#questa é l'impressione che mi hanno sempre dato
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cherrybell00 · 1 year ago
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Che poi non mi sarei dovuta neanche sorprendere del comunicato della Rai a Domenica in, da persona che guarda spesso il tg su Rai1 ho sempre avuto l'impressione che a ogni notizia riguardo popolo palestinese, si dovesse controbilanciare parlando di Israele e del 7 ottoble e facendo servizi con l'IDF. Anche quando si parla di Gaza e Palestina, raramente dichiarano che i bombardamenti sono a opera di Israele, una delle poche volte che é successo (se non l'unica) é stata quando hanno dato la notizia della morte di Hind
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Terremoto ore 14,06
Il terremoto si è avvertito molto forte (sul serio soltanto 4,9?) ed é durato diversi secondi, a differenza degli altri terremoti questo non è stato né sussultorio né ondulatorio, mi ha dato più l'impressione di qualcosa che si gonfiava ribollendo, come ad esempio una reazione nucleare come quella che si ha prima di una eruzione vulcanica La mia domanda a questo punto é la seguente: che si stia aprendo un nuovo cratere tra i paesi etnei? I terroristi del piano di sopra sparano allegramente e all’impazzata armi radioattive sempre più pesanti e pericolose da molte settimane ormai senza  nessuna tregua e ieri notte hanno sparato anche su un punto che gli è vietato, quella che chiamano “porta” e che é una sorta di piccola sorgente radioattiva dai colori cangianti Per intenderci: hanno sempre sparato su questa sorgente qualche ora prima che il vulcano iniziasse a eruttare ferocemente I signori Savoia di Spagna (i discendenti di Maria José del Belgio, praticamente i Berlinguer) non ci stanno evitando il peggio utilizzando queste armi radioattive, il peggio lo stanno causando proprio le loro armi A buon intenditore poche parole...
Leggo che l’epicentro é stato tra Catania e Siracusa, mi sembra piuttosto strano perché sembrava fosse molto vicino, che la scossa arrivasse pericolosamente molto da sotto con un epicentro molto vicino a questa zona
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entheosedizioni · 5 years ago
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Quel geniaccio di Balzac
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Non ho nessuna intenzione di scrivere la solita recensione, ossia di conformarmi ai canoni di chi riassume brevemente la trama del libro appena letto, ne analizza il contenuto, pretende di psicanalizzare i personaggi principali e si arroga il diritto di forgiare delle "chiavi di lettura" con le quali apre al lettore le porte del romanzo, finendo per influenzarne il giudizio, l'interpretazione e la ricezione dell'opera. Voi fidatevi di chi, come me, ne ha lette tante e limitatevi a leggere le recensioni sempre e solo dopo aver completato la lettura del testo. Sarà così più proficuo confrontare il vostro neonato punto di vista sull'opera con quello di chi l'ha recensita. Nascerà un dialogo ideale tra lettore e recensore e beneficerete del processo maieutico così come vi ha insegnato il buon vecchio Socrate. Un altro valido motivo per il quale non è conveniente leggere le recensioni prima di affrontare il testo originale è che esse contengono inevitabilmente delle anticipazioni sull'opera, o se preferite, contengono spoiler, visto che vi piace tanto anglicizzare una lingua – la nostra – che avrebbe invece molto da dare e poco da assorbire. “La cugina Bette” Che state aspettando dunque? Andate a comprarvi "La cugina Bette" di Honoré De Bazac e vi garantisco che non ve ne pentirete. Adesso però la recensione ve la faccio a modo mio, cioè raccontandovi la mia esperienza di lettura. In una domenica afosa venni letteralmente trascinato in una gita fuori porta con la quale ci si prefiggeva di sconfiggere un mostro abominevole: la noia. Secondo i miei calcoli, per poter parcheggiare un'automobile di medie dimensioni è necessario reperire uno spazio libero di circa 14 metri cubi con la condizione imprescindibile che esso sia formato da una base quadrangolare di lunghezza pari ad almeno 4,80 metri. Non è un'impresa da poco ottenere tutto questo, in piena estate, in una cittadina lacustre bendisposta ad offrire ristoro e refrigerio per i turisti accaldati. Però ci riuscimmo in un tempo ragionevole. Solo che, appena scesi dalla macchina, i miei compagni di viaggio furono immediatamente attirati da un mercatino della domenica e dunque si dispersero subito in mezzo a bancarelle adorne di futilità, oggettistica improbabile e abbigliamento improponibile. Che potevo fare io? Vagavo disperato e disinteressato finché non mi imbattei nella bancarella dei libri usati. Ora, io ho letto diverse opere di Balzac, quelle più conosciute e apprezzate, ma nessuno mi aveva mai suggerito "La cugina Bette", dunque quando mi trovai in mano quella vecchia copia in edizione economica non ero particolarmente entusiasta dell'acquisto. Pensavo si trattasse di un'opera minore, un romanzo giovanile e magari non tanto riuscito, un pò come succede oggi quando si acquista il CD di un grande artista contemporaneo, nel quale sono contenute tre o quattro tracce apprezzabili e una serie di deludenti canzonette riempitive: miserie della mediocrità dei nostri tempi. Nemmeno la copertina mi veniva in soccorso per attenuare la mia diffidenza e scardinare i miei pregiudizi poiché era tutta scolorita ed era illustrata da un dipinto di Joseph Tissot (chi sarà mai costui, mi chiedevo, non avendo mai sentito parlare di questo pittore col nome da orologiaio!) nel quale era raffigurata una donna adulta seduta in camera che mi rivolgeva uno sguardo malinconico e abbastanza deprimente. Se a tutto questo aggiungiamo un sottile strato di polvere, un odore di carta stantia, un titolo non certo allettante e un prezzo bassissimo, possiamo forse giusificare il fatto che io stessi quasi per rinunciare all'acquisto. Del resto, leggere significa investire il proprio tempo e io voglio sempre farlo nel modo più proficuo. È possibile oggi comprare un autentico capolavoro per soli due euro? È possibile nutrirsi l'anima per un'intera settimana leggendo ciò che costa meno di quello che serve a nutrire il corpo per un solo pasto? Sì, è possibile, vi dico io, ma per farlo vi serve un classico.
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Portrait of Mademoiselle LL James Jacques Joseph Tissot 1864 – olio su tela Musèe d’Orsay Mi sedetti in riva al lago e iniziai subito a leggere, quasi svogliatamente, tanto per ingannare il tempo nell'attesa che il resto della mia comitiva tornasse a reclamare la mia compagnia. E quando ciò avvenne ne fui quasi infastidito, talmente piacevole mi era risultata la lettura dei primi capitoli che aprono la storia presentandoci una situazione scabrosa e appassionante. Non volevo staccarmene e lo feci con ritrosia anche nei giorni seguenti, ogni volta che i miei impegni mi impedivano di restare in compagnia di Balzac. La trama La lettura de "La cugina Bette" fu fin da subito una sorpresa perché l'autore mi catturò immediatamente seducendo il mio interesse con una scena tanto inattesa quanto audace per un libro scritto più di 150 anni fa: un tentativo fallimentare di comprare l'inalienabile bene dell'amore. L'ex profumiere Crevel, diventato in seguito un danaroso speculatore, cerca di convincere Adeline, baronessa decaduta (per il momento solo finanziariamente parlando), cugina della protagonista, a concedersi a lui in cambio di una cospicua somma. Questo intento di porre in essere una inhonesta mercimonia deriva in parte da una sincera passione nutrita per l'ancora bellissima cinquantenne baronessa e in parte da un desiderio di vendetta da parte di Crevel nei confronti del suo amico e rivale di libertinaggio: il barone Hector Hulot d'Ervy, marito di Adeline. Quest'ultimo è colpevole di aver sottratto a Crevel la sua giovane amante Josepha, cantante molto in voga e donna particolarmente avvenente. Inutile dire che tale ratto sentimentale si è compiuto per mezzo di lusinghe in denaro e di regalie spropositate; piuttosto è importante spiegare che tali spese sono state compiute da Hulot per mezzo di cambiali, prestiti a usura e sotterfugi vari. Crevel sa che l'amico barone è quasi sul lastrico, che trascura la famiglia e gli interessi dei suoi due figli: Victorin, il primogenito, è sposato con Celestine, figlia unica proprio del malaccorto Crevel, mentre Hortense, la secondogenita, necessiterebbe di una dote per maritarsi. Però tutti i soldi di Hulot vanno a finire tra le grinfie delle cortigiane e dissanguano la famiglia. Proprio la consapevolezza di questa situazione rende Crevel talmente spavaldo da giocare a carte scoperte e da parlare apertamente alla baronessa Adeline, che tuttavia rifiuta scandalizzata le proposte indecenti del consuocero. È questo un romanzo nel quale amore e denaro viaggiano di pari passo, si incontrano, si scontrano, si sposano, si lasciano, si ricattano l'un l'altro e non trovano mai pace. Proprio come i personaggi che vi sono rappresentati: tutti soffrono o soffriranno, tutti sono affetti da una smania insaziabile che li fa cadere vittime dei loro vizi o delle loro virtù, delle loro ossessioni e delle loro ambizioni. Vizi e virtù rendono i personaggi schiavi e ostinati, terribilmente ostinati. Si affannano a perseguire il loro fine, sia esso moralmente disdicevole oppure encomiabile, sino al punto dell'autodistruzione. È ovvio che si tratta di caricature: Balzac esaspera i caratteri e i temperamenti dei protagonisti per raccontarci il vizio, per aprirci gli occhi sulle conseguenze sociali della liberalizzazione dei costumi che caratterizzava i suoi tempi (il romanzo uscì nel 1846). Ciò non vuol dire che l'autore sia un moralista o un retrogrado, quanto piuttosto un nostalgico. Egli rimpiange i tempi dell'ancien régime, ma non lo fa con il proposito di sollecitare una restaurazione, bensì con l'atteggiamento malinconico di chi ricorda i tempi andati mentre fotografa con occhio analitico la nuova società, più evoluta e più libera, della quale egli stesso fa parte, dal momento che nella sua vita privata non mancò mai né gaudenza né libertinaggio. Qualcuno potrebbe chiedersi dunque che senso abbia leggere oggi, in un contesto sociale molto più evoluto e progressista di quello che è oggetto della narrazione, tale romanzo. La risposta sta nella perizia con la quale Balzac manovra il suo scandaglio nell'animo umano e ci dà notizia di quelli che sono turbamenti, contraddizioni, debolezze, meschinerie e infamie messe in atto allora come oggi. È inolte interessante riflettere su quanto sia vischioso il processo di evoluzione degli usi e dei costumi e su quanto siano ripetitive e prevedibili le rimostranze dei cosiddetti conservatori. E poi ci sono le magistrali doti narrative di chi come lui è capace di tenerti incollato per ore a seguire la trama del suo racconto, riuscendo di volta in volta a sorprenderti con colpi di scena e risvolti inattesi. Anche se il romanzo è suddiviso in capitoli di lunghezza ridotta, la narrazione dà sempre l'impressione di non voler concedere pause al lettore e di procedere formando un unico blocco, dal quale risulta davvero spiacevole separarsi. Leggere questo libro mi ha fatto sorgere numerosi interrogativi e mi ha regalato tanti spunti di riflessione. È possibile che degli uomini maturi, scaltri, smaliziati, tanto adusi alla doppiezza inveterata del mondo degli affari, tanto tenaci nella contrattazione economica, tanto arditi e spregiudicati nell'arena finanziaria e sfrontatamente egoisti nel loro contesto familiare, vengano puntualmente beffati dalle moine di una bella donna? È possibile che degli uomini che hanno dato incontrovertibili prove di coraggio in battaglia, che hanno sfidato la morte, che hanno piegato il destino ai loro piedi, non siano poi capaci di negare un capriccio irragionevole al cuore volubile di una giovinetta dissennata? È possibile che siffatti uomini mettano a rischio, per il subitaneo impeto della passione, tutto ciò che la vita gli ha donato, patrimonio, rendite, carriera, onore, famiglia, reputazione e perfino la libertà personale, il tutto per non saper rinunciare alle grazie ammaliatrici di un'avida arrivista in gonnella? È possibile, ci dice Balzac. "Gli inganni dell'amore venale sono più seducenti della realtà. L'amore vero comporta dei battibecchi in cui ci si può ferire al cuore; ma il litigio fatto per finta è, al contario, una carezza fatta all'amor proprio dell'ingenuo."
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E invero le cronache ufficiali e ufficiose del tempo danno numerose testimonianze di uomini del bel mondo completamente rovinati dal perseguire i loro istinti lubrici. "Libertini" li chiama l'autore e il libertinaggio viene trattato alla pari di uno dei tanti inguaribili vizi nei quali l'uomo degenera. Del resto, lo stesso Balzac non era uno stinco di santo. Spesso, durante la lettura, mi sono soffermato a guardare la riproduzione in bianco e nero di un disegno di Cassal, riproposta tra le prime pagine del libro, e raffigurante l'autore in una mise elegante. I grandi occhi da malinconico di Balzac avevano un guizzo di dissolutezza, il tipico riflesso sornione del viveur, e non ho potuto fare a meno di pensare che egli abbia certamente avuto un'esperienza diretta, almeno parziale, di quegli stessi vizi che racconta così bene. La narrazione delle scellerate vicende dei libertini non è una novità in Balzac, avendone egli già dato mirabile prova nel suo romanzo "Splendori e miserie delle cortigiane", a sua volta prosieguo de "Le illusioni perdute" e certamente più famoso e blasonato de "La cugina Bette". In quest'ultimo però, le consuete tematiche del vizio, della lussuria, dell'arrivismo e dell'avidità vanno a costituire un sostrato narrativo al di sotto del quale viene a presentarsi il rancore. L'odio striscia furtivamente nel romanzo per tutta la durata della narrazione (che si esplica in 5 anni) e tale dannoso sentimento nasce, cresce e viene covato nel cuore della protagonista. Esso è tanto forte e radicato in lei, poiché atavico, ancestrale, dunque inestricabile e tale da aggirare il tipico problema del parossismo: non si manifesta in eccessi di rabbia, in irragionevoli scoppi d'ira, bensì in freddo e calcolato desiderio di rivalsa. "I godimenti dell'odio soddisfatto sono per il cuore i più forti e i più ardenti. L'amore è in un certo qual modo l'oro, e l'odio è il ferro di quella miniera di sentimenti che si trova dentro di noi poiché si odia sempre di più, come si ama ogni giorno di più, quando si ama. L'amore e l'odio sono sentimenti che si alimentano da sé; ma, dei due, l'odio ha vita più lunga. L'amore ha per confini delle forze limitate, riceve i suoi poteri dalla vita e dalla prodigalità; l'odio somiglia alla morte, all'avarizia, è in qualche modo un'astrazione attiva, al di sopra degli esseri e delle cose." Bette è il diminuitivo con il quale in famiglia chiamano Lisbeth Fischer, che è francese ma ha un nome tedesco poiché proviene dalla Lorena. Non ditemi che le vostre reminiscenze scolastiche non si ridestano immediatamente per darvi notizia di quante volte nel corso dei secoli la Francia e la Germania si sono contese Alsazia e Lorena e di come quei due tormentati territori siano finiti per dar luogo a una ibridazione non solo linguistica, ma anche culturale negli usi e costumi degli abitanti.
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La lorenese di cui Balzac vuole parlarci ha nel 1838 (data in cui ha inizio la narrazione) l'età di 43 anni ed è suo malgrado devota allo zitellaggio. Ha rifiutato ben cinque mariti che nel corso del tempo la sua famiglia aveva cercato di proporle. Ma l'aspetto cruciale del personaggio è l'invidia che la tormenta segretamente sin da quando era bambina. La sua invidia si origina dalla disparità di trattamento che la famiglia ha messo in opera tra lei, nata priva di grazie e per indole sempre caratterizzata da una certa rozzezza, e la cugina Adeline Fischer, di cinque anni più grande di lei, ma dotata di grande bellezza e raffinatezza. Bette è stata sacrificata alla cugina e ha dovuto rinunciare all'istruzione per sgobbare assiduamente come una qualsiasi popolana, dapprima facendo la contadina e successivamente impiegandosi come operaia. Tanti sacrifici furono imposti alla povera Bette quante attenzioni, delicatezze e vezzeggiamenti vennero invece rivolti ad Adeline, la quale aveva il solo merito di esser nata bella. C'è da dire però che l'adulazione sempre manifestatale dai familiari non ha insuperbito il carattere della bella Adeline né l'ha resa sdegnosa o viziosa. Il suo fascino, accompagnato da un carattere dolce e mansueto, le consentì da giovane di sposare colui che sembrava essere un ottimo partito: il summenzionato barone Hulot d'Ervy, allora benestante, aitante e avvenente nonostante avesse molti anni in più della moglie, e impiegato presso il Ministero della Guerra (oggi nessun governo chiamerebbe in questo modo la sua branca dedita all'amministrazione militare, preferendo invece la denominazione di Ministero della Difesa. Ciò non è certo dovuto al fatto che non si facciano più guerre, si fanno lo stesso, ma non  bisogna mostrarsene entusiasti o perlomeno bisogna spacciarle per necessarie). In tal modo Adeline poté abbandonare la provincia e trasferirsi a Parigi, cosa che a quei tempi rappresentava la prima soglia dell'ambizione sociale. Ma Adeline è l'anima candida del romanzo e non nutre nessuna ambizione al di fuori di quella di voler mantenere unita la famiglia e di dare continua prova di devozione al coniuge, seppure egli non la meriti affatto. Adeline è buona ma infelice (per colpa dei tradimenti di Hulot), è virtuosa ma assediata (dalle brame di lussuria e vendetta di Crevel), è affettuosa e onesta ma invidiata (da Bette). Ha deciso di invitare a Parigi la cugina per tenerla il più vicino possibile a sé e Bette è finita per diventare una balia per i suoi figli, una confidente per tutta la famiglia, una dama di compagnia per la cugina, una spalla su cui piangere e per ultimo anche un'agenzia di credito al consumo, visto che tutti le chiedono in prestito i suoi magri risparmi per poter tirare avanti nelle ristrettezze in cui il barone li ha lasciati. Tutti in famiglia vogliono bene a Bette, ma non la trattano come una loro pari poiché la considerano eccentrica, sgraziata e troppo grezza nei modi. Non smettono di canzonarla per il suo vestiario antiquato e strambo, per il suo aspetto dimesso, per la sua poca avvenenza e per la sua condizione di zitella. Nessuno ha idea del malanimo che la cugina cova dentro poiché ella non lo ha mai manifestato ed anzi ha sempre mantenuto un contegno mite e affettuoso con tutti i parenti. Però poi all'improvviso deflagra un ordigno potentissimo: Bette la zitellona confida alla giovane cugina Hortense di avere uno spasimante. Ciò è tanto insolito da far nascere una curiosità morbosa nella giovane, che oltretutto avrebbe una certa fretta di coniugarsi e rendersi indipendente, specie adesso che il suo progettato matrimonio è andato a monte per la perdita di quella che sarebbe dovuta essere la sua dote e che si è liquefatta tra le mani dissolute del padre Hulot. Hortense smania di voler conoscere e vedere colui che starebbe corteggiando la cugina Bette perché le sembra inverosimile che qualcuno si senta sinceramente attratto da quella donna. E in verità non si tratta di un vero corteggiatore, quanto piuttosto di un giovane che ha un debito di riconoscenza verso Bette. Il conte polacco Wenceslas Steinbock, di ben 15 anni più giovane di Bette, vive in una catapecchia al piano di sopra dell'appartamento della protagonista. Egli è un rifugiato politico clandestino che ha lasciato la sua patria dopo aver partecipato a un'insurrezione. Si trova in una miseria tale da ricorrere al suicidio per mezzo del braciere e del monossido di carbonio da esso esalato. Ma Bette lo salva giusto in tempo, si prende cura di lui, vi si affeziona e investe i suoi risparmi per aiutarlo a formarsi professionalmente come scultore e incisore. Il debito i riconoscenza porta Wenceslas a obbedire ciecamente a Bette e a diventarne quasi una vittima: lei gli impone ritmi di lavoro opprimenti né gli lascia spazio per alcuno svago perché cerca al più presto di mettere a frutto il suo talento e di fargli guadagnare del denaro. Bette sviluppa una notevole possessività nei confronti del suo protetto ma tra loro non nascerà mai una vera relazione d'amore prima di tutto perché Bette sconosce il piacere sensuale e rimarrà per sempre avvolta nel suo bozzolo virginale, in secondo luogo perché la differenza d'età tra i due è notevole, e infine perché Bette "rassomigliava a quelle scimmie vestite da donna che i piccoli savoiardi si portano in giro" e in più aveva qualche verruca sulla faccia. Sappiate voi che le verruche sul volto di una donna sono delle vere e proprie mine antiuomo, nel senso che terrebbero lontano qualunque corteggiatore dotato di un minimo senso dell'estetica. Ma, per farla breve, vi dico che un giorno Hortense incontra e conosce il bellissimo Wenceslas e se lo accalappia subito. Finisce per sposarlo e dunque lo sottrae al dominio di Bette. Costei, intimamente e segretamente furiosa per l'affronto subito, cerca perfino di farlo incarcerare ricorrendo a un sotterfugio, ma il suo intento fallirà. Bette inizia dunque a fare il doppio gioco, mantenendo da un lato la sua facciata di cugina devota con la famiglia Hulot, ma alleandosi segretamente con Valery Marneffe, la nuova fiamma del barone Hulot, allo scopo di rovinarli tutti. Hulot perde la testa per la Signora Marneffe, la vera femme fatale della storia, e pur di farne la sua amante finisce per sottrarre in modo fraudolento dei fondi allo Stato. La cosa strana è che la moglie Adeline e i figli gli perdonano sempre le sue sciagurate azioni poichè il barone Hulot è una persona seducente che riesce facilmente ad accattivarsi la benevolenza degli altri. Di certo i viziosi risultano più simpatici dei bigotti: "Il moralista non potrebbe negare che , in genere, le persone bene educate e molto viziose sono assai più amabili delle persone virtuose; avendo delle colpe da farsi perdonare esse sollecitano in anticipo l'ndulgenza, mostrandosi tolleranti verso i difetti dei loro giudici, e passano per essere eccellenti. Benché fra la gente virtuosa vi siano delle persone affascinanti, la virtù si crede già abbastanza bella per se stessa e non si dà da fare per abbellirsi: poi le persone realmente virtuose, poiché bisogna escludere gli ipocriti, hanno quasi tutte dei lievi dubbi sulla propria situazione; si credono ingannate nel grande mercato della vita, e hanno parole un pò agre alla maniera di coloro che si pensano misconosciuti.” Ma perché Hulot si comporta in tal modo? Per quale motivo non rende la moglie oggetto delle sue smodate passioni dal momento che ella è più che bella e desiderabile e invece ne disdegna le attenzioni per andare a ricercare soddisfazione altrove fino al punto della perdizione? Per il semplice motivo che Adeline, come la cugina Bette, non ha alcuna dimestichezza con l'ars amatoria. È una donna di puro sentimento, incapace di veicolare erotismo o di metterlo a frutto. Perfino quando la miseria la porterà a decidere di degradarsi sullo stesso piano della sua acerrima rivale (Valery Marneffe) e a tentare di prostituirsi per ricavare le somme che salverebbero l'intera famiglia dal disonore, il suo abbozzato tentativo di seduzione fallirà miseramente e susciterà solo pietà. Inoltre, tale sua pericolosa risoluzione, sebbene poi non messa in atto, le scombussolerà comunque il sistema nervoso al punto da minarne la salute.
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"Molte donne sposate, attaccate ai loro doveri e ai loro mariti, potranno domandarsi a questo punto perché quegli uomini così forti e così buoni, così facili alla pietà per delle signore Marneffe, non prendono le mogli, soprattutto quando somigliano alla baronessa Adeline Hulot, per oggetto del loro capriccio e delle loro passioni. Ciò ha a che fare coi più profondi misteri della natura umana. L'amore, questa immensa dissolutezza della ragione, questo virile e severo piacere delle grandi anime, e il piacere, questa volgarità messa in vendita sulla piazza, sono due facce differenti dello stesso fenomeno. La donna che soddisfi questi due enormi appetiti, è, in tutto il sesso femminile, tanto rara quanto il grande generale, il grande scrittore, il grande artista, il grande inventore lo sono in una nazione. L'uomo superiore come l'imbecille, un Hulot come un Crevel, sentono ugualmente il bisogno dell'ideale e quello del piacere; tutti vanno alla ricerca di questo misterioso androgino, di questa rarità che, nella maggior parte dei casi, risulta essere un'opera in due volumi! Questa ricerca è una depravazione dovuta alla società. Certo, il matrimonio deve essere accettato come un dovere, è la vita con i suoi tormenti e i suoi duri sacrifici, sostenuti in parte uguale da entrambi. I libertini, questi cercatori di tesori, sono altrettanto colpevoli quanto altri malfattori più severamente puniti di loro. Questa riflessione non è un'aggiunta posticcia di morale: essa ci fa capire molte infelicità incomprese". Balzac allude in tal modo alla contraddizione insita in ciascun uomo che vorrebbe poter riunire nella donna amata ora un angelo ora una puttana, che pretenderebbe di avere a fianco una compagna dolce e affettuosa, tuttavia pronta a trasformarsi in una voluttuosa concubina in camera da letto. Povero Honoré, se le femministe avessero letto questa sua pretenziosa asserzione lo avrebbero sbranato. Fortuna sua che ai suoi tempi il femminismo non era ancora in voga, così come non era ancora stato inventato il moderno e troppo spesso artefatto contegno del "politically correct", altrimenti non avrebbe potuto inserire impunemente nel suo libro tutta una serie di considerazioni azzardate e generalizzanti sulla presunta avidità degli ebrei e sulla loro predisposizione a praticare l'usura, tutta una serie di riflessioni a carattere classista circa la tendenza all'imbroglio e al furto da parte dei proletari: "In tutte le famiglie la piaga del personale di servizio è oggi la più dolorosa di tutte le piaghe finanziarie. Salvo rarissime eccezioni un cuoco e una cuoca sono dei ladri domestici, dei ladri salariati, sfrontati, di cui il governo si è compiacentemente fatto il favoreggiatore, incoraggiando così la tendenza al furto quasi autorizzata fra le cuoche dal vecchio e arguto modo di dire: "fare la cresta sulla spesa". A chi tenta di controllarli, i domestici rispondono con parole insolenti, o con le costose malefatte di una finta sbadataggine. Il male, giunto davvero al colmo potrà scomparire solo grazie a una legge che assoggetti i domestici salariati al libretto dell'operaio. il male cesserebbe allora come per incanto. Se ogni domestico fosse tenuto a esibire il suo libretto, e i padroni avessero l'obbligo di annotarvi le cause del licenziamento, la corruzione troverebbe senza dubbio un potente freno.  Non esistono statistiche sull'enorme numero di operai ventenni che sposano delle cuoche di quaranta e di cinquant'anni arricchitesi mediante il furto. C'è di che fremere al pensiero delle conseguenze di simili unioni dal triplice punto di vista della criminalità, dell'imbastardimento della razza, della vita familiare di queste coppie.") e, ancora, sulla natura selvatica, quasi ferina, degli slavi: “C'é negli slavi un lato puerile, come presso tutti i popoli primitivamente selvaggi, i quali, anziché civilizzarsi, hanno fatto irruzione nelle nazioni civilizzate. Questa razza è dilagata come un'inondazione e ha coperto un'immensa estensione del globo. Essa vi abita lande desolate dove gli spazi sono così vasti, che vi si trova a suo agio; non ci si sta gomito a gomito, come in Europa, e la civiltà è impossibile senza il continuo attrito di idee e interessi. L'Ucraina, la Russia, le pianure del Danubio, il popolo slavo insomma, è un trait d'union fra l'Europa e l'Asia, fra la civiltà e la barbarie. Perciò i polacchi, il gruppo più importante del popolo slavo, hanno nel carattere la puerilità e l'incostanza delle nazioni imberbi. Possiedono il coraggio, l'intelligenza, la forza; ma, privi di tenacia, questo coraggio e questa forza, questa intelligenza mancano di metodo e di direzione, poiché il polacco presenta una mobilità simile a quella del vento che regna su quell'immensa pianura inframezzata da acquitrini: se ha l'impetuosità degli spazzaneve, che dirompono le case e le trascinano via, come quelle terribili valanghe che precipitano dall'alto, egli però va a perdersi nel primo stagno che trova, e si dissolve in acqua. L'uomo prende sempre qualcosa dagli ambienti nei quali vive." Queste ultime parole non sono poi così lontane dalle tesi slavofobe che quasi ottant'anni dopo avrebbero infiammato il Mein Kampf. Le dittature del Novecento sono diventate l'emblema del razzismo e dell'antisemitismo, ma in realtà l'odio sul quale esse fecero leva era già conclamato nel contesto sociale europeo da diverso tempo (il caso Dreyfus esplose in Francia nel 1894) e anche in quei paesi che non furono soggetti al regime dittatoriale. Inoltre queste sono parole che fanno specie poiché provenienti dalla penna di colui che mentre le scriveva intratteneva una focosa relazione con una donna polacca (Madame Hanska). Naturalmente non è mia intenzione fare la morale a Balzac o peggio ancora additarlo come un reazionario illiberale, quanto piuttosto far notare come ogni uomo sia figlio del suo tempo, come cambino i costumi e il pensiero da un'epoca all'altra e come abbia poco senso giudicare e valutare con la mentalità odierna le convinzioni e le idee dei grandi del passato. Tuttavia anche queste considerazioni censurabili fanno parte delle sorprese che il romanzo ci riserva, al pari di alcune battute allusive e lascive, decisamente inconsuete per un'opera ottocentesca, e di un lessico che in determinate situazioni degrada dal livello aulico fino al punto più infimo della bestemmia quando la narrazione viene traslata nei bassifondi di Parigi. Non sprecate il vostro tempo per cercare una chiave di lettura perché non la troverete: la storia narrata è chiara, limpida, lampante e sviscerata in tutti i dettagli. È questa del resto un'opera che si inserisce nel contesto letterario del realismo, cioé ha lo scopo di fotografare la realtà così come essa è, e vi riesce appieno. Avrebbe senso ricercare la morale in un romanzo simile? Eppure quel geniaccio di Balzac lascia comunque trapelare un messaggio tra le sue splendide pagine: il vizio ha una forza corrompente potentissima e quasi inarrestabile. Finisce per travolgere tutto e trova un eccellente alleato nella miseria. Adeline, l'emblema della virtù, perderà la sua battaglia e morirà per il colpo fatale che l'immoralità del marito le infliggerà. Ella è, al pari di tutti gli altri, un personaggio statico, poichè come certamente avretepotuto intuire, i protagonisti del libro sono una manica di pazzi che perseverano ostinatamente nei loro errori: - Adeline rimarrà per sempre devota al marito fedifrago e scialacquatore e io ho perso il conto di quante volte ella sviene nel romanzo per colpa dei dolori che la condotta di lui le infligge. - Hulot rimarrà per sempre un seduttore e un sedotto, fino a rovinarsi completamente, fino a sfiorare la galera e il disonore (solo il fratello e il figlio potranno salvarlo a carissimo prezzo) e ogni suo tentativo di redenzione risulterà parimenti patetico e fallimentare. - Wenceslas rimarrà per sempre una promessa del mondo dell'arte non concretizzata e uno scansafatiche (in lui l'ozio vince perfino sulla lussuria che non riesce a corromperlo del tutto). - Bette rimarrà per sempre zitella e non riuscirà a vedere esaudito appieno il suo desiderio di vendetta nel gettare sul lastrico tutta la famiglia, nonostante si sia spinta fino al punto di fare da mezzana a una cortigiana. - Crevel rimarrà per sempre un povero illuso, credendo di essere il più furbo fra i viziosi edi potersi comprare l'amore con i suoi denari. - La signora Marneffe rimarrà per sempre un’intrigante arrivista ma non riuscirà a portare a termine i suoi propositi di arricchimento perché la sua nemesi arriverà anzitempo: il misterioso veleno di un amante geloso la porterà a morire ancora giovane, ma non prima di essere orribilmente deturpata nella sua bellezza con pustole, piaghe e bubboni. Un pò come sarebbe accaduto alla sua collega Nanà, figlia della penna di Emile Zola. - L'unico personaggio che sperimenterà un cambiamento è Victorin, figlio di Hulot e Adeline, uomo di legge integerrimo, dai principi saldi, che tuttavia finirà per sollecitare le morti del suocero Crevel e della sua promessa sposa Valery Marneffe, ex amante del padre Hulot, per salvare la propria eredità e quella della moglie, perdendo di fatto la sua integrità morale. Il vizio del padre scalfirà di riflesso la probità del figlio.
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Finale Adesso però non posso certo raccontarvi tutta la storia, altrimenti vi toglierei il piacere di scoprirla a poco a poco leggendo il libro, ma posso anticiparvi che il sodalizio Valery Marneffe - Lisbeth Fischer, cementato dall'odio e dall'ambizione, farà penare molto i familiari di Hulot e di Crevel e che entrambi i libertini saranno beffati come gonzi da colei (la Marneffe) che da rispettabile moglie diverrà presto la più abile delle cortigiane per ribellarsi alla sua iniziale condizione di miseria, che Balzac definisce "il più grande dissolvente sociale", attribuendole dunque la causa di molti mali. Adeline morirà e il vizio le sopravviverà poiché il barone vedovo continuerà a perseverare nel male e convolerà a nozze con una semplice cuoca molto più giovane di lui. A proposito, quasi dimenticavo, un colpo al cerchio e uno alla botte: "È un'immensa prova di inferiorità in un uomo non saper fare delle moglie la propria amante." Datevi da fare dunque, ma non dimenticate di leggere perché vi fa bene. Rosso Groviglio  Read the full article
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ameliarighetti-blog · 6 years ago
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Convivenza con Sherlock Holmes - Capitolo 2
CAPITOLO 2
  Il mattino seguente mi svegliai ancora assonnato dalla giornata precedente.
Continuavo a ripensare a tutto ciò che avevo visto il giorno prima e non riuscivo a spiegarmi tante cose di quel caso che agli occhi di Holmes appariva così semplice.
-Buongiorno John, ha dormito bene? Non le ho dato fastidio stanotte, vero?
-Buongiorno, fastidio? Per cosa?
-Ho suonato il violino quasi tutta la notte, non volevo disturbarla così ho messo qualche goccia di sedativo nel suo tè, ieri sera.
-Qualche goccia...? Quale sedativo? Avrei potuto usare i tappi per le orecchie, sarebbe bastato chiedere.
-Un po' di Lorazepam, niente di pericoloso.
-Mi ha dato il Tavor? Lo sa che può causare perdite di memoria?
-Ma certo che lo so, cosa crede che sia? Un ciarlatano da quattro soldi? Le ho dato la dose adeguata ai suoi sessantacinque chili.
-E se soffrissi di cuore?
-Lei non soffre di cuore John, o la marina non l'avrebbe reclutata. Si può fidare di me.
-Con lei non c'è partita, eh Holmes? Sa che le dico? Vado a farmi una passeggiata. A respirare un po' di aria vera, non questa polvere maleodorante che c'è qui dentro.
-Vada pure, la aspetterò qui.
-Benissimo.
Raggiunsi il primo piano, salutai la signora Hudson con un sorriso ed uscii sbattendo inavvertitamente la porta.
Una sola notte di convivenza con il signor Holmes ed ero già stato drogato.
A quel punto ero combattuto, davanti a me si presentava il gradevole privilegio di assistere a tutte le scampagnate del signor Holmes, se non tutte, almeno alcune. I suoi sorrisi mi davano l'impressione di essere una persona con cui si sarebbe potuto trovare bene. L'affitto era buono ma... l'affitto!
Holmes aveva detto che avrebbe chiesto a Lestrade un affitto permanente in cambio dei nostri servigi come consulenti.
Sherlock Holmes era una di quelle persone dedite al rimando delle faccende importanti?
Decisi che avrei dovuto sincerarmene subito e tornai indietro.
Rientrai in casa e salii di corsa le scale fino all'ultimo piano.
-Sono impressionato, John! É stato fuori meno di cinque minuti! -disse Holmes ridacchiando.
-Ieri mi ha detto una cosa a proposito dell'affitto. O si è dimenticato? Come finiremo Holmes? A dover raschiare il fondo ogni mese sperando di riuscire a pagare quelle poche spese? Dice che non vuole farsi pagare, che la sua linfa è la ricchezza mentale ed il piacere del sapere. Beh, la realtà è diversa. Ci sono le bollette, l'affitto, le spese improvvise se qualcosa si rompe. E lei è una persona inaffidabile. Sarà meglio che mi cerchi un lavoro all'ospedale, per iniziare, almeno avremo qualcosa da parte.
-John.
-Che c'è?
-Ha finito? Stanotte Lestrade è stato qui. È passato a farmi vedere delle fotografie di un suicidio, che poi un suicidio in realtà non era. In ogni caso non ritenevo servisse svegliarla, avrei dovuto somministrarle un eccitante ed abbiamo deciso di non disturbarla. Mentre era qui ho sistemato la faccenda dell'affitto. Me ne ero dimenticato? Forse, sul momento si. Ma non dimentico mai una cosa se è necessaria. Tutt'altro discorso per ciò che non mi serve, per quello non c'è spazio.
-Ma cosa dice?
-Lasci stare, John.
-È tutto sistemato con l'affitto?
-Affitto e spese. Tutto pagato finché aiutiamo Scotland Yard. E sinceramente non saprei che altro fare al momento. Vede John, di clienti privati interessanti ne arriva uno ogni tanto. Di crimini per la polizia invece, ce ne sono a dozzine.
-Lei ci prova proprio gusto vero?
-Nella logica, certo. Non nei crimini.
-Holmes?
-Si, John, mi faccia la domanda. Non ripeta il mio nome. Avanti.
-Ieri, come faceva a sapere dei due uomini? E il silicone? Che senso ha sigillare il cadavere nell'armadio?
-Lei è testardo, vero? Non glielo dirò. Non ancora. Ci potrà arrivare da solo o potrà lasciar perdere. Continuare a tartassarsi non le è utile in alcun modo.
  In quel momento la signora Hudson bussò alla porta.
-Signor Holmes, c'è l'ispettore Gregson al telefono, le porto su l'apparecchio?
-Certo signora Hudson, certo. Avrebbe dovuto portarlo con se. Abbiamo messo il filo lungo apposta, ricorda?
Disse Holmes ridacchiando. Pensai che la signora Hudson non era più tanto giovane e mi intromisi.
-Mi scusi Holmes, fa fare tutte queste scale alla signora Hudson?
-Si offra pure John, se vuole.
Corsi giù per le scale e recuperai dalle mani della padrona di casa un vecchio telefono al quale era arrotolato un lunghissimo cavo telefonico.
-Qui parla il dottor Watson, le passo subito Holmes.
-Oh Watson, buongiorno, ho sentito parlare di lei da Lestrade. Mi ha detto che vi siete conosciuti all'obitorio. Com'è lavorare con Sherlock Holmes? Le piacciono i suoi modi?
Holmes mi strappò la cornetta dalle mani non appena lo ebbi raggiunto.
-Qui Holmes, parli Gregson.
-Buongiorno Holmes, ascolti, siamo in una casa ad Aislington, stiamo cercando degli orologi rubati, abbiamo avuto una soffiata e siamo venuti subito qui. I proprietari della casa sono collaborativi ma non troviamo niente. Sono sicuro che quello che cerchiamo sia qui.
  Sherlock staccò la cornetta dall'orecchio allontanando il microfono dalla bocca.
-Sta parlando a bassa voce perché gli altri non lo sentano. Lui e Lestrade sono in estrema competizione. Io risolvo i casi e loro fanno a gara a chi si prende il merito.
  -Allora Gregson, mi descriva la casa, le persone, quanti, chi, come, dove, per quanto tempo.
-Holmes, qui è un labirinto. È un'abitazione di quattro piani, ogni piano ha un bagno ed ogni piano ha due camere da letto. Ci sono due cucine e...
-Mi dica qualcosa di utile, a quale delle due famiglie si riferisce la soffiata?
-Esatto Holmes, ci sono due famiglie, ci hanno detto di cercare ai piani inferiori. La famiglia che occupa i due piani superiori non è in casa al momento. Qui ci sono due bambini piccoli che, a parer mio, non c'entrano nulla e li abbiamo fatti uscire. Una donna che dice di non sapere nulla ed un uomo anziano che è attaccato ad una bombola d'ossigeno e non capisce una parola di quello che gli diciamo. Abbiamo guardato in tutta la casa Holmes, si stanno spazientendo e stanno per mandarci via. So come vanno queste cose, fanno finta di essere collaborativi, non troviamo niente e ci mandano via ridendoci alle spalle. L'informatore è affidabile, so per certo che...
-Stia zitto Gregson, santo cielo! Ha guardato sotto agli armadi, sotto ai tavoli, doppifondi nei cassetti, lo sciacquone del bagno, l'imbottitura del... ma certo! Faccia alzare il vecchio dal divano Gregson, quello che sta cercando è sempre stato sotto al suo naso. La saluto!
  Holmes riagganciò bruscamente la cornetta appoggiando il telefono per terra, poi mi guardò sorridendo.
-Tobias Gregson non è male come investigatore ma spesso non nota l'ovvio e questo è un grave difetto.
-Immagino faccia del suo meglio.
Holmes si alzò di scatto e si diresse verso la finestra, guardando tra gli spazi lasciati dalle numerose tende verticali che proiettavano la luce nella stanza formando tante righe.
-Guardi John. O mi sbaglio di molto o sta arrivando una cliente!
Mi alzai dalla poltrona e guardai fuori da sopra la sua spalla.
Sul marciapiede di fronte alla nostra abitazione vi era una donna.
Con la mano destra giocherellava nervosamente con l'orecchino mentre fissava la nostra porta d'ingresso.
Di colpo attraversò di corsa la via ed un breve suono tagliò in due l'aria pesante.
Holmes mi rivolse una veloce occhiata di entusiasmo e si sedette su una poltrona.
-Venga, John. Si accomodi.
Mi sedetti anche io e assumemmo le stesse posizioni che avevamo abbandonato pochi minuti prima.
In quel momento mi ricordai che entrambi eravamo ancora in vestaglia e certamente poco presentabili. Non ebbi il tempo di reagire a questo mio pensiero poiché Holmes iniziò un breve ma concitato monologo.
-Stia molto concentrato John, è il nostro primo cliente. Insieme, voglio dire. La donna che abbiamo visto poco fa si reca da noi per risolvere un problema. Ha notato anche lei il nervosismo e l'incertezza prima di suonare il campanello. Tuttavia la signora desidera essere ricevuta e desidera risolvere il proprio mistero. Ella è imbarazzata o afflitta, possiamo certamente affermare che non è invece in collera e che non ha subito un grave torto, o almeno che non ne è a conoscenza. Possiamo allora affermare che questa misteriosa signora si reca da noi per un problema sentimentale.
  In quel momento la signora Hudson bussò alla porta annunciando la signorina Mary Sutherland.
La facemmo accomodare e le offrimmo una tazza di tè, che lei rifiutò.
-Non trovate che con la vostra miopia il lavoro di impiegata sia un po' faticoso?
-Si, all'inizio, ma ora mi sono un po' abituata, sa...
Mary Sutherland aveva risposto senza capire la portata esatta delle affermazioni di Holmes.
Ad un tratto smise di parlare iniziando a scrutare Holmes con gli occhi strizzati.
-Ci conosciamo signor Holmes?
-No di certo, signorina Sutherland. Ma lei comunica molte più cose di quelle che vorrebbe, come tutti noi. E io le so leggere. Altrimenti, cosa ci farebbe lei qui?
-Sono venuta qui, signor Holmes perché un mio caro amico mi ha parlato molto bene di voi, definendovi addirittura uno dei migliori investigatori del mondo.
-Perché siete partita così di fretta da casa? È una questione così urgente?
Ci fu un attimo di silenzio e di stupore generale per come Holmes sembrasse conoscere davvero ogni persona qualunque.
-Si, sono uscita di fretta perché non ce la faccio più ad aspettare. Non ha senso aspettare ancora. Mio marito è scomparso e mio patrigno prende la cosa banalmente. Lo chiamo patrigno anche se ha solo cinque anni più di me.
-Vostra madre? È viva?
-Si, mia madre sta benissimo. Si è risposata subito, sopo la morte di papà, con un uomo che ha quindici anni meno di lei. Mio padre era un brav'uomo, faceva l'idraulico e mi aveva lasciato una percentuale in una ditta che hanno avviato lui ed il suo socio. Poi è arrivato il mio patrigno ed è riuscito a vendere tutto in poche settimane. Mio padre, se fosse stato vivo, avrebbe ottenuto ben di più da quella vendita! Vi prego signor Holmes, accettate il mio caso, non sono ricca ma guadagno bene con il mio lavoro da impiegata ed ho una piccola eredità da uno zio deceduto che mi rende una percentuale ogni due mesi.
-Questa storia mi appassiona!
Disse Holmes senza scomporsi troppo.
-Bene, ora parliamo della vostra relazione con lo scomparso.
Mary Sutherland arrossì portandosi la mano all'orecchino destro per una frazione di secondo.
-Noi... noi ci siamo incontrati per la prima volta ad una cena dei dipendenti della ditta per cui lavoro.
Mio patrigno non voleva che ci andassi. Lui non vuole mai che io e mamma andiamo da nessuna parte, in realtà. È un uomo molto conservatore e diventerebbe matto se uscissimo e vedessimo altri uomini. Ma quella volta ero decisa ad andare a quella cena perché la solitudine mi fa male, signor Holmes. Siccome mio patrigno sarebbe partito per la Francia per un viaggio d'affari, riuscii a raggiungere il mio obbiettivo senza problemi. Fu proprio a quella cena che conobbi mio marito, Hosmer Angel. Era seduto all'ultimo posto della fila del tavolo e dopo di lui non c'era nessun altro. Così parlammo tutta sera e si dimostrò molto gentile.
  Holmes interruppe il racconto sorridendo.
-Quando vostro patrigno tornò dalla Francia rimase molto offeso, immagino, di scoprire l'accaduto. Glielo avete raccontato?
-Al contrario signor Holmes, si mostrò quasi indifferente e mi disse che non c'è modo di mettere un freno ad una donna.
-Bene, dunque, vi siete incontrati, poi?
-Si. Ci siamo incontrati quella sera. Poi ci siamo rivisti tre volte ed abbiamo passeggiato insieme. Abbiamo parlato molto e mi sono sentita subito attratta da lui. Era così intelligente e premuroso.
Ma in seguito mio patrigno mi disse che non avremmo più potuto incontrarci.
-No? - chiese Holmes
-No, vede, a mio patrigno non piacciono molto queste cose. Lui sostiene che una donna deve rimanere nel suo cerchio famigliare. Ho provato più volte a spiegargli che il proprio cerchio famigliare bisogna prima crearselo ma ogni volta si finisce per litigare.
-E Hosmer Angel non ha cercato di rivedervi o di contattarvi?
-Si, signor Holmes. Mio patrigno è dovuto ripartire per la Francia dopo due settimane ma prima di quella data Hosmer mi scrisse una lettera dicendomi che sarebbe stato prudente vederci solamente quando mio patrigno non c'era. Così iniziò a scrivermi ogni giorno ed ogni volta riuscii ad intercettare il postino per non far sapere a mio patrigno della nostra corrispondenza.
-Eravate fidanzati?
-Oh, si. Signor Holmes, capisco che sia difficile da credere ma ci eravamo fidanzati alla nostra prima passeggiata.
-Che lavoro svolge il signor Angel?
-È impiegato in un ufficio a Leadenhall Street.
-Quale ufficio?
-Non lo so, signor Holmes.
-Dove abita allora?
-Non lo so.
-Non avete un suo indirizzo? Dove mandavate le vostre lettere?
-All'ufficio postale di Leadenhall Street, in fermo posta. Mi aveva detto che se gli avessi scritto una lettera indirizzata al suo ufficio, gli altri dipendenti lo avrebbero preso in giro. Così gli proposi di stamparle invece che scriverle a mano ma mi disse che nelle mie lettere poteva vedere una parte di me mentre invece in quelle stampate non ci sarebbe stato nulla.
-Molto suggestivo, davvero. Ci sono altre cose che si ricorda su Hosmer Angel?
-È molto timido, uscivamo di sera piuttosto che in pieno giorno perché non gli piacevano gli invidiosi. Ma ha molto tatto, è molto educato. Ha subito un intervento alle ghiandole da piccolo e parla quasi sempre sussurrando. Porta gli occhiali, anche lui, come me, non ci vede affatto bene.
-Cosa successe in seguito?
-Rividi Hosmer per una sola volta, durante l'assenza di mio patrigno. Era molto di fretta e mi propose di sposarci prima del suo ritorno. Io sono molto credente signor Holmes, come anche Hosmer. Così mi fece promettere, con le mani sulla bibbia, che gli sarei sempre stata fedele.
Mia madre mi disse che era una grossa dimostrazione di amore vista la leggerezza degli uomini di oggi. Accettai di sposarlo e chiesi a mia madre come Windibank, il mio patrigno, avrebbe preso la cosa. Lei mi rassicurò dicendomi che se ne sarebbe occupata. Non volevo chiedergli l'autorizzazione ma volevo che fosse al corrente di quello che stavo per fare. Così provai a chiamarlo ma non riuscii a rintracciarlo. Gli scrissi una lettera prioritaria inviandola alla sede dei suoi uffici francesi.
-Non la ricevette?
-No, era partito per il ritorno prima dell'arrivo della mia lettera.
-Che sfortuna. Il matrimonio?
-Lo fissammo per il fine settimana, in chiesa ma senza troppe cerimonie. Dovevamo sposarci a St. Saviour e fare un piccolo pranzo all'Hotel Saint-Pancras.
Io e mia madre lo attendemmo nella via che dava sulla chiesa. L'auto arrivò ma all'interno Hosmer non c'era!
L'autista ci disse di non capire come fosse possibile poiché gli aveva personalmente aperto la portiera. Ci disse anche di non poterci aiutare più di così e ci mostrò che tra lui ed il passeggero era stato alzato il vetro oscurato. Tutto questo accadeva venerdì scorso, signor Holmes.
-Direi che siate stata trattata in modo vergognoso signorina Sutherland.
-Impossibile, signor Holmes! Hosmer era troppo buono e troppo onesto per lasciarmi così.
-Perché mai? -chiese Holmes.
-Per tutta la mattinata di venerdì non ha fatto altro che ripetermi che dovevo rimanergli fedele in qualsiasi momento. Anche se un avvenimento imprevisto ci avesse separati. In quel momento non pensai che fosse una conversazione strana ma il tempo gli ha dato ragione ed ora tutto ha senso!
-Infatti ha senso. La sua opinione è dunque che sia rimasto vittima di un avvenimento improvviso?
-Si. Credo che prevedesse un pericolo, signor Holmes. E penso che questa eventualità si sia verificata.
-Non avete nessuna idea di cosa fosse, signorina?
-Nessuna.
-Ho ancora alcune domande. Vostra madre come la prese?
-Uh, lei era furiosa! Mi disse che non avrei più dovuto parlare di Hosmer.
-E vostro patrigno? È al corrente di tutto?
-Si, anche secondo lui è successo qualcosa. Dice che avrò a breve delle notizie di Hosmer perché, a parer suo, nessun uomo viene a trovarti il mattino delle nozze per poi abbandonarti. Ed io penso che se ci fossimo sposati e ci fossero questioni di denaro in sospeso, avrebbe potuto avere un senso. Ma io ed Hosmer non abbiamo mai parlato di soldi e non abbiamo firmato nessun documento.
-Accetto il vostro caso. - disse Holmes -smettete di far lavorare il vostro cervello. La prima ed unica cosa che dovete fare è cancellare Hosmer Angel dalla vostra memoria, per sempre.
-Credete che non lo rivedrò mai più?
-Temo di no, signorina.
-Ma che cosa gli è successo? - chiese la signorina quasi disperata.
-Risponderò a questa domanda ma non ora. Mi occorre da voi la descrizione esatta del signor Angel, nonché una delle lettere che vi ha spedito.
  La signorina Sutherland estrasse dalla tasca della giacca alcuni fogli.
-Ho fatto inserire un annuncio sul quotidiano locale. Questa è la descrizione e qui ci sono quattro lettere.
-Vi ringrazio, qual'è il vostro indirizzo?
-Abito a Lyon Place a Camberwell, al numero 31.
-Dove lavora il vostro patrigno?
-Lui lavora per “Westhouse & Marbank”, i grandi importatori di vini a Fenchurch Street.
-Grazie, signorina. Lasciate le lettere ed i ritagli qui e mi raccomando di seguire il consiglio che vi ho dato.
-Vi ringrazio di cuore signor Holmes ma credo che mi sarà impossibile. Ho fiducia in Hosmer e quando ritornerà sarò qui ad aspettarlo.
  Al contrario dell'abbigliamento non proprio sobrio, trovavo qualcosa di nobile nell'espressione di quella donna, qualcosa che induceva al rispetto.
Ella promise che sarebbe venuta a farci visita alla prima occasione e, dopo aver posato i fogli sul tavolo, se ne andò.
  Sherlock Holmes rimase seduto per alcuni secondi, senza muoversi, contemplando il soffitto.
Poi si sporse in avanti e da una cesta di vimini prese una vecchia pipa nera. Caricò il tabacco e la accese producendo un denso fumo bluastro.
-Per banale che sia questo caso, ci sono alcuni dettagli che mi stimolano. - disse sbuffando -ma è la signorina che avevamo qui di fronte, la miniera di informazioni.
-Sembra che abbia visto qualcosa che a me è sicuramente rimasto celato, signor Holmes.
-No, John. Anche lei ha notato questi particolari. È che non li ha capiti appieno. Descrivete la donna, per prima cosa.
-Aveva un cappellino pork pie color grigio ardesia, con un nastro rosso mattone. Una giacca nera con delle paiette nere, un vestito bruno. Ho notato un segno d'inchiostro all'indice destro. Portava dei piccoli orecchini d'oro. Non ho osservato le scarpe. - feci una pausa per pensare e proseguii con la mia conclusione -credo che sia appagata nel suo modo di vivere, abbastanza ordinario ma confortevole.
Holmes sorrise e si mise lentamente a battere le mani.
-Complimenti John, ha un vero talento per i colori ed ha più spirito di osservazione di quanto creda.
Vi dico sinceramente che non avete dimenticato molto. Avete notato la riga che aveva sotto alle maniche? Unita alla vostra osservazione sulla macchia d'inchiostro possiamo ipotizzare che lavori come impiegata e che abbia a che fare con la scrittura e l'inserimento di dati, sta spesso appoggiata, magari scrive anche con uno di quei computer nuovi.
In seguito ho esaminato il viso e ho notato il classico segno che lasciano gli occhiali, ho pensato che probabilmente la ragazza soffrisse di ipermetropia ma oggi ella era senza occhiali eppure aveva difficoltà a mettere a fuoco anche oggetti lontani. Ha strizzato gli occhi per leggere il numero quando si trovava sull'altra sponda del marciapiede e l'ha fatto anche entrando nella stanza.
-E durante la conversazione. -aggiunsi io.
-Esatto. Ciò ci porta ad affermare che ella ha un difetto alla vista piuttosto pronunciato. Lei non ha osservato le scarpe, John. Avrebbe notato che indossava un paio di stivaletti di cui uno sporco ed uno pulito. Di questi soltanto uno era allacciato correttamente mentre all'altro era stato fatto un nodo sommario. La ragazza però si veste con visibile cura e questo mi ha portato a pensare che sia uscita di casa in tutta fretta, poco dopo essere rientrata dal lavoro, per recarsi qui.
-Ammirevole, signor Holmes, davvero.
-La ringrazio, John ma ora è necessario che ci mettiamo all'opera. Può leggermi il testo dell'annuncio?
-Si ricerca un signore di nome Hosmer Angel, scomparso dal 14 mattino. Alto circa un metro e settanta, colorito olivastro, capelli neri, inizio di calvizie alla sommità del capo, baffi neri. Porta gli occhiali ed ha un difetto di pronuncia, sussurra sempre. Nell'ultimo avvistamento indossava un vestito elegante nero, scarpe eleganti ed un cappello a cilindro con nastro bianco. Impiegato in un ufficio a Leadenhall Street. Ogni persona può contribuire etc...
-Basta. Passiamo alle lettere, che ho analizzato mentre leggeva. Non ci dicono nulla di interessante, sono di una banalità noiosa. Tuttavia c'è un dettaglio che vi colpirà.
-Sono tutte stampate. -dissi io.
-Esatto, ed anche la firma è stampata. C'è la data ma non l'indirizzo, tranne Leadenhall Street, che è abbastanza vago.
-Una persona che preferisce le lettere scritte a mano e che non firma nemmeno le sue? Strano.
-Benissimo, John, benissimo. Scriverò due lettere, per risolvere il problema. Una indirizzata ad una ditta in centro. Una al patrigno della ragazza, per chiedergli di incontrarci domani sera alle sette.
Ed ora, dottore, non c'è nulla che possiamo fare. Prendiamo questo problema e lo mettiamo in un cassetto che chiuderemo a chiave.
  Ripensai alla sottigliezza del ragionamento del mio nuovo coinquilino, nonché futuro amico.
Era brillante e decisamente fuori dagli schemi.
Ricordo che pensai che forse, visto tutto questo acume, non ci saremmo mai trovati nella condizione di non poter pagare l'affitto. Pensai alla mia posizione pressoché inutile e mi sentii a disagio.
-Holmes, quando avrà realmente bisogno di me? Accadrà mai?
-È ovvio, John, che non ho affatto bisogno di lei nel campo della chimica o della musica. D'altronde le mie conoscenze dell'anatomia sono accurate ma sparse mentre lei è un eccellente dottore. Per quanto riguarda la deduzione, io e lei siamo molto diversi e ci confrontiamo su ciò che accade. Questo è un enorme vantaggio per me. Non si senta inutile, arriverà il momento in cui la sua esperienza sarà necessaria.
-Mi fido delle sue parole Holmes. Ora, se non le dispiace, uscirei a fare due passi.
-Faccia pure, John.
  E così feci. Mi avviai verso Regent's Park respirando a pieni polmoni. Rimasi affascinato da quanto l'aria fosse più pura al centro del parco rispetto a quella che avevo respirato poco prima, provenendo da Backer Street.
Passai il resto della giornata nella mia stanza leggendo un trattato statunitense sul buco dell'ozono presente in Antartide. Il plico di fogli era datato 1987 e pensai che probabilmente avrei dovuto leggere degli aggiornamenti riguardanti l'argomento poiché erano passati già tre anni da quella pubblicazione e come scienziato non ritenevo accurato uno studio così vecchio.
Mi chiesi come mai fossero presenti documenti sul clima poiché ero sicuro che non interessassero al mio coinquilino.
  Il giorno seguente Holmes non si fece vedere per l'intera giornata e rincasò solamente pochi minuti prima dell'orario previsto per l'appuntamento con il patrigno della signorina Sutherland.
-Avete già risolto l'enigma? -gli chiesi non appena ebbe varcato la soglia del salotto.
-Non c'è mai stato nessun enigma, mio caro, solo qualche piccolo dettaglio interessante in un mare di banalità.
  In quel momento si sentì un rumore di passi e qualcuno bussò alla porta annunciandosi come James Windibank.
-Ecco il patrigno della signorina. -Mi disse Holmes sottovoce.
Holmes lo fece entrare ed accomodare.
Era un uomo dalla carnagione chiara, senza baffi né barba.
Di statura media, sui trent'anni.
Dopo essersi seduto il signor Windibank si tolse i guanti e li tenne in mano.
-Buonasera, Windibank -disse Holmes prendendo in mano una busta ancora sigillata -presumo che questa sia la sua lettera che conferma il nostro appuntamento per le sette di stasera.
-Si, signor Holmes. Sono un po' in ritardo ma non sono il capo, capite anche voi. Mi dispiace che Mery vi abbia annoiato con questa faccenda del ragazzo scomparso. Non ci piace lavare in piazza i panni sporchi. Lei è voluta comunque venire qui da lei, contro la mia volontà ma non ho voluto fermarla. È giusto che ognuno faccia ciò che sente, alla fine. Non posso però promettervi che riusciremo a pagarvi subito, ve lo dico, signor Holmes. E neanche credo che riusciremo a ritrovare il signor Angel abbastanza in fretta da potercelo permettere.
-Al contrario. Ho molte ragioni di credere che riusciremo a trovare Hosmer Angel.
  Windibank sobbalzò lasciando cadere a terra i guanti.
-Sono molto felice di questa notizia! -disse mentre li raccoglieva.
-È molto curioso, le macchine da scrivere avevano carattere ed individualità. Ognuna aveva un segno caratteristico distintivo ed ogni lettera batteva in modo differente, a seconda della macchina, a seconda della persona. Per queste nuove stampanti è diverso, ma c'è comunque una famigliarità.
Disse Holmes aprendo la busta contenente la lettera ricevuta da Windibank.
-Vede signor Windibank, su questa lettera che mi ha inviato, e che ha stampato, c'è una leggera sbavatura di inchiostro sul margine destro. La sua stampante ha una rotellina del carrello impolverata o guasta che rallenta leggermente un lato del foglio rispetto all'altro. Allo stesso modo possiamo trovare questo leggerissimo difetto nelle lettere appartenenti al marito fuggiasco della signorina Sutherland. Guardi bene, troviamo in ognuna questo difetto, che è il più evidente. In più ho trovato altre cinque inflessioni nella costruzione verbale che fanno pensare a...
  -Non ho tempo da perdere con voi e con le vostre teorie fantasiose, signor Holmes!
Sbottò Windibank rimettendosi i guanti.
-Certo! -esclamò Holmes scattando in piedi e bloccando la via d'uscita. -l'ho presa, Windibank. Non può nulla ormai. È stato facile, molto facile. Era così evidente!
-Mi ha preso -replicò l'uomo vedendosi intrappolato -ma cosa farà? Non ho commesso alcun crimine. Non ho realmente infranto nessuna legge. La polizia non può accusarmi di nulla.
-Ciò che dice è vero ma questo non mi impedirà di darle una lezione!
Rispose Holmes lanciandosi su un frustino che era appeso alla parete.
In un istante Windibank arrivò alla porta e corse per le scale, scappando.
Holmes lasciò cadere il frustino e si lanciò sul divano ridendo.
-Quell'uomo ha sposato per denaro una donna molto più anziana di lui- disse restando sdraiato -la ragazza ha un temperamento buono ed amabile, è sensibile e delicata. Una situazione perfetta per un parassita. La pensione della donna anziana e la percentuale mensile della ragazza permettevano a Windibank di vivere egregiamente senza il minimo sforzo. Ma la ragazza sarebbe cresciuta e non avrebbe potuto controllarla per sempre. E cosa sarebbe successo se avesse trovato un uomo? Niente più soldi, niente più contributi da parte sua.
Così, con l'aiuto della moglie, Windibank si traveste. Aiutato dalla sua carnagione chiara, rende la sua pelle più scura di alcune tonalità. Indossa un paio di occhiali e dei baffi finti. Non si fa mai vedere alla luce del giorno ed inventa uno stratagemma per non parlare mai, ma sussurrare soltanto.
Sapendo che il travestimento non può funzionare ancora per molto, decide di continuare la sua finta relazione epistolarmente. Da qui l'obbiettivo finale: lasciare una ferita nella mente e nel cuore di questa ragazza che, perdendo il suo promesso sposo, non cercherà l'amore per i prossimi cinque o dieci anni. Trascorso questo tempo ella avrebbe potuto prendere la strada che desiderava poiché, con ogni probabilità, la compagna di Windibank sarebbe morta ed avrebbe lasciato a lui tutta l'eredità.
Holmes concluse il monologo ridendo nuovamente.
-Perché l'ha lasciato scappare allora? -chiesi sinceramente intontito da tutte quelle parole.
-Perché è evidente che farà carriera come criminale e che verrà arrestato, ma per ora, non ha commesso alcun reato.
-Non mi è chiara la storia nel suo insieme.
-Andiamo, John. Era chiaro fin da subito. Quando Angel c'era, Windibank spariva e viceversa. Questo è già un primo segno. Poi ci sono i tentativi di nascondere la propria scrittura, gli occhiali, la voce particolare. Forza!
-E come avete verificato le vostre ipotesi?
-Conoscevamo la società per cui lavora, Westhouse & Marbank, ricorda? Così ho spedito loro una lettera urgente. Avendo il ritratto dell'uomo scomparso, presente sul giornale, iniziai ad eliminare tutti i dettagli che potevano essere cambiati come gli occhiali, i baffi e la voce. Chiesi alla società se uno dei loro rappresentanti aveva un aspetto simile a quello che avevo ottenuto. La Westhouse & Marbank mi confermò che la descrizione corrispondeva al loro rappresentante. Ulteriore conferma l'abbiamo avuta ricevendo la lettera direttamente dal signor Windibank, stampata con la stessa stampante. Ecco tutto.
-E come ha fatto a sparire dall'auto?
-Un vecchio trucco. Si alza il vetro oscurato e si esce dall'auto al primo semaforo rosso.
-E la signorina Sutherland?
-Se le dicessi la verità non mi crederebbe. Spero che segua il mio consiglio, anche se non credo lo farà.
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entheosedizioni · 5 years ago
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Quel geniaccio di Balzac
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Non ho nessuna intenzione di scrivere la solita recensione, ossia di conformarmi ai canoni di chi riassume brevemente la trama del libro appena letto, ne analizza il contenuto, pretende di psicanalizzare i personaggi principali e si arroga il diritto di forgiare delle "chiavi di lettura" con le quali apre al lettore le porte del romanzo, finendo per influenzarne il giudizio, l'interpretazione e la ricezione dell'opera. Voi fidatevi di chi, come me, ne ha lette tante e limitatevi a leggere le recensioni sempre e solo dopo aver completato la lettura del testo. Sarà così più proficuo confrontare il vostro neonato punto di vista sull'opera con quello di chi l'ha recensita. Nascerà un dialogo ideale tra lettore e recensore e beneficerete del processo maieutico così come vi ha insegnato il buon vecchio Socrate. Un altro valido motivo per il quale non è conveniente leggere le recensioni prima di affrontare il testo originale è che esse contengono inevitabilmente delle anticipazioni sull'opera, o se preferite, contengono spoiler, visto che vi piace tanto anglicizzare una lingua – la nostra – che avrebbe invece molto da dare e poco da assorbire. “La cugina Bette” Che state aspettando dunque? Andate a comprarvi "La cugina Bette" di Honoré De Bazac e vi garantisco che non ve ne pentirete. Adesso però la recensione ve la faccio a modo mio, cioè raccontandovi la mia esperienza di lettura. In una domenica afosa venni letteralmente trascinato in una gita fuori porta con la quale ci si prefiggeva di sconfiggere un mostro abominevole: la noia. Secondo i miei calcoli, per poter parcheggiare un'automobile di medie dimensioni è necessario reperire uno spazio libero di circa 14 metri cubi con la condizione imprescindibile che esso sia formato da una base quadrangolare di lunghezza pari ad almeno 4,80 metri. Non è un'impresa da poco ottenere tutto questo, in piena estate, in una cittadina lacustre bendisposta ad offrire ristoro e refrigerio per i turisti accaldati. Però ci riuscimmo in un tempo ragionevole. Solo che, appena scesi dalla macchina, i miei compagni di viaggio furono immediatamente attirati da un mercatino della domenica e dunque si dispersero subito in mezzo a bancarelle adorne di futilità, oggettistica improbabile e abbigliamento improponibile. Che potevo fare io? Vagavo disperato e disinteressato finché non mi imbattei nella bancarella dei libri usati. Ora, io ho letto diverse opere di Balzac, quelle più conosciute e apprezzate, ma nessuno mi aveva mai suggerito "La cugina Bette", dunque quando mi trovai in mano quella vecchia copia in edizione economica non ero particolarmente entusiasta dell'acquisto. Pensavo si trattasse di un'opera minore, un romanzo giovanile e magari non tanto riuscito, un pò come succede oggi quando si acquista il CD di un grande artista contemporaneo, nel quale sono contenute tre o quattro tracce apprezzabili e una serie di deludenti canzonette riempitive: miserie della mediocrità dei nostri tempi. Nemmeno la copertina mi veniva in soccorso per attenuare la mia diffidenza e scardinare i miei pregiudizi poiché era tutta scolorita ed era illustrata da un dipinto di Joseph Tissot (chi sarà mai costui, mi chiedevo, non avendo mai sentito parlare di questo pittore col nome da orologiaio!) nel quale era raffigurata una donna adulta seduta in camera che mi rivolgeva uno sguardo malinconico e abbastanza deprimente. Se a tutto questo aggiungiamo un sottile strato di polvere, un odore di carta stantia, un titolo non certo allettante e un prezzo bassissimo, possiamo forse giusificare il fatto che io stessi quasi per rinunciare all'acquisto. Del resto, leggere significa investire il proprio tempo e io voglio sempre farlo nel modo più proficuo. È possibile oggi comprare un autentico capolavoro per soli due euro? È possibile nutrirsi l'anima per un'intera settimana leggendo ciò che costa meno di quello che serve a nutrire il corpo per un solo pasto? Sì, è possibile, vi dico io, ma per farlo vi serve un classico.
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Portrait of Mademoiselle LL James Jacques Joseph Tissot 1864 – olio su tela Musèe d’Orsay Mi sedetti in riva al lago e iniziai subito a leggere, quasi svogliatamente, tanto per ingannare il tempo nell'attesa che il resto della mia comitiva tornasse a reclamare la mia compagnia. E quando ciò avvenne ne fui quasi infastidito, talmente piacevole mi era risultata la lettura dei primi capitoli che aprono la storia presentandoci una situazione scabrosa e appassionante. Non volevo staccarmene e lo feci con ritrosia anche nei giorni seguenti, ogni volta che i miei impegni mi impedivano di restare in compagnia di Balzac. La trama La lettura de "La cugina Bette" fu fin da subito una sorpresa perché l'autore mi catturò immediatamente seducendo il mio interesse con una scena tanto inattesa quanto audace per un libro scritto più di 150 anni fa: un tentativo fallimentare di comprare l'inalienabile bene dell'amore. L'ex profumiere Crevel, diventato in seguito un danaroso speculatore, cerca di convincere Adeline, baronessa decaduta (per il momento solo finanziariamente parlando), cugina della protagonista, a concedersi a lui in cambio di una cospicua somma. Questo intento di porre in essere una inhonesta mercimonia deriva in parte da una sincera passione nutrita per l'ancora bellissima cinquantenne baronessa e in parte da un desiderio di vendetta da parte di Crevel nei confronti del suo amico e rivale di libertinaggio: il barone Hector Hulot d'Ervy, marito di Adeline. Quest'ultimo è colpevole di aver sottratto a Crevel la sua giovane amante Josepha, cantante molto in voga e donna particolarmente avvenente. Inutile dire che tale ratto sentimentale si è compiuto per mezzo di lusinghe in denaro e di regalie spropositate; piuttosto è importante spiegare che tali spese sono state compiute da Hulot per mezzo di cambiali, prestiti a usura e sotterfugi vari. Crevel sa che l'amico barone è quasi sul lastrico, che trascura la famiglia e gli interessi dei suoi due figli: Victorin, il primogenito, è sposato con Celestine, figlia unica proprio del malaccorto Crevel, mentre Hortense, la secondogenita, necessiterebbe di una dote per maritarsi. Però tutti i soldi di Hulot vanno a finire tra le grinfie delle cortigiane e dissanguano la famiglia. Proprio la consapevolezza di questa situazione rende Crevel talmente spavaldo da giocare a carte scoperte e da parlare apertamente alla baronessa Adeline, che tuttavia rifiuta scandalizzata le proposte indecenti del consuocero. È questo un romanzo nel quale amore e denaro viaggiano di pari passo, si incontrano, si scontrano, si sposano, si lasciano, si ricattano l'un l'altro e non trovano mai pace. Proprio come i personaggi che vi sono rappresentati: tutti soffrono o soffriranno, tutti sono affetti da una smania insaziabile che li fa cadere vittime dei loro vizi o delle loro virtù, delle loro ossessioni e delle loro ambizioni. Vizi e virtù rendono i personaggi schiavi e ostinati, terribilmente ostinati. Si affannano a perseguire il loro fine, sia esso moralmente disdicevole oppure encomiabile, sino al punto dell'autodistruzione. È ovvio che si tratta di caricature: Balzac esaspera i caratteri e i temperamenti dei protagonisti per raccontarci il vizio, per aprirci gli occhi sulle conseguenze sociali della liberalizzazione dei costumi che caratterizzava i suoi tempi (il romanzo uscì nel 1846). Ciò non vuol dire che l'autore sia un moralista o un retrogrado, quanto piuttosto un nostalgico. Egli rimpiange i tempi dell'ancien régime, ma non lo fa con il proposito di sollecitare una restaurazione, bensì con l'atteggiamento malinconico di chi ricorda i tempi andati mentre fotografa con occhio analitico la nuova società, più evoluta e più libera, della quale egli stesso fa parte, dal momento che nella sua vita privata non mancò mai né gaudenza né libertinaggio. Qualcuno potrebbe chiedersi dunque che senso abbia leggere oggi, in un contesto sociale molto più evoluto e progressista di quello che è oggetto della narrazione, tale romanzo. La risposta sta nella perizia con la quale Balzac manovra il suo scandaglio nell'animo umano e ci dà notizia di quelli che sono turbamenti, contraddizioni, debolezze, meschinerie e infamie messe in atto allora come oggi. È inolte interessante riflettere su quanto sia vischioso il processo di evoluzione degli usi e dei costumi e su quanto siano ripetitive e prevedibili le rimostranze dei cosiddetti conservatori. E poi ci sono le magistrali doti narrative di chi come lui è capace di tenerti incollato per ore a seguire la trama del suo racconto, riuscendo di volta in volta a sorprenderti con colpi di scena e risvolti inattesi. Anche se il romanzo è suddiviso in capitoli di lunghezza ridotta, la narrazione dà sempre l'impressione di non voler concedere pause al lettore e di procedere formando un unico blocco, dal quale risulta davvero spiacevole separarsi. Leggere questo libro mi ha fatto sorgere numerosi interrogativi e mi ha regalato tanti spunti di riflessione. È possibile che degli uomini maturi, scaltri, smaliziati, tanto adusi alla doppiezza inveterata del mondo degli affari, tanto tenaci nella contrattazione economica, tanto arditi e spregiudicati nell'arena finanziaria e sfrontatamente egoisti nel loro contesto familiare, vengano puntualmente beffati dalle moine di una bella donna? È possibile che degli uomini che hanno dato incontrovertibili prove di coraggio in battaglia, che hanno sfidato la morte, che hanno piegato il destino ai loro piedi, non siano poi capaci di negare un capriccio irragionevole al cuore volubile di una giovinetta dissennata? È possibile che siffatti uomini mettano a rischio, per il subitaneo impeto della passione, tutto ciò che la vita gli ha donato, patrimonio, rendite, carriera, onore, famiglia, reputazione e perfino la libertà personale, il tutto per non saper rinunciare alle grazie ammaliatrici di un'avida arrivista in gonnella? È possibile, ci dice Balzac. "Gli inganni dell'amore venale sono più seducenti della realtà. L'amore vero comporta dei battibecchi in cui ci si può ferire al cuore; ma il litigio fatto per finta è, al contario, una carezza fatta all'amor proprio dell'ingenuo."
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E invero le cronache ufficiali e ufficiose del tempo danno numerose testimonianze di uomini del bel mondo completamente rovinati dal perseguire i loro istinti lubrici. "Libertini" li chiama l'autore e il libertinaggio viene trattato alla pari di uno dei tanti inguaribili vizi nei quali l'uomo degenera. Del resto, lo stesso Balzac non era uno stinco di santo. Spesso, durante la lettura, mi sono soffermato a guardare la riproduzione in bianco e nero di un disegno di Cassal, riproposta tra le prime pagine del libro, e raffigurante l'autore in una mise elegante. I grandi occhi da malinconico di Balzac avevano un guizzo di dissolutezza, il tipico riflesso sornione del viveur, e non ho potuto fare a meno di pensare che egli abbia certamente avuto un'esperienza diretta, almeno parziale, di quegli stessi vizi che racconta così bene. La narrazione delle scellerate vicende dei libertini non è una novità in Balzac, avendone egli già dato mirabile prova nel suo romanzo "Splendori e miserie delle cortigiane", a sua volta prosieguo de "Le illusioni perdute" e certamente più famoso e blasonato de "La cugina Bette". In quest'ultimo però, le consuete tematiche del vizio, della lussuria, dell'arrivismo e dell'avidità vanno a costituire un sostrato narrativo al di sotto del quale viene a presentarsi il rancore. L'odio striscia furtivamente nel romanzo per tutta la durata della narrazione (che si esplica in 5 anni) e tale dannoso sentimento nasce, cresce e viene covato nel cuore della protagonista. Esso è tanto forte e radicato in lei, poiché atavico, ancestrale, dunque inestricabile e tale da aggirare il tipico problema del parossismo: non si manifesta in eccessi di rabbia, in irragionevoli scoppi d'ira, bensì in freddo e calcolato desiderio di rivalsa. "I godimenti dell'odio soddisfatto sono per il cuore i più forti e i più ardenti. L'amore è in un certo qual modo l'oro, e l'odio è il ferro di quella miniera di sentimenti che si trova dentro di noi poiché si odia sempre di più, come si ama ogni giorno di più, quando si ama. L'amore e l'odio sono sentimenti che si alimentano da sé; ma, dei due, l'odio ha vita più lunga. L'amore ha per confini delle forze limitate, riceve i suoi poteri dalla vita e dalla prodigalità; l'odio somiglia alla morte, all'avarizia, è in qualche modo un'astrazione attiva, al di sopra degli esseri e delle cose." Bette è il diminuitivo con il quale in famiglia chiamano Lisbeth Fischer, che è francese ma ha un nome tedesco poiché proviene dalla Lorena. Non ditemi che le vostre reminiscenze scolastiche non si ridestano immediatamente per darvi notizia di quante volte nel corso dei secoli la Francia e la Germania si sono contese Alsazia e Lorena e di come quei due tormentati territori siano finiti per dar luogo a una ibridazione non solo linguistica, ma anche culturale negli usi e costumi degli abitanti.
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La lorenese di cui Balzac vuole parlarci ha nel 1838 (data in cui ha inizio la narrazione) l'età di 43 anni ed è suo malgrado devota allo zitellaggio. Ha rifiutato ben cinque mariti che nel corso del tempo la sua famiglia aveva cercato di proporle. Ma l'aspetto cruciale del personaggio è l'invidia che la tormenta segretamente sin da quando era bambina. La sua invidia si origina dalla disparità di trattamento che la famiglia ha messo in opera tra lei, nata priva di grazie e per indole sempre caratterizzata da una certa rozzezza, e la cugina Adeline Fischer, di cinque anni più grande di lei, ma dotata di grande bellezza e raffinatezza. Bette è stata sacrificata alla cugina e ha dovuto rinunciare all'istruzione per sgobbare assiduamente come una qualsiasi popolana, dapprima facendo la contadina e successivamente impiegandosi come operaia. Tanti sacrifici furono imposti alla povera Bette quante attenzioni, delicatezze e vezzeggiamenti vennero invece rivolti ad Adeline, la quale aveva il solo merito di esser nata bella. C'è da dire però che l'adulazione sempre manifestatale dai familiari non ha insuperbito il carattere della bella Adeline né l'ha resa sdegnosa o viziosa. Il suo fascino, accompagnato da un carattere dolce e mansueto, le consentì da giovane di sposare colui che sembrava essere un ottimo partito: il summenzionato barone Hulot d'Ervy, allora benestante, aitante e avvenente nonostante avesse molti anni in più della moglie, e impiegato presso il Ministero della Guerra (oggi nessun governo chiamerebbe in questo modo la sua branca dedita all'amministrazione militare, preferendo invece la denominazione di Ministero della Difesa. Ciò non è certo dovuto al fatto che non si facciano più guerre, si fanno lo stesso, ma non  bisogna mostrarsene entusiasti o perlomeno bisogna spacciarle per necessarie). In tal modo Adeline poté abbandonare la provincia e trasferirsi a Parigi, cosa che a quei tempi rappresentava la prima soglia dell'ambizione sociale. Ma Adeline è l'anima candida del romanzo e non nutre nessuna ambizione al di fuori di quella di voler mantenere unita la famiglia e di dare continua prova di devozione al coniuge, seppure egli non la meriti affatto. Adeline è buona ma infelice (per colpa dei tradimenti di Hulot), è virtuosa ma assediata (dalle brame di lussuria e vendetta di Crevel), è affettuosa e onesta ma invidiata (da Bette). Ha deciso di invitare a Parigi la cugina per tenerla il più vicino possibile a sé e Bette è finita per diventare una balia per i suoi figli, una confidente per tutta la famiglia, una dama di compagnia per la cugina, una spalla su cui piangere e per ultimo anche un'agenzia di credito al consumo, visto che tutti le chiedono in prestito i suoi magri risparmi per poter tirare avanti nelle ristrettezze in cui il barone li ha lasciati. Tutti in famiglia vogliono bene a Bette, ma non la trattano come una loro pari poiché la considerano eccentrica, sgraziata e troppo grezza nei modi. Non smettono di canzonarla per il suo vestiario antiquato e strambo, per il suo aspetto dimesso, per la sua poca avvenenza e per la sua condizione di zitella. Nessuno ha idea del malanimo che la cugina cova dentro poiché ella non lo ha mai manifestato ed anzi ha sempre mantenuto un contegno mite e affettuoso con tutti i parenti. Però poi all'improvviso deflagra un ordigno potentissimo: Bette la zitellona confida alla giovane cugina Hortense di avere uno spasimante. Ciò è tanto insolito da far nascere una curiosità morbosa nella giovane, che oltretutto avrebbe una certa fretta di coniugarsi e rendersi indipendente, specie adesso che il suo progettato matrimonio è andato a monte per la perdita di quella che sarebbe dovuta essere la sua dote e che si è liquefatta tra le mani dissolute del padre Hulot. Hortense smania di voler conoscere e vedere colui che starebbe corteggiando la cugina Bette perché le sembra inverosimile che qualcuno si senta sinceramente attratto da quella donna. E in verità non si tratta di un vero corteggiatore, quanto piuttosto di un giovane che ha un debito di riconoscenza verso Bette. Il conte polacco Wenceslas Steinbock, di ben 15 anni più giovane di Bette, vive in una catapecchia al piano di sopra dell'appartamento della protagonista. Egli è un rifugiato politico clandestino che ha lasciato la sua patria dopo aver partecipato a un'insurrezione. Si trova in una miseria tale da ricorrere al suicidio per mezzo del braciere e del monossido di carbonio da esso esalato. Ma Bette lo salva giusto in tempo, si prende cura di lui, vi si affeziona e investe i suoi risparmi per aiutarlo a formarsi professionalmente come scultore e incisore. Il debito i riconoscenza porta Wenceslas a obbedire ciecamente a Bette e a diventarne quasi una vittima: lei gli impone ritmi di lavoro opprimenti né gli lascia spazio per alcuno svago perché cerca al più presto di mettere a frutto il suo talento e di fargli guadagnare del denaro. Bette sviluppa una notevole possessività nei confronti del suo protetto ma tra loro non nascerà mai una vera relazione d'amore prima di tutto perché Bette sconosce il piacere sensuale e rimarrà per sempre avvolta nel suo bozzolo virginale, in secondo luogo perché la differenza d'età tra i due è notevole, e infine perché Bette "rassomigliava a quelle scimmie vestite da donna che i piccoli savoiardi si portano in giro" e in più aveva qualche verruca sulla faccia. Sappiate voi che le verruche sul volto di una donna sono delle vere e proprie mine antiuomo, nel senso che terrebbero lontano qualunque corteggiatore dotato di un minimo senso dell'estetica. Ma, per farla breve, vi dico che un giorno Hortense incontra e conosce il bellissimo Wenceslas e se lo accalappia subito. Finisce per sposarlo e dunque lo sottrae al dominio di Bette. Costei, intimamente e segretamente furiosa per l'affronto subito, cerca perfino di farlo incarcerare ricorrendo a un sotterfugio, ma il suo intento fallirà. Bette inizia dunque a fare il doppio gioco, mantenendo da un lato la sua facciata di cugina devota con la famiglia Hulot, ma alleandosi segretamente con Valery Marneffe, la nuova fiamma del barone Hulot, allo scopo di rovinarli tutti. Hulot perde la testa per la Signora Marneffe, la vera femme fatale della storia, e pur di farne la sua amante finisce per sottrarre in modo fraudolento dei fondi allo Stato. La cosa strana è che la moglie Adeline e i figli gli perdonano sempre le sue sciagurate azioni poichè il barone Hulot è una persona seducente che riesce facilmente ad accattivarsi la benevolenza degli altri. Di certo i viziosi risultano più simpatici dei bigotti: "Il moralista non potrebbe negare che , in genere, le persone bene educate e molto viziose sono assai più amabili delle persone virtuose; avendo delle colpe da farsi perdonare esse sollecitano in anticipo l'ndulgenza, mostrandosi tolleranti verso i difetti dei loro giudici, e passano per essere eccellenti. Benché fra la gente virtuosa vi siano delle persone affascinanti, la virtù si crede già abbastanza bella per se stessa e non si dà da fare per abbellirsi: poi le persone realmente virtuose, poiché bisogna escludere gli ipocriti, hanno quasi tutte dei lievi dubbi sulla propria situazione; si credono ingannate nel grande mercato della vita, e hanno parole un pò agre alla maniera di coloro che si pensano misconosciuti.” Ma perché Hulot si comporta in tal modo? Per quale motivo non rende la moglie oggetto delle sue smodate passioni dal momento che ella è più che bella e desiderabile e invece ne disdegna le attenzioni per andare a ricercare soddisfazione altrove fino al punto della perdizione? Per il semplice motivo che Adeline, come la cugina Bette, non ha alcuna dimestichezza con l'ars amatoria. È una donna di puro sentimento, incapace di veicolare erotismo o di metterlo a frutto. Perfino quando la miseria la porterà a decidere di degradarsi sullo stesso piano della sua acerrima rivale (Valery Marneffe) e a tentare di prostituirsi per ricavare le somme che salverebbero l'intera famiglia dal disonore, il suo abbozzato tentativo di seduzione fallirà miseramente e susciterà solo pietà. Inoltre, tale sua pericolosa risoluzione, sebbene poi non messa in atto, le scombussolerà comunque il sistema nervoso al punto da minarne la salute.
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"Molte donne sposate, attaccate ai loro doveri e ai loro mariti, potranno domandarsi a questo punto perché quegli uomini così forti e così buoni, così facili alla pietà per delle signore Marneffe, non prendono le mogli, soprattutto quando somigliano alla baronessa Adeline Hulot, per oggetto del loro capriccio e delle loro passioni. Ciò ha a che fare coi più profondi misteri della natura umana. L'amore, questa immensa dissolutezza della ragione, questo virile e severo piacere delle grandi anime, e il piacere, questa volgarità messa in vendita sulla piazza, sono due facce differenti dello stesso fenomeno. La donna che soddisfi questi due enormi appetiti, è, in tutto il sesso femminile, tanto rara quanto il grande generale, il grande scrittore, il grande artista, il grande inventore lo sono in una nazione. L'uomo superiore come l'imbecille, un Hulot come un Crevel, sentono ugualmente il bisogno dell'ideale e quello del piacere; tutti vanno alla ricerca di questo misterioso androgino, di questa rarità che, nella maggior parte dei casi, risulta essere un'opera in due volumi! Questa ricerca è una depravazione dovuta alla società. Certo, il matrimonio deve essere accettato come un dovere, è la vita con i suoi tormenti e i suoi duri sacrifici, sostenuti in parte uguale da entrambi. I libertini, questi cercatori di tesori, sono altrettanto colpevoli quanto altri malfattori più severamente puniti di loro. Questa riflessione non è un'aggiunta posticcia di morale: essa ci fa capire molte infelicità incomprese". Balzac allude in tal modo alla contraddizione insita in ciascun uomo che vorrebbe poter riunire nella donna amata ora un angelo ora una puttana, che pretenderebbe di avere a fianco una compagna dolce e affettuosa, tuttavia pronta a trasformarsi in una voluttuosa concubina in camera da letto. Povero Honoré, se le femministe avessero letto questa sua pretenziosa asserzione lo avrebbero sbranato. Fortuna sua che ai suoi tempi il femminismo non era ancora in voga, così come non era ancora stato inventato il moderno e troppo spesso artefatto contegno del "politically correct", altrimenti non avrebbe potuto inserire impunemente nel suo libro tutta una serie di considerazioni azzardate e generalizzanti sulla presunta avidità degli ebrei e sulla loro predisposizione a praticare l'usura, tutta una serie di riflessioni a carattere classista circa la tendenza all'imbroglio e al furto da parte dei proletari: "In tutte le famiglie la piaga del personale di servizio è oggi la più dolorosa di tutte le piaghe finanziarie. Salvo rarissime eccezioni un cuoco e una cuoca sono dei ladri domestici, dei ladri salariati, sfrontati, di cui il governo si è compiacentemente fatto il favoreggiatore, incoraggiando così la tendenza al furto quasi autorizzata fra le cuoche dal vecchio e arguto modo di dire: "fare la cresta sulla spesa". A chi tenta di controllarli, i domestici rispondono con parole insolenti, o con le costose malefatte di una finta sbadataggine. Il male, giunto davvero al colmo potrà scomparire solo grazie a una legge che assoggetti i domestici salariati al libretto dell'operaio. il male cesserebbe allora come per incanto. Se ogni domestico fosse tenuto a esibire il suo libretto, e i padroni avessero l'obbligo di annotarvi le cause del licenziamento, la corruzione troverebbe senza dubbio un potente freno.  Non esistono statistiche sull'enorme numero di operai ventenni che sposano delle cuoche di quaranta e di cinquant'anni arricchitesi mediante il furto. C'è di che fremere al pensiero delle conseguenze di simili unioni dal triplice punto di vista della criminalità, dell'imbastardimento della razza, della vita familiare di queste coppie.") e, ancora, sulla natura selvatica, quasi ferina, degli slavi: “C'é negli slavi un lato puerile, come presso tutti i popoli primitivamente selvaggi, i quali, anziché civilizzarsi, hanno fatto irruzione nelle nazioni civilizzate. Questa razza è dilagata come un'inondazione e ha coperto un'immensa estensione del globo. Essa vi abita lande desolate dove gli spazi sono così vasti, che vi si trova a suo agio; non ci si sta gomito a gomito, come in Europa, e la civiltà è impossibile senza il continuo attrito di idee e interessi. L'Ucraina, la Russia, le pianure del Danubio, il popolo slavo insomma, è un trait d'union fra l'Europa e l'Asia, fra la civiltà e la barbarie. Perciò i polacchi, il gruppo più importante del popolo slavo, hanno nel carattere la puerilità e l'incostanza delle nazioni imberbi. Possiedono il coraggio, l'intelligenza, la forza; ma, privi di tenacia, questo coraggio e questa forza, questa intelligenza mancano di metodo e di direzione, poiché il polacco presenta una mobilità simile a quella del vento che regna su quell'immensa pianura inframezzata da acquitrini: se ha l'impetuosità degli spazzaneve, che dirompono le case e le trascinano via, come quelle terribili valanghe che precipitano dall'alto, egli però va a perdersi nel primo stagno che trova, e si dissolve in acqua. L'uomo prende sempre qualcosa dagli ambienti nei quali vive." Queste ultime parole non sono poi così lontane dalle tesi slavofobe che quasi ottant'anni dopo avrebbero infiammato il Mein Kampf. Le dittature del Novecento sono diventate l'emblema del razzismo e dell'antisemitismo, ma in realtà l'odio sul quale esse fecero leva era già conclamato nel contesto sociale europeo da diverso tempo (il caso Dreyfus esplose in Francia nel 1894) e anche in quei paesi che non furono soggetti al regime dittatoriale. Inoltre queste sono parole che fanno specie poiché provenienti dalla penna di colui che mentre le scriveva intratteneva una focosa relazione con una donna polacca (Madame Hanska). Naturalmente non è mia intenzione fare la morale a Balzac o peggio ancora additarlo come un reazionario illiberale, quanto piuttosto far notare come ogni uomo sia figlio del suo tempo, come cambino i costumi e il pensiero da un'epoca all'altra e come abbia poco senso giudicare e valutare con la mentalità odierna le convinzioni e le idee dei grandi del passato. Tuttavia anche queste considerazioni censurabili fanno parte delle sorprese che il romanzo ci riserva, al pari di alcune battute allusive e lascive, decisamente inconsuete per un'opera ottocentesca, e di un lessico che in determinate situazioni degrada dal livello aulico fino al punto più infimo della bestemmia quando la narrazione viene traslata nei bassifondi di Parigi. Non sprecate il vostro tempo per cercare una chiave di lettura perché non la troverete: la storia narrata è chiara, limpida, lampante e sviscerata in tutti i dettagli. È questa del resto un'opera che si inserisce nel contesto letterario del realismo, cioé ha lo scopo di fotografare la realtà così come essa è, e vi riesce appieno. Avrebbe senso ricercare la morale in un romanzo simile? Eppure quel geniaccio di Balzac lascia comunque trapelare un messaggio tra le sue splendide pagine: il vizio ha una forza corrompente potentissima e quasi inarrestabile. Finisce per travolgere tutto e trova un eccellente alleato nella miseria. Adeline, l'emblema della virtù, perderà la sua battaglia e morirà per il colpo fatale che l'immoralità del marito le infliggerà. Ella è, al pari di tutti gli altri, un personaggio statico, poichè come certamente avretepotuto intuire, i protagonisti del libro sono una manica di pazzi che perseverano ostinatamente nei loro errori: - Adeline rimarrà per sempre devota al marito fedifrago e scialacquatore e io ho perso il conto di quante volte ella sviene nel romanzo per colpa dei dolori che la condotta di lui le infligge. - Hulot rimarrà per sempre un seduttore e un sedotto, fino a rovinarsi completamente, fino a sfiorare la galera e il disonore (solo il fratello e il figlio potranno salvarlo a carissimo prezzo) e ogni suo tentativo di redenzione risulterà parimenti patetico e fallimentare. - Wenceslas rimarrà per sempre una promessa del mondo dell'arte non concretizzata e uno scansafatiche (in lui l'ozio vince perfino sulla lussuria che non riesce a corromperlo del tutto). - Bette rimarrà per sempre zitella e non riuscirà a vedere esaudito appieno il suo desiderio di vendetta nel gettare sul lastrico tutta la famiglia, nonostante si sia spinta fino al punto di fare da mezzana a una cortigiana. - Crevel rimarrà per sempre un povero illuso, credendo di essere il più furbo fra i viziosi edi potersi comprare l'amore con i suoi denari. - La signora Marneffe rimarrà per sempre un’intrigante arrivista ma non riuscirà a portare a termine i suoi propositi di arricchimento perché la sua nemesi arriverà anzitempo: il misterioso veleno di un amante geloso la porterà a morire ancora giovane, ma non prima di essere orribilmente deturpata nella sua bellezza con pustole, piaghe e bubboni. Un pò come sarebbe accaduto alla sua collega Nanà, figlia della penna di Emile Zola. - L'unico personaggio che sperimenterà un cambiamento è Victorin, figlio di Hulot e Adeline, uomo di legge integerrimo, dai principi saldi, che tuttavia finirà per sollecitare le morti del suocero Crevel e della sua promessa sposa Valery Marneffe, ex amante del padre Hulot, per salvare la propria eredità e quella della moglie, perdendo di fatto la sua integrità morale. Il vizio del padre scalfirà di riflesso la probità del figlio.
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Finale Adesso però non posso certo raccontarvi tutta la storia, altrimenti vi toglierei il piacere di scoprirla a poco a poco leggendo il libro, ma posso anticiparvi che il sodalizio Valery Marneffe - Lisbeth Fischer, cementato dall'odio e dall'ambizione, farà penare molto i familiari di Hulot e di Crevel e che entrambi i libertini saranno beffati come gonzi da colei (la Marneffe) che da rispettabile moglie diverrà presto la più abile delle cortigiane per ribellarsi alla sua iniziale condizione di miseria, che Balzac definisce "il più grande dissolvente sociale", attribuendole dunque la causa di molti mali. Adeline morirà e il vizio le sopravviverà poiché il barone vedovo continuerà a perseverare nel male e convolerà a nozze con una semplice cuoca molto più giovane di lui. A proposito, quasi dimenticavo, un colpo al cerchio e uno alla botte: "È un'immensa prova di inferiorità in un uomo non saper fare delle moglie la propria amante." Datevi da fare dunque, ma non dimenticate di leggere perché vi fa bene. Rosso Groviglio  Read the full article
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