#poi ogni tanto ti dice culo e ti salvi
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Leggere le dichiarazioni del pelato la mattina dopo mi irrita di più che leggere libero o il giornale
#ci vuole questo e ci vuole quello#ma a chi lo stai dicendo esattamente#sei tu l'allenatore cristo#dici le stesse cazzate da 2 anni#e puntualmente vediamo gli stessi disastri#poi ogni tanto ti dice culo e ti salvi#BASTAAAAAA#ac milan
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12 mar 2021 12:18
LA RIZZOLONA DELLA COMMEDIA SEXY - CON IL CULO DI NADIA CASSINI, E' L'EREDE COSCIALUNGA DELLA FENECH: ''NOI ERAVAMO TUTTE NATURALI, NON C'ERA LA CHIRURGIA ESTETICA, NON C'ERANO NEANCHE LE PUNTURINE, PROPRIO NULLA. QUANDO FACEVAMO I SERVIZI SU ''PLAYBOY'', NON È CHE CI FOSSERO LE FOTO RITOCCATE AL COMPUTER COME ADESSO... NOI COM'ERAVAMO ERAVAMO" - "CON BOMBOLO E VILLAGGIO, MI HANNO SEMPRE DOPPIATA. CON STREHLER SONO DIVENTATA ATTRICE - NON SO SE RIFAREI QUESTA PROFESSIONE" - VIDEO
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Luca Pallanch per "la Verità"
Ci sono personaggi nel mondo dello spettacolo che improvvisamente spariscono dai radar: le luci si spengono e cala il sipario. Pochi hanno la forza di dire basta e tornare a vivere una vita «normale», senza rimpianti.
Anna Maria Rizzoli si è lasciata alle spalle un festival di Sanremo, condotto con Mike Bongiorno nel 1979, e una breve ma folgorante carriera cinematografica.
Si è negata all'incedere del tempo e nell'immaginario collettivo, complice questa sua assenza, rimane la bellissima protagonista di tante commedie degli anni Settanta e Ottanta. Per La Verità esce per una volta dal suo riserbo, pronta a eclissarsi nuovamente.
Com' è stata chiamata a condurre il festival di Sanremo?
«Ho fatto un'ospitata a Domenica in condotta da Corrado e l'indomani sono stata chiamata dalla Rai per sapere se me la sentivo di presentare il festival. Si vede che sono piaciuta! Ho risposto: "Ci provo". Ero un po' spaventata perché Sanremo fa paura. Avevo lavorato a Telealtomilanese, insieme a Enzo Tortora nel programma Aria di mezzanotte. Avevo una mia rubrichetta: facevo gli oroscopi. E in Rai avevo presentato con Christian De Sica e Ingrid Schoeller Alle sette della sera, ma il festival di Sanremo era un'altra cosa».
Conosceva già Mike Bongiorno?
«L'ho conosciuto quando mi ha chiamato il direttore di Tv sorrisi e canzoni Gigi Vesigna per fare insieme a lui la foto per la copertina in occasione del festival».
Com' era?
«Un uomo straordinario, oltreché un professionista eccezionale. È stato bellissimo lavorare con lui perché era una persona che ti aiutava».
Ricorda la prima volta che è salita sul palco?
«Un'emozione grandissima, caspita, ero agitatissima, però una volta sul palco è passata. Avere vicino Mike era una sicurezza».
Ricorda una sua papera?
«Veramente il giorno dopo la fine del festival mi ha chiamato Giovanni Salvi, il vice direttore generale della Rai, e mi ha detto: "Lei mi deve dire come ha fatto a non fare neanche una papera perché Sanremo è stata sempre una Waterloo per tutti". Sono stata brava!».
Iniziò come modella...
«Facevo il liceo a Milano e un giorno, all'uscita, mi ha fermato un signore che aveva un'agenzia di modelle e mi ha detto: "Ma perché lei non fa la modella? È così carina...". Allora mi sono iscritta a un corso per indossatrici e ho fatto delle serate, poi ho lasciato la scuola con grande dispiacere dei miei genitori. Ho lavorato tantissimo come modella, facendo anche la pubblicità della Stock vestita da Babbo Natale.
Mi piaceva quel lavoro. Poi ho fatto un servizio fotografico su un carrello elevatore, chiamata da Osvaldo Annicchiarico, il fratello di Walter Chiari, che aveva un'agenzia di pubblicità. Osvaldo mi ha presentato Walter, che mi ha subito offerto di fare teatro con lui. Gli ho detto: "Ma io non lo so se sono capace...". Walter è rimasto colpito da questa frase».
L'ha fatto poi teatro?
«No, ma mi sono fidanzata con Walter!».
Colpo di fulmine?
«Sì, siamo stati insieme due-tre anni, con momenti di interruzioni perché ogni tanto lui andava in Australia. Eravamo fidanzati, ma ognuno viveva a casa sua. Mi ricordo che mio papà aveva cinque anni meno di lui!».
Lo ha presentato ai suoi genitori?
«Sì, è venuto a trovarci a casa tante volte. Piaceva a tutti Walter. Semplice, alla mano, molto intelligente, un uomo fantastico».
Il suo primo film è stato Peccati in famiglia di Bruno Gaburro?
«Sì, lì come modella ho fatto una comparsata. Poi ho fatto una particina ne Il padrone e l'operaio di Steno e un episodio di Dove vai in vacanza? diretto da Luciano Salce, con Paolo Villaggio. Grazie a questo episodio e al festival di Sanremo la mia carriera è decollata».
Lei è stata molte volte diretta da Luciano Salce e da Mariano Laurenti
«Era bellissimo lavorare con Luciano perché, avendo fatto l'attore, conosceva i nostri problemi, per cui era paziente, premuroso, gentile, mai arrabbiato. Mariano era carino, un papà».
Spesso lavorava con Enzo Cannavale e Bombolo
«Bombolo aveva una comicità innata: aveva un modo di dire le cose anche fuori dal set che ci faceva morire dal ridere. Non recitava, interpretava sé stesso. Cannavale era straordinario, veniva dal teatro, aveva lavorato anche con Eduardo De Filippo. Sul set era come stare in famiglia perché ormai ci conoscevamo bene, c'era un rapporto affettuoso, non ci sono mai stati screzi. Ci siamo sempre molto divertiti a fare quei film».
Con chi ha legato particolarmente?
«Forse con Lino Banfi, un gran signore».
Con le colleghe?
«Una con cui mi sono divertita tantissimo era Francesca Romana Coluzzi, un'attrice con la a maiuscola. Quante volte abbiamo dovuto stoppare perché scoppiavamo a ridere e non riuscivamo ad arrivare alla fine della scena».
Non viveva una rivalità con le altre attrici del periodo, Edwige Fenech, Barbara Bouchet, Gloria Guida, Nadia Cassini?
«La rivalità poteva essere l'occasione che una aveva di fare un film che un'altra avrebbe voluto fare lei, non a livello personale, anche perché ognuna aveva il suo cliché. C'è da dire che eravamo poche. Dopo ne sono arrivate tantissime».
Non erano belle come voi!
«Diciamo che noi eravamo tutte naturali, non c'era la chirurgia estetica, non c'erano neanche le punturine, proprio nulla. Quando facevamo i servizi su Playboy, non è che ci fossero le foto ritoccate al computer come adesso... Noi com' eravamo eravamo».
Un film che avrebbe voluto fare?
«Me ne offrivano così tanti! Mentre facevo un film, stavo facendo le prove costumi di un altro che iniziava subito dopo. Uno che volevo fare a tutti i costi e che sono riuscita a fare è Uno contro l'altro... praticamente amici con Renato Pozzetto e Tomas Milian. Pozzetto ogni tanto veniva al trucco la mattina: "Non ti sembra che ci sono un po' troppe parolacce in questo film?"
Che ricordi ha di Tomas Milian?
«Era molto serio, professionale. Er Monnezza era proprio il suo ruolo: se l'era costruito addosso. Non era uno che fuori dal set scherzasse: quando finiva la scena, andava a riposare. Pozzetto invece era simpaticissimo e andavo sempre a mangiare nella sua roulotte. Aveva un cuoco che cucinava benissimo».
Eravate due milanesi in un cinema romanocentrico
«Parlavamo la stessa lingua».
Per l'anagrafe è romana
«Sono nata a Roma per combinazione perché mia mamma è andata in viaggio di nozze in ritardo e ha avuto improvvisamente le doglie, però a tre mesi ero già a Milano. Non ho niente di romano, anche se poi ho vissuto, benissimo, a Roma per tanti anni».
In Uno contro l'altro... praticamente amici interpretava una ragazza romana, la sorella di Tomas Milian
«Un po' guitta».
Era doppiata...
«Sempre. Non sempre le voci mi piacevano. Solo una volta ho avuto il privilegio di essere doppiata da Simona Izzo [in Rag. Arturo De Fanti, bancario-precario ndr]. Mi ha dato una voce magnifica»
Non ha recitato mai con la sua voce?
«No, solo quando ho fatto teatro con Giorgio Strehler. Avrei preferito, ma non si giravano i film in presa diretta e non avevo neanche il tempo di fare il doppiaggio».
È stata un'esperienza straordinaria...
«Con Strehler ho chiuso in bellezza perché ero stanca di questo lavoro: ho sacrificato gli anni più belli dietro la carriera. Adesso, tornando indietro, non so se rifarei questa professione, magari farei l'avvocato come mio papà».
Addirittura?
«Ma sì! I sogni che si realizzano sono sempre inferiori alle aspettative. Alla fine ci si sacrifica tanto e poi una dice: "Ma ne vale la pena?". Quando è arrivato Strehler, mi sono detta: "Va bene, chiuderò in bellezza. Lavoro con lui e poi mi ritiro". Così ho fatto».
Com' è capitata l'occasione di lavorare con lui?
«Eleonora Brigliadori interpretava una parte nella commedia La grande magia, scritta da Eduardo De Filippo, ma, non so per quale motivo, non voleva più continuare. Ci siamo visti una volta con Strehler perché ero fidanzata con un architetto che gli stava facendo la casa.
Mi ha chiesto: "Tu faresti teatro?". "Il teatro serio non so... ho sempre fatto commedie brillanti". "Vedrai, non preoccuparti, ti faccio recitare io". Ho fatto con lui 15 giorni di prove, io e lui da soli, per impostare la voce. Mi ha insegnato tutta la mia parte: era così bravo che poteva far recitare anche i sassi».
Che effetto le ha fatto recitare in teatro?
«Con il pubblico dal vivo è tutta un'altra cosa. Se sbagli, sbagli, se inciampi, inciampi. Siamo stati in scena per tre-quattro anni: al Piccolo Teatro di Milano più volte, al Teatro dell'Odéon di Parigi, dove alla prima c'era anche François Mitterrand, a Vienna, Berlino, al Petruzzelli di Bari, al Duse di Bologna. Alla fine ho detto: "Adesso basta! Non lavoro più"».
È il ricordo più bello della sua carriera?
«È quello che mi ha dato più soddisfazione perché sono riuscita a fare una cosa che era più grande di me. Alla fine c'era una scena drammatica molto impegnativa: mi staccavo il vestito di dosso, rimanevo con un camicione nero, sciupata, imbruttita, piangevo come una matta.
Era lunga, durava qualche minuto. Facevo fatica a dormire, tanto ero stravolta da questa scena. Non ero portata a questo tipo di recitazione, però ci sono riuscita. Strehler mi ha detto che sono stata brava. Ha mandato a tutti un biglietto prima di andare in scena a Parigi per incoraggiarci. A me ha scritto: "Non avere troppa paura, vedrai che andrà bene, sei molto più brava di quello che pensi"».
Cosa ha fatto dopo?
«Ho fatto la moglie! Poi mi sono separata e ho divorziato. Non avevo più voglia di recitare, anche perché mi avrebbero chiamato per fare la zia o la mamma».
Quindi non le manca lo spettacolo?
«Assolutamente no. Mi chiamano ogni tanto per fare l'ospite in qualche programma televisivo, ma rispondo sempre di no perché l'idea passare la giornata in camerino, fare le prove, il trucco, ohh, per carità! Mi annoio, anzi mi stanco».
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08.07.76 h 05.30 am L.A.
Si volta verso la nonna poco distante da lei, i capelli si muovono col vento come se volessero scappare da qualcosa o da qualcuno, le iridi smeraldine sono puntate sulla donna, alcuni rimasugli di lacrime ormai asciugate dal vento le segnano il volto, non ha il coraggio di dire nulla, si umetta le labbra ma il respiro è quasi impercettibile.
«Sai di non essere come lui..» una domanda o un'affermazione?! non si capisce bene, le iridi glaciali di Emily fissano la nipote senza far trapelare alcuna emozione, i capelli bianchi corti e ben ordinati e il vestito da "festa" ancora dal processo; lo sapeva, sapeva di trovarla lì, sapeva che la piccola mezzosangue si sarebbe rintanata sulle spiagge Californiane, ed è per questo che non appena l'ha vista smaterializzarsi l'ha seguita «lo sai » ripete questa volta con più decisione senza fare alcun passo che possa unire quella distanza.
Le labbra iniziano a tremare nuovamente, le mani vengono strette in pugni mentre i piedi immersi nella sabbia si stringono il più possibile «chi lo dice?» andrebbe a sussurrare quasi aspettandosi uno schiaffo, chiude difatti gli occhi stringendoli e ricacciando dentro quelle lacrime
La voglia di prenderla a sberle è tanta, eppure non lo fa, non questa volta, muove alcuni passi, fino a sorpassarla per arrivare più vicina alla riva, lasciando che il mantello nero si possa bagnare di quell'acqua che tanto odia ma che di fatto rimane il suo elemento affine odia bagnarsi «lo dico io» le mani sono unite sul petto nascoste dal mantello, mentre le iridi ghiaccio fissano l’orizzonte nel cielo della California «lo dicono Zola, Melanie e Arielle, lo può dire Jackie che nonostante i tentativi di eliminarti respira ancora»pausa «non per merito mio» ovvio respira lenta senza voltarsi a guardarla «può dirtelo tuo marito e quel piccolo mostriciattolo che hai messo al mondo» solo ora si volterebbe «non sei stupida Lily non lasciare che uno stupido processo possa metterti dubbi su chi sei o chi non sei!» un'altra pausa avvicinandosi alla nipote lentamente come se fosse un'entità ultraterrena «Non dare a nessuno che non sia io questo potere» le iridi sono fisse sul viso di Kat e sue quelle lacrime che cerca disperatamente di trattenere.
«Il passato può cambiarti, può farti diventare ciò che non sei o che non sai di essere..»
lo sussurra piano cercando di trovare il fiato ad ogni parola
Tu sei il mio passato, Elisabeth è il mio passato...e la malattia è il mio presente e se sommiamo queste cose... se facciamo..»
lo schiaffo arriva, la mano si va a posare sulla guancia sinistra che brucia, brucia come il fuoco brucia come non mai..
« Katrine Lillian Warren » ups «Se mi tiri nuovamente fuori la storia della malattia e del passato che ti fanno diventare un'assassina, giuro che questa volta non lascerò le cicatrici, non continuiamo con queste bolidate per cortesia » si allontana un po' tornando a nascondere le mani dentro quel mantello
«Io ho fatto quello che ho fatto, ma non credo che tu abbia passato i tuoi anni nel castello a castare incantesimi contro primini a caso, hai scoperto della morte della babb.. di tua madre eppure non sei andata in giro a molestare chiunque per avere risposte, hanno rapito il tuo amore eppure non sei andata a minacciare di morte le persone.. sai difenderti con la magia.» pausa «questo te lo devo» ..
«ma se ti ritrovassi in una situazione di pericolo, dove vedi chi ami portato via da qualcuno che puoi fermare..lo fermi, lo fermi con tutte le ossa che hai nel corpo, con tutta la magia che possiedi lo salvi, lo salvi perché non potresti vivere senza»
stranamente per quanto possa sembrare una confessione sulla madre, si tratta solo di esperienza personale, sappiamo tutti che per quanto Emily possa essere perfida non avrebbe mai potuto uccidere un babbano solo per paura che gli portasse via il figlio, no questa è una storia ben diversa..
« Tu non hai fatto tutte queste cose semplicemente perché le hai scoperte troppo tardi, nel tuo corpo c'è il mio sangue e nel mio sangue c'è la vendetta Lillian, e si, si potresti trovarti a dover decidere se ammazzare qualcuno per salvare Adam, o Elliot, ma questo non farà di te un assassina» fa una nuova pausa «questo non farà di te una vigliacca questo non farà di te una malata..» un'altra pausa mentre parla con una lentezza e una pacatezza quasi glaciali, mentre le onde s'infrangono sulla riva bagnandole il mantello « il suo errore è stato non fermarsi un briciolo prima, non credere di poterla uccidere davvero nel momento in cui era davvero pericolosa» .. « un briciolo prima delle catene e avrebbe salvato non solo il suo culo, ma anche il suo amante..» seria nel dire «ma c'è una differenza grossa tra voi, una differenza che forse tu ancora non vedi.. e non la vedi non perchè tu sia stupida» - «anche se a volte mi vengon dubbi» grazie
«non la vedi perchè nella tua vita c'è troppa luce adesso, troppa luce per poterti immedesimare nell'ombra e pensare razionalmente a quello che avresti fatto.»
«non l'avrei uccisa!» l'urlo risuona nella spiaggia deserta davanti alle case spente..
«Stronzate Lily» una risata a presa per il culo « Tu l'avresti fermata molto prima, non l'avresti fatta arrivare ad Adam, perchè nel momento in cui la sua bacchetta sarebbe stata puntata contro tuo marito le avresti fatto saltare il braccio con un bombarda» .. « o no?!» si avvicina alla nipote tanto da poterne sentire il profumo per poi andare a sussurrargli nell'orecchio
«tu non l'avresti uccisa Lily» ... «l'avresti fatta a pezzi»
le lacrime ormai hanno smesso di scendere da un po', ma la rabbia è ancora lì «non l'avrei fatto se fosse stata legata, indifesa o a terra» questa volta la frase la dice più lentamente come se stesse effettivamente razionalizzando la cosa..
«è questo che ti rende diversa.» lo dice con un cenno di assenso della testa mentre la sorpassa nuovamente -CRACK!-
Rimane da sola nella spiaggia deserta della California, cadendo con le ginocchia sulla sabbia, rimane li mentre le lacrime tornano a farsi vive come un fiume in piena, come se quel capitolo della sua vita fosse chiuso in parte o in parte come se la ossessionasse più ancora della morte della madre, della scomparsa di Adam, o di qualsiasi evento accadutole, le mani vengono portate davanti al viso, a coprirlo mentre nulla sarà più come prima d'ora in poi; una parte di lei è stata spezzata con la bacchetta di Sebastian, il sentore che l'unica persona che voleva salvare da se stessa le era scivolata via, le era scivolata via, perché non voleva essere davvero salvata, non voleva essere salvata da nessuno, ma sopratutto da lei. Lei aveva provato dal terzo anno a salvarlo, a stargli vicino, ad esserci, a esserci ogni volta eppure lui in un modo o nell'altro l'aveva sempre ricacciata via, eppure lei era sempre tornata; anche quel giorno al Ministero, nel suo cuore stanco e ferito sperava che lui le chiedesse aiuto, che ammettesse il fatto d'essersi accorto che alla fine lei c'è sempre stata..eppure per lui era come se non esistesse più.. e lei neanche se n'era accorta. Quell'amicizia malata che si sono portati dietro, li ha feriti, strappati e spezzati così tanto da non riconoscersi più neanche l'uno di fronte all'altra. Il Sole e la Luna hanno perso la loro Eclissi.
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Canzone di notte.
Necessità non è virtù, ormai secoli orsono. Perché. Eh, sì. Già. Viene spontaneo credere che sia necessario un apporto di qualsivoglia tipo per contrastare la naturale (in)evoluzione umana. Lo sappiamo. Così pensa, mentre si siede, e scruta in alto, una visuale mai messa a fuoco, annebbiata dalla nube di fumo del cirigarillos appena acceso. È semplice, no? No, non lo è, concluse. Tossì. Poi di nuovo. A quel pnto si sentì maturo abbastanza per sovvertire le leggi della natura, inspirò una boccata del sigaro, divenne viola, si compresse e decompresse, tossendo aspramente, senza darsi un contegno, era quello vomito dell'animo, bile eteriana proveniente dall'inconscio, dalla flautolenza che, sotto sotto, era sempre stato convinto di essere pur non sapendolo. Non vi è lavoro in grado di nobilitare lo spirito umano; che tu sia nemico o amico di una società che ormai non è più amica a nessuno, fuorché a se stessa, che tu salvi vite o ne distrugga, che tu sia vita o meno... non hai scampo. Il lavoro non serve a te, ma si serve di te. Lavorare impedisce all'animo di divenire nobile e di sovvertire un ordine che causerebbe quel risveglio emotivo tanto doloroso da divenire temuto. Non ti è dato giungere al pensiero, ma sfruttarne la pellicina che ne infesta la sua superficie per uscirne, e di corsa. Usi il cervello per spegnerlo, è come possedere un'automobile per sentirla spegnersi, senza curarsi neanche di montarvi le ruote. Siamo così abituati a disinnescarci, prima ancora di capire che non siamo neanche mai stati innescati. Questo causa l'abbandono dei tempi, questo causa la fine dei tempi, questo è anti-tempo, e giustifica l'inesistente applicazione pratica, quale può talvolta esserne l'arte, in vita natural durante. Allora si sovvertono gli ordini, e si costruisce l'incostruibile, ovvero si annienta, distruggendo ai cardini quello che è il concetto di arte, di ribellione, di politica, e dunque di società. Fintanto che non abbiamo società, non vi sarà manifestazione della stessa. Ma ciò è naturale, è una semplice conseguenza, una rispostsa all'annullamento dei prinicipi di valore umani (ed in tal senso due guerre son bastate a scindere il vivere dal sopravvivere), una necessità in una società dove all'uomo non è più dato pensare. Lavoro dunque, come nemesi d'egli stesso: produzione, come concetto inatteso di sistematica in-volontà costruttoria del tutto passiva e relegata all'insoddisfazione concepitoria strettamente legata al titolo umano; consumazione, previa sottoscrizione dottoranda di qualunque bene, più superfluo esso sia già meglio potrà esserne la falsa-(profetica)-soddisfazione che essa può causare, ed è (ripeto, è) assolutamente inutile fingere di potersene tirare fuori, essa è necessaria tanto quanto non lo è -- ci sarebbe da bestemmiare contro il signore iddio! se solo egli potesse esistere anche solo per sentirsi insultato --; muori, lasciando sogni e desideri, inveendo, donando ai posteri (persone alle quali avresti dovuto voler bene, ma non abbastanza da lasciarle nascere, non abbastanza da averle aiutate a vivere, non abbastanza da averle private della tua presenza già prima, quando possibile, prima del ciclo, prima della produzione) ogni avere, gelosamente custodito, come se avesse anche solo uno, uno solo ed uno soltanto, valore rconcreto. Fa già male così, ma andiamo avanti, si ripetè, ed andò avanti. Tali beni, a loro volta, compiono il ciclo, ripartendo sempre dall'inizio, un fittizio ordine circolare che in comune denota solo le fastidiose necessità, quasi una linea retta più che un cerchio, in grado di ricomporsi sempre sugli stessi valori, ma comunque retta, tanto dritta e dolorosa, da entrare nel culo di chi la concepisce senza preavviso. Abbatto così il concetto di circolarità, perché qui è un tunnel, tanto lungo da non avere un'uscita, uno spiraglio, una luce. Il cane abbaiò, da fuori, non era di certo il suo, ma ne aveva inevitabile fastidio. Il sigaro si spense, e ne accese un altro. Abbaia, abbaia, abbaia, abbaia, è rinchiuso nel suo giardinetto, vuole uscire, struscia la zampa contro la grata di ferro, abbaia, abbaia, fa versi di finto dolore. Si lamenta. Lui. Capito, sì. Il mondo. Sono necessarie giornate da 36 ore, se si vuol provare a vivere; ciò è inevitabile, quando almeno 8 ore sono necessarie a giustificare il concetto di lavoro odierno (e lottammo pure al suo giugimento. Capito, sì. Il mondo.), comportandone almeno 10, nel suo totale, per considerarne spostamenti e sostentamenti necessari. Altre 8 sono necessarie a mantenere un determinato equilibrio psico-fisico (sebbene ci accontentiamo di 4 o di 6, i fortunati). Il che porta a 6 ore nelle quali è strettamente necessario riprendere aria, provare ad accendere il cervello, perennemente spento dalle necessità (cosa sono poi, queste necessità?), dal mantenere una casa, una vita, una lieve pace esteriore (ne servirebbero infinite più, per l'interiore), e per il manteneresi vivi. Tu devi mangiare. Devi bere. Devi anche cagare, se è per questo. Lussi che, ahimé, non sono più così facilmente raggiungibili. Abbaia. Li mortacci sua. In tutto questo il medico ti dice che non fai abbastanza per te stesso, e che stai male, mangi male, dormi male, caghi male. Posso scegliere? Posso barattare quelle 10 ore dedicate ad altrui per ore a me stesso? Non credo. Forse. No, non credo. A meno che non si voglia andare a rubare da mangiare in giro. Perché i 'devi' son doveri, anche se più che altro di dovrebbe, e se i doveri sono più delle ore libere in una giornata, non ha senso chiamarlo tale. Fa già male così, ma andiamo avanti, si ripetè, e andò avanti. Sei ore. E se volessi, per puro caso, in queste sei ore, necessarie di quanto già detto or ora, dedicarmi anche a me stesso realmente? Non ai miei polpacci, non ai bicipidi, non alla figura snella che si vuole avere, ma alla mentalità pulita, alla (dis-)socialità, alla poesia, al pensiero creativo, al riflessivo? Oh beh, venti ore non basterebbero, ma il residuo di sei forse dovrebbe. I dovrebbe, quelli che sono doveri. Abbaia. Lui sorride. È inconcepibile, si sente cane pur non essendolo, vorrebbe esserlo pur non volendolo. Allora, se invece che seguire il ciclo luminoso si seguisse il ciclo istintivo, giornate da 36 ore potrebbero giovare in tal senso? Probabilmente sì, ma non lo lascerebbero accadere. Insisterebbero sulle 12 ore lavorative, necessarie direbbero, all'azienda, direbbero. Necessarie in realtà, a te stesso, a non essere vivo, a mantenerti morto e spento. A mantenere il raziocinio più lontano possibile dalla tua figura... non sia mai che tu voglia sentirti libero di punto in bianco! Bevve un sorso di Louis Eschenauer. Che gloria. Peccato non avere tanti secondi come questi, in una giornata, pensò. Così, continuò, prendersela con la televisione come male dei nostri tempi, significa ignorare il problema; e certo, disse, cristo di un dio. Era palese a questo punto. Il problema non era lo stimolo luminoso audio-visivo che il cervello dovrebbe recepire ed elaborare, ma il suo stesso rifiutarsi. Esorcizzare un male significa comprenderne la fonte e provare a sradicarla. Ma se si vuole accollare sempre il danno ad altro, non vi sarà mai un senso di fondo. Questa non è dialettica, ma banale apprensione, concluse. La tv fa male, genera violenza, falso profeta di messaggi distruttori. Ma chi ha assaporato la violenza su schermo sa di non volerla tastare in vita. Chi si nega i piaceri della droga è perché sa cosa comportano. Chi, chiuso nella sua solitudine sa cosa è la vita, proverà a viverla. Dunque, gridò, accendete le tv ed i pensieri critici. Accendete quindi il ragionamento. Se poi crederete a tali luci, è un problema vostro, è evidente che riuscireste a credere ad un pusher che voglia vendervi anfetamine maltagliate. Che colpa ha la televisione se siete già stupidi prima di accenderla? Pensò ai suoi amici ed alla sua vita. Pensò a quante cose si negò, fino a rimanere da solo, per amor proprio. A questo punto, ne dedusse, staremmo tutti nella stessa barca. Ci stanno, effettivamente. Ma il suo buio è ancora illuminabile, perché fioco e debole, il loro è già spento, demolito dalla tentazione. No quella cristiana, ma quella banale. La semplice stupida tentazione. Fece eco nella sua mente, gli sembrò sbattere da un lato all'altro senza legge fisica, quasi gli provocò dolore. Inevitabile, eh. Non vi è rappresentazione pericolosa, ma pericolosa rappresentazione: è laddove il vuoto già risiede in te che si alimenta una forza negativa. Lui lo sapeva, l'aveva combattuta, aveva reagito. Si chiamò stupido per questo, ma non lo fu mai, anche se lasciò la palestra cadendo nei pericoli della malalimentazione per questo, non sapeva pentirsene realmente, perché aveva tentato fino all'ultimo di vivere, di vivere davvero. Sorrise. Tossì. Cazzo, si disse, sorriedere fa male. Un pensiero lo sovvenne, si alzò, attappò la bottiglia di grand vin de bordeaux e camminò a passo lento con aria dubbiosa. Nonostante avesse partorito questi tre postulati non si sentì affatto completo, né al sicuro. Passo dopo passo sentì il telegiornale enunciare cose inutili che rimbombavano nella stanza (era sua sciocca abitudine allontanare pensieri negativi con voci esterne, lasciando che solo i positivi lo penetrassero, ma lui per primo (e tutti gli altri (quali altri però?)) sapeva che, perlopiù, lo possedevano pensieri impuri, talvolta sporchi, raramente sciocchi ma essenzialmente negativi), stanza, dicevo, che attraversava a passo lento. Il fumo del sigaro si proponeva nella stanza come un profumo indesiderato ma desiderabile. Riaprì la bottiglia, bevve un sorso quasi insignificante, quasi un gesto di riflesso, e la ritappò, sgranando gli occhi. Ma certo, si disse, se entrambi sono obesi... non scopano! 1408191902D43
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“Sono tornato dall’inferno, scavalcando il cancello, e mo’ vi coddo tutti”: MC Cavallo, l’unico cantante risorto dalla morte, dialoga con Matteo Fais
È risorto. No, ma che avete capito?! Non Lui, sto parlando di MC Cavallo. Non sapete chi sia? E allora che diavolo ci siete andati a fare a scuola, se non conoscete il più sboccato e dissacrante degli MC sardi, quello che cantava “mi conoscono in tutto il mondo, anche a Cagliari e provincia”. E, in effetti, MC Cavallo, se non è noto proprio in tutto il mondo, ha certo avuto un discreto successo in Italia, forse addirittura più in continente che nella sua terra – il numero di visualizzazioni su YouTube parla chiaro. Il primo di Maggio è tornato con il singolo Il ritorno del cavallo vivente, dopo un’assenza dalle scene durata cinque anni, in cui, come dice lui stesso, “è morto per scherzo”.
Neanche a dirlo, una volta appresa la notizia, abbiamo smosso mari e monti e, alla fine, siamo riusciti a farci dare udienza in un bunker che neppure Adolf Hitler per proteggersi da un eventuale attacco atomico. Ecco l’intervista al cantante che è “scappato dall’inferno scavalcando il cancello”.
L’irriverente MC Cavallo insieme all’imponderabile Matteo Fais
“Se io ti dico schiuma”…
“Voi rispondete party”… Ohhhh! Queste di solito sono le domande che faccio io, per testare la preparazione del pubblico, ‘ta gazzu (che cazzo)!
Perché a un certo punto, cinque anni fa, hai deciso di interrompere la tua carriera? E, soprattutto, perché adesso hai scelto di ricominciare?
Perché ho interrotto? Semplice, alla morte non si può sfuggire e io ero morto. Ultimamente me ne sono pentito e ho deciso di resuscitare e, adesso, si riprende, anzi si continua.
MC Cavallo, da chi hai tratto ispirazione per iniziare questa tua avventura?
Da un comico canadese, Jon Lajoie. Aveva un senso dell’umorismo che sentivo affine al mio e che nessuno in Italia utilizzava. Ma, sia chiaro, io ho preso ispirazione, non ho copiato. Lo sai, il trucco è sempre quello: se tu scopiazzi uno, basta dire che lo stai citando, che ti sei ispirato e così ti salvi. Non è il mio caso. Tutto quello che vedete che assomiglia troppo al suo repertorio è un tributo.
Ma, in particolare, cosa aveva lui che poi hai riportato nella tua musica?
Sono partito da lui per alcune battute. Jon Lajoie aveva creato un rapper fake, MC Vagina. Faceva delle battute sul sesso, che sono sì volgari ma non gratuite. Nel senso che sono talmente volgari che la volgarità non si nota, data l’esagerazione. Quello era il periodo in cui in giro c’erano rapper quali Lil Angels, Spitty Cash, Trucebaldazzi. Anche loro facevano qualcosa di simile e così, grazie a dei personaggi trash, sono diventati famosi. Io volevo fare come loro, solo che desideravo dare vita a un personaggio un po’ ambiguo, che facesse pensare “Ma questo è scemo, fa finta di esserlo, oppure è furbo e utilizza la sua scemenza per farsi ascoltare?”. Poi, piano piano, mi sono evoluto. All’inizio inserivo errori di pronuncia, modi di dire di persone non propriamente colte, robe del genere. Alla fine, simili inserti li mettevo come ciliegine sulla torta, magari in un testo leggermente impegnato. Impegnato tra virgolette, perché se dico impegnato sembra che io sia un cantante che vuole raccontare la strada. Ma già solo la parola rapper non voglio neppure che venga associata a me, perché io sono un comico. Il rap è lo strumento che utilizzo per comunicare. Anzi, una volta, per sminuirlo, ho detto che parlo con un sottofondo musicale.
Come mai hai deciso di utilizzare YouTube come piattaforma?
Era l’unica soluzione possibile e anche la sola che conoscessi, insieme a Facebook, quindi mi sono mosso contemporaneamente su entrambi i social. Ho fatto il primo pezzo come esperimento, dicendomi “vediamo un po’ cosa succede”. Il brano in questione, che molti pensano sia Scusa, me la tocchi la medusa, in realtà è Ti coddiri [che potete ascoltare qui]. Come saprai, non ha neppure un video ad accompagnarlo. È stato pubblicato solo l’audio, con un’immagine statica. Avevo visto che le reazioni erano abbastanza buone… Certo, c’erano anche quelle negative. Ma per me sono comunque tutte positive, perché l’importante è che se ne parli. Direi che, quindi, mi è andata bene.
Secondo te come è avvenuto che, a un certo punto, con queste canzoni che oscillano tra il nonsense e la goliardata, hai iniziato ad avere successo?
Perché, prima di tutto, io dico le cose che la gente non ha mai avuto il coraggio di dire. In secondo luogo, sono tutti stressati, hanno dei problemi e si sfogano dicendo le parolacce. Quindi, quando io punto il microfono sulla folla, nel momento in cui nel testo è presente una parolaccia, e loro la dicono a voce alta, è liberatorio per il pubblico. È un po’ come quando un bambino piccolo vuole fare lo spiritoso e dice “cacca, culo, cacca, culo”.
Ti consideri trash?
Sì, volutamente trash. È un genere degno di onore. Tutto è trash adesso, quindi… io ho semplicemente amplificato la cosa.
Come ti spieghi il successo di pubblico anche al di fuori dei confini isolani, malgrado la tua ironia abbia una cifra tipicamente sarda?
Il trucco è inserire alcuni termini che poi diventano slang. Adesso c’è la trap music, in cui si usano delle parole di cui non conosce il significato neppure chi le canta, tipo “eskere, sk sk, c c p p”. Io utilizzo sconcezze in sardo, che almeno hanno un significato. Anche per chi è di fuori, e non conosce il nostro dialetto, nel contesto, il senso si intuisce facilmente. E poi la pronuncia, comunque sia, è bella, nel senso che suona bene. Quando andavo a fare i concerti, le persone mi urlavano le parolacce in sardo, anche in continente. Del resto, cos’è la prima cosa che un continentale impara quando viene qui in Sardegna? Il turpiloquio. Quando ti chiedono di insegnargli il sardo, si inizia sempre da lì.
Dietro di te, diciamo dietro il cavallo, esiste un lavoro di gruppo. Penso a RIT Boy… insomma, c’è una gangbang in corso, no?
Eja (Sì), c’è una gangbang. In realtà siamo partiti in 3: io, RIT Boy e un personaggio che era il mio doppiatore. Io ero l’autore, RIT Boy il mio coautore (mi aiutava a fare le basi e i testi, durante i live, mixando, facendo i video, insomma faceva parte del team). Il doppiatore lo utilizzavo perché non volevo far risalire alla mia persona, attraverso il timbro vocale. Poi, per vari motivi, ci ha abbandonati. Meglio: il cachet, diviso in due, è maggiore.
Tette o culo? Questa è la domanda più seria.
L’importante è coddare (scopare).
Scusa, ogni tanto dobbiamo fare i cazzoni per far ridere.
Perché eravamo seri fino ad adesso?
Com’è che in canzoni quali Basta con la morte [che potete ascoltare qui], Atto di forza (e un po’ in tutta la tua produzione), hai deciso di adottare uno stile così difficilmente digeribile, quale quello del black humor?
Sai, è come in quel pezzo in cui dico che “questo non è razzismo, perché lo canto in una canzone”. È proprio così! Se io lo canto in una canzone è lecito. E poi, la gente ride, persino i moralisti anche se lo fanno di nascosto. Dentro di sé si stanno sbellicando, malgrado non vogliano ammetterlo né agli altri né a loro stessi. Se tu scherzi su qualcosa che è già avvenuto, non lo peggiori e non lo migliori, al massimo sdrammatizzi. Non esiste niente di intoccabile. Io farei battute anche su cose in cui credo, l’importante è che faccia ridere.
La tua opinione sulla musica rap attuale.
Vuoi che ti dica cosa ne penso della scena attuale? “Cosa ne penso della scena attuale”.
Non rilasci dichiarazioni?
È questa la mia dichiarazione.
Senti, ma come andiamo a pivelle, visto che sei così famoso?
Casomai, “come vanno le pivelle a me?” e non “come vado io a pivelle?”.
Cosa dobbiamo aspettarci dal nuovo MC Cavallo con la maschera da zombie?
Prima di tutto devo ancora rinascere… una volta rinato lo scoprirete. Lascio un po’ tutto in sospeso… Il trucco è che nemmeno io ne ho la minima idea. Faccio le cose come mi vengono, quindi partorisco e poi distribuisco. È tutto estemporaneo, non c’è niente di progettato. Quando faccio una canzone, non riesco neppure a resistere e pubblicarla nella data prefissata. Non ho pazienza. Presto scoprirete cosa ho in mente.
Altri artisti sardi che ammiri?
Meglio tagliarla questa.
Di tutte le canzoni che hai fatto, a quale ti senti maggiormente legato e perché?
Ne sceglierei due. La prima è Scusa, me la tocchi la medusa, perché è quella che mi ha reso famoso. La seconda è Atto di forza, in cui ho utilizzato finalmente la mia vera voce, quindi è mia al 100%.
Scusa, ma con tutti gli improperi che hai inserito nei tuoi testi, seppur scherzosamente, contro neri, zingari e baldracche, com’è che non ti hanno mai segnalato sui social?
Altroché se mi hanno segnalato! Mi hanno chiuso parecchie volte il profilo, mi hanno eliminato video che ho dovuto ricaricare. Sono stato molte volte vittima della censura.
E cosa ne pensi di questa censura?
Come ho già detto prima, “se lo canto in una canzone non è razzismo”. In un pezzo musicale tutto è lecito. Tanto, una volta che sei un personaggio pubblico, anche se sei la persona più buona al mondo, in qualche modo cercano di romperti le scatole. Sai com’è, ci sono ovunque squadre e fazioni. C’è chi sta dalla parte del vero rap e sostiene che io non possa dissacrarlo. Chi non sopporta il mio black humor. Chi vuole fare il finto moralista. Chi si scandalizza per una parolaccia. Insomma, motivi per essere segnalati non mancano mai. Il pubblico è vasto, ma l’un percento basta per farti il culo.
C’è quel tuo pezzo in cui inizi cantando “Siccome mi avete accusato di parlare solo della mia minca”. Ma, davvero, qualcuno ti ha mosso questa accusa, senza capire che tu sei un giocherellone?
Va beh, io ci scherzo, ho dato per scontato che lo facessero… In realtà, l’hanno fatto. Mi hanno detto: “Bravo, sai scrivere, sai utilizzare le rime, perché non fai anche qualcosa di serio? Vorremmo sentirti in quella veste”. Mi accusano di parlare della mia minca, nel senso che per molti potrebbe essere talento sprecato fare delle canzoni su simili argomenti. Ma il mio talento è fare brani di quel tipo. Che poi, una canzone in cui non parlavo del mio uccello l’ho scritta, Me li presti due chili di culo [che potete ascoltare qui]. Diciamo che avevo deciso di cambiare parte del corpo.
Come scrivi una canzone?
Dipende. Ogni canzone viene su in maniera diversa. C’è stato un periodo in cui mettevo un block notes sul comodino, perché io anche mentre dormo penso. Mi viene in mente una battuta, allora la trascrivo. Mi viene in mente una situazione, la trascrivo. Sento qualcosa e lo trascrivo. Succede un fatto di cronaca interessante e lo trascrivo. E devo fare anche in fretta a finire la composizione, perché altrimenti quel fatto passa di moda e non se ne parla più. Quindi faccio così: a volte costruisco tutto il verso, o una strofa, intorno a una battuta unica, poi devo inventare una trama per giustificarli.
Come sono stati girati i video? Da chi sono stati costruiti e montati in quel modo?
Sono stati costruiti da me con gli altri miei collaboratori, come RIT Boy. Spesso ci ispiriamo a qualcosa. Cerchiamo di raccogliere tutto il materiale possibile, per poi riuscire a montare tre-quattro minuti di canzone con scene non noiose. Tanto, la gente ascolta e quello che vede vede. Il video passa in secondo piano.
Chiudiamo con questa domanda: l’accusa peggiore che ti sia stata rivolta e la tua risposta.
Eh accuse!… Per me non esiste né migliore né peggiore… Accuse non è che me ne abbiano fatte più di tanto, ma ho subito delle minacce…
Minacce? Di che natura?
Va beh… i soliti auguri simpatici di morte… e, infatti, forse sono morto a causa di queste minacce. Solo che non ho voluto dare a questa gente la soddisfazione di morire per troppo tempo e sono rinato perché, prima che muoiano, queste facce da cazzo, mi dovranno rivedere. Che si coddino!
Matteo Fais
Il ritorno del cavallo vivente, l’ultimo singolo di MC Cavallo, potete ascoltarlo qui.
L'articolo “Sono tornato dall’inferno, scavalcando il cancello, e mo’ vi coddo tutti”: MC Cavallo, l’unico cantante risorto dalla morte, dialoga con Matteo Fais proviene da Pangea.
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