#quanto ragazza e sarei per di più da sola
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lonelysmile · 12 hours ago
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oggi c'è il concerto dei miei preferiti e io sono a casa perché ho l'ansia di andarci da sola (non al concerto in sé ma per il viaggio) 😞
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yomersapiens · 8 months ago
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Come sei arrivato a lavorare a vienna? Cioè hai proprio detto un giorno "mò vado a vienna" e se si come hai fatto poi (trovare lavoro ecc)? o lavoravi tipo in un azienda che ti ha messo lì...non so Anche perchè si sente spesso di gente che va a londra o in posti esotici, mi chiedevo se c'era un motivo particolare per Vienna
Più che altro, la domanda dovrebbe essere perché "vivere" a Vienna. Lavorare è un'altra cosa. Il lavoro succede, o capita, quando lo cerchi. O se hai studiato qualcosa di cui vai orgoglioso. Non è il mio caso. Se sei disposto a fare un po' di tutto e non hai una sola direzione in cui sei specializzato poi qualche soldo lo tiri su. E ok, non è un vivere seguendo le regole della società, non stai costruendo una vecchiaia e sognando la pensione, ma è un buon tirare a campare. Lavori quel che serve per tirare su una somma che pagherà un affitto e ti permetterà di mangiare e non metterai mai nulla da parte, eliminando sogni di famiglia o mutuo. Sono arrivato a Vienna quando mi stavo per affacciare verso i trenta. Non sai quanto ero spaventato. Un traguardo ridicolo ma avevo passato tutta la vita in un buco di città ed ero realmente convinto di essere un pesce grosso, in uno stagno piccolissimo. Sicuro che in un mare immenso sarei poi diventato un pesce enorme. Invece Vienna è stata molto utile per capire che le dimensioni, specialmente se sei un pescetto diciamo modesto, non contano per nulla. Non vali niente in ogni caso. Volevo lasciare l'Italia, Vienna è capitata. Sono cresciuto dove si parla tedesco, quindi la lingua era nel mio cervello, volevo impararla. Mio fratello si era trasferito qua da qualche anno e mi invitava spesso. Salivo per andare a vedere concerti, comprare schifezze al supermercato e per un periodo c'è stata pure una ragazza i cui capelli profumavano di buono. Poi l'ho vista come una possibilità per cancellare quello che ero stato per ventinove anni e ripartire da capo. Vienna non mi ha dato un lavoro, me ne ha dati molti, ma mi ha dato più che altro la possibilità di provare ad essere tutto quello che volevo. Ho svolto ogni tipo di mansione dalla più deprecabile alla meno riprovevole. Una volta pensa, ho persino lavorato per i ricchi. Ho fatto tutto pur di essere lasciato in pace. Questa pace che adesso mi va tanto stretta. Sono stato a Londra e per carità, bellissima se ti piace la cucina indiana, ma troppo caotica per me. Berlino uguale ma lì hanno la libertà sessuale espressa col lattice. Barcellona non ne parliamo, là la gente sorride per strada. Brividi. Vienna è grande quanto basta per non farti sentire in gabbia e vuota quel che serve per evitare di parlare con estranei. Vienna è decadente e ricca al tempo stesso. Vienna è sfarzosa e vomitevole. Il clima fa schifo ma oggi c'erano ventuno gradi e siamo a marzo e moriremo tutti e quando mi sono trasferito ricordo che era maggio e ancora nevicava mentre andavo in bici e aiutavo due messicani e un russo a fare traslochi, sottopagati in nero. Vienna mi mantiene da quando mi sono messo in testa di fare l'autore. Mi spiace un po', perché la sto illudendo. So che Vienna pensa che io e lei staremo insieme per sempre ma cara mia, non sei tu, manco il tuo clima avverso quanto la tua lingua o la tua schnitzel, sono io il problema. Sono passati undici anni e forse è il caso che io e te si frequenti altre città. O persone. Cioè vedi tu.
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pezzidiuncuoreancoravivo · 2 months ago
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Com'è che si dice? "Io questo video non lo volevo fare..." ecco, io questo post non lo volevo fare.
Ennesima inculata dalla vita, praticamente ho iniziato il servizio civile e manco una settimana è passato, ho saputo che una ragazza ha organizzato un'uscita al centro commerciale con le altre, centro commerciale vicino casa mia e lei sa dove abito. Queste ragazze sono straniere, forse preferisce parlare inglese con loro perché studia lingue ma dico io, è così brutto dirmi in faccia che vedi gli orari del bus perché andate al centro commerciale e a me non chiedi un cazzo? C'è un'altra italiana nel gruppo, spero che almeno lei sia più inclusiva ma oggi è dovuta andar via prima. Che poi, sempre questa che ha organizzato l'uscita, ci fa discorsi tipo "vorrei che fossimo un bel gruppo, una famiglia" e poi vengo emarginata senza motivo, perchè al momento ci vado d'accordo con loro e le occasioni per conoscerci ce ne sono. E' tutto il giorno che sto male e ho un nodo allo stomaco per questa cosa, non riesco a spiegarmi del perché di questo suo comportamento, l'unica cosa che penso è che c'è troppa superficialità e io ho la sfiga di conoscere gente del genere da secoli. Anche la nostra coordinatrice si è raccomandata di andare d'accordo e tutto il resto, ma io non vedo questo grande interesse nei miei confronti da parte di questa qui, nonostante abbiamo varie cose in comune. Tanto valeva tornare in fabbrica, stipendio doppio, non c'era bisogno di creare un gruppo e non ci restavo male per colpa di quelle che a 25 anni ancora escludono le persone, senza motivo ripeto. Mi sto sentendo tanto fuori luogo, ok che dura un anno e poi sicuramente al 99% chi si è visto si è visto, ma posso godermelo un po' questo anno? A volte penso che la malignità di certe persone mi sia piombata addosso e mi va tutto storto, come se mi avessero maledetto. Soffro davvero troppo per la mancanza di amiche, non dico che debbano essere loro le mie amiche del cuore ma almeno essere considerata per le uscite cazzo, che poi questa mi fa "ora vai dal tuo ragazzo o torni a casa?" e io le ho detto che sarei andata a casa nel pomeriggio e mica mi dice "ehi se vuoi ci raggiungi" visto che abito a manco 2 km da quel cazzo di centro commerciale.
Vogliamo parlare del gruppo del mio ragazzo? Si sono organizzati per il Festival dell'Oriente senza dirci nulla se non all'ultimo secondo e solo perché abbiamo incontrato questo suo amico in giro.
Come faccio ad avere speranza e a non chiudermi in me stessa dopo tutte ste cose? Dopo le amiche del liceo non ho trovato più nessuna, non so come cazzo sia possibile nonostante abbia conosciuto diverse ragazze. Ho un carattere talmente accondiscendente a volte che manco dici sono una rompi cazzo, pesante, troppo esuberante, noiosa, io so adattarmi all'altra persona, sono sincera e leale ma a quanto pare non è mai sufficiente essere se stesse.
Volevo solo avere un'amica, qualcuna che mi sostenesse, con cui ridere, confidarmi, fare la scema e invece mi ritrovo sempre con un pugno di mosche.
Sto davvero male e tutto ciò mi fa venire pensieri suicidi, ho seriamente paura che se dovessi trovarmi sola in casa, prima o poi, possa fare qualcosa di brutto per non sentire più il peso della mia bassa autostima e della solitudine. Non ci sto riuscendo a lavorare su me stessa, non riesco a farmi forza, non se gli altri mi voltano le spalle. Poi torno in me e mi rendo conto che sono solo pensieri e non farò nulla, ma posso ridurmi così nonostante abbia una famiglia (anche se disatrata), un ragazzo che mi ama, un amico a distanza, i genitori del mio ragazzo che tengono molto a me e perchè no, 2 belle gattine? Sono catastrofica, tanto. Se riesco provo a chiedere a questa ragazza del perché non me lo ha chiesto ma spero che non sfoci poi nell'elemosina, che tutto voglio tranne le finte facce.
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greenbor · 3 months ago
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Quello che il vivere faceva effetto su di me era una incontenibile voglia di sentirmi vivo come non lo ero mai stato prima, perché il nulla di quello che era stato prima ora non mi importava, perché, pur essendo stato meraviglioso l'amore vissuto, ora non sarebbe più potuto tornare, e quindi non avrebbe più avuto un senso essere innamorati ancora. Tra me e me c'era sempre stato un dialogo di pensieri introspettivi talmente intenso, che ogni altro pensiero fuori da me avrebbe interagito con gli altri pensieri in una tale comunione di altri pensieri, che oltre a generare in me il caos, aveva la conseguenza del sentirmi tanto confuso da desiderare ardentemente di ritrovarmi nella mia solitudine. Che poi, a chiamarla solitudine, non lo era per nulla. Quella mattina, svegliandomi, la prima immagine in me che ebbe il sopravvento fu quella ragazza con quel sorriso cosi dolce, alta e così magra del negozio sotto casa, in grado di affascinarmi al punto da rimanerne incantato e di desiderare prima di tutto di baciarla. Alcuni giorni prima mi ero ritrovato solo con lei a breve distanza, e le avevo chiesto se fosse sola, e non avesse altre colleghe con lei: mi rispose di essere sola e la cosa mi fece esordire con una frase molto sibillina: "Allora ci mettiamo assieme! Anch"io sono solo!" Ella sorrise in un misto imbarazzo inaspettato e subito le liberai la mente perché sapeva quanto amassi sempre scherzare con la velocità delle parole. In fondo mi ci si sarei messo davvero con lei e qualunque cosa assieme avessi desiderato fare con lei, sarebbe stato di baciarla all'infinito, senza nemmeno domandarmi dell'arte del bacio, semplicemente chiudendo gli occhi e baciandola.
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anja-anja · 2 years ago
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Appena infilai la chiave di casa nella toppa, la porta si aprì da sola.
Era mia moglie, tutta eccitata all’idea di consegnarmi, finalmente, il mio regalo di compleanno.
Aveva passato le ultime settimane a parlare costantemente di quel regalo, dicendo che mi avrebbe stupito, che non me lo sarei mai aspettato e che anche se mi ci fossi messo a ragionare, non avrei capito mai e poi mai di cosa si sarebbe trattato.
Bisogna ammettere che in fin dei conti aveva ragione; non mi sarei mai aspettato un regalo come quello che ho ricevuto.
Entra e chiudi gli occhi.
Disse, sorridente ed emozionata.
Ok.
Sei riuscita, a mettermi addosso una curiosità imbarazzante.
Al lavoro non riuscivo a pensare ad altro.
Non mi hai voluto dare nemmeno un indizio.
Risposi io.
Sinceramente le mie idee erano due.
Il regalo in questione poteva essere una vera e propria rivelazione dei regali di compleanno, oppure poteva essere una minchiata stratosferica.
Mi mise le sue mani fresche come acqua di montagna sugli occhi e mi guidò verso il mio regalo.
Era riuscita a farmi diventare curioso come non lo ero mai stato prima, questo dovevo proprio ammetterlo.
Eccoci qua!
Concluse, togliendomi le mani dagli occhi.
Eravamo in stanza da letto, e mi trovavo davanti ad un pacco gigantesco.
È quello?
Domandai?
Eh, sì.
Avanti … scartalo.
Non sei curioso di vedere cosa c’è dentro?
Era uno di quei pacchi con il coperchio, quindi per aprirlo bastava sollevare quello, ma per un attimo titubai, legato quasi più al concetto di attesa che a quello di appagamento.
La aprii e da quel pacco uscì Silvia, la migliore amica di mia moglie.
Ciao.
Eh… non capisco.
Buon compleanno.
Disse Silvia, dandomi un bacio sulle labbra.
Mi voltai verso mia moglie e domandai.
Ma che…
Ti ho regalato un rapporto a tre.
Un uomo potrebbe vivere otto vite ad aspettare un regalo del genere.
Ero completamente incredulo.
Mia moglie era riuscita a farmi il regalo più bello dell’intero panorama dei regali di tutto il mondo. Avevo davanti a me la possibilità di scoparmi la mia donna e la sua migliore amica.
Ero diventato in un attimo l’uomo più felice del mondo.
Se vuoi, iniziamo noi.
Sussurrò mio moglie, avvicinandosi a Silvia.
Iniziarono a baciarsi, facendomi letteralmente impazzire.
Le guardai fino a quando non decisi di entrare anch’io in gioco.
Mi avvicinai a loro, toccai il sedere a mia moglie e il seno a Silvia.
La sua amica mi baciò in bocca, questa volta aggiungendo un po’ di lingua, mentre mia moglie infilò una mano nei miei pantaloni.
Il cazzo mi stava diventando duro ed ero eccitatissimo all’idea di fottermi quelle due ragazze.
Tirai a loro due schiaffi all’unisono, colpendole con forza, dicendo, avanti, spogliatevi a vicenda.
Si spogliarono con una delicatezza da film lesbico, mentre io mi sfilai i pantaloni, iniziando a masturbarmi.
Il pene era diventato duro come il cemento armato e non vedeva l’ora di penetrarle.
Si misero in ginocchio e Silvia disse con voce da bambina.
Non vuoi darci un po’ del tuo lecca, lecca, di carne?
Cazzo quanto mi faceva sesso.
Mi feci spompinare prima da una e poi dall’altra, distribuendo parti eque del mio cazzo.
Doveva essere un rapporto democratico.
A un certo punto mia moglie fece mettere Silvia a pecorina e guardandomi negli occhi, disse, avanti, non vuoi provare questa bella ragazza?
Tirandole uno schiaffo sulle chiappe.
Certo che voglio, sorrisi.
Diedi una leccatina veloce alla migliore amica di mia moglie, e infine entrai dentro di lei.
Aveva una gran bella figa, calda e stretta come piacevano a me.
La presi per i fianchi e iniziai a scoparmela con lentezza, baciando mia moglie che si divideva tra la mia lingua e la lingua di Silvia.
Devo ammettere che sembravamo funzionare abbastanza bene in tre.
Forse il passo successivo sarebbe stato un matrimonio tutti assieme.
Impazzivo di piacere solamente all’idea di vivere una vita come quell’ogni giorno.
Mi daresti un po’ di cazzo, adesso?
Domandò mia moglie.
Certo, piccola.
Uscii da Silvia e, dopo aver disteso mia moglie per terra, la penetrai.
Per un attimo mi domandai cosa avrebbe fatto Silvia nel frattempo ma ogni mio quesito ebbe soluzione solamente un attimo dopo.
La bella amica si pose sulla faccia della mia consorte, schiaffandole sulle labbra la sua figa bagnata.
Stavo scopando la donna della mia vita, impegnata a leccare una fica.
Ero l’uomo più fortunato della galassia.
Iniziai a darci di violenza, spingendo sempre più forte, come se stessi combattendo una guerra contro l’esercito del piacere.
Quando sentii l’orgasmo assalirmi, uscii dalla figa di mia moglie e sborrai sulla schiena di Silvia.
Sembrò apprezzare molto quel gesto.
Non so spiegare molto bene a parole quello che provai nel guardare i miei fluidi scivolare lungo quella schiena sexy.
Ma certamente mi sentii il re del mondo.
Questo è il miglior regalo di sempre, piccola.
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Web #foto mia
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lonelydarkmountain · 2 years ago
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Oramai scrivo qui sopra perché è più facile, sembra un po’ come se il cerchio si chiudesse, come se la me ragazzina, l’adolescente che non riusciva ad integrarsi, avesse lasciato spazio all’adulta che nonostante tutto arranca ancora, dunque non dovrebbe essere così strano no? Sono qui perché qui ci sono sempre stata…
E forse è per questo che sto per scrivere tutto ciò, forse questo è l’unico posto dove credo che le mie parole restino per davvero, parlarne non ha lo stesso impatto, forse perché le sillabe spariscono alla fine, perché non restano locate da nessuna parte e chi non vuole coglierle lascia solo si che gli scivolino addosso. Qui qualcuno si soffermerà, gli occhi magari indulgeranno ed ecco che il mio pensiero non sarà più solamente mio, ma avrà un non so che di reale. Di concreto.
Mi sono trasferita in una città nuova dopo 23 anni, Roma era meravigliosa, c’erano i miei amici, le persone di una vita che mi conoscevano perché per anni sono sempre andata in determinati posti, passeggiando magari e salutando semplicemente chi lavorava. Roma era la città di mia mamma, ed e forse questo uno dei motivi per la quale sono andata via. Per la quale avevo sviluppato talmente tanto malessere da credere seriamente che quella fosse vita.
Lei è morta quando avevo 16 anni, potrei dire che sono triste, che fa male, ma penso che siano tutte cose che chiunque capirebbe perché sono naturali, perché sono da persona che ha perso qualcuno di importante, ma non c’è solo questo, c’è l’altra faccia della medaglia che le persone come me non dicono perché dirlo a se stesse ed ammetterlo voce alta sarebbe orrendo. L’amore è legato strettamente al bisogno, alla propria salute, quando qualcosa inizia a farci stare male diventa logorante ed era proprio questa la vita con mia mamma.
Quindi parlare di quella parte è semplice, ma nonostante io abbia un vuoto enorme nel petto, quello che ho visto dopo la sua morte è stata solamente che la vita è andata meglio, la vita si è assestata, non fraintendetemi, non sono una stronza per quanto ciò possa sembrare, semplicemente la vita con lei era dura e per quanto mi faccia ribrezzo ammetterlo ho provato una sorta di sollievo nel constatare che non mi sarei più dovuta prendere cura di lei. Mia madre non era una santa, era imperfetta come chiunque, ed è forse per questo che credo che il mio bene nei suoi riguardi non si affievolirà mai, perché lei aveva molti tratti in comune con me, aveva molti difetti che nel tempo mi hanno fatto capire che l’essere umano è una macchina complessa, dotata di una sensibilità tale da farla soffrire se tenuta in isolamento.
Mia madre non aveva dei veri e propri amici, non saprei come dirlo meglio di così, parlava con le persone, era frizzante e in grado di fare commenti sarcastici che sfociavano nel veleno, per farvi capire lei sarebbe stata la ragazza popolare del liceo, quella circondata da altri come lei, peccato che all’effettivo fosse sola. Non ho mai visto nessuno interessarsi a lei per davvero, mollare tutto ed aiutarla nel momento del bisogno. Zero. In quei casi c’eravamo solo io, mia sorella e mio padre.
Io invece ero il suo opposto…eppure avevamo entrambe una solitudine che partiva da dentro, che nessuno capiva, lei come me non ha mai avuto una vera ed effettiva mano che la cercasse di tirare fuori dal buio nella quale era e no, non ditemi la cazzata del - ci sono persone che non vogliono essere salvate - perché se non provate nemmeno non potete saperlo. Non potete sapere se chi avete davanti vuole davvero vivere, se ce la può fare se voi allungaste davvero la mano nella loro direzione. Viviamo di giudizi e nemmeno ce ne rendiamo conto, crediamo di sapere ancor prima che la persona parli la risposta che ci darà ed è una scusa pura e semplice per liberarci dall’impiccio di dover davvero aiutare un altro individuo. Siamo egoisti e ciò vuol dire che cercheremo sempre un modo per non essere noi colui o colei che deve davvero fare qualcosa.
Con mia madre io ci ho provato, dico davvero, ho provato ad aiutarla, a risollevarla da quella spirale oscura nella quale era scivolata e ciò ha portato solamente al vedere me che non riesco all’età di 23 anni a gestire nulla. Non riesco a gestire l’ansia, lo stress, non riesco a gestire semplicemente la mia vita perché è sempre stato tutto troppo.
Mi sono persa cercando di afferrare lei e per quanto rifarei tutto da capo…beh è stato un errore, perché ho smesso di essere una figlia, ho provato a fare la madre, il vigile del fuoco, L’infermiere, ogni cosa pur di avere tutto sotto controllo e salvare una famiglia che non ha provato nemmeno di striscio a salvare me. Mi sono quindi ritrovata qui, in una nuova città dove respiro di nuovo avvertendo acciacchi che non comprendo e trattenendo ancora un ansia dentro di me che non riesce a farmi vivere. Sono circondata dalla mia famigliola felice che non capisce neppure se glielo sbatto in faccia quanto malessere ho dentro.
È incapace di capire che il dolore che provo rimarrà per sempre, che il mio disturbo non è passeggero, che non smetterò e basta di essere triste o di fare fatica o di essere arrabbiata, perché è qualcosa che non controllo, perché fa parte di me ma non è assoggetta alla mia volontà.
Sono stanca di vivere in un mondo che sembra quasi vedermi come un problema, un problema spiccicato a come lo era mia madre.
Questo sfogo probabilmente non ha senso, perché forse non ho concluso nessun discorso, ma non potevo farne a meno, almeno qui non potevo raccontarmi che va tutto bene, qui ho detto la verità per quel che vale
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ifyoureallyknowme · 1 year ago
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Fu in quel momento che capii quanto l'amassi.
In quel momento ne ebbi la certezza, avrei potuto dirlo per la prima volta sentendolo veramente, ma era troppo tardi.
La consapevolezza che, nonostante tutto il dolore che mi aveva provocato, io avrei voluto sempre e solo lei al mio fianco, perché nessun altra poteva rendere la mia vita così speciale, mi colpì come un fulmine.
Mi ritrovai a dire al vento, l'unico ad ascoltarmi in quel momento, che i litigi servivano a rafforzarli i rapporti, non a romperli, mentre le prime lacrime scendevano lungo le mie guance, le prime di tante.
Non ero pronto a quanto da quel giorno nulla sarebbe stato più come prima, a quanto altro dolore sarebbe seguito.
Un giorno, in una sola ora, tutto si era rotto e io l'avevo persa per sempre, quella che avevo davanti non era più la ragazza che avevo conosciuto ed imparato ad amare.
In quei mesi l'avevo vista togliermi qualsiasi forma forma di affetto anche nelle parole, oltre che nelle azioni: passò dal non dirmi più dichiarazioni d'amore, al non dirmi più parole dolci, al non darmi neanche più il buongiorno e la buonanotte, al rispondermi a malapena.
Per molto tempo continuai a ripetermi che l'essermi aperto quel giorno confessando le mie paure fu uno sbaglio, perché credevo che fosse stato quello a rompere la magia.
Ma in realtà le cose da tempo non andavano: da tempo non mi sentivo più felice, capito, voluto, rassicurato e amato in quel rapporto, in quel piccolo angolo di paradiso della mia vita che stavo cercando da solo di tenere disperatamente e inutilmente in piedi al meglio delle mie capacità, mentre in realtà cadeva inesorabilmente a pezzi.
La fine era stata già decretata da qualche mese senza che io lo sapessi e, qualsiasi cosa provassi, finiva soltanto per essere un altro elemento di attrito senza che potessi sapere il perché, ormai era troppo tardi, era finita.
Piansi una quantità di lacrime che non sapevo neanche di avere, che non pensavo sarebbe stato possibile per l'emotività fredda che mi contraddistingueva.
Faticavo a dormire e non avevo fame perché lei mi mancava, mi mancava tremendamente e nel mentre cercavo di convincermi che in realtà non era finita e che c'era ancora una possibilità, che era solo un periodo, ma in realtà non era così, era veramente finita.
La persona che avevo amato era morta, sostituita da un'altra persona fredda, egoista, insensibile e distante; distante quanto non l'avessi mai sentita neanche quelle volte che la vedevo con la testa da un'altra parte piena di pensieri; ormai era ad una tale distanza che era impossibile per me raggiungerla, sentivo chiaramente anche che io per lei non ero più nulla.
Le mentii sul restare amici, sapevo chiaramente fin dall'inizio che non sarei mai stato in grado di trattarla unicamente da amica, si era fatta troppa strada nel mio cuore, aveva creato per prima un'intimità mai provata, l'avevo amata troppo per riuscire a non sentire nulla vedendola tra le braccia di qualcun altro.
Ma in quel momento non ero in grado di lasciarla andare, era troppo presto, era diventata una parte troppo integrata nella mia vita, che senza di lei mi sembrava vuota, spenta.
La vidi essere capace di ferirmi, accusarmi e trattarmi come uno qualsiasi e comportarsi come se quel tempo insieme e quell'affetto non fosse mai esistito.
La mia più grande debolezza fu quella di non essere in grado di ferire a mia volta, come autodifesa, la persona che avevo amato, ma cercavo invece un dialogo che lei già da tempo aveva decretato che tra di noi non ci sarebbe più stato.
Ora invece le importava soltanto di non sentire sensi di colpa per quello che aveva fatto, dipingendosi come vittima e affermando che tutto quello che aveva fatto era più che legittimo.
Le chiesi scusa per tante cose, lei per praticamente nulla.
La volevo vedere felice, a lei importava soltanto di essere felice.
Le augurai il meglio per il futuro, la vidi rifiutare anche questo ultimo gesto d'affetto.
Lei trovò immediatamente qualcuno che non vedeva l'ora di stringerla a sé, qualcuno che scoprii la stava aspettando già da un po' di tempo.
La vidi prendere le cose soltanto nostre della nostra relazione e farle con chiunque.
La vidi mentirmi anche su quello che succedeva nella sua vita visto che sapeva che io non facevo più parte della sua quotidianità.
Le vidi fare e dire con lui quello che mi aveva sempre raccontato che non sopportava.
Passarono mesi, ma lei non fece altro che diventare sempre più il fantasma di se stessa, chiusa in un bozzolo di egoismo e distaccamento.
Io non capivo in quale angolo della sua mente si fosse persa invece quella bellissima persona che avevo conosciuto all'inizio, che questa volta sembrava sotterrata definitivamente nel profondo della sua mente tra mille pensieri.
Mi dovetti convincere che non l'avrei mai più rivista quella persona, intrappolata per sempre oltre le barriere che aveva eretto.
Dovetti accettare che quel viso e quel corpo così familiari in realtà adesso appartenevano ad una persona totalmente diversa e che l'immagine che rimaneva nella mia testa era soltanto un'illusione che non combaciava più con la persona sconosciuta che avevo di fronte, ma che tanto assomigliava a quello che era stato il mio amore.
Arrivai ad avere paura di sentire il suono delle sue notifiche personalizzate, perché avrei di nuovo avuto a che fare con questa persona fredda e insensibile con cui ostentavo a voler avere almeno un rapporto verbale come avevo promesso e mi feriva costantemente osservare cosa era diventata e come mi trattava.
Passai dal toglierle le notifiche personalizzate, ad avere il telefono sempre in silenzioso per evitare di sentire l'arrivo di eventuali suoi nuovi messaggi, fino a silenziare soltanto i suoi messaggi, fino ad aver paura a vedere tra le notifiche se ci fosse il suo nome.
Ad un certo punto qualcosa si ruppe dentro me; fu quando un mio amico (che conosceva anche lei) ebbe una crisi molto seria e tutti noi eravamo seriamente preoccupati per la sua incolumità che io le comunicai le mie preoccupazioni e tutto quello che fu in grado di dire fu "mamma mia che esagerato il tuo amico".
Qualcosa in me cambiò da quel messaggio, fu lì che mi resi conto definitivamente che davanti a me avevo un'altra persona, una che non avrei considerato amica neanche se l'avessi conosciuta da zero in quel momento.
Poco dopo ci fu il punto di non ritorno: io le scrissi, lei mi rispose, io non continuai a cercarla e lei non mi cercò più e finì così nel nulla, in un mare di cose non dette.
Non potei far altro che farle questo ultimo regalo, lasciarla andare per sempre come evidentemente tanto desiderava con i fatti, anche se con le parole continuava a sostenere diversamente.
Le lasciai vincere la scommessa che me ne sarei andato prima o poi, come tutti gli altri.
Il mio bagaglio era certamente più pesante a questo punto, nuove ansie e paure mi avrebbero accompagnato verso la prossima relazione: paura all'abbandono, paura di non essere accettati, paura di non essere compresi, paura di non essere voluti, paura di non essere amabili.
Le stesse paure che avevo cercato di aiutarla a superare durante la nostra relazione ora erano mie; si lasciò dietro questa traccia, un amaro lascito per ricordarmi costantemente il suo passaggio nella mia vita.
Dopo di lei non ci fu più nessuna, non trovai più quella connessione, quell'intesa che avevo trovato con lei, così perfetta inizialmente, poiché oltre ad amarla nel corso del tempo era diventata anche un'amica molto importante.
Ad oggi resta il ricordo di una persona che per un piccolo periodo è stata in grado di farmi stare veramente bene, anche se era tutto falso; una relazione che sarebbe potuta essere fantastica se soltanto lei avesse creduto veramente in noi e se quella persona di cui mi ero innamorato fosse ancora qui oggi.
Una relazione dal potenziale smisurato, ma che è stata volontariamente affondata passo dopo passo, mentre c'era invece un folle nella stiva che cercava di riparare le falle nello scafo e non far affondare la nave.
-ifyoureallyknowme scritta da me
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johnlocksaddict · 2 years ago
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In questi giorni in cui sono stata da sola ho rimurginato meno di quanto mi sarei aspettata. Credevo potesse essere un viaggio di riflessione e invece si è rivelato molto più improntato alla leggerezza.
Poi parlando con mia madre, in un momento di relax, ho cominciato a mettere assieme i tasselli.
Sono una persona molto emotiva e in quel breve istante di confronto le cose sono diventate più chiare. Quindi per qualche momento (molto breve) mi sono sentita più sollevata, più serena.
Ma è stato un momento di awakening.
Ho riflettuto al fatto che ho ventuno anni. Ho uno stipendio stabile e un'indipendenza da ogni punto di vista.
Sono una persona molto insicura, con tanti tipi di ansie sociali. Ho paura di chiedere informazioni alle persone, ho paura di perdermi, ho paura di sbagliare.
Sono anche una ragazza particolarmente incostante. Sempre per quella necessità di auto sabotaggio, non sono mai riuscita a portare a termine qualcosa che mi giovasse o mi rendesse più felice.
Eppure nonostante ciò, non c'è stato niente nella mia vita che abbia fatto con più decisione e meno esitazione, che viaggiare da sola.
Adoro viaggiare, mi piace assaggiare nuovi cibi, mi piace l'arte, mi piace ogni tipo di cultura che si distanzia dalla mia. Mi piace avere una mente aperta, mi piace essere comprensiva. Mi piacciono le esperienze. Mi arricchiscono.
Quando mi sono resa conto che le persone che ho attorno avevano gli impegni e i lavori più disparati, e che organizzare con loro facendo incastrare i tasselli fosse molto più difficile, ho deciso di prendere in mano la situazione.
Se avessi dovuto aspettare sempre un compagno di viaggio, ad oggi avrei visto la metà di quanto abbia nel mio bagaglio turistico.
Quindi nonostante le mie tantissime ansie sociali sono partita da sola. La prima volta è stata Venezia.
Potrebbe non sembrare nulla di esagerato, eppure era relativamente lontana da casa. Non mi ero mai allontanata cosi tanto probabilmente.
E quel viaggio è stato fondamentale.
Imparare a stare da soli non è facile, lo è ancora meno quando si è da soli in una folla.
Non nego che la prima volta che ho mangiato in un ristorante da sola mi sono sentita a disagio, ci sono voluti 3 giorni per convincermi a mangiare fuori. Le persone ti guardano con stranezza, con compassione. Quasi come se il tuo essere solo non fosse una scelta. E mi è capitato, uscendo con amici, che questi compatissero persone che vedevano sole al tavolo.
Quel viaggio è stato importante. Venezia resterà per sempre nel mio cuore.
È avvenuto in un periodo particolare della mia vita in cui era appena terminata una relazione difficile, tossica durata due anni. È stato il viaggio che ha sancito l'inizio della mia rinascita, del mio percorso di risanamento che si è prolungato per quasi un anno e mezzo.
Avevo la necessità di sentirmi padrona della mia vita dopo aver donato ogni mia molecola a un uomo che non era stato capace di valorizzarne neanche mezza.
Ricordo che tutti attorno a me erano preoccupati. Viaggiare da soli era un'eresia, un discorso fin troppo evoluto e avventato per la mia famiglia.
Io invece volevo farlo.
La mia iniziazione ha luogo in terapia. La mia psicoterapeuta mi raccontava dei suoi viaggi in solitaria e io ero fortemente affascinata. Avevo quindici anni e al tempo credevo che non sarei mai stata capace di riporre una sicurezza tale nella mia persona.
Quattro anni dopo ho dimostrato a me, e a chiunque attorno a me, il contrario.
Oggi sono qui a scrivere questa riflessione perché parlo da un albergo in Germania.
È il mio primo viaggio all'estero da sola. Finora mi ero concentrata sull'Italia: per il covid non c'è stata molta possibilità di viaggiare all'estero.
Ma anche e soprattutto perché questo è un percorso che si compone di step. Ho iniziato in Italia dove mi sento oramai sicura e tranquilla.
Ora sono approdata all'estero.
Viaggiare da soli all'estero, se non per la lingua, non si differenzia troppo dal viaggiare in madrepatria. È l'abitudine alla solitudine, è lo stare bene in solitudine, la tranquillità nel mangiare da soli, nel chiedere informazioni se necessario, che, una volta acquisiti, sono una ricchezza che si può sfruttare ovunque.
Sono soddisfatta. E non mi capita spesso.
Sento di essere coraggiosa, sento di aver superato tanti miei limiti e sento di poterne affrontare altri cento.
Ovviamente ci sono ancora tante realtà da esplorare. Tante paure che ho ancora, come i paesi extracontinentali, o quelli che non parlano inglese. Ma arriveremo col tempo anche a quelli.
Per ora ci si muove in piccoli passi. Èstata l'inaugurazione all'Europa e sono felice all'idea di poter affrontare tanti altri viaggi senza aver bisogno di nessuno necessariamente.
Tirando le somme di questo viaggio giunto quasi al termine, sono contenta perché avevo paura che all'estero la "pseudo-sicurezza" che avevo acquisito in Italia potesse vacillare. Invece nonostante delle piccole difficoltà e degli incidenti di percorso dovuti ad una lingua estremamente diversa, sono stata bene.
Non c'è niente di più bello che guardare indietro e ricordarsi di tutte quelle paure che all'inizio erano bloccanti, montagne insormontabili da scalare. Oggi quelle paure esistono ancora, ogni tanto fanno capolino e provano a creare il panico. Ma metterle costantemente alla prova ha fatto sì che queste siano più facilmente affrontabili.
Non è detto che siamo capaci di affrontare definitivamente le paure che abbiamo acquisito fin da bambini, ma di certo possiamo diminuirne l'impatto mettendoci costantemente alla prova.
È una riflessione che ho voluto buttare giù in questo post, così da poterla rileggere nei momenti di sconforto più grande.
Perché se solo nei momenti di dolore fossimo abili a ricordare le nostre capacità e i nostri traguardi raggiunti con fatica, allora questi avrebbero un peso diverso.
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m2024a · 8 months ago
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Grande Fratello, Anita torna sui social e fa una rivelazione spiazzante Ormai manca solo un giorno al gran finale e finalmente domani sera scopriremo chi si aggiudicherà la vittoria di questa edizione del Grande Fratello. Al momento i finalisti sono cinque e sono: Beatrice Luzzi, Rosy Chin, Massimiliano Varrese, Simona Tagli e Perla Vatiero. Al televoto per decretare il sesto finalista ci sono Letizia Petris, Greta Rossetti e Sergio D’Ottavi. Anita Olivieri ha dovuto abbandonare la Casa più spiata d’Italia nel corso della puntata di lunedì sera. Nelle ultime ore, l’ex inquilina è tornata sui social e in un lungo post, ci ha tenuto a condividere con i fan le prime impressioni e le prime sensazioni post addio al reality di Canale Cinque. Grande Fratello, le prime rivelazioni di Anita Olivieri Ecco che cosa ha scritto: “È stato un viaggio straordinario. Un’esperienza incredibile che ha arricchito ogni fibra della mia vita. Oggi rifletto su quel giorno, su quella ragazza nelle ultime foto, con il vestito dei suoi 18 anni e i tacchi di seconda mano, quando tutti i sogni non erano ancora stati chiusi nel cassetto. Oggi guardo quella ragazza nel suo ultimo e primo giorno e mi ripeto “Come è possibile?” “È successo veramente?”. Mi ritrovo di fronte a quella porta rossa tanto piena di significato. Mi sono sempre chiesta come sarebbe stato quel giorno, il giorno della mia uscita. Avrei sofferto? Avrei chiuso quella porta con entusiasmo o con tristezza? Sarei stata fiera del mio percorso? La risposta è sì. Lascio alle spalle i profondi legami umani, le emozioni, le persone, tutto ciò in cui ho creduto e investito con tanta energia. Così facendo saluto tutti, mi godo la casa e con un sorriso enorme li guardo emozionata, poi corro in camera, prendo Tino e apro la porta rossa“. Ha poi continuato: “È stata quella porta a separarmi da tutto ciò in cui credevo e avevo costruito. Ma anche a farmi vincere prima ancora di entrare. Mi ha obbligata a scegliere tra la sicurezza e la monotonia e la vita vera, quella imprevedibile, quella che fa paura, quella fatta di vivere di sogni. E mi ha messo davanti ad un bivio. Mi ha chiesto di scegliere, e così ho fatto. Esco e sento il vento, l’aria fresca, il profumo della libertà che tanto ho desiderato dopo mesi. Sono sempre io, con gli stessi occhi e la stessa gioia di vivere, quella ragazza semplice che non voglio mai cambiare. Questa è la mia più grande vittoria“. Infine ci ha tenuto a ringraziare tutti coloro che l’hanno sempre supportata: “Grazie al Grande Fratello per avermi dato l’opportunità di cambiare la mia vita. Per avermi fatto credere nei miei sogni più di quanto avessi mai fatto da sola. Grazie per avermi supportata e sopportata in tutti questi mesi. Siete stati la mia casa e la mia famiglia. Vi devo tutto. Ringrazio anche tutte le persone che, senza obbligo e senza chiedere nulla in cambio, mi dedicano ogni giorno messaggi d’amore, che mi hanno seguita e sono state al mio fianco. Siete il mio riflesso e sono grata per tutto questo. Con intelligenza emotiva ed eterno rispetto, vi dico grazie. Il resto è fuffa!“. Scopri le ultime news sul Grande Fratello.
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lucrezia00 · 2 years ago
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Mi sento così distante da tutti. Questo pensiero mi tormenta. Vedere che gli altri riescono a costruire dei legami e a fare esperienze mentre io mi sento così estranea a me stessa. Non saprei dire chi sono, non ne ho idea. Potrei parlare di me solo attraverso le etichette che mi hanno affibbiato. È da anni che non sento più la complicità in un rapporto di amicizia, il desiderio di conoscere un’altra persona, lo stare bene con quella stessa persona. Ho avuto delle esperienze schifose. Da quando mi dicevano che un giorno sarei rimasta sola, a 12 anni. Una bambina di 12 anni cosa mai ha potuto fare di male per sentirsi dire che un giorno non avrà più amiche. Da quando una ragazza, sempre a quell’età, mi disse che si vergognava ad uscire con me, che non ero alla sua altezza perché ancora immatura, solo perché non avevo ancora imparato a vestirmi bene e ad aggiustare i capelli. “Mi raccomando vestiti bene e non farmi fare brutta figura”, “non ci posso pensare che hai quella borsa”, “ma che capelli hai”, solo perché non ho mai avuto i capelli completamente lisci e la piastra a 12 anni ancora non ero solita usarla. Cattiveria gratuita dalla maggior parte delle persone che ho frequentato quando ero ancora piccola e non ero in grado di capire chi fosse giusto frequentare e chi no. E inevitabilmente questo meccanismo disfunzionale me lo porto ancora dietro, perché tendo sempre a basare la mia autostima sul giudizio di persone che so che non mi vogliono, che mi ignorano completamente non degnandoli neanche di uno sguardo. E ora dimmi sto accorgendo di quanto dia per scontate quelle persone che, invece, hanno provato a cercarmi ma che io ho rifiutato, perché ho intravisto nella loro considerazione per me una condizione ben peggiore della mia. Mi cercano persone più insicure di me, e mai quelle che desidero io, sempre troppo diverse da me, una distanza che non riuscirò mai a colmare. E mi ritrovo qui, da sola, con anni passati a farmi andare bene delle persone di cui non me ne fregava niente, di cui non parlavo di niente e che non erano in grado di ascoltarmi. E sono stanca, non ho più voglia di cercare, sono stanca dei continui rifiuti, di questa continua lotta con me stessa per soddisfare le aspettative altrui
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aleessisss · 3 years ago
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E quindi il tempo è passato, e quella notte è ormai un ricordo lontano. Domani è settembre e solo io so cosa significa. Per una volta avevo sperato che non fosse così negativo, che mi sarei portata dietro sensazioni belle e positive, che lo avrei affrontato con il sorriso questo maledetto mese e invece eccomi qui. Domani è settembre e tu non ci sei. Non darò la colpa a nessuno, forse alle circostanze e alla vita che come al solito aspetta il nono mese dell’anno per farmi aprire gli occhi e riportarmi con i piedi per terra. Settembre è realizzare che la vita è altro, è lontana da quelle notti passate insieme, senza regole, solo io te e qualche canzone che spero riascolterai pensando a me. Settembre mi taglia le ali e mi mostra le cose con più lucidità, la stessa lucidità che ho scelto consapevolmente di mettere da parte per godermi al massimo queste settimane insieme a te. È stato fantastico ma settembre è arrivato e nonostante sia dura e vorrei schiacciare un pulsante per tornare indietro, quello che ci resta da fare è prenderne atto e voltare pagina. Non è quello che voglio ma è quello che bisogna fare. Perché infondo infondo lo sapevamo entrambi che quell’abbraccio era l’ultimo così come quel bacio che ho fatto durare qualche secondo per averlo impresso, nella mia memoria. E lo sapevo, mentre ti vedevo andare via, che non ti avrei rivisto, ma è sempre più facile nascondere la verità per qualche attimo in più di pace. Vorrei dirti che non è facile, lasciare andare. Vorrei prendere un treno e raggiungerti ora, ma poi cosa avrei risolto? Assolutamente nulla. Sarei forse ancora più confusa e dividermi da te sarebbe ancora più difficile. Quindi ecco, questa è la nostra fine, per ora. Nessuno dei due sta più scrivendo all’altro e in pochi giorni svanirà tutto, come se non ci fosse stato niente. Forse lo sapevo già dall’inizio. Ma l’ho fatto lo stesso. Magari per un assoluto caso del destino mi sarei ricreduta, scegliendo questa volta di non lasciare andare e di combattere, ma ora so che non è il momento giusto per farlo. Ti lascio andare a malincuore, ho provato tanto, ma non gli so dare un nome. Questo non significa che non sia stato importante, però. Ci rincontreremo un giorno, forse sarà tutto finito per entrambi, avremo qualcun altro in mente e ci saluteremo come due vecchi amici che hanno condiviso tanto. Forse avremo ancora in testa i nostri nomi, e sarà come una pugnalata rivederci, ma avremo la forza di non lasciarci andare, non per una seconda volta. Forse tu sarai un po’ più sicuro, avrai la testa libera dalle tue vecchie storie e il tempo avrà curato le tue ferite preparandoti a qualcosa di nuovo. Forse io sarò più decisa, saprò quello che voglio, sarò meno spaventata di iniziare qualcosa di importante, con te, e avrò imparato a fidarmi delle persone. Forse invece non ci incontreremo più. Mi fa strano pensare che sia finita così, infondo tre giorni fa eri tutto quello a cui pensavo e ora se ti penso sto male.
Mi chiedo spesso se ci hai mai davvero capito qualcosa di me, se guardandomi negli occhi sei riuscito a vedere qualcosa di più profondo oltre al colore. Occhi tristi e malinconici, mi dicono spesso di averli così e ad oggi penso che un motivo ci sia; se hai provato ad andare oltre quel verde avrai capito che provo a nasconderli perché non mentono, quelli. Perché se mi avessi guardato negli occhi avresti capito che facevo fatica a guardarti, perché già sapevo che ti avrei perso, lo sapevo dal primo istante. E il mio difetto più grande è posticipare le decisioni importanti, prendere tempo, rimandare, come se un bel giorno svegliandomi sentissi dentro di me che sì, quel dannato momento di mettere un punto è arrivato. Ma la vita ti fotte, quel momento non arriva mai, e senza una grande dose di sofferenza, frustrazione e dolore niente ti viene servito gratis. Mi hanno insegnato che nella vita non è come mai come pensi ma è come senti. E io con te ho sentito tanto, per la mia prima volta. E ci ho sperato che un bel giorno un segno del destino mi avvertisse dicendomi di tenere duro che tutto si sarebbe sistemato e che tu eri quella persona, ma la verità è che la mia mente mi ha sempre avvertito che non eri tu quella persona per me e che io, al tempo stesso non lo ero, per te. Intendo dire quella persona che magicamente con la sua sola presenza sembra sistemare ogni tuo problema, rallegrarti la vita e disegnarti davanti agli occhi una prospettiva nettamente migliore di come era prima. Io avrei incasinato tutto nella tua vita e tu mi avresti distrutto, a lungo andare sarebbe rimasto solo odio e tanti rimorsi.
E ci ho provato, credimi, a farla funzionare, ma non puoi forzare qualcosa che non è destinato ad essere. O meglio, potresti, ma poi dovresti accettare tutto il male che ne deriva e dovresti accettarlo a testa bassa. E non voglio questo per me e nemmeno per te. Quindi domani è settembre ed è arrivato per noi il momento di chiudere questo piccolo capitolo e andare avanti. E mentre farò finta di niente ogni tanto mi verrai in mente tu, i tuoi modi un po’ strani che mi infastidivano, il tuo sorriso che faceva ridere anche me anche quando cercavo di rimanere seria e i tuoi occhi e il modo in cui mi guardavano. Ripenserò alle ore passate al porto per parlarti anche solo 5 minuti; mentre ti guardavo non sapevo minimamente cosa stavo facendo, se fosse giusto o sbagliato, se avrei rimpianto quei momenti, un giorno. Penso troppo, questo me lo dico da sola, e tu me lo hai chiesto un’infinità di volte ‘a cosa stai pensando’ e non te l’ho mai saputo dire; pensavo a tante, troppe cose, e non avrei saputo dirtele, non ce l’avrei fatta senza piangere. Pensavo che i giorni volavano e il momento di salutarti si avvicinava troppo velocemente. Pensavo al primo incontro, a come mi sentivo quando ti abbracciavo, al tiramisù di tua nonna, alla luna piena quella notte, a quella maledetta canzone che ormai associo a te, a quella volta in macchina e a noi due a cantare alle 4 e mezza di mattina, te stanco morto e io in lacrime perché lo sapevo che finiva e non sapevo come dirtelo a parole. Non dimenticherò niente, ma non potrò dirtelo. Quindi ti saluto qui, accetto il fatto che tu possa odiarmi perché come si fa a non odiare chi promette e poi scompare, ma capirai con il tempo che ho fatto bene, che forzare le cose quando non è il loro momento fa stare male il doppio e che se tornassi ora sarebbe impossibile allontanarci, e ci condannerei a tanta sofferenza. Non voglio questo, non lo voglio per me ma sopratutto per te. Perché in questo momento della mia vita sono una bomba pronta ad esplodere in qualsiasi momento e sono molto più complicata di quello che hai potuto intravedere. E non voglio che tu ti senta in dovere di aiutarmi, e non voglio trascinarti a fondo, insieme a me. Spero dimenticherai la promessa che ci siamo fatti, perché ripensandoci a mente lucida non vorrei che un bel giorno ripiombassi nella mia vita per avvisarmi che sei andato a letto con una ragazza, perché sarebbe come una pugnalata al petto e poi ci cadrei di nuovo, in questo circolo vizioso. Tanto lo so che probabilmente è già successo, ma mi piace pensare che non è così e per quanto egoista possa sembrare, a volte è meglio vivere nell’ignoranza per un briciolo di serenità piuttosto che soffrire inutilmente conoscendo la realtà dei fatti. Una bugia a fin di bene potrei chiamarla, per il mio bene.
Quindi ciao C ti porterò dentro di me, so che non sei come dicono, sei tanto altro. È stato un caso con te, è successo. E no, non credo che le cose succedano per caso quindi non me la prenderò con il destino o con qualsiasi cosa che governa l’universo per averti incontrato, perché evidentemente doveva andare così e il motivo lo capirò crescendo un giorno quando sarò più grande e matura. Perché per quanto io possa sforzarmi i 19 anni che ho si sentirebbero troppo e forse cerco la leggerezza di una storia che che tu hai già vissuto con qualcun altro, e questo mi fa stare male. E mi fa stare tanto male pensare che in questo momento tu hai ancora in mente lei, e te ne renderai conto con il tempo; che ogni nostro piccolo traguardo, per me nuovo e importante, sarebbe per te solamente una replica di qualcosa che hai avuto con una ragazza che non sono io; che passeresti il tuo tempo a fare paragoni e alla fine vorrai tornare da lei. Quando incontri qualcuno succede e basta, non lo scegli, ma puoi scegliere come finirla e io scelgo di farti stare bene, senza di me, la mia assoluta instabilità e freddezza. All’inizio è difficile ma come tante cose nella vita la parte complicata è iniziare, poi tutto tornerà al suo posto e sarà solo un ricordo, triste forse, ma almeno non doloroso. Settembre arriva e si porta via tutto, per prime le parole. Cercherò di ricordare quale fosse il soprannome che mi avevi dato, ci sto pensando da giorni ma niente, l’ho rimosso, però era molto carino e mi faceva sorridere. Come tutte le parole che ci siamo detti è svanito. Perché per quanto possa sembrare una frase fatta alla fine rimangono i gesti e abbiamo scelto entrambi di mollare la presa. Questi erano i miei motivi. Ci incontreremo quando saremo più pronti, meno arrabbiati, un po’ più soli. E oggi è settembre, mi faccio forza da sola, non sarà facile, ma sarà come deve essere. Non dimenticarmi e prenditi cura di te.
La tua ‘piccolina’
AxA
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sciatu · 3 years ago
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Briosce salata con formaggio e wurstel, peperonata, insalata di riso, braciole alla messinese con peperoncini arrosto, polpettine vegane, caponata, cous-cous, frittata di patate, olive passolute, spiedini di melone.
LA IENA
L’osservò staccarsi dal gruppo di amici con cui stava ed avvicinarsi al buffet prendendo un piatto ed osservando la distesa di pietanze che vi erano disposte. Distolse lo sguardo dalla ragazza e guardò lui che parlava con due suoi vecchi amici, sotto un olivo in un angolo del prato dove era stato organizzato il buffet. Era il momento migliore per avvicinarsi alla ragazza. Si avvicinò lentamente e preso un piatto incomincio a mettervi delle briosce salate, arrivando alle sue spalle con la massima casualità la sfiorò “Oh scusami – le disse quasi con noncuranza – ah ma ciao, non ti avevo riconosciuta” Mentì cercando dirlo con la massima spontaneità e cordialità. La ragazza si girò e appena capì chi era si irrigidì lanciandole uno sguardo gelido “Buonasera” Lei lasciò perdere la sua evidente ostilità e continuò sorridendo “Sei Monica, non è vero? Tuo padre mi parla sempre di te.” “Mio padre parla con tutti di me tranne che con me. Lei è la nuova donna di mio padre? Tutti son venuti a dirmi che c’era anche lei per vedere che effetto mi faceva, bontà loro” “E che effetto ti ha fatto?” “Nessuno. È lui che mi fa effetto! Lo guardi: elegante, con la cravatta che gli abbiamo regalato durante l’ultima festa del papà mentre va avanti e indietro tutto felice e sorridente per la sua nuova donna che si è scelto.” Dentro di lei l’anima le avvampò urlando “Se vuole la guerra l’avrà – penso, e a voce alta continuò - Non ha scelto una nuova donna, ha scelto una nuova vita. La cosa è sostanzialmente diversa. Forse io avrei potuto anche non esistere, ma lui avrebbe fatto la stessa scelta di andarsene per non restarsene chiuso dentro casa sua come un estraneo per tutto il resto della sua vita.” Prese una braciola e la morse con gusto “Probabilmente si, per questo non penso che possa prendermela ne con lei che è stata più un effetto che una causa, ne con i miei genitori. Erano al capolinea senza saperlo. Quello che mi da fastidio è che per anni non hanno neanche provato a ritrovarsi. Si sono lasciati andare alla deriva lontano l’uno dall’altro, senza preoccuparsi minimamente di volersi ritrovare, dimenticandosi di me e di quel disperato di mio fratello.” Lei mise una cucchiaiata di cous-cous nel piatto. “Si combatte per quello a cui si da valore. La vita non è un ristorante dove ordini ciò che vuoi e ti viene portato. La vita è un buffet dove tu prendi questo e quello pensando che sia buono. Invece a volte prendi quello che non ti piace e allora lo lasci nel piatto, metti il piatto in un angolo e ne prendi uno nuovo. È più semplice, ti permette di evitare domande, spiegazioni e guerre tra le pareti di casa. Molti sanno vivere i conflitti perché non gli importa di far del male a qualcuno. Altri preferiscono soffrire loro, piuttosto che dare dolore. Tuo padre è uno di questi. Per me è un suo pregio.” “Forse. Però io e mio fratello meritavamo di poter fare qualche domanda e di avere una minima spiegazione. Almeno il tentativo di discuterne insieme, anche se solo di facciata senza che ci cadesse tutto addosso dall’oggi al domani.” “Tu pensi che i tuoi genitori non ci abbiano provato? Quante volte è uscito con te per parlartene ela discussione è finita sull’università all’estero o sulle prossime vacanze? Quante volte lo ha fatto con tuo  fratello  per poi trovarsi a barattare un motorino per una misera promozione? Quante notti lui e tua madre hanno cercato di ritrovarsi scoprendosi invece sempre più distanti, sempre dalla parte opposta del letto. Non mi sarei messa con lui se  tuo padre non avesse capito che era inutile cercare di salvare il suo matrimonio ormai inghiottito dal nulla che era diventato. Ha avuto troppi Natali senza parole, troppe discussioni su cose senza importanza per credere ancora che fosse possibile una spiegazione, un chiarimento, un ricominciare in qualche modo o forma.” Monica l’osservò e prese una forchettata di cous-cous forse per pensare “Non credo che mio padre abbia cercato disperatamente una qualche discussione, forse quello che stava provando lo stava sconvolgendo e basta. Comunque, sono problemi loro. Mia madre gioca a “non è successo niente”!!  Lui – fece indicando con il mento suo padre – gioca a fare l’uomo rinato, il padre sempre complice e disponibile. A me e a mio fratello non ce ne frega niente se si sono lasciati. Sono già scomparsi da anni, in casa erano già fantasmi prima e adesso lo sono ancor di più. È di questo che non si stanno rendendo conto: prima si sono persi loro, ora stanno perdendo a noi. A casa c’è sempre stato troppo silenzio per accorgersi adesso che qualcuno ha sbagliato. Forse abbiamo sbagliato tutti, ma noi ragazzi non conoscevamo la vita e per noi è stato normale sbagliare perché non abbiamo esperienza. Loro sapevano, dovevano fare qualcosa quando erano ancora in tempo.” “Di fronte a queste cose siamo tutti incapaci di capire. Siamo tutti ciechi ed incapaci di vedere che stiamo appassendo l’uno di fronte l’altro. Alla fine, d’improvviso ci si accorge di non essere più una coppia e si corre il rischio di pensare solo a sé stessi. Tuo padre è dispiaciuto di questo e sta cercando di evitare problemi e difficoltà. Soprattutto, sta cercando di non perdere voi e di essere presente più che può” “Uno può essere presente quanto vuole, ma se non parla e comunica, resterà sempre invisibile. Comunque, ormai comi  veni si cunta ( Quello che accadrà lo sapremo solo dopo che è accaduto).” Prese un cucchiaio di caponata e un tovagliolo. “Buonasera – fece in tono superficiale – saluti il vecchio” E se ne andò verso i suoi amici con fare indifferente. “Piacere d’averti conosciuto” Le rispose in tono ironico, e tornò a occuparsi del suo piatto rimuginando quello che si erano detti Lui lasciò gli amici con cui stava parlando e la raggiunse “allora, hai conosciuto la iena?” Le chiese mentre prendeva un pezzo di frittata “È meno iena di quello che dicevi – fece lei continuando a guardare il suo piatto – è ancora disorientata.” “mi considera un vigliacco perché l’ho lasciata sola con la madre” “ti considera un punto di riferimento che non vuole esserlo più” “Questo non è vero” “Ne sei sicuro? L’hai evitata tutta la serata. Le hai detto appena ciao” “È sempre con i suoi amici, non mi considera neanche” “Ma ti sei mai preoccupato di conoscerli i suoi amici? Lei ha visto subito che hai la cravatta che ti hanno regalato alla festa del papà: secondo te è questo il non considerati?” Lui bevve un sorso “Vado?” chiese guardando la figlia “devi!” rispose lei. Si mosse aggirando l’ostacolo. Andò dalla padrona di casa per farle i complimenti e le chiese della figlia, quando lei gliela indicò nel gruppo dove stava Monica le chiese di accompagnarlo a salutarla. Arrivò cosi nel gruppo accompagnato da una figura neutra ma importante e si fece presentare a tutti chiedendo a chi conosceva dei genitori e a chi non conosceva dell’università che stavano frequentando. La serata continuò e lei lo perse di vista ritrovandolo più tardi per alcuni minuti subito rapita dalle amiche del poker per organizzare una prossima partita a Rometta. Ad un certo punto lui la chiamò “Devo andare, Monica mi ha chiesto se accompagno lei e una sua amica in un locale al faro” “Va bene, vengo anch’io così posso smettere di mangiare prima che arrivino i dolci: non so quanto ho mangiato: avrò messo due chili solo con l’insalata di riso” Incominciarono a salutare tutti e riuscirono dopo mezzora ad arrivare alla macchina. Le ragazze erano già li ad aspettare impazienti “Dai papà è già tardi – poi rivolgendosi all’amica – Serena, questa è Enrica, la nuova compagna di mio padre” “Piacere” Disse Serena gentile allungano una mano esile su cui era tatuato un serpente. Entrarono in macchina e partirono e Serena chiese a Monica se i loro amici erano già arrivati “Non lo so, ora gli mando un altro messaggio” Mentre l’amica era impegnata con il cellulare Serena incominciò a parlare “Ora voi due state insieme? Anche i miei non stanno più insieme. Ora ho una diecina di nuovi fratelli e sorelle, perché mio padre ha trovato una nuova donna con tre figli e mia madre un signore che ne ha due dal primo matrimonio e tre dal secondo. O viceversa? Non me lo ricordo mai! Ora sono sempre invitata a qualche festa e d’estate posso andare in una diecina di case al mare di qualche parente! Ci sono dei vantaggi, ad esempio non sei mai sola e ogni fine settimana hai una festa, un compleanno, un anniversario ed è tutto un casino “ Restò qualche secondo in silenzio per far prendere fiato ai pensieri che non riuscivano a seguire la mitragliata di parole. Poi, raggiunta finalmente da un pensiero sensato aggiunse “Però è triste che ad un certo punto tutto finisca – guardando il padre di Monica chiese – secondo te perché succede?” “Succede cosa?” Chiese lui che aveva smesso di seguirla appena aveva iniziato a parlare “Che due si vogliono bene e poi improvvisamente non si amano più” L’uomo fece una faccia sconcertata ma replicò “Ognuno ha i suoi motivi però vedi, chiediti che cos’è l’amore. L’amore non è desiderare, volere e quelle cose che scrivono nelle canzoni. L’amore è fare per chi ami quello che non faresti per nessun altro. Non è una cosa semplice e forse non è neanche naturale, per questo ci vuole impegno, motivazione, tempo, interesse, voglia e bisogno che chi ami sia parte della tua vita, dei tuoi pensieri, di quello che fai o fate. Invece, una volta insieme pensi che sia fatta, che ormai è tutto a posto, che non ci saranno difficoltà, incomprensioni che potranno separarvi e che l’amore che provavi quando volevi farla innamorare, sia lo stesso di ora che vivete la vita gomito a gomito. Per farla innamorare mostri solo il lato migliore che pensi di avere e lei ti mostra il suo lato più piacevole, senza spigoli ed ombre. Da sposati invece, la vita ti tira fuori il carattere i pregi ed i difetti: l’amore mostra il suo lato più vero e concreto. Lei incomincia a pensare alla casa, ai figli e al lavoro mentre tu ti concentri sulla carriera, sui viaggi d’affari, su tutto quello che pensi necessario per vivere, su i desideri che lei non può o no sa di dover soddisfare e un giorno, quando c’è qualche problema serio, o quando qualcuno torna a riempirti la vita, allora scopri che siete sulle sponde opposte di un burrone, divisi nei pensieri, nei progetti per il domani e nelle voglie di oggi. Allora o ti nascondi nell’ipocrisia e fai finta di niente tradendola ora con una, ora con l’altra, o scegli di trovare un'altra strada, un'altra opportunità e rincominci in modo più onesto, più maturo con te stesso, con chi hai amato, con i tuoi figli e con chi scegli di stare.” Serena aggrottò la fronte impegnata a capire le parole del padre di Monica, poi si voltò verso l’amica “Hai ragione, tuo padre è molto intelligente” Monica sorrise “Te l’avevo detto, no?” E guardò gli occhi di suo padre che l’osservavano nello specchietto retrovisore per scusarsi della banalità detta dall’amica. La mano sinistra di lei, si avvicino a quella di lui che era appoggiata sul cambio, l’avvolse e gliela strinse forte.
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kon-igi · 3 years ago
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L’altro giorno sono stato costretto dalle circostanze a lasciare la mia abitazione e a percorrere un numero di chilometri inusuale (credo fossero addirittura quindici ma non ne sono sicuro... so solo che ho guidato per ben 20 minuti), tutto questo per poter comprare beni di consumo indispensabili al funzionamento biocalorico del mio organismo.
Il carrello della spesa era stranamente attaccato con una catena a una barra di ferro e allora sono andato da una cassiera a chiedere la chiave. Mi ha dato una moneta. Cioè... cosa credono, che i ladri non abbiano una moneta per rubare il carrello?!
Il posto era pieno di persone, a occhio un numero che a collezionarlo di solito impiego qualche anno, ma quello che mi ha colpito di più era un sessantenne abbronzato in polo (colletto alzato), bermuda e scarpe da tennis (si dice ancora scarpe da tennis?) che spingeva il suo carrello e ingiuriava, ora borbottando ora alzando la voce, tutti quelli che incontrava sul suo percorso.
Il motivo sembrava essere l’altrui lentezza nel procedere avanti, nello scegliere i prodotti, nell’andargli troppo vicino e toccargli le scarpe, insomma, si vedeva che in quel supermercato c’erano N-1 persone di troppo (spero che la battuta equazionale sia giusta e/o si capisca).
E a un certo punto sento una voce ringhiante venirmi dal plesso solare - LIBERAMI! LIBERAMI E TI FACCIO VEDERE IL MIO POTERE!
Come al solito era Kurama, il mio Lupo Nero, a cui ho dato un nome di cui alcuni di voi conosceranno il significato. No, mi spiace, Kurama - gli dico mentalmente - Ho promesso a Got che non ti avrei dato più da mangiare e poi per rompere il Sigillo Quadrangolare ci vuole ben più che un vecchio isterico.
Oh... - sussurra lui sogghignando - forse ci vuole quello?
E alzando lo sguardo vedo che il tizio sta urlando contro una ragazza intimorita che, a quanto pare, lo avrebbe urtato con un angolo del carrello.
Il Sigillo Quadrangolare esplode in mille frammenti inutili.
Supero il vecchio che oramai ha finito la sua sfuriata, continuo a procedere lentamente con lui alle spalle e poi mi blocco di scatto.
Il suo carrello mi urta la schiena.
Mi volto lentamente... anzi, no, non sono io che mi volto ma Kurama e con gli occhi sbarrati tipo intro di Arancia Meccanica e respiro affannoso guardo in faccia il tizio senza mai sbattere le palpebre.
Soddisfacente vedere la sua tracotanza scorreggiargli via dai pori come una tachipirina effervescente gettata nel Lago di Garda.
Lo guardo fisso e quando commette l’errore di respirare comincio a spintonargli indietro il carrello, dando ora un colpo col fianco destro ora con quello sinistro.
A suo onore posso dire che è riuscito a resistere per quasi un metro di retromarcia forzata e poi ha mollato il carrello pieno di spesa fuggendo velocemente attraverso l’uscita senza acquisti.
E io sono tornato a cercare dei fagioli in scatola che avessero glutine e olio di palma dentro.
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Un tempo il racconto si sarebbe interrotto qui, lasciando il lettore a chiedersene la veridicità (sì, è successo davvero) o perlomeno l’aderenza alla realtà (non ho trovato fagioli con glutine e olio di palma) ma oggi mi urgono da dentro due o tre considerazioni.
Prima di tutto sono stato una merda prepotente e non serve a nulla dare la colpa al mio Lupo Nero, visto che da mangiare gliel’ho dato io con la mia mancanza di autocontrollo.
Il risultato del mio comportamento è stata una feroce emicrania, una pirosi gastrica lancinante e nemmeno una traccia di reale soddisfazione di aver raddrizzato un torto... la ragazza è rimasta bullizzata, il vecchio isterico non certo rinsavito ma solo temporaneamente terrorizzato e io cosa ho ottenuto? Ho dato via parte della mia serenità senza avere restituito indietro nulla che mi rendesse migliore.
Mi sarei dovuto frapporre fra loro due e se non avessi ottenuto la calma e magari le scuse alla ragazza da parte del tipo, allora avrei dovuto voltargli le spalle e spendere due parole di gentilezza con lei, facendola sentire meno sola in una situazione di aggressione.
E invece mi sono alzato dalla sedia dalla parte della ragione, sono andato da uno sconosciuto e gliel’ho schiantata in testa per una presunta offesa al mio essere migliore di lui.
Vi lascio con uno screenshot di uno scambio di batture in cui ho oscurato gli interlocutori ma siate clementi nel giudicare lo sclero perché conosco la persona (in realtà anche molti di voi, prima che andasse via da tumblr) e so che non ce l’ha veramente con i sardi... odia solo i sette miliardi di persone che non la pensano come lei.
Lo so perché anch’io ero così.
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8sy-errah8 · 3 years ago
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Cole & Sierra
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Sierra sentiva il freddo pizzicare le guance, cercò di farsi piccola nel suo giacchetto, sollevò la sciarpa fino a coprirle il naso e rimise le mani in tasca.
- guardali, così persi nel loro mondo da non accorgersi di niente.
Di noi, non si accorgono di noi.
Cole strofinò le mani, non sapeva cosa rispondere. Abbozzò un sorriso ma Sierra non lo notò. Il suo sguardo era fisso sulla coppia, sembrava triste.
- se mi fermassi adesso, non se ne accorgerebbero nemmeno. È per questo che ho smesso di uscirci. Non capisco perché si ostinano a chiamarmi.
Ancora una volta Cole non seppe cosa rispondere.
- vorrei che mi dessi la mano, come facevi una volta.
Sierra parlava in un sussurro, ma per lui non era difficile ascoltarla, senza pensarci due volte afferrò la sua mano e la strinse con dolcezza per rassicurarla.
Camminarono per qualche altro metro, la distanza tra lei e i due ragazzi si fece più grande, Cole rallentò insieme a lei, cercò di tirarla a sé, ma la vide di nuovo mettere le mani in tasca. Avrebbe voluto chiederle perché fosse così triste ma aveva paura di ferirla maggiormente.
- vorrei essere morta io quel giorno.
Cole rimase sorpreso e rattristato. Provò a parlare ma di nuovo non ci riuscí. Le parole sembravano svanire non appena apriva la bocca per pronunciarle.
Sierra pianse, le lacrime le rigarono le guance rosse e si fermarono sulla sua sciarpa, un suo regalo tra l'altro. Si sentí sfiorare le spalle e immediatamente distolse lo sguardo.
- andiamo, Sierra?
La voce della ragazza che poco prima era persa nel suo mondo, al suo fianco un giovane biondino sorridente. Il suo era un sorriso triste, di facciata, non c'era proprio niente di divertente.
- a volte mi sembra di sentirlo ancora al mio fianco, come se non volesse lasciarmi andare.
- forse sei tu a non volerlo lasciare andare.
Lena parlò sincera, le passò una mano sulla spalla e riprese
- non è stata colpa tua.
Cole annuì, era certo che non fosse colpa di Sierra, lui lo diceva sempre ma lei fingeva di non ascoltarlo. Lena e Sierra si abbracciarono. Lei non era brava a consolare però, stavano piangendo entrambe.
- sarei dovuta morire quel giorno, Lena!
Daniel, il biondino, si intromise, non era mai stato di molte parole lui e Cole nonostante fossero fratelli erano così diversi.
- Cole s'incazzerebbe se ti sentisse parlare cosi. Ti direbbe che devi fare qualcosa invece di piangerti addosso, sei viva. Tu hai la fortuna di essere sopravvissuta, non devi sprecarla a piangere.
Cole fu d'accordo. Avrebbe voluto poterlo dire. Avrebbe voluto potersi avvicinare, essere ascoltato, parlare con la sua bocca e non attraverso il ricordo che aveva lasciato di lui. Li guardò riprendere a camminare stavolta senza lasciare indietro Sierra e ne fu felice. Avesse detto prima quanto si sentiva sola forse l'avrebbero sostenuta in modo diverso. Ma Sierra era così, parlava poco e soffriva dentro.
Cole notò per l'ennesima volta i fiori lasciati ai piedi del lampione, c'erano anche dei pupazzi, delle lettere, e una foto. Lui, Sierra, Lena e Daniel in spiaggia al falò. Un altra ancora, in cima a tutte ritraeva solo un ragazzo sorridente e una scritta: in memoria di Cole David Roan. Abbassò lo sguardo rassegnato, gli mancava vivere. Avrebbe tanto voluto sentirlo quel freddo, avrebbe tanto voluto sentire qualcosa.
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entropiceye · 3 years ago
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Per due mesi lavorerò in un panificio, molto lontano da casa. Mi sono trasferita da una ragazza molto discreta, per quanto socievole. C'è anche una cagnolina molto simpatica, che mi fa pensare alla mia, rimasta con i miei. Ho una stanza mia, tutto sommato confortevole, seppur tanto piccola.
Sono molto tesa, sarà la prima volta sul campo ed è parecchia l'emozione. Anche l'ansia direi.
Ho faticato tanto per arrivare dove sono, soprattutto perché l'ultimo anno è stato abbastanza difficile... Per quasi una vita intera ho creduto di essere destinata al fallimento, una persona inconcludente e irrimediabilmente difettosa, oltre che perennemente fuori posto.
Eppure questa esperienza mi ha dimostrato che, nonostante le avversità e lo stress, sono stata capace di portare a termine con successo e passione, il percorso che ho iniziato, nonostante fin dal principio abbia avuto tante persone a remarmi contro e ad instillarmi mille dubbi.
Sarà una giornata faticosa, ma non vedo l'ora di impegnarmi per imparare cose sempre nuove. All'inizio non volevo venire qui, perché il luogo dove mi trovo è abbastanza sperduto. Si trova sul cucuzzolo di una montagna e di mezzi ne passano proprio pochi...
È un piccolo paesino, per lo più popolato da persone anziane. Ciononostante mi sento davvero in pace.
Il paesaggio mozzafiato che posso ammirare dalle finestre, il silenzio della notte, il risveglio col gallo che canta alle prime luci dell'alba ed i rintocchi del campanile che si fanno via via sempre più udibili.
Fa freddissimo, eppure non posso non aprire la finestra per inebriarmi con l'odore dell'erba bagnata, imperlata di brina e rugiada, mentre il ronzio dei tagliaerba in azione si diffonde nella stanza. Sento che questo è il tipo di posto dove vorrei vivere.
Per la prima volta dopo tanto tempo, sperimento un senso di leggerezza, perché so che se anche domani dovessi tornare stanca e dolorante, prima di ogni altra cosa, sarei felice...
Nel dicembre del 2019 non avrei mai creduto di potermi sentire così, infatti, per un soffio, ho rischiato di lasciarmi sfuggire la vita tra le dita. Ero stanca... Stanca di lottare e di sentirmi sola, inascoltata, non amata, sbagliata.
Risvegliarmi in rianimazione è stato un trauma, così come i successivi giorni in ospedale, costretta al letto, tra flebo, catetere e massicce quantità di psicofarmaci.
Giorni di solitudine, dilaniata dai miei pensieri, dal dolore e dalla vergogna. Eppure posso dire che dopo aver toccato il fondo quella volta, ho davvero iniziato a risalire...
È triste dover arrivare a stare così male, prima di trovare dentro di sé il coraggio e la voglia di amarsi...
Per questo oggi vi ho raccontato questa cosa. Perché anni fa non avrei mai pensato di poter essere qui, né di fare qualcosa di costruttivo e spero che leggendo questo sfogo, qualcuno possa trovare un po' di speranza.
A volte è difficile trovare il proprio posto in questo mondo... Per questo dovete fare di tutto per crearvelo!
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xsavannahx987 · 4 years ago
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- L’angelo caduto - cap.9 
"Le persone legate dal destino si troveranno sempre a vicenda" THE WITCHER
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Splendenti raggi solari bucano la fitta coltre di nuvole bianche, squarciando il cielo con la loro intensa luce. La nebbia che avvolge l'alta collina si dissolve, lasciando che il grande maniero del conte Straud sia visibile in tutta la sua oscura perfidia. I tetti appuntiti neri, le mura di un grigio antracide e le alte finestre oscurate osservano la bellezza di quella mattinata assolata, dove la luce si riflette contro la bianca neve emanando un'aura brillante, quasi accecante.
Il comandante Cullen cammina da solo nel fitto bosco di abeti, il rumore della neve che si infrange sotto i suoi passi. Non sembra sentire freddo, riscaldato dall'astro infuocato che governa un cielo ora terso. Il suo animo è tranquillo, serenamente contento. Non c'è timore sul suo viso, non c'è più la paura della lotta. Sorride alla vista della sua amata che lo saluta da lontano, pronta a correre verso di lui e gettarsi tra le sue braccia. L'idillio perfetto dopo anni di sanguinosa lotta per la sopravvivenza dell'umanità, anni di rinunce, di paure, di progetti rinviati. La luce che inonda il piccolo borgo oscuro di Forgotten Hollow è il simbolo della rinascita, del non temere più il buio della notte e le sue creature che si aggiravano tra quelle strade, pronte a porre fine ad un'altra vita umana senza pietà. Ed eccoli lì, gli eroi silenziosi di quella battaglia, la ragazza prescelta dal destino per porre fine a quel lungo capitolo di crudeltà, e il giovane comandante di un insolito esercito, compagno nella guerra e nella vita. Sono a pochi passi l'una dall'altro, si guardano, sorridono, una nuova vita pronta per essere scritta tra le pagine bianche di un altro libro dove non c'è più il male ad affliggere il mondo. Ancora un passo...
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Un istante e il mondo idilliaco va in pezzi. La nebbia torna ad avvolgere la collina che sovrasta il piccolo borgo di Forgotten Hollow, il sole scompare dietro una fitta coltre di nuvole scure e il buio torna a dipingere le strade. Come un fuoco che divampa all'improvviso, la lunga chioma rossa appare alle spalle del comandante. Lo sguardo di lui si tramuta, il sorriso si dissolve e il terrore riempie i suoi occhi chiari. Un grido squarcia il silenzio della grande vallata. La cacciatrice tenta invano di muoversi in soccorso dell'uomo che ama, ma è tutto inutile. La vampira afferra il collo del comandante e in un secondo è tutto finito. I denti affilati affondano nella pelle dell'uomo in profondità bucando i tessuti e i muscoli fino alla giugulare dissanguandolo in pochi attimi. Il corpo freddo e inerme dell'uomo cade a terra con un tonfo sordo nella neve fredda e opaca, mentre la risata della vampira sovrasta il grido della cacciatrice sconfitta. L'uomo che ama non c'è più. Ne resta solo una carcassa vuota, senza più battiti, senza più anima.
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Le sue urla di terrore riecheggiarono nella grande casa vittoriana. "Svegliati!" sussurrò una voce maschile scuotendola dal torpore. "No, ti prego. Cullen..." mormorò la cacciatrice in preda ai deliri. Un sussulto e i suoi grandi occhi celesti si aprirono. Le luci tenui della piccola stanza da letto la aiutarono a mettere a fuoco i dintorni non riconoscendoli. "Dove mi trovo?" domandò Helena guardandosi attorno. "Sei a villa Vatore, cacciatrice" rispose la stessa voce maschile che aveva tentanto di svegliarla pochi istanti prima. Helena accortasi di indossare soltanto la biancheria intima, tentò di coprirsi con le mani, ma una fitta di dolore al braccio la fece desistere.
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"Chi sei?" domandò ancora osservando il suo misterioso interlocutore "Cosa è successo?" "Mi chiamo Caleb Vatore, cacciatrice. Non ricordi cosa è accaduto qualche notte fa?" chiese di rimando. "Io ricordo di essere stata attaccata da un gruppo di vampiri e poi quella rossa...tu...tu sei venuto ad aiutarmi?!" domandò retoricamente. Caleb fece cenno di assenso senza aggiungere altro. "Grazie, Caleb. Sarei probabilmente morta senza il tuo aiuto" concluse la cacciatrice. "E' stato un onore, cacciatrice." rispose l'uomo abbozzando un sorriso. La sua pelle era stranamente molto pallida, quasi lucida sotto le luci tenui della stanza. Gli occhi avevano la stessa tonalità del ghiaccio che contrastavano sotto i folti capelli scuri. Helena lo osservò attentamente, ma non disse una parola, benchè un dubbio si fosse insinuato nella sua mente. "Io ora ti lascio tranquilla. I tuoi abiti sono su quella poltrona lì" annunciò Caleb indicando la seduta nell'angolo. "Se hai fame scendi pure al piano inferiore. C'è del cibo in cucina appositamente per te. Io sarò nel salone, se avrai bisogno di qualcosa" "Caleb, dove siamo?" domandò Helena confusa. "A casa mia, te l'ho detto" rispose Caleb. "Intendevo in che posto" incalzò Helena, mentre i suoi dubbi si facevano sempre più pressanti. Caleb con un sospiro confessò "A Forgotten Hollow..."
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La cacciatrice sussultò mentre i pezzi di un puzzle invisibile andavano ad incastrarsi alla perfezione. Le tende tirate e scure nella stanza, l'arredamento antiquato e la carnagione di Caleb potevano significare soltanto una cosa. "Sei un vampiro" annunciò Helena con lo sguardo attonito, fisso su Caleb. "Si, ma non temere. Non ho intenzione di farti del male. Se avessi voluto ucciderti lo avrei fatto quella notte e non mi sarei preso cura delle tue gravi ferite" dichiarò il vampiro sorridendo appena e mettendo in mostra i canini allungati. "Suppongo di dovermi fidare di te..." mormorò Helena abbassando lo sguardo e notando le pesanti fasciature che avvolgevano il suo corpo in più punti. Sull'addome la macchia di sangue era ancora visibile sulle bende, segno che in quel punto aveva subito forse il danno maggiore. "Caleb...da quanto tempo sono qui?" domandò poi. "Tre notti. Le ferite erano molto gravi quando ti ho trovata e non sei stata cosciente fino a questa mattina, ma le cure stanno dando i loro effetti. Presto potrai tornare a cacciare" rispose Caleb, in piedi davanti a lei come una statua di marmo. "Tre notti? Io devo tornare. Mi staranno cercando!" disse Helena mettendosi a sedere sul bordo del letto e tentando di alzarsi. Un capogiro la colse all'improvviso facendola ricadere di peso sul morbido materasso cigolante.
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"Sei ancora debole per affrontare tutta quella strada da sola ed io adesso non posso uscire di qui" mormorò Caleb che era andato a sedersi accanto a lei con uno scatto fulmineo. "Ma io devo tornare a casa..." sussurrò lei accigliandosi. "Ascolta, ora riposa un altro pò. Intanto ti preparerò qualcosa da mangiare che possa rimetterti in forze e stanotte ti promettò che ti aiuterò a tornare a casa, se lo desideri." concluse Caleb aiutandola a stendersi. Helena asserì con la testa e si sdraiò di nuovo sul comodo letto abbandonandosi totalmente alla richiesta di riposo che il suo corpo necessitava.
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Quando il sole fu alto nel cielo di metà pomeriggio la cacciatrice si ridestò dal suo sonno ristoratore, sentendosi finalmente più in forze e pronta per tornare a casa. Erano passati tre giorni dall'attacco della vampira ed Helena si domandava se i membri dell'Organizzazione l'avessero data ormai per morta e il suo pensiero volò inevitabilmente a Cullen. Aveva bisogno di far sapere a tutti che stava bene, che era viva e che aveva ricevuto un aiuto prezioso dall'ultima persona che si sarebbe mai aspettata. Come era possibile che un vampiro avesse aiutato proprio lei la cacciatrice, colei scelta dal destino per distruggerli tutti? Poteva davvero fidarsi di lui? Si mise a sedere sul bordo del materasso a molle che cigolò sotto il suo peso. La stanza era nella penombra ed Helena desiderò ardentemente aprire le tende per far filtrare un pò di luce esterna. Così si alzò lentamente per paura di un nuovo capogiro e andò verso una delle finestre coperte da pesanti drappi scuri. Afferrò un lembo e tirò, lasciando così che una flebile luce di metà pomeriggio entrasse ad illuminare la grande stanza da letto. Amava il sole e non poteva immaginare come fosse vivere per l'eternità senza più godere di quella meraviglia, benchè anche la sua vita si svolgesse per la maggior parte del tempo nell'oscurità. Raccolse i suoi vestiti sulla poltrona nell'angolo accanto alla porta e iniziò ad indossarli, facendo attenzione a non strapparsi le bende che Caleb le aveva accuratamente messo per coprire le sue ferite. Osservò la sua figura vestita nello specchio da terra dal vetro un pò appannato e pensò a quanto fosse sciocco tenere un oggetto simile in una casa abitata da un vampiro, dal momento che le creature della notte non potevano vedere la loro immagine riflessa su nessuna superficie.
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Quando fu completamente vestita, Helena osservò i segni ancora visibili sul suo viso, domandandosi se sarebbero rimaste le cicatrici e fu allora che la sua attenzione cadde su una fotografica incorniciata sulla toeletta in legno chiaro. Ritraeva quattro persone, due donne, un uomo e una bambina di circa 7 anni, sorridenti e vestiti con abiti che, molto probabilmente, risalivano ai primi anni del novecento. La foto era ingiallita dal tempo, ma Helena riconobbe Caleb vestito con una giacca e un paio di pantaloni stretti sul ginocchio. Un berretto copriva i suoi capelli pettinati e il suo sguardo era autoritario, ma al contempo dolce e affabile. Accanto a lui c'era una donna, capelli chiari raccolti in uno chignon e un abito lungo che le fasciava il corpo esile. Un'altra donna coi capelli corti e scuri era in piedi sul lato opposto, anche lei in abito lungo e uno sguardo profondo. La bambina era adorabile con la sua treccia lunga e il vestitino corto e sembrava felice. Helena osservò quei volti domandandosi chi potessero essere le persone accanto a Caleb e se, anche loro, fossero vampiri e si aggirassero tra le mura di quella casa. Non aveva mai visto dei vampiri-bambini e neppure il suo Osservatore ne aveva mai fatto menzione alcuna. Il pensiero di quella bambina trasformata in un mostro immortale fece rabbrividire la cacciatrice. I suoi pensieri però vennero interrotti quando la porta della camera si aprì e la figura di Caleb apparve sull'uscio. La vista del sole che filtrava dalla finestra lo fece rizzare come un gatto spaventato ed Helena si affrettò a tirare di nuovo la tenda. "Perdonami. Volevo solo far entrare un pò di luce naturale" annunciò voltandosi verso il vampiro. "A volte piacerebbe anche a me vedere ancora il sole" dichiarò Caleb rabbuiandosi in volto, più di quanto non fosse già tenebroso. "Caleb, non ho potuto fare a meno di notare quella foto" disse Helena indicando la cornice sulla toeletta "Le altre persone ritratte con te, sono in questa casa adesso?" domandò poi di getto senza pensare alle conseguenze di quella sua richiesta. "Solo mia sorella Lilith...la donna coi capelli scuri" rispose Caleb abbassando lo sguardo. Helena non domandò dove fossero la donna e la bambina fotografate accanto al vampiro, temendo di porre un quesito scomodo all'uomo. Fu Caleb a prendere la parola, asserendo che le avrebbe raccontato una storia, se avesse avuto voglia di ascoltarla. La cacciatrice annuì silenziosamente mentre Caleb le faceva segno di seguirla.
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Scesi al piano inferiore della villa, Caleb fece strada ad Helena e l'accompagnò verso il salotto dove il crepitio del fuoco riecheggiava tra le mura. Seduta su una comoda poltrona c'era la donna della fotografia, ma era molto diversa a vederla di persona. Era vestita con un abitino aderente che le fasciava le curve mettendo in risalto i muscoli ben definiti, un paio di calze a rete e tacchi talmente alti che solo a guardarli facevano venire le vertigini. I capelli lunghi e neri erano tirati dietro le spalle lasciando il viso completamente scoperto a metterne in mostra i piccoli occhi color ghiaccio come quelli di Caleb. Il trucco pesante incorniciava il tutto. Non aveva più nulla della donna della fotografia, quell'aria un pò ingenua e l'aspetto delicato di quei tempi andati. Come il fratello il susseguirsi inesorabile dell'eternità con i suoi eventi storici, le guerre, le carestie e le epidemie avevano indurito i suoi lineamenti. "Cacciatrice, lei è mia sorella Lilith" annuciò Caleb. "Salve" disse Helena cercando di trovare qualcosa ad effetto da dire in quella circostanza così anomala. La vampira non rivolse nessun tipo di saluto alla cacciatrice, ma si limitò a guardare il fratello con aria truce. "Lilith non essere maleducata" mormorò il vampiro ricambiando lo sguardo della sorella. "Perdona la sua mancanza di educazione. Mia sorella è sempre stata una ribelle" disse poi rivolgendosi ad Helena. "Magari tua sorella non gradisce la presenza della cacciatrice in casa sua e ne ha tutto il diritto" asserì Helena guardando la vampira. "Esattamente, ma mio fratello fa sempre di testa sua senza mai chiedere nulla. Non è vero Caleb?!" parlò Lilith. La sua voce era profonda, per nulla stridula. "Ne abbiamo già discusso, Lilith. La cacciatrice aveva bisogno di aiuto" ringhiò Caleb. Helena iniziò a sentirsi a disagio in quella discussione tra fratelli, e soprattutto tra vampiri. "E per aiutare lei hai ucciso Lauren, la tua creatrice!" disse Lilith di rimando. "Ho dovuto farlo..." intervenì Caleb, ma non terminò la frase perchè Helena si intromise chiedendo chi fosse Lauren. "Siediti Helena" disse poi il vampiro tornando ad un tono calmo e vellutato chiamandola per la prima volta con il suo nome e non con il ruolo che il destino le aveva imposto "Voglio raccontarti quella storia".
Nel frattempo lontano da villa Vatore e da Forgotten Hollow, a Tiamaranta's Fortress i membri dell'Organizzazione non si davano pace. Da giorni non avevano mai interrotto le ricerche di Helena, mentre i due maghi avevano tentato qualsiasi incantesimo di localizzazione, senza avere successo. Alcuni di loro avevano ormai perso le speranze di ritrovare la cacciatrice viva e vegeta, benchè Amelia continuasse ad insistere che se fosse stata uccisa, avrebbe percepito l'aura di una nuova prescelta. Chi non aveva mai smesso di sperare era il comandante. Non dormiva da quella mattina in cui era andato a Forgotten Hollow in cerca di Helena e aveva ritrovato soltanto il suo ciondolo. A malapena mangiava e le forze lo stavano abbandonando. Jo continuava a ripetergli di riposare, di mangiare o si sarebbe ammalato presto, ma Cullen era inamovibile e continuava a dire che se non avesse ritrovato Helena tanto valeva morire. Si era recato spesso a Forgotten Hollow alla ricerca di tracce che potevano essergli sfuggite quel giorno e, durante le ronde notturne, aveva affrontato diversi vampiri domandando se sapevano qualcosa a riguardo della sparizione della cacciatrice, prima di ucciderli. Ma di Helena nessuna traccia. Era come svanita nel nulla, mentre lei era sempre stata lì, a pochi passi da loro, al sicuro in una delle camere da letto di villa Vatore.
Mentre Helena ascoltava la storia che Caleb le stava narrando, a Tiamaranta's Fortress Cullen sedeva alla sua scrivania. Un foglio di carta bianca era poggiato davanti a sè e il comandante fissava il suo candore cercando le parole giuste da incidere. La speranza di rivedere Helena viva era ancora lì, aggrappata con le unghie alla sua anima e Cullen volle esternare i suoi sentimenti su quel pezzo di carta, augurandosi di poterle dare quella lettera una volta che fosse tornata.
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"Senza dubbio questa mia lettera ti confonderà. Devo ammetterlo, non ho avuto molte opportunità di comporre nulla di natura personale. Forse è sciocco. Sei impegnata nella tua lotta, come lo sono anche io. Il nostro lavoro sembra non finire mai, ogni passo in avanti sembra finisca con quattro passi indietro. Ti ho vista oltrepassare quel cancello ogni notte per andare a combattere, tornando sempre. In queste notti ho atteso. La testa premuta contro le fredde pietre della finestra, aspettando di vedere la tua sagoma comparire all'orizzonte. Sembra patetico ora che lo scrivo, come se fossi una fanciulla in una torre che si strugge per un cavaliere. Non ho mai pensato che tu potessi non farcela. Al contrario, in ogni fase di questa missione, ho sempre creduto con fervore nel tuo successo. Le mie intenzioni con questa lettera non erano di attirare dubbi sulle tue capacità. La verità, la ragione di questo spreco di tempo è che ti amo. Sto qui chino sulla scrivania e osservo il consumarsi delle candele e tutto ciò che scorre nelle mie vene è una paura infernale che non potrei mai dirti. Non in futuro, ma adesso con te così lontana da me. Tu sei molto di più di quanto avrei potuto desiderare, sperato, necessitato. Hai distrutto le mie difese con uno sguardo. Mi hai fatto tremare in ginocchio e mi hai rialzato in piedi. Non mi sono mai sentito così vulnerabile come lo sono tra le tue braccia. La tua semplice presenza è un balsamo per la mia anima ferita, la stessa che darei per tenerti con me per sempre. Ti desidero. Baciare le tue labbra, perdermi nel tuo abbraccio, assaporare le tue cosce che tremano a cavalcioni sopra di me e sorridere mentre ti muovi sotto di me. La promessa dei tuoi sussulti che implorano di più infiamma il mio cuore e mi distoglie dalla sconforto della guerra. I miei sogni possono essere costellati per sempre da incubi, ma i miei pensieri, i miei momenti di veglia, sono dedicati a te. Sei un vino profumato che inebria la mia mente e la mia lingua, e libera l'uomo che temevo fosse perso per sempre dalle sue catene. Non avrei mai immaginato di essere diventato il tipo d'uomo che scrive una lettera d'amore. Di devozione. Una dichiarazione che ciò che voglio di più da questo mondo, dal Creatore stesso, sei tu. So che tornerai da me, passando per quel cancello e tra le mie braccia. E avevo bisogno che tu sapessi che mi troverai con la fronte premuta contro la fredda pietra che ti aspetta. Ti amo. Cullen"
Terminò di scrivere quella confessione che il sole aveva iniziato a discendere dietro la linea del mare. Poggiò la fronte contro il pugno chiuso, adagiando il gomito sul foglio di carta non più immacolato e chiuse gli occhi, mentre una smorfia di dolore gli tirò le labbra. "So che tornerai..." mormorò poi abbandonandosi totalmente ad una silenziosa disperazione che lo aveva accompagnato in quei giorni, senza lasciarlo mai, benchè la speranza del ritorno di Helena gli avesse dato la forza di non cedere.
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Le ombre fuori Tiamaranta's Fortress iniziarono ad allungarsi col passare dei minuti, mentre la linea dell'orizzonte si tingeva delle tonalità del rosso del tramonto. Fu allora che una figura scura sopraggiunse oltre il fitto degli alberi che coprivano la scogliera dove si ergeva la fortezza. Passi veloci corsero tra i corridoi, sempre più affrettati. Senza bussare contro il battente di legno dello studio, Leliana aprì la porta di scatto trovando il comandante perso nei suoi pensieri malinconici. "Comandante" lo chiamò cercando di attirare la sua attenzione, ma Cullen non si mosse. "Cullen" chiamò ancora "La cacciatrice...è tornata!".
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