#ronzio di fondo
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Rilevato il "ronzio di fondo" dell'Universo: ricerca (anche italiana) sulle onde gravitazionali
Gli scienziati hanno individuato un "ronzio di sottofondo" che arriva da lontano, generato, forse da "buchi neri supermassicci". 25 anni di lavoro, per una ricerca con una forte impronta italiana: l'Istituto Nazionale di Astrofisica, l'Università Milano Bicocca e il Sardinia Radio Telescope
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Incontro al parco
Era una di quelle giornate in cui il sole sembrava promettere una primavera precoce, quei raggi tiepidi che invitano a lasciare la pesantezza dell'inverno. Giulia, una donna di trent'anni con un corpo che sembrava scolpito per celebrare la bellezza femminile, passeggiava nel parco, lasciando che la brezza le accarezzasse il viso. I suoi occhi, di un marrone profondo, si posavano qua e là, godendo dello spettacolo della natura che si risvegliava.
Si sedette su una panchina isolata, lontana dagli sguardi indiscreti, e aprì il libro che aveva portato con sé. Ma la lettura non riusciva a catturare la sua attenzione come il calore tra le sue gambe, un desiderio inaspettato che si faceva strada nel suo ventre. Senza rendersene conto, le dita di Giulia scivolarono lentamente sotto la gonna, accarezzando la pelle morbida delle sue cosce.
Fu allora che lo vide. Un uomo, sulla quarantina, con uno sguardo intenso che sembrava scrutare oltre la superficie delle cose. Era alto, con una corporatura atletica, e camminava con una sicurezza che le fece mancare il respiro. Lui la notò, i loro sguardi si incrociarono e, per un attimo, il mondo attorno a loro sembrò svanire.
L'uomo, che si chiamava Marco, si avvicinò con passo deciso. "Posso?" chiese, indicando la panchina accanto a lei. Giulia annuì, sentendo un brivido di eccitazione. Marco si sedette, mantenendo una distanza rispettosa, ma il suo sguardo era già un tocco che esplorava il suo corpo.
"Che libro stai leggendo?" domandò lui, cercando un pretesto per rompere il silenzio.
"Un romanzo," rispose Giulia con un filo di voce, "ma oggi sembra che la mia mente sia altrove."
Marco sorrise, gli occhi che brillavano di malizia. "E dove sarebbe?"
Giulia si sentì arrossire, ma qualcosa dentro di lei la spinse a essere audace. "In un posto dove il desiderio non ha bisogno di parole," sussurrò, spalancando leggermente le gambe, offrendogli una visione della sua figa coperta solo da un leggero velo di stoffa.
Marco inspirò profondamente, il suo sguardo si fece più intenso. "Sei mozzafiato," mormorò, la sua mano che si avvicinava lentamente alla sua coscia.
Giulia sentì il calore del suo tocco attraverso la stoffa, un anticipo di quello che sarebbe successo. Le sue dita si fecero strada sotto la gonna, trovando la sua vulva già umida e calda. Marco iniziò a muovere le dita con una lentezza esasperante, tracciando cerchi intorno al suo clitoride gonfio e sensibile.
"Oh Dio," ansimò Giulia, lasciando cadere la testa all'indietro, abbandonandosi al piacere che stava montando dentro di lei.
"Sei così bagnata," sussurrò Marco, la sua voce un ronzio deep nel suo orecchio. "Voglio sentirti godere."
Le sue dita scivolarono dentro di lei, incontrando la morbidezza bagnata della sua vagina. Giulia si contrasse intorno a lui, un gemito che le sfuggì dalle labbra. Marco iniziò a muovere le dita con un ritmo costante, ogni movimento la spingeva più vicino al baratro del piacere.
"Non fermarti," implorò Giulia, afferrando la sua mano, spingendola più a fondo dentro di lei.
Marco accolse il suo invito, aumentando la pressione sul suo clitoride, mentre con l'altra mano le accarezzava i seni, pizzicando delicatamente i suoi capezzoli eretti attraverso la stoffa del vestito.
Il piacere si accumulava, un'onda che cresceva in intensità, pronta a rompersi. Giulia sentì il suo corpo teso come una corda di violino, ogni cellula vibrava di desiderio. "Sto per venire," ansimò, e Marco rispose con un sorriso selvaggio, spingendola oltre il limite.
Con un grido soffocato, Giulia esplose, il suo orgasmo la travolse come una tempesta, il suo corpo scosso da convulsioni di puro piacere. Sentì il suo essere inondato di calore, una cascata di sensazioni che la lasciarono senza fiato.
Mentre il suo orgasmo svaniva lentamente, Marco ritirò la mano, portandola alle labbra, assaporando il suo sapore. "Sei deliziosa," disse, i suoi occhi che la fissavano con un misto di lussuria e ammirazione.
Giulia, ancora tremolante, si girò verso di lui, la sua mano che si avventurò verso il suo pene, sentendo la durezza attraverso i pantaloni. "E adesso?" chiese con un sorriso malizioso.
"Adesso tocca a me," rispose Marco, e con un movimento fluido, si alzò, posizionandosi davanti a lei. Giulia gli slacciò la cintura, abbassò la zip, liberando il suo pene eretto. Lo prese in mano, sentendo il calore e la forza della sua erezione.
Iniziò a muovere la mano su e giù, con un ritmo che sapeva avrebbe portato Marco al limite. Lui gemeva, chiudendo gli occhi, lasciandosi andare al piacere che le sue dita gli stavano donando.
"Sì, così," ansimò, e Giulia sentì un nuovo brivido di eccitazione. Era potente, essere la fonte di quel piacere, controllare il ritmo di quel respiro affannoso, di quei gemiti che diventavano sempre più forti.
Marco si avvicinò, il suo respiro un sussurro contro la sua pelle. "Sto per venire," disse con voce roca, e Giulia accelerò il movimento, sentendo il suo pene pulsare nella sua mano.
Con un ultimo gemito, Marco venne, la sua sborra calda che copriva le sue dita, un segno tangibile del loro incontro improvviso. Si lasciarono andare a un lungo abbraccio, i loro corpi ancora elettrici dal piacere appena condiviso.
Quando si separarono, il parco era ancora tranquillo, come se nulla fosse successo. Ma per Giulia e Marco, quel pomeriggio avrebbe segnato l'inizio di qualcosa di nuovo, un'avventura che avevano appena iniziato a esplorare. Si alzarono, si scambiarono un ultimo sguardo carico di promesse e si allontanarono in direzioni opposte, ognuno con un segreto da custodire gelosamente.
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Se chiudi gli occhi e aspetti, se lasci che il silenzio si posi sui pensieri e spenga il ronzio di fondo della mente, ti accorgerai di quanto è labile il confine tra le cose. L'acqua si tramuta in ghiaccio, la terra in fango, nascono torri di sale e il sole asciuga il mare, e pioggia e fiumi e ancora oceani. Il bene, il male, il giusto e lo sbagliato, il nulla e il tutto sono solo sostantivi, mere categorie che abbiamo inventato nel tentativo puerile di mantenere un ordine nel disordine, dimenticando che anche ordine e disordine sono solo categorie e illusioni. Ecco, se chiudi gli occhi e aspetti, ti accorgi che il confine delle cose è talmente labile e illusorio che ciò che c'era è ancora, ma veste una differente forma. E tutto è apparentemente in movimento, ma in realtà è immobile.
Guido Mazzolini
(Ph: Vadim Stein)
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Ci interroghiamo sul nostro tempo. Questa interrogazione non si esercita in momenti privilegiati, ma procede senza soste, fa essa stessa parte del tempo, lo incalza nel modo assillante che è proprio del tempo. In un certo senso non è una interrogazione ma una specie di fuga. Sul rumore di fondo costituito dal sapere del corso del mondo, con cui esso precede, accompagna e segue in noi ogni sapere, durante la veglia e il sonno, proiettiamo delle frasi che si scandiscono in domande. Un ronzio di domande. Quanto valgono? Che dicono? Anche queste sono domande.
Maurice Blanchot
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Splash, marzo 2023 Tempera su carta
Lo scorso febbraio questa canzone mi ha presa tra le sue braccia. Mi ha accompagnata durante le ultime settimane di vita di mio padre, e i miei estenuanti tentativi di rilassare i muscoli, e controllare la respirazione, nel gestire il dolore cronico pelvico.
Due anni fa, Musica Leggerissima mi ha raggiunta nel mezzo del più intenso periodo di paranoia della mia vita, in cui non potevo fare altro che lavorare indossando una mascherina doppia, disinfettare ogni superficie, e pregare di non contagiare i miei al ritorno a casa. L'unico modo per evadere era attraverso l'arte e la musica, per soffocare il ronzio continuo del cervello e per calmare le tachicardie.
Mentre il resto del mondo è tornato alla "normalità", io ho continuato ad affondare assieme alla salute di mio padre e della mia famiglia.
L'unica distrazione dalla vita era il lavoro, quando avrebbe dovuto essere il contrario.
E' possibile prendere una pausa, fare una vacanza, respirare a fondo nella consapevolezza che qualcuno accanto a te sta morendo soffocato? È possibile soddisfare le esigenze dei tuoi datori di lavoro, dei tuoi amici, di tutti coloro che si aspettano che tu riesca a performare come prima e più di prima, quando non hai più una motivazione per proseguire?
Ora qualcosa è cambiato, ma la cicatrice resta e non sono più tornata come prima. Forse un giorno riuscirò a vivere senza sentire di continuo la sirena delle emergenze in sottofondo. Nel frattempo, sapere che qualcuno là fuori capisce perfettamente come mi sento, ed è in grado di trasformarlo in parole e musica, mi consola.
#splash#colapesce#dimartino#colapescedimartino#art#art of the day#artists on tumblr#traditional art#traditional painting#painting#paintings#colour#tempera#gouache#sea
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È l'una e tredici del mattino, sono seduta sui gradini di una chiesetta di un paese vicino al mio. Sto fumando, da sola.
L'aria è piena del fruscio degli alberi e dei richiami degli uccelli notturni, del ronzio degli insetti che si affollano attorno al lampione davanti a me.
Era da tanto tempo che non facevo una cosa così. Da più tempo ancora non lo facevo da sola. L'anno scorso l'ho fatto tante volte, stare in giro fino alle due, le tre, con una persona. Ma ero sempre nervosa, chissà per che cosa poi.
Ho sentito tante sensazioni, tempo fa, facendo questo. Tanti moti d'animo. Fumare e parlare, parlare e fumare nell'aria della notte in un'ovatta di rumori di sottofondo, traffico, vento, silenzio rumoroso.
L'altra persona vicino a me mi spingeva a concentrarmi su di lei, involontariamente, sentivo vibrare le sue corde, i suoi pensieri, il suo cuore. Mai il mio. Il mio si mescolava al cotone in sottofondo.
Adesso è diverso. Mi sento vibrare. Nelle foglie, nel vento, negli insetti.
Penso, se la facessi finita stasera nessuno saprebbe come stavo davvero, solo io. In questo momento. Questo momento sarebbe solo mio.
Niente più vibrare del cuore dell'altro, anche se ormai è solo un ricordo.
Ma c'è qualcosa nel richiamo degli uccelli notturni, nel ronzio degli insetti. Negli alberi. Nell'erba davanti a me. Nel fondo delle mie scarpe.
Sono stanca della vita, ma rimango ad ascoltarmi vibrare.
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Dicono che io appartenga a questo mondo. Ma non ne sono sicura. I confini si dissolvono, si cancellano come le tracce sulla sabbia, spazzate via dalla prima onda. Oggi sono qui, preparo il caffè, controllo la posta, sento il rumore delle macchine fuori dalla finestra. Domani... domani vedrò i volti degli antenati emergere attraverso il sottile velo della realtà, e il sussurro del mio mentore mi ricorderà il mio dovere.
Vuole che io sia forte. Che non mi giri dall'altra parte, che non mi nasconda dietro pareti di cemento, dietro le parole familiari "va tutto bene". Ma io voglio normalità. Voglio vivere, respirare quest'aria, sentire il calore delle mani di qualcun altro, e non il tocco gelido degli spiriti. Voglio restare qui, tra le persone, e non perdermi nelle ombre di mondi dove non c'è nulla se non un dovere eterno.
Mi fa arrabbiare. Mi fa arrabbiare fino a tremare le mani. Questo dono è avido, esigente. Non mi chiede se voglio ascoltare le paure degli altri, se voglio essere quella a cui vengono a raccontare i loro problemi. Le persone con le loro infinite lamentele, paure, richieste... mi esauriscono. Sono stanca delle loro aspettative, delle loro suppliche. A volte vorrei solo dire "lasciatemi in pace", ma non posso.
Vedo le persone per quello che sono veramente. La loro vera natura è disgustosa, ripugnante, con tentacoli appiccicosi di paure e bugie, con occhi vuoti che nascondono le loro debolezze. Mi disgusta parlare con loro, ma devo farlo. Sorrido, stringo i denti, faccio finta che vada tutto bene, che sia interessata. Ma dentro... dentro c'è freddo, repulsione, stanchezza.
E mi dispiace. Mi dispiace di non avere una vita normale. Di non avere quella semplicità che hanno le altre donne — incontri, appuntamenti, lunghe conversazioni sul futuro. Ho solo questa strada infinita tra i mondi. E poi ci sono quelle donne con le loro eterne lamentele. Quanto sono ingenue nella loro ricerca di amore, felicità, giustificazioni. Le ascolto parlare di mariti infedeli, di amiche traditrici, della paura di invecchiare... e mi viene voglia di urlare. Ma taccio. Perché mi fanno pena. Perché so che dietro la loro ingenuità si nasconde la paura, la solitudine, la confusione. E in fondo, so di essere come loro.
Ma la cosa peggiore è portare cattive notizie. Lo odio. Vedere il volto di una persona cambiare mentre dico la verità. Quando infrango la loro speranza. Quei momenti mi perseguitano nei sogni. Ne ho paura. Ho paura della mia stessa voce, che suona come una condanna.
E ho paura di entrare in trance. Ho paura che un giorno non tornerò più. Ho paura che gli spiriti mi porteranno via definitivamente. Ogni volta che chiudo gli occhi, sento questa paura — viscida, pesante, ineluttabile. Il corpo diventa estraneo, come se perdessi il contatto con la carne, scivolando in un'oscurità densa. Prima arriva il freddo che mi penetra fino alle ossa, poi la leggerezza — come se qualcuno mi strappasse via dalla realtà, portandomi in un luogo sconosciuto. Nelle orecchie un ronzio, poi le voci — lontane, insistenti. Fluttuo, mi perdo. Non ci sono più. Ma non posso tirarmi indietro. Lo so.
Ogni giorno è un equilibrio sul filo del rasoio. Vivere in modo che gli spiriti non si arrabbino. Vivere in modo che le persone non si allontanino. Nascondo gli amuleti sotto i vestiti, così i colleghi non li vedono. Dico le parole giuste al momento giusto, sorrido quando serve. Ma di notte... di notte li sento chiamarmi per nome. Quello vero. Quello che mi hanno dato gli spiriti.
Mi addormento con una preghiera che nessuno deve sentire, e mi sveglio con la sensazione di aver percorso cento strade in una sola notte. Forse è davvero così. Forse non appartengo più a nessuno — né al mondo degli spiriti, né a quello degli esseri umani. Forse sono rimasta bloccata in questo limbo, cercando di essere ovunque allo stesso tempo.
Ma qualcuno deve... Qualcuno deve accontentare entrambi. Rassicurare, unire, mantenere l'equilibrio. E se non sono io, chi allora?
Prendo il telefono, controllo le notizie, sorrido al riflesso nello specchio. "Va tutto bene", dico ad alta voce. Lo spirito mentore tace. Per ora.
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Dissociazione o stanchezza? Il tempo non esiste, e neanche la realtà. Sta accadendo tutto in questo momento e non sta accadendo davvero per qualcun altro. Interpretiamo. Viviamo di interpretazioni.
Sento un rumore di fondo come un ronzio, mi sono persa nei miei pensieri, ora non li ricordo.
Notte insonne, non sento niente, sono distante dal mio corpo, la mia voce non è più mia e neanche i miei pensieri.
Tutto scorre in modo caotico, l altro lato della medaglia dell' ordine di Eleonora.
Pensieri sconnessi, quasi mi viene da ridere.
Vedo le ombre. Le sento come graffi. Mi lascio cadere nell'abisso profondo.
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Una piccola osservazione personale.
So di essere spesso manchevole nei rapporti interpersonali di qualsiasi natura (sia che si tratti di conoscenze recenti che di amicizie o altro di lunga data). E quando me ne accorgo me ne dispiaccio non poco, soprattutto quando tengo a quella determinata persona. Tutto questo sempre sulla base che i rapporti, anche se sfilacciati nel tempo o nello spazio, possano avere una base minima bidirezionale, un do ut des di "attenzioni" basilari (un sorriso, un "ciao come stai", un "ehi...") che ci fa capire che in fondo contiamo qualcosa per l'altro, che un rapporto può esistere anche se su basi labili.
Di questi tempi la "monodirezionalità" non può funzionare, sia perché passare dall'attenzione alla molestia, per chi la subisce, è un attimo (soprattutto quando chi riceve è scarsamente interessato a te - potresti anche non esistere e sarebbe lo stesso), sia perché la sincerità nei rapporti sembra essere merce assai rara e quindi i fraintendimenti sono sempre a portata di mano.
Tendenzialmente a me piacciono le persone, soprattutto quelle con cui si ha qualcosa da dire e raccontare, quelle che possono essere fonte di arricchimento personale, quelle che, seppur incasinate (chi non lo è), quando si rapportano con l'altro sono cristalline e non interessate o ipocrite. Allora il piacere di esserci, di dare, anche a distanza, di vedersi, si alimenta e si accresce. E ho detto che, quando mi accorgo di essere manchevole (o me lo fanno notare), ne resto profondamente e sinceramente dispiaciuto e vorrei rimediare.
Con le persone invece oppositive o non limpide finisco per fare terra bruciata. Ci metto del tempo per rendermene conto, ma quando ci arrivo (il senso di disturbo è come un ronzio fastidioso costante che cresce nei giorni, nei mesi) trancio inesorabilmente.
In ogni caso, questo per dire che mi scuso con tutti coloro che si sono sentiti immeritatamente trascurati. Io ci sono, rincoglionito e con tanto da recuperare, ma ci sono.
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ho di nuovo la nausea. spinge dalla bocca dello stomaco verso l'esofago. ho paura terrore paralisi e stasi, immobilizzata sudo afa fine luglio il tempo si avvicina ghigliottina. non riesco a dormire, la notte dormo male ho paura di addormentarmi nel profondo e il giorno sono assopita tutto il tempo da sveglia. i due piani si assottigliano (sonno e veglia) e si confondono, la soglia lo spazio liminale tra i due sbiadisce e sogno e veglia si mischiano in un'allucinazione perpetua minacciosa. nika ha detto che non devo avere paura. io ho detto che dentro di me è come se avssi una pozza d'acqua. fino ad un certo livello posso vederci dentro, è trasparente, poi come un imbuto si restringe sul fondo ed è buio pesto. io non poso vedere da fuori quanto sia profondo il livello né la densità della materia né altro, potrebbe essere una pozzanghera come un pozzo. e di questo ho paura, di caderci dentro fino all'eternità, fino al centro della Terra. lei dice di non avere paura, che posso starci, che non sprofondo e che mi contiene mi mantiene mi sostiene. chissà chi avrà la meglio.
mamma ha detto che è come se io avessi i contorni confini frastagliati e quando mi immergo e risalgo in superficie molte più cose che a lei si sono incastrate dentro ai miei pori buchi, mentre lei è più liscia quindi dopo l'immersione non le è rimasto granchè e ovviamente parliamo di memoria. le non si ricorda tutto quello che invece io mi ricordo e di cui potrei parlare per ore. è come se avessimo vissuto due esperienze totalmente diverse anche se ci siamo immerse nello stesso mare. quel mare è il nostro discorso.
la notte devo mantenere il filo e il giorno non riesco a riposarmi in una fantasia allucinatoria che mi connette con tutto il mondo.
ho paura di addormentarmi perché credo che non mi sveglierò mai più. se dormono tutti è come se fossi l'unica a mantenere il filo allora posso dormire solo quando qualcuno sta sveglio. devo tessere il filo che mantiene legato tutto il mondo altrimenti si sgretola e tutte le parti si sparpagliano si disgregano in un moto verso l'esterno (esteriore) implacabile ma lentissimo. come penelope, come la bella addormentata, come le moire, tesso la trama e la disfo, srotolo e riarrotolo il fuso per mantenere la tensione, per sollevare il telo sul mondo che dorme altrimenti il suo peso lo soffocherebbe come una coltre/cortina densa come un sipario definitivo una tenda terribile di pietra. si scopre così la trama sotterranea scoppiettante delle formiche brulicanti, come il ronzio visivo della tv senza canale che è il suo ingranaggio senza sosta d'impalcatura. ingranaggio di leva che deve sempre girare per mantenere il carillon che gira.
se io dormo non sparisco solo io ma sparisce tutto il mondo e quindi non posso più svegliarmi perché non avrei un posto in cui svegliarmi e a cui tornare dal sonno. devo tirare il filo come il mago con le marionette ma la tensione è una fatica insaziabile
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Come fanno i buchi neri supermassicci a superare l'ultimo parsec?
Le galassie si sono fuse in strutture sempre più grandi nel corso della storia cosmica. Quando le galassie si fondono, anche i buchi neri supermassicci che si trovano al loro centro devono alla fine fondersi, formando un buco nero ancora più gigantesco.
Per decenni, però, una domanda ha tormentato gli astrofisici: come possono i buchi neri supermassicci avvicinarsi abbastanza da spiraleggiare insieme e fondersi? Nei calcoli, quando i buchi convergenti raggiungono il cosiddetto parsec finale, una distanza di circa un parsec, o 3,26 anni luce, il loro progresso si blocca. Dovrebbero essenzialmente orbitare l'uno attorno all'altro indefinitamente.
"Si pensava che i tempi a spirale potessero essere alti quanto... l'età dell'universo", ha affermato Stephen Taylor(si apre una nuova scheda), un astrofisico della Vanderbilt University. "La gente era preoccupata che non si potessero ottenere buchi neri in fusione."
Sono state accumulate prove che effettivamente si fondono. L'anno scorso, le osservazioni dei movimenti sottili di stelle pulsanti note come pulsar timing array hanno rivelato un ronzio di fondo di onde gravitazionali nell'universo, increspature nel tessuto dello spazio-tempo. Queste onde gravitazionali provengono molto probabilmente da buchi neri supermassicci in orbita stretta entro un parsec l'uno dall'altro che sono prossimi alla fusione. "Questa è stata la nostra prima prova che i buchi neri binari superano il problema dell'ultimo parsec", ha affermato Laura Blecha(si apre una nuova scheda), astrofisico presso l'Università della Florida.
Quindi, come fanno?
Gli astrofisici hanno una nuova ipotesi: la materia oscura potrebbe sottrarre momento angolare ai due buchi neri, spingendoli più vicini.
Materia oscura è il termine per l'85% della materia non ancora scoperta nell'universo. Possiamo vedere i suoi effetti gravitazionali sulle galassie e sulla struttura cosmica, ma al momento non siamo in grado di capire di cosa si tratti. Le più semplici particelle ipotetiche che potrebbero comprendere questa forma invisibile di materia non sarebbero di alcun aiuto nel facilitare le fusioni dei buchi neri. Ma quest'estate, un gruppo di fisici in Canada ha sostenuto(si apre una nuova scheda)che qualcosa di più complesso chiamato materia oscura auto-interagente potrebbe. Queste particelle potrebbero trascinare i buchi neri supermassicci abbastanza da farli cadere a un parsec l'uno dall'altro. Se questa spiegazione è corretta, "vi dirà che la materia oscura non è così semplice come pensavamo", ha detto Gonzalo Alonso-Álvarez(si apre una nuova scheda), fisico teorico dell'Università di Toronto e uno degli autori.
Poi a settembre, un gruppo separato di fisici ha sottolineato(si apre una nuova scheda)che un altro candidato per la materia oscura, a volte chiamato materia oscura fuzzy, potrebbe fare altrettanto.
Nel corso degli anni sono state avanzate anche soluzioni più prosaiche al puzzle. In mezzo a questa serie di opzioni, alcune banali, altre esotiche, gli scienziati stanno escogitando modi per testare le possibilità l'una contro l'altra.
"A questo punto la maggior parte della comunità dà quasi per scontato che il problema del parsec finale sia risolto", ha affermato Sean McWilliams(si apre una nuova scheda), un astrofisico teorico della West Virginia University che ha studiato diverse soluzioni al problema. "L'unica domanda è: qual è la cosa più efficiente che lo risolve?"
Due per ballare il tango
I piccoli buchi neri, oggetti delle dimensioni di una stella così densi che la loro gravità intrappola qualsiasi cosa si avvicini troppo, persino la luce, sono sparsi in tutte le galassie. Si formano dal collasso gravitazionale di singole stelle. Ma i buchi neri supermassicci che si trovano nei centri delle galassie, che possono essere pesanti quanto miliardi di soli, sono più misteriosi e influenti. In qualche modo guidano la formazione e l'evoluzione della galassia attorno a loro.
Quando due galassie si fondono, le interazioni gravitazionali con stelle, gas e materia oscura fanno sì che i due buchi neri supermassicci cadano lentamente l'uno verso l'altro. Gli astrofisici hanno descritto per la prima volta(si apre una nuova scheda)questo processo, chiamato attrito dinamico, nel 1980. "Si pensa che questo sia il modo principale in cui i buchi neri si avvicinano", ha affermato Dan Hooper(si apre una nuova scheda), astrofisico presso l'Università del Wisconsin, Madison.
Merrill Sherman per la rivista Quanta
A un certo punto, tuttavia, tecnicamente da una frazione di parsec a pochi parsec, a seconda delle masse dei buchi neri, l'attrito dinamico "finisce per non essere più molto efficace", ha detto Hooper. Qui, al centro delle galassie in coalescenza, i due buchi neri mangiano materiale e lo scagliano via, scavando un varco. Di conseguenza, la densità di stelle e gas cala drasticamente, lasciando i buchi neri in uno spazio relativamente vuoto. Senza roba intorno a loro che li rallenti, dovrebbero quindi orbitare l'uno attorno all'altro quasi all'infinito.
"La Terra orbita attorno al sole e non stiamo cadendo l'uno nell'altro", ha detto Alonso-Álvarez, e lo stesso dovrebbe valere per due buchi neri. "C'è una conservazione del momento angolare nell'orbita che impedisce loro di cadere, a meno che non ci sia qualcosa che estrae questa energia".
La materia oscura auto-interagente potrebbe svolgere questo ruolo, come hanno proposto Alonso-Álvarez e colleghi in Physical Review Letters a luglio. Questo tipo differisce dalla cosiddetta materia oscura fredda , il tipo più semplice di particelle ipotetiche di materia oscura, che sarebbe pesante, lenta e inerte. La materia oscura fredda non interagirebbe con nulla se non tramite gravità, quindi l'influenza gravitazionale dei buchi neri dovrebbe cacciarla fuori dalle vicinanze ben prima che i buchi neri raggiungano l'ultimo parsec.
La materia oscura auto-interagente, tuttavia, è composta da particelle leggere che hanno almeno una forza che agisce tra loro. Poiché le particelle di materia oscura auto-interagente si disperdono l'una sull'altra come palle da biliardo su un tavolo, non si disperderebbero così facilmente e invece tirerebbero i talloni dei buchi neri, rallentandoli. "Resta lì e genera attrito", ha detto Alonso-Álvarez. "Ha una sorta di viscosità". Tale attrito potrebbe quindi causare una fusione entro 100 milioni di anni, risolvendo il problema del parsec finale.
La materia oscura "ultraleggera" o "fuzzy" sarebbe composta da particelle con masse estremamente piccole che si unirebbero per formare onde vaste. Queste particelle si concentrerebbero anche nel centro galattico e sperimenterebbero attrito con i buchi neri, consentendo alla materia oscura fuzzy di "trasportare via in modo efficiente il loro momento angolare e l'energia orbitale", ha affermato Jae-Weon Lee, cosmologo presso la Jungwon University in Corea del Sud e coautore di un articolo di settembre su Physics Letters B che descrive l'idea. I buchi neri farebbero vibrare questa materia oscura come una campana anziché disperderla.
Il rasoio di Occam
Non tutti sono convinti che sia necessario invocare una fisica così esotica per spiegare come si fondono i buchi neri supermassicci. "Non direi che abbiamo bisogno di materia oscura auto-interagente", ha affermato Priyamvada Natarajan(si apre una nuova scheda), astrofisico teorico presso la Yale University.
Un'altra possibilità è che le stelle possano passare oltre i buchi neri in fusione e rimuovere abbastanza momento angolare da farli avvicinare. Forse le stelle vengono lanciate casualmente nella direzione dei buchi neri da altre parti della galassia attraverso interazioni con altre stelle. "Se hai una tonnellata di queste stelle che si avvicinano ai due buchi neri supermassicci centrali, allora puoi estrarre sempre più momento angolare", ha detto Fabio Pacucci(si apre una nuova scheda), astrofisico teorico presso l'Università di Harvard.
Tuttavia, la modellazione ha dimostrato che è difficile disperdere abbastanza stelle(si apre una nuova scheda)verso i buchi neri per risolvere il problema dell'ultimo parsec.
In alternativa, ogni buco nero potrebbe avere un piccolo disco di gas attorno a sé, e questi dischi potrebbero attrarre materiale da un disco più ampio che circonda la regione vuota scavata dai buchi. "I dischi attorno a loro vengono alimentati dal disco più ampio", ha detto Taylor, e ciò significa, a sua volta, che la loro energia orbitale può fuoriuscire nel disco più ampio. "Sembra una soluzione molto efficiente", ha detto Natarajan. "C'è molto gas disponibile".
A gennaio, Blecha e i suoi colleghi hanno studiato l'idea(si apre una nuova scheda)che un terzo buco nero nel sistema potrebbe fornire una soluzione. In alcuni casi in cui due buchi neri si sono bloccati, un'altra galassia potrebbe iniziare a fondersi con i primi due, portando con sé un ulteriore buco nero. "Si può avere una forte interazione a tre corpi", ha detto Blecha. "Può sottrarre energia e ridurre notevolmente la scala temporale della fusione". In alcuni scenari, il più leggero dei tre buchi viene espulso, ma in altri tutti e tre si fondono.
Test all'orizzonte
Il compito ora è capire quale soluzione è corretta o se sono in gioco più processi.
Alonso-Álvarez spera di testare la sua idea cercando un segnale di materia oscura auto-interagente nei prossimi dati del pulsar timing array. Una volta che i buchi neri si avvicinano più dell'ultimo parsec, perdono momento angolare principalmente emettendo onde gravitazionali. Ma se è in gioco la materia oscura auto-interagente, allora dovremmo vederla sottrarre parte dell'energia a distanze attorno al limite del parsec. Questo a sua volta renderebbe le onde gravitazionali meno energetiche, ha detto Alonso-Álvarez.
Hai Bo Yu(si apre una nuova scheda), un fisico delle particelle dell'Università della California, Riverside, sostenitore della materia oscura autointeragente(si apre una nuova scheda), ha detto che l'idea è plausibile. "È una strada per cercare caratteristiche microscopiche della materia oscura dalla fisica delle onde gravitazionali", ha detto. "Penso che sia semplicemente affascinante".
La sonda spaziale LISA (Laser Interferometer Space Antenna) dell'Agenzia Spaziale Europea, un osservatorio di onde gravitazionali il cui lancio è previsto per il 2035, potrebbe darci ancora più risposte . LISA capterà le forti onde gravitazionali emesse dalla fusione di buchi neri supermassicci nei loro ultimi giorni. "Con LISA vedremo effettivamente la fusione di buchi neri supermassicci", ha affermato Pacucci. La natura di quel segnale potrebbe rivelare "particolari tratti che mostrano il processo di rallentamento", risolvendo il problema dell'ultimo parsec.
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Studio la gente nelle sue più ordinarie occupazioni, se mi riesca di scoprire negli altri quello che manca a me per ogni cosa ch'io faccia: la certezza che capiscano ciò che fanno. _______________
L'uomo che prima, poeta, deificava i suoi sentimenti e li adorava, buttati via i sentimenti, ingombro non solo inutile ma anche dannoso, e divenuto saggio e industre, s'è messo a fabbricar di ferro, d'acciajo le sue nuove divinità ed è diventato servo e schiavo di esse. Viva la Macchina che meccanizza la vita! Vi resta ancora, o signori, un po' d'anima, un po' di cuore e di mente. Date, date qua alle macchine voraci, che aspettano! Vedrete e sentirete, che prodotto di deliziose stupidità ne sapranno cavare. Per la loro fame, nella fretta incalzante di saziarle, che pasto potete estrarre da voi ogni giorno, ogni ora, ogni minuto? È per forza il trionfo della stupidità, dopo tanto ingegno e tanto studio spesi per la creazione di questi mostri, che dovevano rimanere strumenti e sono divenuti invece, per forza, i nostri padroni. _______________
Avanti perché non s'abbia tempo né modo d'avvertire il peso della tristezza, l'avvilimento della vergogna, che restano dentro, in fondo. Fuori, è un balenio continuo, uno sbarbaglio incessante: tutto guizza e scompare. _______________
Il battito del cuore non s'avverte, non s'avverte il pulsar delle arterie. Guaj, se s'avvertisse! Ma questo ronzio, questo ticchettio perpetuo, sì, e dice che non è naturale tutta questa furia turbinosa, tutto questo guizzare e scomparire d'immagini; ma che c'è sotto un meccanismo, il quale pare lo insegua, stridendo precipitosamente. Si spezzerà? Ah, non bisogna fissarci l'udito. Darebbe una smania di punto in punto crescente, un'esasperazione a lungo insopportabile; farebbe impazzire. _______________
...laddove gli uomini hanno in sé un superfluo, che di continuo inutilmente li tormenta, non facendoli mai paghi di nessuna condizione e sempre lasciandoli incerti del loro destino. _______________
Intendo dire, che su la terra l'uomo è destinato a star male, perché ha in sé più di quanto basta per starci bene, cioè in pace e pago. E che sia veramente un di più, per la terra, questo che l'uomo ha in sé (e per cui è uomo e non bruto), lo dimostra il fatto, ch'esso - questo di più - non riesce a quietarsi mai in nulla, né di nulla ad appagarsi quaggiù, tanto che cerca e chiede altrove, oltre la vita terrena, il perché e il compenso del suo tormento. […] Quanto al mio amico Simone Pau, il bello è questo: che crede d'essersi liberato d'ogni superfluo riducendo al minimo tutti i suoi bisogni, privandosi di tutte le comodità e vivendo come un lumacone ignudo. E non s'accorge che, proprio all'opposto, egli, così riducendosi, s'è annegato tutto nel superfluo e più non vive d'altro. _______________ Abbattendo quella targhetta, forse nonno Carlo volle significare che - morto il figliuolo - li, di vivi, non restava più nessuno! _______________
...ricacciare come importuna e fastidiosa l'esperienza, che di tratto in tratto sporge il viso di vecchia appassita per dire, ammiccando dietro gli occhiali: avverrà questo, avverrà quest'altro, quando ancora non è avvenuto niente, ed è così bello che non sia avvenuto niente... _______________ Un angelo per una donna è sempre più irritante di una bestia _______________
Solo i fanciulli han la divina fortuna di prendere sul serio i loro giuochi. La meraviglia è in loro; la rovesciano su le cose con cui giuocano, e se ne lasciano ingannare. Non è più un giuoco; è una realtà meravigliosa. Qui è tutto il contrario. Non si lavora per giuoco, perché nessuno ha voglia di giocare. Ma come prendere sul serio un lavoro, che altro scopo non ha, se non d'ingannare - non se stessi - ma gli altri? E ingannare, mettendo sù le più stupide finzioni, a cui la macchina è incaricata di dare la realtà meravigliosa? Ne vien fuori, per forza e senza possibilità d'inganno, un ibrido giuoco. Ibrido, perché in esso la stupidità della finzione tanto più si scopre e avventa, in quanto si vede attuata appunto col mezzo che meno si presta all'inganno: la riproduzione fotografica. Si dovrebbe capire, che il fantastico non può acquistare realtà, se non per mezzo dell'arte, e che quella realtà, che può dargli una macchina, lo uccide, per il solo fatto che gli è data da una macchina, cioè con un mezzo che ne scopre e dimostra la finzione per il fatto stesso che lo dà e presenta come reale. Ma se è meccanismo, come può esser vita, come può esser arte? È quasi come entrare in uno di quei musei di statue viventi, di cera, vestite e dipinte. Non si prova altro che la sorpresa (che qui può essere anche ribrezzo) del movimento, dove non è possibile l'illusione di una realtà materiale. E nessuno crede sul serio di poterla creare, quest'illusione. Si fa alla meglio per dar roba da prendere alla macchina, qua nei cantieri, là nei quattro teatri di posa o nelle piattaforme. Il pubblico, come la macchina, prende tutto. _______________
Nessuna bestia m'ha parlato come questa tigre. Quando noi l'abbiamo avuta, era arrivata da poco, dono di non so quale illustre personaggio straniero, al Giardino Zoologico di Roma. Al Giardino Zoologico non han potuto tenerla, perché assolutamente irriducibile, non dico a farle soffiare il naso col fazzoletto, ma neanche a rispettare le regole più elementari della vita sociale. Tre, quattro volte minacciò di saltare il fosso, si provò anzi a saltarlo, per lanciarsi sui visitatori del Giardino, che stavano pacificamente ad ammirarla da lontano. Ma qual altro pensiero più spontaneo di questo poteva sorgere in mente a una tigre (se non volete in mente, diciamo nelle zampe), che quel fosso cioè fosse fatto appunto perché essa si provasse a saltarlo, e che quei signori si fermassero li davanti per essere divorati da lei, se riusciva a saltare? [...] La tigre, voi dite, non sta esposta in giardino zoologico per ischerzo. Lo credo. Ma non vi sembra uno scherzo pensare, ch'essa possa supporre che la teniate li esposta per dare al popolo una "nozione vivente" di storia naturale? [...] Possiamo aver compatimento per un uomo che non sappia stare allo scherzo; non dobbiamo averne per una bestia; tanto più se questo scherzo a cui l'abbiamo esposta, dico della "nozione vivente", può avere conseguenze funeste: cioè per i visitatori del Giardino Zoologico, una nozione troppo sperimentale della ferocia di essa. Questa tigre fu dunque saggiamente condannata a morte. _______________
La tua stessa innocenza fa innocenti noi della tua uccisione, quand'è per nostra difesa. Possiamo ucciderti, e poi, come te, dormir tranquillamente. Ma là, nelle terre selvagge, ove tu non ammetti che altri passi; non qua, non qua, ove tu non sia venuta da te, per tuo piacere. La bella innocenza ingenua della tua ferocia rende qua nauseosa l'iniquità della nostra. Vogliamo difenderci da te, dopo averti portata qua, per nostro piacere, e ti teniamo in prigione: questa non è più la tua ferocia; quest'è ferocia perfida! Ma sappiamo, non dubitare, sappiamo anche andare più in là, far di meglio: t'uccideremo per giuoco, stupidamente. _______________
Sempre, nel giudicare gli altri, mi sono sforzato di superare il cerchio de' miei affetti, di cogliere nel frastuono della vita, fatto più di pianti che di risa, quante più note mi sia stato possibile fuori dell'accordo de' miei sentimenti. […] Abbiamo tutti un falso concetto dell'unità individuale. Ogni unità nelle relazioni degli elementi tra loro; il che significa che, variando anche minimamente le relazioni, varia per forza l'unità. Si spiega così, come uno, che a ragione sia amato da me, possa con ragione essere odiato da un altro. [...] E noi stessi non possiamo mai sapere, quale realtà ci sia data dagli altri; chi siamo per questo e per quello. _______________
«Finzione, sì; anche stupida, se volete; ma quando sarà sollevato lo sportello della gabbia e questa bestia sarà fatta entrare nell'altra gabbia più grande che figurerà un pezzo di bosco, con le sbarre nascoste da fronde, il cacciatore, per quanto finto come il bosco, avrà pur diritto di difendersi da essa, appunto perché essa, come voi dite, non è una bestia finta, ma una bestia vera». «Ma il male è appunto questo,» esclamai «servirsi d'una bestia vera dove tutto sarà finto.» [...] «Ma chi l'avrà voluto? Guardatela com'essa è qua! Non sa nulla, questa bella bestia, senza colpa della sua ferocia». [...] «Vi sta tanto a cuore? Ammaestratela! Fatene una tigre attrice, che sappia fingere di cader morta al finto sparo d'un cacciatore finto, e tutto allora sarà accomodato». A seguitare, non ci saremmo mai intesi; perché se a me stava a cuore la tigre, a lei il cacciatore. _______________
Non solo; ma essa, con le sue riproduzioni meccaniche, potendo offrire a buon mercato al gran pubblico uno spettacolo sempre nuovo, riempie le sale dei cinematografi e lascia vuoti i teatri, sicché tutte, o quasi, le compagnie drammatiche fanno ormai meschini affari; e gli attori, per non languire, si vedono costretti a picchiare alle porte delle Case di cinematografia. Ma non odiano la macchina soltanto per l'avvilimento del lavoro stupido e muto a cui essa li condanna; la odiano sopra tutto perché si vedono allontanati, si sentono strappati dalla comunione diretta col pubblico, da cui prima traevano il miglior compenso e la maggior soddisfazione: quella di vedere, di sentire dal palcoscenico, in un teatro, una moltitudine intenta e sospesa seguire la loro azione viva, commuoversi, fremere, ridere, accendersi, prorompere in applausi. Qua si sentono come in esilio. In esilio, non soltanto dal palcoscenico, ma quasi anche da se stessi. Perché la loro azione, l'azione viva del loro corpo vivo, là , su la tela dei cinematografi, non c'è più: c'è la loro immagine soltanto, colta in un momento, in un gesto, in una espressione, che guizza e scompare. Avvertono confusamente, con un senso smanioso, indefinibile di vuoto, anzi di và´tamento, che il loro corpo è quasi sottratto, soppresso, privato della sua realtà , del suo respiro, della sua voce, del rumore ch'esso produce movendosi, per diventare soltanto un'immagine muta, che trèmola per un momento su lo schermo e scompare in silenzio, d'un tratto, come un'ombra inconsistente, giuoco d'illusione su uno squallido pezzo di tela. Si sentono schiavi anch'essi di questa macchinetta stridula, che pare sul treppiedi a gambe rientranti un grosso ragno in agguato, un ragno che succhia e assorbe la loro realtà viva per renderla parvenza evanescente, momentanea, giuoco d'illusione meccanica davanti al pubblico. E colui che li spoglia della loro realtà e la dà a mangiare alla macchinetta; che riduce ombra il loro corpo, chi è? Sono io, Gubbio. _______________
Si sa che, di questi giovanotti, i più, oltre che per tutto il resto, bazzicano qui per l'amicizia contratta, o che vorrebbero contrarre, con qualche giovane attrice; e che tanti se ne vanno, quando non sono riusciti a contrarla, o se ne sono stancati. Diciamo amicizia: per fortuna, le parole non arrossiscono. _______________
«...perché quattro generazioni di lumi, quattro, caro professore, olio, petrolio, gas e luce elettrica, nel giro di sessant'anni, e… e… e… sono troppe, sa? e ci si guasta la vista, e anche la testa; eh, anche la testa, un poco.» _______________
«Noi possiamo benissimo non ritrovarci in quello che facciamo; ma quello che facciamo, caro mio, è, resta fatto: fatto che ti circoscrive, ti dà comunque una forma e t'imprigiona in essa. Vuoi ribellarti? Non puoi. Prima di tutto, non siamo liberi di fare quello che vorremmo: il tempo, il costume degli altri, la fortuna, le condizioni dell'esistenza, tant'altre ragioni fuori e dentro di noi, ci costringono spesso a fare quello che non vorremmo; e poi lo spirito non è senza carne; e la carne, hai un bel sorvegliarla, vuole la sua parte. E a che si riduce l'intelligenza, se non compatisce la bestia che è in noi? Non dico scusarla. L'intelligenza che scusi la bestia, s'imbestialisce anch'essa. Ma averne pietà è un'altra cosa! […] Dunque tu sei prigioniero di quello che hai fatto, della forma che quel fatto ti ha dato. Doveri, responsabilità , una sequela di conseguenze, spire, tentacoli che t'avviluppano e non ti lasciano più respirare. Non far più niente, o il meno possibile, come me, per restar liberi il più possibile? Eh si! La vita stessa è un fatto! Quando tuo padre t'ha messo al mondo, caro, il fatto è fatto. Non te ne liberi più finché non finisci di morire. E anche dopo morto, qua c'è il signor Cesarino che dice di no, è vero? Non se ne libera più, è vero? neanche dopo morto. Stai fresco, caro mio. Andrai a girare la macchinetta anche di là ! Ma si, ma si, perché non dell'essere, di cui non hai colpa, ma dei fatti e delle conseguenze dei fatti tu devi rispondere, è vero, si o no, signor Cesarino?» _______________
«Un uomo è morto… io, tu… non importa: un uomo… E cinque, di là, gli si sono inginocchiati intorno a pregare qualcuno, qualche cosa, che credono fuori e sopra di tutto e di tutti, e non in loro stessi, un sentimento loro che si libera dal giudizio e invoca quella stessa pietà che sperano per loro, e n'hanno conforto e pace. Ebbene, bisogna fare così. Io e tu, che non possiamo farlo, siamo due scemi. Perché, dicendo queste bestialità che sto dicendo io, lo stiamo facendo lo stesso, in piedi, scomodi, con questo bel guadagno, che non ne abbiamo né conforto né pace. E scemi come noi sono tutti coloro che cercano Dio dentro e lo sdegnano fuori, che non sanno cioè vedere il valore degli atti, di tutti gli atti, anche i più meschini, che l'uomo compie da che mondo è mondo, sempre gli stessi, per quanto ci pajano diversi. Ma che diversi? Diversi perché attribuiamo loro un altro valore che, comunque, è arbitrario. Di certo, non sappiamo niente. E non c'è niente da sapere fuori di quello che, comunque, si rappresenta fuori, in atti. Il dentro è tormento e seccatura. Va', va' a girar la macchinetta, Serafino! Credi che la tua è una professione invidiabile! E non stimare più stupidi degli altri gli atti che ti combinano davanti, da prendere con la tua macchinetta. Sono tutti stupidi allo stesso modo, sempre: la vita è tutta una stupidaggine, sempre, perché non conclude mai e non può concludere. Va', caro, va' a girare la tua macchinetta e lasciami andare a dormire con la sapienza che, dormendo sempre, dimostrano i cani. Buona notte.» _______________
...gli atti della vita come si fanno impensatamente quando si vive e non si sa che una macchinetta di nascosto li stia a sorprendere. Chi sa come ci sembrerebbero buffi! più di tutti, i nostri stessi. Non ci riconosceremmo, in prima; esclameremmo, stupiti, mortificati, offesi: "Ma come? Io, così? io, questo? cammino così? rido così? io, quest'atto? io, questa faccia?". Eh, no, caro, non tu: la tua fretta, la tua voglia di fare questa o quella cosa, la tua impazienza, la tua smania, la tua ira, la tua gioja, il tuo dolore… Come puoi sapere tu, che le hai dentro, in qual maniera tutte queste cose si rappresentano fuori! Chi vive, quando vive, non si vede: vive… Veder come si vive sarebbe uno spettacolo ben buffo! Ah se fosse destinata a questo solamente la mia professione! Al solo intento di presentare agli uomini il buffo spettacolo dei loro atti impensati, la vista immediata delle loro passioni, della loro vita così com'è. Di questa vita, senza requie, che non conclude. _______________
«Ha ragione; è proprio così, signor Ferro! Ma inevitabilmente, veda, noi ci costruiamo, vivendo in società… Già, la società per se stessa non è più il mondo naturale. È mondo costruito, anche materialmente! La natura non ha altra casa, che la tana o la grotta [...] E dico che mentre la natura non conosce altra casa che la tana o la grotta, la società costruisce le case; e l'uomo, quando esce da una casa costruita, dove già non vive più naturalmente, entrando in relazione co' suoi simili, si costruisce anch'esso, ecco; si presenta, non qual è, ma come crede di dover essere o di poter essere, cioè in una costruzione adatta ai rapporti, che ciascuno crede di poter contrarre con l'altro. In fondo, poi, cioè dentro queste nostre costruzioni, messe così di fronte, restano ben nascosti, dietro le gelosie e le imposte, i nostri pensieri più intimi, i nostri più segreti sentimenti. Ma ogni tanto, ecco, ci sentiamo soffocare; ci vince il bisogno prepotente di spalancare gelosie e imposte per gridar fuori, in faccia a tutti, i nostri pensieri, i nostri sentimenti tenuti per tanto tempo nascosti e segreti.» _______________
La verità è forse un'altra! La verità è che nel suo ispido reclusorio, senza volerlo, egli s'è purtroppo abituato a conversar con se stesso, cioè col peggior nemico che ciascuno di noi possa avere; e ha avuto così nette percezioni dell'inutilità di tutto, e s'è visto così perduto, così solo, circondato da tenebre e schiacciato dal mistero suo stesso e di tutte le cose… Illusioni? speranze? A che servono? Vanità… _______________
...l'intimo essere, condannato spesso per tutta intera la vita a restarci ignoto! Vogliamo a ogni costo salvare, tener ritta in piedi quella metafora di noi stessi, nostro orgoglio e nostro amore. E per questa metafora soffriamo il martirio e ci perdiamo, quando sarebbe così dolce abbandonarci vinti, arrenderci al nostro intimo essere, che è un dio terribile, se ci opponiamo ad esso; ma che diventa subito pietoso d'ogni nostra colpa, appena riconosciuta, e prodigo di tenerezze insperate. Ma questo sembra un negarsi, e cosa indegna d'un uomo; e sarà sempre così, finché crederemo che la nostra umanità consista in quella metafora di noi stessi. _______________
"Signor Nuti, sa? ci sono le stelle! Lei certo se n'è dimenticato; ma ci sono le stelle!", che avverrebbe? A quanti uomini, presi nel gorgo d'una passione, oppure oppressi, schiacciati dalla tristezza, dalla miseria, farebbe bene pensare che c'è, sopra il soffitto, il cielo, e che nel cielo ci sono le stelle. Anche se l'esserci delle stelle non ispirasse loro un conforto religioso. Contemplandole, s'inabissa la nostra inferma piccolezza, sparisce nella vacuità degli spazii, e non può non sembrarci misera e vana ogni ragione di tormento. Ma bisognerebbe avere in sé, nel momento della passione, la possibilità di pensare alle stelle. _______________ Quando s'arriva a toccare questo fondo, cioè a perdere il pudore della propria sciagura, l'uomo è finito! _______________
«…Ma avere ragione, per una pazza, quando la pazzia è così supremamente ridicola, signor Gubbio, che significa? significa coprirsi di ridicolo, per forza! significa rassegnarsi a sopportare lo strazio che questa pazza fa della mia dignità, davanti alla figlia, davanti alle serve, davanti a tutti, pubblicamente; ed ecco perduto il pudore della propria sciagura!». _______________
Come sono sciocchi tutti coloro che dichiarano la vita un mistero, infelici che vogliono con la ragione spiegarsi quello che con la ragione non si spiega! Porsi davanti la vita come un oggetto da studiare, è assurdo, perché la vita, posta davanti così, perde per forza ogni consistenza reale e diventa un'astrazione vuota di senso e di valore. E com'è più possibile spiegarsela? L'avete uccisa. Potete, tutt'al più, farne l'anatomia. La vita non si spiega; si vive. La ragione è nella vita; non può esserne fuori. E la vita non bisogna porsela davanti, ma sentirsela dentro, e viverla. Quanti, usciti da una passione, come si esce da un sogno, non si domandano: "Io? com'ho potuto esser così? far questo?". Non se lo sanno più spiegare; come non sanno spiegarsi che altri possa dare senso e valore a certe cose che per essi non ne hanno più nessuno o non ne hanno ancora. La ragione, che è in quelle cose, la cercano fuori. Possono trovarla? Fuori della vita non c'è nulla. Avvertire questo nulla, con la ragione che si astrae dalla vita, è ancora vivere, è ancora un nulla nella vita: un sentimento di mistero: la religione. _______________
Perché sì, le parrà una buffonata, una farsa sconcia, andare così parata, da personcina per bene, da signorina che s'illuda di far la sua figura, o che magari dia a vedere d'aver qualche bel sogno per la mente, quando poi in casa e anche per via, quanto c'è di più laido, di più brutale, di più selvaggio nella vita debba scoprirsi e saltar fuori, in quelle scenate quasi cotidiane tra i suoi genitori, ad affogarla di tristezza e d'onta e di schifo. _______________
Girare, ho girato. Ho mantenuto la parola: fino all'ultimo. Ma la vendetta che ho voluto compiere dell'obbligo che m'è fatto, come servitore d'una macchina, di dare in pasto a questa macchina la vita, sul più bello la vita ha voluto ritorcerla contro me. Sta bene. Nessuno intanto potrà negare ch'io non abbia ora raggiunto la mia perfezione. Come operatore, io sono ora, veramente, perfetto. _______________ Non gemevo, non gridavo: la voce, dal terrore, mi s'era spenta in gola, per sempre. _______________
Ah, che dovesse toccarmi di dare in pasto anche materialmente la vita d'un uomo a una delle tante macchine dall'uomo inventate per sua delizia, non avrei supposto. La vita, che questa macchina s'è divorata, era naturalmente quale poteva essere in un tempo come questo, tempo di macchine; produzione stupida da un canto, pazza dall'altro, per forza, e quella più e questa un po' meno bollate da un marchio di volgarità. Io mi salvo, io solo, nel mio silenzio, col mio silenzio, che m'ha reso così - come il tempo vuole - perfetto. [Luigi Pirandello, I quaderni di Serafino Gubbio operatore]
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69. (Morto di caldo)
Tutto comincia con l'apatia. Quella non voglia di iniziare alcunché. Sul divano. L'aria è calda, ma non è solo il caldo, è l'afa, è l'umidità, è il luogo più comune eppure tanto sottovalutato. Come Satana che si nasconde dietro alla più innocente piega.
Me ne stavo lì sul divano - chissà quante altre persone così - il ronzio del ventilatore, ma non bastava. Non credo che sarebbe bastato nulla perché una volta che il tarlo ti entra dentro, cazzo, è difficile farlo uscire, la tigna, che poi ti entra dentro proprio quando hai meno voglia di combattere e allora è semplice, il cerchio si chiude, le uova, le larve, altri tarli, impossibile ormai.
Non sarebbe bastato il climatizzatore, un bel fresco, certo, ma non quella mattina. L'apatia si era portata appresso strani pensieri, quella voglia di non fare niente, e pensavo per converso ai campi di concentramento. Nel gelo assoluto dell'anima. Ma prima dell'anima c'era – credo. Dio Santo come mi sento blasfemo a parlare di certe cose, c'era, dicevo, il freddo, il gelo dell'aria. Quando hai così freddo, ma così freddo, così tanto freddo, io credo che non ti resti nulla dentro, nessuna emozione, nessun pensiero, nessuna morale, neppure, solo la voglia che finisca. Io credo che con così tanto freddo muoiano tanti presunti eroi, tanti presunti santi, ma anche tanti presunti padri figli amici. Certo qualcuno forse resiste, chissà.
E per il caldo è lo stesso. Lo so lo so che non sono in un campo di concentramento. Già. Qualche pessimista potrebbe controbattere che la vita lo è, un campo senza scampo, per modo di dire, ma non è la stessa cosa.
Eppure sul mio divano il caldo eccessivo, l’afa eccessiva, insomma non avevo altra voglia, altro desiderio, che finisse, non c'era Parmigianino che potesse sollevarmi, neanche andare al frigorifero per un ghiacciolo.
Pensavo soprattutto se non fosse finita, in fondo ne abbiamo qualche garanzia, c'è uno statuto da qualche parte sulla nostra esistenza? La temperatura poteva ancora alzarsi, perché no, l’afa diventare più soffocante, potevamo scioglierci, diventare un brodo grasso con qualche scarto di pellame ossa denti, un brodo dove forse di noi sarebbe rimasto un occhio, a ricordare cosa ci brillava dentro, prima di diventare anch'esso solo un minimo sapore, ed infine un nulla. Ritornare a quel brodo primordiale di milioni di anni prima, cotto su un fuoco inimmaginabile, forse spettacolare, forse solo casuale, chissà, quel brodo primordiale da cui, sfregandosi, le molecole s'erano inventati una pelle e la pelle si era poi gonfiata e da quel sacculo mostruoso informe s’erano poi cacciati fuori due puntini neri, per una nuova differenza, per un nuovo perché.
C'era forse un metodo? Che domanda assurda. Però poi c'eravamo inventati, noi uomini sacculi anche noi, le spade le corone le parole i palazzi i quadri gli altari e persino gli spaghetti. Tutto questo inventare sembrava dovesse avere un senso, sembrava dovesse portare da qualche parte, in realtà forse in realtà avrebbe magari portato solo a questo pomeriggio di caldo afa e follia, oltre il quale, superando appena di qualche grado il quale, ci sarebbe stata la fine della storia.
Che avremmo potuto fare? Rifugiarci in caverne elettrificate come in un film di fantascienza, continuare a respirare aria chimica a deglutire enzimi per sopravvivere senza mai poter più rivedere fuori Maggio e i suoi campi? E Dio? Non era questo il patto che avevamo sempre sperato, non era questo l'assioma con cui in un modo o nell’altro eravamo sempre cresciuti, col quale eravamo sempre stati educati, il teorema da non discutere, da non nominare, la pia illusione contro cui era follia andare? Contro cui più semplicemente era meglio non andare, pena la follia. Nessuna garanzia che quel caldo non aumentasse, nessuna garanzia che le fiamme non prendessero ogni cosa prima ancora che ne trovassimo la ragione, prima ancora di trovarne rifugio.
Ce ne stavamo lì su un divano senza sapere nulla, ma non era neppure questo il peggio. Era che nell'incipiente consunzione anche i pensieri si spezzettavano, dissolti i legami dal calore, come dissolvendosi andavano quelli delle cellule, i pensieri si riducevano in piccole frasi parole e finalmente in fonemi, nessun vagone riusciva ad agganciarsi all'altro, e poi infine scivolavano stracchi e semplici come palle di biliardo nel vuoto, particelle insolute di grasso nel liquido avido bailamme, apatiche senza passione senza voglie, le emozioni seguivano, tutto seguiva, non c'era più grumo compatto abbastanza da aggrapparci l'esistenza.
Era il caldo, era l'afa che mi portava questi momenti e l'apatia cresceva fino ad un acme che era fastidio e poi nausea e la nausea diventava fisicamente percepibile, mi prendeva la nuca, era come avessi due scolopendre attaccate alla base del cervello, due infimi parassiti che mi stavano uccidendo, forse, o forse solo succhiando la linfa che abitualmente mi proteggeva da quella consapevolezza infame lucida impietosa cattiva.
E c'è chi ancora non crede a che i pianeti ci possano influenzare, chi ancora crede che i pensieri volino sulla bassezza della terra con le zampette linde di fango. E invece no, l'anima i pensieri la gioia la bellezza ogni cosa ha le zampe grevi di fango, ogni cosa si crogiola suina nel fango e finché riesce a tenerne il capo fuori si illude di essere nobile, un qualcosa con intoccabile dignità. E invece no.
Eccomi qui sul divano e il caldo mi fa diventare un verme che spera solo di sopravvivere ancora e non gliene frega un cazzo del resto. Forse non è proprio così, non dovrebbe essere così, se c'è il buio deve esserci anche la luce, se no neanche il buio può essere buio e bla bla bla bla.
Poi per fortuna il caldo finì.
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Rivelato il suono dell'Universo...
Torniamo a parlare di Astronomia: c’è una notizia per noi di Vortici.it, affascinante e ricca di mistero.
Gli scienziati hanno rivelato il suono dell'Universo che arriva da lontano, generato, forse da “buchi neri super massicci”: ci sono voluti venticinque anni di lavoro, a fronte di una ricerca a forte stampo italiano che ha visto coinvolti l’Istituto Nazionale di Astrofisica, l’Università Milano Bicocca e il Sardinia Radio Telescope. Partiamo da una teoria che ora è dimostrabile.
Aveva ragione Albert Einstein, che aveva teorizzato l’esistenza di onde gravitazionali in grado di creare una sorta di “ronzio di sottofondo” che rimbomba in tutto l’Universo.
La svolta – è avvenuta dopo anni di lavoro e centinaia di scienziati coinvolti che hanno utilizzano radiotelescopi in Nord America, Europa, Cina, India e Australia. Questo risultato incredibile va considerato come una pietra miliare che apre nuovi orizzonti riguardo gli studi sull'Universo. Ciò ha portato alla seguente conclusione: il cosiddetto spazio – tempo viene, di fatto, “deformato” da enormi onde gravitazionali che attraversano l’Universo: lo ha dimostrato la ricerca condotta “Nanohertz Observatory for Gravitational Waves” (NANOGrav), un consorzio mondiale di astronomi, in collaborazione con altri consorzi provenienti da diversi Paesi. Gli scienziati ritengono che le onde nascano quando i “buchi neri super massicci” (“Supermassive Black Holes”) si fondono.
Gli astronomi hanno trovato segni di onde gravitazionali super lente, che distorcono lo spazio – tempo mentre attraversano l’Universo. Sostiene il professor Marc Kamionkowski, docente di fisica dell'astronomia alla Johns Hopkins University: “Questa ricerca sarà molto importante nella nostra comprensione dell’evoluzione dei buchi neri super massicci. E, come ho detto, questo è solo un rilevamento. In futuro, avremo molte più informazioni. E impareremo molto di più sullo spettro delle masse dei buchi neri super massicci. E impareremo a conoscere la velocità con cui diversi buchi neri super massicci si stanno fondendo. Impareremo a conoscere anche la distribuzione dei buchi neri super massicci in tutto l’Universo”. Le onde gravitazionali sono increspature nel “tessuto” dell’Universo che viaggiano alla velocità della luce, quasi totalmente liberi. La loro esistenza non è stata confermata fino al 2015, quando gli osservatori statunitensi e italiani hanno rilevato le prime onde gravitazionali create dalla collisione di due buchi neri. Queste onde “ad alta frequenza” sono state il risultato di un singolo evento violento che invia un forte, breve scoppio increspato verso la Terra. Per decenni gli scienziati hanno cercato le onde gravitazionali a bassa frequenza, che si pensa siano costantemente in movimento nello spazio, proprio come un rumore di fondo.
Unendo le forze sotto la bandiera del consorzio “International Pulsar Timing Array”, gli scienziati che lavorano ai rilevatori di onde gravitazionali in diversi continenti hanno rivelato di aver finalmente trovato un forte rumore di fondo. Per trovare le prove di questo andamento alle basse frequenze, gli astronomi hanno osservato le pulsar, i nuclei morti delle stelle esplose in una “supernova”. In futuro, le onde gravitazionali a bassa frequenza potrebbero rivelare di più anche sul “Big Bang” e, possibilmente, far luce sul mistero della materia oscura – hanno spiegato gli scienziati – oltre a far capire meglio come si formano e si evolvono i buchi neri e le galassie. Una ricerca molto italiana Alla ricerca delle onde gravitazionali a bassissima frequenza e ultra – lunghe ha contribuito in modo importante l’Europa, con la collaborazione dell’European Pulsar Timing Array (Epta), e l’Italia, grazie all’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), con la sua sede di Cagliari, e l’Università di Milano Bicocca. Il risultato, pubblicato in più articoli dalla rivista “Astronomy and Astrophysics”, si deve a 13 telescopi di tutto il mondo. Di questi, cinque sono europei, tra cui il “Sardinia Radio Telescope”. All’interno delle 11 istituzioni europee che fanno parte dell’Epta, astronomi e fisici teorici hanno collaborato per utilizzare i dati relativi a 15 pulsar, stelle molto dense che ruotano su sé stesse, il cui ritmo è alterato dal passaggio delle nuove onde gravitazionali. Distanti dalla Terra e disseminate nella Via Lattea, le pulsar sono diventate un unico rivelatore cosmico ai limiti della fantascienza. Le variazioni nella loro rotazione misurate dai 13 radiotelescopi riflettono, infatti, le dilatazioni e le compressioni dello spazio - tempo, la cui regolarità ricorda quella del respiro.
L’organizzazione europea ha partecipato a un grande lavoro di squadra con i ricercatori indiani e giapponesi dell’Indian Pulsar Timing Array (InPta) e gli altri “cacciatori” di pulsar attivi nel mondo, come la già citata NANOGrav, l’australiana Ppta e la cinese Cpta. Insieme al “Sardinia RadioTelescope”, i radiotelescopi europei che hanno permesso la scoperta sono: l’Effelsberg Radio Telescope in Germania, il Lovell Telescope dell’Osservatorio Jodrell Bank (Università di Manchester) nel Regno Unito, il Nancay Radio Telescope in Francia e il Westerbork Radio Synthesis Telescope nei Paesi Bassi. Potrebbe interessarti anche la nostra rubrica AstronomiaPotrebbe interessarti anche l'articolo di Passione AstronomiaImmagine di copertina e altre immagini: Pixabay Read the full article
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I luoghi del ritorno - 10
Vecchi cinema Sentivi il ronzio dal fondo sala, apriva la porta di un mondo fatto a rotoli che ti sembrava più reale delle poltrone in vimpelle e delle tue tasche vuote. Solo talvolta avevi accanto una ragazza incerta che tu le piacessi veramente. Succedeva allora che in tarde primavere di libri sporchi di marmellate nella furia di redenzioni che non volevi, tu fuggissi nelle matinée insieme ad…
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Travolgersi
Splendeva l’oro dei cuori sui campi - oggi alla scrivania, su capitali prevalentemente esteri o riciclati, come una sedia Ikea o un piano B, da cui tu che hai studiato dieci anni, mai turista per sempre, prendi le distanze. Il server nel sottosuolo di questo sistema ha più tera di quanti ne possiamo immaginare, più parole di tutta la letteratura, ogni cosa è immersa nel suo presente di microtransazioni e scosse, e anche la tua solitudine è meno spessa e pertinente della sua - dici sento e non sento, forse sentirò, magari è tutto nella mia testa: un moderato intrigo di cavi, di veglie e la sensazione di stare bene col proprio fantasma, che sa come tenerti incollato allo schermo, alle trasmissioni. Domani è un petalo strappato al qui ed ora; tu sai cosa significa il tuo spazio, la tua coordinata calda di giorno, fresca di notte - ma poi improvvisamente non lo sai più. Essere travolti è rimanere ad occhi chiusi nella sala server, sapere di non controllare i flussi in entrata, né in uscita, di non poter far parte dell’equazione - ascoltare il ronzio di un report illeggibile che si allunga dal di dentro fino una stella sotto cui scorre un fiume verde, dove l’erba che tocchi non è la stessa che hai toccato ieri e non sai come mettere le mani per non bruciarti tra le ortiche. In poche parole, travolgersi è quando si rotola ridendo giù dalla collina finché non si è stanchi ed occupati, in un meeting, a fare un post o un F24. Queste parole arrivano da quello che hai creduto, quando hai scelto di abbracciare un sogno dove a un certo punto dicevi “vieni qui” e poi un altro sogno molto più lungo, dove non c’era nessuno, tranne un riporto di esperienze, un piacere inestricabile, di radici elettriche, macchine in carne ed ossa, dolci fatti in casa quasi meglio di quelli delle pasticcerie e niente che possa toccare il fondo di quell’acqua.
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