#sciatteria
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Porporati senza porpora, al concistoro trionfa la sciatteria
Mi si nota di più se mi vesto da cardinale o se mi vesto da non-cardinale? Radcliffe sceglie la seconda, ma almeno il saio lo indossi decorosamente. Dilaga il nuovo trionfalismo della trasandatezza, che non rende più spontanei ma solo più autoreferenziali. Continue reading Porporati senza porpora, al concistoro trionfa la sciatteria
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PRIMA PAGINA Corriere Adriatico di Oggi giovedì, 07 novembre 2024
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Cinque cose a ca... so.
1) La mamma ha preso un barattolino di vetro contenente cipolle in agrodolce. Le ho assaggiate. Si sente solo il dolce. 2) La mamma ha preso anche una confezione di snack per vegani (costavano poco.). Sanno di cartone croccante. Insipido. 3) Ho provato a guardare il film horror Terrifier. Di terrificante c'è solo la sciatteria con cui è stato realizzato. Si vede che è costato poco. 4) Oggi, nel fare i giochini della Settimana Enigmistica ho barato. Alcune definizioni le ho cercate con Google. Però i giochini basati sulla crittografia li ho risolti tutti da solo. 5) Credo di aver cambiato idea su un libro che non mi andava di leggere. La settimana prossima ci penso su. E decido.
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Quello che trovo meno credibile in assoluto nelle ipotesi di complotto (qualsiasi) è che dipingono un mondo che funziona come una serie di ingranaggi perfetti, escludendo il caso, l’errore, la sciatteria, la follia, l’impulso… in una parola, l’umanità (e la realtà)
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Ogni anno da 78 anni l'italiano viene allevato ed educato all'infamia al tradimento alla furbizia alla viltà e all'opportunismo. I risultati sono sotto i nostri occhi ogni giorno.
-Andrea
manca sciatteria.
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madonna ma che piattume che sciatteria che democrazia cristiana ma a ‘sto punto di’ “il vestito è trasparente e sotto sono nuda, non rompete la minchia” e chiudiamo. più femminista così
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Fin dalla notizia della morte del blogger russo, i quotidiani occidentali sono stati sicuri della responsabilità e della modalità dell’omicidio, per alcuni pianificato, per altri improvviso. Come abbiamo già spiegato in un precedente articolo, con la sua morte, l’Occidente ha suggellato il ritratto di Alexei Navalny, rendendolo un simbolo di libertà, un moderno santo protettore dei valori democratici, schiacciato a morte dallo zar.
A pochi minuti dalla notizia del suo decesso, infatti, i quotidiani parlavano già di avvelenamento. Secondo altri, sarebbe morto di freddo o l’assideramento sarebbe stato una concausa. L’indomani la versione era già cambiata, ma come insegna il bipensiero orwelliano, era sempre stata quella corretta: un “pugno al cuore”, secondo The Times, chiaramente una classica tecnica del KGB per liquidare gli oppositori. Il fatto che Navalny avesse avuto delle convulsioni prima della sua morte e che i presunti lividi sul petto potessero indicare i tentativi di rianimazione, non ha sfiorato nessuno.
Fatto sta che per Il Foglio, la dinamica cambia poco, Navalny è stato ucciso: “La sua morte non è altro che la vendetta di Putin contro ogni oppositore”. A chi dovrebbe fare informazione, non interessa stabilire come siano andate le cose. La verità sfuma all’orizzonte, soffocata dalla propaganda. Se per La Stampa, Putin ha superato la “linea rossa”, Vanity Fair ci consegna un ritratto di supercattivo: “Alexei Navalny: mentre moriva, Putin rideva”. Se ancora Il Foglio è convinto dei “calcoli premeditati del Cremlino per far scomparire l’oppositore”, Il Riformista ricorda che veniva “torturato anche quando si lavava la faccia”, mentre La Repubblica firma un riepilogo su “Tutti i veleni di Putin, dal polonio al Novichok”.
Un caso emblematico ci viene dal Post, dove Eugenio Cau e la giornalista Anna Zafesova, in una puntata di Globo, spiegano perché Putin ha ucciso Navalny e in che modo con lui la Russia ha perso il suo migliore politico e la sua migliore speranza. Cau esordisce nel podcast senza mezzi termini: “Vladimir Putin ha ucciso Alexsey Navalny, il suo principale oppositore” e spiega che, anche non sono ancora note le cause del decesso, “sappiamo” chi ha voluto e ordinato la morte del dissidente russo: ovviamente, Putin, che così ha mandato un “messaggio sprezzante” all’Occidente.
[...]
Se è più che lecito avere dei sospetti sulla scomparsa di Navalny, così come denunciare le condizioni della sua prigionia, la deontologia imporrebbe la pazienza di una ricerca accurata, volta a ricostruire in maniera obiettiva la dinamica della sua morte. Invece, la granitica certezza e le molteplici quanto fantasiose ricostruzioni sbandierate dai media occidentali dovrebbero far riflettere su come il giornalismo sempre più spesso scivoli nella sciatteria e nella disinformazione. A maggior ragione quando a inebriarsi dai fumi della propaganda sono gli autoproclamatisi professionisti dell’informazione, che oggi esaltano un dissidente comodo all’Occidente, ma ogni giorno fanno la morale a chiunque manifesti un pensiero divergente.
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Riflettevo tra me e voi
Un qualunque film di Totò di 60, 70 anni fa, è molto più divertente e ben fatto di tutte le commediole o commediaccie italiane contemporanee, ma anche meno contemporanee.
A me sembra una cosa preoccupante. Un degrado, una sciatteria, una diminuzione, una crisi. Siamo un paese decaduto, non solo artisticamente.
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il problema della proprietà di linguaggio e della sua correttezza ortografica e grammaticale nella P.A. italiana è di grande rilevanza: in questi tempi, dove la cultura, sembra un lusso o soprattutto un elemento di spocchia di pochi verso la massa, è penoso e pesante vedere atti e documenti scritti in un italiano pessimo, che se non visionato in partenza, darebbe vita a delle chicche degne delle migliori battute da avanspettacolo. Io non sono esente da errori, ne commetto non pochi, ma sono preda (per mia fortuna) di dubbi e quindi cerco di rileggere e verificare sui vocabolari (online) la correttezza di quel che scrivo. C'è invece in giro una tale sciatteria e una nonchalance nello scrivere e mandare in giro documenti, di cui bisognerebbe solo vergognarsi, visto che in questo modo sdoganiamo l'ignoranza grassa ed insostenibile, oltre a renderci ridicoli verso l'utenza di qualsiasi grado sociale
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In Estrema Sintesi
In un saggio del 1946, Politics and English Language, George Orwell criticava l’uso cattivo della lingua inglese a lui contemporanea, dando colpa soprattutto alla classe politica di indicare “la cattiva strada”, usando una lingua “brutta e imprecisa perché i nostri pensieri sono stupidi, ma a sua volta la sciatteria della lingua ci rende più facili i pensieri stupidi”.
Con tattica politica che sappiamo a quali tempi si rifà, in questi giorni ha molta presa il dibattitto (?) iniziato con la conferenza stampa del 28 Marzo in cui il Ministro della Sovranità Alimentare, Francesco Lollobrigida, insieme al Ministro della Salute, Orazio Schillaci, di bandire la produzione della cosiddetta carne sintetica.
Sarebbe interessante anche discutere della motivazione sulla decisione che, nelle parole del Ministro, suona “pimpante”: una legge all’avanguardia per un mondo che resti civile e in linea con quello che è stato lo sviluppo dell’umanità.
Ma sono più interessato all’uso dell’aggettivo sintetico. Nel caso delle produzioni in questioni, viene usato come sostituito del termine coltivato, termine che spiega meglio l’origine di allevamento in laboratorio di cellule staminali animali che portano alla produzione “in vitro” di carne. Sintetico, tra i suoi innumerevoli significati, descrive in chimica una sostanza ottenuta per sintesi, non proveniente dall’elaborazione di organismi animali o vegetali, e talora sinonimo di artificiale (voce Sintetico, Vocabolario Treccani). Per la premessa di prima, è del tutto erroneo usarlo, ma facendo leva sul significato sinonimo, fa molte più presa. Perchè quella carne è sintetizzata: produrre un composto attraverso una reazione, o una serie di reazioni, di sintesi, partendo cioè sia dagli elementi sia da composti più semplici (voce Sintetizzare, Vocabolario Treccani): in questo caso partendo da organismi animali, le cellule staminali.
Posso comprendere che sia una sottigliezza intellettuale, sebbene sia sostanziale, ma è inevitabile per due motivi: il primo, che sembra un modus operandi di questo Governo, usare in maniera chirurgica questioni secondarie per nascondere problemi molto più grossi, e allo stesso tempo dimostrare correlazione con le aspettative elettorali; il secondo, sul totale abbandono dell’opinione pubblica della critica agli slogan, per cui basta che una parola o un concetto sia ripetuto in quantità per essere vero.
Nel 1977, durante la conferenza stampa per la presentazione dei Mondiali di Calcio in Argentina dell’anno successivo, un giornalista italiano alza la mano e chiede: "Ci dicono che qui scompaiono le persone, è vero?" . I vertici dell'esercito presenti alla conferenza stringono le mascelle, stralunano gli occhi, poi uno di loro prende la parola e risponde nervoso: "Lei è mal informato. Comunque indagheremo". Il giovane reporter era Gianni Minà e quella sera ebbe la visita della polizia nella sua stanza d'albergo. Il giorno dopo la RAI gli chiese per la sua incolumità di lasciare l’Argentina.
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Aveva gli occhi che parevano quelli di un demone infuocato. Guardateli questi occhi. Guardateli.
Sono stata sabato scorso a trovare questo signore a Castellarano di Reggio Emilia. Castellarano è anche una bella cittadina. Che nemmeno te la immagini. Ci si arriva prendendo l’autostrada che attraversa Modena. Sassuolo. Eccetera. Eccetera. Passi anche per una cosa chiamata CeramicLand. Perché qui sta il cuore della produzione della ceramica.
Castellarano invece in zona collinare sulla riva sinistra del fiume Secchia, è un borgo storico fluviale molto suggestivo, tra vicoli in pietra, slarghi e piazzette restaurate, case e palazzi ben tenuti. Solo che. Solo che anche qui ci sono le case occupate.
Arrivo a casa di questo signore ghanese che non paga l’affitto e che ha il contratto scaduto da oltre un anno e mezzo che è quasi mezzogiorno. La proprietaria gli suona il campanello. Ma lui non vuole scendere. “Vieni tu su”, le dice. Io lì per lì sono titubante poi dico: “Ok andiamo. Andiamo su”. L’aria era pure solforosa. Pressante.
Gli chiedo perché non se ne sia ancora andato, come mai con un contratto scaduto da oltre un anno lui sia ancora lì. Gli chiedo perché nonostante un’ordinanza di sfratto lui continui a rimanere fregandosene di tutto. E di tutti. Fottendo la gente. Fottendo lo Stato. Poi. Poi gli dico: “Allora tu riconosci di avere un debito verso questa donna”. Donna che tra l’altro è disperata. Non sa come fare per tirare a campare. Questa casa era la sua pensione. E ha fatto perfino lo sciopero della fame. Lui mi dice: “Sì sono 3 mila euro”. Io gli dico di no. Gli dico che gliene deve oltre 16 mila. Ma lui. Lui in un baleno esplode. E i suoi occhi si fanno rossi. Vermigli. Cremisi. Sembravano palle infuocate che saettano nel cielo. In un lampo sembrano deflagrare. Paiono venire fuori dalle palpebre che contengono gli occhi. Le sue pupille erano dilatate. Il suo iride era ingigantito di rabbia e violenza. I suoi nervi hanno iniziato a ingrossarsi. E le sue vene erano gonfie di collera. A un certo punto ha iniziato a gocciolare sudore e a me son tremate per un attimo le gambe. È esploso in un “No! No! No! Nooooooo”. E lo diceva così bilioso, iracondo, che pareva impossibile tenerlo. Da lì ha iniziato a farneticare. A gesticolare. E in preda a un violento turbamento ha iniziato a bestemmiare. Gli ho detto: “Stai bestemmiando e dici anche di essere cristiano”, e lui ha continuato. Credeva di incutermi timore ma non ho fatto né un passo indietro. E nemmeno un passo avanti. Sono rimasta di marmo. Ho continuato a fissarlo dritto negli occhi. E lui all’improvviso. All’improvviso ha iniziato a guardarmi. A fissarmi. A squadrarmi. Mi guardava il volto. Il seno. Le gambe. Le braccia. Mi fissava come a dire: “Io sono un uomo. Tu una donna”. Ma non gli ho dato retta. Aveva lo stesso sguardo che un felino riserva alla sua preda. Questa non è gente che viene in Italia e si converte al Cristianesimo di punto in bianco. Nel loro profondo la donna è considerata un essere inferiore. Come fosse una gallina. Fatto sta che questo signore continua a occupare una casa che non è sua. Continua a non pagare soldi alla proprietaria. Continua a fottersene di tutto. Tanto da che può chiedere sei mesi e il giudice magari glieli concede. Sa che avrà lo Stato dalla sua parte. Sa che i suoi diritti, a differenza della proprietà privata, sono garantiti dalla sciatteria e dal pressapochismo e dall’inefficacia e inefficienza delle nostre leggi. Questa è tutta gente che i talebani dell’accoglienza proteggono.
Buonisti col culo degli altri. Fino a che non occupano casa tua.
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È che i post senza un minimo di punteggiatura (sorvoliamo pure sulle maiuscole) denotano un certo grado di sciatteria di pensiero: non hai riflettuto un minimo, hai riversato tutta l'immondizia che hai nel cervello senza un minimo criterio di razionalità, di criticità, come se il post o in generale il tuo spazio virtuale fosse una sorta di pattumiera (e tu allora sei spazzatura? Interi blog così, dove si vedono solo questo tipo di post). Per carità, totale libertà nel farlo, ma al di là del post o blog, denotano proprio una secchezza "spirituale", non tanto un impulso a voler esternare a tutti i costi quello che provano ma una vera incapacità di trattenere un minimo la propria vita interiore e analizzarla quel tanto a causa di una mancanza di criticità, di senso analitico. No al rimuginio, no alla paranoia, ma qua siamo proprio in assenza di filtri critici, non posso nemmeno dire assenza di pensiero perché pensano ma quello che pensano è del tutto privo di significato per loro stessi. D'altronde la punteggiatura a questo serve: a filtrare il flusso di pensieri (mi sembra improprio chiamarlo 'flusso di coscienza', dato che nella sua accezione di consapevolezza, non hanno un minimo di coscienza né dei loro pensieri né tanto meno di quello che scrivono). Tutti acculturati universitari, tutti scienziati della cultura e poi sono sciatti dentro, aridi, acritici, totalmente passivi non solo di fronte a quello che hanno intorno ma anche a quello che gli frulla nella testa. Il fermento di pensiero che hanno è solo un disco inceppato su se stesso, non si ferma ma non va avanti, non dice niente, non viene nemmeno ascoltato talmente è ripetitivo ed in sé svuotato di significato. Hanno solo un vocabolario esteso, imparato a memoria dalla lettura compulsiva che per necessità fanno, ma non hanno la benché minima idea di quello che stanno dicendo né quello che dicono ha per loro un significato personale.
Oltre prima ancora di uomo senza inconscio qua siamo in presenza di uomo senza significato.
Io non potrei fare la psicologa. Pecco proprio di empatia. Se mi viene davanti un soggetto che mi ripete sempre le stesse cose gli dico di cambiare psicologo perché non ho voglia di sentire sempre la stessa solfa e non ho voglia di avere a che fare con un soggetto che si rifiuta di essere parte attiva alla terapia, come se la parola dello psicologo fosse una semplice pillolina che te la prendi ed inizi a cambiare per dei processi chimici. A questo punto mi chiedo quanto io stessa ammorbo di vacuità lo psicologo del CSM presso il quale vado.
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Chiamati alla sponsalità,
alla gioia della festa,
all’entusiasmo del rapporto
che mette fine alla solitudine,
cui l’uomo non è chiamato,
rischiamo il grigiore dell’abitudine,
la sciatteria dell’ordinario
che mina l’armonia di coppia,
lo slancio amoroso del consacrato,
lo zelo apostolico del presbitero.
O Madre dello Sposo che intercedi,
al Figlio porta i nostri ammanchi;
e a noi, distratti dal “da farsi”,
richiama l’importanza dell’ascolto
che, obbediente, gioia ridona alla vita.
O Gesù, Sposo e Maestro,
ci sveli il segreto del far festa:
non dare mai nulla per scontato,
prendersi cura delle piccole cose
come fossero le più grandi.
Così le anfore della purificazione,
lasciate vuote per sciatteria,
vanno riempite a compimento
di un rito che a Dio riporta:
e si rianima la festa, torna la vita.
Amen.
Maria, Madre del Buon Consiglio, prega per noi.
BUONA E SANTA DOMENICA.
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sciatterìa s. f. [der. di sciatto]. – L’essere sciatto, trascuratezza nella cura della persona, nell’esecuzione di un lavoro, nell’esercizio di un’arte; sia con riferimento a un singolo atto, sia per indicare un’abitudine, un atteggiamento consueto: vestire con sc.; la sua sc. dà fastidio; in tutto ciò che fa mostra la sua sc.; un lavoro eseguito con sc.; una tesi di laurea scritta con sciatteria.
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Ma non è solo quella comune trascuratezza a denunciare i tratti identitari di quei due provvedimenti di giustizia. Quella è la superficie, la scorza di frutti ben più profondamente, e identicamente, malati nel gheriglio. Ad avvelenarli è, puramente e semplicemente, il pregiudizio: quello che non avrebbe indotto il giudice di Roma a esercitarsi in una simile, spericolata operazione se la capitale in discussione non fosse stata quella dello Stato ebraico; e quello che non avrebbe indotto il giudice di Milano a inventarsi un presunto precedente se la presunta, e in realtà inesistente, «plausibilità» del genocidio non avesse riguardato le presunte responsabilità dello Stato degli ebrei.
Proseguiamo e mettiamone altre due a confronto. Da un lato l’ordinanza – ancora una volta del Tribunale di Roma – che autorizza l’addebito di «strumentalizzazione del corpo femminile» nei confronti di chi parla di femminicidio a proposito dello stupro e dell’assassino delle donne ebree il 7 ottobre. Dall’altro la decisione – ancora una volta del Tribunale di Milano – secondo cui sarebbe «fatto notorio» la «sanguinosa punizione collettiva» che Israele avrebbe inflitto e continuerebbe a infliggere alla popolazione palestinese. Che cosa fa simile un provvedimento all’altro? La sciatteria che si squaderna, a Roma, nella legittimazione del doppio standard sulla violenza di genere e, a Milano, nella trasfigurazione in «fatto notorio» dei convincimenti politici del giudice? No, o per meglio dire quella è nuovamente una similitudine di superficie, di risultato. Ma a unire e confondere in uno stesso costrutto quei due interventi di giustizia è ancora l’identico pregiudizio: il pregiudizio che avrebbe impedito al giudice romano di legittimare quello sproposito se fossero state di Fregene, di Chivasso o di Torre Annunziata quelle donne stuprate e assassinate; il pregiudizio che avrebbe impedito al giudice milanese di giudicare in quel modo se non si fosse trattato, come invece si trattava, del caso che consente di giudicare sulla scorta di un convincimento politico elevato a fatto notorio. Giusto come è notorio che la capitale di Israele non è Gerusalemme perché lo dice una risoluzione dell’Onu: che non l’ha detto e che, se pure lo avesse detto, sarebbe come se l’avesse detto la zia del panettiere di quel giudice.
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C’erano stati giorni in cui si era ritrovato a rimpiangere quel collo fino a farsi bastare le somiglianze, come quando sul tram aveva saltato la sua fermata di casa perché non riusciva a staccarsi da una nuca sconosciuta identica a quella che al risveglio non vedeva più. L’ignara passeggera aveva i capelli dello stesso castano smorto di lei ed era rimasto a guardarla pur sapendo che erano sulla donna sbagliata, perché la sua non li pettinava così, anzi, non li pettinava affatto. Forse era proprio la sciatteria, il modo in cui non si curava di come appariva, che gliela faceva apparire ovunque, un fantasma umbratile che infestava l’intera città.
Tre ciotole - Michela Murgia
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