#quattro elementi
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Dolce sentire, amaro morire
io sono lo specchio di te oh anima bella, io sono lo specchio di te oh anima morta, io sono lo specchio di te oh anima forte. Se lo dimenticassi vorrei finisse il mondo.
Oh mie anime bianche che vivete nel fuoco dell'inferno
Oh mie deboli e fresche membra che ardono nel fuoco del castigo
Oh quanto dolore, quanta morte
Eppure le persone perse non ritorneranno
Eppure la ciecità é uno scudo
Eppure la sofferenza gioca d'amore solo con la sofferenza come due gemelli che si amano
Eppure la tensione del bene volge verso voi
Eppure non esiste ciò che non pensate
O esiste ma non esiste nella vostra realtà
io dico il vero, anche se non ne capite il senso
E se non lo capirete mai, in ogni caso tutto si muoverà secondo queste leggi
Oh anima bella tu giocherai con le anime dei mortali
Oh anima pia tu vivrai con le anime belle
Oh anima forte tu deciderai le sorti
Oh anima morta, cullati nella morte, aprirai gli occhi e risorgerai solo quando non vedrai che stai vivendo
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dominousworld · 2 years ago
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I QUATTRO ELEMENTI NEGLI ANTICHI GRECI
di Omraam Mikhaël Aïvanhov I quattro elementi sono stati definiti in relazione ai quattro stati della materia: solido, liquido, gassoso e igneo. Tutto ciò che è solido, gli antichi greci lo chiamavano terra; tutto ciò che è liquido, acqua; tutto ciò che è gassoso, aria; e tutto ciò che è igneo – ossia il calore e la luce –, fuoco. Si ritrovano i quattro elementi nel cibo che prendiamo tutti i…
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recherchestetique · 8 months ago
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Fabergé
L'Uovo del palazzo di Gatčina è una delle uova imperiali Fabergé, un uovo di Pasqua gioiello che l'ultimo Zar di Russia, Nicola II donò a sua madre l'Imperatrice vedova Marija, nel 1901.
Fu fabbricato a San Pietroburgo nel 1901 sotto la supervisione di Michael Perkhin,per conto del gioielliere russo Peter Carl Fabergé.
L'uovo d'oro è coperto da vari strati di smaltato bianco traslucido su un fondo arabescato con tecnica ghiglioscé e dipinto con un delicato disegno di rose rosa e ghirlande di foglie verdi e oro legate con fiocchi di nastri rossi in una varietà di festoni.
File di perline dividono l'uovo in dodici pannelli: verticalmente in sei spicchi ed orizzontalmente lungo il bordo dell'apertura. Alle due estremità sono fissati diamanti tagliati come lastre sottili, probabilmente per coprire il monogramma e l'anno del dono, che però sono stati rimossi. L'interno è foderato in velluto.
La parte superiore dell'uovo si apre per rivelare una riproduzione in miniatura, in oro di quattro colori, della residenza invernale principale dell'Imperatrice vedova: il palazzo costruito a Gatchina, un villaggio 45 chilometri a sud-ovest di San Pietroburgo, per il conte Grigorij Grigor'evič Orlov ed in seguito acquistato dallo Zar Paolo I.
La miniatura riproduce nei dettagli anche l'area attorno al palazzo, sono presenti cannoni, una bandiera, una statua di Paolo I, ed elementi del paesaggio.
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occhietti · 10 months ago
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Ci sono quattro modi, e solo quattro modi, coi quali siamo in contatto col mondo.
Noi siamo valutati e classificati da questi quattro elementi:
ciò che facciamo,
come appariamo,
ciò che diciamo
e come lo diciamo.
- Dale Carnegie
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persa-tra-i-miei-pensieri · 5 months ago
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Chi l'avrebbe mai pensato che per vivere un po' di magia celtica sarebbe bastato andare ai colli della mia città in questa notte di San Giovanni e seguire la tradizione di questa festa nella versione cristiana che non si discosta di molto dalla Beltane celtica, anche qui fanno da protagonisti il legame della vita contadina con i quattro elementi e i balli "attorno" al fuoco, oltre che l'acqua come purificazione e il salto del fuoco come prova per suggellare una promessa ed anche l'acqua-rugiada da tenere in un barattolo di vetro sul davanzale della finestra durante una notte di luna piena, il che somiglia davvero molto al rituale dell'acqua lunare, tant'è che anche in questo caso al mattino bisogna lavarsi il viso con quest'acqua caricata di energia spirituale; inoltre entrambe le feste segnano l'inizio dell'estate.
La festa di San Giovanni
La notte di San Giovanni tra il 23 e il 24 giugno si celebra una festa antichissima probabilmente risalente all'epoca italica, è la festa dei fuochi tant'è che dopo 6 mesi da questa festa ci troviamo nel periodo natalizio con un fuoco che contiene il sole che si fa via via più debole e con le giornate sempre più corte, mentre durante questa festa che corrisponde al giorno più lungo dell'anno abbiamo il fuoco di San Giovanni che purifica e che segna l'inizio del periodo più importante del ciclo calendariale agrario cioè il tempo del raccolto. Altro elemento purificatore è l'acqua, infatti il rituale del ramajietto prevede due prove quella dell'acqua e quella del fuoco da fare insieme alla persona che si sceglie come compare o commare a fiure.
In questa notte magica fiorisce la felce e quindi è la notte perfetta per scambiarsi dei mazzi di erbe aromatiche, i ramajietti, in cui ogni pianta ha la sua simbologia. Come ad esempio l'iberico, l'erba di San Giovanni i cui fiori gialli ricordano il sole e dai quali se vengono strofinati esce un succo rosso che richiama il sangue versato da San Giovanni, e attraverso questo scambio si rafforza il legame di solidarietà e d'amore tra le due persone che diventano più che parenti, appunto compare quindi come un padre e commare come una madre.
Un tempo questa festa avveniva nelle buie campagne dove a illuminare c'erano tanti fuochi accesi in ogni contrada, e si aspettava l'alba danzando la quadriglia intorno al fuoco e andando in spiaggia ad attendere il sorgere del sole e dentro al sole si doveva riuscire a vedere la testa di San Giovanni che si bagna per tre volte nell'acqua, inoltre una volta arrivata l'alba ci si bagnava nella rugiada come ad iniziare una nuova vita purificati, oppure si raccoglieva la rugiada in dei barattoli di vetro e dopo averla lasciata sul davanzale della finestra per tutta la notte ci si lavava il viso purificando così anima e mente oppure ancora si rompeva un uovo e si conservava l'albume dentro un bicchiere d'acqua tenendolo sul davanzale della finestra, al mattino l'albume aveva preso una forma particolare e la tradizione vuole che la forma di un grande e maestoso veliero simboleggi un anno meraviglioso, mentre quella di una barchetta più piccola un anno un po' così così in cui bisogna darsi da fare e remare per renderlo migliore.
Questa quindi è una festa contadina legata al ciclo calendariale agrario motivo per cui il simbolo del ramajietto è proprio un mazzetto di nove erbe aromatiche e medicinali legate quindi alla natura e ai suoi elementi: il sole e quindi il Fuoco, l'Acqua, l'Aria e la Terra che si ritrovano insieme in questo simbolo. Queste erbe rappresentano le sensibilità come la vista, l'olfatto e la meraviglia della natura, motivo per cui la civiltà contadina ricorreva a queste piante nel momento del bisogno.
Il rituale del ramajietto:
Viene prima di tutto pronunciata la promessa di volersi sempre bene davanti alla fontana:
Cumpare e cumparozz facemc ste nozz
Se ci vulem bene a lu paradise c'artruvem
Se male ci purtem a l'infern ci niem
Dopo aver pronunciato insieme questa promessa per sugellarla ci si abbraccia.
Dopodiché tenendosi per mano si fa il salto del fuoco e infine se questo vincolo viene accettato con impegno si conferma riconsegnandosi il ramajietto il giorno di San Pietro e Paolo, quindi dopo una settimana di riflessione.
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Costumi tradizionali:
Per quanto riguarda le dame, queste indossavano abiti tradizionali del paese in cui vivevano, perché ci sono differenze tra i paesi sulla costa e quelli dell'entroterra in particolare i colori vivaci e il corpetto più alto e robusto per la costa e più basso ad esempio nel chietino, inoltre il costume della costa poteva venire arricchito di seta, frutto del commercio marittimo dell'epoca. Entrambe impreziosite con la classica presentosa abruzzese, anch'essa con le sue varianti in base alla zona, si tratta di un gioiello con intarsi in filigrana a riccioli o ad altre forme, dorata e a forma di stella con molteplici punte e uno o più cuori al centro. Inoltre l'abito cambiava nel momento in cui sposandosi si andava a vivere in un paese differente, indossando quindi quello del posto.
Invece gli uomini indossavano tutti delle vesti molto simili tra loro perché non volevano essere riconosciuti.
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fioredialabastro · 6 months ago
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1, 45 🌹
Buongiorno 🌹 grazie per avermi posto queste domande! ✨
1. Libro preferito? 📚
Risposta molto difficile da dare, ma questo è un gioco, perciò alla fine ho fatto la mia scelta: la saga di "Piccole Donne" di Louisa May Alcott, pubblicata dal 1868 al 1886 in quattro volumi: "Piccole donne", "Piccole donne crescono", "Piccoli uomini", "I ragazzi di Jo".
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La storia è semplice, i personaggi sono ben sviluppati ed è tutto lineare: nessun colpo di scena, conflitto tra buoni e cattivi, né avventura. Intriso di moralità americana, è un inno alla bellezza del quotidiano e un invito a rendere il mondo un posto migliore attraverso i nostri doni e le nostre scelte, ma anche un vero e proprio manifesto femminista, che utilizza le vicende di una normale famiglia per fornire un esempio concreto di società paritaria, giusta, in cui uomini e donne crescono insieme e lavorano in squadra per raggiungere un fine comune, più nobile, oltre il genere e il ceto di appartenenza: la felicità e la libertà di trovare la propria strada, rimanendo sempre fedeli a sé stessi.
Obiettivamente parlando, a parte la trama e i valori morali che amo e condivido, dal punto di vista dello spessore psicologico dei personaggi sono stati scritti libri più avvincenti, con elementi chiaroscuri, tormenti, mille sfaccettature. Perché allora ho scelto quest'opera?
Perché, al di là dei punti di forza e debolezza sopradescritti, mai nella mia vita da lettrice mi era capitato di trovare il mio alter ego letterario, finché non mi sono imbattuta in Jo March. A parte alcune differenze nell'aspetto fisico, infatti, nell'anima siamo praticamente identiche. Ricordo che man mano che leggevo inviavo le foto delle parti in cui lei era emotivamente coinvolta al mio migliore amico, il quale, senza che lo condizionassi, confermava ogni nostra somiglianza e aveva i brividi, come me. In generale, anche familiari e amici più cari si sono trovati sulla stessa linea di pensiero. Sono quindi legata a quest'opera ad un livello molto più profondo degli altri e non è qualcosa che capita così soventemente. Credo sia un fatto straordinario. ✨
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45. Quale personaggio Disney pensi di essere? 🏰
Quando ero bambina pensavo di essere Ariel, ma ora che sono una donna adulta credo di essere un'unione di Belle e Mulan.
Come Belle, amo leggere e sognare, rimango fedele a me stessa senza scendere a compromessi, anche a costo di rimanere sola; sono gentile, dolce, sorridente e generosa con tutti ma apro il mio cuore solo a pochi eletti; inoltre, vado sempre oltre l'apparenza delle situazioni e delle persone, risultando "troppo buona" agli occhi degli altri, anche se, a mio avviso, avere l'intelligenza emotiva e l'empatia elevate è una grande ricchezza. 🌹
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Come Mulan, ho un forte senso del dovere, tanto da essere molto severa con me stessa; sono goffa e imbranata, ma anche determinata, coraggiosa e pronta a combattere per i miei obiettivi e valori, più con i fatti che con le parole. Ancora non so se il mio riflesso sia uguale a me, credo sia un interrogativo da porsi ogni giorno, dinanzi alle scelte grandi e piccole. Infine, "Il fiore che sboccia nelle avversità è il più raro e bello di tutti" è uno dei miei incoraggiamenti preferiti, perché mi ci sono sempre ritrovata. 🌸
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lunamagicablu · 1 month ago
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Siate attenti ad ogni parola che pronunciate, perché nella natura c'è sempre uno dei quattro elementi -la terra, l'acqua, l'aria o il fuoco- che aspetta il momento in cui potrà rivestire di materia tutto ciò che esprimete. La realizzazione si verifica spesso molto lontano dalla persona che ne ha fornito i germi, ma si verifica infallibilmente. Così come il vento trasporta le sementi spargendole lontano, le vostre parole prendono il volo e vanno a produrre in qualche punto dello spazio risultati buoni o cattivi. Perciò, abituatevi a parlare con amore ai fiori, agli uccelli, agli alberi, agli animali e agli esseri umani, perché questa è un'abitudine divina. Chi sa pronunciare parole che riscaldano, vivificano, ispirano e accendono il fuoco sacro, possiede una bacchetta magica nella propria bocca ~ Omraam Mikhaël Aïvanhov ~ Canale @iGuerrieridellAMORE art by_plb606_ ***************************** Be careful with every word you pronounce, because in nature there is always one of the four elements - earth, water, air or fire - waiting for the moment when it can clothe in matter everything you express. Realization often occurs very far from the person who provided the seeds, but it occurs infallibly. Just as the wind carries seeds scattering them far away, your words take flight and go to produce good or bad results somewhere in space. Therefore, get used to speaking with love to flowers, birds, trees, animals and human beings, because this is a divine habit. He who knows how to pronounce words that warm, vivify, inspire and light the sacred fire, has a magic wand in his mouth ~ Omraam Mikhaël Aïvanhov ~ Channel @iGuerrieridellAMORE art by_plb606_ 
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crazy-so-na-sega · 2 months ago
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L'amore ai tempi dei lupi
– Sono nato nel 1926, un tempo su queste colline che vedi di fronte a te c’erano dei carbonai, estraevano il carbone necessario per far partire i treni – mi disse poco dopo essersi seduto accanto a me.
Mi aveva chiesto di potersi accomodare su una di quelle panchine della villetta comunale, dove andavo spesso a leggere un libro, perché lì giungeva l’ultimo raggio di sole di quella giornata di ottobre. Oggi non ricordo il suo volto, né so se l’ho mai più incontrato. Cominciò a raccontare senza che gli avessi chiesto nulla, era spinto da un’urgenza comunicativa e non me la sentii di oppormi.
– Devi sapere che sulle colline arrivarono dei lupi, forse scappati dal freddo dell’Abruzzo. Un giorno un carbonaio trovò un piccolo lupetto ferito a una gamba, che cercava di riscaldarsi sulla cenere ancora tiepida, e che era residuo del fuoco che gli uomini, i carbonai, avevano acceso la sera precedente. L’uomo si prese cura del lupetto, lo accudì, gli dava da mangiare, lo metteva a dormire al riparo, finché guarì dalla ferita. La sua natura lo riportò dai suoi simili un giorno che sentì un ululato provenire da un punto imprecisato del bosco.
Non sapevo perché avesse deciso di parlarmi di quella vicenda del lupetto, non sapevo nemmeno quanto di leggendario ci fosse nel suo racconto. Il tono con cui raccontava era così privo di enfasi, ma al tempo stesso così partecipato, che restavo ad ascoltarlo con piacere.
– L’anno successivo quello stesso carbonaio aveva posto della carne all’interno del suo accampamento di fortuna. Una sera, rientrando dal lavoro, trovò sei lupi affamati che gli stavano sottraendo il cibo. Si sentì spacciato. Sbagliava. Il capo – branco era il lupo che egli aveva salvato l’anno precedente. Con una serie di ululati strani, il lupo riconoscente quietò i suoi compari, che continuarono a mangiare la carne senza avventarsi sull’uomo. Il lupo ha buona memoria, a quanto pare.
Anche “l’uomo con gli occhi del 1926” ne aveva, a giudicare da quel che mi raccontava. Non indagai sulla veridicità della storia, del resto lui si limitava a riferirmela, e se anche avesse aggiunto elementi romanzeschi, che ci sarebbe stato poi di tanto grave?
Continuò in una sorta di flusso di coscienza ininterrotto, come spesso accade a coloro che hanno una certa età e che ricordano episodi lontani nel tempo in ogni minimo dettaglio.
Mi raccontò anche la sua personale storia di guerra, che in quanto personale è inevitabilmente soggettiva, condizionata, limitata, ma non per questo meno reale.
Dove oggi sorge un campo di calcetto, all’epoca della seconda guerra mondiale c’erano, almeno stando a quel che mi raccontò l’uomo, quattro cannoni della contraerea tedesca.
– I tedeschi, quelli che stavano nella mia zona, avevano un buon rapporto con la popolazione. Mussolini aveva emanato una legge per razionare il grano, quello in eccesso doveva essere portato all’ammasso.
Sui tedeschi e su Mussolini avevo da ridire, strabuzzai gli occhi e lui colse il mio sgomento, ma poi capii che lui non era un nostalgico fascista, che non ignorava, adesso, quel che il nazismo e il fascismo hanno rappresentato. Solo che “quei” tedeschi, quelli della sua minima e privata storia, non erano orchi, almeno a lui non apparvero tali.
– Gli americani, che erano giunti per liberarci, bombardarono senza stare troppo a distinguere i veri obiettivi delle bombe. Un giorno vidi a 40 – 50 metri da me cadere qualcosa dal cielo, pensavo fossero pacchi di pane o comunque cibo, invece erano bombe, ed è solo per un miracolo che sono qui a raccontarti questa storia. C’era un mulino, le madri di famiglia andavano lì a prendere il pane per sfamare i figli. Un giorno un bombardiere americano sganciò una bomba uccidendo una settantina di persone.
Ascoltavo ripromettendomi di indagare più a fondo sulle vicende, anche se temevo (cosa che infatti accadde) che di lì a pochi giorni mi sarei dimenticato di questo proposito, preso dalle mie questioni personali.
– Poi c’erano i tedeschi cattivi, lo so. C’erano anche tanti italiani che saltarono da un carro all’altro non appena si presentava l’occasione, gli apparati che avrebbero dovuto proteggerci erano tutti corrotti.
Parlava, ripeto, senza retorica, nonostante stesse descrivendo avvenimenti enormi. Pensavo a un uomo di oggi, mediamente inserito, né guerrafondaio né troppo impegnato politicamente, che all’improvviso si trova in mezzo a eserciti, bombe, armistizi, razzie, soprusi, stupri. Per quanti sforzi potessi fare, però, il mio pensiero non poteva neanche minimamente paragonarsi al suo ricordo. Lui aveva vissuto certe situazioni, io no, e questo scava un abisso.Lo ascoltavo, ogni tanto facevo qualche domanda ma lasciavo che fosse lui, se voleva, a raccontare, perché non avevo intenzione di risvegliare ricordi terribili oltre a quelli che già aveva.
Poi, improvvisamente, dopo un po’, cambiò discorso. Prese a parlarmi della sua vita sentimentale, di come aveva conosciuto sua moglie, della sua vita da esule all’estero, per lavoro, dove aveva incontrato italiani disonesti che l’avevano raggirato.
– L’uomo e la donna sono piccole colture selvagge, destinate a rimanere tali fino a che non s’incontrano per germogliare altri fiori. Mia moglie l’ho conosciuta in un pomeriggio del 1950. C’era il sole, come oggi. La vidi seduta di fronte a una bottega. Chiesi a un mio amico di accompagnarmi, mi vergognavo di dirle che mi ero innamorato.
Sorrisi, ripensando a quante volte mi ero sentito stupido nell’infatuarmi così, al primo sguardo. Ebbi la conferma che questo genere di follie erano sempre accadute.
– La mamma della ragazza mi disse che non era il caso. Poi, però, ci frequentammo, ci innamorammo l’uno dell’altro e dalla nostra unione nacquero dei figli. Le piccole colture selvagge avevano dato frutti.
L’uomo con gli occhi del 1926 mi aveva raccontato tutto questo, quel giorno, e ancora oggi non so perché.
– Tu ce l’hai una ragazza? – mi chiese poi alla fine del racconto.
– No – gli risposi sorridendo.
– Quanti anni hai?
– Trentadue.
– Ti facevo più giovane! Ti devi sbrigare, devi trovare una ragazza! – mi disse colpendomi affettuosamente sulla spalla sinistra.
Passeggio ancora per le strade del mio paese. Mi siedo spesso su quella panchina dove due anni fa “l’uomo con gli occhi del 1926” mi affiancò. Non sempre c’è il sole. Quasi mai c’è compagnia.
Oggi pomeriggio ho ripensato a quel giorno, alla sua pacca sulla spalla, alla storia delle “piccole colture selvagge”, alla bottega aperta in una domenica pomeriggio del 1950.
La strada principale del mio paese è illuminata a festa.Fa freddo. Pochi temerari girano per le strade. Ogni tanto passa una coppia. Allora può accadere che mi torni alla mente quella domanda.
– Tu ce l’hai una ragazza?
E’ strano come ciò che un tempo ti avrebbe ferito, solo due anni dopo ti fa sorridere. Non credo che la “maturità” in tutto questo c’entri qualcosa. Piuttosto penso che si tratti di “oblio”. Per essere più preciso: non penso più. Sorrido.
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jazzluca · 2 months ago
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OPTIMUS PRIME ( Deluxe ) Movie Studio Series 112
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Ed il primo modellino degli Studio Series dedicato al film di Transformers One, uscito in concomitanza proprio col lungometraggio, non poteva che essere quello di OPTIMUS PRIME! … anche se un po' fa strano, dato che al cinema il personaggio è perlopiù del tempo nelle fattezze di Orion Pax MA il giocattolo in questione è solo un classe Deluxe! :O
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Infatti già fa strano questa declassazione di Optimus negli SS, dal consueto Voyager ad un Deluxe, quasi a ricreare una nuova scala per questo film rispetto agli omonimi di altri lungometraggi e serie, ma appunto avrebbe avuto più senso fare un Orion Pax Deluxe il quale poi si sarebbe tramutato in un Optimus Voyager, un po' come si vede appunto al cinema!
Oppure, a questo punto, ci si può aspettare MAGARI un'uscita futura di un Deluxe 2 pack con un Orion trasformabile ed un altro no senza il T-Cog, proprio per ricercare la fedeltà cinematografica! :D …No, eh? ^^'
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Vabbè, elucubrazioni di ipotetiche uscite a parte, il ROBOT perlomeno è un Deluxe altino: non dico che raggiunga l'Op Earthrise, ma almeno rivaleggiucchia un po' con quello WfC Gamer Edition, suo collega poi in quanto a tematica d'aspetto. Infatti questa ennesima versione pre terrestre di Commander aggiungerebbe poco a quanto già visto negli anni passati: diciamo che non è barocco come i vari WfC dei videogiochi, ma più asciutto e con i soliti particolari classici, con gli avambracci però ora grigi e un'unico finestrone sul petto, questo fatto apposta in modo da far intravedere la Matrice al suo interno.
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A proposito di accessori staccabili, sulla schiena il nostro si trova una sorta di zainata / coperchio un po' come quella dell'Optimus Siege, cui va messo a riposo l'accessorio con le bocche di fuoco frontali del veicolo cui si trasforma ( che però è un po' attaccato con lo sputo, diciamo ), così come le iconiche canne fumarie sulle spalle sono staccabili ed impugnabili, mentre come arma Optimus One ha solo l'ascia d'Energon in plastica azzurra trasparente.
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Tornando all'aspetto del robot, a voler spaccare il capello in quattro, nonostante si presenti bene e ben dipinto con un rosso e blu scuretti ma brillanti, ci sarebbe il grigio che è sì metallico ma un po' troppo opaco, mentre il petto sovrasta parecchio l'addome che a sua volta soffocato dalle spallone, mentre la testa pare quasi annaspare in mezzo fra queste. Ma niente per cui strapparsi i capelli, per carità, ma magari in un Voyager queste inezie si potevano limare meglio… ;3
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Anzi, ok, petto e spallone sono parte del design originale, quindi l'"inestetismo" è a monte e amen, teniamocelo nei modellini fedeli, vabbè.
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A proposito poi di fedeltà al media, mi fa specie che abbia la faccia con la mascherina sulla bocca, che ci sarebbe stata bene una gimmick con una doppia testa o che con l'altra senza mascherina, ma ehi, è pur sempre solo un Deluxe! ^^'
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D'altro canto, ripeto, è perlomeno altino come Dlx e stra -posabile, con tutto quello che si può volere nel pacchetto della posabilità medio alta, pure la testa che si alza notevolmente, pugni che ruotano, etc. Ah, quasi dimenticavo: ovviamente non ha le mani che si aprono, visto che E' SOLO UN DELUXE, ma può comunque "impugnare" la Matrice tramite dei perni su questa e delle fessurine sui pugni, ok.
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Questo modello poi esce in contemporanea con la wave 1 dei Prime Changers, i Deluxe della linea principale del film, dove è presente anche lì un Orion Pax con però mascherina, ascia e canne fumarie di Optimus One, QUINDI a seconda dei punti di vista l'uno potrebbe essere ridondante verso l'altro e viceversa, laddove invece potevano essere complentari se il Prime Changer lo lasciavano con l'aspetto di Pax piuttosto che non pimparlo con quello di Prime, mah!
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La TRASFORMAZIONE è grossomodo quella classica, riprendendo elementi dal succitato Siege, con il coperchio / tettuccio e le ruote scolpite che dall'interno delle gambe slittano all'esterno, e con il solito bacino che ruota ed i piedi che si drizzano; almeno nella parte anteriore c'è qualche novità, con il pannello frontale con la griglia che è ripiegato subito sotto il petto, mentre le spalle si abbassano a diventare dei moduli laterali anteriori, ANCHE SE poi le braccia restano in vista con i pugni che letteralmente agguanto dei perni sulle gambe per tenere unito il veicolo! ^^'
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Ma è pur sempre una sorta di CAMION CYBERTRONIANO, che cerca di ricordare l'iconico Frightliner terrestre, anche se non so quanto senso abbia rappresentare Optimus così anche su Cybertron se non si porta appresso un rimorchio, ok, però diciamo che la novità delle parti laterali anteriori non è male, così come ora le canne fumarie usate come armi o razzi di spinta, a seconda della direzione.
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Ad aggiungere potenza di fuoco ci pensa il summenzionato modulino da sistemare frontalmente con i due laser in più, solo che non c'è poi posto dove poterlo nascondere, nel camion, anche se ci sarebbe volendo proprio dietro il pannello cui lo si aggancia. L'ascia d'Energon invece trova spazio comodamente in mezzo alle gambe nella parte posteriore del mezzo.
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Il fatto delle braccia in vista alla fine non da così fastidio, a dire il vero, dato che si mimetizzano bene ai lati del veicolo, mentre è davvero una furbata l'assenza di ruote effettive, sostituite da 4 ruotine essenziali, di cui quelle anteriori sono rosse e si confono tranquillamente nella parte frontale delle spalle.
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Insomma, alla fine non è affatto un brutto modellino, con aspetto fedele in entrambe le modalità e trasformazione ben realizzata e non troppo complicata, ma che però non esprime le potenzialità del personaggio poichè "degradato" alla classe Deluxe, laddove le varie gimmick che già questo SS doveva avere ( faccia con o senza mascherina, laser frontali a scomparsa ) sono invece finite nella versione estemporanea ed esclusiva giapponese di classe quasi Leader, il Brave Commander.
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Magari riducendolo di classe hanno voluto renderlo più conveniente anche a chi non colleziona per forza gli SS, e di conseguenza così tutti i successivi One Studio Series, ma speriamo, come dicevo sopra, che in qualche maniera recuperino prima o poi anche la versione di Orion Pax e senza T-Cog, giusto per completezza. :)
-Video recensione
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giallofever2 · 3 months ago
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HAPPY BIRTHDAY/BUON COMPLEANNO
Maestro DARIO ARGENTO
Regista, sceneggiatore e produttore cinematografico, nato a Roma il 7 settembre 1940. Capace di lavorare su generi cinematografici raramente affrontati dal cinema italiano (giallo, thriller, horror), ha creato un suo universo visivo ed espressivo, a tratti in debito con il cinema di Mario Bava. Ha inoltre assimilato e riproposto, sempre in chiave personale, il linguaggio di alcuni registi americani (Roger Corman, George A. Romero, Wes Craven). I suoi film, forti, tesi, ricchi di suggestioni, volutamente antirealisti e soprattutto capaci di suscitare forti emozioni, nascono "per essere rappresentati e non per essere letti. Nascono per immagini e non per concatenazioni di storie" (D. Argento, Profondo thrilling, 1994, p. 351). A partire dal 1973, si è dedicato alla produzione, oltre che di film propri, anche di quelli di altri registi, fra cui Romero, Lamberto Bava, Michele Soavi. Figlio del produttore cinematografico Salvatore e di Elda Luxardo, famosa fotografa di origine brasiliana, abbandonò presto gli studi per trasferirsi a Parigi, dove rimase per un anno vivendo di espedienti. Tornato poi a Roma iniziò a collaborare, poco più che ventenne, a giornali e riviste (in particolare al quotidiano romano "Paese sera" e a "Filmcritica"). Nel 1967 iniziò l'attività di sceneggiatore per film western e commedie, firmando tra l'altro, insieme a Bernardo Bertolucci, C'era una volta il West (1968) di Sergio Leone. Il suo esordio nella regia risale al 1970 con L'uccello dalle piume di cristallo, al quale hanno fatto seguito gialli di grande successo popolare (tra i quali Profondo rosso, 1975) e film di struttura più fantastica come Suspiria (1977) e Inferno (1980). Unica eccezione in questo percorso artistico così caratterizzato, il film di impianto storico, ma dai toni sarcastici, Le cinque giornate (1973).
Generalmente si considera la sua filmografia divisa in due fasi: in quella iniziale A. ha utilizzato sceneggiature dall'impianto apparentemente logico-razionale, con una serie di delitti compiuti da un assassino che viene smascherato al termine del film. A partire da Profondo rosso, uno dei film horror italiani degli ultimi trent'anni che ha maggiormente colpito l'immaginario dello spettatore, nelle sue storie sono risultati prevalenti gli elementi fantastici, e il dato visivo è diventato l'aspetto centrale del film, con un impasto di emozioni barocche e una colonna sonora che ha spaziato dalla musica classica al rock più ossessivo (per le scelte musicali A. si è affidato in particolare ai Goblin). In realtà, molti elementi rivelano una decisa continuità del suo lavoro: la claustrofobia di ambienti e situazioni (con una Torino ricreata come città incubo), le nevrosi dei suoi personaggi, un uso libero e delirante della macchina da presa che esalta la forza delle immagini senza troppo interessarsi della verosimiglianza di storie e dialoghi. Nei gialli dei primi anni, per es., ricorre un elemento decisamente antirealistico: le vittime, infatti, sono spesso pedinate dalla macchina da presa, che sembra così rappresentare il punto di vista dell'assassino, ma il colpo decisivo viene inferto da un diverso angolo visuale tanto da creare un effetto sorpresa per lo spettatore, violando volutamente le regole auree del giallo cinematografico. Più volte colpito dalla censura (Profondo rosso è uscito in Francia tagliato di quasi mezz'ora rispetto alla versione originale), A. ha saputo comunque conquistarsi un pubblico fedele e affezionato: le sue opere sono state distribuite in tutto il mondo ed è sicuramente uno dei registi italiani più noti all'estero. I suoi primi film (L'uccello dalle piume di cristallo; Il gatto a nove code, 1971; Quattro mosche di velluto grigio, 1971) hanno creato un genere e hanno avuto numerosissimi imitatori in Italia e all'estero, come testimonia la lunga serie di titoli in cui viene riproposta la zoologia fantastica che lo ha reso famoso. Anch'essi concepiti per un cast internazionale, ma meno facili da imitare, i suoi horror fantastici lo hanno avvicinato ai migliori autori dell'horror contemporaneo, quali Romero (con il quale ha instaurato un rapporto di collaborazione, essendo stato coproduttore del suo film Dawn of the dead, 1979, Zombi, e avendolo affiancato nel 1990 nella regia di Due occhi diabolici), e John Carpenter. Nel 1993 con Trauma, A. ha inaugurato il rapporto cinematografico con la figlia Asia che si è approfondito in seguito, in particolare per due film che l'hanno vista protagonista: La sindrome di Stendhal (1996) e Il fantasma dell'Opera (1998). Asia Argento, che ha lavorato con registi come Nanni Moretti, Abel Ferrara e Peter Del Monte, nel 2000 ha esordito nella regia con il film Scarlet diva.
Nel 2001 A. è quindi apparentemente ritornato a una struttura narrativa più tradizionale (il giallo classico) con Nonhosonno, anche se le emozioni visive hanno continuato a essere l'elemento più moderno e interessante. Il suo cinema, non sempre adeguatamente apprezzato dalla critica in Italia (che al più lo valuta come un discreto mestierante), è invece oggetto di culto soprattutto in Francia (dove nel 1999 gli è stata dedicata una retrospettiva completa presso la prestigiosa Cinémathèque française) e negli Stati Uniti, dove esiste una vasta e approfondita pubblicistica.
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blogitalianissimo · 2 years ago
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Acqua. Terra. Fuoco. Aria. Mia nonna mi ha sempre raccontato meravigliose storie dei tempi passati, un'epoca di pace in cui l'Avatar manteneva l'equilibrio tra le Tribù dell'Acqua, il Regno della Terra, la Nazione del Fuoco e i Nomadi dell'Aria. Ma tutto questo cambiò quando la Nazione del Fuoco decise di attaccare. Solo l'Avatar, padrone di tutti e quattro gli elementi, avrebbe potuto fermare il feroce e inesorabile conflitto. Ma proprio quando il mondo ne aveva più bisogno, lui scomparve.
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l-incantatrice · 2 years ago
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Tra i quattro elementi, i miti scelgono a proprio modello l’acqua: l’acqua che, se incontra un ostacolo, si arresta: se l’ostacolo si rompe, corre via; che è rotonda o quadrata secondo il recipiente in cui viene messa, e proprio per questa pieghevolezza, dicono i taoisti, è il più forte degli elementi. Come l’acqua, i miti ignorano la rigidezza: «smussano ciò che è affilato».
(Barbara Spinelli)
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diceriadelluntore · 1 year ago
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Storia Di Musica #286 - Guns N' Roses, Appetite For Destruction, 1987
Anticipo che, siccome la ricerca di album con le copertine censurate è stata davvero divertente, tra poco ci sarà una sorta di appendice fotografica con piccole storie, alcune davvero incredibili, su copertine che definire controverse a volte è davvero poco. Per finire questa mini carrellata oggi sono andato nella Los Angeles di metà anni ’80, dove un gruppo che segnerà un’epoca musicale muove i primi passi. Nascono infatti dalle fusioni di musicisti degli L.A. Guns e degli Hollywood Roses. Dagli Hollywood Rose provenivano Axl Rose (Voce) ed Izzy Stradlin (Chitarra ritmica), mentre dagli L.A. Guns provenivano Tracii Guns (Chitarra solista), Ole Beich (Basso) e Rob Gardner (Batteria). Il gruppo esordì ufficialmente il 26 marzo 1985. Ole Beich dopo pochi concerti capisce che non è cosa e lasciò il gruppo, venne sostituito da Duff McKagan, che esordì insieme agli altri membri della band l'11 aprile 1985, al locale Radio City ad Anaheim. Poco dopo anche il chitarrista Tracii Guns abbandonò il gruppo, a causa di divergenze con Axl Rose, e riformò gli L.A. Guns. Al suo posto entrò Saul Hudson, in arte Slash, che aveva avuto precedenti esperienze in alcune band tra cui i London e Black Sheep, oltre ad aver già suonato negli stessi Hollywood Rose. Rimane solo da trovare un batterista dopo che anche Gardner se ne va: si associa al gruppo Steven Adler, che aveva in precedenza suonato qualche volta con McKagan e Slash. Inizia così la storia di un gruppo che si muove sullo sfondo di una Los Angeles sognata fatta di feste (e fatta in molti altri sensi), cinema, eccessi. All’inizio, i concerti avvengono nei weekend, perché durante la settimana tutti fanno qualche lavoretto. Ma sin da subito esprimono una potenza ed un’energia incredibili. Tanto che Tom Zutaut della Geffen Records, stupito da un'esibizione del gruppo, diffuse in giro la falsa notizia che "facessero schifo" per avere più tempo e mezzi per scritturarli. Avuto un anticipo su contratto all’epoca faraonico, firmano con la Geffen che crea, fittiziamente, una nuova etichetta, la Uzi Suicide, per dare al loro primo EP un’aura di autoproduzione. Tra l’altro, l’Ep è un finto live registrato in studio dal titolo Live ?!*@ Like a Suicide: tra i quattro brani, una cover azzeccatissima di Mama Kin degli Aerosmith e una musica che spira fiamme dalle corde della chitarra di Slash e dalla voce di Axl Rose. Ci vuole infatti solo qualche mese per l’attesissimo debutto del 1987: fu contattato persino Paul Stanley dei Kiss per la produzione, ma alla sua richiesta di poter modificare i brani fu subito cacciato. Le redini della potenza sonora furono date ad un giovane Mike Clink, che con il successo di Appetite For Destruction diventerà un nome importante dell’heavy metal moderno. Partiamo subito dal casus belli della copertina: la prima idea di Axl Rose fu quella di usare la celeberrima e drammatica foto dello scoppio dello Space Shuttle Challenger che nel Giugno del 1986 scoppiò dopo pochi secondi dal lancio, uccidendo i 7 elementi dell’equipaggio, idea subito accantonata perché ritenuta offensiva. La seconda scelta, usata provocatoriamente alla fine come copertina, era questa:
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un disegno di Robert Williams, da cui la band prese il titolo Appetite For Destruction, in cui un robot che si sta vestendo dopo aver abusato sessualmente di una donna, che è a seno nudo sul marciapiede, è fermato da uno spaventoso robot guardiano. Allegoria dell’intrusione violenta e scellerata sul mondo e sull’ambiente (almeno secondo la band in numerose interviste successive) fu rifiutata da diverse catene di vendita. La Geffen decise quindi di ritirare le prime tirature (che adesso valgono centinaia di euro) e di sostituire l’originale con una copertina più convenzionale, che è quella di apertura al post, dove il disegno di un tatuaggio a croce celtica contiene agli estremi e al centro dei teschi disegnati a rappresentanza dei singoli componenti: secondo Billy White Jr., il disegnatore, i nastri che fanno da sfondo alla croce sono un omaggio ai mitici Thin Lizzy, band preferita sia dal disegnatore sia da Axl Rose. Per quanto riguarda la musica, siamo di fronte ad uno dei dischi di debutto più portentosi di sempre, con canzoni diventate miti: dalla potenza selvaggia di Welcome To the Jungle, per mesi rifiutata dalle radio, scritta da Rose mentre si trovava a Seattle con un amico. I due incontrarono un barbone che, nel tentativo di spaventarli, gridò loro: «You know where you are? You're in the jungle, baby! You gonna die!», a Anything Goes, conturbante, da Nightrain, omaggio all’economico vino californiano, molto alcolico, di cui erano “ghiotti” i nostri, a Mr. Brownstone, stravolto e travolgente inno alla droga (problema che diventerà una pensante dipendenza per il gruppo, tanto da essere in seguito provocatoriamente descritto come Lines n’Noses), dal punk rock di Paradise City a It's So Easy, che leggenda vuole fu scritta dopo che Slash vide un incidente a New York, e andando vicino all’uomo rimasto in auto questi gli abbia detto “Non ti preoccupare, da queste parti cose del genere capitano sempre. Le auto si scontrano tutte le notti.”, tanto che nel secondo verso il testo dice: Cars are crashing every night\I drink and drive\everything's in sight\I make the fire\But I miss the fire fight\I hit the bullseye every night. Rimangono ancora due brani: il primo, Rocket Queen si ricorda perché ad un certo punto ci sono, nel bridge finale, i rumori di un rapporto sessuale, che leggenda vuole fosse una registrazione, non si sa quanto voluta, tra Axl Rose e tale Adriana Smith, che si dice fosse una ex di Adler. Ma la canzone più famosa è Sweet Child O’ Mine: scritta per la sua allora fidanzata, Erin Everly, divenne una hit mondiale anche per via del video musicale, che mostra i componenti della band suonare la canzone in un deposito. Un disco che mostra senza nessun pudore ambiguità e sessismo, tanto che si da subito la band sembrava fatta apposta per suscitare polemiche, aumentate anche da sibilline interviste e apparizioni in TV. Verranno accusati di tutto, la più grave delle accuse sulla loro presunta xenofobia (scatenata da One In A Million, canzone contenuta nel loro successivo G’N’R Live del 1988), ma nel mondo del rock pesante si imporranno la voce, lo stile strabordante di Axl Rose e soprattutto la chitarra di Slash, che diventerà iconica. Rimangono uno degli ultimi esempi di leggenda di rock della strada, ma sin da subito inizieranno faide interne, problemi di droga e altro che segneranno tutto il futuro cammino musicale, segnato da megalomania, canzoni mito (una su tutte, November Rain, ma anche Ain't It Fun) e una sorta di predisposizione al litigio, tanto che è impossibile capire quante volte la band si sia sciolta e ricomposta. Tra l'altro, tra tutti Slash è quello che avrà discreto successo anche da solo o come ospite sessionista, suonando in centinaia di dischi. Una band selvaggia, furiosa e imperfetta, in pieno stile rock.
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kiki-de-la-petite-flaque · 4 months ago
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Con la Transiberiana ci volevano dieci giorni per arrivare a Mosca. Un viaggio che tocca il profondo di chiunque lo faccia. Bowie scelse di viaggiare in un vagone deluxe, due cuccette, una toilette e un bagno da condividere. Rimase quasi da subito chiuso nel suo scompartimento, forse ancora prigioniero di Ziggy Stardust, dell’uomo caduto sulla terra, ma durò pochissimo. Non poteva non accorgersi di cosa c’era oltre il suo scompartimento, oltre quello spazio privilegiato. Non esiste alcun modo di evitare il mondo, soprattutto in un vagone della Transiberiana. Si accorse della prima classe, con quattro cuccette per scompartimento. Notò la classe inferiore, con le cuccette fino al soffitto e la gente che dormiva per terra.
Il treno fermava a ogni stazione e dopo quasi ottocento chilometri, quando il viaggio non era che all’inizio, a Khabarovsk Bowie dovette cambiare treno. Dal finestrino scorrevano forme del mondo ancora vicine e comprensibili. Una casa bianca con il tetto azzurro spiovente. La vegetazione ai lati del binario. La campagna, i passaggi a livello, qualche vettura. Sulle cime alte degli alberi denudati qualche volatile aveva costruito il nido dove far crescere i piccoli. Il ponte sul fiume Amur. La distesa ampia e grigia delle acque. Le nuvole basse all’orizzonte. I primi segnali di una terra desolata. Un bosco di betulle. Ogni quindici minuti il treno si fermava a una cittadina dimessa e povera. Qualcosa cominciava a mutare. Il paesaggio attinge sempre a elementi semplici, una casa, un monte, una nuvola, per cambiare. Fino a quando, però, non arriva la Siberia. Perché quel che si vedrà allora sarà completamente diverso da quel che si è visto prima.
Federico Pace, Controvento, Einaudi
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gregor-samsung · 1 year ago
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“ Era il 1973, c'era la guerra, la gente faceva capannello attorno alla radio. Ascoltavano Radio Cairo, ancora increduli che l'esercito egiziano potesse attraversare il canale di Suez, che gli arabi potessero vincere contro Israele. Stava in piedi assieme ad altre persone, Zayn 'Alúl, davanti alla bottega di Abu Khalíl, sorseggiando tè e facendo quattro chiacchiére. A un certo punto le chiacchiere avevano preso un'altra piega, si erano trasformate in una discussione a proposito dei fatti della Bank of America. Era successo che alcuni elementi della polizia libanese avevano fatto irruzione nella banca, ucciso due degli uomini che l'avevano occupata, arrestato gli altri due e liberato gli ostaggi. Con il risultato che la banca non aveva scucito un petacchino per lo sforzo bellico arabo, scopo ultimo dell'operazione, stando alle condizioni dettate dal capo del commando, poi abbattuto. - È stato un errore, - diceva Abu Khalíl, - la guerra è in Israele, a che pro occupare una banca qui? - La banca è americana, gli americani sono Israele. Sí insomma, lí e qui è la stessa identica guerra, - aveva ribattuto uno dei ragazzi che facevano ressa attorno alla bottega.
Abu Khalíl aveva preso in mano il giornale e si era avvicinato alla luce che usciva da dentro il negozio. - Date retta a me, ragazzi, è stato un errore. 'Ali Shu'ayb ha preso in ostaggio e poi ammazzato un americano che non c'entrava niente. Leggeva, Abu Khalíl: - «L'americano John Conrad Maxwell è stato assassinato da 'Ali Shu'ayb. Quest'ultimo, ricorrendo a uno degli ostaggi perché non in grado di esprimersi in inglese, ha comunicato a Maxwell di aver deciso di ucciderlo poiché la dilazione concessa alle autorità era scaduta. L'americano ha implorato per la propria vita, ma 'Ali Shu'ayb gli ha sparato alla schiena. L'americano, supino al suolo, ha urlato e supplicato, ma 'Ali Shu'ayb, coadiuvato da un altro componente del commando, presumibilmente Jihàd As'ad, lo ha preso a calci e ha nuovamente fatto fuoco, colpendolo al ventre e togliendogli la vita». - Ma vi sembra possibile, ragazzi? Non son cose che si fanno, - aveva concluso Abu Khalíl: - E poi il problema è con Israele, la guerra è li. È stato un errore. - Tutte balle, - aveva esclamato Zayn 'Alúl, - sono tutte balle. “
Elias Khuri, Facce bianche, traduzione dall'arabo di Elisabetta Bartuli, Einaudi (collana L'Arcipelago n° 126), 2007¹; pp. 133-134.
[1ª Edizione originale: الوجوه البيضاء, (Wujuh al-bayda), editore Dar Al Adab, Beirut, 1981]
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furlantravelfashionblogger · 7 months ago
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Dal 20 aprile al 15 settembre, ogni sabato e domenica e festivi. Previste tre fermate
A Villa Bardini arriva il nuovo servizio gratuito di navetta elettrica per la visita del meraviglioso giardino incastonato fra le antiche mura di Firenze. La pendenza dell’aspra collina lungo la quale si estendono i quattro ettari di bosco, orto e frutteto non sarà più dunque un problema. Un’iniziativa di Fondazione CR Firenze e Fondazione Parchi Monumentali Bardini e Peyron in collaborazione con Opera Laboratori Fiorentini.
La navetta sarà attiva dal 20 aprile al 15 settembre 2024, ogni sabato, domenica e festivi (partenza alle 11.00 da via de Bardi e ultima corsa alle 17.30 da Villa Bardini, con un intervallo dalle 13.00 alle 14.00). Saranno tre le fermate: il capolinea in via de Bardi, la fermata Scalinata Barocca e il capolinea Villa Bardini. Precedenza sarà data alle famiglie con bambini e alle persone anziane. Il Giardino racconta sette secoli di storia fiorentina e del giardinaggio, dalla sua nascita come giardino barocco nel Seicento e Settecento al passaggio anglo-cinese e vittoriano. Nell’oasi verde convivono infatti tre anime: il giardino all’italiana con la magnifica scalinata barocca, il bosco all’inglese con i suoi elementi esotici e il parco agricolo dove è possibile ammirare il celebre pergolato di glicini. All’interno sono presenti circa 200 pezzi di scultura, tredici fontane, un muro fontana e tre grotte.
Organizza la tua visita.
@villabardini
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