questo blog viene usato senza alcun intento programmatico. piuttosto per ricordarmi cose mie lasciare tracce avere un quadro generale e cose così.
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15 luglio 24
Non voglio più rimanere su questa superficie ma sono troppo leggera per romperla e sprofondare. Mi porto le pietre che mi hai regalato appresso come zavorre ipotetiche/abbozzate/immaginarie ma non bastano per andare giù. Forse senza sarei così vuota da andare su. Forse è questo il segreto: fare il giro da sopra. Che il sopra passa sotto e il vuoto diventa (genera produce partorisce) di sasso.
Sono tornata in questa città che non è la mia, non c'è niente ad aspettarmi. Solo un inferno pubblico
8 novembre 24
ho seppellito le stesse pietre all'aria aperta sotto l'albero di limoni nel nostro giardino che ora è solo tuo: tu mi hai cacciata e io non ho più un posto. mi hai sradicata e io ho seminato dei sassi: quei semi che mi hai passato erano così densi e pesanti da essere di pietra (una materia viva densissima piena così tanto da essere di pietra, forte e stabile da reggere le colonne i templi le città tutto, come le pietre basali dei monasteri, delle pietre giganti enormi), delle pietre minuscole spillatrici che si insinuano nella materia e istillano il seme magiche degli amuleti da sgusciare pronti a schiudersi per rivelare il morbido succulento succo polpa come un'ostrica, il frutto melmoso e viscido di magia; ma ora sono solo pietre e non li voglio più, non crescerà niente mai più da lì, ora la pietra è ferma (ora sono pietrificati, immobili)
22 ottobre 24
Le prime tre pietre portavano la funzione di un portale, erano profonde, erano il dentro verso il fuori una freccia un moto (una schiusa, un frutto (marino)). Questa ultima pietra che mi hai mostrato è piatta, un uscio vuoto senza dentro né fuori, invalicato. Ecco la differenza. Le prime portavano e si affacciavano, questa non ha il precipizio lo spessore il fondo la dimensione, non permette (l')accesso né lo spazio il passo, non ha una pancia un incavo una cava conca bacinella bacino ciotola.
3 sett 24
ti ho detto
la pietra il sasso il marmo è l'apocalisse
il rivolo d'oro, il gorgoglio, filo è lirismo
L'apocalisse è il giudizio finale, la
rivelazione e la resa insieme il picchio
il lirismo è la voce che ancora chiama e tende
io non ho parole ma solo numeri
e i numeri sono il contrario delle parole
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su di te io mi affaccio
attraverso di te sul dentro e sul di fuori
sei come una soglia piena di luce
aperto e tagliente
un oltre ricolmo e traboccante di gioia gialla luminosa calda
un oltre che penzola avanti e indietro e mi richiama mi culla mi porta dentro e fuori
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Mi ricordo che vivere era come aspettare e dormire era come ritornare e aspettare ancora il mattino per vederti e starti accanto, essere inondata dalla luce che emanavi dalla musica che emanavi dai suoni odori il mangiare tutto le mani e le braccia che modellavano. io stavo semplicemente lì e mi bastava quello spazio e quel tempo senza nient'altro attorno senza paragone, assoluto e invalicabile. denso ma liquido, morbido ma incomprimibile e protettivo per sempre. mi manchi e vorrei chiederti scusa, vorrei che mi chiedessi scusa anche tu e mi vergogno
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ho di nuovo la nausea. spinge dalla bocca dello stomaco verso l'esofago. ho paura terrore paralisi e stasi, immobilizzata sudo afa fine luglio il tempo si avvicina ghigliottina. non riesco a dormire, la notte dormo male ho paura di addormentarmi nel profondo e il giorno sono assopita tutto il tempo da sveglia. i due piani si assottigliano (sonno e veglia) e si confondono, la soglia lo spazio liminale tra i due sbiadisce e sogno e veglia si mischiano in un'allucinazione perpetua minacciosa. nika ha detto che non devo avere paura. io ho detto che dentro di me è come se avssi una pozza d'acqua. fino ad un certo livello posso vederci dentro, è trasparente, poi come un imbuto si restringe sul fondo ed è buio pesto. io non poso vedere da fuori quanto sia profondo il livello né la densità della materia né altro, potrebbe essere una pozzanghera come un pozzo. e di questo ho paura, di caderci dentro fino all'eternità, fino al centro della Terra. lei dice di non avere paura, che posso starci, che non sprofondo e che mi contiene mi mantiene mi sostiene. chissà chi avrà la meglio.
mamma ha detto che è come se io avessi i contorni confini frastagliati e quando mi immergo e risalgo in superficie molte più cose che a lei si sono incastrate dentro ai miei pori buchi, mentre lei è più liscia quindi dopo l'immersione non le è rimasto granchè e ovviamente parliamo di memoria. le non si ricorda tutto quello che invece io mi ricordo e di cui potrei parlare per ore. è come se avessimo vissuto due esperienze totalmente diverse anche se ci siamo immerse nello stesso mare. quel mare è il nostro discorso.
la notte devo mantenere il filo e il giorno non riesco a riposarmi in una fantasia allucinatoria che mi connette con tutto il mondo.
ho paura di addormentarmi perché credo che non mi sveglierò mai più. se dormono tutti è come se fossi l'unica a mantenere il filo allora posso dormire solo quando qualcuno sta sveglio. devo tessere il filo che mantiene legato tutto il mondo altrimenti si sgretola e tutte le parti si sparpagliano si disgregano in un moto verso l'esterno (esteriore) implacabile ma lentissimo. come penelope, come la bella addormentata, come le moire, tesso la trama e la disfo, srotolo e riarrotolo il fuso per mantenere la tensione, per sollevare il telo sul mondo che dorme altrimenti il suo peso lo soffocherebbe come una coltre/cortina densa come un sipario definitivo una tenda terribile di pietra. si scopre così la trama sotterranea scoppiettante delle formiche brulicanti, come il ronzio visivo della tv senza canale che è il suo ingranaggio senza sosta d'impalcatura. ingranaggio di leva che deve sempre girare per mantenere il carillon che gira.
se io dormo non sparisco solo io ma sparisce tutto il mondo e quindi non posso più svegliarmi perché non avrei un posto in cui svegliarmi e a cui tornare dal sonno. devo tirare il filo come il mago con le marionette ma la tensione è una fatica insaziabile
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ricordo di un sogno
ho sognato il tuo pezzo di marmo rosso striato di bianco e nero come un piano infinito e su questo piano venivano/camminavano tintinnando come una cascata degli oggetti piccoli, stuzzicadenti, bottoni ago e facevano rumore e avanzavano tutti inesorabili verso la fine del piano e cadevano come una cascata. come il quadro il terzo stato. era come una fiumana una folla di gente ma la gente erano gli oggetti e io ero la gente ero la moltitudine ero quella pluralità, e loro avanzavano senza zompettare senza camminare ma scivolando come in un moto perpetuo implacabile. solo non ricordo se quella era la pace o la rabbbia, o la furia arresa alla distruzione che comporta. mi ricordo che tutte le persone che conosco erano quella folla di bottoni, aghi, stuzzicadenti, ditali di ferro, cose dure che fanno rumore sul marmo ma in quel caso scivolavano come l'olio liscissime sulla superficie lucida e poi cadevano. avanzavano verso la fine senza esitazione, come per andare lì e come se lo stesso processo non finisse lì
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pupini sta dormendo sul tavolo trasparente e con il musetto appoggiato al mappamondo e con il suo ritmo regola tutto il tempo di questa stanza. quando mi appoggio con la faccia su di lei vedo tutti quei minuscoli peli bianchi sottilissimi che si muovono secondo il suo respiro e altri che svolazzano fluttuanti, mi sembra di vivere su di una prateria bianca sconfinata, sospesa (al centro di qualcosa che non mi piace/in mezzo) leggerissima e innevata. ma è caldo, c'è il sole e quella luce calda non fa male. Il suo paesaggio mi avvolge e mi circonda (da tutte le parti) senza togliermi aria, non mi stritola, al contrario è come se mi liberasse, come stare in un polmone che respira per te. io la amo e non la ringrazierò mai abbastanza, lei non sa quanto mi consola semplicemente esistendomi accanto.
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i primi mesi in casa di j. per me la vita era un sogno ad occhi aperti. non capivo niente. innanzitutto negli anni, specialmente negli ultimi due, ho capito quanto per me sogno e veglia si sovrappongano (acchiappino a vicenda, entanglement correlazione etc.) e quanto la mia mente sia a cavallo trai due piani. vivo il sonno e la veglia come due facce sulla stessa testa, esperienze ugualmente intense e significative e parti consecutive di un'unica trama. per interi mesi in passato mi è successo di vivere di più dormendo che da sveglia, e quando dormo faccio un sacco di cose ancora adesso. quindi per me dormire in casa sua voleva dire aspettare il giorno per vederlo. un'altra cosa che ho capito è che quando sono innamorata, o provo emozioni forti di qualunque matrice, vivo esperienze sinestetiche quasi al limite dell'allucinatorio. per esempio quella volta che andammo a fare la spesa al mercato, io ebbi la chiara e lucida allucinazione di lumache che sgusciavano nere-viola gigantesche sulla bancarella delle cipolle. mi sono dovuta fermare, concentrare per vedere che erano solo le bucce svolazzanti.
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memo per lollo
questo egoismo di cui mi parli che ti fa paura non è un egoismo cattivo, ma buono. perchè non fa del male a nessuno. e ne hai bisogno per capuire che ti devi prendere cura di te, e in una rete di amore e di affetti la cura ricade sempre su tutti i nodi. quindi è importantissimo ed è una risorsa per tutti. siete tutti nella stessa situazione, se te ne vai non sarai meno presente. per esempio mia sorella, quando aron stette male, faceva la pazza non dormiva stava sempre nella stanza con lui e si preoccuoava in continuazione, ma questo atteggiamento, che da fuori potrebbe essere scambiato per più altruista e premuroso del tuo di adesso, non era utile né ad aron né a noi altri e serviva principalmente a lei per regolare le sue emozioni. quindi non sentirti in colpa ti prego.
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oggi mio nonno compie gli anni. ma più che accumularli lui sta perdendo. perde tutto. in una faticosa lenta opera di liberazione. ha smesso di srotolare, olra è tempo di avvolgere
(trovato tra le bozze di chissà quanti anni fa, strano perché sabato li ricompie di nuovo e saranno 90!!)
negli anni il nonno ha allentato/slabrato i suoi confini e adesso lascia fuoriuscire tutto.(( straripa in continiuazione, rigurgito di presenza.)) commenti scomodi, imbarazzanti. la nonna infatti ha paura ogni volta che lui apre la bocca e a volte lo sgrida a parole, più spesso lo guarda di sbieco per un rimprovero ancora più duro. lui allora si arrabbia e si ribella: mia nonna andrà in paradiso e dovrà raccomandarlo (mettere una parola buona/di raccomandazione per lui) per il purgatorio. in queste occasioni, il nonno guarda me ridendo sotto i baffi come per dire hai visto, questi non capiscono, noi li freghiamo e ci burliamo dei loro modi. io gli offro la spalla come sempre e sono contenta. è un gioco da sempre tutto nostro.
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credo che quando sono un po' innamorata i soffitti delle case in cui abitiamo insieme, anzi, più che altro quelli delle stanze in cui viviamo, mi sembrino infiniti e foreste altissime verdi e ombreggiate, fresche. ho una sensazioni di allungamento ( e di aspirazione verso l'alto) tipo gomma da masticare che si fa filo sottilissimo e poi di dilagamento (onda che stava sospesa in aria e poi cade tutta insieme). quindi prima spazio acuto verticale spillo, sottile e poi spazio grave piano orizzontale pieno. abitare lo spazio diventa un'esperienza fluttuante e leggera, molto sinestetica anche. le loro facce invece sono tutt'un'altra storia. (si sovrappongono in continuazione e me le dimentico. con s. era così, ogni volta che ci vedevamo dovevo ricostruirlo da capo nella mia memoria e la sua faccia non riuscivo a visualizzarla se non la vedevo fisicamente davanti a me. poi nel momento di massimo piacere è come se si tirassero tutte e sfilacciassero e lasciassero intravedere i volumi di un essere interiore fuoriuscente dormiente prima galvanizzato poi).
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io e stefan
non hai fatto altro che seguirmi per due mesi!, gli ho detto. poi ho aggiunto, anche io tiho seguito un po'. infine abbiamo convenuto, annuendo, che sì, in effetti ci eravamo seguiti a vicenda tutto il tempo. (io l'ho guidato per tutta atene, ovunque, e anche nelle isole del circondario, e lui decideva a quali feste andare, dove poi dovevo portarlo io però). siamo partiti da una materia grezza formalmente simile, abbiamo lavorato molto e anche molto da soli e siamo arrivati a delle conclusioni (momentanee) praticamente opposte. magicamente ci capiamo benissimo, scherziamo bene insieme e abbiamo un senso dell'umorismo molto simile. abbastanza strano per un pazzo delle montagne. quando andiamo a mare lui si siede per un sacco di tempo di fronte, a guardarlo, io mi ci tuffo dentro anche se ci sono le onde che mi fanno paura. lui ci ha provato ma ha avuto più paura di me. l'altra volta eravamo in paradiso, il mare era una tavola cristallina allora io volevo esplorare tutti i dintorni, l'ho avvisato ma non gli ho chiesto di venire. fatto sta che io ho nuotato felicemente per circa due ore e lui mi seguiva sugli scogli a fianco buffo e impacciato. ho paura, mi ha detto, di nuotare, quando gli ho suggerito che la via del ritorno in acqua sarebbe stata più agevole. poi senza parlare, io gli lavavo la frutta e lui mi trovava conchiglie o sassi da conservare. mi ha addirittura suggerito di costruire una collana con una conchiglia perfettamente forata. abbiamo giocato a far saltare i sassi sull'acqua, lui mi ha insegnato e io l'ho subito sfidato. ci offriamo naturalmente cibo e bevande a vicenda, o altri aggeggi utili e nel suo caso anche ninnoli inutili. lui mi chiama sirena quando sono in acqua e dice che si vede che vengo dal mare. siamo gli opposti in questo.
mi capisce addirittura quando faccio animare le cose della natura tipo quando gli ho detto che il vento sulla superficie dell'acqua sembrava un'orda di minuscoli omini bianchi che correvano e si sparpagliavano per tutto il mare (li ho anche mimati e ne ho fatto il verso). oppure che nuotare in contro al sole mi faceva sentire come se lo stessi raggiungendo su una pista dorata calda e velocissima (diretta). l'unica cosa che non ha capito è stata quando ho battezzato the sanctuary of water. ma poco male, lo amo lo stesso e non vedo l'ora di rivederlo. forse gli portio anche la mozzarella.
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in un primo momento ho creduto di vedere. poi il buio o l'abbaglio, non saprei dirlo: poco importa: tu già sapevi che non c'è differenza.
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una volta ho sognato di dormire. nel sonno era come se avessi gli occhi aperti ma senza vedere allora provavo a svegliarmi ma solo per ritrovarmi in un altro sonno e così via.
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Con mio cugino è stato più facile. con lei invece, mi sono dovuta sdoppiare. anzi, ho dovuto lavorare a separare lei in tutti i punti in cui io l'avevo cucita. ho dovuto sdoppiarla quando l'ho unita (/riparata) per tutta la vita. perchè lei è una dentro e una fuori. e noi eravamo (siamo sempre stati) dentro con lei. tutta la bellezza la bontà e la generosità del fuori lei le paga con un paesaggio di catastrofe, naufragato desolato ostile spaventoso, buio del di dentro. ecco perchè quelli che lei considera gli altri non capiscono: noi siamo dentro e loro sono fuori, beati benedetti graziati.
mi sono sempre pensata libera nel nucleo interno e fatta prigioniera nella buccia esterna. ora che ho bucato il mio nucleo non voglio più essere così tanto libera da caderci dentro, ma non posso nemmeno essere imprigionata come prima. ho capito anche di non potermi affidare alla normale al piano, alla forza di gravità su un piano di appoggio, perchè le reti si bucano e i tavoli si spezzano: devo ricorrere ad una forza di attrazione con centro sopra di me. unica soluzione (pensata) finora.
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io vedo solo un pozzo infinito che urla aiuto e nessuno può curarlo. non riesco ad arrabbiarmi davvero, provo principalmente un enorme dispiacere. sicuramente questo fatto (il fatto di vedere il pozzo) mi rende disponibile una grande quantità di potenziale emotivo, come un'onda energetica roboante scura e elettrica. ma di questo, l'unica parte che io sia capace di sentire e quindi che possa trasformarsi in emozione è il dispiacere, il dolore, la compassione. la rabbia no. perchè non riesco a distruggere il paesaggio, immagino che dopo potrebbe rimanere qualcosa e quello sarebbe il buono da cui ripartire, una vera opportunità, invece tengo tutto e tutto è marcio e indistinguibile legato come in una fetida e velenosa mistura, come la foresta sotterranea delle falde acquifere e via dicendo. a questo punto è chiaro che non so come fare.
((((un esserino minuscolo ferito che urla aiuto al centro di un pozzo infinito. io lo sento, ma è come se non lo sentissi.)))))
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mi ricordo un sogno di pesca e di pesci, io ero un pesce inunaa piscina vuota ad aspettare il mio turno di essere pescata. ripetevo il copione perchè così facevano tutti quelli che dovevano andare prima di me, ma non ne ero troppo convinta. poi un gancio e un abbaglio.
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mia cugina è un esserino minuscolo diabolico incastonata nell'anta di un mobile che è il suo antro, il suo mondo fatato. lei urla come una pazza e come un minuscolo essere indemoniato, urla oslo e non la smette perché nessuno riesce ad aiutarla. proviamo di tutto. io e mio cugino chiamiamo mia zia, proviamo a darle da bere da mangiare, le offriamo dei biscotti e ogni tipo di aiuto umano ma lei non smette di urlare. allora mia zia, gigantesca al suo cospetto, entra nel mobile. noi chiudiamo l'anta per lasciare loro il tempo di una trasformazione, di un diaologo e di intimità, quando riapriamo il bicchiere di cristallo è rotto. mia zia era un'anima nel bicchiere, come una creatura dei boschi rappresentata (evocata da noi/ incarnata) lì. noi non possiamo riparare il bicchiere. così la versione umana di mia cugina si arrabbia con noi perchp non siamo stati in grado di aiutare la sua versione minuscola. si chiude nel bagno e ne esce padrona di tutto, perchè glielo dobbiamo. si impadronisce della camera da letto dei miei genitori e di ogni altro spazio comune. glielo dobbiamo.
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