#punirsi
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Autosabotaggio” si chiama. Quando vuoi uscire dal pantano, concederti finalmente un gesto normale come portare a cena fuori una ragazza e, allo stesso tempo, ti vuoi punire per il solo fatto di aver tentato. Quindi, tra tutti i posti, scegli il peggiore.
Silvia Avallone, Cuore nero
#silvia avallone#cuore nero#sabotaggio#autosabotaggio#punirsi#punizione#dolore#provare#merito#meritare#male
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Misto
È un misto fra pensare che spreca tutto, tutta la vita nel cesso e sentire di stare assieme alle persone più belle che abbia incontrato in questi anni. C'è gioventù, spensieratezza, forza inaudita e l'esperienza del più anziano; chi ha perso tutto, chi ha perso un figlio, chi sta perdendo la testa e non sa più cosa ha fatto un secondo prima. Qualcuno ha un carattere orribile, quanto il suo nei momenti di debolezza. Debolezza, paura, paura fottuta paura di mostrarsi per quello che è; quello che è oggi e domani non sarà più. Passa il tempo a punirsi con iperboli di presunta coerenza. Se non sorrideva ieri non può sorridere oggi. Brutta. Brutta si vede brutta, si sente brutta e le dispiace per loro; pensa, cavoli, devono stare con me, in ufficio, lì seduta come fossi un buco nero. Hanno imparato a non avvicinarsi. Lo hanno fatto. Tanto di guadagnato non doversi spiegare, non dover fare bel viso a cattiva sorte. Porca puttana che brutta, che brutta sensazione...anzi la cosa più brutta, a pensarci bene, non è com'è ma tutto ciò che non riesce ad essere. Una persona sincera. Sincera per sé stessa, nel proprio dolore infinito, nell'amore nascosto, nella dolcezza, nel dire mi sento un buco nero, una voragine una sola pazzesca. Imparare a darsi il tempo, nel tempo in cui lecca le scarpe al padrone, non per "di dire una parola gentile" ma per ascoltare gli altri. Ascoltarli guardandoli negli occhi, rispondendo alle domande, anche a quelle sempre uguali, sempre le stesse, ogni mattina: "sei venuta in bicicletta?". Cavolo. Guardarli negli occhi, vedere alti buchi neri, altre vertigini di speranza e desiderio, accogliere l'amore di chi gliene sta versando sopra a tonnellate, accoglierlo, provaci, almeno. Provare a mostrare tutta la paura che la sta facendo affogare, far vedere loro quanto è nera, farlo vedere, lasciarli entrare.
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Disturbi alimentari, cosa significa per me
Andare a letto e pensare a cosa mangiare a pranzo il giorno dopo. Svegliarsi e non piacersi. Organizzare uscite con amici collegandole al cibo. Guardarsi in tutti gli specchi. Vedersi diversi rispetto a come si è davvero. Guardare le foto scattate da altri e vergognarsi per la presa di consapevolezza di come gli altri ti vedono. Sensi di colpa. Non controllarli e mangiare troppo. Mangiare male. Acidità di stomaco continua. I vestiti iniziano a stare stretti. Sapere cosa fare e non riuscire a farlo. A giorni e giorni di abbuffate vincono i sensi di colpa e seguono giorni e giorni di digiuno. La punizione. Andare a letto e pensare a cosa non mangiare il giorno dopo. Sentirsi forti e invece essere cenere. La debolezza. Interminabili camminate e le gambe che tremano per la debolezza. E la felicità di farsi del male. La soddisfazione del punirsi. I vestiti larghi, la fame. Digiunare per tanti giorni e pensare di meritarsi finalmente il cibo. Una volta, due, tre e ricominciano le abbuffate. Perché lo fai. Se sai qual è il modo giusto, equilibrato, perché non lo metti in atto. E perché.
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Ad Anna pareva aver perso le energie per tutto. Non si impegnava granché per nulla, nemmeno le cose che un tempo la emozionavano e la smuovevano. Cercava la via più semplice, meno dispendiosa in termini di energie e non se ne accorgeva. Viveva in una bolla di insoddisfazione infinita criticando gli altri per il troppo tempo sacrificato in cose per lei totalmente inutili. Le sembrava di non far parte più di nulla, di essere esclusa da tutto, distante da ogni interesse e passione. Anna era sfinita dai continui lamenti interiori, dai piagnucolii incessanti di una vita ormai totalmente vuota e priva di significato.
Guardava gli altri con ammirazione, come le madri guardano i figli inseguire i propri sogni e lei, rassegnata, si lasciava passare tutto davanti. Aiutava gli altri, certo, a compiere le azioni quotidiane per agevolare il lavoro a cui veramente ambivano mentre lei, infilava i guanti e lavava i piatti per la terza volta di fila quel pomeriggio. Era come se la grinta l'avesse abbandonata, come se la giovinezza fosse scomparsa lasciando solo spazio alla rassegnazione di una vita finita. Ed Anna continuava a non accorgersi di nulla sfogando le sue frustrazioni su di una ricerca incessante e morbosa di un lavoro che sarebbe risultato infine snervante e svilente o su di una vendita non conclusa su quelle piattaforme che utilizzava per ricavare qualche spicciolo in più. Era rassegnazione, una rassegnazione così grande ed insita in lei da toglierle costantemente tutte le energie.
Anna andava comunque avanti, le sue giornate era piene e le settimane scorrevano senza finire mai. Il weekend era uguale agli altri giorni, i mesi non si differenziano minimamente e il tempo le appariva come un grande macigno che portava sulle spalle rallentando il suo lavoro. Non si sentiva in diritto di festeggiare qualcosa, piuttosto cominciava a nutrire di nuovo quel rifiuto verso ciò che poteva definirsi per lei una ricompensa privilegiando invece, ciò che poteva invece risultare per lei una punizione. Amava punirsi, aveva sempre avuto quella tendenza a farlo per dare un senso alla sua vita. Vivere all'ombra degli altri era forse, anch'essa una punizione, il giusto compromesso per non essere abbastanza. Non riconosceva mai i suoi giorni di stacco, rimaneva sempre vigile e pronta per gli altri. Si comportava come una madre, una governante, a volte, una figura di riferimento per valutare le soluzioni più pensate e giuste.
Anna era esausta. Svuotata di ogni energia vitale. Si guardava allo specchio e non vedeva nient'altro che un corpo vuoto. E non le importava nulla del pensiero degli altri a differenza di anni addietro, quando la sua compostezza era costruita a misura di quest'ultimo.
Era diventata squallida, sciatta. Così tristemente vuota da non riuscire a trovare un qualsiasi appiglio per migliorare la minima cosa. Non era un disastro perché la completa mancanza di volontà non poteva definirla così. Era noncuranza, un appiattimento totale. Una tristezza infinita sfociata in totale apatia.
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Quattro mura.
Un tubo lungo un metro infilato nel naso.
Lo stomaco che brontola per la fame, la testa che gira per la mancanza di cibo.
Come all'età di diciannove anni io sia finita qui, ancora non sono riuscita a capirlo del tutto.
Eppure mi ero ripromessa che la scorsa sarebbe stata l'ultima volta, che non sarei più ritornata in posti del genere, che non sarei più caduta così in basso.
Giornate che scorrono scandite da orari ben precisi, da regole da rispettare, da persone che decidono quello che puoi o non puoi fare.
Persone che diventano dei burattini.
Divisione tra bravi e cattivi, tra giusto e sbagliato.
Giornate passate a contare i giorni che ti mancano per uscire, per raggiungere la tua tanto agognata libertà, sperando che questa volta sia davvero quella buona.
Mani che fungono da calendario, costellate da dolorose bruciature di sigaretta che segnano la fine di un altro noiosissimo giorno.
Alzati, prendi le medicine, mangia, prendi le medicine, mangia, "per scendere a pranzo la stacchi la sacca?", "hai mangiato troppo poco, devi integrare", "è pronta la tisana", "oggi giro medici".
Pianti, urla, silenzio.
Silenzio, rumore di ante che sbattono, di persone che bisbigliano tra di loro, di pugni tirati contro i muri.
Giornate passate in una camera grande venti metri quadri che hai dovuto far diventare il centro del tuo intero mondo, il posto in cui dovrai trascorrere un numero indefinito di giorni.
Ti senti rotta, spezzata.
Senti che dentro di te c'è qualcosa che non va, qualcosa che continua a farti sentire sbagliata.
Vuoto.
Un grandissimo e gigantesco buco nero pronto a risucchiarti, a portarsi di nuovo via i colori, le emozioni, fino a renderti apatica.
Fino a renderti uno stupido omino che obbedisce ai comandi senza nemmeno fiatare.
"Non mangiare, non hai bisogno del cibo, tu sei più forte"-voci che si sovrappongono, pensieri contrastanti che fanno a botte tra di loro per vedere chi sarà il primo ad arrendersi.
Chi vincerà?
Ancora non lo sai.
Ma questa non è una guerra ad armi pari e sei consapevole che quella che sta perdendo sei proprio tu.
Hai perso amici, momenti, occasioni, pranzi fuori, cene dei cento giorni.
Vedi storie di persone che ridono e costruiscono sulla spiaggia castelli di sabbia, mentre tu sei rinchiusa in mezzo a pavimenti che odorano di candeggina e letti impregnati di lacrime e dolore di tutti quelli che ci hanno dormito prima di te.
Ore passate ad aspettare che ti permettano di uscire per prendere almeno una boccata d'aria, per permettere ai deboli raggi del sole di raggiungere la tua pelle pallida e scaldarla almeno un po', sperando che questo riesca a contrastare almeno in parte il freddo gelido che ti senti dentro.
Centinaia di sigarette fumate, decine di mozziconi che giacciono abbandonati per terra e che riempiono la strada come le foglie in autunno.
Nicotina come rimedio per la fame, per fare in modo che passi, che i crampi di dolore che ci facevano camminare piegate in due ci dessero un momento di tregua.
Caffè lunghi rigorosamente amari, bevuti con una lentezza infinita in modo da sentirsi più sazi, decine e decine di litri d'acqua buttati giù per cercare di ingannare i bisogni primitivi del nostro corpo.
Chilometri macinati di nascosto nel buio della tua camera.
Sdraiata sul letto vedi le tue cosce enormi, la pancia che ti sembra stia per esplodere, la voce che non fa altro che urlarti addosso che sei un fallimento.
“Non dovevi mangiarlo, sei solo una grassona.”
“Ora è troppo tardi, hai rovinato tutto.”
“Non potrai più essere perfetta.”
Fiumi di lacrime scorrono dai tuoi occhi, elastici ai polsi usati come armi per punirsi.
La tua mente ti tiene in trappola, il corpo non risponde più ai tuoi comandi.
Il mondo esterno che bussa alla tua porta anche se tu non sei pronta ad aprirli.
Porte che avresti dovuto chiudere e invece tieni aperte e di tanto in tanto guardi ancora cosa succede dallo spioncino.
La malattia diventata ben presto una gabbia d'oro che pian piano sta iniziando a soffocarti.
Una prigione da cui ti sembra impossibile evadere.
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🔴🇮🇹 COME AIUTARE CHI NON VUOLE AIUTO?!
ci sono milioni di persone che stanno male ma che non si fanno aiutare perche piene di sensi di colpa subconsci che portano ad auto punirsi inconsciamente!
Finché non cancelli da te o dal tuo caro il senso di colpa=punizione, beh tutto sarà inutile!
da guru in guru per non cambiare mai! Perché…
Perché parlano, e ripetono, alla parte sbagliata della loro mente per cambiare la loro mentalità, il loro mindset!
Se vuoi veramente ottenere ciò che cerchi, l’unica strada e’ convincere il tuo subconscio, il tuo pilota automatico, il tuo genio della lampada di Aladino!
Altre strade sono inutili!
La prova ?
Osservati e osserva solo i fatti e non i bla bla bla!
Attorno a te vedi gente laureata e povera e gente senza scuole ricca!
Attorno a te vedi gente in salute e gente ammalata!
Attorno a te vedi gente fortunata e gente sfortunata!
E’ colpa del destino o responsabilità del tuo subcosciente?!
Tutto parte da dentro di te e non da fuori!
Solo a te la scelta!
se le hai provate veramente tutte e Zero fatti, che ti costa provare l’ipnosi DCS Vera e professionale di Los Angeles Beverly Hills anche iniziando da 1 solo audio DCS che fa per il tuo bene ed il bene del tuo caro?
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INQUIETUDINE E SENSO DI COLPA Torquato Tasso è un uomo molto inquieto. Ciò deriva dal complicarsi del rapporto tra intellettuali e potere e dalla crisi dell’intellettuale generata dalla Controriforma. Tasso aderisce alla cultura controriformistica ma non riesce ad accettarla del tutto a causa degli elementi rinascimentali che ancora lo influenzano (ad esempio, la libertà di pensiero). Si sente, quindi, continuamente in colpa e cerca di punirsi (ad esempio, si autodenuncia al Tribunale dell’Inquisizione).
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Soffro di autolesionismo ma non mi sento affatto valida. I miei tagli sono superficiali, poco aperti, sembrano linee rosse. Di recente ho provato lo styro ma non sono andata oltre. Non ce la faccio più a sopportare questa sensazione. Le mie cicatrici sono piccole e poche, tendono a sbiadire. Questo mi fa sentire una fallita, mi sento come se non avessi mai lottato con SH, mi sento come se non fossi abbastanza ferita, le mie ferite non sono abbastanza gravi da considerare davvero questo un problema. Non provo più sollievo quando lo faccio ma solo rabbia per non essere riuscita a raggiungere l'obiettivo. Come posso farmi bastare questi tagli?
È sempre difficile cercare di dire la cosa giusta in questi casi ed è troppo facile essere fraintesi.
Posso solo consigliarti di cercare aiuto per capire cosa ti fa stare male e perché senti il bisogno di punirti.
Non devi "farti bastare dei tagli" e il tuo obiettivo non deve essere quello di farne di più profondi.
Il tuo obiettivo deve essere quello di capire cosa si nasconde dietro le tue ferite e di guarire, perché nessuno di noi merita di punirsi anche se ci si sente sbagliati.
Abbi coraggio, perché chiedere aiuto non è una condanna ma una salvezza.
Ti auguro di stare bene🌷
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Cambiamento, spesso, significa accettare le cose positive e smettere di auto-punirsi per colpe inesistenti o altrui. Ad esempio, accettare che si possa essere amati e felici...
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Considerando l'omofobia interiorizzata di Bonucci, chissà cosa sarà successo la prima volta fra le lenzuola fra i Chiellucci. Sarà stato Bonucci a concedersi? O il chiello lo ha convinto?
ALLORA qua potrei scrivere un papiello, secondo me chiello è ovviamente quello che per primo capisce di provare qualcosa per l'altro, così vuole capire se ha possibilità, sonda un po' il terreno in maniera subdola, vedendo fin dove si posso estendere le loro boundaries, e vede che il feeling c'è, capisce che anche bonny prova qualcosa per lui, così un giorno ci prova e finisce malissimo, con bonny che lo rifiuta e con il loro rapporto incrinato. Però ovviamente ci aveva visto giusto in realtà, solo che bonny lo continua a negare a se stesso. Poi basta una partita finita male magari anche per causa sua, un periodo no, e bonny finisce in una spirale di self blaming. È colpa sua, quindi deve punirsi. Magari beve, in ogni caso va da chiello e gli si concede. La loro prima volta me la immagino quindi abbastanza impersonale, bonny vuole solo essere usato così come si sente di meritare, e chiello cerca di assecondarlo perché capisce che l'altro ha toccato davvero il fondo, spera che così lo possa aiutare, almeno in parte. Quindi sc0pano così, dirty and quick, bonny ottiene quello che voleva ma chiello se ne pente subito, ma ormai è tardi. Ha assaporato cosa potrebbe avere, e ora non può più dirgli di no. Inizia quindi una specie di relazione clandestina con bonny che si fa sc0pare dal chiello solo quando ha bisogno di umiliarsi (nella sua testa), e chiello lo asseconda, almeno inizialmente. È tutto quello che può avere di bonny, e cerca di farselo andare bene. Vede però che così facendo non sta aiutando bonny, anzi l'altro sembra peggiorare, i suoi periodi no aumentano invece di diminuire, ma quello continua ad andare da lui ogni volta. Una sera chiello si impunta e gli dice di no, e succede un casino, con bonny che gli urla che non è più buono neanche per essere sc0pato? è questo che gli sta dicendo? con lacrime di frustrazione negli occhi. Chiello gli dice di no, ovviamente, che lui gli vuole bene ed è proprio per questo che non può più fare quello che vuole bonny. bonny si incazza ancora di più, e il chiello per farlo calmare lo abbraccia. bonny arriva al suo limite massimo, gli sfugge qualche lacrima, e chiello continua solo a stringerlo a sé, accarezzandolo e dandogli baci sul viso e sul collo con dolcezza. bonny sente il petto esplodergli con quelle attenzioni. Finiscono di nuovo a letto, ma questa volta è chiello che prende il controllo della situazione ed è dolce e intenso, bonny si sente overwhelmed dalle emozioni. Alla fine inizia a tremare, e chiello lo stringe ancora a sé e lo bacia con dolcezza finché non si calma. Chiello gli dice che lo ama, e bonny è terrorizzato. Perché non se lo merita, perché sa che prova lo stesso ma non vorrebbe, perché chiello non poteva essere come tutti gli altri e invece doveva essere così... così impossibile da odiare? Bonny però in quel momento è tra le sue braccia, e non si è mai sentito più al sicuro e preso cura di così. Chiello si addormenta, ma lui passa la notte in bianco. La mattina dopo, quando chiello si stiracchia e si sveglia, bonny lo bacia, perché è inutile continuare a mentire a se stesso. È un inizio.
#anon non so neanche se volevi una risposta del genere ma comunque#I HAVE A LOT OF FEELINGS SU STI DUE OK#chiellucci#ask
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Un autolesionista
capisce che ferirsi è tutto ciò che può servire a punirsi.
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Graffiarsi nei momenti in cui l'odio per te stessa giunge ad un livello massimo.....
Perlopiù graffi sottili.
È una condotta autolesiva?
Cosa ne pensi?
Lo è per certo. Dovresti provare a rivolgerti a qualcuno che ti possa essere di aiuto come ad esempio una psicologa. Te lo dico perché ci sono passata anni fa e senza aiuto difficilmente si smette di provare tale sensazione di doversi fare del male per "punirsi"
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Amare una persona insicura e con bassa autostima è un'impresa destinata alla sofferenza: non appena le cose sembrano andare per il meglio e farsi serie, nella sua testa comincerà a sentire una voce che le dice "tanto non te lo meriti" e saboterà la relazione pur di auto-punirsi per responsabilità non sue.
Tutto il vostro amore, tutta la sicurezza, tutta la stima e la fiducia che le avrete dimostrato fin lì saranno state inutili, non riusciranno mai a farle accettare di essere amata e trattata come si deve.
"Ma che cosa è cambiato, dopo che ti ho amato? Direi non molto: ho un anno di più e qualcosa in meno, tu."
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AUTO AIUTO E IPNOSI? Ipnosi DCS unica al mondo
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In questi giorni è stato tutto un po' sregolato, poco pensato ed incastrato (rispetto al solito), quindi: da domani si torna a regole rigide e ferree. Il mio unico pensiero è: devo rimediare, ovvero: devi soffrire.
Brutta la sensazione di aver fatto uno sbaglio e quindi l'angoscia che questo errore me lo sconterò in malo modo, l'unico modo per rimediare è: punirsi. Vivo una costante penitenza, punirmi per che cosa? Per non essere adeguata alle situazioni, forse , e fare sempre la cosa sbagliata. Mi sembra di essere un'icapace ritardata.
Dovrei allentare presa, forse. Certamente. Ma come? Semplicemente allarghi le dita e... Certo certo. Faglielo capire a una che si tiene stretta tutto, un tipo anale (?) (magari c'entrasse il sesso, poi; altro velo pietosissimo).
Insomma: questa sera carnevale di Rio qui nella stanza della noia.
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