#potere fine a sé stesso
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Oggi otto persone diverse hanno suonato lo stesso violoncello. Di ognuna ho sentito il respiro, l'assetto del corpo, lo stato emotivo di fronte a me, suonando delle semplici corde vuote. Incredibile che ognuna di loro riflettesse a modo suo come stava in quel momento senza parlare. Questo è ancor più vero nella prima lezione, quando non si ha ancora conoscenza dello strumento e tutto questo è elevato a potenza. Quando poi il tempo passa si è davvero bravi a mascherarsi dietro una condotta dell'arco dritto, di un bel suono, di un bel vibrato, di essere un musicista. Allora li bisogna essere chirurgici per dire le cose giuste, nel momento giusto perché c'è il rischio di andare troppo in fretta al punto e rischiare di poter ferire l'altro, metterlo in crisi. Lavorare sul suono è lavorare su di sé. Oggi credo di essere stato un macellaio con la nona allieva che studiava il violoncello da anni. Ci ho pensato tutto il viaggio di ritorno e mi sono dato proprio del coglione. Alle volte casco ancora in questo meccanismo che ha fatto dire alla mia analista che mi temerebbe se fossi suo professore. Alla fine credo che risieda tutto in questo strano potere che pone la lezione, specie di strumento, talvolta in situazioni di asimmetria. Io li vedo, posso addentrarmi in certi territori, ma loro no, ed è proprio li, in questo gioco di specchi, che qualche volta inciampo, non calibro le parole, e seppur dica delle cose in cui credo, alle volte ci vado giù, a mia impressione pesante. Lei sembrava contenta e mi ha ringraziato ma io non mi sento totalmente a posto e il prossimo giovedì le chiederò scusa. Ho sempre odiato questo dai miei maestri, da mio padre e quando mi capita di vederlo in me mi da la stessa sensazione.
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“ Mettiamo per ipotesi che volessimo ripercorrere la storia di un uomo terribile come Adolf Hitler. La raccontiamo dall’adolescenza alla presa del potere? Dalla presa del potere alla disfatta? Scegliamo solo un episodio significativo? Narriamo tutta la sua vicenda dagli inizi alla morte? Il problema più importante è decidere se il dittatore sarà il protagonista assoluto: sarà «visto» da un altro (o altri) oppure sarà raccontato oggettivamente? Nel primo caso verrà fuori un personaggio «filtrato» attraverso una precisa (e quindi parziale) esperienza; nel secondo egli risulterà così come realmente è stato, nella sua verità storica. Esaminiamo adesso questa seconda eventualità. Al di là della «autenticità» dei fatti che racconteremo, da un punto di vista strettamente narrativo siamo costretti a sciogliere un nodo molto difficile: riusciremo a rappresentare bene un personaggio così «negativo»? O meglio: riusciremo a renderlo in tutta la sua negatività? Nella nostra testa egli è la quintessenza della malvagità e del cinismo, ma poi, passando alla scrittura riusciremo a «restituirlo» così come lo immaginiamo? Sicuramente no, a meno di non renderlo «incredibile», falso, forzato. Non ci riusciremo perché nel momento in cui dobbiamo approfondire il personaggio - anche per cercare le ragioni più o meno oscure della sua violenza - finiamo fatalmente per trovargli una, seppur aberrante, giustificazione. E senza volerlo, faremo di Hitler un eroe, un sublime dannato, grande come un demone dell’apocalisse, una vittima di sé stesso, carismatico com’è carismatico il male.
Penso, ad esempio, al Riccardo III di Shakespeare, allo spietato duca di Gloucester, il quale riesce a salire sul trono d’Inghilterra dopo aver fatto assassinare mezza corte reale. La sete di potere acceca quest’uomo infelice (è nato storpio e claudicante) e quando alla fine il conte di Richmond giungerà a liberare il paese dall’usurpatore, questi, nel momento di morire, acquisterà la sua dimensione tragica ed eroica. Riccardo è un uomo reso cinico dalla natura, un «mostro» suo malgrado. La sua malvagità è in qualche modo legittimata dalla sua infelicità. Come potremmo noi, oggi, senza falsare smaccatamente la storia, trovare la spiegazione delle atrocità naziste nella contorta personalità di Hitler? Ogni tentativo di collegamento tra il carattere del dittatore e gli avvenimenti della storia è destinato al ridicolo.
Uno scrittore (di letteratura, di cinema, di teatro eccetera) non può fare a meno di andare nel fondo dei personaggi, di pescare nelle loro contraddizioni, nella loro essenza segreta. Là dentro si muovono forze creaturali capaci di rendere un uomo libero o schiavo di sé stesso. Ma in tutti e due i casi egli è innocente. Come può uno scrittore lavorare con un personaggio senza un briciolo di luce? Un Hitler tutto nero, insensatamente malvagio, rischia di diventare una caricatura, un burattino, la maschera del cattivo: niente di più schematico. Julien Sorel (protagonista di Il rosso e il nero), personaggio arrivista e assassino, è amato da Stendhal malgrado sia «negativo»: lo scrittore ne descrive con pietas il desiderio frustrato di adeguarsi alla morale della Restaurazione francese. Se volessimo dunque raccontare la malvagità di Hitler, sia come uomo sia come dittatore, senza «salvarlo» in qualche modo, saremmo costretti a farne un ritratto bugiardo. Quindi è meglio trovare un’altra strada, una maniera «trasversale» di raccontare il personaggio. Magari, come avevo accennato, cercando un altro protagonista e lasciare che sia lui a far da intermediario. “
Vincenzo Cerami, Consigli a un giovane scrittore. Narrativa, cinema, teatro, radio, Garzanti, 2002; pp. 28-30.
[1ª edizione: Einaudi, 1996]
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Socrate diceva:
"L'abuso del linguaggio induce il male nell'anima". Non si riferiva alla grammatica.
Abusare del linguaggio significa usarlo come fanno i politici e gli inserzionisti, a scopo di lucro, senza assumersi la responsabilità del significato delle parole. Il linguaggio usato come strumento per acquisire potere o fare soldi è malefico: esso mente. Il linguaggio usato come fine a sé stesso, per cantare una poesia o raccontare una storia, tende alla verità. Uno scrittore è una persona che si preoccupa del significato delle parole, di ciò che esse comunicano e di come lo fanno. Gli scrittori sanno che le parole sono il loro percorso verso la verità e la libertà, e quindi le usano con cura, riflessione, timore e gioia. Usare bene le parole rafforza la loro anima. Narratori e poeti trascorrono la vita a imparare quell'abilità e l'arte di usare bene le parole. E le loro parole rendono l'animo dei loro lettori più forte, luminoso e profondo.
Ursula K. Le Guin
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L'ILLUSIONE PIÙ PERICOLOSA
L'illusione più pericolosa è quella per cui scambiamo il bisogno di attenzioni e riconoscimento con il bisogno di amore e di cure.
Per quante attenzioni e riconoscimenti gli altri potranno donarci, esse non riempiranno mai il vuoto d'amore che sentiamo.
Questo accade anche con il bisogno di essere sostenuti, compresi o accuditi.
La persona mette in atto un meccanismo difensivo chiamato "spostamento", attraverso il quale nega il bisogno di base che è stato frustrato anticamente, e rispetto al quale dunque si è sentito ferito, come appunto può essere appunto quello di amore, convertendolo in un bisogno che può essere più facilmente soddisfatto, anche perché socialmente accettato e promosso, come quello di riconoscimento.
Si sforza in tutti i modi di essere generoso, di raggiungere risultati, di produrre, di compiacere, di essere il bravo bambino o la brava bambina, così da avere su di sé gli occhi dell'altro.
Tuttavia, tale sostituzione non può funzionare.
Innanzitutto perché il bisogno di amore può essere soddisfatto solo da ciò che la persona prova per noi, come un sentimento, e non da un fare-per-ottenere.
In secondo luogo, perché la fame d'amore di cui si ha bisogno si riferisce al nostro bambino ferito, non all'adulto che siamo ora.
È la fame di amore del bambino nei confronti del genitore, che vuole essere amato per ciò che è, e non per ciò che fa, appunto.
Ma siccome l'essere ciò che si è, è stato o negato o criticato, anche a partire dai suoi bisogni frustrati, il bambino si impegna in una manovra in cui ha una certa presa, un certo controllo, come quella del fare-per-ottenere, al fine di soddisfare in modo indiretto quel bisogno originario.
Tuttavia, se io ho bisogno di muovermi, ma questo movimento mi viene impedito, non posso soddisfare questo mio bisogno semplicemente vedendo qualcuno che corre sullo schermo.
Non sarò mai soddisfatto.
Il sistema di difesa della sostituzione cerca da una parte di soddisfare quel bisogno frustrato, e al tempo stesso lo nega proprio in quanto meccanismo difensivo.
Questo perché la consapevolezza del vuoto d'amore, e la possibilità di riempirlo ora, sarebbero troppo dolorosi, in quanto risveglierebbero la ferita dell'amore negato o comunque la paura di una nuova insoddisfazione, che la persona non si può permettere e che ha subito molto tempo fa.
Così, si viene a creare un circolo vizioso tra l'impossibilità di soddisfare direttamente il bisogno di amore, la cui spinta rimane sempre presente, e l'insoddisfazione cronica di soddisfarlo in modo indiretto, la quale genera una irritazione e un nervosismo che finiscono per esaurire la persona stritolandola in questa forbice.
L'illusione creata da tale meccanismo di difesa, è pericolosa perché rischiamo di rincorrere farfalle, sfinendoci per qualcosa che non ci serve davvero, e che ci ha solo permesso di sopravvivere a noi stessi e alle nostre ferite.
Il problema è che, sebbene questa difesa sia stata un sistema di adattamento funzionale, un suo rafforzamento rischia di farci avvitare su di essa, allontanandoci dalla nostra vera natura e bisogni.
Quando dopo tanti sforzi sentiamo che la nostra vita comincia a essere per noi pesante e insoddisfacente, a volte, è proprio per questo o per altri meccanismi di compensazione.
Pensate alle star, ai grandi proprietari o direttori di imprese: hanno soldi, potere, relazioni in abbondanza.
Eppure, quanto spesso si sentono soli, depressi e insoddisfatti?
Lo sforzo principale, prima di qualunque obiettivo esterno, è interiore: trovare il proprio sé e liberarlo.
Dopo aver fatto questo lavoro sull'essere, puoi anche fare il lavoro più umile del mondo.
Ma sarai felice e grato della vita ogni giorno.
Omar Montecchiani
#quandolosentinelcorpodiventareale
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“Il prezzo della vittoria “
CAP. 44
In piedi sul ponte della Philomene, Jamie Fraser guardava l’acqua che scivolava via senza fine, e pensava alla morte. Se non altro aveva smesso di pensarci in modo personale, dal momento che il mal di mare si era finalmente calmato, dopo averlo tormentato per tanti, tanti giorni. I suoi pensieri, adesso, si erano fatti più astratti. Per Claire, rifletté, la morte sarà sempre il Nemico. Una realtà da combattere, a cui non cedere mai. Lui la conosceva altrettanto bene, ma era stato costretto ad accettarla di buon grado. O, almeno, così credeva. Come il perdono, non era una cosa che potevi mettere comodamente da parte, quando l’avevi conosciuta; occorreva un esercizio costante per accettare la propria mortalità e vivere la vita appieno. Un paradosso degno di Socrate. E quel meritevole ateniese l’aveva abbracciato fino in fondo, pensò, con l’ombra di un sorriso. Si era trovato abbastanza spesso di fronte alla morte - e ricordava quegli incontri con sufficiente realismo - da sapere che c’erano cose peggiori. Molto meglio morire che restare a piangere chi se ne andava. Provava ancora una sensazione spaventosa, peggiore della sofferenza, quando guardava la sorella, piccola e sola, e sentiva la parola «vedova» riecheggiare nella sua testa. Era del tutto sbagliata. Jenny non poteva essere vedova, non poteva essere separata da suo marito in quel modo così brutale. Era come restare in un angolo a guardare mentre veniva fatta a pezzi, e non poter fare nulla. Da quel pensiero passò ai ricordi legati a Claire, al suo desiderio di lei: la fiamma che la illuminava era la sua candela nell’oscurità. Il suo tocco gli donava un conforto e un calore che andavano al di là di quelli corporali. Ripensò all’ultima serata che avevano trascorso insieme, prima della partenza di lei: l’aveva tenuta per mano, sulla panca fuori dal broch, aveva sentito le sue pulsazioni sotto le dita, e il suo stesso cuore si era placato, avvertendo quel ritmo caldo e veloce. Strano il modo in cui la morte sembrava portare con sé tante ombre da tempo dimenticate, che comparivano brevemente nella penombra sempre più fitta. Mentre pensava a Claire, e alla sua promessa di proteggerla sin dalla prima volta che l’aveva tenuta tra le braccia, gli tornò in mente quella fanciulla senza nome. Era morta in Francia, e nella sua testa occupava un posto al di là del vuoto creato da un colpo di scure. Non pensava a lei da anni, ma d’un tratto era ricomparsa. Aveva pensato a lei, quando aveva stretto Claire a Leoch, e aveva avuto la sensazione che il suo matrimonio potesse essere una piccola espiazione. Lentamente, aveva imparato a perdonarsi per una cosa di cui non aveva colpa e, amando Claire, aveva concesso all’ombra di quella fanciulla un po’ di pace, o almeno lo sperava. Aveva provato l’indistinta sensazione di dovere una vita a Dio, e di aver pagato il suo debito prendendo in sposa Claire - anche se Dio sapeva che l’avrebbe presa in ogni caso, pensò con un sorriso ironico Comunque, aveva tenuto fede alla promessa di proteggerla. Hai il mio nome e la mia famiglia, il mio clan e, se necessario, anche la protezione del mio corpo, aveva detto. La protezione del mio corpo. L’ironia di quelle parole gli provocò un profondo imbarazzo, mentre intravedeva un altro volto nell’ombra. Un volto stretto dagli occhi allungati e l’espressione ironica; era così giovane. Geneva. Un’altra fanciulla morta a causa della sua lussuria. Non era stato proprio lui a causarne la morte: aveva dovuto lottare contro il senso di colpa durante le lunghe giornate e le notti successive alla tragedia, solo, nel suo letto freddo sopra le stalle, mentre traeva tutto il conforto possibile dai cavalli che si muovevano e masticavano rumorosamente nei box sottostanti. Ma, se non fosse andato a letto con lei, non sarebbe morta; da questa verità non poteva fuggire. Forse doveva un’altra vita a Dio? Aveva creduto che fosse Willie, la vita che gli era stata affidata affinché la proteggesse, al posto di quella di Geneva. Ma aveva dovuto rinunciare all’incarico in favore di un’altra persona.
Be’, adesso aveva sua sorella e in silenzio, assicurò a Ian che l’avrebbe protetta. Finché vivrò, si disse. E probabilmente sarebbe vissuto ancora a lungo. Era convinto di aver usato solo cinque delle morti che gli erano state promesse da quell’indovina, a Parigi. Gli aveva predetto che sarebbe morto nove volte, prima di riposare nella tomba. Servivano tanti tentativi per farlo nel modo giusto? si chiese.
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⋆˙⟡ recensione: la diva julia - w. somerset maugham
Inghilterra, primi anni del Novecento. L’affermata attrice teatrale Julia Lambert comincia una relazione clandestina con il ragioniere del teatro in cui lavora, di proprietà del marito. Lei si convince che sia una tresca temporanea, in cui i sentimenti non sono coinvolti, ma presto si rende conto che questo giovane ragioniere, di carnagione un po’ troppo pallida e decisamente troppo magro, è riuscito a farla innamorare nuovamente.
L’amore, un sentimento che l’aveva trasportata fino alla nascita del figlio e che era sicura di provare per suo marito, Michael – l’uomo più bello e modesto d’Inghilterra, come non si stancava mai di ripetergli. Il suo fascino composto e elegante l’aveva lasciata senza fiato fin dalla prima volta che l’aveva visto, sul palco, anche lui come attore. Gentile com’era, aveva deciso di mettere da parte la sua carriera teatrale per poter fare emergere Julia e fondare una compagnia insieme – lei non aveva mai recitato così bene prima che fosse lui a dirigerla, e si sentiva di amarlo più che mai. Poi con la guerra e dopo il parto, qualcosa cambia in Julia: Michael non è più il ragazzo modesto che l’amava talmente tanto da sacrificare la propria carriera, ma diventa un uomo snob per cui non prova altro che fastidio. E, ciò nonostante, gli rimane fedele per venti anni – episodi fugaci di divertimento non potevano certo essere considerati come tradimento, giusto? – fino a quando la fiamma dell’amore non si riaccende grazie a questo giovane riccioluto che la conquista con un'umile tazza di tè.
In La diva Julia, W. Somerset Maugham dipinge un quadro psicologico magistrale della sua protagonista – o come piace chiamarla a lui, “eroina” – di questo appassionato romanzo. Comprendiamo il suo stato d’animo grazie alla sua mimica, che è spesso accompagnata da parole che vogliono dire il contrario di quello che prova. Da attrice provetta, la migliore in tutta l’Inghilterra, nasconde le sue emozioni e non si lascia il tempo per poterle elaborare: utilizza il teatro anche nella vita reale, mascherando il nucleo della sua anima per poter continuare a interpretare il ruolo dell’attrice famosa, della madre amorevole, dell’amante appassionata. Viene spontaneo simpatizzare per Julia, perché impariamo a conoscerla nella sua intimità, perdonandole gli sbagli e capendone il forte disagio interiore, che lei non ammette mai a sé stessa. Molte volte ci sentiamo presi da un moto di sconforto e vorremmo quasi poter intervenire per proteggerla e avvisarla di non commettere lo stesso errore due volte; e forse anche l’impotenza nel cambiare la sua sorte ce la fa apparire in una luce ancora più drammatica.
Allo stesso tempo, tuttavia, il lettore deve stare attento a non farsi coinvolgere troppo per evitare di perdere la sua imparzialità: la prosa scorrevole ci induce torpidamente a condividere le opinioni dell’eroina, che trova sempre un modo per giustificare le sue decisioni ingiustificabili.
«La gente non cerca ragioni per fare quello che desidera» rifletteva. «Cerca solo scuse».
Alla fine Julia sembra vincere: appartata in un angolino di un ristorante, lontana dagli occhi indiscreti della folla, si convince che la vita reale non è altro che teatro e che la vita vera stia sul palcoscenico, davanti al pubblico. Maugham costruisce così il romanzo più perfettamente tragicomico: la grande attrice comica diventa, senza rendersene conto, la protagonista di uno struggente dramma esistenziale in cui i ruoli interpretati vanno a racchiudere, come matriosche, l’unicità della persona, nascondendola. Il tentativo grottesco di rifiutare la realtà dei fatti aggiunge una vena profondamente tragica e contemporaneamente comica alla narrazione.
In questo Maugham, con le sue doti di romanziere impeccabile, sembra farsi erede del Socrate del Simposio, riuscendo a comporre allo stesso tempo una divertente tragedia e un’amarissima commedia. Nel leggere La diva Julia, ci viene ricordato con forza che l’esistenza non è solo comica o tragica, ma che entrambi i poli ne caratterizzano lo scorrere inesorabile fino all’ultimo momento.
Mars.
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"La poesia più breve è un nome." Che pensiero curioso. Considerare che un nome, una sola parola, può racchiudere così tanto — eppure così poco. Forse è la forma più pura di poesia, distillata alla sua essenza. Un nome è un segno, un simbolo, un suono. Ma in quel suono fugace si nasconde l'intera storia di una persona, di un luogo, di un'idea. Prendiamo, ad esempio, le opere senza tempo di Shakespeare. Si potrebbe sostenere che Shakespeare, in tutto il suo genio, abbia compreso il potere di un nome meglio di chiunque altro. Romeo e Giulietta: quei due soli nomi, pronunciati nel silenzio di un teatro, suscitano emozioni. La faida tra i Montecchi e i Capuleti non è semplicemente una faida di famiglie, ma di identità, di nomi che racchiudono in sé generazioni di significati, amore e dolore. Giulietta dice: “Cosa c'è in un nome? Quella che chiamiamo rosa con un altro nome avrebbe lo stesso profumo”. Eppure, nonostante la sua protesta, il nome Montecchi ha ancora un peso. Non è solo una parola; è un lignaggio, un fardello, un'eredità. Lei lo sa, Romeo lo sa. E ad ogni pronuncia dei loro nomi, sentono sia l'attrazione del destino che il peso della storia. L'etimologia stessa della parola nome è affascinante. Dall'inglese antico nama, derivato dal protogermanico namô, risale ancora più indietro al protoindoeuropeo nomen, che significa “nominare” o “chiamare”. Il nome, nella sua forma più antica, era un richiamo, un modo per evocare qualcuno o qualcosa. Era un potere, e con il potere arrivava l'identità. Diventava un legame, un filo che collegava gli individui alle loro comunità, ai loro antenati, al loro destino. Che cos'è allora un nome? È molto più che un accozzaglia di lettere. È una rivendicazione. Un nome è un dono, ma a volte sembra più una condanna. Nei nostri nomi ereditiamo eredità di amore, ma anche di conflitti, di aspettative. Dal momento in cui ci viene dato un nome, esso inizia a plasmarci. Diventa parte del nostro paesaggio emotivo. Ci cresciamo dentro, o a volte ci ribelliamo ad esso, cercando di ridefinire chi siamo a prescindere da esso. In un certo senso, i nomi sono uno specchio. Ci riflettono chi siamo e chi siamo destinati a essere. Ma sono anche in continua evoluzione, perché il modo in cui ci chiamiamo, in cui ci rivolgiamo, definisce il modo in cui siamo visti. Considerate le emozioni che si provano intorno a un nome: l'emozione di sentire qualcuno pronunciare il vostro nome con amore, il dolore quando viene pronunciato con rabbia. C'è potere in un nome che viene sussurrato, che viene gridato, che viene scritto in una lettera, che viene inciso nella pietra. Ma forse il vero peso di un nome deriva dal suo legame con qualcun altro. Quando chiamiamo un altro per nome, lo riconosciamo. Convalidiamo la sua esistenza. Il semplice atto di pronunciare il nome di qualcuno ci lega in un modo che le parole da sole non possono fare. E cosa c'è di più poetico di questo? Un nome, la più breve delle poesie, è un ponte tra i cuori, un riconoscimento di chi siamo in relazione gli uni agli altri. Le grandi tragedie di Shakespeare ce lo ricordano. I nomi Amleto, Ofelia, Macbeth, Lear: ognuno è un filo di un complesso arazzo di emozioni, legami e conseguenze. Ma forse, alla fine, ciò che conta davvero è il nome che ci lasciamo alle spalle. Non perché durerà per sempre, ma perché è stata la poesia che abbiamo vissuto, quella che abbiamo portato con noi, che abbiamo sussurrato sulle labbra di chi abbiamo amato e che abbiamo impresso per sempre nel mondo che abbiamo toccato. Quindi, sì, la poesia più breve è un nome. È una poesia che, una volta pronunciata, può riecheggiare attraverso il tempo, attraverso le generazioni, attraverso i cuori.
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The End is where we Begin:
*Ogni storia ha una sua fine, ma non è la fine della vita, è solo l'inizio di esperienze nuove.
Mi piace il sapore degli inizi, instabili eppure coraggiosi, quando le aspettative non hanno ancora la presunzione di essere loro a comandare
L’unica gioia al mondo è cominciare. E bello vivere perché vivere è cominciare, sempre, ad ogni istante. Quando manca questo senso – prigione, malattia, abitudine, stupidità, – si vorrebbe morire.
E tu, Dimitri, hai sempre fatto tua questa specifica caratteristica.
Non hai mai messo un punto fermo ai tuoi loschi piani e al tuo desiderio di conquista, sei sempre stato retto nella tua direzione, nonostante le avversità ti abbiano messo i bastoni tra le ruote, hai sempre combattuto per ciò che tu credi, per quello a cui hai sacrificato la tua l'intera esistenza.
Il mondo di prima sembra essersi sgretolato in mille pezzi, come se ad attendere questo momento fosse stato il destino in persona a rimetterti nella retta via, la /tua/ retta via.
Si dice sempre che quando stai facendo la cosa sbagliata il diavolo non ti viene a cercare, ma è quando fai la cosa giusta egli bussa alla tua porta, per tentarti, per plagiarti e confonderti.
Ma sei tu il diavolo di te stesso, Dimitri.
Sei tu e soltanto tu l'artefice del tuo destino, delle tue malafatte passate e future.
Chi mai sognerebbe di venir a bussare alla porta dell'Impersonificazione del male?
E guardati. Guardati adesso.
Sei sparito dalla circolazione per molto, troppo tempo, solo tu sai cosa è successo in questo periodo prolungato. Nessun altro deve sapere cosa è capitato.
Lo scopriranno a tempo debito.
Guardati, ripeto, guardati adesso.
Sembri completamente diverso. Sei completamente diverso.
A partire dall'aspetto, fino al più profondo briciolo della tua anima.
Durante la tua assenza dai riflettori del mondo hai inglobato a te l'essenza di quella creatura Demoniaca che viveva dentro la tua anima, Rashomon.
Siete diventati una cosa sola, riuscendo ad addomesticarlo e farlo diventare parte integrante della tua persona, cambiandoti di fatto l'aspetto fisico e mentale.
Il tuo aspetto ben tenuto ed affabile dà la prima impressione di un uomo di natura buona e carismatico, con sempre un ampio sorriso stampato in volto. Questa facciata giocosa e raffinata, tuttavia, nasconde un lato molto più oscuro - uno dall'egocentrismo ineguagliabile - e che non esita a usare la violenza fisica quando gli altri non rispettano i tuoi valori o le tue aspettative. Come sempre hai mantenuto il tuo lato chiaramente narcisista, con l'amore per sé stesso definito equiparabile a null'altro, e che vede pochissime persone come tuo pari.
E se dapprima vederti sorridere era una rarità inestimabile, ora quel sornione e aguzzo sorriso dipinge il tuo volto come una tela indossolubile.
Un sorriso che è una forma di ego molto autoimposta ed uno sfoggio di potere e dominanza, che nasconde dietro di esso un lato cupo, tetro e altamente oscuro che nessuno deve scorciare.
Siamo morti e rinati nello stesso tempo, siamo ciò che nessuno poteva immaginare.
Siamo l'inizio e la fine.
Siamo il passato e saremo il futuro.
Perchè "siamo"? Perchè prima o poi, tutti diventeranno Dimitri, e Dimitri diventerà ogni cosa, il tutto, il solo.
Dimitri è ovunque e da nessuna parte. Il Gatto di Schrodinger impersonificato in un Demone.
Ma adesso, adesso non c'è tempo per illazioni o progetti troppo futuri.
Il futuro si costruisce passo dopo passo, con pazienza e dedizione.
Ora più che mai, ora che hai acquisito questo nuovo potere unendoti con Rashomon, la cautela e la prudenza saranno il tuo rituale di vita.
Giocherai ad un gioco che prenderà il nome di "pazienza". E si sa, la pazienza è la virtù dei forti.
Chissà quali nuove sfide ti attenderanno in questo Mondo che si è rimodellato come nuovo.
CI saranno ancora i tuoi storici rivali di un tempo?.
Cosa ne potrai trarre questa volta da loro?.
Solo il tempo darà risposta a tutti questi quesiti, ma per ora......come detto poc'anzi......noi.......aspettiamo, noi......attendiamo........noi....siamo....Dimitri!.*
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È un discorso che ho già fatto milioni di volte eppure ogni volta sto lì ad analizzare me e la situazione.
È incredibile come le fasi siano sempre le stesse: situazione di stasi - qualcuno mi dice qualcosa o mi mette una pulce nell'orecchio - la percezione della relazione tra me e gli altri maschi cambia (e finisco col credermi mezza Miss Italia a volte) - mi inebrio di quell'idea - alla fine quella che ci sta sotto divento io (più dell'idea che della persona in sé, però).
Non solo: è da anni che ormai scherzo sul fatto che sembro e mi comporto da maschiaccio. Lo dico apertamente, ci scherzo continuamente eppure... quando me lo dicono gli altri è sempre un po' una coltellata. "Posso essere solo l'amica simpatica, quella a cui puoi dire e parlare di tutto, ma mai quella che può piacere a qualcuno".
Il fatto è che nelle donne come me convivono sempre 2 anime: quella forte e quella bisognosa. Quella forte non vuole darla vinta a nessuno, che non ha bisogno di nessuno ed è l'anima che è più facile mostrare; quella bisognosa vorrebbe un petto su cui piangere ogni tanto e qualcuno che raccolga i cocchi e li incolli minuziosamente quando vanno in pezzi.
Perché nell'immaginario quella persona debba essere del sesso opposto è prevalentemente una costruzione sociale e culturale, eppure nessuno può scappare (non entro nel dettaglio perché è una questione di cui ho già parlato - creando fin troppo dibattito indesiderato).
E se da una parte potrebbe essere un privilegio poter parlare ai maschi a tu per tu di argomenti di cui parlerebbero solo con altri maschi, lo stesso essere considerata "membro del gruppo" può rendermi a volte triste.
La stessa cosa accade con lo scherzo: le battute a sfondo sessuale le si fanno più spesso con me che con altre ragazze o spesso mi si dicono scherzando cose che non riesco a capire se sono messaggi da (poter) decifrare oppure è uno scherzo fine a sé e io mi sto facendo troppe pippe mentali.
Poi mi guardo allo specchio o guardo come sono quando compaio in un video e... ma a chi posso mai piacere con sta faccia e con sto corpo.
#in Asia specialmente poi...#pensieri notturni#pensieri#pippe mentali#scherzo#maschiaccio#femminilità#mascolinità
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«Giacomo Matteotti fu assassinato da sicari fascisti il 10 di giugno del 1924. Lo attesero sotto casa in cinque, tutti squadristi venuti da Milano, professionisti della violenza assoldati dai più stretti collaboratori di Benito Mussolini. L’onorevole Matteotti, il segretario del Partito Socialista Unitario, l’ultimo che in Parlamento ancora si opponeva a viso aperto alla dittatura fascista, fu sequestrato in pieno centro di Roma, in pieno giorno, alla luce del sole. Si batté fino all’ultimo, come lottato aveva per tutta la vita. Lo pugnalarono a morte, poi ne scempiarono il cadavere. Lo piegarono su se stesso per poterlo ficcare dentro una fossa scavata malamente con una lima da fabbro. Mussolini fu immediatamente informato. Oltre che del delitto, si macchiò dell’infamia di giurare alla vedova che avrebbe fatto tutto il possibile per riportarle il marito. Mentre giurava, il Duce del fascismo teneva i documenti insanguinati della vittima nel cassetto della sua scrivania. In questa nostra falsa primavera, però, non si commemora soltanto l’omicidio politico di Matteotti; si commemorano anche le stragi nazifasciste perpetrate dalle SS tedesche, con la complicità e la collaborazione dei fascisti italiani, nel 1944. Fosse Ardeatine, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto. Sono soltanto alcuni dei luoghi nei quali i demoniaci alleati di Mussolini massacrarono a sangue freddo migliaia di inermi civili italiani. Tra di essi centinaia di bambini e perfino di infanti. Molti furono addirittura arsi vivi, alcuni decapitati. Queste due concomitanti ricorrenze luttuose – primavera del ’24, primavera del ’44 – proclamano che il fascismo è stato lungo tutta la sua esistenza storica – non soltanto alla fine o occasionalmente – un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista. Lo riconosceranno, una buona volta, gli eredi di quella storia? Tutto, purtroppo, lascia pensare che non sarà così. Il gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell’ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neo-fascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via. Dopo aver evitato l’argomento in campagna elettorale, la Presidente del Consiglio, quando costretta ad affrontarlo dagli anniversari storici, si è pervicacemente attenuta alla linea ideologica della sua cultura neofascista di provenienza: ha preso le distanze dalle efferatezze indifendibili perpetrate dal regime (la persecuzione degli ebrei) senza mai ripudiare nel suo insieme l’esperienza fascista, ha scaricato sui soli nazisti le stragi compiute con la complicità dei fascisti repubblichini, infine ha disconosciuto il ruolo fondamentale della Resistenza nella rinascita italiana (fino al punto di non nominare mai la parola “antifascismo” in occasione del 25 aprile 2023). Mentre vi parlo, siamo di nuovo alla vigilia dell’anniversario della Liberazione dal nazifascismo. La parola che la Presidente del Consiglio si rifiutò di pronunciare palpiterà ancora sulle labbra riconoscenti di tutti i sinceri democratici, siano essi di sinistra, di centro o di destra. Finché quella parola, Antifascismo, non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la casa della democrazia italiana.»
Si tratta del testo integrale del monologo di Antonio Scurati sul 25 aprile che lo scrittore avrebbe dovuto portare a “Che sarà” ma che è stato censurato dalla Rai. Anche se non si tratta di fumetti condivido questo monologo nel blog e nei vari canali sociali a cui ho accesso, in modo che arrivi a tutti, per poter essere letto, riletto e studiato. Oggi sul blog https://corrierino-giornalino.blogspot.com/2024/04/mentre-vi-parlo-siamo-di-nuovo-alla.html
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IL NARCISISTA MANIPOLATORE
By Fabio Scapellato -
Avere a che fare con un narcisista manipolatore può essere complicato e rovinare la nostra vita: ecco come riconoscerlo ed evitarlo.
Quando intraprendiamo una relazione sentimentale con qualcuno è perché ci sentiamo irrimediabilmente attratti da quella persona. Solitamente il primo gancio è l’attrazione fisica, ma può capitare che a suscitare il fascino che proviamo sia la personalità del soggetto in questione. Quando qualcuno si mostra sicuro di sé, è dotato di un buon eloquio e parla con convizione delle proprie idee e delle proprie passioni può suscistare ammirazione e catturare l’attenzione di chi gli sta intorno.
Molto spesso le persone più insicure ed emotivamente fragili sono attratte da questo tipo di personalità, poiché rappresentano il contrario di ciò che sono loro ed in un certo senso vedono in questi soggetti carismatici e sicuri di sé un’ancora di salvezza, qualcuno in grado di proteggerli nei momenti di difficoltà. Tuttavia, sicurezza ed empatia non necessariamente vanno a braccetto ed anzi una persona troppo sicura di sé potrebbe nascondere una forma di egocentrismo che sfocia nella patologia.
Per quanto possa essere piacevole passare una serata in compagnia di persone dotate di una forte personalità e vogliose di esprimerla mettendosi sempre al centro dell’attenzione, meno piacevole potrebbe essere instaurare con queste persone una vera e propria relazione. Inoltre, come detto, potrebbero nascondere una forma lieve o acuta di disturbo della personalità narcisistica, il che deve porre l’altro in uno stato d’allerta.
Il narcisista, infatti, è una persona che mette al centro della propria vita se stesso, in una costante esaltazione delle proprie vere o presunte qualità fisiche, estetiche e intellettive. Un atteggiamento che già di per sé è contrario alla possibilità di stabilire una relazione sana. Chi soffre di disturbo narcisistico della personalità va però oltre, poiché sente il bisogno patologico di essere sempre al centro dell’attenzione, e sviluppa un’indifferenza totale verso i sentimenti e i bisogni delle altre persone. Il che fa di loro delle persone estremamente egocentriche e prive di qualsiasi tipo di empatia.
Narcisista manipolatore: cos’è nello specifico
La più grave forma di narcisismo è quella che sfocia nella manipolazione dell’altro. Il narcisista manipolatore è una persona che in maniera consapevole manipola chi gli sta intorno per ottenere ciò che desidera o di cui ha necessità. La manipolazione può avvenire in diverse forme e potrebbe anche essere sottile al punto da non essere percepita o compresa dalla persona che la subisce.
Tendenzialmente, il narcisista manipolatore cercherà sempre di farti credere che le tue opinioni non abbiano valore e sminuirà ogni tua idea al fine di farti perdere sicurezza e farti sentire inadatto e inadeguato. Questa tecnica di manipolazione della personalità è conosciuta come Gaslighting e consiste nella costante messa in discussione delle percezioni della vittima sino a portarla ad essere completamente indifesa e insicura. Lo scopo è quello di avere il pieno controllo della relazione e della vita dell’altra persona, così da poter essere sempre al centro dell’attenzione, indispensabile per l’altro, e da potersi sentire superiore.
Potrebbe sembrare, dunque, che riconoscere questo comportamento sia semplice, ma non è assolutamente così. Il narcisista manipolatore è una persona dal grande fascino che utilizza il ricatto emotivo e la seduzione per ottenere la fiducia della vittima. Queste persone sono sempre molto abili nel far credere agli altri di avere torto e di essere in una posizione di difetto.
La manipolazione affettiva
I narcisisti manipolatori tendono a circondarsi di persone emotivamente fragili, sulle quali capiscono di poter avere una forte influenza. In un primo momento si conquistano la loro fiducia mostrandosi affabili e riempiendole di complimenti. Questo comportamento gli garantisce che le persone che vogliono controllare sviluppino una sorta di dipendenza da loro.
Una volta certi di avere il controllo, i narcisisti manipolatori utilizzano il ricatto emotivo per fare sentire in colpa le proprie vittime. Spesso le accusano di essere egoiste e insensibili, generando in queste un senso di colpa che gli serve per ottenere ciò che vuole (denaro, favori o semplicemente attenzione).
Potrebbero al contrario utilizzare lusinghe eccessive per soddisfare l’ego e la vanità della vittima e farle credere di essere importante per loro. Un’altra tattica è quella del silenzio: quando si rendono conto che le accuse o le lusinghe non funzionano, potrebbero applicare una tattica di ignoramento totale per mandare in confusione la vittima.
Ciò che rende complicato riconscere questi comportamenti è il fatto che i narcisisti manipolatori sono bravi a comprendere le debolezze del prossimo e sfruttarle a proprio vantaggio. Quando applicano una tattica di manipolazione, lo fanno in modo tale da convincere la vittima che le azioni che compiono in loro favore siano assolutamente volontarie.
Come riconocere un narcisista manipolatore
Avere un rapporto con una persona che soffre di questo disturbo può essere emotivamente devastante, motivo per cui è bene riconoscere quali sono i segnali che ci aiutano a capire se il nostro partner sia un narcisista manipolatore.
Le caratteristiche più frequenti – potrebbero non presentarsi tutte nella stessa persona – sono dieci e sono le seguenti:
Egocentrismo: vuole sempre essere al centro dell’attenzione, non importa quale sia l’argomento di discussione.
Mancanza di empatia: la persona in questione sembra non capire le emozioni altrui, ma soprattutto non è interessato ai loro problemi.
Ricerca costante di ammirazione: sente il bisogno continuo di essere oggetto di ammirazione da parte di chiunque gli stia intorno.
Controllo: il narcisista manipolatore vuole sempre avere il controllo della relazione e di ogni aspetto della vita del partner.
Manipolazione: cercherà sempre di manipolare il prossimo per ottenere ciò che vuole.
Gelosia: può avere manifestazioni furenti di gelosia, anche senza che ci siano delle motivazioni reali.
Arroganza: queste persone tendono ad essere molto convinte delle proprie capacità e delle proprie qualità.
Senso di superiorità: tendenzialmente si credono sempre nel giusto, si ritengono migliori degli altri e pensano che chiunque dovrebbe fare come dicono loro.
Insensibilità: non possiedono alcuna sensibilità nei confronti delle altre persone.
Inflessibilità: non sono disposti a cambiare idea o a scendere a compromessi, anche se questi potessero migliorare una relazione.
Come difendersi da un narcisista manipolatore
La prima cosa da mettere in chiaro è che non dovete sentirvi in difetto o inadeguati perché un’altra persona sta cercando di farvi sentire in questo modo. Dovete mantenere alta l’autostima e comprendere che le parole e i comportamenti della persona che avete di fronte sono finalizzati a farvi perdere la vostra sicurezza e dunque ad essere in balia della loro volontà.
Qualora vi sentiate sopraffatti dalla situazione in cui vi trovate e dalla relazione, la cosa migliore che potete fare è allontanarvi dal partner. Potreste anche avere bisogno del supporto di amici e familiari o di un aiuto professionale e dunque di un percorso terapeutico che vi aiuti a superare lo stato di sconforto e fragilità in cui vi ha gettato questa relazione.
Esistono in ogni caso delle tattiche per tenere a bada un narcisista manipolatore e non farsi sopraffare. La prima cosa da fare è riconoscere i segnali. Prima o poi cercheranno sempre di farvi fare qualcosa che non vorreste fare e l’atteggiamento migliore in questi casi è mostrare un netto diniego, porre dei limiti oltre i quali non siate intenzionati ad andare.
Non vi fate ingannare dal loro vittimismo, spesso infatti cercano di spingervi oltre i limiti puntando sul vostro senso di colpa, e non vi fate intimidire da atteggiamenti autoritari, poiché potrebbero utilizzare la violenza verbale o fisica per ottenere ciò che vogliono. Infine non vi fate coinvolgere emotivamente dalle loro provocazioni. Una reazione emotiva, potrebbe dare loro modo di capire dove colpire e incoraggiarli a sfruttare la vostra debolezza.
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Platone chiede al suo interlocutore Glaucone di immaginare una caverna sotterranea in cui gli uomini sono incatenati e costretti a guardare solo davanti a sé, ciò che compare sul fondo della caverna, «fin da fanciulli, incatenati gambe e collo, sì da dover restare fermi e da poter vedere soltanto in avanti, incapaci, a causa della catena, di volgere attorno il capo». Questi uomini vedono riflesse sul muro delle ombre, esse corrispondono a delle statuette che sporgono da un muro situato alle spalle degli uomini prigionieri, tali statuette raffigurano tutti i generi di cose. Dietro il muro si muovono, senza essere visti, i portatori delle statuette, dietro i quali brilla un fuoco che rende possibile con la sua luce il proiettarsi delle immagini sul fondo. In questa situazione i prigionieri pensano che le ombre proiettate sul muro siano la sola realtà esistente.Platone propone di immaginare che uno dei prigionieri si liberi dalle catene, «costretto improvvisamente ad alzarsi, a girare attorno il capo, a camminare e levare lo sguardo alla luce»: voltandosi egli si accorge delle statuette e capisce che esse, non le ombre, sono la realtà. Una volta libero tale prigioniero ha però l’occasione di alzarsi e proseguire le sue scoperte, andando non solo dietro il muro, ma risalendo all’apertura della caverna e uscendo dalla stessa.Lo schiavo liberato si ritrova abbagliato dalla luce del sole fortissima che illumina gli oggetti fuori dalla caverna, per questo li guarderà inizialmente riflessi nelle acque o illuminati dalla luce notturna degli astri. Si accorge dunque che non solo le ombre erano prive di realtà, ma le stesse statuette erano imitazioni delle cose contemplate fuori dalla caverna. Dopo un primo periodo, abituatosi alla nuova luce, l’uomo sarà in grado di contemplare le cose illuminate dal sole e di guardare il sole stesso riconoscendolo come fonte di conoscenza, esso infatti illumina le cose, altrimenti non conoscibili nella loro bellezza e perfezione.Il mito della caverna si conclude inaspettatamente con il ritorno nella caverna da parte del protagonista, inizialmente liberatosi dalle catene. Nonostante egli voglia rimanere a contemplare la perfezione e la bellezza di ciò che ha scoperto fuori dalla prigione, sente il dovere di tornare indietro per liberare gli altri suoi compagni e svelargli la verità che ha scoperto. Tuttavia, tornando, si ritrova ad essere spiazzato dal buio che regna nel mondo da cui è partito, i suoi occhi sono incapaci di vedere le ombre e per questo i compagni lo deridono, non credono a ciò che prova a dimostrare e si ritrovano addirittura infastiditi dal suo tentativo di liberarli, per questo alla fine lo uccidono.
PLATONE
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Plato asks his interlocutor Glaucon to imagine an underground cave in which men are chained and forced to look only in front of them, what appears at the bottom of the cave, «since childhood, chained legs and neck, so as to have to stand still and that they can only see forward, unable, because of the chain, to turn their heads around». These men see shadows reflected on the wall, they correspond to statuettes protruding from a wall located behind the captive men, these statuettes depict all kinds of things. Behind the wall the bearers of the statuettes move without being seen, behind which a fire shines which makes it possible with its light to project the images onto the background. In this situation the prisoners think that the shadows projected on the wall are the only existing reality.Plato proposes to imagine that one of the prisoners frees himself from the chains, "suddenly forced to get up, turn his head around, walk and raise his eyes to the light": turning around, he notices the statuettes and understands that they, not the shadows, I am reality. Once free, however, this prisoner has the opportunity to get up and continue his discoveries, not only going behind the wall, but going up to the opening of the cave and exiting it.The freed slave finds himself dazzled by the very strong sunlight that illuminates the objects outside the cave, for this reason he will initially look at them reflected in the water or illuminated by the nocturnal light of the stars. He therefore realizes that not only were the shadows devoid of reality, but the statuettes themselves were imitations of the things contemplated outside the cave. After an initial period, once accustomed to the new light, man will be able to contemplate things illuminated by the sun and to look at the sun itself recognizing it as a source of knowledge, in fact it illuminates things, otherwise unknowable in their beauty and perfection.The myth of the cave ends unexpectedly with the protagonist's return to the cave, initially freed from his chains. Although he wants to stay and contemplate the perfection and beauty of what he has discovered outside the prison, he feels the duty to go back to free his other companions and reveal the truth that he has discovered. However, returning, he finds himself displaced by the darkness that reigns in the world from which he left, his eyes are unable to see the shadows and for this reason his companions laugh at him, they do not believe what he tries to demonstrate and even find themselves annoyed from his attempt to free them, for which they finally kill him.
PLATO
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Socrate diceva: "L'abuso del linguaggio induce il male nell'anima". Non si riferiva alla grammatica. Abusare del linguaggio significa usarlo come fanno i politici e gli inserzionisti, a scopo di lucro, senza assumersi la responsabilità del significato delle parole. Il linguaggio usato come strumento per acquisire potere o fare soldi è malefico: esso mente. Il linguaggio usato come fine a sé stesso, per cantare una poesia o raccontare una storia, tende alla verità. Uno scrittore è una persona che si preoccupa del significato delle parole, di ciò che esse comunicano e di come lo fanno. Gli scrittori sanno che le parole sono il loro percorso verso la verità e la libertà, e quindi le usano con cura, riflessione, timore e gioia. Usare bene le parole rafforza la loro anima. Narratori e poeti trascorrono la vita a imparare quell'abilità e l'arte di usare bene le parole. E le loro parole rendono l'animo dei loro lettori più forte, luminoso e profondo.
Ursula K. Le Guin
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Cavaliere di Spade.
"Il coraggio di tornare a Casa".
La grande fatica di questo periodo è la "ricaduta" negli aspetti più oscuri della nostra fragilità emotiva.
Per "vedere" la distorsione del nostro campo affettivo, siamo costretti a rivivere le proiezioni del trauma originale.
E' la parte più complessa del Viaggio.
Perché si affrontano schemi prettamente umani, legati a questo specifico piano di Coscienza, alle nostre "memorie generazionali".
E seppur muniti di strumenti di comprensione e fronteggiamento molto più sofisticati ed evoluti rispetto agli esordi, è comunque doloroso ripercorrere le strade della dipendenza affettiva, del vittimismo, del giudizio, della perdita.
Tornare ad osservare e vivere sulla carne gli automatismi del trauma, per chi ci lavora a livello terapeutico da anni e per chi ha ereditato disfunzioni di un certo calibro, non è mai una passeggiata.
Solo che stavolta è evidente la funzione di "chiusura definitiva" che manifestano determinati avvenimenti che stiamo vivendo.
Stiamo resettando la base dell'automatismo.
Stiamo modificando lo schema associativo che ci ha inchiodati per anni allo stesso palcoscenico, con lo stesso ruolo, obbligati a recitare le stesse battute e con lo stesso copione sgualcito e deteriorato tra le mani.
Per chi abbia una minima idea di cosa significhi, si renderà perfettamente conto della Rivoluzione che questo ultimo atto di trasformazione e chiusura porterà nei prossimi avvenimenti della nostra Vita.
Le Luci dell'Antico Teatro sono spente da mesi. Ma qualcosa dentro di noi sta ancora funzionando come se quel palcoscenico fosse ancora illuminato dagli stessi personaggi di sempre.
Tutto questo sta per esaurirsi.
Saremo a breve proiettati nel Nuovo. E il Corpo e la Mente ci seguiranno. Si allineeranno ai battiti del Cuore. Senza più remare contro la volontà autentica dell'Io o boicottare il potente anelito dell'Anima.
Niente di più liberatorio.
Il fallimento dei tentativi di chiusura con il Passato, che all'oggi sembra ancora così pervasivo, inquinato e ripetitivo, ingiusto e frustrante, lascerà spazio a nuovi modelli interiori di manifestazione e di creazione attiva della Realtà che ci circonda.
Novembre viene a "chiudere definitivamente", a spezzare con forza e audacia le Catene che ancora ci rendono imprigionati ai residui delle dimensioni disfunzionali e dei codici traumatici di funzionamento.
Non lo fa con delicatezza.
Ci prende e ci sbatte la Verità sul tavolo. E ci chiede di affrontarla. Di renderla conscia ed elaborarla emotivamente.
Non come facevamo prima. Non con le tribolazioni, non con i lavori di privazione e astinenza infiniti e devastanti che ci imponevamo nel Passato.
Ma con i nuovi mezzi che abbiamo a disposizione, con gli innovativi aiuti terapeutici che copiosi ci giungono dall'esterno, con la sacra volontà di partecipare attivamente alla fine dei Tempi.
Dobbiamo fortemente volere la Guarigione Emotiva.
Essa ci chiede di poter ripristinare funzionamenti maturi, responsabili e coscienti.
Non si passa da nessuna parte se l'Emotivo non ci segue in questa trasformazione.
Si resta incastrati nell'Illusione e nella Pesantezza.
Dobbiamo elaborare la perdita.
Dobbiamo perdere.
Dobbiamo stare nel vuoto di compensazione.
E' una fase fondamentale del Viaggio.
Non viviamola con i soliti lamenti. Restiamo connessi con ciò che accade dentro. Senza disperarci o arrenderci.
Sapevamo che saremmo approdati a Novembre alla fase risolutiva attraverso il passaggio tra le Ombre più recondite ed oscure.
Eppure lo stiamo facendo diversamente rispetto alle tappe precedenti del nostro Cammino.
Siamo più presenti, meno confusi, più lucidi nell'affrontare.
Approfittiamo di questo mese per accompagnarci alla fine dei Tempi con Amore e non con Giudizio, con profonda Ammirazione verso noi stessi e il nostro Coraggio.
Siamo al "conflitto finale".
Con noi stessi e il nostro Antico Mondo.
Vincerà la Guarigione.
Il nostro intero Sé è già pronto e aperto ad accogliere questa Sacra Iniziazione.
Entrate nel rito "Sciamanico" con ardore. Non vi verrà torto un capello.
Se il vostro Cuore è puro e l'intento si muove nell'onestà dei suoi battiti interiori, non soffrirete, non morirete, non vi potranno abbattere, non accadrà nulla di ciò che la vostra Mente spaventata prefigura nel suo distorto e pavido immaginario apocalittico.
Siate integri e curiosi, fiduciosi e pronti a tutto.
Qui si gioca la vostra partita più bella: il ritorno a Casa.
La vostra Casa. Quella interiore. Quella del Cuore.
Forza, allora. Si va.
Mirtilla Esmeralda
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Dunque vediamo:
c'è il guru che ti dice di non seguire il mondo, perché altrimenti ti fai trascinare dal mondo "tossico";
c'è il guru che ti dice di perculare l'ego perché è lui il tuo male assoluto;
e gioco forza, c'è il guru del perdono assoluto... perché tutto è amore;
c'è quello che siccome dentro è uguale a fuori, va bene così, basta che ti "sistemi" il dentro;
c'è il super guru del "non giudizio", perché tu non sai, nessuno sa, dunque non intervenire in niente;
c'é colui che ti dice che sei potente e sei già libero e siamo belli;
c'è il guru della gratitudine, perché ogni cosa è perfetta, e anche se ti ammazzano a legnate, impara la preziosa lezione e ringrazia chi te l'ha data;
c'è quello che ti dice di accettarti così, perfettamente imperfetto, perché le descrizioni dei baci Perugina ci prendono sempre.
Ora non so quanto verrà capito questo post, ma l'ho scritto per un solo e granitico fatto:
Non puoi cambiare di una virgola se non ti accorgi anche della merda che hai dentro, perché sì, tutti abbiamo roba di cui occuparci e per migliorare la nostra vita e l'ambiente bisogna rendersene conto.
Non giustificare, non raccontarsela, non diventare vittime sacrificali, fare finta di non vedere, non portare rettitudine in cose palesemente fuori coscienza e controllo, giusto perché qualche pirla ti dice che tanto ognuno ha le sue sfide.
Questa strafottenza di fondo è dannosa, ti rende incapace di responsabilizzare te stesso, incapace di logica, di edificare un ego sano e integro. Il quale malgrado quello che ti viene propinato è fondamentale per manifestare salute psichica e volontà di evoluzione.
Se annienti l'ego annienti il tuo passaggio al cuore. Sei in balia del potere fine a se stesso se vuoi fingerti evoluto e della massa informe se nemmeno te ne rendi conto.
Il lavoro su di Sé parte dall'auto osservazione più oggettiva e concreta possibile di sé stessi e del mondo circostante.
Non dalle supercazzole
Se singolarmente viene bypassata la responsabilità personale, ciò che vedi oggi è destinato a espandere il suo potere malato sopra una moltitudine di imbalsamati.
#crescita personale#crescita spirituale#consapevolezza#paraguru#spiritualità#svegliatevi#falsi spirituali#spirito#ego#zombie#società malata#società#aprite gli occhi#sistema#manipolazioni#verità#virus#propaganda#rincoglioniti#mass media#vip#diavoli#mondo marcio#cervelli spenti
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Ricostruzione
Non credo di poter vivere fino alla fine dei miei giorni senza sapere se lui ha o non ha avuto un figlio.
Ma lui che ti disse? Che vuol tenere questo "segreto della vita" con sé. Però m'irrise quando scambiai i nomi della Belardinelli e della Brini perché iniziano entrambi per b e hanno delle lettere in comune.
Ovvero? Mi disse: "Vuoi sapere come mi divertii con la Belardinelli? Ella morì per un ascesso dentale mal curato; si recò in un paese vicino, da un frate. Egli maldestramente le spezzò il dente che doveva cavarle. Ne nacque una gangrena che la fece soffrire e strillare per mesi. E poi morì".
Ma davvero? Storia triste. Povera ragazza. Invece la Brini era vivace come un'ape, vestita di rosso e con un bel fazzoletto sulla testa. Lo salutò, o lui immaginò che lo facesse. Diede a lei il suo primo bacio, in sogno. Annota anche il suo parlar con lei dopo averla sognata. La descrive di umile condizione, ma bella e allegra.
Va bene, ma queste vicende hanno un senso? Scrisse per lei qualche poesia? No. Si limitò a delle annotazioni sullo Zibaldone, che però risalgono alla sua giovinezza e alle prime interazioni con lei. Poi non ne fece più menzione. Forse entrò con lei in una relazione che non gli suscitava grandi emozioni, e quindi, proprio per questo, gestibile anche sul piano fisico.
E quando nacque, il figlio di questa ragazza? Il 5 novembre.
Uhm…andando nove mesi indietro, si risale al 5 febbraio. Sì.
E lui cosa scrisse nei dintorni di quella data? Gran cose.
Ah, quindi ci sono delle prove… Prove della sua attività intellettuale, certamente sì. Un certo risveglio, un certo fermento… Si potrebbero costruire ad arte delle prove, legando insieme spezzoni di quei suoi pensieri.
Hai pensato di farlo? Sì e no. Non sono spregiudicata fino a questo punto. Anche perché, leggendo ciò che scrisse, rimasi talmente impressionata da accantonare per qualche momento la questione del figlio.
Allora doveva esser proprio materiale bollente! Mi ha ricordato lo stesso acume che gli aveva fatto scrivere che tutto è male durante la liaison con la Malvezzi.
Quindi l'amore non migliorava il tono del suo umore. Ma vedi, lui era settato sul pessimismo, o meglio, sul materialismo, e secondo me trovava, pure nell'amore, segreto argomento a sostegno del fatto che vi è più male che bene nell'universo. Quando era su di giri, dava fondo a queste argomentazioni. Erano la sua comfort zone, il modo in cui appagava il suo ego sentendosi intelligente in contrapposizione agli spiritualisti. Infatti struttura queste considerazioni in una sorta di contraddittorio, di dialogo embrionale…
Embrionale!…La lingua batte… Sì, è chiaro, il mio cervello è posseduto dalla questione. Avrei cominciato la costruzione delle false prove menzionando i suoi pensieri sull'etimologia di donna nel senso di padrona e donzella di quello di padroncina. In realtà sono mere considerazioni linguistiche.
Ma a lui piaceva considerarsi signoreggiato dalla donna. Ricordi? "Signora e padrona della mia forza"… Gli piaceva porsi in obbedienza alle donne per uscirne bene moralmente, qualunque azione facesse in realtà. Non penso mica facesse qualcosa di male. Forse, mentre in un grembo stava sorgendo la vita, lui dimostrava come, a rigor di logica, la materia senta e pensi, e l'inutilità e la fallacia del concetto di spirito, che per lui è solo una parola. "Per questo riguardo, gli uomini si sono dimostrati più che bambini", scriveva, sentendosi certamente un grand'uomo. Doveva sentirsi proprio potente! Scrisse che se avesse avuto lui per le mani la materia e l'onnipotenza, certamente avrebbe "di leggeri" costruito un universo assai migliore del presente, il quale, di per sé, non dimostra neppure che sia frutto di un'entità intelligente.
Oh perbacco, cos'aspettiamo a dar per le mani a Leopardi la materia e l'onnipotenza? Che ci costruisca un universo che finalmente funzioni bene, con la sua grande intelligenza! Sarebbe conveniente: un universo in cui il singolo sarebbe felice, anziché mera pedina di un sistema teso soltanto ad autoperpetuarsi.
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