ragazza non è libera di mettersi un top e una gonna attilatta che subito viene pregiudicata o addirittura di violentata, quando magari quel sabato sera volevano solo valorizzarsi un po.
Un ragazzo obeso non può uscire di casa che viene preso di mira, magari ha problemi alimentari, o magari gli piace mangiare ma non sono comunque cazzi tuoi.
Un ragazzo di non può truccarsi perché sennò è frocio, esistono drag queen con moglie e figli, allargate gli orizzonti che è ora.
Siamo diventati razzisti a tal punto che lo siamo tra noi italiani stessi, ma finiamola dai ! che siamo tutti scimmie.
Giudichiamo chi è diverso, ma ci siamo visti prima? Possiamo essere anche la persona più pura di questo mondo ma non possiamo permetterci di giudicare un'altra persona, perché non siamo quest'ultima e non sappiamo cosa sta passando.
Se voglio camminare in spiaggia col mio ragazzo non devo camminare con la paura che qualcuno mi prenda a botte non siamo su un ring.
Ti lamenti dei 10 centesimi per la busta di plastica, ma poi i 10 centesimi in più per le sigarette non ti pesano...almeno la busta la riusi in caso.
Vi lamentate del mezzo che fa tardi, ma il biglietto lo pagate almeno?
Il problema in Italia sono gli italiani con le loro menti chiuse, retrograde e anticonformiste.
Il problema è che gli italiani non vogliono cambiare, o anzi non hanno voglia di cambiare. perchè se uno si muove la massa non lo segue, ma se la massa si muove uno lo segue. Quindi è inutile dare la colpa all'Italia perché il problema sono gli italiani, e non dite di no in altri paesi le cose che succedono qui non succedono, o almeno succedono di meno. E odio ogni singola persona che non fa nulla per cambiare le cose.
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