#schiuso
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silviadeangelis · 1 year ago
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MUOVENDO LE MANI
Impregnati di niente i pensieri allineano il baricentro d’un pressappoco raffermo su un soffio di vento nelle parole velate. Saggi di mare schiuso conchiudono un eterno imprigionato in misure di solitudine masticata a forza in quell’attendere un che di misterioso riflesso in un diverso luogo da cercare. Ma forse è lì dentro me la strada breve regia d’un canto di primavera e chissà… muovendo di…
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donaruz · 1 year ago
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“Canto delle donne” di Alda Merini
Io canto le donne prevaricate dai bruti
la loro sana bellezza, la loro “non follia”
il canto di Giulia io canto riversa su un letto
la cantilena dei salmi, delle anime “mangiate”
il canto di Giulia aperto portava anime pesanti
la folgore di un codice umano disapprovato da Dio,
Canto quei pugni orrendi dati sui bianchi cristalli
il livido delle cosce, pugni in età adolescente
la pudicizia del grembo nudato per bramosia,
Canto la stalla ignuda entro cui è nato il “delitto”
la sfera di cristallo per una bocca “magata”.
Canto il seno di Bianca ormai reso vizzo dall’uomo
canto le sue gambe esigue divaricate sul letto
simile ad un corpo d’uomo era il suo corpo salino
ma gravido d’amore come in qualsiasi donna.
Canto Vita Bello che veniva aggredita dai bruti
buttata su un letticciolo, battuta con ferri pesanti
e tempeste d’insulti, io canto la sua non stagione
di donna vissuta all’ombra di questo grande sinistro
la sua patita misura, il caldo del suo grembo schiuso
canto la sua deflorazione su un letto di psichiatra,
canto il giovane imberbe che mi voleva salvare.
Canto i pungoli rostri di quegli spettrali infermieri
dove la mano dell’uomo fatta villosa e canina
sfiorava impunita le gote di delicate fanciulle
e le velate grazie toccate da mani villane.
Canto l’assurda violenza dell’ospedale del mare
dove la psichiatria giaceva in ceppi battuti
di tribunali di sogno, di tribunali sospetti.
Canto il sinistro ordine che ci imbrigliava la lingua
e un faro di marina che non conduceva al porto.
Canto il letto aderente che aveva lenzuola di garza
e il simbolo-dottore perennemente offeso
e il naso camuso e violento degli infermieri bastardi.
Canto la malagrazia del vento traverso una sbarra
canto la mia dimensione di donna strappata al suo unico amore
che impazzisce su un letto di verde fogliame di ortiche
canto la soluzione del tutto traverso un’unica strada
io canto il miserere di una straziante avventura
dove la mano scudiscio cercava gli inguini dolci.
Io canto l’impudicizia di quegli uomini rotti
alla lussuria del vento che violentava le donne.
Io canto i mille coltelli sul grembo di Vita Bello
calati da oscuri tendoni alla mercé di Caino
e canto il mio dolore d’esser fuggita al dolore
per la menzogna di vita
per via della poesia.
Alda Merini
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rosateparole · 2 years ago
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A un punto, presso la sponda, una ninfea era salita dal fondo e aveva schiuso il suo bianco, largo e provocante fiore che fa staccare dal fondo i fiori maschi che lo amano e che muoiono di questo amore.
Matilde Serao, Fantasia
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abcpoesia · 1 year ago
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Ombre
Sono nato al di qua di questi fogli lungo un fiume, porto nelle narici il cuore di resina degli abeti, negli occhi il silenzio di quando nevica, la memoria lunga di chi ha poco da raccontare. Il nord e l’est, le pietre rotte dall’inverno l’ombra delle nuvole sul fondo della valle sono i miei punti cardinali; non conosco la prospettiva senza dimensione del mare e non era l’Italia del settanta Chiusaforte ma una bolla, minuti raddensati in secoli nei gesti di uno stare fermi nel mondo cose che avevano confini piccoli, gli orti poveri, le cataste di ceppi che erano state un’eco di tempo in tempo riconcorsa di falda in falda, dentro il buio. E il gatto che si stende in questi posti, sulle lamiere di zinco, alle prime luci di novembre, raccoglie l’aria di tutte le albe del mondo; come i semi dei fiori, portati, come una nevicata leggera ho sognato di raggiungere i miei morti dove sono le cose che non vedo quando si vedono Amerigo devoto a Gina che cantava a voce alta alla messa di Natale, il tabacco comprato da Alfredo e Rino che sapeva di stallatico, uomini, donne scampati al tiro della storia quando i nostri aliti di bambini scaldavano l’inverno e di là dalle montagne azzurrine, di là dai muri oltre gli sguardi delle guardie confinarie un odore di cipolle e di industria pesante premeva, la parte di un’Europa tenuta insieme da chiodi ritorti e bulloni, martelli e chiavi inglesi. Il futuro non è più quello di una volta, è stato scritto da una mano anonima, geniale su di un muro graffito alla periferia di Udine, il futuro è quello che rimane, ciò che resta delle cose convocate nello scorrere dei volti chiamati, aggiungo io. E qui, mentre intere città si muovono sulle piste ramate degli hardware e il presente irrompe con la violenza di un tavolo rovesciato, mio padre torna per sempre nella sua cerata verde bagnata dalla pioggia e schiude ai figli il suo sorridere come fosse eternamente schiuso. Se siamo ancora cosa siamo stati, io sono lo stare di quell’uomo bagnato dalla pioggia, che portava in casa un odore di traversine e ghisa e qualche volta, la gola di Chiusaforte allagata dall’ombra si raduna nei miei occhi da occidente a oriente, piano piano a misura del passo del tramonto, bianco; e anche se le voci del mondo si appuntiscono e qualcosa divide l’ombra dall’ombra meno solo mi pare di andare, premendo un piede dopo l’altro, secondo la formula del luogo, dal basso all’alto, seguendo una salita.
Pierluigi Cappello
da  Mandate a dire all’imperatore [2010]
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aldameriniofficial · 10 days ago
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Io canto le Donne prevaricate dai bruti
la loro sana bellezza, la loro 'non follia'
il canto di Giulia io canto riversa su un letto
la cantilena dei Salmi, delle anime 'mangiate'
il canto di Giulia aperto portava catene pesanti
la folgore di un codice umano disapprovato da Dio. Canto quei pugni orrendi dati su bianchi cristalli
il liquido delle cosce, pugni in età adolescente
la pudicizia del grembo nudato per bramosia.
Canto la stalla ignuda entro cui è nato il 'delitto'
la sfera di cristallo per una bocca 'magata'.
Canto il seno di Bianca ormai reso vizzo dall'uomo canto le sue gambe esigue divaricate sul letto
simile a un corpo d'uomo era il suo corpo salino
ma gravido di amore come in qualsiasi donna.
Canto Vita Bello che veniva aggredita dai bruti
buttata su un letticciolo, battuta con ferri pesanti
e tempeste di insulti, io canto la sua non stagione
di donna vissuta all'ombra di questo grande sinistro
la sua patita misura, il caldo del suo grembo schiuso canto la sua deflorazione su un letto di psichiatria, canto il giovane imberbe che mi voleva salvare.
Canto i pungoli rostri di quegli spettrali infermieri
dove la mano dell'uomo fatta villosa e canina
sfiorava impunita le gote di delicate fanciulle
e le velate grazie toccate da mani villane.
Canto l'assurda violenza dell'ospedale del mare
dove la psichiatria giaceva in ceppi battuti
di tribunali di sogno, di tribunali sospetti.
Canto il sinistro ordine che ci imbrigliava la lingua
e un faro di marina che non conduceva ad un porto. Canto il letto aderente che aveva lenzuola di garza
e il simbolo-dottore perennemente offeso
e il naso camuso e violento degli infermieri bastardi. Canto la malagrazia del vento traverso una sbarra canto la mia dimensione di donna strappata al suo unico amore
che impazzisce su un letto di verde fogliame di ortiche canto la soluzione del tutto traverso un'unica strada
io canto il miserere di una straziante avventura
dove la mano scudiscio cercava gli inguini dolci.
Io canto l'impudicizia di quegli uomini rotti
alla lussuria del vento che violentava le donne.
Io canto i mille coltelli sul grembo di Vita Bello
calati da oscuri tendoni alla mercé di Caino
e canto il mio dolore d'esser fuggita al dolore
per la menzogna di vita
per via della poesia.
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luigifurone · 1 year ago
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41. (Sous le ciel de Paris)
Oh madame,
ce soir,
tutte biglie di cristallo madame,
un’intera astronomia.
Sia su canali o siano trincee,
saperlo, madame, saperlo,
come piccoli pianeti ognuno
rotola, rotola niente sa.
E spera.
Che l’orbita sua bizzarra
d’una ellissi s’accompagni
amichevole, augurante,
d’una orbita gemella danzi,
stanotte, madame.
Nel fondo di raso blu,
nel vento che fresco punge,
d’una biglia che splenda,
d’un brivido di luce,
d’un riflesso.
L’ubriaco disturba,
il fiato macchia, la
sporcizia, e dice sguaiato:
“Pazzi! Tutte le strade, tutte,
le ho fatte io!
Rotta la matita,
unto il foglio e voi
andate,
orbite orfane,
nel fosso a precipizio.”
Non so, madame,
non lo so.
Così dolce il valzer, madame,
rovineremo forse
davanti gli occhi dei giurati, forse,
ma chissà.
Quest��aria che si fa,
di passi sbagliati e cielo
di infinitesimi schianti
e piano annusare,
che già a respirarla,
schiuso un sorriso chiusi gli occhi,
sia la danza magnifique,
madame, chissà.
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giancarlonicoli · 1 year ago
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18 feb 2024 19:43
UNA VITA A CACCIA DI PERICOLI (TULLIO) – RICORDI DI UN ARTISTA DALLO STILE PERTURBANTE E INIMITABILE: CALVINO, SCALFARI, BOCCA, ECO, CALASSO – “SONO FUGGITO DAL MONDO DELL’ARTE PER UNA FRASE CHE MI DISSE UN GIORNO IL GALLERISTA GIO’ MARCONI: “RICORDATI TULLIO CHE VALI SE LO DECIDIAMO IN TRE: IO, UN CRITICO D’ARTE E UN DIRETTORE DI MUSEO”. QUESTO MI FECE SCAPPARE. MI DISSI: “ANDRÒ A FARE IL PITTORE SUI GIORNALI”. E PER ANNI HO TROVATO LÌ UNO SFOGO ALLA MIA MANO, RESTANDO ESTRANEO A LUNGO AL MONDO DEL MERCATO” -
Zita Dazzi per Repubblica.it
Tullio Pericoli guarda la città dalle vetrate del suo studio pieno di luce, di colori e di tele in lavorazione. Sulla libreria ci sono le foto con gli amici di sempre, i libri con le loro dediche; sui tavoli, davanti ai cavalletti, centinaia di pennelli e di matite, gli attrezzi da lavoro di un artista che nella sua lunga vita ha saputo ritrarre uomini e paesaggi in uno stile inimitabile.
Alla mostra su Calvino alle Scuderie del Quirinale ci sono i libri con dedica che lui le inviava. Sulla pagina delle Cosmicomiche si legge “il più pericoliano dei miei libri”. Come vi eravate conosciuti?
«Nel 1979, il Corriere mi chiese un disegno per l’anticipazione di Se una notte d’inverno un viaggiatore. E così entrammo in contatto. Poi nel 1980, preparando una mostra alla Galleria del Milione a Milano di una ricerca che avevo fatto su Klee, pensai, per il catalogo, a una conversazione con Calvino sul “rubare” ad altri, pittori e scrittori. Gli scrissi, la cosa l’interessò, ci incontrammo e pubblicai la conversazione con il titolo “Furti ad arte”. Raccontavamo le nostre esperienze di “ladri”, lui citava Tolstoj, Stevenson, Borges, io appunto Klee e pochi altri».
Allora lavorava già per i quotidiani e i settimanali?
«Avevo cominciato al Giorno , poi Barbiellini Amidei mi offrì di andare al Corriere e venne con me il mio amico Pirella. Così nacque la coppia e “Tutti da Fulvia sabato sera”. Dimessosi Piero Ottone, ci dimettemmo anche noi e subito Scalfari ci chiamò a Repubblica ».
Che rapporto c’era con Eugenio Scalfari?
«Sapeva farti sentire parte di un gruppo, quasi una famiglia. Non posso dire che la nostra fosse esattamente un’amicizia, era comunque il mio direttore. Sapevo però che per qualunque questione, potevo fare riferimento a lui, sia per l’ Espresso , cominciato molto prima, che per Repubblica . Ci vedevamo sempre a cena da amici, quando veniva a Milano. Quando decisi di smettere di collaborare all’ Espresso , andai da Scalfari a spiegargli che volevo lasciare perché mi ero stufato sia di occuparmi di politica che di leggere i giornali. Fece un salto sulla sedia e chiese se ero impazzito. Non smisi: sulle pagine culturali di Repubblica rinacque Fulvia».
Intanto però cominciava l’era dei ritratti. Quanti volti di scrittori, artisti, intellettuali sono emersi dalle sue linee, come scolpiti nella carta.
«Iniziai con una rivista di libri, L’ Indice e, allenatomi su quel mensile, ho poi finito a farli anche per Repubblica e molti altri giornali non italiani, tra cui il New Yorker e la New York Review of Books ».
Indimenticabili i ritratti di Giorgio Bocca, uno dei suoi più cari amici.
«Sì, lui è stato uno di quelli che ho sentito più vicino, sempre. Era molto rude, sincero, schietto, diretto. Un animo trasparente. Mi ha schiuso la porta verso nuove direzioni, strade che hanno aperto la mia mente. A casa sua ho conosciuto Calasso, Garzanti, Gae Aulenti. La nostra è stata un’amicizia lunga, profonda, vera. E un paio di settimane prima di morire mi chiamò Silvia Giacomoni, sua moglie, dicendomi che il Bocca voleva vedermi. Pranzammo insieme il giorno dopo, e fu un momento commovente e doloroso».
E Umberto Eco che amico era?
«Eco aveva addosso una corazza di cultura, di aneddoti, e di barzellette che impediva di andare oltre. La nostra è stata una amicizia personale e famigliare, anche se con alcuni limiti per via della sua ritrosia a parlare di sé».
Come mai ha frequentato più i giornalisti che gli artisti?
«In effetti sono stato più amico di editori e scrittori che di artisti, fatta eccezione per Emilio Tadini, un fratello, che mi mise in contatto con lo Studio Marconi, dove sono rimasto per dieci anni. Forse sono fuggito dal mondo dell’arte per una frase un po’ spavalda che mi disse un giorno Giorgio Marconi: “Ricordati Tullio che vali se lo decidiamo in tre: io, un critico d’arte e un direttore di museo”. Questo mi fece scappare. Mi dissi: “Andrò a fare il pittore sui giornali”. E per anni ho trovato lì uno sfogo alla mia mano, al mio voler disegnare, restando estraneo a lungo al mondo del mercato, anche se l’arte e la pittura sono il luogo mentale e materiale dove mi sento più a mio agio».
Bocca, Tadini, Eco, Calasso, Gregotti, Inge Feltrinelli. Tanti dei suoi più cari amici se ne sono andati.
«Sento molto la loro mancanza. A questa età più che vivere, si assiste alla propria vita. Come se mi sedessi su una sedia qui accanto e mi guardassi. Riguardi e giudichi quello che è, e quello che è stato. Sì, certe volte, c’è un po’ di malinconia. Allora frequentando gli amici frequentavo anche Milano. Oggi vedo mutare la città guardandola dalle mie finestre, come in un acquario. Anche perché mi trovo spesso smarrito nel mondo di oggi. Alcuni fatti — a parte le guerre — mi sconvolgono. Come è possibile che una nazione come l’America, esportatrice di modelli e mode culturali, condanni a morte e uccida in modo così crudele un essere umano, come ha fatto un mese fa?».
Dipinge tutti i giorni?
«Mi piace lavorare. È la mia fortuna. La pittura è un’attività mentale che richiede anche la partecipazione del corpo, una cosa straordinaria e bellissima. Sia nel disegno che nella pittura muovi il braccio, la spalla, senti che trasferisci qualcosa di te di molto profondo e fisico, questo mi dà un senso di benessere. Poi c’è il piacere della scoperta, perché usando materiali come colore, matita, pennello ti accorgi che in tutte queste cose c’è una vita, hai a che fare con qualcosa di vero che contiene un po’ di mistero. Ogni quadro — come succede agli scrittori con i romanzi — comincia in un modo e finisce in un altro, i personaggi ti prendono la mano. Non ho bisogno di guardare i paesaggi dal vero per dipingerli, sono ormai dentro la mia testa».
Il mondo dell’arte contemporanea le piace?
«Una volta era dominato soprattutto dal mercato, ma adesso è anche la “narrazione” (parola ormai impronunciabile) a decidere quali sono gli artisti che contano. Come ha ben scritto Dario Pappalardo su questo giornale a proposito della nuova edizione della Biennale, il direttore ha scelto artisti dal sud del mondo, in base all’appartenenza etnica, all’orientamento sessuale, artisti queer o disobbedienti.
Non c’è una parola che riguardi il valore in sé di un’opera. Una distorsione enorme. Michelangelo non fu scelto per il suo orientamento sessuale, ma perché era un grande pittore. Per chi fa il mio mestiere, questo è disorientante. Io in quanto artista, sono una piccola persona, un provinciale venuto da Ascoli Piceno. Non ho niente da raccontare. Non ho disobbedito e non ho fatto rivoluzioni. Però mi piace dipingere».
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dinamiche-del-cuore · 1 year ago
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roby1978 · 1 year ago
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Ridere con lingue in un covile,luna sfera in vetro
Piccola fregola nel caotico, senio di un viziato improvisatore, che orgoglio è creatore del tuo malore, Gastone e la sua falsa vecchiaia, per uno orgoglio deluso, ma la morte è stata splendente, in cui lui ha schiuso la sua viziosa pecca quella di essere un ovvio senzo di colpa, noi lupi come zingari non possiamo Ferdinando una costituzione, con cui supinare, l’ignoranza dei comuni che per…
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oubliettederien · 2 years ago
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Il seme vibrante del Rock ‘n’ Roll si è schiuso in un terreno singolare, in una croce di strade tra i sacri confini ecclesiastici e l’ardente bagliore dei nightclub, trovando la sua musa nell’anima di una figura sorprendente: una donna nera, queer, di nome Sister Rosetta Tharpe.
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oubliettemagazine · 2 years ago
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Sister Rosetta Tharpe: l’intraprendente ed audace madrina del Rock ‘n’ Roll
Il seme vibrante del Rock ‘n’ Roll si è schiuso in un terreno singolare, in una croce di strade tra i sacri confini ecclesiastici e l’ardente bagliore dei nightclub, trovando la sua musa nell’anima di una figura sorprendente: una donna nera, queer, di nome Sister Rosetta Tharpe. Sister Rosetta Tharpe – Rock me lyrics – Questo stesso suolo fertile era già abitato da lei molto prima che icone come…
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rey-themoon · 9 months ago
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Come c'era da immaginare, la risposta di Victor non esitò a farsi attendere. Non era mai stato particolarmente gentile nei propri riguardi, anzi ad essere onesti Victor era l'unico a trattarla come un'idiota qualunque.
Nella sua vecchia vita, un simile comportamento avrebbe spinto Rey a dare il peggio di sé, in quella circostanza specifica invece, dove tutti erano praticamente ai suoi piedi idolatrando qualsiasi cazzata facesse, l'antipatia di Victor era quasi una boccata d'aria fresca.
Paradossale, lui non ne sarebbe mai venuto a conoscenza. Ne andava della sua dignità.
Così, mentre la ragazza dalla chioma fulva si affiancava al ragazzo fin troppo alto e dai capelli neri quanto quella notte stessa, lui parlò di nuovo e questa volta Rey vinse il proprio silenzio con un'espressione esageratamente sorpresa.
-No!!! Quindi sai fare anche le battute?! Dovrò chiamarti Mr Simpatia d'ora in poi!
Il fatto che Rey avesse sempre qualcosa da dire, sempre una parola da aggiungere era divenuto un fatto ormai ben noto anche all'interno dell'Accademia. Non c'era niente su cui ella non avesse di che esprimersi ed era fin troppo difficile, se non impossibile, lasciarla senza parole.
Uno degli altri cacciatori dietro di sé le intimò di fare silenzio e di concentrarsi. Rey gli riservò un'occhiata torva ed eloquente, ma per nulla sorpresa che "l'ammonizione" fosse stata rivolta esclusivamente a lei. Insomma nessuno doveva immaginare che Victor fosse in grado di parlare ad un altro essere umano, figurarsi far battute e mettersi a dare corda a lei e ai suoi giochetti.
-Eh sisì mi sto concentrando! Se tu facessi silenzio magari riuscirei a sentire altro oltre il tuo respiro pesante!
L'occhiataccia fu dunque seguita dalla classica rispostaccia. Rey cercò di regolarizzare il proprio di respiro, i propri battiti e tutto ciò che di lei si agitava ancora. Ma il marchio restava muto e la notte sempre più densa.
L'ora dei demoni era tutta intorno a loro e Rey inseguiva una illuminazione che faticava a rischiarare il buio della propria mente.
"Concentrati" intimò a sé stessa, si impose ancora una volta, di vivere quel risveglio come una sessione di uno di quegli sport in cui era sempre stata brava. Ma più dava ordini a se stessa più il cuore batteva forte, la pressione la schiacciava e la mente si faceva più pesante.
Rey arrestò il passo e chiuse gli occhi, posò il palmo schiuso sul cuore e prese il primo di una serie di lunghi respiri. Le palpebre avevano ottenebrato la vista ed ella cercava nel nero il bagliore che le avrebbe indicato la presenza di un demone.
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" Do you know the story of the Phasianidae? It's a bird that experiences all of time in one instant. And she sings the song of love and anger and fear and joy and sadness all at once. And this bird... when she meets the love of her life... is both happy and sad. Happy because she sees that for him it is the beginning, and sad because she knows it is already over. "
London - 02:00 a.m.
rey&vic
La prima missione ufficiale aveva una connotazione molto più realistica di quanto Rey volesse accettare. La scoperta della verità aveva inevitabilmente mutato l'idea che Rey aveva del mondo ed aveva messo in discussione tutte le sue priorità.
Tuttavia il marchio impresso sulla propria epidermide aveva una rilevanza che ella, per quanto si sforzasse, non riusciva ad abbracciare in pieno. Le persone all'Accademia parlavano di una "salvezza" che però Rey non aveva ancora visto manifestarsi. Il suo marchio se ne stava solingo, sempre più in bella mostra, ma quasi muto come se stesse attendendo il momento più giusto per venir fuori in gran carriera.
Doveva essere un marchio capriccioso, pensava Rey, proprio come ci si sarebbe aspettato da qualcosa che si portava addosso la sua stessa essenza.
Ad ogni modo era stata sottoposta a diversi allenamenti, ma a parte qualche piccola scintilla di potenziale, Rey non aveva fatto mostra di alcuna eccellenza. La cosa l'aveva frustrata abbastanza, ma era troppo orgogliosa per ammetterlo. I vertici della società dei cacciatori, avevano deciso che porre Rey nel mezzo di una azione avrebbe in qualche misura forzato l'istinto a prevalere sulla pigrizia e la luna si sarebbe destata per salvare il suo portatore.
Restava comunque una missione sicura, o almeno così sarebbe parso ad un occhio esterno. La caccia era proiettata ad un demone di basso rango, ma la spedizione di Rey era seguita da un totale di altri tre cacciatori, fra i quali anche Victor, meglio noto come "Mr Felicità", il soprannome che ella gli aveva affibbiato con ben poco riguardo al volere di lui.
C'era effettivamente un altro dettaglio di cui Rey non aveva fatto menzione con nessuno. Erano notti, fin dalla sera del ballo in verità, che i suoi sogni erano tormentati da immagini poco chiare e da un immenso senso di nostalgia che le spezzava il cuore ad ogni risveglio. Un po' come se, ogni parte di sé stessa, volesse restare intrappolata in uno di quei sogni incomprensibili, con figure sbiadite e parole mute.
Assorta nel ricordo di una di quelle sagome che aveva sognato e di cui non conservava il ricordo, Rey inciampò tra i suoi stessi piedi finendo per impattare proprio contro la schiena di Victor che camminava pochi passi in avanti rispetto a lei.
-Eh stai attento però! Sei troppo lento!
@victory-raven
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quellochemivadidire · 2 years ago
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Oggi è successa una cosa a dir poco bellissima.
Una mia amica dopo tanto tempo finalmente ha schiuso il suo guscio, si è confidata a me e mi ha parlato di qualche suo problema anche abbastanza serio.
«Ne parlo con te perché so che sei una persona che non giudica» ecco come rendermi felice con una frase.
Le persone che danno valore alla tua persona sono fenomenali, sono capaci di cambiarti la giornata.
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vecchiorovere-blog · 2 years ago
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Spingendo dolcemente
ho schiuso quella porta
che chiamiamo mistero.
Mammelle turgide
strette nelle mani.
Akiko Yosano (1920-2009)
Art: Robert Auer (1873-1952
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aldameriniofficial · 5 months ago
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Io canto le Donne prevaricate dai bruti
la loro sana bellezza, la loro 'non follia'
il canto di Giulia io canto riversa su un letto
la cantilena dei Salmi, delle anime 'mangiate'
il canto di Giulia aperto portava catene pesanti
la folgore di un codice umano disapprovato da Dio. Canto quei pugni orrendi dati su bianchi cristalli
il liquido delle cosce, pugni in età adolescente
la pudicizia del grembo nudato per bramosia.
Canto la stalla ignuda entro cui è nato il 'delitto'
la sfera di cristallo per una bocca 'magata'.
Canto il seno di Bianca ormai reso vizzo dall'uomo canto le sue gambe esigue divaricate sul letto
simile a un corpo d'uomo era il suo corpo salino
ma gravido di amore come in qualsiasi donna.
Canto Vita Bello che veniva aggredita dai bruti
buttata su un letticciolo, battuta con ferri pesanti
e tempeste di insulti, io canto la sua non stagione
di donna vissuta all'ombra di questo grande sinistro
la sua patita misura, il caldo del suo grembo schiuso canto la sua deflorazione su un letto di psichiatria, canto il giovane imberbe che mi voleva salvare.
Canto i pungoli rostri di quegli spettrali infermieri
dove la mano dell'uomo fatta villosa e canina
sfiorava impunita le gote di delicate fanciulle
e le velate grazie toccate da mani villane.
Canto l'assurda violenza dell'ospedale del mare
dove la psichiatria giaceva in ceppi battuti
di tribunali di sogno, di tribunali sospetti.
Canto il sinistro ordine che ci imbrigliava la lingua
e un faro di marina che non conduceva ad un porto. Canto il letto aderente che aveva lenzuola di garza
e il simbolo-dottore perennemente offeso
e il naso camuso e violento degli infermieri bastardi. Canto la malagrazia del vento traverso una sbarra canto la mia dimensione di donna strappata al suo unico amore
che impazzisce su un letto di verde fogliame di ortiche canto la soluzione del tutto traverso un'unica strada
io canto il miserere di una straziante avventura
dove la mano scudiscio cercava gli inguini dolci.
Io canto l'impudicizia di quegli uomini rotti
alla lussuria del vento che violentava le donne.
Io canto i mille coltelli sul grembo di Vita Bello
calati da oscuri tendoni alla mercé di Caino
e canto il mio dolore d'esser fuggita al dolore
per la menzogna di vita
per via della poesia.
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mucillo · 3 years ago
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"Libertà" di Paul Éluard
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Su quaderni di scolaro
Su i miei banchi e gli alberi
Su la sabbia su la neve
Scrivo il tuo nome
Su ogni pagina che ho letto
Su ogni pagina che è bianca
Sasso sangue carta o cenere
Scrivo il tuo nome
Su le immagini dorate
Su le armi dei guerrieri
Su la corona dei re
Scrivo il tuo nome
Su la giungla ed il deserto
Su i nidi su le ginestre
Su la eco dell'infanzia
Scrivo il tuo nome
Su i miracoli notturni
Sul pan bianco dei miei giorni
Le stagioni fidanzate
Scrivo il tuo nome
Su tutti i miei lembi d'azzurro
Su lo stagno sole sfatto
E sul lago luna viva
Scrivo il tuo nome
Su le piane e l'orizzonte
Su le ali degli uccelli
E il mulino delle ombre
Scrivo il tuo nome
Su ogni alito di aurora
Su le onde su le barche
Su la montagna demente
Scrivo il tuo nome
Su la schiuma delle nuvole
Su i sudori d'uragano
Su la pioggia spessa e smorta
Scrivo il tuo nome
Su le forme scintillanti
Le campane dei colori
Su la verità fisica
Scrivo il tuo nome
Su i sentieri risvegliati
Su le strade dispiegate
Su le piazze che dilagano
Scrivo il tuo nome
Sopra il lume che s'accende
Sopra il lume che si spegne
Su le mie case raccolte
Scrivo il tuo nome
Sopra il frutto schiuso in due
Dello specchio e della stanza
Sul mio letto guscio vuoto
Scrivo il tuo nome
Sul mio cane ghiotto e tenero
Su le sue orecchie dritte
Su la sua zampa maldestra
Scrivo il tuo nome
Sul decollo della soglia
Su gli oggetti familiari
Su la santa onda del fuoco
Scrivo il tuo nome
Su ogni carne consentita
Su la fronte dei miei amici
Su ogni mano che si tende
Scrivo il tuo nome
Sopra i vetri di stupore
Su le labbra attente
Tanto più su del silenzio
Scrivo il tuo nome
Sopra i miei rifugi infranti
Sopra i miei fari crollati
Su le mura del mio tedio
Scrivo il tuo nome
Su l'assenza che non chiede
Su la nuda solitudine
Su i gradini della morte
Scrivo il tuo nome
Sul vigore ritornato
Sul pericolo svanito
Su l'immemore speranza
Scrivo il tuo nome
E in virtù d'una Parola
Ricomincio la mia vita
Sono nato per conoscerti
Per chiamarti
Libertà.
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