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PRIMA PAGINA Corriere Adriatico di Oggi giovedì, 07 novembre 2024
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Cinque cose a ca... so.
1) La mamma ha preso un barattolino di vetro contenente cipolle in agrodolce. Le ho assaggiate. Si sente solo il dolce. 2) La mamma ha preso anche una confezione di snack per vegani (costavano poco.). Sanno di cartone croccante. Insipido. 3) Ho provato a guardare il film horror Terrifier. Di terrificante c'è solo la sciatteria con cui è stato realizzato. Si vede che è costato poco. 4) Oggi, nel fare i giochini della Settimana Enigmistica ho barato. Alcune definizioni le ho cercate con Google. Però i giochini basati sulla crittografia li ho risolti tutti da solo. 5) Credo di aver cambiato idea su un libro che non mi andava di leggere. La settimana prossima ci penso su. E decido.
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Quello che trovo meno credibile in assoluto nelle ipotesi di complotto (qualsiasi) è che dipingono un mondo che funziona come una serie di ingranaggi perfetti, escludendo il caso, l’errore, la sciatteria, la follia, l’impulso… in una parola, l’umanità (e la realtà)
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Ogni anno da 78 anni l'italiano viene allevato ed educato all'infamia al tradimento alla furbizia alla viltà e all'opportunismo. I risultati sono sotto i nostri occhi ogni giorno.
-Andrea
manca sciatteria.
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L'eleganza e la classe non si distingue dalla sciatteria o volgarità, in base alla marca o qualità del capo d'abbigliamento che porti.
Semmai da come sei capace di portarlo. Perché è ciò che hai dentro, e si riflette fuori, che fa di te una persona di classe o una volgare.
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madonna ma che piattume che sciatteria che democrazia cristiana ma a ‘sto punto di’ “il vestito è trasparente e sotto sono nuda, non rompete la minchia” e chiudiamo. più femminista così
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Fin dalla notizia della morte del blogger russo, i quotidiani occidentali sono stati sicuri della responsabilità e della modalità dell’omicidio, per alcuni pianificato, per altri improvviso. Come abbiamo già spiegato in un precedente articolo, con la sua morte, l’Occidente ha suggellato il ritratto di Alexei Navalny, rendendolo un simbolo di libertà, un moderno santo protettore dei valori democratici, schiacciato a morte dallo zar.
A pochi minuti dalla notizia del suo decesso, infatti, i quotidiani parlavano già di avvelenamento. Secondo altri, sarebbe morto di freddo o l’assideramento sarebbe stato una concausa. L’indomani la versione era già cambiata, ma come insegna il bipensiero orwelliano, era sempre stata quella corretta: un “pugno al cuore”, secondo The Times, chiaramente una classica tecnica del KGB per liquidare gli oppositori. Il fatto che Navalny avesse avuto delle convulsioni prima della sua morte e che i presunti lividi sul petto potessero indicare i tentativi di rianimazione, non ha sfiorato nessuno.
Fatto sta che per Il Foglio, la dinamica cambia poco, Navalny è stato ucciso: “La sua morte non è altro che la vendetta di Putin contro ogni oppositore”. A chi dovrebbe fare informazione, non interessa stabilire come siano andate le cose. La verità sfuma all’orizzonte, soffocata dalla propaganda. Se per La Stampa, Putin ha superato la “linea rossa”, Vanity Fair ci consegna un ritratto di supercattivo: “Alexei Navalny: mentre moriva, Putin rideva”. Se ancora Il Foglio è convinto dei “calcoli premeditati del Cremlino per far scomparire l’oppositore”, Il Riformista ricorda che veniva “torturato anche quando si lavava la faccia”, mentre La Repubblica firma un riepilogo su “Tutti i veleni di Putin, dal polonio al Novichok”.
Un caso emblematico ci viene dal Post, dove Eugenio Cau e la giornalista Anna Zafesova, in una puntata di Globo, spiegano perché Putin ha ucciso Navalny e in che modo con lui la Russia ha perso il suo migliore politico e la sua migliore speranza. Cau esordisce nel podcast senza mezzi termini: “Vladimir Putin ha ucciso Alexsey Navalny, il suo principale oppositore” e spiega che, anche non sono ancora note le cause del decesso, “sappiamo” chi ha voluto e ordinato la morte del dissidente russo: ovviamente, Putin, che così ha mandato un “messaggio sprezzante” all’Occidente.
[...]
Se è più che lecito avere dei sospetti sulla scomparsa di Navalny, così come denunciare le condizioni della sua prigionia, la deontologia imporrebbe la pazienza di una ricerca accurata, volta a ricostruire in maniera obiettiva la dinamica della sua morte. Invece, la granitica certezza e le molteplici quanto fantasiose ricostruzioni sbandierate dai media occidentali dovrebbero far riflettere su come il giornalismo sempre più spesso scivoli nella sciatteria e nella disinformazione. A maggior ragione quando a inebriarsi dai fumi della propaganda sono gli autoproclamatisi professionisti dell’informazione, che oggi esaltano un dissidente comodo all’Occidente, ma ogni giorno fanno la morale a chiunque manifesti un pensiero divergente.
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Riflettevo tra me e voi
Un qualunque film di Totò di 60, 70 anni fa, è molto più divertente e ben fatto di tutte le commediole o commediaccie italiane contemporanee, ma anche meno contemporanee.
A me sembra una cosa preoccupante. Un degrado, una sciatteria, una diminuzione, una crisi. Siamo un paese decaduto, non solo artisticamente.
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il problema della proprietà di linguaggio e della sua correttezza ortografica e grammaticale nella P.A. italiana è di grande rilevanza: in questi tempi, dove la cultura, sembra un lusso o soprattutto un elemento di spocchia di pochi verso la massa, è penoso e pesante vedere atti e documenti scritti in un italiano pessimo, che se non visionato in partenza, darebbe vita a delle chicche degne delle migliori battute da avanspettacolo. Io non sono esente da errori, ne commetto non pochi, ma sono preda (per mia fortuna) di dubbi e quindi cerco di rileggere e verificare sui vocabolari (online) la correttezza di quel che scrivo. C'è invece in giro una tale sciatteria e una nonchalance nello scrivere e mandare in giro documenti, di cui bisognerebbe solo vergognarsi, visto che in questo modo sdoganiamo l'ignoranza grassa ed insostenibile, oltre a renderci ridicoli verso l'utenza di qualsiasi grado sociale
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In Estrema Sintesi
In un saggio del 1946, Politics and English Language, George Orwell criticava l’uso cattivo della lingua inglese a lui contemporanea, dando colpa soprattutto alla classe politica di indicare “la cattiva strada”, usando una lingua “brutta e imprecisa perché i nostri pensieri sono stupidi, ma a sua volta la sciatteria della lingua ci rende più facili i pensieri stupidi”.
Con tattica politica che sappiamo a quali tempi si rifà, in questi giorni ha molta presa il dibattitto (?) iniziato con la conferenza stampa del 28 Marzo in cui il Ministro della Sovranità Alimentare, Francesco Lollobrigida, insieme al Ministro della Salute, Orazio Schillaci, di bandire la produzione della cosiddetta carne sintetica.
Sarebbe interessante anche discutere della motivazione sulla decisione che, nelle parole del Ministro, suona “pimpante”: una legge all’avanguardia per un mondo che resti civile e in linea con quello che è stato lo sviluppo dell’umanità.
Ma sono più interessato all’uso dell’aggettivo sintetico. Nel caso delle produzioni in questioni, viene usato come sostituito del termine coltivato, termine che spiega meglio l’origine di allevamento in laboratorio di cellule staminali animali che portano alla produzione “in vitro” di carne. Sintetico, tra i suoi innumerevoli significati, descrive in chimica una sostanza ottenuta per sintesi, non proveniente dall’elaborazione di organismi animali o vegetali, e talora sinonimo di artificiale (voce Sintetico, Vocabolario Treccani). Per la premessa di prima, è del tutto erroneo usarlo, ma facendo leva sul significato sinonimo, fa molte più presa. Perchè quella carne è sintetizzata: produrre un composto attraverso una reazione, o una serie di reazioni, di sintesi, partendo cioè sia dagli elementi sia da composti più semplici (voce Sintetizzare, Vocabolario Treccani): in questo caso partendo da organismi animali, le cellule staminali.
Posso comprendere che sia una sottigliezza intellettuale, sebbene sia sostanziale, ma è inevitabile per due motivi: il primo, che sembra un modus operandi di questo Governo, usare in maniera chirurgica questioni secondarie per nascondere problemi molto più grossi, e allo stesso tempo dimostrare correlazione con le aspettative elettorali; il secondo, sul totale abbandono dell’opinione pubblica della critica agli slogan, per cui basta che una parola o un concetto sia ripetuto in quantità per essere vero.
Nel 1977, durante la conferenza stampa per la presentazione dei Mondiali di Calcio in Argentina dell’anno successivo, un giornalista italiano alza la mano e chiede: "Ci dicono che qui scompaiono le persone, è vero?" . I vertici dell'esercito presenti alla conferenza stringono le mascelle, stralunano gli occhi, poi uno di loro prende la parola e risponde nervoso: "Lei è mal informato. Comunque indagheremo". Il giovane reporter era Gianni Minà e quella sera ebbe la visita della polizia nella sua stanza d'albergo. Il giorno dopo la RAI gli chiese per la sua incolumità di lasciare l’Argentina.
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Aveva gli occhi che parevano quelli di un demone infuocato. Guardateli questi occhi. Guardateli.
Sono stata sabato scorso a trovare questo signore a Castellarano di Reggio Emilia. Castellarano è anche una bella cittadina. Che nemmeno te la immagini. Ci si arriva prendendo l’autostrada che attraversa Modena. Sassuolo. Eccetera. Eccetera. Passi anche per una cosa chiamata CeramicLand. Perché qui sta il cuore della produzione della ceramica.
Castellarano invece in zona collinare sulla riva sinistra del fiume Secchia, è un borgo storico fluviale molto suggestivo, tra vicoli in pietra, slarghi e piazzette restaurate, case e palazzi ben tenuti. Solo che. Solo che anche qui ci sono le case occupate.
Arrivo a casa di questo signore ghanese che non paga l’affitto e che ha il contratto scaduto da oltre un anno e mezzo che è quasi mezzogiorno. La proprietaria gli suona il campanello. Ma lui non vuole scendere. “Vieni tu su”, le dice. Io lì per lì sono titubante poi dico: “Ok andiamo. Andiamo su”. L’aria era pure solforosa. Pressante.
Gli chiedo perché non se ne sia ancora andato, come mai con un contratto scaduto da oltre un anno lui sia ancora lì. Gli chiedo perché nonostante un’ordinanza di sfratto lui continui a rimanere fregandosene di tutto. E di tutti. Fottendo la gente. Fottendo lo Stato. Poi. Poi gli dico: “Allora tu riconosci di avere un debito verso questa donna”. Donna che tra l’altro è disperata. Non sa come fare per tirare a campare. Questa casa era la sua pensione. E ha fatto perfino lo sciopero della fame. Lui mi dice: “Sì sono 3 mila euro”. Io gli dico di no. Gli dico che gliene deve oltre 16 mila. Ma lui. Lui in un baleno esplode. E i suoi occhi si fanno rossi. Vermigli. Cremisi. Sembravano palle infuocate che saettano nel cielo. In un lampo sembrano deflagrare. Paiono venire fuori dalle palpebre che contengono gli occhi. Le sue pupille erano dilatate. Il suo iride era ingigantito di rabbia e violenza. I suoi nervi hanno iniziato a ingrossarsi. E le sue vene erano gonfie di collera. A un certo punto ha iniziato a gocciolare sudore e a me son tremate per un attimo le gambe. È esploso in un “No! No! No! Nooooooo”. E lo diceva così bilioso, iracondo, che pareva impossibile tenerlo. Da lì ha iniziato a farneticare. A gesticolare. E in preda a un violento turbamento ha iniziato a bestemmiare. Gli ho detto: “Stai bestemmiando e dici anche di essere cristiano”, e lui ha continuato. Credeva di incutermi timore ma non ho fatto né un passo indietro. E nemmeno un passo avanti. Sono rimasta di marmo. Ho continuato a fissarlo dritto negli occhi. E lui all’improvviso. All’improvviso ha iniziato a guardarmi. A fissarmi. A squadrarmi. Mi guardava il volto. Il seno. Le gambe. Le braccia. Mi fissava come a dire: “Io sono un uomo. Tu una donna”. Ma non gli ho dato retta. Aveva lo stesso sguardo che un felino riserva alla sua preda. Questa non è gente che viene in Italia e si converte al Cristianesimo di punto in bianco. Nel loro profondo la donna è considerata un essere inferiore. Come fosse una gallina. Fatto sta che questo signore continua a occupare una casa che non è sua. Continua a non pagare soldi alla proprietaria. Continua a fottersene di tutto. Tanto da che può chiedere sei mesi e il giudice magari glieli concede. Sa che avrà lo Stato dalla sua parte. Sa che i suoi diritti, a differenza della proprietà privata, sono garantiti dalla sciatteria e dal pressapochismo e dall’inefficacia e inefficienza delle nostre leggi. Questa è tutta gente che i talebani dell’accoglienza proteggono.
Buonisti col culo degli altri. Fino a che non occupano casa tua.
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Sono fatte bene, toccano il cuore e, stupidamente, pure l’orgoglio, le installazioni della Calabria nella stazione Centrale di Milano. Spiegano, anche attraverso importanti appuntamenti culturali, quanto la nostra Regione sia straordinaria per natura, storia, cultura, stagioni; quanto essa sia straordinariamente fraintesa a causa di una rappresentazione sbagliata: per sciatteria, superficialità, malafede. La Calabria ha un problema di immagine? Ha necessità di essere spiegata meglio? Sì. Sì.
Milano è ovviamente il posto migliore, il luogo centrale in cui costruire o ricostruire. Rispetto a questo, rappresentano una scelta intelligente, razionale, le presenze fisiche e culturali nella Centrale. Vi passano migliaia e migliaia di persone, in un miscuglio sociale, economico, culturale. La stazione di Milano è una vetrina sul mondo.
Se ricostruire l’immagine calabrese e aumentare i flussi turistici, fossero le uniche questioni da risolvere. I soldi spesi sarebbero stati spesi bene. A coloro che hanno realizzato l’impresa andrebbero dedicati minuti di applausi. Senza confondere le acque: gli esborsi, ingenti, erano obbligatoriamente destinati ad attività di tipo turistico, non potevano risolvere problematiche di altra natura. Glam, fosse stata un’iniziativa del Trentino, della Valle d’Aosta, sarebbe sta una cosa cool. E fighe, sarebbero tutte le operazioni d’immagine praticate dalle politiche regionali calabresi, di oggi e di ieri.
Il tutto, da affascinante si trasforma in deprimente. Le note diventano dell’imbarazzo, perché le cose non si costruiscono dal tetto. L’affinamento dell’immagine, la correzione narrativa, devo correre parallelamente con la costruzione di un apparato di ricezione turistica che sia in grado di assorbire i flussi: è come se pubblicizzassimo i gelati non avendo una gelateria. Viabilità e trasporti, per e dalla Calabria, sono contingentati. Le strutture ricettive, reali non dichiarate, sono insufficienti. Quindi: costruisci un sistema turistico e affiancagli un apparato narrativo in grado di sostenerlo, di farlo crescere. Lo sappiamo noi ritornanti, quanto sia complesso e costoso guadagnare la Calabria in periodi di ferie, estive e invernali. Abbiamo spiagge, montagne, musei, storie, imprenditori, tutti straordinariamente sconosciuti. Vanno raccontati, certo. Prima bisogna però attrezzarli al meglio. Spenderli per essi i soldi destinati al turismo.
Dopo sì, se dopo riusciamo a fare operazioni come quella di Milano, o altre che hanno riguardato l’immagine, saremo straordinari, da applausi.
Ora no, adesso, al centro di Milano, per noi calabresi che conosciamo le difficoltà, più dell’orgoglio ci viene sviluppato l’imbarazzo.
dalla pagina fb di calabria meravigliosa
Il pensiero di Gioacchino Criaco (scrittore calabrese autore, tra gli altri, di "Anime Nere") tratto dal suo profilo Facebook e ripreso da molte testate online.
Straordinaria e imbarazzante. La Calabria al centro di Milano
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SKULLGRIN ( Deluxe ) Generations LEGACY *G1*
Ed eccoci qua a parlare finalmente di Legacy SKULLGRIN, dopo averlo tanto nominato nelle recensioni dei suoi colleghi "Pretender" Iguanus e Bomb-Burst, classe Core, tocca quindi al Deluxe, anche lui ovviamente castrato della gimmick che lo caratterizzava, ovvero quella del guscio / armatura pseudo organico con all'interno il robot trasformabile.
A differenza dei succitati Core, la cui MODALITA' ROBOTICA riproduce le fattezze del solo guscio originale, qui finalmente abbiamo un ibrido effettivo che incorpora dettagli iconici dello shell, principalmente con la testa, spallacci e bacino, con altri meno vistosi, come gli aculei sulle ginocchia, sulla base di un corpo robotico che riprende quello dell'involucro G1, ad esempio nella scultura del torso, sorvolando magari su licenze poetiche come avambracci grigi e cosce viola rispetto agli arti più prettamente monocromatici del giocattolo del 1988.
( L'ibrididazione è aiutata anche dal fatto che originariamente robot e guscio avevano lo stesso schema di colori, viola e grigio... )
E fin qui tutto bene, senza contare le armi ed accessori di cui parlerò successivamente, dato che prima devo soffermarmi sul grande MAH! del modellino, ovvero proprio quella testa così fedele al guscio dell'originale... pure troppo fedele, dato che è praticamente la testa "organica" del mostro, ovvero un teschio mostruoso con corna e zanne, trapiantata su un corpo interamente robotico, che ci sta come i cavoli a merenda! ^^'
Senza contare che non è manco la testa completa, dato che hanno preso solo la parte superiore, dimenticandosi la mandibola che nel guscio del giocattolo originale era scolpita nel torso! ^^'''
E dire che nei vari settei e nei fumetti era disegnato appunto con una bocca e quindi con la testa completa, così come appare in questa maniera nel concept design da cui hanno tratto il giocattolo: non si capisce quindi la quasi sciatteria di copia-incollare la parte superiore della testa, anche se va detto che è scolpita ottimamente, e per esigenze di trasformazione, pure con i corni articolati!
A questo punto, perchè non citare appieno il guscio del 1988 e scolpire una mandibola sul petto del robot, e morta lì, ribadendo che l'ideale però sarebbe stata una testa con lineamente più robotici, per sposarsi meglio con il corpo meccanico... o il contrario, scolpire alcune parti del bot come se fosse organiche, tipo cosce e bicipiti, facendo intendere che fosse una sorta di cyborg, allora.
Va detto che ci sarebbe il precedente della testa da mostro robotica nel Korno Generations precedente, quello repaint dello Straxus di un decennio buono fa, quindi forse non volevano ripetersi... ma davvero, il capo organico sul corpo robotico è davvero un pugno su un occhio, ed il peccato è ancora più mortale in un giocattolo alla fine così ben realizzato e pure graziato con dei begli accessori.
L'originale Pretender aveva infatti una sciabola bianca ed un paio di fucili che si potevano unire in uno a doppia canna, ed il robot stesso aveva dei cannoni retrattili sostiuibili ai pugni, e tutto ciò è stato ben adattato nel Legacy, con due fucili che si rifanno a quelli succitati ma con una lama a mo' di baionetta, e quindi doppia impugnatura per essere usati come spade, così come un paio di cannoni spuntano da un'apposita torretta sulla schiena, staccabile così come i cannoni stessi che possono sostuirsi ai pugni grazie ai fori sugli avambracci, o in generale ai numerosi fori in stile WfC sparsi sul corpo.
Le armi sono comunque ben dipinte, con un argento scuro davvero d'effetto, e le due baionette sono in plastica morbida, o gomma dura, fate voi. Colpo di genio finale, nella torretta spunta pure la codina ( articolata! ) come nel guscio del 1988!! XD
Infine, come stazza è nella media dei Deluxe normali, ma dato come ci siamo abituati l'occhio a vedere il guscio Pretender svettare rispetto agli Transformers, onestamente me lo sarei aspettato un po' più grande almeno di una testa, ma tant'è.
Per quanto, come poi vedremo, la sua modalità alternativa potrebbe sembrare come se il robot fosse sdraiato a terra con le braccia alzate, in realtà la TRASFORMAZIONE è elaborata il giusto, con la schiena che si apre per inglobare il testone e le braccia che si chiudono sotto, il bacino che si ripiega e le gambe che si accorciano, con i cingoli finora dietro ai polpacci, che si protendono ad agganciarsi sulle braccia.
Il CARRARMATO Cybertroniano risultante è effettivamente un po' scialbetto, di primo acchito, sembrando davvero solo il robot sdraiato, e ricordando a malapena il veicolo originale, ovvero un mezzo dalle forme un po' più aerodinamiche ma un po' goffo per la posizione delle armi.
Anche qui i fucili con le ali / sciabole sono sistemati ai lati bassi del veicolo, ma nulla vieta di metterli sui fori ai fianchi dei due cannoni sulla torretta, questa sì davvero un bel passo da gigante rispetto all'originale, in quanto ruotabile e con i cannon che si possono alzare.
I piedi viola stonano come punte frontali del veicolo, e forse era meglio farli grigi, ma sopratutto al mezzo manca la cabina di pilotaggio centrale come nel G1, anche se in tank così non è che sia essenziale, ma più che altro spiace per il tocco di classe mancato visto sempre nei concept design, ovvero un teschio in vista sul muso del carrarmato.
E in effetti nel passaggio di trasformazione del bacino, il teschio sulla cintura andrebbe a guardare in avanti, ma purtroppo viene coperto poi dalle gambe che si uniscono: inutile dire che sarebbe stato bello se con un pannellino il teschio poteva slittare in su e rendersi visibile, o in generale se la trasformazione prevedeva che le gambe restassero un po' separate, ricordando così pure un po' di più il G1, ma niente da fare.
Infine, ma questo ci hanno abituato da mo', il cingolato non ha manco le ruotine per farlo, beh, scorrere sul terreno, ma fa sempre un po' strano se confrontati coi loro corrispettivi di quasi 40 anni fa... ^^'
Concludendo, la realizzazione è impeccabile, fra trasformazione appagante, e modalità giocabili grazie alle armi e posabilità, e tralasciando ormai il discorso del guscio mancante, c'è la pecca a monte del design ibrido sì ma col freno a mano tirato per via della testa mal riportata dal design originale, così come il teschietto mancante nel tank, ma alla fine per i fan del personaggio non è di certo uno spreco di soldi, anche se quei 2 errori di disegni gli hanno precluso la quasi perfezione.
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C’erano stati giorni in cui si era ritrovato a rimpiangere quel collo fino a farsi bastare le somiglianze, come quando sul tram aveva saltato la sua fermata di casa perché non riusciva a staccarsi da una nuca sconosciuta identica a quella che al risveglio non vedeva più. L’ignara passeggera aveva i capelli dello stesso castano smorto di lei ed era rimasto a guardarla pur sapendo che erano sulla donna sbagliata, perché la sua non li pettinava così, anzi, non li pettinava affatto. Forse era proprio la sciatteria, il modo in cui non si curava di come appariva, che gliela faceva apparire ovunque, un fantasma umbratile che infestava l’intera città.
Tre ciotole - Michela Murgia
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OSAPP: "Carcere Milano-San Vittore, FIAMME e MORTE svelano la SCIATTERIA del Sistema Penitenziario"
Leo Beneduci, Segretario Generale OSAPP, tuona: “Un giovane marocchino brucia vivo a San Vittore. È il simbolo del cortocircuito letale tra un governo di parole e un’Amministrazione penitenziaria centrale inconsistente. Suicidi, rivolte, e anche questo rogo. E San Vittore? Abbandonato a un vice direttore.” “Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria – il DAP semina rischi e disfunzione in…
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“Da noi la bellezza ha un non so che d’essenzialmente solare e radioso, per cui celarla sarebbe un controsenso; essa s’accompagna quasi necessariamente ad una certa esigenza di fulgore; è il sorriso dell’essere. […] In Giappone invece la bellezza è iniziatica, la si merita, è il premio d’una lunga e talvolta penosa ricerca, è finale intuizione, possesso geloso. Il bello ch’è bello subito ha già in se una vena di volgarità”.
Leggere le parole di Fosco Maraini in “Ore giapponesi” dopo aver visitato il paese del Sol Levante è un’esperienza completiva. Il Giappone mostra la sua faccia più comune per celare quella più rara, nasconde dentro di sé una bellezza di non facile comprensione. Non può essere immortalata in una foto se prima non la si è fatta propria. Si perdono dei pezzi. Lo si può fare di fronte alla grande metropoli e ai grattacieli, copie sbiadite di qualcosa di visto e rivisto, ma non lo si può fare di fronte all’anima di un popolo così orgoglioso delle proprie bellezze da preservarle.
“Nessuno mi leva inoltre dalla testa che nei giapponesi ci sia un involontario compiacimento di sciatteria quando costruiscono le loro città: quasi a circondare ed a proteggere di brutto i loro veri tesori”.
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