#strada breve
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MUOVENDO LE MANI
Impregnati di niente i pensieri allineano il baricentro d’un pressappoco raffermo su un soffio di vento nelle parole velate. Saggi di mare schiuso conchiudono un eterno imprigionato in misure di solitudine masticata a forza in quell’attendere un che di misterioso riflesso in un diverso luogo da cercare. Ma forse è lì dentro me la strada breve regia d’un canto di primavera e chissà… muovendo di…
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Il viaggio di ritorno è sempre più breve. È una cosa senza senso, perché la strada è la stessa. Ma è l’anima di chi lo compie che è diversa. Ed è la prova che lo spazio e il tempo cambiano, a seconda di quello che ti porti dentro.
Riccardo Bruni
Foto di Dario Mitidieri
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- IL NUOVO CODICE DELLA STRADA:
UNA MISURA UTILISSIMA - ha ricordato a tutti l'esistenza delle regole alla guida riportando attenzione su di esse;
- ha fatto palesare i DROGATI, ovvero il 90% di chi ancora protesta o è arrabbiato (chi assume farmaci è tutelato).
CARO DROGATO, ANCHE PRIMA SE VENIVI BECCATO A CONSUMARE, PUR NON ESSENDO ALLA GUIDA, TI AVREBBERO SOSPESO LA PATENTE. Chi si droga non può guidare. Né prima, né mai. Punto.
Veniamo ora alle CAZZATE interessate messe in giro da personaggi in cerca di autore e ciarlatani vari:
- le multe aumentano sostanzialmente SOLO per chi parcheggia nei posti riservati ai disabili, agli autobus e nei pressi di incroci;
- I tassi alcolemici (alcolock solo per condannati) e i limiti di velocità di riferimento NON cambiano;
- la sospensione breve della patente si applica per alcune fattispecie SOLO se si ha meno di 20 punti e se si è recidivi;
- stretta notevole all'uso degli autovelox;
- stretta su monopattini (assicurazione, ecc.);
- sospensione della patente e multa per chi utilizza lo smartphone alla guida;
- sospendione o revoca della patente e multa per chi abbandona gli animali in strada.
Addendum
- il test salivare antidroga rileva l'uso di stupefacenti se utilizzati ore prima del rilevamento, non settimane.
(Mattia Lazzarotto)
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Storia Di Musica #347 - Sonny Rollins, Tenor Madness, 1956
Le Storie Di Musica toccheranno il traguardo delle 350 puntate questo mese. Come ormai da prassi, il numero tondo è dedicato ad un disco di Miles Davis. E questa volta, in ossequio al filo rosso degli album legati tra loro, ho deciso di raccontare il rapporto tra Davis e una grande etichetta discografica, la Prestige Records. La Prestige fu fondata da Bob Weinstock nel 1949: appassionato di musica jazz, vendeva dei dischi per corrispondenza in maniera così incisiva che ben presto affittò un locale e lo trasformò in un grande negozio di dischi, il Jazz Record Center, sulla quarantasettesima strada di New York. Frequentando i locali jazz che lì vicino iniziavano a diventare famosi, legò con molti musicisti fino a fondare prima la New Jazz Records che dopo pochi mesi diventa la Prestige Records. Weinstock è stato un personaggio leggendario, dalle mille manie, alcune delle quali racconterò in questi appuntamenti novembrini, ed è stato negli anni '50 uno dei fari della musica jazz mondiale con la sua etichetta indipendente, insieme alla Blue Note, alla Riverside, alla Impulse! prima che anche i grandi gruppi discografici entrassero nel jazz in maniera decisa.
Weinstock era oltre che un appassionato un grande uomo d'affari, capace di intuire le potenzialità degli artisti e di essere per loro trampolino di lancio e di ottimizzare tempi e costi delle produzioni: pochissime prove per le registrazioni, e leggenda vuole che si registrasse due volte sui nastri di alcune take per risparmiare, leggenda nata dal fatto che per quanto la produzione Prestige fosse numericamente grandiosa, esistono pochissime alternative takes dei loro lavori. Nonostante come ingegnere del suono ci fosse una leggenda: Rudy Van Gelder, che non lavorava solo per lui ma anche per la Blue Note, famoso per la sua accuratezza e maniacalità. Le prime registrazioni avvenivano nel garage della casa di famiglia di Hackensack, nel New Jersey, luogo che divenne mitico tanto che Thelonious Monk dedicò al grande ingegnere un brano, Hackensack, per poi spostarsi di qualche km a Englewood Cliffs, sempre nel New Jersey.
In quello studio a Hackensack Sonny Rollins registra il 24 Maggio del 1956 il disco di oggi. Rollins all'epoca è già riconosciuto un gigante del sassofono, tanto che è famosa il commento di Max Gordon, leggendario proprietario del jazz club più famoso del mondo, Il Village Vanguard, che sosteneva: I critici e gli appassionati hanno pareri molto discordi sulla bravura di alcuni musicisti jazz, ma non su Sonny Rollins. Lui è il più grande, il più grande sax della sua generazione. Theodore Walter Rollins nasce a New York nel 1930 da una famiglia di origini caraibiche, i cui "suoni" influenzeranno la sua carriera futura. Fa un apprendistato breve ma intensissimo, suonando con i più grandi: J.J Johnson, Monk, Bud Powell, Max Roach e soprattutto Miles Davis e Charlie Parker. È il primo che trasporta la rivoluzione del bop sul sax tenore. Con Davis dimostra anche le sue già ottime capacità compositive scrivendo pezzi diventati famosi, come Airgin e Oleo. Però ha un difetto: ad un certo punto sparisce, per i motivi più strani. Nel 1954 si ritira a Chicago, per non cadere in tentazione tra soldi e droga, per continuare a studiare facendo lavori manuali. Quando ritorna a New York, suona per la Prestige in uno dei primi 33 giri del jazz, Dig. Nel 1955, tornato nel gruppo di Davis, poco prima di un'importante serie di concerti al Teatro Bohemia, sparisce di nuovo, stavolta per disintossicarsi. Ritorna nel 1956, quando sempre l'amico Roach lo scrittura per un disco portentoso: Sonny Rollins Plus 4 è all'apice della creatività, tanto che ancora come innovatore impone nel jazz il tempo in tre quarti (la storica Valse Hot). Nel frattempo però il suo posto nel gruppo di Davis è preso da un giovane che di lì a poco diventerà un gigante, John Coltrane, ma Davis gli vuole bene e per delle registrazioni del 1956 per la Prestige gli offre la sua sezione ritmica, che nel jazz è ricordata come "The rhythm section" per quanto iconica e grande è stata, e con questa registra il disco di oggi. Rollins è insieme a Red Garland al pianoforte, Paul Chambers al contrabbasso e Philly Joe Jones alla batteria quando inizia a suonare Tenor Madness, che contiene nella title track un incontro unico ed eccezionale. Essendo lì per una sessione con il quintetto di Davis, in quello che diventerà il più famoso chase della storia del jazz, John Coltrane si unisce a Rollins in quel brano, da allora uno dei capisaldi del jazz. Cos'è però un chase? è un incontro dove due strumentisti colloquiano con lo stesso strumento su un dato canovaccio, una sorta di dialogo musicale dove si fronteggiano a suon di assoli. Tenor Madness è un piccolo blues, che si rifà a Royal Roost di Kenny Clarke and His 52nd Street Boys, registrato nel 1946, ma qui diviene il brano che mette insieme i due più grandi e influenti sassofonisti della storia del jazz, con il timbro squillante e luminoso del primo Coltrane (che debutterà come solista solo l'anno successivo nel 1957) e il suono più cupo e leggero di Rollins, che all'epoca aveva già più esperienza. Il resto di Tenor Madness è altrettanto iconico: When Your Lover Has Gone, classico di Einar Aaron Swan, divenuto famosissimo per la sua apparizione nel film La Bionda E L'Avventuriero del 1931 di Roy Del Ruth e interpretato da James Cagney e Joan Blondell, che solo nel 1956 ebbe una ventina di incisioni; Paul's Pal è un omaggio di Rollins a Paul Chambers, uno dei più geniali bassisti di tutti tempi, uno che ha suonato in almeno 100 capolavori del jazz; My Reverie è la ripresa dell'arrangiamento che nel 1938 Larry Clinton fece si un brano di Claude Debussy, Rêverie, del 1890; chiude il disco una cover spettacolare di The Most Beautiful Girl In The World, opera del magico duo Rodgers and Hart e presente nel musical Jumbo, che trasformava un teatro di Broadway in un mega circo con acrobati, trapezisti e giocolieri durante lo spettacolo. Il disco, un capolavoro, ne anticipa un altro, Saxophone Colossus, dello stesso anno, uno degli apici creativi di quegli anni incredibili e altro gioiello della collezione Prestige.
Rollins fu attivo per la lotta dei diritti civili e politici degli afroamericani, tanco che nel 1958 firma in trio con Oscar Pettiford e Max Roach, il disco The Freedom Suite, uno dei primi album-manifesto sulle discriminazioni razziali del jazz, e continuò ad avere costanti le sparizioni dalle scene. Sempre dovute alle sue dipendenze dalle droghe, la più famosa riguarda un suo disco, il suo maggior successo commerciale, The Bridge del 1962: ancora insoddisfatto della sua musica, decide si andare a suonare sotto il ponte Williamsburg, quello che divide Manhattan da Brooklyn, provando per 12-13 ore al giorno, in tutte le stagioni.
Scontroso (si dice che abbia licenziato il maggior numero di colleghi, più di Mingus), dalla personalità labirintica, non seguì le rivoluzioni degli anni '60 e '70, scriverà ancora grandi album (What's New con Jim Hall, un altro gioiello) e parteciperà con attenzione anche a contaminazioni con altri generi, e famosissimo è il suo assolo per i Rolling Stones in Waitin' On a Friend, da Tattoo You del 1981. È l'ultimo dei grandi a sopravvivere, ritiratosi nel 2012 dalle scene, un gigante che ha segnato un periodo irripetibile della musica.
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Quando si vuole sedurre qualcuno si è pronti ad accettare tutto. All'inizio di una storia, si è disposti a qualunque bugia. Ami, e dici: se vuoi non mangio più carne, se vuoi mi faccio prete, se vuoi mi vesto di rosso. Ti fa piacere dirlo, perché ami. Quando si smette di amare, in genere non si ha la pazienza di aspettare che finisca bene, si cerca la strada più breve, la rottura, la sofferenza. Invece ci vuole lo stesso impegno e la stessa intensità dell'inizio, bisogna superare gli egoismi, vivere questo momento con la stessa passione, far sentire alla persona lasciata tutto il bene che c'è stato: ci vuole amore per chiudere una storia. Aspettare un po' per non buttare via tutto ma recuperare quanto è possibile, ricreando un altro rapporto, un dopo-amore, fatto di conoscenza e di complicità, qualcosa che può essere molto più forte dell'amicizia.
Massimo Troisi
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dell'illusione della provvisorietà
Di fronte alla caducità della vita ho bisogno di un racconto che mi faccia sentire infinito, l'ontologia ha risposto a questo bisogno. Non sono per tradizione un uomo di fede, è per via filosofica che ho trovato la strada. Il mio bisogno va al di là della verità in sé, sicché se non fossimo infiniti io continuerei a pensare lo stesso il contrario. Non vi so spiegare il perché e non intendo spiegarmelo nemmeno io, dico soltanto che la nevrosi tipicamente razionalista di dirsi provvisori, viventi per un breve intervallo di tempo e nulla più, mi pare più che altro una posa ormai stanca di tempi irrimediabilmente stanchi.
"Chi cambierà il lampione agganciato all'angolo del numero 12 mi darà un grosso dispiacere. Siam provvisori, questo è vero, ma io ho già provvisorieggiato abbastanza per la mia dignità."
Louis-Ferdinand Céline
E poi, oltre al conforto degli artisti, abbiamo anche il parere autorevole degli scienziati:
“Per noi che crediamo nella fisica, la divisione tra passato presente e futuro è solo un'ostinata illusione”
Albert Einstein, dalla Lettera al figlio e alla sorella di Michele Besso (morto da pochi giorni a Ginevra) del marzo 1953.
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Frattura da isolamento (una breve storia Covid)
“Questa è la pioggia che deve cadere, sulle piccole scene di addio… Arrivederci allora, ragazzo più forte di me. Tu non parlare, che si calma il dolore.” (Ivano Fossati)
Un po’ d'aria al balcone per trovare il coraggio della verità. E le parole giuste e discrete, che non siano pietre o macigni che ti restino sul cuore chissà per quanto. Da quando sono in isolamento, all'inizio ti pensavo e mi mancavi come al solito. Poi un po’ la routine, un po' la differenza tra presenza fisica e virtuale, esce fuori prepotente la volontà di togliere i veli dall'anima, la routine, i pregiudizi e il ciarpame. Tutte queste cose improvvisamente mi hanno fatto smettere di risponderti. Tu, incazzato, dopo un po’ hai diradato le telefonate, i messaggi. Eri sarcastico per le mie risposte di tre sillabe e hai definitivamente smesso i contatti.
Da quando avevamo sedici anni mi hai sempre data per scontata e tua. Per diritto di nascita. Invece ho sentito il bisogno di tenere in piedi solo un altro filo di comunicazione a distanza. Si: è lui. Lo capisci da solo. Scopro soltanto ora che mi manca da morire il suo contatto, il conforto della sua voce. E l'odore del suo corpo accanto al mio. Voglio di nuovo vederlo arrossire quando lo guardo fisso. Lo fa sempre. Con il mondo intero è un vero carrarmato, una macchina potente. Che invece con me invece diventa Bambi.
"Tenera è la notte, ma la vita è anche meglio... Se questo può farti felice, più confusa di così non sarò... L'amore è una strada stretta, dove le cose o vanno bene o vanno così." (Ivano Fossati)
Sai: siamo andati molto avanti, nel reciproco svelarci le nostre intimità. Resta in entrambi solo il pudore dei vestiti sulla pelle. Le nostre anime già sono vicinissime. Come più non si potrebbe. Cadrà presto infine anche quest'ultima esile barriera d'imbarazzo; come pure sparirà questo maledetto virus. Si, è vero: lo desidero e per te non provo più altro che una sana gratitudine. Affetto sincero, ovviamente. Poi però, anche ricordi polverosi e un minimo di rancore per certi tuoi egoismi. Roba vecchia, ormai. Cicatrici ampiamente saldate. Forse avrò un po’ di colpa, se soffrirai. Me la merito. Però te la sei guadagnata, questa fine. E comunque non è che io possa impedirmi di vivere la vita che veramente voglio solo perché tu abbia la tua schiava stupida. Perdonami, se puoi: ti auguro il meglio.
“Ti dico addio. Siamo in tanti che inseguono un bacio… L'amore si vende a milioni di copie.” (Ivano Fossati)
RDA
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Da: The Fiery Cross
Parte seconda, cap. 18
La chiamata dei capo clan.
La brezza proveniva da ovest. Jamie alzò il mento, godendosi il suo tocco freddo sulla pelle accaldata. La terra digradava a onde di marrone e di verde, accese qua e là da sprazzi di colore che illuminavano la bruma degli anfratti come il chiarore di un fuoco da campo. Si sentì calare addosso una gran pace a quella vista, e respirò a fondo, mentre il suo corpo si rilassava. Anche Gideon si rilassò, ogni irascibilità ormai prosciugata come acqua da un secchio bucato. Pian piano Jamie lasciò cadere le mani sul collo del cavallo, che restò immobile, le orecchie puntate in avanti. Ah, pensò, mentre si impossessava di lui la consapevolezza di essere in un Posto con la P maiuscola. Pensava a posti del genere in una maniera inspiegabile a parole, limitandosi a riconoscerlo quando ne scovava uno. Avrebbe potuto definirlo sacro, se non fosse che la sensazione che gli procurava non c’entrava niente né con la chiesa né con i santi. Era semplicemente un luogo a cui sentiva di appartenere, e ciò bastava, anche se preferiva essere solo, quando gli capitava di trovarlo. Abbandonò del tutto le redini sul collo del cavallo. Nemmeno una creatura dalla mente distorta come Gideon avrebbe provocato guai, qui. E infatti il cavallo rimase tranquillo, con il massiccio e scuro garrese che fumava al freddo. Pur non potendo trattenersi a lungo, Jamie si sentiva profondamente soddisfatto di quella tregua... non solo dalla battaglia con Gideon, bensì anche dalle pressioni del prossimo. Aveva appreso molto tempo prima l’arte di isolarsi in mezzo a una folla, di cercare la privacy nella propria mente quando il corpo non poteva averne. Però era un montanaro nato, e aveva imparato presto anche l’incanto della solitudine, e l’aura di guarigione che emanavano i luoghi silenziosi. Tutto a un tratto ebbe una visione di sua madre, uno di quei piccoli, vividi ritratti che il suo cervello conservava gelosamente per poi tirarli fuori di punto in bianco in risposta a Dio sapeva cosa: un suono, un odore, qualche momentaneo ghiribizzo della memoria. Stava posando trappole per i conigli su una collina, quel giorno, tutto accaldato e sudato, con le dita irritate dalle ortiche e la camicia appiccicata alla pelle per via del fango e dell’umidità. Sua madre se ne stava là sotto l’ombra verdognola, a terra accanto a una piccola sorgente, del tutto immobile – il che non era da lei – con le lunghe mani ripiegate in grembo. Lei gli aveva sorriso in silenzio e lui le si era avvicinato, a sua volta senza parlare ma pieno di un grande senso di pace e contentezza, per poi appoggiarle il capo contro la spalla con un braccio di lei attorno alla vita, sapendo di trovarsi al centro del mondo. Aveva cinque anni all’epoca, o magari sei. All’improvviso, così come era arrivata, la visione svanì, simile a una trota luminosa che scompaia nell’acqua scura. Si lasciò dietro di sé la stessa sensazione di pace profonda, tuttavia, quasi che qualcuno lo avesse abbracciato, e una mano morbida gli avesse sfiorato i capelli. Scese rapidamente di sella per il bisogno di sentirsi gli aghi di pino sotto gli stivali, in una specie di collegamento fisico con quel posto. Per cautela legò le redini a un pino robusto, benché Gideon apparisse abbastanza calmo; abbassata la testa, stava brucando a terra in cerca di ciuffi d’erba secca. Jamie restò fermo un istante, poi si girò con cura a destra verso il nord. Non ricordava più chi glielo insegnato, se sua madre, suo padre o il Vecchio John, il padre di Ian. Recitò le parole, tuttavia, mentre girava in tondo seguendo il corso del sole, mormorando la breve preghiera a ciascuno dei quattro venti, per poi terminare a ovest, nel sole del tramonto. Raccolse a coppa le mani vuote e la luce le riempì, traboccandogli dai palmi.
Che Dio possa tenermi in salvo a ogni passo, Che Dio possa aprirmi ogni valico, Che Dio possa sgombrarmi ogni strada, E che possa accogliermi nelle Sue mani.
Seguendo un istinto più antico della preghiera, prese la fiaschetta dalla cintura e ne versò qualche goccia a terra. Brandelli di suoni gli giunsero sulle ali della brezza; risate e richiami, rumori di animali che si inoltravano nel sottobosco. Non lontana da lì, la carovana si trovava giusto dall’altra parte di una valletta, intenta ad aggirare lentamente la curva della collina di fronte. Doveva andare, adesso, raggiungerli nell’ultimo tratto di salita verso il Ridge. Eppure esitò qualche istante, restio a infrangere l’incantesimo di quel Posto. Captando con la coda dell’occhio un minuscolo movimento si chinò, strizzando gli occhi per scrutare la fitta ombra sotto un cespuglio di agrifoglio. Se ne stava lì immobile, perfettamente fuso con lo sfondo cupo. Non lo avrebbe mai visto, se i suoi occhi da cacciatore non ne avessero percepito il movimento. Un gattino piccolo piccolo, il pelo grigio gonfiato come un soffione maturo, gli enormi occhi spalancati che non battevano ciglio, quasi incolori nella tenebra. « A Chait», sussurrò tendendogli lentamente un dito. «Che cosa ci fai tu qui?»
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Quando si smette di amare, in genere non si ha la pazienza di aspettare che finisca bene, si cerca la strada più breve, la rottura, la sofferenza. Invece ci vuole lo stesso impegno e la stessa intensità dell'inizio, bisogna superare gli egoismi, vivere questo momento con la stessa passione, far sentire alla persona lasciata tutto il bene che c'è stato: ci vuole amore per chiudere una storia. Aspettare un po' per non buttare via tutto ma recuperare quanto è possibile, ricreando un altro rapporto, un 'dopoamore', fatto di conoscenza e di complicità, qualcosa che può essere molto più forte dell'amicizia. Io sono così. Quando una storia è stata importante e finisce, io la pazienza la trovo, soprattutto se in quel momento sono più forte. Anche se ho tutti i motivi per dire 'cazzo, basta!', non butto via il bene che c' è stato, non alimento false speranze, ma cerco di creare le basi per un altro rapporto. Magari, se mi comportassi da stronzo, aiuterei l'altra ad odiarmi, si libererebbe prima. Ma io preferisco l'indifferenza all'odio. Se uno ti odia può farti male. Metti che ti odia uno come Hitler. E' meglio se gli sei indifferente, no? Io non voglio essere odiato e, potendo scegliere, preferisco soffrire meno, lasciare piuttosto che essere lasciato, avere il senso di colpa per l'altra che sta male piuttosto che stare male io. Certe volte, quando ne sei fuori, pensi 'com'era bello quando soffrivo', ma è una fesseria. Con la sofferenza ci guadagnano solo i cantautori che ci scrivono sopra i successi. Bisogna avere il coraggio della fine, piano piano, con dolcezza, senza fare male. Io ho vissuto la vita stando molto a guardare, non sapendo che fare, per timidezza, per i problemi fisici che ho avuto. Credo di avere acquistato un bagaglio maggiore, di avere rispetto, quasi un animo al femminile, dove pensavo che niente mi era dovuto, dove tutto andava creato, formato, senza arroganze, senza presunzioni, senza quei famosi fumogeni che nascondono la verità.
Massimo Troisi
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LA LEGGENDA DI SAN MARTINO
Martino di Tours fu un vescovo cristiano che visse nel IV secolo d.C.
Era il giorno 11 Novembre,
il cielo era coperto, piovigginava e tirava un forte vento che penetrava nelle ossa. Martino, un giovane soldato di cavalleria della guardia imperiale, stava tornando a casa. Portava l’armatura, lo scudo, la spada e un mantello caldo e foderato di lana di pecora.
Ma ecco che lungo la strada, c’è un povero vecchietto coperto soltanto di pochi stracci che chiede l’elemosina, seduto per terra, tremante per il freddo.
Il cavaliere lo guarda e sente una stretta al cuore: “Poveretto, – pensa – morirà per il gelo!”
Impietosito, Martino scende dal cavallo e con un colpo secco di spada taglia in due il suo bel mantello e ne regala una parte al povero.
Martino, contento di avere fatto la carità, sprona il cavallo e se ne va sotto la pioggia, che comincia a cadere più forte che mai, mentre un vento rabbioso pare che voglia portargli via anche la parte di mantello che lo ricopre a malapena. Ma fatti pochi passi ecco che smette di piovere, il vento si calma. Di lì a poco le nubi si diradano e se ne vanno. Il cielo diventa sereno, l’aria si fa mite. Il sole comincia a riscaldare la terra obbligando il cavaliere a levarsi anche il mezzo mantello. Ecco l’estate di San Martino, che si rinnova ogni anno per festeggiare un bell’atto di carità. In effetti, ancora oggi, nella settimana che ricorre San Martino, spesso si assiste ad un breve periodo in cui il clima diventa più mite e si parla di “estate di San Martino.” Si dice:
“L’estate di San Martino…dura tre giorni e un pocolino”
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Soy feliz. Hacía tanto tiempo que no podía decir esto: ¿qué será lo que me transmite esta sensación tan íntima y precisa de alegría, de ligereza? Nada. O casi. Un silencio maravilloso me rodea: la habitación del hotel, en la que llevo cinco minutos, da a un gran monte, muy verde, con alguna que otra casa modesta y normal. Llueve. El murmullo de la lluvia se mezcla con unas voces distantes, densas, incalculables. La terracita de delante brilla por la lluvia y sopla un aire fresco.
La sensación de paz y de aventura que siento en este hotel del interior de Isquia es una de las cosas que la vida, a estas alturas, te brinda sólo muy raramente. Un lugar donde me parece haber estado siempre. Me hace pensar en el Friul, en Carnia, en Emilia. Sólo de vez en cuando una voz cercana me recuerda que estoy en el Sur. Me espera algo formidable: aquello que uno espera cuando es niño, el primer día de vacaciones, cuando todavía tiene por delante un verano eterno.
¿Cómo he llegado aquí? Cuando lo pienso, ahora que sólo hace unos minutos que me hallo sumido en esta paz doméstica, me parece que llevo a mis espaldas un viaje homérico.
De ser capaz, me gustaría describirlo para aquellos lectores que nunca han salido de su pueblo, su ciudad, salvo para hacer algún breve viaje por la provincia, y que sueñan con Capri e Isquia como yo he soñado con ellas, como un niño. Necesitaría un libro entero, porque no ha ocurrido nada: sólo han ocurrido las cosas que pertenecen tan sólo a la vida, y que, al cabo de cinco minutos, mueren.
- PIER PAOLO PASOLINI, de La larga carretera de arena (La lungha strada di sabbia) Gallo Nero 2018, traducción de David Paradela López.
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Stamani ho rivisto le foto dell'anno scorso, le ultime scattate con e da mia madre la mattina del giorno in cui è morta. C'erano le foglie gialle a terra, l'autunno era giunto in estremo ritardo, ma il sole brillava alto nel cielo. Mi sentivo stranamente tranquilla, contenta del fatto che il 2023 stesse per volgere al termine poiché era stato un anno difficile per entrambe. Quel giorno decidemmo di fare colazione insieme in una storica pasticceria del centro, in una zona che avevo riscoperto da poco : non molto caotica e più poetica. Bevemmo io un cappuccino di soia, lei un caffè mentre le foglie autunnali, a metà tra il marrone e il giallo ocre, continuavano a danzarci intorno. Penso spesso a quel momento perché fu allora che i nostri occhi si posarono sul ciglio della strada di fronte soffermandosi sul grande dono che è la vita, e sulla Bellezza circostante. È curioso come poi a distanza di poche ore quella bellezza di cui parlavamo sia venuta a mancare, tuttavia continuo a tornare indietro con la mente a quel breve momento perché la più grande lezione che io abbia imparato sta in questo : siamo quel pensiamo e sinceramente, a distanza di quasi un anno sono davvero Felice di stupirmi, come ieri mattina, se una folata di vento, ora che è nuovamente autunno, ha ancora il potere di incantarmi.
26/12/2023, 14:00pm.
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Quando si vuole sedurre qualcuno si è pronti ad accettare tutto. All’inizio di una storia, si è disposti a qualunque bugia. Ami, e dici ‘se vuoi non mangio più carne, se vuoi mi faccio prete, se vuoi mi vesto di rosso…’. Ti fa piacere dirlo, perché ami. Quando si smette di amare, in genere non si ha la pazienza di aspettare che finisca bene, si cerca la strada più breve, la rottura, la sofferenza. Invece ci vuole lo stesso impegno e la stessa intensità dell'inizio, bisogna superare gli egoismi, vivere questo momento con la stessa passione, far sentire alla persona lasciata tutto il bene che c'è stato: ci vuole amore per chiudere una storia. Aspettare un po' per non buttare via tutto ma recuperare quanto è possibile, ricreando un altro rapporto, un 'dopoamore', fatto di conoscenza e di complicità, qualcosa che può essere molto più forte dell'amicizia. Io sono così. Quando una storia è stata importante e finisce, io la pazienza la trovo, soprattutto se in quel momento sono più forte. Anche se ho tutti i motivi per dire 'cazzo, basta!', non butto via il bene che c' è stato, non alimento false speranze, ma cerco di creare le basi per un altro rapporto. Magari, se mi comportassi da stronzo, aiuterei l'altra ad odiarmi, si libererebbe prima. Ma io preferisco l'indifferenza all'odio. Se uno ti odia può farti male. Metti che ti odia uno come Hitler. E' meglio se gli sei indifferente, no? Io non voglio essere odiato e, potendo scegliere, preferisco soffrire meno, lasciare piuttosto che essere lasciato, avere il senso di colpa per l'altra che sta male piuttosto che stare male io. Certe volte, quando ne sei fuori, pensi 'com'era bello quando soffrivo', ma è una fesseria. Con la sofferenza ci guadagnano solo i cantautori che ci scrivono sopra i successi. Bisogna avere il coraggio della fine, piano piano, con dolcezza, senza fare male. Io ho vissuto la vita stando molto a guardare, non sapendo che fare, per timidezza, per i problemi fisici che ho avuto. Credo di avere acquistato un bagaglio maggiore, di avere rispetto, quasi un animo al femminile, dove pensavo che niente mi era dovuto, dove tutto andava creato, formato, senza arroganze, senza presunzioni, senza quei famosi fumogeni che nascondono la verità.
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🍀
Ti resto accanto anche quando non mi vedi. E cerco di capire, tu che un giorno sei una rosa e quello dopo sei una spina. Ti resto accanto in questo tempo indefinibile, nel tempo che ti prendi per pensare, per trovarti e intanto se la ride, passa e se ne frega. Tempo troppo breve se ci scappa da ridere o da vivere, tempo troppo lungo se ti fai aspettare. Se ti volti non mi vedi. Neanche avanti non mi vedi. Io sono al tuo fianco, senza spingere né tirare, nel posto in cui ti puoi appoggiare quando perdi l’equilibrio. Di fianco, per dirti all’orecchio che ti voglio bene, per non perderti di vista neanche quando ti allontani. Di fianco, per non oscurare la tua luce, per non coprire la strada che vuoi fare, per solleticarti se ti chiudi nei pensieri. E non occorre che allunghi la mano per cercare la mia, non l’ho mai mollata. E non occorre che allungo la mano per cercare la tua, è sempre stata nella mia.
Enrico Cattani
#smokingago
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2 mesi.
Oggi compio due mesi che vivo qua, sono un bebè 😂, e magari smetterò di contare i giorni e i mesi, il tempo è una costante che mi ha sempre condizionato, sarà per via del fatto che sono un musicista?
Per farla breve, questo mese è stato decisamente migliore del precedente e sto piano piano riprendendo la strada dritta, anche se stando al cugino (psicologo) ancora ho un bel pò da camminare, ma sono positivo e so bene che andrà sempre meglio, soprattutto quando andrò via da qua. Ma oggi pranzo col mio ragazzo, che fra un paio di settimane compie 20 anni e si sta affacciando al mondo del lavoro. Per il resto suono, lavoro, vado al bar anche se non bevo, fa strano vedere tutti ubriachi da sobrio e pensare che 5 anni fa ero anche io in quello stato, però se ti fai una canna sei drogato eh!
Cambiando discorso e siccome è già da qualche ora sui social, anche qua, quindi ha vinto Trump? Mi ricordo quando gli yankee ci prendevano per i fondelli grazie a quel nano mafioso e la sua ignoranza spalmata ovunque come un marchio made in italy contraffato, adesso tocca a noi per la seconda volta 😂, cazzi loro.
Purtroppo in sto periodo non sto seguendo molto le vicende mondiali, guerre comprese, ho altre gatte da pelare, no, non è egoismo è sopravvivenza. L'unica cosa che manca a condire questo periodo su quest'altalena è una compagnia, eh beh oramai sono single, ma ci sto lavorando.
Ultima novità, ho installato il Tumblr sul telefono, non amo i social lo sapete, ma in questi giorni a lavoro è stato un mortorio e magari farsi un giretto qua non sarebbe male, anche perché tutte le colleghe non fanno altro, sembra di stare in un posto dove tutti si odiano e preferiscono guardare lo schermo più tosto che parlare con i colleghi, boh.
youtube
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Va bene se non abbiamo più i numerosi amici di prima, se le relazioni superficiali non ci interessano più, se non vogliamo più avere conversazioni banali, se non abbiamo più bisogno della convalida degli altri, se non ci pesa più passare tanto tempo da soli con noi stessi anziché fuggire in relazioni finte.
Quando arriviamo a questo punto e abbiamo il coraggio di scegliere consapevolmente con chi e cosa entrare in contatto, siamo sulla strada giusta.
Allora non ripetiamo più continuamente i nostri traumi irrisolti, gli schemi familiari e i deficit nelle nostre relazioni.
Certo, il percorso per arrivare a questo punto non è sempre breve, ma ne vale la pena.
Brigitta Szántó
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