#risposta un po' confusa
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Sono molto d’accordo con il tuo post. Io credo che non sia solo questione di dare sempre la priorità ai corsi STEM, secondo me ha anche a che fare con un discorso di classe. L’esempio delle lingue che hai citato è uno dei più classici: se sei povero e poliglotta non importa a nessuno (anzi, è “il minimo” per trovare un lavoro) mentre se sei ricco e sai dire ciao in un’altra lingua oltre alla tua sei un intellettuale super acculturato perché “hai viaggiato il mondo” (= hai speso migliaia di euro in quei corsi universitari che ti fanno cambiare paese ogni anno accademico). Se pensi agli americani, ad esempio, sono i primi a considerare fighissima la tendenza europea a parlare più lingue e allo stesso tempo si lamentano dei messicani quando parlano spagnolo in pubblico. Un bambino poliglotta difficilmente lo è perché ha studiato, ma realisticamente nasce in un contesto famigliare multilingue, e questo ~per qualche motivo~ sembra rendere meno valide le capacità che manifesta. Poi boh magari dico stronzate
no, no, sono d'accordo anch'io con te. ricordo che anni fa uscirono degli articoli sul fatto che la principessina charlotte parlasse due lingue a due anni (che poi, il titolo dell'articolo era stupido in partenza: a due anni parlare due lingue significa semplicemente conoscere quelle 300 (?) parole che un bambino di quell'età può sapere, moltiplicate per due. parlare è un parolone, ma si sa che ai giornalai piace sempre del buon e inutile sensazionalismo) e in molti risposero che anche i figli degli immigrati a quell'età parlano molto spesso più di una lingua, ma per qualche motivo non sembra altrettanto impressionante. qualcuno fece notare che è quindi un problema di classe, altri dissero che non tutti gli immigrati sono poveri. non so se il problema di classe sia contenuto o sia il contenitore di altre questioni o se i vari problemi si intersechino come d'abitudine.
appurato questo, a volte mi sembra che le abilità precoci, le inclinazioni (non cadiamo nel discorso genio perché a quel punto l'essere genio fa valere tutto) non scientifiche valgano meno (è forse una questione di produttività, di profitto?). mi chiedo addirittura se esistano abilità precoci in campo umanistico a questo punto, o siano solo passatempi per scioperanti. saper far di conto e saper più lingue sono abilità equivalenti? una scoperta scientifica vale più di una scoperta di tipo umanistico? sarei tentata dal dire di sì perché ovviamente sono la prima che spera di rinascere nella prossima vita con una propensione per la fisica hehehe. il mio è un discorso disordinato e confuso quanto una matassa, dal quale immagino possa partire qualche rimprovero o qualche osservazione (come la tua, e quindi grazie!) che però io non riesco a formulare.
#ask#un po' confusa sta risposta spero si capisca scusate sono troppo imbecille per riflessioni che vadano oltre lo shitposting
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A livello professionale sono un po’ confusa, oggi ho un’idea, domani un’altra. Voglio sposarmi, questo è sicuro. Madre? Non lo so per ora…
Per adesso mi concentro sulle mie passioni, sperando di portarle poi nel mio futuro.
Hai/abbiamo (mi metto in mezzo) tutto il tempo per cambiare idea, per formare la nostra persona, per capire quale strada percorrere e quali priorità perseguire.
Io ti auguro un futuro brillante davvero e grazie per questa tua risposta. ☺️
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Ciao ! Che bello, è difficile trovare una fan italiana qui di nana lol
Sai Mi sono imbattuta in questa teoria , che prende sempre piu piede secondo me.
Perche rileggendo il manga mille volte ho percepito anche io questa teoria, ma sempre di più… alla fine.
Yasu e nana sono innamorati veramente, ren è parte del cuore di nana ovviamente.. ma nel profondo yasu è importante quanto ren. Lo so è tosta 😂
Ma è reale. Se vi ricordate Anche ren ha chiesto di sposarla per far si che cosi lei possa “buttare “fuori dal suo cuore il pelatino lol parole di ren lol
Tutto questo è un po’ toccante a mio avviso. Perche in fin dei conti molti personaggi nella storia di nana soffrono una certa solitudine ma pensare che ren ami nana sapendo che non è ricambiato e questo potrebbe essere causa una delle cause del proprio l’uso di droghe mi inquieta 😞
Ren ha chiesto a nana di sposarlo per averla tutta per se. E che sarebbe arrivato a ucciderla per essere solo sua, nel senso che aveva a volte questi desideri tali confessati a reira.., in un capitolo ben preciso dice questo.
ma andando avanti nei capitoli, nella storia lui matura molto e si dice che se anche nana abbia qualcuno altro nel suo cuore invece che lui.. lei accetterebbe per l’amore che prova per lei. lo fa crescere da diventere un essere umano gentile rispetto a tempo che era possessivo al limite... perche sa.
https://www.reddit.com/r/NanaAnime/comments/136zga5/what_do_you_guys_think_about_the_theory_that_nana/
nell articolo ci sono anche degli screen dove si sottolinea questo…
Ad esempio si prende in esempio confronto tra yasu e nana parlando della propria band e come l’importanza di un grazie ricevuto da yasu possa essere piu importante di un ti amo e cosi via.. e nel capitolo successivo o nello stesso non ricordo bene, infatti shion , parlando alla vera misato sorella di nana (anch’essa in sofferenza per l’amore che prova per il fratello , tale rapporto lo si ricorda con nana e yasu effettivamente lool sara genetica innamorarsi della figura del fratello in se come yasu è per nana alla fine ), shion la risollevare dicendo espressamente come un grazie a volte più bello di un ti amo se viene dalla persona amata.. anche se non si puo possedere ..
Infatti nana pianse di gioia , non capendo perche un semplice grazie l’abbia resa cosi felice…
… ai yazawa cosa vuoi dirmi ? Non è da sottovalutare secondo me. Lei lancia sassolini e poi risponde in altri capitoli subito dopo lol
Oppure un altro momento è quando shion va nella stanza di yasu, e nobu e shin erano preoccupati che nana potesse fare un casino x cio.
Poi shin diede dell’ ingenuo a nobu dicendogli chiaramente che nana e yasu sono …… ma non pote finire la frase perche nobu non volle ascoltarlo ribattendo che nana e ren si sarebbero sposati a breve e con tale risposta, shin paragonò nobu a questa sitsituazione visto che la vera donna che nobu ama è hachi e che nonostante lei abbia sposato takumi, è comunque innamorata di nobi in realtà…
Spero di spiegarmi nel migliore dei modi 😂😂😂😂🤧
Queste scene accadono tra gli ultimi capitoli della storia.
Quindi non è roba vecchia come se ,ai yazawa voglia tenermi sempre confusa sulla priorità di ren o yasu nel cuore di nana 😂 Mannaggia!
Ma non lo sapro mai perche se ai yazawa nn continuera la vedo dura e cosa che sono certa haime non accadra mai 😂
Ma mi chiedo come mai tenga vivo questo amore non dichairaro in modo forte da non sottovalutare di nana e di yasu nonostante tutto.
Pensare che anche miu , coprese che yasu volesse sustituire nana mettendosi con lei all’inizio. Però certo somo la relazione piu solida li dentro dopo junko e kiosuke lol
So che nana e ren sono una cosa sola ma perche ai yazawa mette certi sipari davvero da mettere confusione..
…nana quando ren mori , ovviamente ne rimase succube di tale dolore ma gli indizi prima di cio mi lasciando pensare sul seguito( che mai accadra 😂 )su un cero “colpo si scena” tra di loro lol
vorrei mettere certi screen ma nn so come fare quindi lascio direttamente il link lol 😂
Il fatto che nana e yasu fossero innamorati non si può mettere in discussione, solo che (presumo) che l'amore in certi casi non basti per fare stare insieme due persone, e penso che fosse questo il messaggio che l'autrice volesse far passare. Come hai detto tu, il matrimonio tra ren e nana è stato solo per via di alcune circostanze, in oltre, è anche possibile che nana amasse entrambi, e forse è una breve sfaccettatura del poliamore che, a mio parere, fa parte di un po' tutti noi. Basta pensare ai "diversi tipi di amore" che proviamo per persone diverse, anche se non sono nostri partner, e se vogliamo nuovamente riferirci a questo manga, si potrebbe parlare per ore dell'amore che c'è tra nana ed hachi (un qualcosa di totalmente platonico, ma pur sempre amore) ed è a questo che si riferiva il mio post.
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<<Greengrass>>
Silenzio. Esco dalla cucina andando verso il salotto.
<<Greengrass?>>
Altro silenzio. Corro dal salotto verso il corridoio.
<<Greengrasssssssss!>> quasi urlo.
<<Ti ho sentita, ti ho sentita, pazza che non sei altro mi hai appena cacciato dalla cucina perchè avevi i tuoi affari super segr...>>
Lo ignoro, ovviamente.
Ma per tutta risposta mi lancio addosso a lui senza che concluda la frase. Lo vedo per un attimo impacciato cercando di tenermi al volo, ma mi aggancio al suo collo guardandolo più allegra che mai:
<<Buon compleanno Greengrass! È mezzanotte e zero minuti!>>.
Lui mi guarda per un attimo, e quando capisce fa un sospiro quasi rassegnato ma con quel mezzo sorriso che adoro.
<<Mi hai quasi spezzato la schiena lo sai?>>
Rido e gli porto le mani sulle guance, stampandogli un bacio <<Ma se sono un fuscello>>
<<Sì, certo, intanto sono io a tenerti in braccio però>>
Gli premo un altro bacio, e lui sembra rifletterci.
<<Forse così va meglio>>
Gli accarezzo il viso, e solo in quel momento mi accorgo di avere le mani ancora sporche di zucchero a velo, che ora sta regolarmente sulla sua guancia.
Stringo le labbra, cercando di non ridere.
<<Cosa c'è? Che hai fatto ora?>>
<<Niente, ti ho fatto dei dolcetti per il compleanno>> li indico vagamente verso il ripiano, dove attendono dalla forma confusa.
Ma lui non sta osservando dove indico, ma guarda come da proverbio il dito. Mi guarda:
<<Con quelle mani bianche?>>
<<Giuro, non l'ho fatto apposta!>>
<<Non ti credo neanche un po'>> mi guarda serio e per tutta risposta mi lascia andare portando le mani dietro la schiena.
<<No no no no, argh!>> urlo aggrappandomi al suo collo per reggermi. Mi avvinghio stringendomi a lui e agito appena le gambe prima di avvinghiarmi a lui ridendo.
<<Perchè dovrei crederti?>>
Rido guardandolo negli occhi: <<Perchè ti amo>>.
Lui mi guarda sbuffando, e sento le sue braccia stringermi nuovamente.
<<Sleale>> sibila, ma sorride.
Sorrido sulle sue labbra, un istante prima di lasciargli un altro bacio: <<Buon compleanno, amore>>.
Sembra soddisfatto, e annuisce osservandomi: <<Dolcetti, mh?>>.
<<Certo, uno spuntino veloce prima di partire>>
<<Partire, ora? Per andare dove?>>
<<Aspetta, prima una foto!>>
<<Oh no...>>
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<<Ok, Travers. Quindi dove stiamo andando?>>
<<Mh>> mormoro lasciandogli un altro bacio accarezzandogli i capelli scompigliati da quella piacevole brezza che ci accarezzava a sprazzi.
<<Non che mi lamenti eh, ma mi hai fatto guidare la moto, ripeto la moto, per ore e siamo in mezzo a...beh al nulla>> si guarda intorno cercando un punto di riferimento <<Dov'è che siamo?>>
Gli accarezzo il colletto della maglia nera, cercando le parole. Mi sistemo meglio sul sedile della moto, le gambe sulle sue a tenermi in equilibrio.
<<Tempo fa, mi avevi detto di scegliere dove volevo stare>>. Alan sa essere incredibilmente paziente. Non lascia trasparire nulla da quegli occhi che mi ipnotizzano, è calmo e sembra sempre ascoltare le mie parole. Mi fa vacillare il cuore ogni singola volta.
<<Penso di aver già deciso dove voglio stare nella vita>> lo osservo e mi avvicino appena per farmi liberamente spiazzare da quegli occhi. <<Io voglio stare dove sei tu>>.
Sento le sue dita accarezzarmi, mentre gli occhi mi guardano fin dentro l'anima come solo lui ha sempre potuto fare:
<<So che sei una testa calda, che un giorno puoi volere un posto e il giorno seguente considerarla una prigione da cui voler scappare. Io dal canto mio ho vissuto per tutta America latina, mezza europa dell'est e mezza Inghilterra, non c'è un posto dove ho sentito il bisogno di legarmi>> prendo un respiro come se le parole stesse ora mi scorressero fuori dalle labbra <<quindi andiamocene dove abbiamo voglia, non mi importa. Sarò ovunque vorrai, perché io voglio te. Sei tu l'unica casa a cui voglio essere legata>>.
@alanmgreengrass
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Il matematico che rifiutò un milione
Agli inizi del nuovo millennio, il Clay Mathematics Institute, negli Stati Uniti, lanciò una sfida al mondo, pubblicando un elenco dei problemi matematici più difficili e importanti ancora in attesa di una soluzione. L'elenco comprendeva sette quesiti, e chiunque ne avesse risolto anche uno solo avrebbe ricevuto un premio di un milione di dollari. Dimenticate i complicati problemi del liceo, o addirittura dell'università. Stiamo parlando di cose di livello estremo. Ad esempio, uno degli autori di questo libro ha trascorso tutto il dottorato a studiare la stessa identica equazione al centro di uno dei problemi del millennio del Clay Institute e ancora oggi ne capisce a mala pena l'enunciato. Sono tutti problemi di una difficoltà a dir poco assurda. Sono così difficili, di fatto, che finora ne è stato risolto soltanto uno, che parla di sfere in quattro dimensioni.
Il problema in questione è la cosiddetta Congettura di Poincaré, e nasce da una branca della matematica nota come topologia geometrica, in cui i matematici, in sostanza, immaginano cosa accadrebbe se tutto fosse fatto di plastilina. E' un mondo di plastilina con delle regole: si possono spiaccicare e deformare gli oggetti quanto si vuole, ma non si possono aggiungere o togliere buchi. La domanda è questa: in un mondo del genere, quali oggetti si assomigliano? Secondo questa logica, un cubo e una piramide sono la stessa cosa, perché si può passare facilmente dall'uno all'altra premendo o schiacciando nel modo giusto (se sono fatti di plastilina). Vertici e spigoli non contano: li possiamo appiattire, deformare e ricreare a nostro piacimento. Una tazzina da caffè è equivalente a una ciambella, per quanto possa essere un po' difficile da immaginare: entrambe hanno un buco - la ciambella ce l'ha in mezzo, la tazzina nell'impugnatura - e il corpo della tazzina può essere appiattito e incorporato nell'impugnatura, trasformandola così in una ciambella. Ancor più difficile da visualizzare, ma altrettanto vera, è l'equivalenza tra una maglietta e una ciambella con tre buchi. Se tirate il fondo della maglietta e ne attaccate il bordo a uno hula hoop, guardando dal suo interno vedrete tre buchi che ricordano quelli di un fidget spinner. Proseguendo nel gioco ci si rende conto abbastanza in fretta che un oggetto tridimensionale solido e privo di buchi, volendo, potrebbe essere sempre modellato fino ad assumere l'aspetto di una palla. La Congettura di Poincaré è questa: si può dire lo stesso in quattro dimensioni? La domanda era in attesa di una risposta da quasi un secolo, quando, nel 2003, apparve su Internet una strana dimostrazione ad opera di un matematico russo semisconosciuto, Grigorij Perel'man. In un primo momento la soluzione di Perel'man fu accolta con scetticismo da molti grandi nomi della matematica: dopotutto, in rete erano numerosi quelli che pretendevano di aver risolto la Congettura, e la maggior parte delle loro dimostrazioni consisteva in qualche pagina confusa di sproloqui senza senso. Lentamente, però, l'interesse nei confronti di Perel'man crebbe, trasformandosi in entusiasmo quando ci si rese conto che con ogni probabilità la sua dimostrazione era quella buona. Ci vollero tre anni per verificare attentamente il suo lavoro, ma quando infine giunse la conferma, nel 2006, a Perel'man venne offerto un milione di dollari. Che lui si affrettò a rifiutare.
La comunità dei matematici cercò anche di conferirgli la Medaglia Fields (che spesso viene descritta come il Nobel della matematica ma che è molto più difficile da vincere, dato che viene assegnata ogni quattro anni e solo a chi non ha ancora compiuto quarant'anni). Grigorij Perel'man aveva vinto il premio più prestigioso di tutta la matematica, ma anche stavolta oppose un rifuto. Perel'man spiegò che il riconoscimento della comunità dei matematici non gli interessava. Non voleva essere trattato, disse, come un "animale in uno zoo", osservato e dissezionato in ogni aspetto della sua esistenza da matematici meno realizzati di lui. Si sparse la voce che era un problema anche il luogo in cui si sarebbe tenuta la cerimonia della Medaglia Fields. La consegna del premio sarebbe avvenuta a Madrid, e questo voleva dire che Perel'man avrebbe dovuto perdere un giorno per arrivare da Mosca, dove abitava, più un giorno per la cerimonia e un altro per tornare a casa: tre giorni che invece avrebbe potuto dedicare alla matematica. Rendiamo onore alla tua dedizione, Grigorij Perel'man.
-H. Fry / A.Rutherford
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Realtà macroscopica basata su un caos quantistico
Nella termodinamica il legame tra meccanica quantistica e realtà concreta. Come è possibile che da regole “probabilistiche” e astratte emerga il nostro mondo macroscopico concreto? Un fisico austriaco suggerisce dove trovare la risposta. Una delle più celebri frasi attribuite a Richard Feynman, tra i più importanti e geniali fisici del secolo scorso, recita più o meno così: “Penso di poter affermare tranquillamente che nessuno capisce la meccanica quantistica”. Un po’ esagerato, un po’ provocatorio, come era nel suo stile; ma in fondo non troppo lontano dalla realtà. La meccanica quantistica – ossia la teoria che descrive il comportamento del mondo microscopico, quello fatto di molecole, atomi e particelle subatomiche – è certamente una delle discipline più complesse e controintuitive (ma proprio per questo estremamente affascinanti) della fisica moderna. Molte delle sue leggi e dei suoi postulati – pensiamo per esempio all’entanglement, la bizzarra interazione a distanza tra particelle “intrecciate”, o alla sovrapposizione degli stati e al collasso della funzione d’onda, ben illustrati dal famoso paradosso del gatto di Schrödinger, sono effettivamente così lontani dalla nostra esperienza quotidiana della realtà macroscopica da essere molto difficili da comprendere e digerire; tuttavia, come ha dimostrato oltre un secolo di rigorose prove sperimentali, la teoria è esatta.
A quanto pare, è proprio così che funziona la natura, o almeno la parte di natura che abbiamo iniziato a comprendere. Come dicevamo, è quando si provano a mettere in relazione le leggi della meccanica quantistica all’esperienza del mondo macroscopico che emergono gli scenari più interessanti e complicati, che rischiano di diventare meccanismi insondabili, come il pensiero del pensiero: c’è chi si è chiesto, per esempio, se si possa parlare di realtà oggettiva��e quale sia il rapporto tra osservatore e realtà, e chi, proprio pochi giorni fa, ha cercato di far chiarezza su come sia possibile che dal mondo quantistico, “regolato” da leggi probabilistiche, emerga il mondo reale e “concreto” con cui abbiamo quotidianamente a che fare. Si tratta di un gruppo di fisici del Quantum Information & Thermodynamics (QuIT), un dipartimento di ricerca dell’Università di Vienna, che ha provato a rispondere alla domanda in due articoli, ancora in fase di revisione dei pari. Il primo è stato caricato lo scorso anno su ArXiv e il secondo è in corso di scrittura; a darne conto, sulle pagine della rivista New Scientist, è Tom Rivlin, fisico di QuIT che è tra gli autori di uno dei lavori e si occupa (anche) di divulgazione scientifica. Passeggiando nel cimitero di Vienna Il lungo racconto di Rivlin comincia proprio a Vienna, nel cimitero più grande della capitale austriaca, e precisamente davanti alla tomba di uno dei fisici più importanti della storia, Ludwig Boltzmann, padre della termodinamica e del concetto di entropia (tanto che sulla sua lapide è incisa la formula S = k log W, che è proprio una delle definizioni dell’entropia). Perché è nella termodinamica, secondo gli studi di Rivlin e colleghi, che va cercata la risposta. “Ero andato a passeggiare nei pressi della tomba di Boltzmann – racconta – perché penso che le sue idee, vecchie di un secolo, possano aiutare a risolvere uno dei problemi più complessi della fisica: come è possibile che le particelle quantistiche, che esistono in una ‘nube confusa’ di stati possibili, diano origine al mondo solido, concreto e ben definito, fatto di neve, foglie, lapidi e tutto quello che ci circonda. Sono stati fatti molti tentativi per risolvere questo problema, tra cui anche proporre l’idea bizzarra che tutte le altre possibilità del mondo quantistico si realizzino in universi paralleli, o che semplicemente svaniscano. Io e i miei colleghi sospettiamo che la risposta giusta abbia invece a che fare con Boltzmann”. Un bigino di termodinamica Prima di andare avanti serve un conciso ripasso: la termodinamica – detto grossolanamente – è la branca della fisica che studia come quantità macroscopiche (calore, energia, pressione, temperatura, eccetera) siano connesse a proprietà microscopiche (per esempio la velocità con cui si muovono le particelle in un fluido). Uno dei concetti fondamentali della termodinamica è l’entropia, che è una misura del disordine di un sistema, ovvero dei “possibili modi” in cui un sistema può esistere. Più il sistema è disordinato, più è alto il numero di modi in cui può essere realizzato: l’esempio più classico è quello di un mix di latte e caffè. Il sistema “ordinato” può essere realizzato in un solo modo (tutte le molecole del caffè da una parte e tutte le molecole di latte dall’altra), mentre il sistema “disordinato” (il caffelatte, ossia un mischione dei liquidi) può essere realizzato in un numero molto più alto dei modi. Il sistema disordinato è quello che ha massima entropia; e il secondo principio della termodinamica sancisce che (in un sistema chiuso) qualsiasi processo evolve sempre verso lo stato di massima entropia. In altre parole, il mondo va nella direzione del disordine. In questo senso, l’entropia (e il secondo principio della termodinamica) stabiliscono una direzione obbligata (o meglio, privilegiata) per tutti i fenomeni della natura: sempre verso il massimo disordine, in modo irreversibile. Le stranezze della meccanica quantistica Lasciamo per un attimo riposare Boltzmann e torniamo alle bizzarrie della meccanica quantistica. La questione che disturba di più Rivlin e i suoi (e non solo) è il fatto che una delle leggi della meccanica quantistica postula che una particella può “esistere” in diverse posizioni nello stesso momento (è la cosiddetta sovrapposizione degli stati) ma che questo effetto non si manifesta nel mondo macroscopico. Per di più, c’è un “problema” con le misure: nel momento in cui si cerca di misurare la posizione di una particella, la si “inchioda” in un certo posto e da quel momento in poi sta solo là (è il cosiddetto collasso della funzione d’onda); come se l’atto della misura “distruggesse” tutte le altre possibilità – un processo rapido, istantaneo e irreversibile. Il problema è stato parzialmente risolto negli anni Settanta, quando diversi esperimenti hanno mostrato che il famigerato “processo di misura”, quello che distrugge le altre possibilità, non avviene soltanto in laboratorio, ma sempre e ovunque: anche una molecola d’aria che colpisce un elettrone lo “misura” e ne distrugge la natura quantistica. Questo processo si chiama “decoerenza” e spiega il motivo del fatto che non vediamo effetti quantistici a livello macroscopico. Decoerenza e darwinismo La decoerenza è un meccanismo ancora in parte misterioso. Un significativo passo avanti nella sua comprensione risale al primo decennio di questo secolo, quando due fisici, Robert Blume-Johout e Wojciech Żurek, hanno mostrato che durante il processo di decoerenza tutte le informazioni relative a un sistema quantistico – compresa la sovrapposizione degli stati –non si distruggono, ma piuttosto si “diffondono” nell’ambiente circostante. Se non possiamo più vederle è solo perché non siamo in grado di farlo. “L’informazione quantistica”spiega Rivlin “è sempre lì, solo che è impossibile da vedere. Questa idea è stata chiamata ‘darwinismo quantistico’, in analogia all’idea dell’evoluzione dei sistemi biologici: in questo senso, l’ambiente intorno a un oggetto quantistico ‘seleziona’ solo le informazioni classiche un po’ come un ecosistema (in senso però molto diverso) ‘seleziona’ il collo lungo per le giraffe”. Lo zampino della termodinamica L’équipe di Rivlin non crede molto all’ipotesi del darwinismo; piuttosto, cerca una spiegazione alternativa guardando alla termodinamica – ed è qui che rientra in scena Boltzmann. “Storicamente, termodinamica e meccanica quantistica non sono mai andate molto d’accordo. L’idea convenzionale delle misurazioni quantistiche sembra addirittura infrangere le leggi della termodinamica, che sono ‘sacrosante’ per i fisici”. E quindi? Torniamo all’esempio del caffè: dicevamo che lo stato in cui evolve un mix di latte e caffè è quello di massimo disordine, di massima entropia, una miscela indistinguibile delle due sostanze. Questo ce lo dice il secondo principio della termodinamica (oltre alla nostra esperienza quotidiana). Ma c’è una questione più sottile: lo stato di massimo disordine è quello di equilibrio, e su questo non ci piove, ma è anche vero che ogni sistema, pur andando sempre verso lo stato di equilibrio, potrà avere, di tanto in tanto, delle fluttuazioni attorno a quello stato. Portiamo più in là questo concetto: dato un tempo sufficientemente lungo, diciamo pure infinitamente lungo, una di queste fluttuazioni porterà il sistema di nuovo nello stato in cui latte e caffè sono perfettamente separati. Bisogna aspettare probabilmente un tempo più lungo dell’età dell’universo, ma in un certo momento accadrà. E lo stesso, a quanto pare, avviene anche per la decoerenza: un’équipe di scienziati, nel 2018, ha osservato che effettivamente un sistema può “de-decorentizzarsi”, almeno per brevissimi intervalli di tempo. “È un risultato incredibile, perché se è possibile recuperare la coerenza vuol dire che le informazioni quantistiche non sono mai state davvero distrutte: erano lì, nascoste, e a un certo punto riappaiono”. I lavori di Birkin e colleghi partono proprio da qui: “La trattazione matematica è abbastanza complicata, ma sostanzialmente nel primo lavoro i miei colleghi hanno mostrato che l’equilibrio tra un sistema quantistico e un apparato di misura può far sì che un sistema che ‘sembra’ classico stia in realtà solo ‘nascondendo’ il comportamento quantistico, e non distruggendolo. Un apparato di misura abbastanza piccolo potrebbe, almeno in linea teorica, permettere agli effetti quantistici di tornare visibili. L’altro lavoro, ancora in corso, è relativo all’effettiva fattibilità di un esperimento per verificare questo effetto, e per comprendere se e come è possibile estrarre e informazioni quantistiche. Chissà cosa ne avrebbe pensato Boltzmann”. Read the full article
#darwinismo#decoerenza#entanglement#entropia#funzioned'onda#gattodiSchrödinger#meccanicaquantistica#termodinamica
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Capitolo 14
Era quasi l'una quando i due ragazzi fecero ritorno al castello, la serata era trascorsa in maniera molto piacevole e la giovane infermiera Edith non vedeva l’ora di raccontare quello che era successo allo zio. Come c'era da aspettarsi, il medico in quel momento era alle prese con le sue solite consulenze notturne. La nipote si era affacciò nello studio, scusandosi per l'eventuale disturbo. << Edith ciao, siete tornati vedo. >> disse il medico sorridendo. << Zio, hai un momento? So che sarai sicuramente molto impegnato. >> chiese l'infermiera timorosamente. << Edith quante volte te lo devo ripetere, per te non sono mai impegnato. >> replicò il medico togliendosi le sue cuffie rosa con le orecchiette da gatto. Uscì momentaneamente dalla piattaforma, intanto la nipote si tratteneva dal ridere, con quelle peculiari cuffie non lo si poteva proprio prendere sul serio. << Non posso ancora crederci che fai consulenza con queste cuffie. >> disse la ragazza ridacchiando. << Beh, le altre si sono rotte dopo anni di onorato servizio, e poi queste sono fantastiche…il migliore acquisto fatto questa settimana. >> replicò Heinreich. << Non ho ancora capito dove le hai comprate, sai? >> domandò Edith. << Le ho prese al Tiger di Zurigo quando ci sono andato l'altro giorno con Hans, dovevi vedere la sua faccia mentre le compravo. >> rispose il medico trattenendosi dal ridere. Ad un tratto il medico tornò nuovamente serio, aveva la sensazione che Edith doveva parlargli di qualcosa di importante. Ormai aveva imparato a riconoscere i segnali, ed era sicuro che quella fosse una di quelle volte in cui la ragazza aveva bisogno di confidarsi. << Dimmi la verità, c'è qualche problema? È successo qualcosa di spiacevole al pub? >> chiese insistentemente il barone. << No no, al pub è andata benone, è solo che sono un po' confusa su cosa dovrei fare adesso… >> rispose sospirando la ragazza, mostrandogli il profilo di Ingrid, gli spiegò che non era sicura se fosse o meno il caso di intraprendere una conversazione. Lo zio pensò per un attimo, e poi replicò: << Beh, secondo me è meglio vivere con una delusione che con un rimpianto, non potrai mai sapere cosa sarebbe stato meglio fare se non provi. >> << E se dovessi risultare inquietante ad andare a scrivergli così dal nulla..? >> domandò Edith timorosamente, avendo paura di lasciarle una brutta impressione. Purtroppo, quando si trattava di interagire con persone che non conosceva, non riusciva a fare a meno di farsi prendere dall’ansia. << Immagino che se Abigail ti ha dato il suo contatto, sicuramente questa Ingrid si immagina già l'arrivo di un tuo messaggio. >> cercò di rassicurarla Heinreich. << Ma se poi non mi rispondesse mai? >> incalzò la ragazza.
<< Sarebbe sicuramente lei a rimetterci a non conoscerti. >> disse il medico. Ad ogni preoccupazione di Edith, lui aveva la risposta perfetta; le sue parole erano finalmente riuscita a darle un briciolo in più di sicurezza, anche se non era ancora del tutto convinta. Dopo aver abbracciato lo zio e averlo ringraziato, la ragazza fece ritorno nella sua stanza per dormire. Hanna, nel mentre, si era nascosta per non farsi vedere dalla cugina, doveva continuare a osservare il padre, sicuramente avrebbe fatto qualcosa di sospettoso. Purtroppo, le sue convinzioni vennero smentite dai fatti, l'uomo riprese le sue consulenze su Seven Cups, fino a quando la stanchezza non ebbe la meglio su di lui. Lo vide recarsi a letto, era ormai palese che quella sera non sarebbe successo niente, decise quindi che sarebbe stato meglio anche per lei farsi una sana dormita. Tuttavia, quando si trovava a metà corridoio, un pensiero le fece cambiare idea in proposito. Quello era esattamente il momento giusto per dare una sbirciata nello studio del padre, in fondo doveva sicuramente esserci qualche indizio in più per capire meglio la situazione. Raggiunse quindi nuovamente lo studio; e iniziò a guardarsi attorno, per poi esaminare ogni angolo e cassetto possibile, cercando di essere il più silenziosa possibile. Si faceva luce con la solita torcia, accendere le luci avrebbe potuto catturare l'attenzione di qualcuno e farla scoprire. Non si era però accorta che Nuvolino l'aveva seguita, e ad un tratto quel pestifero gatto fece cadere la lampada presente sopra la scrivania. La ragazza maledì il micio nella sua testa per poi nascondersi in fretta sotto la scrivania. Fortunatamente era chiusa ai lati, quindi esternamente era impossibile accorgersi della presenza di Hanna. Come immaginava, poco dopo il padre giunse a controllare la situazione. L'uomo scattò immediatamente al rumore e controllò la stanza per cercare di capire cosa fosse successo. Notò poi la lampada a terra, e Nuvolino che usciva tranquillo dall'ufficio. Attribuita a lui la colpa di quel fracasso fece ritorno a letto, avrebbe pensato a mettere a posto il mattino dopo. C'era mancato davvero poco, pensò Hanna tirando un sospiro di sollievo, aveva rischiato grosso, ma fortunatamente era riuscita a non farsi beccare. Poteva quindi proseguire la sua indagine, non poteva arrendersi. Esaminò ogni cassetto dell'armadietto grigio dove suo padre teneva archiviati i documenti importanti e la contabilità della clinica. Ad un certo punto, ebbe la sensazione di aver finalmente trovato qualcosa; prese dal cassetto di mezzo un fascicolo giallo un po' consumato dal tempo. Sperava che quella fosse la svolta, e che finalmente dopo tanta ricerca ci fossero stati dei risultati. Aveva ragione, poiché al suo interno trovò del materiale estremamente importante: erano appunti degli studi che un tempo il barone aveva fatto per creare la sua miracolosa cura. Veniva qui spiegato ogni singolo passaggio necessario per la sua creazione, e in particolare come all'epoca avesse dato ordine al suo giardiniere di procurargli delle cavie per la sperimentazione. Hanna non ci
mise molto a realizzare che il giardiniere a cui si faceva riferimento era suo zio Hans, e che era proprio quella la sperimentazione che aveva aiutato a guarire l'infertilità di sua madre. Di fronte a queste prove schiaccianti, non poteva evitare di provare emozioni contrastanti. Da un lato era scioccata e disgustata da quell’operato immorale; d’altro canto, provava quasi un senso di riconoscenza per tutto l'impegno che aveva messo per metterla al mondo. Dopotutto, se era arrivato addirittura a sperimentare su persone innocenti, era scontato che tenesse immensamente a lei. Decise di non riporre il fascicolo, piuttosto lo portò con sé – il giorno dopo avrebbe affrontato suo padre sull'argomento. Dopo aver lasciato lo studio, fece finalmente ritorno nella sua camera da letto, addormentandosi poco dopo. Il mattino seguente, Klaus fece la sua comparsa in sala per la colazione, e si accorse subito di Edith seduta al tavolo presa dai suoi pensieri. << Oggi non sembri avere il tuo solito spirito solare. >> disse l’infermiere. << Oh, ciao Klaus…beh, in effetti sono molto preoccupata. >> rispose la ragazza. << Se vuoi parlarne, io sono qui. >> fece presente lui sedendosi. L’amica si mise a parlare della sua ansia al pensiero di cominciare il tirocinio al CPS di Zurigo, ma soprattutto al pensiero delle enormi aspettative che sicuramente lo zio aveva. << Sì, capisco che tu sia spaventata. In fondo è qualcosa di nuovo, ma ricorda che l'ultima cosa che vorrebbe lo zio è metterti pressione inutilmente. >> rispose il giovane infermiere cercando di tranquillizzarla. << Lo so, non dico che lo faccia di proposito…ma tutta la storia che io debba mandare avanti la sua eredità inizia a mettermi ansia. >> incalzò Edith con uno sguardo perso nel vuoto. Klaus sospirò, non poteva certo darle torto, era grossa responsabilità. Provò comunque a rassicurarla facendole pensare che si trattava di una circostanza che sicuramente sarebbe avvenuta tra moltissimi anni. << Anche questo lo so…sono consapevole che avrò tutto il tempo per prepararmi, ma se non fossi all'altezza? >>, disse la giovane titubante, << Poi non sono ancora riuscita a scrivere a Ingrid… >> aggiunse sospirando sconsolata. << Cosa ti trattiene dal farlo? Secondo Abigail andreste molto d'accordo. >> domandò Klaus. << Lo sai come sono fatta, no? Mi faccio ansia da sola, mi metto a rimuginare sulle cose e poi mi blocco. >> si lamentò Edith. << Sì che ti conosco bene, ma non devi temere, non c'è una data di scadenza, puoi scriverle quando ti sentirai pronta a farlo. >> rispose l'infermiere accendano un sorriso. Klaus inoltre le fece presente che in qualunque
momento riteneva necessario del supporto per riuscirci, lui ci sarebbe stato per lei. << Grazie Klaus. >> disse Edith commossa mentre si avvicinò per abbracciarlo. << Ma figurati , con tutte le volte che tu lo fai per me! >> replicò il giovane ricambiando l'abbraccio. Finalmente la giovane infermiera aveva trovato la giusta motivazione, quindi, decisa, prese il suo cellulare e scrisse un messaggio a Ingrid. Nel messaggio faceva presente come Abigail le avesse parlato di lei, ma soprattutto che adorava il suo stile e che come lei, anche Edith era piuttosto nerd. In seguito si mise a fare colazione, adesso sentiva di essersi liberata di un peso, poteva finalmente cominciare al meglio quella giornata. Intanto Hanna raggiunse il padre nel suo studio, chiuse la porta a chiave e poi prese dalla borsa il fascicolo incriminante. << Non voglio girarci troppo attorno, che cosa significano questi appunti? >> chiese la giovane sbattendogli davanti il raccoglitore. << Beh, sono gli appunti per la creazione della cura, sia mai che io me ne dimentichi un giorno? >> rispose ironicamente il dottore. La ragazza si irritò rapidamente alla sua risposta, consapevole del fatto che l'uomo si ostinasse a mentire come al solito. << Non prendermi in giro, ho letto il fascicolo e so degli esperimenti sui paesani..dovevo aspettarmi che avessi combinato qualcosa per farti odiare tanto! >> replicò Hanna. << Non so davvero di cosa tu stia parlando, ma esigo che tu moderi il tono, signorina! >> controbatté l'uomo cercando di deviare il discorso. << Invece lo sai benissimo! Ho visto il laboratorio, e ho visto come quelle povere persone sono state ridotte da te e dalla tua mente malata! >> continuò con insistenza Hanna. La ragazza cominciava a sentirsi mancare l'aria, era evidente che la situazione le stava creando un attacco di panico. Heireich non si scompose, e nemmeno davanti allo stato d'ira della giovane figlia perse il suo portamento e la sua disinvoltura. Avvicinandosi alla figlia le massaggiò lentamente le spalle, invitandola a calmarsi, per poi versarle un po' d'acqua in un bicchiere. Hanna non si fidava a bere quell'acqua, fin quando il padre non fece lo stesso nel suo bicchiere. Se in quell'acqua ci fosse stato qualcosa di strano, suo padre non avrebbe dovuto bere a sua volta. Continuava a non essere convinta di quella gentilezza offerta, fin quando non bussarono alla porta dello studio. Era la signorina Keller, la quale non capiva per quale motivo la porta fosse chiusa a chiave, quel momento di distrazione permise al barone di mettere qualche goccia inodore nel bicchiere della figlia. Si trattava di un siero capace di rendere i ricordi delle persone confusi e sfuocati nelle loro menti. Poco dopo aver bevuto infatti, la ragazza cominciò a lamentarsi di sentire uno strano senso di stanchezza, faceva fatica a rimanere vigile. Il
medico finse di essere sorpreso da quella reazione improvvisa, mentre la giovane da lì a poco perse i sensi accasciandosi con la testa sul fascicolo. L'uomo ripose il fascicolo giallo al suo posto e la mise a letto, nessuno doveva sapere di quell’increscioso episodio. Quando Olga chiese cosa fosse accaduto, il barone disse che semplicemente stavano giocando come al loro solito, ma ad un tratto Hanna aveva iniziato a non sentirsi bene, incolpando un possibile principio di influenza. La signorina Keller non era troppo convinta, c'era qualcosa nei gesti di Heinreich che la faceva pensare che il titolare le stesse mentendo, ma poi si disse che non c'era motivo per cui il medico avrebbe dovuto farlo. Hanna sarebbe poi rimasta a dormire per l'intero pomeriggio, e al suo risveglio non aveva più idea di cosa fosse accaduto. Aveva un forte mal di testa, e aveva rimosso dalla sua memoria non solo la discussione col padre, ma anche le sue scoperte riguardanti la cura. Al suo risveglio, il padre era seduto al suo fianco, le accarezzò il viso, rassicurandola che andava tutto bene. << Mi sento così confusa e stanca…che cosa mi prende? >> domandò timorosa. << Hai avuto un attacco di panico, ti sei svegliata di soprassalto. Stavi scottando, probabilmente ti sta venendo la febbre. >> le spiegò il padre con un tono pacato, continuando a cercare di tranquillizzarla. << Non mi sento affatto bene, papà. >> disse la giovane, rimettendosi sotto le lenzuola. << Non temere, presto starai nuovamente bene, e io sarò sempre qui a prendermi cura di te. >> rispose il medico accarezzando la mano destra della ragazza, per poi prendere dal suo camice una boccetta, somministrando alcune gocce della cura alla figlia. Alle cinque del mattino seguente Edith e Klaus raggiunsero Olga nel bosco vicino al castello. Da quel giorno sarebbe cominciato il loro addestramento, e come la donna aveva anticipato, non sarebbe stato leggero. Mentre la caposala faceva fare ai due ragazzi un po' di riscaldamento, la giovane Hanna dormiva ancora serena nel suo letto. Suo padre fece capolino nella sua stanza per controllare che tutto fosse apposto, e sorrise soddisfatto nel vedere la figlia dormire serenamente. Sapeva bene che al momento del risveglio, la ragazza sarebbe stata confusa sui suoi ricordi, questo gli avrebbe permesso di manipolare la giovane per tenersela buona e calma. Quando si fecero le sei il medico uscì come a suo solito per andare a correre, sereno di essere riuscito a sistemare la spiacevole situazione che si era creata con la figlia, ignaro del fatto che in quel momento Edith e Klaus fossero ad allenarsi anziché nei loro caldi lettini. I due, nel mentre, avevano terminato il riscaldamento iniziale; e cominciarono ad apprendere da Olga le basi del combattimento corpo a corpo in abito di autodifesa personale. Rimasero particolarmente colpiti dalle
tecniche della donna – nonostante anni e anni di pratica, Hans continuava ad essere una spalla sotto alla donna. Poco prima del ritorno al castello del barone, i due giovani infermieri avevano già fatto ritorno a casa, e si trovavano pronti alle loro postazioni di lavoro. Nonostante l'ovvia stanchezza, avrebbero dovuto comportarsi come nulla fosse. Al suo risveglio, la giovane Hanna si era presentata in sala per fare colazione, proprio come il medico aveva immaginato non ricordava nulla di compromettente. L'unico ricordo indelebile era la conversazione avuta col nonno, di cui suo padre era allo oscuro, ma che lei cominciava a vedere come una montagna di accuse infondate al genitore. Ad un tratto, Hanna si rivolse sorridendo al padre, e gli fece presente la sua intenzione di voler al più presto cominciare i preparati delle nozze. Heinreich sorrise a sua volta, sorseggiando soddisfatto il suo latte macchiato. C'era mancato davvero poco, ma fortunatamente la situazione era tornata nel suo pieno controllo. Per essere però maggiormente sicuro, decise di far sparire dal suo studio e dal castello tutto ciò che poteva comprometterlo con Hanna. Sicuro che i preparativi delle nozze avrebbero tenuto presa la figlia, confidava di poter proseguire le sue illecite azioni senza doversi preoccupare di altri eventi del genere. Mentre padre e figlia trascorrevano lietamente la loro colazione, vennero interrotti dall'arrivo della signorina Keller. << Heinreich, mi dispiace disturbare il momento, ma è appena arrivato il nuovo bibliotecario mandato dal museo di Zurigo. >> disse la donna. << Oh finalmente, non vedevo l'ora di conoscerlo! Hanna perdonami, il dovere mi reclama. >> rispose il barone osservando le due donne e poi abbandonando la sala. La biblioteca del castello era la più grande al mondo, e conservava al suo interno 158 milioni di libri in oltre 470 lingue. Da quando aveva iniziato a conservare documenti importanti riguardo eventi storici e legati alla più importante famiglia nobiliare prussiana, il museo aveva stabilito che doveva essere gestita da un emissario inviato da loro stessi. Il precedente incaricato era recentemente andato in pensione, e finalmente il museo di Zurigo aveva inviato il nuovo rappresentante. Quando il barone si fece avanti nella grande sala della biblioteca, ad attenderlo c'era un giovane ragazzo magrolino e di statura alta. Il medico osservò il ragazzo dai capelli castano chiari e dai grandi occhiali da vista, quello che subito aveva colpito il barone era lo stile steampunk del giovane. << Finalmente è arrivato il candidato nuovo di zecca, ti do il benvenuto! >> disse l'uomo porgendo la sua mano. << Lieto di essere qui, signore! Sono Caleb Edward Cox. >> rispose il ragazzo balbettando. Il medico prese subito in simpatia la nuova recluta impacciata, sicuro che con un po' di tempo sarebbe diventato un buon dipendente. Nell'immediato il giovane Caleb si mise a catalogare i libri, poco dopo notò un
libro che parlava del famosissimo conte Dracula. << Oh, Dracula. Si dice che fosse un grande condottiero e che avesse venduto la sua anima al diavolo per raggiungere fama e potere. >> disse il giovane osservando il libro. << Errato, non fece ciò per banali ricchezze.. al suo ritorno da una guerra trovò la sua sposa morta, uccisa da un branco di turchi che egli aveva precedentemente sconfitto. >> ribatté il medico correggendo il bibliotecario. << Poi cosa successe, signore? >> domandò curioso Caleb. << Distrutto dalla perdita, il conte rinnegò il suo Dio, e cedette la sua anima alle tenebre, così da poter avere i mezzi per vendicarsi di chi gli aveva portato via l'unica ragione della sua vita. >> spiegò il medico distogliendo lo sguardo. In fondo Heinreich era consapevole che, in un certo senso, era proprio quello che aveva fatto lui, essere disposto a tutto pur di raggiungere la sua vendetta sul paese. << Vedi mio caro Caleb, nessun uomo nasce mostro, ma spesso è il mondo a renderci tali. >> incalzò il dottore. Lasciò poi Caleb alla sua mansione, chiedendosi se potesse o meno stare tranquillo con quel giovane in circolazione. Nel contempo, Edith si trovava alle sue ordinarie funzioni, quando si accorse che il suo cellulare aveva emesso il suono di una notifica. Riconobbe subito che si trattava di una notifica di Instragram, quindi a meno che Klaus non avesse mandato una delle sue solite meme, doveva per forza trattarsi di Ingrid. La ragazza prese un respiro e si mise a controllare, per poco non le prese un colpo quando si rese conto che era proprio un messaggio da parte della rossa. Edith prese coraggio e lesse cosa la sua risposta. Nel messaggio Ingrid la ringraziava per i complimenti ricevuti, dicendo che aveva sentito parlare molto bene di Edith, di quanto fosse una persona genuina e sensibile, senza togliere il fatto che ad entrambe piaceva moltissimo “Le bizzarre avventure di Jojo”. Sembrava proprio che la giovane infermiera avesse fatto una buona impressione; adesso che si sentiva più sicura di sé, poteva risponderle con più serenità. Decise quindi di partire con la classica domanda: “Che cosa fai nella vita? Studi o lavori?” Dopotutto, Abigail non aveva raccontato quasi nulla sulla sua migliore amica, quindi c'era tutto un mondo nuovo da scoprire. Klaus nel frattempo aveva ricevuto un messaggio da parte di Abigail, la giovane dai capelli nero corvino gli aveva chiesto di vedersi quel pomeriggio in paese perché necessitava di parlare con lui urgentemente. L'infermiere, un po' preoccupato per quella richiesta tempestiva, le propose di vedersi nella piazza del paese, dove si trovava la meridiana. Poco dopo raggiunse la portineria, trovando Edith alle prese col suo cellulare. << Ti vedo presa bene, novità? >> le chiese Klaus interessato. << Sì, ho iniziato a scrivermi con Ingrid e per il momento mi sto trovando
molto bene. >> rispose Edith sorridendo. Al contrario, Klaus era visibilmente preoccupato, subito l'infermiera gli chiese cosa ci fosse che non andava. << Nulla, sono preoccupato…Abigail mi vuole vedere con urgenza oggi pomeriggio. >> spiegò titubante l'infermiere. L’amica gli diede un pacca sulla testa, incoraggiandolo a non preoccuparsi, secondo lei quell'incontro non predestinava nulla di male. Klaus annuì, sicuramente aveva ragione, si stava facendo solo delle inutili paranoie. Più tardi, alle cinque in punto, scese in paese per raggiungere la piazza principale e vedersi con Abigail; il suo cuore batteva forte, ansioso di scoprire di cosa doveva parlargli con così tanta urgenza. La ragazza era già arrivata e si era seduta accanto alla fontana ad aspettarlo. << Eccomi, che cosa è successo? Inizio a preoccuparmi sinceramente. >> disse l'infermiere pallido in viso. << Siediti e respira, non è successo nulla di male. Volevo solo discutere della nostra situazione. >> spiegò la ragazza. << Di quale situazione stiamo parlando? >> domandò Klaus confuso. << Della nostra, ovvio! Insomma, ormai ci vediamo molto spesso e ci sentiamo praticamente tutto il giorno…credo sia il momento di fare un passo avanti, se sei d'accordo. >> gli rispose Abigail, guardandolo negli occhi. << Mi stai dicendo che..stiamo tipo per fidanzarci? >> chiese stupefatto Klaus. << Beh sì, praticamente sì. Ma come mai tanto stupore? >> replicò lei. Alla sua domanda, il giovane le disse che era la prima volta che una ragazza faceva la prima mossa con lui, ma poco importava, perché in fondo era ciò che voleva a sua volta. << Allora dobbiamo festeggiare questo nuovo step! Dai, ti porto a prendere un gelato. >> disse Abigail sorridendo al biondo. Andarono ad una gelateria lì vicino tenendosi per mano e si fermarono a prendere un gelato; si stavano divertendo, e si fecero diverse foto assieme. Klaus intanto non vedeva l'ora di tornare al castello per dare quella magnifica notizia alla sua famiglia. Quando fece ritorno era ormai ora di cena, e il resto della famiglia lo stava aspettando in sala. Una volta che Klaus annunciò la lieta notizia, partì un fragoroso brindisi di festeggiamento. Edith osservava sorridendo la scena, era molto felice che le cose per Klaus e Abigail stessero andando così bene. Lo stesso valeva per Hanna, inoltre questo significava che si era appena guadagnata una damigella in più al suo matrimonio. Dopo cena, mentre il resto della famiglia si era ritirato nelle proprie stanze, Hanna aveva iniziato a dare un’occhiata ad alcune cose per il matrimonio, in camera sua. Suo padre invece aveva iniziato le sue consuete consulenze notturne, tutto al castello era tornato come doveva essere. Quella stessa notte, diversi membri del paese si erano riuniti alla taverna del
giovane Gilbert. Era stato il signor Ebermund, il più anziano tra i partecipanti, ad aver convocato tutti. Il motivo era semplice, andava finito il lavoro iniziato. Quale lavoro? Ovviamente, quello di togliere di mezzo il barone una volta per tutte. Il giovane Gilbert chiese come mai, a distanza di anni, quella faccenda continuasse ad esistere. Il signor Folkher trasse un sospiro, nessuno di loro poteva sottrarsi a quella incresciosa situazione che durava da oltre vent’anni. Folkher iniziò a raccontare come oltre trent’anni prima, il vecchio barone Von Reichmerl aveva aiutato economicamente molte famiglie del paese. In moltissimi si erano rivolti a lui per prestiti di soldi, con la promessa di saldare in tempi brevi quei debiti. Purtroppo, col passare del tempo, la situazione era soltanto peggiorata, e nessuno era stato in grado di ripagarlo. L'anziano nobile, da uomo vile e senza scrupoli che era, aveva cominciato a ricattare quella gente. Se non volevano ritrovarsi in mezzo alla strada, avrebbero dovuto fare quello che lui richiedeva, e quando lui lo esigeva. Ventidue anni prima, chiese addirittura che sua figlia venisse tolta di mezzo; Heinreich sarebbe invece dovuto rimanere vivo, riteneva che sarebbe stato più divertente vederlo eliminarsi con le sue stesse mani. Più avanti, aveva tentato di impossessarsi della creatura della coppia, ma sfortunatamente la presenza di Hans e Olga al castello non aveva permesso tale evento. Adesso, a distanza di anni, l'uomo voleva mettere fine a quella storia; e tutti quei debitori, convinti di potersi finalmente liberare del loro peso, avrebbero dovuto assecondare le sue volontà. Il giovane Gilbert fece presente che l'uomo era ormai vecchio e malato, sarebbe bastato attendere la sua morte per liberarsi di quel fardello. Purtroppo il signor Ebermud spiegò che non era così semplice, il loro vecchio aguzzino era probabilmente prossimo alla morte, ma non il suo fidato tirapiedi. Nessuno sapeva chi fosse, solo che si trattava di qualcuno che si prendeva cura di lui e che gestiva tutta la questione al posto suo. I paesani di Hartmann erano convinti che se alla morte del senile barone la situazione non si fosse conclusa, quell’uomo non avrebbe dato loro alcuna tregua. Quella storia doveva finire alla svelta, per questo motivo la loro idea era quella di mandare un povero disgraziato al castello a fare il lavoro sporco. L'uomo avrebbe dovuto fingersi un bisognoso di aiuto, di conseguenza il medico non si sarebbe potuto sottrarre ai suoi doveri. Gli sarebbe quindi bastato aspettare l’occasione giusta per ucciderlo. Tutti i presenti erano convinti che quella fosse la soluzione migliore per risolvere finalmente il loro problema. Non occorreva altro che attendere il momento propizio per agire.
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Angie pensi sia un ritiro definitivo o torna tra un paio di anni?
Sono un po’ confusa, lo ammetto… non credo di riuscire a dare una risposta al momento. Cioè per come parlava, per come era sul palco (non era triste del tutto, era… serio, molto serio pure troppo) sembrava di si. Ma poi ho visto video di tutto il circo che stava letteralmente di fronte a me e di cui non mi sono nemmeno accorta e allora ci ripenso e dico “nah, fra sei mesi ha fuori un altro album.” Davvero, non riesco a dare una risposta.
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Fa il suo ingresso con un simil silenzioso « è permesso? » un po’ vago ed un po’ a caso, facendosi spazio all’interno di quella stanza suddivisa da tende e quant’altro che col passare del tempo ha un po’ imparato a conoscere. « Mi è giunta voce te ne stia andando? »... « non ti ho portato fiori, quelli solo al funerale » okay? « ma ti porto qualcosa di molto più raro e prezioso. Puoi chiedermi un favore. Qualsiasi favore. » le sopracciglia a flettersi, aggrottando la fronte con serietà.
« Sebby » lo saluta a suo modo con un breve cenno della testa mentre facendo da perno con la mancina sulla valigia ruota il busto e la stampella per aiutarsi a prender posto sul poco spazio disponibile sul letto. Un movimento goffo e impacciato che tende a nascondere con un tono di voce molto più sicuro e fin troppo squillante « Saranno pieni da fare per le macerie di feriti del Ministero » conferma abbozzando un sorriso tetro tentando di nascondere il moncone bendato incrociandolo dietro la gamba sana. [...] « Ci sto pensando, ma intanto, tu » una breve pausa « come stai? » chiede diventando tutto d’un tratto seria suggerendo probabilmente che la domanda non è mera cortesia, quanto più un riferimento ai fatti che hanno scombussolato l’intera comunità magica nei giorni passati.
Sebby — non più abituato a questo nomignolo, solleva il capo di rimando e si ritrova a guardarla. Eppure, rimane quasi sorpreso da quella risposta. « Ah. Ti stanno dimettendo? » Quella sottospecie di domanda retorica rimanda al sotto testo: non sei tu che stai andando via? Alquanto perplesso dalla scelta del San Mungo, arriccia appena le labbra e « eh già » in riferimento a quelle dannate macerie. Le labbra appena arricciate, chiaramente in difficoltà. « Preoccupato per gli ultimi avvenimenti. » Corrucciando appena la fronte, trattenendo il fiato, tra una cosa ed un’altra. « Se gli All Gifted arrivassero al San Mungo, sarebbe un bel problema » le sopracciglia a flettersi appena, di chi ha passato un po’ di tempo a pensarci. « Ma vabbè » con un gesto rapido della mano, quasi superficiale « tu? » ma sì, chiesto quasi per caso, buttato lì tra le tante domande che si potrebbero porre.
« Sto per essere abbandonata dai Guaritori qui fuori » la mancina che si apre totalmente cercando di avvicinarsi al catalizzatore « senza una protesi, con la stampella alla mano destra, la stessa che uso per usare la bacchetta » ... « in un mondo dove maghi oscuri attaccano i cittadini, un altro branco di pazzi fa cadere letteralmente il Ministero e miete vittime » gli occhi spalancati osservano quell’oggetto magico nella mano sinistra, decisamente non avvezza a quella sensazione « il caro primo Ministro da le dimissioni nel momento meno opportuno dichiarando implicitamente quanto debole il Ministero della Magia inglese attualmente sia » lentamente solleva testa e sguardo puntando gli occhi verdi sul volto di Sebastian, un po’ spaurita e abbattendo ogni difesa di orgoglio e sicurezza, in quella posa da bambina scoraggiata e confusa che impugna la bacchetta con l’insicurezza tipica di una primina da Olivander prima di partire per il suo primo anno a Hogwarts. « Bene, sto bene. » sorride mestamente.
« Se non vuoi andartene, perché non scrivi un gufo alla Direttrice del San Mungo? » lo sguardo a puntarsi nel suo. « Io non ti lascerei andare, se fossi un Guaritore. » eppure non dice alcunché, di quel progetto taciuto e non ancora espresso. « Hai bisogno di tutto il sostegno che questo mondo magico possa darti. » la voce bassa, ricambiando il suo sguardo e « Pembroke è sempre stato un coglione » rude, diretto. Senza pietà, appunto. « Ogni tanto -- -- ------- -- ----- » una questione che nessuno sa, ecco cosa. Forse neanche Ilary. « -- -- ------ --------------, ----- --- ---. Colpa di un rituale aritmantico andato male molti anni fa, ----'----- ------ ------------. E se un giorno dovesse ---------- ------- --- ------- con un mago oscuro? » nella condivisione di quel qualcosa che manca, alla fine dei conti.
[...] « Capisco cosa può significare non avere scampo. Quasi ventinove anni passati con delle certezze e poi ritrovarsi a dover imparare a castare un Lumòs in piena notte con la speranza viva di vedere accendersi la punta della tua bacchetta » e mentre lo dice la solleva anche, con la mano sinistra. « Ti ricordi quel favore che mi hai promesso? È proprio in nome di quella sensazione di inutilità che ti chiedo una pozione. » ferma e decisa nonostante la voce flebile.
[...] Eppure è dopo un po’ che torna col viso verso di lei, guardandola quando lei porta avanti quella richiesta. « … sì? » eccome se se lo ricorda. « Una pozione? » retorico, però.
« Non ora, non subito, e forse mai. Solo qualora te la chiedessi, -- -- ---- --- --------- ------------ » un attimo di pausa, uno sguardo di sottecchi ad accertarsi che oltre le tende non vi sia nessuno di passaggio. « -- ------------- » scandisce con le labbra, senza emettere alcun suono per non esser sentita, guardandolo dritto in volto e inclinando la testa quanto basta per poter essere vista solo da Sebastian. « Un favore. Qualsiasi favore. Ricordi? »
Ma lo sguardo si punta particolarmente su di lei, a quella richiesta tanto diretta, quanto inusuale. Qualsiasi favore. Damn. Ed è serio, lo sguardo che le rivolge. Sta giocando col fuoco. Persino lei. Come incastrato, la guarda. « Non qui. E ci sono delle regole » più sussurrato, ma sfrutta la vicinanza, per questo. « Poi. » prima d’impegnarsi a chiudere frettolosamente ogni traccia di discorso in merito.
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LA FAME EMOTIVA: IL DOPPIO LEGAME TRA EMOZIONE E CIBO
Nel corso della giornata capita, talvolta, di ritrovarsi a mangiare non perché spinti dal reale senso di fame, ma semplicemente per togliersi qualche sfizio e golosità. Non solo, molti di noi, utilizzano il cibo per placare lo stress emotivo o per soddisfare altri bisogni inappagati: questo porta, quasi inevitabilmente, a far si che si instauri un circolo vizioso che sfocia nel senso di colpa.
Per riuscire a correggere le cattive abitudini alimentari, occorre riacquistare la consapevolezza di ciò che mangiamo.
Cos’è la fame emotiva❓
Ti è mai capitato di trovarti solo in casa, aprire il frigorifero e addentare in maniera vorace il primo cibo che ti si presenta alla vista❓ Se la risposta è sì, è probabile che tu abbia sperimentato la fame emotiva.
Ovviamente mangiare un po’ di più del dovuto occasionalmente, per esempio ad una festa in un’atmosfera di convivialità, non è certo un’esperienza riconducibile alla fame nervosa. Se, però, le abbuffate si presentano con una certa frequenza e sono legate a sensazioni ed emozioni spiacevoli è possibile cadere nel circolo vizioso per cui il cibo viene utilizzato inconsapevolmente per cercare di appagare bisogni insoddisfatti o per far fronte a problemi che ci tormentano.
Differenze tra fame emotiva e fame fisica
La fame emotiva viene spesso confusa con una fame fisica reale in quanto si presenta in maniera impetuosa. Ci sono però alcuni trigger che possono aiutarci a distinguere i due tipi di fame:
FAME EMOTIVA
si presenta improvvisamente, sopraggiunge in un istante, ha un potere quasi travolgente e si percepisce come un bisogno da soddisfare immediatamente,
si tratta di un impulso che porta a ricercare cibi specifici (solitamente cibo spazzatura),
non fornisce il senso di sazietà, si avverte un vuoto incolmabile,
è legata a emozioni e sensazioni negative, quali senso di colpa, impotenza e vergogna.
FAME FISICA
si presenta gradualmente e il suo soddisfacimento può anche non essere immediato: sensazione che si può “resistere”,
si orienta “naturalmente” verso il cibo ed è aperta ad ogni tipologia di alimento,
fornisce un senso di appagamento e cessa quando avvertiamo di essere pieni,
implica l’appagamento di un bisogno fisiologico e non è legata a sentimenti negativi.
Come scoprire se sei un mangiatore emotivo
Alcune domande potrebbero farvi riflettere sul vostro modo di cibarvi e su come questo può essere associato ad emozioni negative:
Mangi di più quando ti senti stressato❓
Continui a mangiare anche quando non hai fame o sei sazio❓
Tendi a premiarti con il cibo❓
Il cibo ti fa sentire al sicuro❓Senti il cibo come un amico consolatore❓
Ti senti impotente o senti di perdere il controllo quando mangi molto❓
Come combattere la fame emotiva❓
Una volta identificato il problema e aver raggiunto la consapevolezza di essere entrati nel circolo vizioso della fame emotiva, è molto difficile riuscire ad uscirne senza un aiuto esterno, nonostante ci sia la volontà di cambiare.
La prima cosa da fare quindi è rivolgersi a degli specialisti qualificati il prima possibile per evitare che il problema si cronicizzi.
A chi rivolgersi❓
La soluzione migliore consiste nell’intraprendere un percorso integrato, guidato da un’équipe medica composta da psicologo e nutrizionista.
Il programma prevede un cambiamento nello stile alimentare attraverso un piano personalizzato in base ai fabbisogni nutritivi ed energetici del soggetto, per garantire l’acquisizione di un’alimentazione consapevole ed equilibrata.
Per quanto riguarda la componente psicologica, il soggetto viene guidato con l’aiuto dello specialista ad affrontare le problematiche emotive e sentimentali al fine di ristabilire un rapporto sano col cibo.
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Odio la domenica pomeriggio. Credo che non esista parametro migliore per valutare quanto ti piace la tua vita, ed è evidente che la risposta sia "poco". Ho una marea di messaggi a cui dovrei rispondere ma non mi va, non mi interessa. Odio la domenica pomeriggio che in questo momento rappresenta così accuratamente come mi sento. Come? Vuota, grigia, viola, lilla. Sempre lì convergo, sulla tua ametista, B. (perché questa frase sembra vagamente allusiva?). Tu dici che anche il lilla può essere bello, ma non riesco a vederla così. Vedo che da qualche parte deve esserci per forza del dolore che devo ancora sentire; non è possibile che sia finito così, "solo perché...". Eppure non lo sento, e senza quelle nubi nere mi sento nuda, spoglia (spogliata). Dov'è finito tutto? Io non voglio stare male e bada bene, tu, ente cosmico di possibile esistenza che ti diverti a farmi gli scherzetti, non mi manca avere costantemente gli occhi arrossati dal pianto ma sono confusa, e mi sento un po' persa. Che senso ha avuto? Oggi ho realizzato che ormai è un'altra storia che si è aggiunta al mio passato. Non voglio nemmeno chiedermi se mi ricercherà mai, e forse la risposta a questa domanda è dove si nasconde quel dolore che mi sfugge, quelle lacrime che mi eludono ma che intravedo quando nel parcheggio passo davanti a quella stupida Citroen con l'adesivo della Sardegna e distolgo lo sguardo, quando lo shuffle di spotify mi palleggia tra ICU, destri e see you soon e il dito va avanti senza pensarci un secondo, quando qualcuno dice "cool" e mi scatta in automatico il "porco...", quando vedo lei che le somiglia così tanto e devo sopprimere l'istinto di abbracciarla. A lei non manco e probabilmente ha senso che sia così, ed è evidente che la disperazione che provavo i primi giorni non era reale, non era lei, erano i miei fantasmi, il mio papà. Però quello che c'era sotto era suo, era reale, e quella sofferenza dov'è ora? Accettare, parlare, riconsiderare, capire, perdonare. Tutte belle parole, dovrei essere fiera di come l'ho affrontata. Però ora è domenica pomeriggio e sto sdraiata sul letto e ripenso a quanto cazzo ci ho tenuto a questa persona che a malapena ha sfiorato la mia vita e finalmente quella lacrima in bilico mi cade giù sulla guancia, ma mi muore sulle labbra. È una, una sola lacrima che contiene tutte le cose che non abbiamo fatto e la speranza spezzata di guadagnarmi un angolino, defilato, nella sua vita in cui sedermi e dove restare. Avrei voluto così tanto che tutto questo avesse un senso, e invece un senso non ce l'ha. Penso allo sguardo indignato e schifato che ha fatto quando le ho chiesto se le fossi mancata, penso al senso di vuoto che ho provato sedendomi sul muretto di casa sua perché "volevo solo essere tua amica". E fa male, ma non brucia più. È il dolore che ho provato che ormai ho inglobato dentro, un taglio, uno dei miei sassi. In quella casa non ci entro più, è tutto spento, si accumula la polvere. Non so se riuscirò mai a chiudere quella porta però, perché ci ho creduto così tanto che potessimo farci del bene, che ne valesse la pena, che ad oggi non riesco a immaginare il giorno in cui se mi chiedesse di riprovarci io non direi "okay".
Così come la disperazione è diventata dolore quando ho smesso di sentirmi in pericolo, così come il dolore è diventato sofferenza quando ho accettato sia andata così, così come la sofferenza è diventata malinconia quando ho smesso di darmi la colpa, diventerai mai indifferente per me? La mia vita è andata avanti e anche io, anche se a volte mi dimentico che non ci sei più e mi giro quasi a cercarti per poi ricordare che non mi vedrai. E fa male perché se io ho lasciato andare, se ciò che tormentava me è diventato una ferita da guardare contro luce, quanto semplice deve essere stato per te? Sono diventata una dei tuoi fantasmi o non ero abbastanza importante? Ho paura che tu mi dimentichi e che lo abbia fatto con la stessa facilità con cui ogni volta te ne sei andata. Non so se riparleremo mai, ma spero che in qualche biforcazione dello spaziotempo le cose siano andate diversamente ed io sia riuscita almeno a lasciarti un pezzetto di me.
Non so se riparleremo mai, ma mi chiedo se ti piacerebbe la persona che sto diventando. Mi facevi avere voglia di essere una persona migliore, rendevi tutto un po' più bello. Anche me.
Metto via, e faccio finta di niente.
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Proteggimi da me - 26. Tu mi rendi felice
Non avrei dovuto farlo.
Non avrei dovuto baciare Selene.
Mentre percorro la strada per tornare a casa sono assillato da pensieri di ogni tipo. Mi sento in preda ad una specie di febbre, sono euforico e completamente perso e depresso allo stesso tempo.
È stato incredibile.
Sono completamente assorbito dalla sensazione delle sue labbra sulle mie, la sento ancora sottopelle come l'effetto di una droga che potrebbe sparire da un momento all'altro e lasciarmi in balia di una voglia incontrollata.
Baciandola ho frantumato tutte le barriere che avevo messo tra me e lei e adesso non posso più fermarmi. Non sarebbe dovuta andare così. Ho immaginato tanto questo momento e volevo che le cose fossero perfette. Dovevo prima chiudere un capitolo della mia vita.
Eppure, se ci penso, non avrei potuto scegliere un momento migliore.
Che dovrei fare adesso? Me ne sono andato con un certo turbamento nell'animo e anche Selene mi è sembrata piuttosto smarrita. Forse dovrei scriverle un messaggio. Forse dovremmo parlarne, dovrei dirle di Lara prima che lo scopra da sola. Non vorrei perderla di nuovo, adesso che l'ho ritrovata. A dire il vero non sono neanche sicuro che non lo sappia. Sono sempre stato vago con lei ma Stefano ne è al corrente e forse ne avranno parlato.
Una volta a casa, non riesco a stare fermo un attimo. Penso a Lara; non sarei dovuto arrivare a questo punto, ma ci sono arrivato e devo assolutamente parlare anche con lei. Questo però implica che dovrò partire, tornare a casa. Ho rimandato troppo a lungo, aspettando che le cose si risolvessero da sole, e ho peggiorato la situazione. Giro per le stanze in maniera confusa, rincorrendo pensieri che sfumano e si accavallano velocemente.
Non so che fare.
Vorrei tanto rivedere Selene, stasera. Potrei passare a prenderla per andare a bere qualcosa insieme. Dopotutto ha passato l'esame, deve festeggiare. Prendo il telefono e scrivo un messaggio.
- È stato bello prima. Vorrei baciarti ancora.
Lo invio.
Lei lo legge subito e io trattengo il fiato in attesa della risposta. Però non arriva niente. Fisso la chat per più di cinque minuti, ma non succede niente. E poi chiudo gli occhi e avvicino un pugno alla fronte.
Merda, merda, merda.
Perché gliel'ho mandato? E se lei si fosse già pentita? Magari si è ricordata del mio lavoro e di quello che rappresenta per lei.
Sono sempre stato un po' insicuro con le ragazze, con Selene lo sono di più. Mi ha confuso fin dal primo giorno, non riesco mai a capire cosa pensa realmente, cosa vuole. So però cosa voglio io e in questi giorni che siamo stati separati è apparso tutto così evidente, chiaro come il sole. Mi sono sentito come se un pezzo del mio cuore si fosse atrofizzato, morto dopo che Selene vi aveva piantato dentro una coltellata decisa.
Ero fuori di me dalla rabbia e dalla collera, ma più di tutto sentivo la sua mancanza. Sentivo che la mia vita era diventata di nuovo apatica, monotona e piena di incertezze, fino ad oggi. Fino al momento in cui l'ho stretta di nuovo tra le mie braccia. Mi sono lasciato travolgere dalla sua felicità. Era così bella che non ho resistito all'invito che quelle labbra tumide mi stavano facendo.
Subito mi sono ricordato di tutto quello che ci eravamo detti l'ultima volta che ci eravamo visti e mi sono tirato indietro. Non volevo assolutamente creare un'altra situazione spiacevole tra noi. Però lei ha saputo stupirmi.
Rivivo quel momento nella testa per tutto il giorno mentre il telefono resta muto e il mio umore precipita sotto ai piedi.
È ormai sera quando il mio cellulare inizia a squillare. Sono sonnecchiante sul divano a guardare una partita in televisione. Getto controvoglia un'occhiata al display, pensando già che non risponderò. Non ho voglia di parlare con nessuno. Mi si ferma il respiro quando leggo il suo nome.
Afferro il telefono e mi schiarisco la gola prima di rispondere.
‹‹Pronto?››
‹‹Ehi, che fai?››
Mi alzo dal divano e comincio a passeggiare per la stanza. ‹‹Niente di che, sono a casa. Tu?›› Cerco di essere disinvolto e non far trasparire neanche un po' dell'ansia che mi sta mangiando.
‹‹Io sono uscita a festeggiare.››
‹‹Ah, senza di me?›› rispondo risentito.
‹‹Ante, dicevi sul serio in quel messaggio?››
Mi passo la lingua sulle labbra, come se sopra ci fosse il suo sapore. ‹‹Sì.››
‹‹Allora magari potresti aprirmi la porta.››
‹‹Sei qui fuori?›› un sorriso sghembo affiora sulla mia bocca.
‹‹Certo.››
‹‹Sali.››
Resto vicino alla porta ad aspettarla. Lei arriva e porta con sé l'aria fredda della sera, ha le guance arrossate dal vento e le mani ghiacciate quando gliele stringo.
Siamo entrambi un po' impacciati. Ci abbracciamo e io non vorrei staccarmi. Mi piace la sensazione del suo corpo che aderisce al mio, mi piace tenerla stretta.
‹‹Dove sei andata a festeggiare?›› chiedo mentre le sfilo il giubbotto pesante. ‹‹Nello stesso posto in cui mi hai portato l'altra volta?››
Ha una gonna di lana grigio scuro e un maglione azzurro polvere.
‹‹Sì. Livia e Gloria ti mandano i loro saluti anche se sono arrabbiate perché le ho mollate per venire qui.››
‹‹Per venire qui da me?›› ripeto come un idiota.
‹‹Scusami se non ti ho invitato, ma dopo il nostro bacio e il tuo messaggio non volevo dividerti con nessuno.››
Ho passato tutto il pomeriggio ad arrovellarmi il cervello e lei non voleva dividermi con nessuno. Sto per prenderla in braccio e baciarla, ma, per quanto desideri trascorrere la serata con lei tra le mie braccia, mi ricordo che c'è un discorso importante che dobbiamo affrontare.
‹‹Selene, devo dirti una cosa.››
‹‹No, aspetta. Devo dirti una cosa prima io.›› Mi stringe le mani e sorride, felice. ‹‹Io ti devo delle scuse. Per molti miei comportamenti poco carini, per averti giudicato senza nemmeno conoscerti. Da quando sei entrato nella mia vita mi hai reso di nuovo una persona felice. Mi hai fatto tornare ad amare quello che facevo, mi hai messa davanti ai miei limiti e mi hai fatto crescere. L'altra sera, quando mi hai detto che pensavi che fossimo qualcosa di più di amici, avevi ragione. Per me sei più di un semplice amico.››
Sollevo un sopracciglio, ironicamente. ‹‹Migliore amico?››
‹‹Qualcosa di diverso.››
È solo un secondo che passa tra i nostri sguardi come una saetta. Ci ritroviamo a muoverci nello stesso momento, nella stessa direzione. Le nostre bocche si uniscono e una scarica elettrica mi attraversa il corpo. È tutto più intenso rispetto a stamattina. Affondo una mano tra i suoi capelli e la lingua nella sua bocca. Selene risponde con impeto e quando ci stacchiamo siamo entrambi a corto di fiato.
‹‹E tu invece cosa devi dirmi?››
La prendo per mano e la porto sul divano. I suoi occhi luccicano felici e mi fissano in attesa, tiene la mano nella mia, è ancora un po' fredda. Se le dicessi di Lara in questo momento spegnerei la luce che ha sul viso e non voglio. Allo stesso tempo, se non glielo dico ora non sarei sincero e voglio che lei si fidi completamente di me.
‹‹Selene... io sono innamorato di te.›› Lei spalanca un po' gli occhi. Io sorrido imbarazzato e abbasso lo sguardo. ‹‹Tu mi rendi felice e rendi sopportabile questo periodo molto buio che sto vivendo. Sei stata l'unica a starmi realmente accanto. Ma non è solo per questo, mi piace tutto di te. Anche quando fai la stronza e mi fai innervosire.›› Selene ridacchia e io alzo di nuovo lo sguardo su di lei. ‹‹È già da un po' che avrei voluto baciarti e se non l'ho fatto è stato solo perché...››
‹‹Perché sono una stronza›› mi interrompe. ‹‹Perché spesso parlo senza riflettere e ferisco le persone.››
Il suo sguardo si intristisce. Le accarezzo il volto. ‹‹Tu non sei una stronza, Selene. Sei solo insopportabile. A volte.››
Lei scoppia a ridere. ‹‹Adesso basta parlare. Non sono venuta qua per questo.››
Vorrei obiettare che ho ancora una cosa da dirle, ma Selene si mette a cavalcioni su di me e qualsiasi tipo di pensiero evapora via. Vengo travolto dal suo profumo e i suoi occhi scuri si incollano ai miei, mentre sento il calore delle sue gambe sulle mie. Non sono più in grado di ragionare, tutto si concentra verso l'unica parte del mio corpo che stavo cercando di tenere ancora a bada.
Appoggio la testa sullo schienale e le stringo i fianchi. Le mani delicate di Selene sono sul mio viso, raggiunte subito dalla sua bocca, morbida e calda. È lei a condurre il gioco e io non ho nulla in contrario, alterna baci lenti a baci profondi, una danza erotica che mi manda fuori di testa.
Voglio spogliarla, infilarmi tra le sue cosce, fino in fondo. Le mani seguono i miei pensieri, andando a chiudersi sulle sue natiche piene. Le spingo verso il rigonfiamento che preme sotto ai pantaloni della tuta. Selene emette un flebile gemito e si struscia. Non mi spingo oltre, non infilo le mani sotto alla sua gonna, resisto all'istinto di muoverla ancora su di me.
Il desiderio è talmente forte che si trasforma presto in agonia. Sono pieno del suo odore, della sua bocca e dei suoi ansiti e vorrei di più, molto di più, ma mi abbandono a lei, al suo ritmo, al suo volere. Restiamo avvinghiati per un bel po', come trasportati in una dimensione dove non esiste niente all'infuori di noi.
Ad un tratto Selene smette di baciarmi e poggia la fronte sulla mia spalla. ‹‹Devo andare›› piagnucola.
‹‹Adesso?!›› non ho nessuna intenzione di lasciarla andare.
‹‹È tardi.››
‹‹Puoi restare qui, se vuoi.››
Selene si tira indietro e mi guarda. ‹‹Ma non ho portato niente.››
Passo una ciocca che le ricade sul volto dietro l'orecchio. ‹‹Di cosa hai bisogno?››
‹‹Del pigiama, per cominciare.››
Sorrido, la sollevo dalle mie gambe e mi alzo. Le prendo il mento tra le dita, baciandola. ‹‹Te lo do io il pigiama.››
Tiro fuori dall'armadio una delle mie vecchie tute e gliela porgo. Lei è titubante, la prende e resta a guardarmi.
La indirizzo verso la porta del bagno con una spintarella sulla spalla. ‹‹Nel mobile del bagno trovi asciugamani puliti e tutto quello che ti serve.››
Una volta solo mi siedo sul bordo del letto e mi sfilo i pantaloni. Sono eccitato. Tanto eccitato. Cerco di sistemarmi l'erezione in modo che non si veda troppo, ma fa male.
Puoi restare qui, se vuoi. Che idea fantastica!, si fa beffe di me la vocina nel mio cervello. Dovrò dormire con Selene al mio fianco e questa erezione che non mi darà tregua.
Sarà un inferno. Sarà una tortura. Ma è giusto così. È giusto che io soffra, è la punizione per essere arrivato a questo punto senza prima risolvere i miei problemi.
Mi sistemo nel letto cercando la posizione più comoda, cercando di non pensare a Selene che adesso si sta spogliando nel mio bagno. Sospiro, mi attende una lunga notte.
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Quesito Buongiorno Padre Angelo, spero di trovarla in ottima salute. Vorrei porle un quesito che mi interessa moltissimo. Un ragazzo, non più tanto giovane, è stato stimolato a confessarsi. Un ragazzo educato al cattolicesimo, che ha frequentato la chiesa e i Sacramenti regolarmente fino all'età universitaria. Ha conosciuto e convive con una persona che non frequenta i Sacramenti, la Messa, ha idee molto personali in materia di fede. In una Messa pasquale al quale ha partecipato, il ragazzo suddetto, per mio consiglio si è avvicinato a un confessore disponibile in quel momento. Pensavo ricevesse anche se convivente, dei consigli, degli amorevoli ammonimenti, il perdono quantomeno dei peccati estranei alla convivenza e che venisse stimolato da questo a frequentare comunque la Santa Messa domenicale, poi Dio avrebbe provveduto. Invece tempo 30 secondi, è tornato al mio fianco perché appena il confessore ha saputo che conviveva gli ha detto che era inutile confessarsi in quanto non avrebbe potuto dargli l'assoluzione. Io ci sono rimasta proprio male, lui peggio. Ora non so, probabilmente è così che doveva andare, ma spendere almeno 1 minuto per mostrargli l'Amore di Dio secondo me non sarebbe stato tempo perso. La domanda che le pongo è questa: può una persona convivente confessarsi e avere almeno il perdono dei peccati quali il non frequentare la Messa settimanale e può comunque avere dei consigli sul comportamento e il conforto di un Sacerdote? La relazione è andata avanti e ora c'è anche un bellissimo Bambino, dono di Dio anche se in convivenza, ma oltre Pasqua e Natale questo caro ragazzo non frequenta, tanto meno si avvicina alla confessione. Io sono un po’ confusa e davvero non saprei cosa dire in proposito e purtroppo l'argomento non è stato più trattato, non è stato piacevole essere stato respinto in quattro e quattr'otto. Ma forse sbaglio io, vorrei sapere il suo parere e lo affido alle sue preghiere. Un caro saluto augurandoLe ogni bene. Risposta del sacerdote Carissima, ti domando scusa anzitutto per il gravissimo ritardo con cui rispondo. Solo oggi però sono giunto alla tua mail. 1. Mi spiace per come si sia conclusa la vicenda della confessione di quel ragazzo. Comprendo però come mai il sacerdote confessore sia stato così sbrigativo: era una Messa pasquale e probabilmente aveva davanti a sé una coda di fedeli che attendevano il loro turno per poter fare la Comunione almeno in quella circostanza. Se si fosse attardato con lui, non avrebbero potuto farla. Tuttavia, se io fossi stato al posto di quel confessore, avrei detto a quel ragazzo che a motivo della convivenza c'erano dei problemi nel dargli l'assoluzione, che in quel momento non c'era la possibilità di parlarne perché altri penitenti attendevano per poter fare la Comunione Pasquale. Gli avrei chiesto di tornare di nuovo per parlarne con più calma. E avrei concluso dandogli la benedizione, con la raccomandazione di non fare la Santa Comunione. 2. Tu chiedi se quel sacerdote poteva dare perlomeno l'assoluzione degli altri peccati gravi. Il sacerdote non poteva farlo, perché qui non avviene quello che può succedere in un tribunale civile dove si può essere assolti a rate da vari reati. Si tratta invece di ristabilire la comunione con Dio mediante la grazia. Ora la comunione con Dio non viene ristabilita finché c'è la volontà di permanere in una situazione che è proibita da Lui e che a Lui dispiace. La convivenza, che consiste nell'avere rapporti sessuali fuori del matrimonio, rientra nel genere della fornicazione e fa sì che una persona sia in stato di peccato grave. Non venendo riconciliati con Dio a motivo della permanenza di un peccato grave, si rimane in uno stato di peccato con tutti gli altri peccati. 3. Certo, il Signore vede il pentimento per gli altri peccati commessi. Anzi, sotto il profilo teologico, quel pentimento l'ha suscitato Dio stesso e il fatto che uno vi corrisponda certamente è cosa che gli è gradita. Quest
a è la dottrina della Chiesa espressa in maniera solenne dal concilio di Trento: “Quella contrizione imperfetta che si dice attrizione, che si concepisce comunemente o dalla considerazione della bruttezza del peccato o dal timore dell’inferno e delle pene, se esclude la volontà di peccare con la speranza del perdono, non solo non rende l’uomo ipocrita e maggiormente peccatore, ma è un dono di Dio e un impulso dello Spirito Santo, che certamente non abita ancora nell’anima, ma soltanto muove; con l’aiuto di tale impulso il penitente si prepara la via della giustizia” (DS 1678). 4. Tornando al comportamento del sacerdote confessore va detto che è una maggiore benignità da parte sua avrebbe avuto l'esito di non dare l’impressione del respingimento. Respingere è come chiudere la porta. L’esortazione a tornare di nuovo avrebbe tenuto aperta la porta. Tuttavia, lo dico ancora una volta, non voglio giudicare quel sacerdote perché capisco quello che si prova quando c'è una fila di persone che attende di essere confessata e il tempo stringe. È una corsa contro il tempo per poter ascoltare la confessione di più persone possibili. Si vivono momenti di grande tensione interiore. 5. La convivenza, come mi dici, è andata avanti ed è nato un bellissimo bambino. Mi auguro che in occasione del Battesimo questo giovane abbia l'opportunità di parlare con più calma con un sacerdote e venga stimolato a regolarizzare la sua situazione con il sacramento del matrimonio. Molto volentieri ricorderò questo giovane, la sua compagna e soprattutto il bambino con la mia preghiera. Li benedico tutti. Per te contraccambio il cordiale augurio di ogni bene accompagnandolo con un ricordo al Signore. Ti benedico. Padre Angelo
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3. Carpe diem
Cara Jane Eyre, sono il professor Edward Rochester, ha sostenuto l’esame con me questa mattina. Le scrivo perché durante questo appello di esami ho effettuato una ricerca di possibili persone idonee alla ricerca che sto portando avanti nel mio istituto. Dirigo il Cryonics Institute di Michigan e, come avrà capito, io ed i miei colleghi, stiamo portando avanti una ricerca sulla crio-conservazione umana, nella speranza di poter trovare un meccanismo che fornisca all’uomo la libertà di decidere quando terminare e quando riattivare la propria vita.
Una particolare attenzione riserviamo a coloro che hanno malattie ancora incurabili, i quali, sperando nella scoperta futura di una cura, decidono di farsi ibernare. Mi permetto di scriverle per chiederle se è disposta a recarsi nel mio istituto, visto l’esito positivo dell’esame sostenuto oggi.
L’obiettivo è quello di inserire nel team aiutanti e ricercatori, e lei mi è sembrata una possibile candidata alla posizione. Pertanto, è invitata nel Cryonics Istitute di Michigan il giorno 5 ottobre 2021 alle ore 10. Attendo un suo riscontro.
Cordiali saluti,
E.R.
Ho letto il messaggio che mi ha scritto Rochester e sono senza parole. In realtà, avevo notato che mi guardava in modo strano stamattina, come se mi stesse scrutando per capire qualcosa, ma di certo non pensavo a questo. L’orario di invio dell’e-mail è 15.30, quindi significa che poco dopo il mio esame il professore mi ha scritto, questo particolare mi elettrizza talmente tanto che non mi rendo conto dell’ora che si è fatta. Decido di non rispondere subito, mi prendo un po' di tempo per rifletterci su. Inevitabilmente, passo la nottata girandomi continuamente nel letto e pensando al messaggio. Da un lato, sarebbe un’esperienza unica per me e per la mia carriera, ma dall’altro, non so se sarò in grado di caricarmi di un tale compito. Rifiutare la proposta? Non lo so…mi sentirei una sciocca a sprecare un’occasione del genere, chissà se mi ricapiterà mai.
Verso le 6 del mattino inizio a vedere le prime luci e, mentre lì fuori la gente si sveglia, io riesco ad addormentarmi per un’oretta. Alle 7 suona la sveglia e, con non poca fatica, riesco ad alzarmi dal letto.
Decido di passare la mattinata in biblioteca con Bertha perché se rimanessi a studiare in casa mi distrarrei continuamente. Mentre andiamo in biblioteca, racconto a Bertha del messaggio di Rochester, la sua reazione mi lascia un po' delusa.
“Jane, lo sai che devi sbrigarti a laurearti, tua zia sta male e forse ti manterrà ancora per poco, fossi in te non perderei tempo in queste cose, e poi…chi lo conosce questo professore? Ti sei informata su di lui?”
Evito di rispondere perché se rispondessi potrei ferire Bertha, pensa di dare lezioni di vita a me, ma forse non si ricorda di essere al secondo anno fuoricorso di logopedia.
Passiamo la mattinata a studiare in biblioteca, avremmo dovuto pranzare insieme, ma la sua risposta di stamattina mi ha fatto passare la voglia. Torno a casa e pranzo con zia. La risposta di Bertha, invece di aiutarmi, mi ha confusa ancora di più.
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Hai mai preso ansiolitici per i tuoi attacchi di panico?
In realtà no.
Anni fa mi era stato prescritto lo Xanax (ma da un otorinolaringoiatria che mi aveva dato indicazioni poco chiare, senza dirmi quando avrei dovuto smettere di assumerlo, quanto avrei dovuto prenderne ecc e senza mettermi in guardia sull'effetto rebound, senza contare che essendo un medico dell'ospedale mi sarebbe stato irraggiungibile per qualsiasi problema avessi incontrato). Quindi non l'ho comprato.
Successivamente il mio medico di base mi aveva prescritto degli ansiolitici (non ricordo quali), ma tanto per prescriverli, perché appunto secondo lui la causa era un qualcos'altro e mi aveva mandato a fare esami del sangue, ECG, ecc e in quei giorni non mi sentivo così male, poi ho cominciato a sentirmi di nuovo male ma erano passate due settimane e la ricetta era scaduta. Poi mi sembra lui sia andato in ferie ecc e non se n'è fatto nulla (anche perché lui penso mi avrebbe mandato da miliardo di medici diversi).
Ho cercato di cambiare il mio medico di base, ininterrottamente, ma non ce ne sono di liberi. (Lui è quello che quando gli ho detto che volevo vedere uno psicologo mi ha detto che non stavo abbastanza male e io in quel periodo avevo diversi attacchi di panico al giorno, ideazione suicidiaria ecc 😅).
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Raga ma che problema hanno esattamente I FROCI CHE HANNO VOTATO LEGA?
In quanto frocia, sono abbastanza confusa.
#peggio dei meridionali e degli extracomunitari che votano lega ci sono solo i froci che votano lega#domande a cui non avrò mai risposta#cose che non capisco#sono un po' confusa#love dovrebbe wins ma così non vince n' cazzo me sa#poi fate voi eh
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