#ma a chi lo stai dicendo esattamente
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Leggere le dichiarazioni del pelato la mattina dopo mi irrita di più che leggere libero o il giornale
#ci vuole questo e ci vuole quello#ma a chi lo stai dicendo esattamente#sei tu l'allenatore cristo#dici le stesse cazzate da 2 anni#e puntualmente vediamo gli stessi disastri#poi ogni tanto ti dice culo e ti salvi#BASTAAAAAA#ac milan
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HO IL CUORE CHIUSO?
Essere scollegati dal qui è ora porta come conseguenza l’essere scollegati dal cuore.
Ma anche dal corpo. Come ben sappiamo il piacere passa anche nel corpo sotto forma di sensazione.
Quindi se c’è una frattura tra corpo e mente, non senti l’amore, anche se qualcuno lo condivide con te.
Tengo a precisare che essere scollegati dalla gioia e dalla vitalità, non vuol dire che tu non le abbia, ma semplicemente che non riesci a sentirle.
Non riesci né a dare né a ricevere.
È come se chiudessi le persiane e dicessi che non c’è luce dando la colpa al sole.
Il cuore è chiuso e con un cuore chiuso, l’amore non entra e non esce.
E, ovviamente, non sentendo niente uno cosa fa?
Semplice, chiede agli altri di amarlo.
Ma dimentica un fatto importante:
Un cuore chiuso non è nemmeno in grado di percepire l'amore che gli viene donato.
Questo è il paradosso.
Infatti, se il tuo cuore è chiuso, potrebbe venire anche il padre eterno e condividere tutto il suo amore con te, potrebbe colmare tutte le tue aspettative, potrebbe darti tutte le attenzioni che desideri, e tu?
Tu non lo sentiresti comunque…
Non riusciresti a riconoscerlo quell’amore, perché non sai cos’è, non l’hai mai sperimentato.
E continueresti a chiedere, continueresti a soffermarti su ciò che non hai ricevuto, continueresti ad avere dubbi che ti ami davvero.
ma se non proviamo realmente amore né per noi stessi nè per gli altri, cosa proviamo allora?
Proviamo solo emozioni. Appunto.
Ecco perché bramiamo emozioni travolgenti e attenzioni assidue…
Ecco perché abbiamo così bisogno di stimoli emotivi e sensoriali intensi.
Per sentire qualcosa. Perché non siamo in amore.
Più non senti la tua anima, più chiederai agli altri di provocarti emozioni per farti sentire vivo.
Questo è il fatto.
Quando il cuore è chiuso e siamo tagliati fuori dall'amore, non rimane che da viverci quelle forti emozioni che subentrano quando ci accorgiamo che qualcuno sia interessato a noi.
Questo bisogno cronico di eccitazione, di farti travolgere dalla passione o semplicemente di sentirti al sicuro con qualcuno che si prende cura di te, con qualcuno che c’è è direttamente proporzionale a quanto il tuo cuore è chiuso e non riesci a percepire amore in te stesso e per te stesso.
Osserva che, in una coppia, quando uno si lamenta che l’altro non gli dà abbastanza attenzioni, non lo fa stare bene, gli sta dicendo: “Tu non mi generi abbastanza emozioni, abbastanza piacere”.
Sta cercando solo quello, sta cercando qualcuno che gli provochi emozioni.
Solo chi è "sordo" ti chiede di "urlare" perché non sente niente.
Dunque, se hai bisogno che qualcuno ti faccia stare bene in una relazione significa che non c’è amore.
Vivi attraverso quella persona, vivi in reazione. Nelle reazioni meccaniche emotive.
Stai usando una persona per stare bene ed essere felice.
E questo significa… sì, che tu stai male.
Mi chiedo cosa porti, esattamente, nella relazione in questo caso.
Cosa condividiamo se chiediamo e basta?
Andiamo in cerca di un collegamento esterno con le altre persone, essendo scollegati dentro.
Ma prima di tutto, si deve essere collegati dentro, poi, ci si può collegare fuori.
Vorrei che ti fermassi a osservare come ti senti dopo che prosciughi la tua energia per ammaliare, eccitare e stupire continuamente; per riuscire ad apparire sempre più interessante agli occhi degli altri, perché poi quell’interesse va mantenuto.
Considera che con il cuore chiuso, uno si sente riconosciuto e confermato solo quando riesce a strappare dell'energia-attenzione a qualcuno, usando tutti i trucchi che conosce.
A muoverlo sono i suoi bisogni irrisolti che non gli concedono mai delle tregue, mai un attimo di riposo, loro pretendono di essere soddisfatti e subito.
Troppe volte la nostra vita non è che un lungo lamento, una continua gara tra ego che cercano di ottenere la maggior quantità di attenzione possibile, fino alla fine.
E che cosa non si farebbe, pur di non dover affrontare e risolvere una volta per tutte, la nostra paura della solitudine, soprattutto se combinata con un profondo senso d'inadeguatezza…
Ma comprendi che non sarà certamente l'attenzione altrui ad aprirci il cuore. Non È cosi che funziona.
Serve smettere di chiedere attenzione, riconoscimento e approvazione agli altri e iniziare a rivolgere quel po' di attenzione che abbiamo su noi stessi, al nostro interno, risvegliando così il cuore e tutto l'amore sepolto che si è sempre trovato lì...nel centro del cuore spirituale di ognuno di noi.
Il viaggio è dentro.
Poi fuori, una volta risvegliato il cuore.
Ricorda che tutte le emozioni in una condizione di "sonno" e di "frammentazione interiore", diventano veleno per l'anima.
Ti legano i polsi, quando l'amore ti farebbe crescere le ali.
ROBERTO POTOCNIAK
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[✎ ITA] Weverse Magazine : Intervista - JungKook: “Un po' sto cambiando” | 20.07.23⠸
🌟 Weverse Magazine 🗞
Jung Kook: “Un po' sto cambiando”
__ Intervista per il rilascio del singolo di debutto solista di Jungkook, “Seven” __
__ di KANG MYEONGSEOK | 20. 07. 2023
Twitter | Orig. KOR | 📸 Foto
Sono 10 anni che è un membro dei BTS. Ora, JungKook sta attraversando i più grandi cambiamenti della sua vita.
Ultimamente, fai spesso lunghe dirette Weverse, in piena notte.
JungKook: In passato, ero abituato ad avvertire la casa discografica prima di fare una diretta e prepararmi, ma una volta ho provato semplicemente ad accendere il telefono e fare per conto mio. Da quel momento, attacco semplicemente la live quando mi sento in vena di compagnia.
Una volta, ti sei pure addormentato di fronte alle/i fan (ride).
JungKook: Quello è perché ogni giorno che passa cerco di ridurre tutto sempre più all'essenziale. Non sto a riflettere troppo sulle cose. Semplicemente, ecco.. resto sull'informale e condivido che cosa sto facendo o cosa succede nella mia vita.
Trovo incredibile che tu riesca a mostrarti esattamente per quello che sei, anche se, dopotutto, sei un membro dei BTS.
JungKook: Sa, incontro sempre tante persone, quando lavoro con il gruppo, che sia una cosa intenzionale o no. In passato ero solito tornare a casa e riposare, subito dopo lavoro, ma ultimamente non è più così, mi sento un po' alla deriva. Me la sono sempre presa con comodo, ma ora voglio stare in compagnia – tipo, passare del tempo con i membri o altre persone. Voglio sentire cos'hanno da raccontare.
È stato buffo vederti, diciamo, camminare sul filo del rasoio mentre facevi allusioni qui e là a “Seven (feat. Latto)”, come quando hai detto “in agenzia andranno fuori di testa”, se ne avessi parlato. Sei semplicemente rimasto sul vago, senza mai esagerare.
JungKook: Credo di poter essere veramente me stesso solo con l'onestà. In un certo senso, sto cambiando. Ora so di dover fare ciò che voglio come voglio. Se faccio le cose come si deve, molte più persone riusciranno ad accettarmi e a capirmi, permettendomi di essere più aperto riguardo chi sono veramente.
Penso questo significhi che stai prendendo più confidenza nel decidere cosa è appropriato e cosa no. E immagino sia lo stesso approccio che usi anche sul lavoro.
JungKook: Esatto. Sono sempre stato il più giovane del gruppo. Ora sto per rilasciare una mia canzone solista. Lavorare da solo è piuttosto diverso. Credo il mio senso di responsabilità, il mio modo di interagire con il prossimo ed il mio modo di pensare siano cambiati. Ci sono molte decisioni da prendere, che non posso limitarmi a schivare dicendo, “Ah, non saprei”. Non sono mai stato il primo a dire la mia, nel gruppo, ma ora ci sono tante cose da fare e di cui mi posso occupare. Credo, di conseguenza, questi cambiamenti siano stati inevitabili.
Ci saranno state anche occasioni, come ad esempio riunioni con lo staff, in cui tuttə ti guardavano con aspettativa.
JungKook: A volte, in momenti simili, avverto il peso delle responsabilità. Ma non è che sono cambiato completamente rispetto a quello che ero prima. Alla fin fine, continuo sempre a fare affidamento sullo staff (ride). Ma credo di aver deciso che non devo dare nulla per scontato o adagiarmi. Vorrei sempre poter lasciare fare allo staff, perché sono tuttə verə professionistə nei loro rispettivi campi, ma capita comunque spesso che io prenda l'iniziativa su cose per cui ho idee e, per il resto, cerco di fare del mio meglio con ciò che lo staff ha preparato per me. Io sono un ballerino ed un cantante—non sono un grandissimo esperto di affari ed aziende. Però è il mio lavoro, quindi cerco di dare loro alcuni spunti e poi, in pratica, cerco di essere flessibile e di adattarmi a seconda della situazione, diciamo? (ride). So che non sarei in grado di occuparmi di tutto, dall'inizio alla fine, e di dire alle altre persone cosa fare, ma non è neppure ciò che desidero. Credo il concetto sia... dare ognuno il meglio di sé e poi lasciare che le cose si incastrino a dovere.
Non è affatto facile mettere tuttə d'accordo.
JungKook: No, davvero. Forse dovrei trovare un modo per venirci incontro... Non saprei (ride). Credo il punto sia riuscire a mantenere un equilibrio tra dare il meglio di sé e prendere ciò che ci viene offerto, pur con i dovuti riconoscimenti per il lavoro del prossimo.
Hai detto qualcosa di simile anche durante una tua recente diretta Weverse: “Semplicemente, ho intenzione di fidarmi del mio istinto e continuare così anche in futuro... Non è detto che questo approccio non risulti in un fallimento, ma voglio fidarmi di me stesso.”
Mi sembra, dunque, che il tuo piano sia lavorare bene con gli/le altrə, pur perseguendo i tuoi obiettivi e facendo affidamento su te stesso e il tuo istinto.
JungKook: Esatto.
E dove ti sta conducendo il tuo istinto, sotto il punto di vista artistico?
JungKook: È tutto ancora piuttosto vago. Io, ecco … ho solo questo grande obiettivo di base, ovvero diventare una grandissima star del pop. Non mi preoccupa quale concept proverò in futuro o nulla del genere. Non ho pianificato in anticipo neppure “Seven”—semplicemente, Bang Si-hyuk PD-nim me l'ha fatta ascoltare, e l'ho trovata talmente bella che ho subito detto, “Oh, voglio assolutamente lavorarci.” Una volta deciso di procedere con “Seven”, ho iniziato a pensare alle promozioni che avrei potuto fare. E anche quello è stato tutto frutto del mio istinto. È così per tutti, però, sa? Basta sentire una canzone e poi, Woah... Questa è proprio bella! (ride) E la cosa fantastica è che non importa di che genere sia un brano—se una traccia è bella, è bella. Ovviamente, può anche succedere che io rilasci una canzone unicamente per gusto personale e poi questa non abbia chissà quale riscontro di pubblico, ma finora non è ancora mai successo. Sì, credo questo sia sempre stato il mio stile di vita. Credo di esser diventato più attento e sistematico nel seguire il mio istinto, mentre in passato quello stesso istinto non aveva basi altrettanto solide, ero ancora un novellino. Quindi, sì, voglio fare ciò che mi ispira, senza stare a pensarci troppo.
In che senso una grandissima star del pop? Tu sei già una grandissima star del pop, no? (ride).
JungKook: No. Io non la vedo così. Ma immagino sia tutto frutto della mia ambizione—del desiderio di essere ancor più apprezzato e diventare sempre più bravo. In una parola: figo. Ecco perché sto facendo tutto questo. Vorrei diventare quel tipo di pop star un giorno—vorrei poter davvero toccare con mano ciò che si prova. Spero prima o poi arriverà il giorno in cui potrò guardarmi dall'esterno e riconoscere di avercela fatta. Quando ci riuscirò, saprò d'essere diventato quel tipo di stella del pop.
La tua esibizione di “Dreamers” alla cerimonia d'apertura della Coppa del Mondo in Qatar non si è forse avvicinata a quel tipo di sensazione?
JungKook: Credo che, in un certo senso, anche quella sia stata questione di istinto. I Mondiali di Calcio sono stati un'altra grandissima opportunità. Quando me l'hanno proposto, mi son detto “Non c'è alcun motivo per rifiutare”, ma vorrei aver fatto un'esibizione migliore, con “Dreamers”. Al pubblico è piaciuta, ma mi chiedo se non avrei potuto fare di meglio.
Nel video dei retroscena, hai detto: “Come ormai saprete tuttə, non sono mai soddisfatto al 100%, quindi non lo sono neppure ora; ma, ad ogni modo, non ho fatto errori e penso sia andata abbastanza bene.” La nostra impressione, però, è che tu ti eserciti sempre sodo e poi, sul palco, fai un ottimo lavoro (ride).
JungKook: Sotto quell'aspetto, sono cambiato molto, rispetto a prima. In passato, se commettevo errori, mi lasciavo scoraggiare e non facevo che torturarmi a riguardo, mentre ora se faccio qualcosa di sbagliato, mi limito a dirmi di fare meglio e continuo ad esercitarmi. Ho iniziato a prendere le cose con più semplicità e calma. Anche quando si sbaglia, non lo si può che accettare: in fondo, “Tuttə commettiamo errori, io non sono da meno”. Ecco perché continuo a cercare di fare del mio meglio.
Che cosa significa, per te, fare del tuo meglio sul palco?
JungKook:Voglio riuscire a diventare molto più naturale. Ho già sviluppato diverse brutte abitudini e la cosa non mi piace. Non voglio che i miei movimenti siano limitati in alcun modo. Preferirei che ogni mia mossa fosse diversa ed unica, anche quando i passi e la coreografia sono simili, invece di essere perfetto e preciso sul dettaglio. Spero di riuscire a dare quell'impressione di naturalezza.
E pensi che la tua performance di “Seven” rispecchi quel tipo di approccio? Non mi sembra poi così carica di tecnicismi o movimenti complessi—anzi, con i tuoi passi e gesti puliti riesci a catturarvi al meglio l'atmosfera generale della canzone.
JungKook: Mi piace che il tutto sembri naturale e volevo provare qualcosa di più rilassato. Ho scelto questa coreografia dopo aver visionato varie proposte. Volevo la performance fosse un goccio più leggera. Desideravo mostrare in che modo sono cambiato. Ma, allo stesso tempo, ho voluto comunque incorporare alcune parti più toste così che la gente, vedendo l'esibizione, pensasse “ma guarda un po' questo!” (ride).
Hai appena descritto “Seven” come leggera. È piuttosto diversa dai brani dei BTS e dalle tue altre canzoni soliste. Com'è stato esprimere qualcosa di così distante da ciò che hai fatto in precedenza?
JungKook: È stato bello. Semplicemente, mi ci sono lanciato. Non sono stato troppo a pensarci. Fallo e basta (ride).
Anche il tuo stile canoro è molto diverso. Non hai usato una voce graffiante o il vibrato, risultando così in uno stile pop leggero ed elegante. Come mai questo tipo di approccio?
JungKook: Prima delle registrazioni, si ascolta la versione demo. È in quella fase che rifletto su quali parti ho bisogno di aiuto, cosa potrei aggiungere e cosa togliere, e solo dopo registro. Sta tutto nel fare mia la canzone, e quando il sound è buono, sono soddisfatto. Nulla di sgradevole; nulla di troppo eccessivo. Solitamente, quando registro, trovo con naturalezza l'atmosfera adatta ad ogni brano. Per quanto riguarda il canto, se c'è qualche parte tecnicamente complessa ovviamente mi trovo un po' in difficoltà nel decidere come dovrei cantarla, ma alla fine riesco sempre a rendere mia la canzone. E credo di essere migliorato piuttosto velocemente, durante le registrazioni di quest'ultimo singolo. Credo di aver imparato molto cantando in inglese. Ora so come suono quando uso l'inglese e ho capito come cantarlo.
È c'è un qualche motivo specifico per questo cambio di stile?
JungKook: Innanzi tutto, è più divertente. Ho provato a cambiare anche il mio modo di registrare: Ogni tentativo, cantavo la traccia per intero, dall'inizio alla fine, e mi è stato molto d'aiuto. Poi il produttore ha sentito una di queste registrazioni e fa, “Oh, credo sia quella buona” ed abbiamo continuato da lì. Mi ha reso molto felice. Non dovevo far altro che cantare. Se qualcosa veniva bene, era approvato, altrimenti riprovavo. E quando si è trattato di registrare il ritornello, l'ho cantato subito, in un solo tentativo. Mi è piaciuto molto questo tipo di processo più rapido ed immediato.
Non deve essere stato semplice, con tutte quelle note alte da raggiungere senza tecniche specifiche. Questo mi ha fatto riflettere, sei proprio un cantante dai tanti talenti naturali. Ti piacerebbe provare altri stili canori?
JungKook: Beh, certo non posso dire l'idea non mi stuzzichi. Voglio usare la mia voce nel maggior numero di modi e stili possibile. È proprio per questo che trovo sia utile canticchiare seguendo i brani di altrə artistə. Credo sia sempre un bene provare cose nuove, anche se ciò significasse non seguire le norme ed i tecnicismi prefissati. Ciò che può apparire sbagliato, potrebbe anche rivelarsi giusto alla fine. Ma non posso neppure rinunciare a ciò che mi rende unico, quindi so che è importante trovare un mio stile e voce personali. Ci sono cose che potrò imparare solo eseguendo “Seven” dal vivo, quindi non mi resta che aspettare che la canzone sia rilasciata per salire sul palco e valutare quali saranno le reazioni, così da capire quale direzione imboccare per il futuro.
Nel testo di “Seven” c'è un verso che dice “È come se tu avessi tutto il mondo sulle spalle.” Immagino descriva perfettamente com'è essere un membro dei BTS. Cosa provi ora che devi esibirti da solo?
JungKook: Mi sento più sotto pressione rispetto a quando sono insieme al gruppo. Ma credo anche il mio modo di affrontare la cosa sia cambiato, visto quanto è mutata anche la mia personalità. Che cosa ha causato questo cambiamento? Probabilmente solo il tempo (ride).
E cosa credi ti abbia portato a cambiare così?
JungKook: Mi sono chiesto perché la gente mi ama e queste riflessioni mi hanno portato all'accettazione del fatto che ci sarà pure una buona ragione per tutto questo amore, anche se non ho ancora capito quale sia. Ciò che conta è che sono riuscito, quanto meno, ad accettare questo amore. E poi, durante una diretta Weverse, ho chiesto: Perché vi piacciamo?
“Perché ci sostenete?”, è questo ciò che hai chiesto.
JungKook: Già. Credo, da allora, di essere cambiato parecchio. Imparando, mano a mano, ad accettarmi, ho capito che non c'è bisogno io sia sempre così riservato e timido.
L'impressione è che tu sia felice di questo amore, ma che, al contempo, tu avverta un maggiore senso di responsabilità.
JungKook: È proprio quell'aspetto ad essere diverso. In passato, credevo di dovermi sforzare e fare sempre meglio—che dovessi farlo per meritarmi attenzioni e riconoscimenti. Mentre ora è l'opposto. So che la gente mi ama e mi vuole bene, quindi ci tengo a mostrare loro il meglio di me. Voglio continuare a lavorare sodo per poter presentare loro sempre cose nuove.
E le donazioni che hai fatto hanno forse qualcosa a che vedere con questa filosofia? Parlo, ad esempio, di quella da un miliardo di won in favore dell'Ospedale Infantile della Seoul National University.
JungKook: Mi fa star bene. Ne sono davvero molto felice. Ultimamente, penso spesso ai bambini più bisognosi, quindi ho voluto dare il mio supporto all'ospedale infantile affinché potesse godere di maggiori risorse e provvedere a costruire nuove strutture. Sono davvero felice e soddisfatto di questa mia iniziativa.
Credo un altro aspetto dell'essere una persona responsabile sia avere cura di sé. Ho notato che stai attento a quanto mangi, quando sei in diretta Weverse. Sono rimasto piuttosto colpito dal tuo autocontrollo anche quando si tratta di un semplice spuntino notturno.
JungKook: Anche se può sembrare io faccia le cose di impulso o sia una persona spontanea e semplice, rimugino costantemente su un sacco di pensieri e riflessioni complessi, tra me e me.
Mi chiedo se sia quello il motivo per cui sei solito cercare la compagnia delle/i fan su Weverse Live quando è notte. Sembri fare tutto ciò che ti passa per la mente, ma sei sempre comunque attento a ciò che devi o non devi fare, ed è per quello, credo, che riesci ad essere così naturale con le/i fan. Anche se sei in diretta Weverse, ti trovi a tuo agio ad allenarti, a cucinare e persino a piegare la biancheria (ride).
JungKook:Non credo di essermi ancora sciolto completamente, ma mi sento un po' più libero – sia dentro che fuori. Questo sono io. Sono semplicemente me stesso. È così che voglio e dovrei vivere. Semplicemente vivere.
Da quant'è che ti sei appassionato alla cucina? Ciò che hai preparato in diretta Weverse è pure entrato in tendenza.
JungKook: Guardo video su YouTube e provo a replicare ciò che sembra appetitoso. Semplicemente, vedo una ricetta su YouTube e mi dico, potrei provarla. È diventata un'abitudine, quindi ora mi chiedo cose tipo, Cosa posso mangiare, domani? Cosa potrei cucinare? Se preparo una data pietanza e viene bene, la cucino anche il giorno successivo. Solitamente seguo le ricette, se ho tutti gli ingredienti, bene, ma a volte mi manca qualcosa, in tal caso capita che provi con ingredienti che non sono affatto previsti. È divertente sperimentare con questo e quello e potrebbe anche uscirne qualcosa di buono.
Ed è così che è nata anche la tua ricetta per i mak-guksu [*tagliolini di grano saraceno in brodo freddo] con la gustosa salsa a base di maionese piccante e olio di perilla, di cui hai parlato su Weverse? Non è un mix poi così scontato.
JungKook: Beh, credo di averli preparati tipo tre volte? Mi piaceva la salsa (ride). Mi sono sempre piaciuti i mak-guksu con il buon vecchio olio di perilla, la ricetta tradizionale: gustosi, non troppo salati e solo leggermente oleosi. E poi mi sono chiesto, e se fossero piccanti? E ancora, Che cosa c'è di piccante? La [salsa] Buldak. Li ho provati con la sola salsa di soia e quella buldak, ma era ancora un po' debole. Volevo fosse un sugo più spesso e cremoso, quindi ci ho aggiunto del latte e della maionese. Ma, mmh... mancava ancora qualcosa. Quindi mi son detto, proviamo ad aggiungere della maionese buldak [*piccante]. Il latte l'aveva resa un po' troppo liquida, quindi vai di tuorlo d'uovo. E aggiungiamo dell'aglio e delle cipolle triturati per inspessirla un po'. Quando ho finito di prepararla, la salsa è risultata deliziosa. Per quanto riguarda la salsa di soia, a volte uso quella normale, altre provo con quella fermentata, ma quella tradizionale è più buona. La salsa Tsuyu va benissimo, quando volete una base di sola salsa di soia, ma se ci aggiungete la buldak, è meglio la salsa di soia normale. E poi c'è la salsa cham. Quella sì che fa la differenza (ride).
In previsione di quest'intervista, ho provato a prepararla come spuntino di mezzanotte, e ad aggiungere un che di piccante al mix dolce-salato, oltre ad un pizzico di acidulo, ed è una ricetta che si lascia proprio mangiare, non se n'è mai stufi. La consistenza dei tagliolini era davvero ottima e, mentre li assaporavo, mi son detto che devi proprio essertela studiata a fondo, per ideare una salsa simile.
JungKook: Esatto, proprio così (ride). A volte preparo semplicemente qualcosa così, di fretta, ma quando ho voglia, mi ci metto di impegno. Ci vuole parecchio tempo per ideare una ricetta per bene (ride).
Ciò significa anche che devi continuamente assaggiare ciò che stai preparando, giusto? Per assicurarti di ottenere il risultato desiderato.
JungKook: Cioè, vorrei che almeno si avvicinasse al risultato desiderato. Ma credo di esserci andato piuttosto vicino. Ragazzə, mi raccomando, assaggiate ogni ingrediente, man mano che proseguite con la ricetta. Così facendo, potrete rendervi conto di che gusto avrà il piatto a seconda di ciò che aggiungete.
Dici che il tuo approccio è, tipo, “Ma sì, una ricetta da poco”, ma non è poi così semplice (ride).
JungKook: Restiamo sul semplice, sì, ma senza andare alla cieca (ride). Non è facile. Perché devo anche preparare la giusta porzione per una persona. Ma sono troppo pigro per entrare così in dettaglio, quindi mi assicuro semplicemente di preparare abbastanza salsa e, anche dovesse avanzare, non è un gran problema. E, in ogni caso, io non mangio solo una porzione. Ma sì, sono sempre alla ricerca di ispirazioni simili per rendere ciò che è complesso un po' più semplice.
È una filosofia che vale anche sul lavoro? Perché apparentemente stai sul semplice, ma in realtà sei molto attento ai dettagli e hai una visione chiara di ciò che vuoi ottenere.
JungKook: Sì, diciamo così (ride).
Allora, com'è tornare sul palco? [Nota: Quest'intervista si è tenuta il 6 luglio]
JungKook: Non vedo l'ora. È un nuovo inizio. Ma, proprio per questo, sono anche piuttosto agitato. Solo di quello sono sicuro, ora come ora..perché il mio progetto non è ancora stato rilasciato. Penso quando uscirà, potrò metabolizzare e valutare meglio il tutto (ride). Devo fare un tentativo, per esserne sicuro. Sono in quella fase in cui cerco di immaginare cosa proverò quando salirò sul palco. E sono agitato, ma anche molto emozionato.
Hai detto che il testo di “My You” è nato dalla domanda 'Cosa accadrebbe se tutto questo dovesse svanire? Se tutto non fosse che un sogno?'. Immagino. data la vita che hai condotto finora, sia normale fare questo tipo di riflessioni. Dopo il tuo debutto, 10 anni fa, sei diventato una star globale e ora stai per intraprendere la carriera solista.
JungKook: A volte ho proprio l'impressione la mia vita sia qualcosa di surreale. Talvolta, non mi sembra ancora possibile, cioè, “Sta succedendo davvero? Lo sto facendo davvero?”. È ciò che provavo quando ho scritto “My You”: E se nulla di tutto questo fosse reale?
Ed è per questo che pensavi alle/gli ARMY? “My You” è dedicata alle/i fan, dopotutto. Sono le persone che ti sono sempre accanto, nel corso di questa esistenza.
JungKook: Senza le/gli ARMY, la mia vita non avrebbe più alcun significato, ormai. Cioè, loro ci sono sempre per me. Ormai la sintonia che c'è tra le/gli ARMY ed io è quasi perfetta. Quando mi faccio una bevuta, non chiamo mai mia madre o mio padre per dire loro, “Sono a casa” (ride). Però lo faccio con le/gli ARMY. Questo è il tipo di persona che sono diventato. È una cosa del tutto naturale, per me. Vorrei semplicemente che fossimo quel qualcuno speciale le/gli unə per le/gli altrə.—nè più nè meno. Loro mi sostengono, quindi voglio potermi mostrare loro per quello che sono, e anche se concretamente siamo distanti, spero il sentimento condiviso sia uno di vicinanza, proprio come amici.
Quindi ora ti è un po' più chiaro il motivo per cui ti sostengono?
JungKook: Se penso a me stesso, a come sono, onestamente non riesco a capire. Non ho una grande stima di me. Perché sono così popolare? È solo perché la mia voce piace? O forse è per come ballo? Non riesco ancora a capirlo—perché tutte queste persone mi amano? Ma, beh, le/gli ARMY sanno apprezzarmi. Anche se non mi è ancora chiaro il perché, non posso ignorare il loro affetto. Quindi ho riflettuto, che senso ha che tutte queste persone mi apprezzino, se poi io non ho fiducia in me stesso? Credo sia quello il motivo del mio cambiamento. Però non ne sono ancora del tutto sicuro...
Però, se cerchi di sdebitarti e fare del tuo meglio, penso sia proprio perché sei consapevole di questo amore.
JungKook: Cioè.. Okay, sì, credo sia andata proprio così.
⠸ ita : © Seoul_ItalyBTS ⠸
#Seoul_ItalyBTS#Traduzione#TradITA#ITA#Intervista#BTS#방탄소년단#Jungkook#전정국#Jungkook_Seven#SEVEN#WeverseMagazine#KangMyeongSeok#200723
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È come i rigorini al napoli l'anno scorso, ce ne sono stati, ogni anno si sceglie chi sta simpatico e via
Peró diciamo che la falciata che fecero a belotti quando ancora stava al toro due anni fa e qualche sberlone di bastoni sparso qua e là che magicamente son sempre a posto. Ma a far dietrologie è facile alla fine
scusa ma stai davvero dicendo che secondo te l'anno scorso il napoli ha vinto lo scudetto PER I RIGORINI????? con 26 punti più della seconda e 77 gol fatti in 38 partite di cui solo 8 su rigore??? tutto bene???? e tra parentesi al napoli hanno dato 10 rigori esattamente come alla roma a al sassuolo. e comunque anon mi stai obbligando a difendere gli interisti sappi che se stasera mi restarà sullo stomaco la cena sarà per colpa tua
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EMISFERO DESTRO CHIAMA
L’AUTOCENSURA
Vorresti dire quello che pensi al tuo collega ma non lo fai perché temi la sua reazione, e in fondo non vuoi compromettere il rapporto, visto che ti tocca vederlo tutti i giorni.
Vorresti esprimere ciò che senti al tuo partner ma non lo fai perché hai paura di ferirlo, però permanere in quella condizione non fa star bene te.
Cosa fai per uscire dall’impasse? Niente. Soffochi te stesso e ti tieni tutto dentro perché non vuoi affrontare le conseguenze che potrebbero scaturire dalle tue parole.
Ti dirò una cosa: delle volte hai fatto bene, ad agire così. Sai perché? Perché se avessi vomitato addosso all’altro tutta la tua spazzatura emotiva, avresti fatto dei danni, sì.
Ma censurarsi a vita non è la soluzione.
Quindi che si fa? E’ semplice, perfino disarmante, e la riposta può dare enormemente fastidio. Chi è che prova quel disagio? Tu. Chi è che si innervosisce in un certo contesto lavorativo o personale? Tu. Chi è che prova il fastidio e ci rimugina su? Tu.
Quindi di chi è il problema? Tuo, non del tuo collega, non del tuo partner, non di tuo padre o tua madre.
Lo so, lo so, mi stai già mandando al diavolo, ma respira un momento, abbassa il pelo e ritira gli artigli: ti sto solo dicendo che tutta la carica emotiva che hai sviluppato è normalissima e comprensibile, ma non è funzionale. Che cosa vuoi, esattamente? Risolvere una situazione o scaraventarti contro l’altro? Sulla base di questa risposta si decide il da farsi. Quindi, se vuoi risolvere, per prima cosa devi alleggerire quel carico emotivo, devi ripulirti interiormente e porti in una condizione di maggior neutralità.
Capisco che la situazione ti tocca, ma lo fa perché rimandi e oramai sei saturo, dato che non ti sei deciso/a ad affrontarla prima. Quindi, anzitutto, via tutto quel fastidio, via il nervosismo, via l’insopportazione per amici, parenti & co. Dopodiché si passa all’azione.
Come si leva il fastidio? Io in seduta utilizzo delle tecniche di rilascio emozionale molto efficaci, così può succedere anche a te come ad Andrea, che è passato dall’avere un fastidio spropositato per un amico che aveva un certo comportamento ogni santa volta che si vedevano, ad essere totalmente indifferente all’idea di vederlo agire ancora così. Magia? No, pratiche sane che aiutano davvero.
Quindi il mio consiglio, se non vuoi fare un percorso con me, è: inizia ad alleggerire il carico, e se hai deciso di parlare alla persona in questione, prima di tutto utilizza il corpo ed elimina la tensione in eccesso, poi verbalizza tutti i vaffanculo che vorresti dire (ma fallo da solo in un bosco), poi impara ad essere consapevole della tua respirazione, ti aiuterà moltissimo. Da ultimo, visualizzati mentre riesci ad esporre le tue idee in maniera calma e centrata, e rivedi questo film finché non fila tutto liscio. Se ancora non basta, io sono qui.
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la risposta è molto semplice: hai davvero voglia di rapportartici?
perché se domani scoprissi che un mio amico è transfobo non credo lo terrei come tale e il motivo è molto semplice: nel 2024, con tutti i discorsi sia di basso che alto livello che si sono fatti e ancora di fanno per spiegare alla gente cosa sia la disforia di genere e la transessualità, il fatto che tu ritieni che l'autodeterminazione di una persona sia affare tuo, che sia contro natura, una malattia mentale e fai andare la bocca senza pensare a quantepersone stai ferendo e non hai voglia di cambiare un tuo preconcetto imbarazzantemente chiuso sul mondo, beh, sei un pezzo di merda privo di empatia e non ti voglio nella mia vita.
che poi, che razza di sforzo sarebbe, sentiamo.
il ricordarsi di usare pronomi e nomi diversi? che non possono più fare con lei le solite battute cialtrone da maschi? che ha delle belle gambe e quella parte ancestrale del loro cervello glie lo fa notare? che avevi una cotta e ora non ci puoi più fantasticare? no, sul serio, qual è il problema? spiegatemelo, perché io sono autistica e faccio molta fatica a cambiare i miei preconcetti forse anche più di altre persone, ma sulle questioni LGBTQA+ il mio cervello non ha mai battuto ciglio e arrivo dalla montagna profonda, dove fino a che non sono andata all'università le uniche volte che si nominavano gli omossessuali era per usarli come insulto.
e va bene che non sono stupida, ma non ti serve essere intelligente per accettare qualcuno, ti serve solo ed esclusivamente empatia.
se l'empatia di qualcuno è così bassa che non riesce nemmeno per un istante (voglio proprio conoscerla la persona che tra pubertà e adolescenza non si è mai fatta venire dubbi nemmeno per tre secondi sul proprio corpo e identià) a cercare di capire che queste persone vogliono solo essere se stesse e riconosciute come tali, che la loro felicità è più importante del fatto che tu debba cambiare nome a un volto, etc beh, le domande se le devono fare su se stessi, non su chi, pur di essere se stesso, si è messo sotto i riflettori "morali" di società e burocrazia.
non ti sto dicendo di abbandonare che ne so, i tuoi genitori (caso estremo eh), ma metti dei paletti belli rigidi verso le persone che non puoi/vuoi tagliare fuori dalla tua vita: non vuoi nemmeno cercare di capire Angela nonostante ne abbiamo parlato 800 volte? ok, di lei non si parla, mai, se lo fai io me ne vado e non mi senti per una settimana. e metti sempre ben in chiaro che tu supporti Angela, no matter what.
certo, dobbiamo sempre provare a cercare di portare il discorso di: "ma a te che ti cambia esattamente? devono solo essere felici con se stessi. non riesci a vedere il loro punto di vista?" perché essere un alleato significa comunque cercare di combattere le battaglie per rettificare la bigottaggine (non puoi sapere quale sarà il colpo di mazzuolo che farà finalmente crollare il loro muro di preconcetto, potrebbe essere il tuo o potresti essere l'ennesima crepa al loro fortino di paura), ma non accettare nella tua vita persone che non sono in grado di accettare altri solo perché non si sentono nati nel genere corretto.
perché è veramente una scusa di merda per odiare qualcuno.
(e chissà contro chi altri si potrebbero scagliare dopo, tra l'altro).
però tu sii gentile sempre. niente spezza una corazza di furore morale come qualcuno che, molto gentilmente e pacatamente, ti dice che non vali la pena di essere frequentato.
L'incoerenza di genere sfida la filosofia interpersonale
Post ad alto contenuto di imbarazzanti ovvietà da boomer e strafalcioni dettati da ignoranza becera dell'argomento riguardo i quali sono contento di discutere per saperne di più e per migliorarmi. Ne scrivo proprio per avere una discussione proficua. Abbiate pietà, sono nato e cresciuto negli anni ottanta del secolo scorso.
Seguitemi un attimo. Io sono Firewalker, ho una certa altezza, un certo peso, una certa capigliatura. Se cambio capigliatura, se ingrasso o dimagrisco, sono sempre Firewalker.
Ho avuto un incidente anni fa e ho cambiato il legamento crociato anteriore sinistro. Nonostante quel cambio, sono sempre io. Se perdo l'intera gamba continuo a essere io. Se perdo tutti gli arti sono comunque io. Se mi cambiano il cuore sono sempre io.
La leggenda vuole che ogni sette anni cambiamo tutte le cellule del nostro corpo (che poi dubito sia vera questa cosa, soprattutto per alcuni tipi di cellule, ma facciamo finta che). Comunque a 14 anni siamo sempre la stessa persona di quando avevamo 7 anni, giusto?
C'è una vecchia storiella che racconta che nel corso della manutenzione a una barca, questa piano piano vede sostituito tutto il suo legno con del legno nuovo.
E allora, quanti pezzi di me devo cambiare, quanto legno della barca devo sostituire, per fare sì che quella persona non sia più io, che quella barca non sia più la stessa barca?
Non so per le barche, ma la mia idea è che io risiedo nel mio cervello. Il mio cervello (la mia mente... la separazione tra cervello e mente è un altro paio di maniche. Per me sono la stessa cosa, facciamo finta che sia così per tutti per semplicità di discussione) decide come mi muovo, cosa faccio, come reagisco, decide il mio carattere, decide i miei interessi, decide le mie passioni, i miei amori, le mie antipatie. Io sono il mio cervello.
Probabilmente, se guardiamo la questione in maniera egoriferita, è lapalissiano, ed è per tutti così. Il problema è quando guardiamo gli altri. Se io conosco Marco, lo conosco con la sua altezza, col suo peso, con la sua capigliatura, oltre che con i suoi modi di fare e con i suoi interessi. Lo riconosco per il suo aspetto, e magari ho piacere a stare con lui per il suo cervello, ma non è quello che mi indica la sua identità, non è quello che me lo fa riconoscere. Per me Marco è un corpo esterno da me, per Marco lui è il suo cervello.
Ecco il punto del discorso.
Ci vuole un salto qualitativo da parte mia per riconoscere che Marco non è il suo braccio o il suo collo messi insieme a tutto il resto. Marco è il suo cervello. Questo salto qualitativo non è fatto da tutti, forse perché non ci pensano, forse perché non sono d'accordo con la mia affermazione "è così per tutti", ci hanno ragionato sopra e per loro ha importanza anche la corporeità. Forse è un problema culturale (inteso proprio come conoscenze delle varie sfaccettature di questo argomento).
Il fatto è che se Marco ha una incoerenza di genere e il suo cervello gli dice di essere Angela, ecco che potrebbe non accettare più le parti del corpo che ha, perché vive la sua realtà, il suo cervello, non è allineato. Qui si sfocia nella disforia di genere, che è un malessere generato da questa incoerenza di genere.
In qualunque modo la viva Angela, il fatto è che non vive da sola. È circondata da persone che gli dicono che si chiama Marco, che ha il corpo di Marco, e che magari non accetta il fatto che sia Angela a "pilotare" il corpo che vedono.
Gli altri devono far caso al fatto che Angela non è il suo corpo, ma il suo cervello. Devono improntare il rapporto con gli altri ad un livello superiore per poter notare questa cosa e, come detto, non tutti lo fanno. Anzi, per molti non è pensabile che Angela esista, esiste solo Marco, che è quello che loro vedono. E se Marco dice di essere Angela, allora ha un problema mentale (per alcuni è il demonio, per altri è una moda...), perché non è possibile che non si accorga di essere Marco, deve fare finta per forza.
Senza contare poi che, magari, la situazione è anche più complicata. Me li immagino pensare "sei Marco, cosa significa che non ti senti ne maschio né femmina?"
Non ho ancora trovato il modo migliore per rapportarmi con queste persone (quelle che non riconoscono Angela), so solo che la divulgazione è spesso osteggiata o marginalizzata in settori di nicchia, perché per capire certe cose (anche solo vagamente, come penso e spero di fare io) bisogna sbatterci la testa contro più e più volte, e non tutti c'hanno voglia di faticare su questo.
#va da se che se non hai le energie per discutere quella o altre 8000 volte#voltarsi e andarsene senza una parola è lecito
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IL BAMBINO PIANGENTE
Più procedo in questa strana vita e meno riesco a trovare colpevoli.
Semmai posso incontrare persone che non mi piacciono ma sapete com’è, se avessimo una moneta per tutte le volte che qualcosa o qualcuno non si è allineato ai nostri pregiati ed elitari gusti, la Zecca di Stato stamperebbe banconote con sopra scritto ESTICAZZI.
Una cosa, però, queste persone mi hanno svelato.
In un certo momento della loro vita hanno avuto bisogno di un’inclusione che è stata loro negata.
Ditemi, a livello anagrafico, qual è esattamente l’età che distingue le responsabilità di un individuo a cui è stato fatto del male da un individuo che fa del male?
Il bambino vittima di abusi (anche psicologici... quindi la maggior parte dei bambini) non è responsabile degli effetti che questo rinforzo negativo scatena in lui ma allora quand’è che un individuo è accusabile di comportamenti devianti dalla norma cioè di ‘fare del male’?
A 18 anni?
60 anni fa a 18 anni ti stavi già spaccando la schiena in fabbrica o nei campi e se non avevi un figlio lo stavi comunque mettendo in cantiere. Oggi a 18 anni stai copiando su internet la tesina per la maturità e ti lamenti della paghetta che ti danno i genitori. L’età anagrafica è contestuale ai tempi.
Con l’età della ragione?
Attenzione ché qua nelle Paludi della Tristezza rischiamo di farci affondare un maneggio intero, perché sfido chiunque di voi a trovare un parametro con il quale distinguere la persona che compie il male in modo consapevole da quella che lo fa in modo incolpevole, spinta da condizionamenti passati. E comunque il concetto di ‘ragione’, inteso come la capacità di distinguere il bene dal male, è uno slippery slope su cui giurisprudenza e sociologia passano il tempo ad accapigliarsi e a rotolare.
Non che io faccia chissà quale testo ma se nei miei quasi 50 anni di vita ho avuto modo di collezionare un gran numero di teste di cazzo, in questi ultimi 25 anni ho parimenti avuto l’occasione di vedere come ci si diventi una presunta testa di cazzo, dalla nascita passando per l’infanzia e l’adolescenza fino ad arrivare a... ehm... all’età della ragione?
La ragione è troppo spesso sopravvalutata, o meglio, ne sono sopravvalutati i meccanismi con cui si vorrebbe pretendere che una persona prendesse improvvisamente consapevolezza di sé e dei suoi comportamenti ‘sbagliati’.
Ancor meno efficace è la ragione usata per auto-comprendere la psiche e la sfera emotiva.
Se funzionasse così, basterebbe una sola seduta da uno psicologo che ti dicesse cosa c’è di ‘giusto’ o ‘sbagliato’ per recuperare il proprio benessere psico-fisico... e invece è un percorso che parte dal passo più difficile: accettare di avere qualcosa che non si ha e chiedere aiuto.
La cosa divertente (ma manco per il cazzo) è che uno immagina una classica richiesta di aiuto fatta con la consapevolezza della mancanza, quando invece siamo circondati da persone che te lo chiedono nei modi più disparati: urlandoti contro, appiccicandosi a te, insultandoti, adulandoti, infastidendoti e ignorandoti.
Ma tutti quanti ti stanno dicendo una sola cosa: CI SONO! SONO QUA! ESISTO! GUARDAMI!
Ora, le persone non sono state create appositamente per darvi noia ma nemmeno voi per stare al mondo come agnelli sacrificali che lavano i peccati del suddetto, però sarebbe una gran bella cosa che ogni tanto vi fermaste a guardare dietro la persona da voi tanto odiata e disprezzata, perché potreste vedere un bambino piangente tanto simile ai voi di un tempo... un bambino che a differenza di voi, però, non ha avuto l’aiuto di una mano tesa o di un abbraccio che invece per voi hanno fatto la differenza.
Questo è il motivo per cui di fronte all’odio non riesco più a odiare ma solo a provare una profonda tristezza per chi non è riuscito e non riesce a dare o ricevere quell’abbraccio.
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E che cosa mi diresti se io ti dicessi che, adesso, tu non sei tu? Che i tuoi piedi vengono trascinati da quelli di un'altra persona, che ogni mattina qualcuno si alza al posto tuo mentre tu, proprio tu, rimani in quel letto, a dormire, a sognare. Lasci fare il lavoro sporco a quel tuo riflesso, quello che ogni giorno vedi allo specchio. Vedi, non guardi, vedi qualcuno lì nel riflesso e ti chiedi chi sia, non ti riconosci. Poi, tutto a un tratto ti ricomponi, convinta di aver pensato ad una pazzia, che è logico che quella allo specchio sia tu, che stai solo delirando. Già sarà la stanchezza, saranno i mille impegni. E intanto, nella tua convinzione, ti inganni da sola, rimani nella cecità delle persone stolte che sanno ma fanno finta di non capire, nella loro innocenza di candida purezza. Chi sei veramente? Ora mi risponderai, guardandoti i palmi delle mani, di essere tu quella che sta parlando, di essere tu in carne ed ossa. Ti sbagli, quella non sei tu. Tu sei la tua ombra, sei la sostanza di ciò che non riesci a vedere, una sagoma oscura e impalpabile. Sei la scintilla dei tuoi occhi che non riesci a vedere, sei quella che sei dentro di te, e che rimane in silenzio mentre parli con gli altri. Sei ciò che non riesci a vedere, sei ciò che non riesci ad esternare. E ti senti in trappola, non sai chi sei perché non riesci a rapportarti con gli altri come vorresti, non ci riesci perché non sei tu quella che si rapporta, ma la tua figura. Un manichino che esgue alla lettera i gesti e le battute della tua testa, e tu rimani lì, nel più buio angolino, rinchiusa dentro di te, tacita e spenta. E ti chiedi cosa stai sbagliando, perché stai dicendo quello che dici, perché stai facendo quello che fai. Perché fai, fai senza sapere. Chi sei, veramente? Forse neanche tu lo sai, perché non ti riconosci nemmeno. Ti stupisci di te stessa, ti sbalordisci ai tuoi stessi occhi per le azioni che compi, e non sai se quei pensieri si celavano dentro di te da sempre, o se sono nati da un puro impulso inconscio. Ma tu, quindi, chi sei? Sei il tuo inconscio? Il riflesso di te che vedi allo specchio? La figura che gli altri vedono di te, e che tu stessa non riconosci? Sei i tuoi pensieri? Che pur essendo tuoi, mutano continuamente, si trasformano fino ad essere in conflitto fra loro? Sei i tuoi sentimenti? Sei ciò che vedi attraverso i tuoi occhi? Sei i tuoi sensi? Sei il tuo corpo o la tua anima? Ma quale anima esattamente? Quella che pensi di avere e che non conosci? Sei il tuo riflesso, la tua ombra? Una sostanza impercettibile, che non potrai mai comprendere?
Ciò che sei, solo tu puoi saperlo. Sei la sostanza che ti dai. Siamo ciò che crediamo di essere, il resto è solo ignoto.
-flusso di pensieri
@justredthoughts
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Sognatevi delle belle tette come quelle di rebecca ehhh
Ma esattamente a chi lo stai dicendo ahah
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𝚚𝚞𝚎𝚜𝚝𝚘 𝚎̀ 𝚌𝚒𝚘̀ 𝚌𝚑𝚎 𝚕𝚊𝚜𝚌𝚎𝚛𝚘 𝚜𝚞𝚕𝚕𝚊 𝚖𝚒𝚊 𝚜𝚌𝚛𝚒𝚟𝚊𝚗𝚒𝚊 𝚝𝚛𝚊 4 𝚊𝚗𝚗𝚒, 𝚗𝚘𝚗 𝚛𝚒𝚎𝚜𝚌𝚘 𝚙𝚒𝚞̀ 𝚊 𝚟𝚒𝚟𝚎𝚛𝚎 𝚌𝚘𝚗 𝚒 𝚖𝚒𝚎𝚒 𝚐𝚎𝚗𝚒𝚝𝚘𝚛𝚒 𝚍𝚎𝚟𝚘 𝚊𝚗𝚍𝚊𝚛𝚖𝚎𝚗𝚎 𝚟𝚘𝚛𝚛𝚎𝚒 𝚏𝚊𝚛l𝚘 𝚘𝚛𝚊 𝚖𝚊 𝚎́ 𝚝𝚛𝚘𝚙𝚙𝚘 𝚌𝚘𝚖𝚙𝚕𝚒𝚌𝚊𝚝𝚘, 𝚜𝚘𝚕𝚘 4 𝚊𝚗𝚗𝚒. 𝙳𝚊𝚒 𝚎𝚜𝚝𝚎𝚛 𝚑𝚊𝚒 𝚛𝚎𝚜𝚒𝚜𝚝𝚒𝚗𝚘 15 𝚊𝚗𝚗𝚒 𝚙𝚎𝚛 𝚊𝚕𝚝𝚛𝚒 4 𝚙𝚞𝚘𝚒 𝚏𝚊𝚛𝚌𝚎𝚕𝚊 𝚜𝚒𝚌𝚞𝚛𝚊𝚖𝚎𝚗𝚝𝚎.
LETTERA AI GENITORI:
Non sono mai stata brava a parlare. Mi blocco. Ho paura di dire la cosa sbagliata. Paura di PARLARVI dei miei sentimenti, di cosa provo e di come mi sento. E ci ho provato, ci ho provato veramente, ma senza alcun risultato, quando provo a parlarvi scoppio in un lago di lacrime e singhiozzi che non riesco a frenare o a trattenere bloccando anche il più piccolo suono che sarebbe potuto uscire dalla mia bocca. 19 anni. 19 anni e non siamo mai riusciti ad avere una conversazione seria, non sono mai riuscita a PARLARVI senza avere paura. perché? perché mi avete sempre giudicata e fatta sentire come la figlia peggiore del mondo, certo io ho sbagliato molte anzi moltissime volte e sbaglio e continueró a farlo perché come voi non siete i genitori perfetti IO non sono e non sarò mai la figlia perfetta che voi pretendete io sia cosa che al contrario di voi io non ho mai preteso ne da te papà ne da te mamma. Quindi scrivo. a scrivere mi sento più sicura di me e rifletto meglio sulle parole da usare, anche se verranno criticate ugualmente, come d'altronde ogni altra scelta o azione io abbia fatto nella mia vita. Avete preteso sempre la perfezione da me : quando sono arrivata all età giusta per iniziare a fare i servizi o lavare i piatti avete preteso le cose fatte in maniera perfetta con massima cura di ogni particolare anche se nessuno me lo aveva mai fatto vedere, soprattutto tu mamma mi facevi lavare quelle teglie unte di olio tantissime volte ma non venivano mai pulite " è possibile che non sei in grado di lavare una teglia?" mi urlasti, strattonandomi e strappandomi la spugna dalle mani rosse e cotte dall' acqua troppo calda, gettasti del detersivo all interno della teglia e senza Acqua iniziasti a fare movimenti circolari con la parte verde e ruvida della spugna mettendoci forza per sfogare il tuo nervosismo ai miei occhi insensato verso i miei confronti "se non mi insegni a farla una cosa come pretendi sia in grado di farla, non si nasce imparati" ti risposi " non sai mai fare nulla " . NON SAI FARE NULLA. un piccolo esempio, piccolo momento o ricordo che potrebbe essere usato come metafora verso il resto delle cose che io ho fatto, sia in casa che a scuola, sia con le parole che con le azioni, giudicata criticata "sei sempre la povera vittima" "poverina lei che non ha mai niente" " si è vero fai schifo" "mi deludi sei una merda" ripresa senza il minimo tatto.
Certo però ci sono stati tantissimi momenti straordinari vissuti con voi: le serie guardate insieme a mamma nel soggiorno, le risse ma soprattutto le risate con papà. Mi ricordo di quando da bambina facevamo gli ^ammazza zanzare^ o di quando giocavamo a nascondino, le estati passate al mare tutti i giorni e le vacanze e le serate fuori marconia, le cene dai nonni, le peggio litigate con stefano, le passeggiate in bicicletta, la quarantena e tantissime altre cose e ve ne sono davvero grata di avermi fatto vivere questi momenti che sono troppi da elencare tutti ma sono e resteranno per sempre impressi nella mia memoria.
Una volta mi ricordo, lessi un foglietto che trovai nel tiretto di mamma, avevi scritto che non ti sentivi apprezzata per quello che fai. Mamma sei tu che dici sempre '𝗳𝗮 𝗮𝗴𝗹𝗶 𝗮𝗹𝘁𝗿𝗶 𝗰𝗶𝗼̀ 𝗰𝗵𝗲 𝘃𝘂𝗼𝗶 𝗴𝗹𝗶 𝗮𝗹𝘁𝗿𝗶 𝗳𝗮𝗰𝗰𝗶𝗮𝗻𝗼 𝗮 𝘁𝗲' : come pretendi di essere apprezzata se tu prima di chiunque altro non apprezzi e non hai mai apprezzato in minimo sforzo di tua figlia, TUA FIGLIA non un estranea tua figlia.
E lo so. So cosa state pensando ' dopo tutto quello che abbiamo fatto per lei questo è il ringraziamento, queste sono le cosa che dobbiamo sentirci dire? che abbiamo fatto schifo? che delusione'. Vi ho letto nel pensiero vero? state dicendo esattamente questo, soprattutto tu papà questa è la tua frase preferita 'dopo tutto quello che abbiamo fatto dobbiamo sentirci dire che facciamo schifo'. Hai ragione avete fatto tantissime, troppe cose per me...cose che avrei preferito non ci fossero o fossero state scambiate con un pizzico di apprezzamento. Non mi avete detto neanche una volta in 19 anni che sono brava a fare qualcosa, che vi è piaciuto qualcosa che ho fatto o detto mai sentito dalla vostra bocca "grazie di aver fatto [quella cosa] sei stata brava" solo e soltanto critiche su critiche su critiche. E questo vi ha portati a farvi odiare, non un odio nel vero senso della parola ma un odio indescrivibile a parole perché siete i miei genitori e anche se per orgoglio non v'è l' ho mai detto vi voglio un mondo di bene più di quanto voi potreste pensare e non v'è lo dimostro perché voi non lo dimostrate nei miei confronti, anzi lo fate ma nel modo sbagliato, mi accontentate in situazioni stupide ma in questo modo non capite che è come se mi diceste " nonostante tutto ti vogliamo bene perché dobbiamo" e questo non è quello che voglio. Io voglio che voi mi vogliate bene perché mi apprezzate come persona non come etichetta o dovere dovuto al fatto che sia vostra figlia e questo mi fa stare male mi fa sentire inutile e voi non v'è ne accorgete non v'è ne siete mai accorti, ma non perché io non v'è l' ho detto ma perché a voi non è mai interessato il mio pensiero o i miei sentimenti MAI. Aspettate che venga io a dirvi come mi sento ma non è mai successo perché ho paura di essere criticata e perché so che a voi non interessa perché se foste veramente interessati mi avreste chiesto "come stai?" due parole due maledettissime parole che tutte le persone del mondo dicono tranne voi. COME STAI? non è difficile è la cosa più normale del mondo da chiedere alla propria figlia ma voi non lo avete mai fatto. Un 'come stai?' avrebbe cambiato tutto, tutta questa situazione sarebbe stata diversa. E nonostante io vi stia raccontando tutte queste sfaccettature dei miei sentimenti so che voi continuerete a pensare io stia facendo la vittima. Ma tranquilli la vittima se ne va. Si me ne vado, ho finito la scuola, come avevate deciso, ho 19 anni sono indipendente e soprattutto maggiorenne quindi vado a vivere da sola. La vittima insensibile non sarà più li nella sua stanza a darvi fastidio con la musica, non sarà più in cucina a pulire o ad abbuffarsi come un maialino, non sarà più li davanti a voi a voler dimagrire e a sentirsi inutile e a voler scomparire e a vomitare anche l anima in quel water che ne ha visto di rigurgito da ben 4 anni e voi da menefreghisti quali siete non v'è ne siete mai accorti del mio disturbo perché non vi è mai interessato sapere COME STO e allora non saprete dove sono con chi e come vivrò il resto della mia vita. Non avete sbagliato tutto, avete sbagliato la cosa più importante di tutte: quella di mostrare apprezzamento e interesse.
VI VOGLIO BENE E VE NE VORRÒ VEMPRE.
FIRMATO 𝒍𝒂 𝒗𝒊𝒕𝒕𝒊𝒎𝒂.
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«Già trovato un nuovo ammiratore?»
D.N.A. - 04/05/2077
[A] «Sempre lo stesso.» Certo che ha colto il riferimento al festival, ma attende che sia Margot a trarre le sue conclusioni.
[M] «Sempre lo stesso?» è evidentemente confusa, in un primo momento, fin quando non le spunta, però, un sorriso divertito, che le fa lasciare la sua posizione nel portare la destra alla fronte «Mi stai dicendo che dopo che se ne è andato con quella, lasciandoti con me» ed inarca un sopracciglio, perchè Etienne sapeva fin troppo bene con chi l`aveva lasciata «Gli sei pure corsa dietro?» insomma, Aliz, il tuo apparente caratterino ci ha proprio deluse.
[A] «Io non corro dietro nessuno.» Ci tiene a specificare, arcuando di poco il busto verso di lei. Ma giusto qualche centimetro, mentre la squadra, mantenendo pur sempre una certa distanza di sicurezza. «Che fosse con quella ragazza a me non interessa minimamente.» Ovviamente su questo punto finge magistralmente. Ritorna col busto contro lo schienale della sedia, senza però staccare lo sguardo da lei. «Stiamo insieme.» Le offre quell’informazione con una semplicità disarmante, mentre la osserva, quasi curiosa di coglierne la reazione.
[M] «e a te non interessa minimamente?» fa fatica a crederci, di certo. E lo sguardo non viene minimamente distolto, intenzionalmente, mentre ad entrambe viene servito il proprio whisky. E neanche lo ringrazia, stranamente, il barista, perchè adesso è concentrata su altro, sull`espressione della rossa, mentre prende il suo bicchiere nel portarselo alle labbra che le fa un po` storcere il naso per il sapore forte. «Anche se non è proprio tutta colpa tua» ammette «LaLaurie non è esattamente furbo, a lasciare chissà dove una Feherrozsa e andarsene in giro con una qualunque» ti sta forse dicendo che lei, al suo posto, non lo farebbe? Probabilmente si dato che lo sguardo finisce, dinuovo, forse un po` troppo in basso, mentre fa un altro sorso «sai, quasi si addirebbe al tuo carattere» sollevando di poco il bicchiere e tornando a guardarla negli occhi «se non fosse per questo episodio» sfida lanciata?
[A] «Sminuirlo dinanzi a me non è una mossa intelligente.» La avverte, con un sorriso tanto divertito quanto lo sguardo risulta tagliente e minaccioso. Qualunque cosa lei creda di fare, però, dicendole quelle cose, pare confonderla alquanto. «Provi a lusingarmi?» Stavolta il tono ha perso la sua sfacciataggine, tinto solo di malcelata curiosità. La lascia guardare dove vuole, senza preoccuparsi. «Stai dicendo che tu non m’avresti lasciata?» Lasciata alla festa con il suo ex per andare via con una ragazza. Ironic, isn’t it? Non è stata lei a mollarla a scuola? «Ah sì?» Dovrebbe addirsi al suo carattere? E perché? La osserva, un pochetto più docile, mentre sorseggia il whisky.
[M] «Non lo sto mica sminuendo» e invece sì «posso semplicemente pensare che sia uno stupido, a comportarsi così?» il terzo sorso non la porta alla smorfia, abituandosi piano al sapore forte «lo sono stata anch`io» ammette sommessamente, per poi lasciarsi scappare un sorriso riguardo le lusinghe «può darsi» accompagnato da un`alzata di spalle «o può darsi che sia solo sincera» ti conviene fidarti, Aliz? E il divertimento che le tinge lo sguardo, che pure non si smuove, è palpabile successivamente «no, non l`avrei fatto» afferma convinta «non adesso» non dopo quattro anni, vuole intendere «ma qualcosa mi dice che non smetterai di rinfacciarmelo per un bel po`» e la mano tornerebbe a sfiorare quella dell`altra, se non venise ritratta, per poi poggiarsi sopra ma senza stringerla «potrei farmi perdonare in qualche modo o... almeno avere uno sconto sulla pena per buona condotta?» abbastanza interpretabile, come domanda. Un po` meno l`espressione maliziosa degli occhi uniti all`interrogativo sopracciglio inarcato.
[A] Che lei lo stia sminuendo o meno « Non parlare di lui. » Non parlare di lui, non parlare con lui, non parlare per lui e non credere di sapere quel che ha fatto con lei. Però resta così, un po’ in stand-by fra le mani e la capacità della ragazza. Ma è solo quando la ragazza accenna ad “uno sconto sulla pena per buona condotta” che riesce a svincolarsi da quella sorta di controllo. Dei movimenti veloci, quelli delle mani della ragazza. Quella che è idealmente ancora posata sulla guancia di Margot viene ritratta, mentre quella libera fende l’aria, con uno scatto rapido che è sicuramente non umano, uno dei pochi lasciti di Fabian Feherrozsa. La mano libera fende l’aria e, se riuscisse, schiaffeggerebbe con ben poca riverenza la guancia della francese. « Sei una grandissima puttana. »
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un sotterraneo-soffitta;
“Devi venire con me” sono le parole che sottovoce Charlotte ha detto, ordinato per lo più, a Jeremy non appena l’ha trovato dentro la biblioteca. « Oggi vediamo se sei davvero tu, il gemello intelligente. » punzecchiandoli il braccio con il dito della mancina che va proprio su quello a premere. « Sicuramente scoprire dove si trova un posto super-segreto è molto più favoloso che studiare quello che stavi facendo, no? » facendo spallucce, detto con l’aria angelica facendo finta di non averlo appena tolto dallo studio e dai compiti da fare. « Secondo te è possibile che un sotterraneo sia una soffitta? Mpf! » lo dice, ridacchiando della sua stessa sciocca idea e convinzione.
A quel sorriso non può che inclinare leggermente il capo, restando comunque un pochino a disagio « il fatto che tu ancora te lo chieda mi fa paura » tenta di punzecchiarla di rimando in maniera scherzosa, fallendo miseramente dato che tutto ciò che traspare dal suo tono è una certa ansia sociale. « Più favoloso dei GUFO, qualunque cosa » ammette addirittura, con un piccolo sbuffo. Si blocca, sbattendo le palpebre un paio di volte e iniziando a guardarsi intorno « perchè no? » con tono serio. Non trova che abbia detto una sciocchezza, pare « e poi alto o basso sono molto soggettivi, dipende sempre da come sei messo » ma cosa stai dicendo Jeremy. « Solo che... come ci arriviamo al soffitto, se anche fosse lì? »
« Me lo chiedo perché ho una teoria su voi Corvonero. » dice alzando il mento, con un vago accenno di presunzione. « La vostra presunta conoscenza è tutta una pluffa ammosciata, ma visto che mi sei simpatico ti do una chance. » una eh, perché poi altre anche no. Si mordicchia le labbra inferiore coi denti quando vede l’altro incuriosirsi segno che almeno ha catturato la sua attenzione e sa di avere un po’ di spazio per sé e vedere cosa si può fare.
« Ora, tu sei un tipo sveglio, no? Chi dice di sapere dove si trova questo posto dice di… puntare in alto, o comunque indicano l’alto. » guardando verso il soffitto piegando il collo per avere gli occhi puntati per l’appunto verso l’alto.
« Okay, cerchiamo... puntare in alto? » le fa eco, piegando a sua volta il collo per andare a guardare il soffitto.
« Sì, così ha detto Osbert… ma vabè, cioè. Magari c’ha un po’ troppe pozioni per dimenticare sul groppone. » ridacchiando alla possibilità che la memoria del prof sia un po’ vacillante.
« Puntare in alto » ripete, lentamente. Allunga la mano verso il suo braccio, cercando di tirare con delicatezza la manica della serpeverde « le lance puntano in alto, sì... e anche le punte delle finestre, mh? » ipotizza, senza troppa convinzione, continuando a guardare verso l`alto e facendo un paio di passi verso le finestre, tentando di portarsi via anche lei. « e se ti sollevo? » le propone, senza smettere di guardare in alto. Gli verrà il torcicollo.
« Le punte delle finestre.. mh. » guardando adesso verso le stesse che, effettivamente, vanno verso l’alto. « Mi sollevi? » chiede con l’aria un pelino più preoccupata. « Ma sei sicuro di farcela? » lei è un fuscellino, per carità « Quindi anche tu sei un Avery coi muscoli, eh? Non solo tuo fratello. » poi guarda verso le finestre. Il suo istinto di autoconservazione le sconsiglia di farlo, ma la curiosità è tanta. « Vabè, proviamo dai. » avvicinandosi a lui, così che possa sollevarla come meglio crede. « Basta che non la usi come scusa per toccarmi il culo. » ecco.
« Non lo so, proviamo? Non sono esattamente muscoloso, no » le rivela, come se fosse un segreto poi. Si morde il labbro, nervosissimo, rimanendo impalato quando l`altra si avvicina. Arrossisce anche, a quell`uscita così naturale della favolosa « ... m-ma io n-non » tilt, addio. Inspira profondamente e scuote il capo, cercando di riprendersi e non entrare in iperventilazione « Non faccio certe cose » dice, premurandosi di guardare altrove per un paio di secondi. poi torna a guardarla, ma solo perchè ormai si è impegnato in questa cosa e bisogna quantomeno provarci. Poggia la borsa, girandole un po` intorno per cercare di capire come prenderla senza uccidersi troppo. « Menomale che sei minuta » anche tu Jer, non sappiamo come dirtelo. « Allora, facciamo così » e cerca di nuovo di prenderle una manica per trascinarla dolcemente vicino a una parete. A questo punto poggia un ginocchio a terra, porgendole entrambe le mani « sali quì » la invita, indicando l`altra coscia che dovrebbe fare circa da gradino. « Poi puoi calpestarmi tipo una scala » ma cos. Tiene entrambe le punte dei piedi piantate a terra. Se lei salisse sulla sua coscia, cercherebbe di far leva sulle punte dei piedi per tirarsi un po` su, mollando la presa sulle sue mani per andare ad cercare di afferrarle... i fianchi - non senza un istante di smarrimento, non sapendo bene dove mettere le mani dato anche che lei ha tutte le cosce di fuori e indossa la gonna, il che non è il massimo in questa posizione - per TENTARE di aiutarla a protendersi verso l`alto.
« Checcarino, Remy, c’hai tutta la faccia rossa. » e la cosa potrebbe non aiutare. « Maddai lo so che non lo fai.. cioè non lo so. Ma te lo dicevo così, per ricordartelo. » perché effettivamente porta la gonna e vedere, toccare… è facile se deve essere sollevata, sai com’è. « Già, menomale. Non farmi cadere o ti schianto tutti i giorni fino ai MAGO. » nemmeno i GUFO, direttamente i MAGO e potrebbero essere due anni di inferno se ci pensa bene. Ad ogni mdoo si lascia prendere dall’altro per i fianchi così che possa esser sollevata, sbuffando proprio perché sa che quello può vedere cose. « Non distrarti, Remy, stai andando abbastanza ben.. bene. » Non è una cheerleader ma potrebbe anche pensarci un domani. « Ohi, cioè.. non so se ci sono cose da queste parti non mi sembra almeno. » dall’alto della loro insolita posizione. « E poi è un po’ scomodo secondo me entrare in un posto in ‘sto modo, ti pare? » provando ad abbassare la testa e guardare l’altro che chissà come si sta nascondendo. Poi ammette con naturalezza « Anche una bacchetta può puntare verso l’alto. Oh, e se facessimo un Alohomora per tutto il soffitto? »
Occhiatina tattica a Charlotte, come ad attendere il suo via intanto che si inizia a concentrare. Punta lo sguardo e la bacchetta verso il soffitto, chiudendo gli occhi per qualche secondo e concentrandosi sulla volontà di aprire un passaggio. Immagina il soffitto come una grande porta, ed è ancora lì che punta mentre dopo aver riaperto gli occhi dice « Alohomòra! »
Lancia proprio quello sguardo tattico di cui Remy ha fatto quasi richiesta con la propria, di occhiatina e poi con un cenno della testa, e sfoderando la bacchetta ecco che prova a castare l’incantesimo. La volontà e la concentrazione adeguata a fare in modo che si apra una specie di porta, una porta che possa anche poi far scendere scalette o funi magiche ma insomma l’intento è l’apertura di una porta d’accesso. « Alohomòra! » pronuncerebbe anche lei, qualche passo poco più in là. « Dài, proviamo per tutto il piano!! » wiii, molto meglio che stare a studiare in biblioteca, no? Ecco.
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Sarebbe inutile se ti dicessi che oa come ora Ermal mi sembra felice solo perché sembra felice a livello sentimentale. Anche se sembra di potergli leggere l'anima intera nelle sue canzoni, per citarti Non bastano le mani non lascerà mai trapelare tutto nella sua musica e ci sono melodie che non intonerà mai. Non lo conosciamo... si può solo immaginare, ed è quella la parte bella. Tu percepisci una cosa, uno ne percepisce un'altra, la verità non la sapremo mai, ma va bene così.
Potrebbe fare il disco più allegro di sempre, la prossima volta, ma in quel caso sarebbe come snaturarsi, secondo me. E potrebbe sembrare la persona più felice del mondo, ma io credo ancora a quel "qualcosa mancherà sempre" di cui parla nell'ultima traccia di Non abbiamo armi. Se come attitudine creativa e probabilmente anche personale (nel senso di relativo alla sua personalità) tende alla malinconia, al sogno e all'utopia, e se un domani cessasse totalmente di scrivere con questo suo stile ..
stile riconoscibilissimo, familiare, quello con cui lo abbiamo tutti scoperto come cantautore ed amato per questo... ecco, se smettesse allora penserei davvero, con una punta di delusione, che qualcosa sia cambiato definitivamente in lui e nella sua produzione, e che non sia più totalmente fedele e genuino a se stesso. Non so se mi sono spiegata bene, ci tenevo a darti questa mia umile opinione 🙈
Direi che ti sei spiegata, o quantomeno spero di averti capita, ma io non la vedo esattamente in questo modo.
Già dire che sembra felice perché sembra felice a livello sentimentale non mi piace granché come discorso, mi mette un po’ in allarme. Stai dicendo che la vedi come una questione di apparenze? Quasi come una pantomima che in realtà nasconde un’infelicità di fondo, anche a livello sentimentale ma non solo? È un giudizio pesante, soprattutto se poi mi dici, giustamente, che non lo conosciamo (e questo non solo è vero, ma proprio l’illusione di conoscerlo, sapere cosa pensa e cosa prova ha scatenato nel corso degli ultimi anni tanto e tale odio nei suoi confronti quando poi determinate percezioni e pie illusioni si sono rivelate false).
Si, ovviamente a ciascuno di noi risuoneranno dentro cose diverse ascoltando la sua musica, fin dal primo ascolto di Tribù Urbana ho detto di essere pienamente consapevole del fatto che se percepisco determinate vibes molto più di altre è perché in questo periodo non sono esattamente di umore euforico. Però, appunto, non dico che è “colpa” sua.
Ed è altrettanto ovvio, purtroppo o per fortuna, che determinate cose di sé continuerà a tenersele dentro e non le metterà mai in musica. È giusto, non ha nei nostri confronti nessun obbligo in tal senso (e in nessun senso, in realtà).
Poi perché dire che un album allegro sarebbe come snaturarsi? Nel senso, come possiamo dire quale sarà in futuro la “giusta” espressione musicale del suo animo, della sua natura? Non può comunque mostrare allegria anche se, come tutti, ha pure delle ombre nell’anima? Io lo vorrei eccome un album allegro, anche perché di lui non passi sempre e solo quest’immagine da poetica leopardiana che non è necessariamente più profonda o migliore di un po’ di sana gioia. Chi lo dice che debba tendere in eterno alla malinconia? Certo, se davvero è un suo tratto caratteriale (cosa che dovrebbe al limite affermare lui, non io) probabilmente gli resterà, ma sarebbe ingiusto credere che non abbia altro da esprimere e da provare.
Personalmente invece gli auguro, in un futuro neanche troppo lontano, di essere così totalmente felice ed appagato dalla vita da mostrarci di sé qualcosa che sia altro dallo “stile” (direi piuttosto dalle tematiche) con cui l’abbiamo conosciuto ed amato. Io sono sicura che lo amerei lo stesso in quel senso, forse anche di più, perché comunque gli sono affezionata anche sul piano umano e vederlo felice, sentirlo felice anche nei suoi brani mi renderebbe felice per lui. Ben venga un cambiamento definitivo! Perché pensare che non sarebbe più fedele a sé stesso e genuino? Sarebbe proprio il contrario, sarebbe una nuova espressione di un suo nuovo mood.
Insomma, posso capire che magari a te piaccia di più così com’è ora, o com’era prima, ma la vita di tutti, alla fine, è continuo mutamento. Ed è bello così, è giusto così.
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Sacrifice, Chapter 6
PAIRING: Wanda Maximoff & James Bucky Barnes
"Ehi capitano, pronto per questa nuova sfida?"
La voce di Sam lo distrasse dai suoi pensieri, prima di ogni partita lui era sempre carico sia per lui che per gli altri. Ma chissà perché, proprio quest'oggi aveva dentro di sé un brutto presentimento. Era pronto e ben allenato ma aveva così tanti pensieri nella sua testa che, forse, se non sarebbero scomparsi avrebbero contribuito male alla sua performance in campo. Lui era davvero bravo, metteva davvero tanta costanza e tanto impegno in questo, ma ora a differenza delle altre volte era preso da qualcos'altro ma non sapeva ancora da cosa.
"Abbastanza..."
"Abbastanza? Ehi, cosa succede? Di solito sei carico come una molla..."
"Stasera di meno"
"Spero per te che ti sentirai meglio, non mi va di vederti giù specie in queste situazioni"
"Lo spero anche io, grazie Sam"
Chiuse il suo armadietto e si sedette sulla panca allacciandosi le scarpe, prese la sua maglia con scritto "Barnes 17" sul retro e poi avvolse attorno al suo braccio una fascia dello stesso colore della divisa. Era la cosiddetta fascia del capitano e lo contraddistingue dal resto dei suoi compagni di squadra.
Andò verso di loro e insieme si diressero verso la porta per accedere alla palestra, ma prima ancora di uscire fu fermato. Sharon, lo stava aspettando con le braccia incrociate sotto il seno messo un po' in risalto dell'uniforme da cheerleader.
"Ehi..."il suono inconfondibile e fastidioso della voce di Sharon gli arrivò alle orecchie e non aveva persino voglia di voler parlare con lei.
"...spero che tu sia abbastanza preparato"
"Lo sono...dovrei entrare, quindi se mi lasci passare..."
"Sei nervoso? Mi ricordo che per le tue partite da capitano non ti sei mai comportato così..."
"Beh...c'è sempre una prima volta, vero?"disse lui provando a togliersela di dosso ma ottenendo solo una leggera spinta da parte della bionda.
"È colpa di quella, vero?"
"Colpa di chi scusa?"
"Di quella ragazza, non pensavo che tu fossi capace di fare questo a me..."
"Fare cosa? Ti ho detto dall'inizio che fra me e lei non c'è nulla...""Almeno avresti potuto scegliere qualcuna che mi avrebbe superato ma con quella lì sei sceso solo in basso..."
"Come scusa?"
"Hai sentito bene quello che ho detto e certamente non te lo ripeto..."
"Non permetterò che i tuoi stupidi capricci da quattordicenne possano allontanarmi da lei, non te lo ripeto più Sharon...fra me e lei non c'è nulla, quello che dovrebbe essere preoccupato fra noi due sono io..."
"Davvero? Sei preoccupato? E per cosa? Sai benissimo che senza di me il posto nell'azienda di mio padre te lo sogni"
"Tranquilla, mi risparmierò quest'incubo"
Nel frattempo, a casa Maximoff...
"Salva progetto...e finito!"disse lei cliccando sull'icona salva, per poter conservare nella cartella dei file di letteratura, la sua relazione personale sul libro che aveva finito di leggere, in modo che l'avrebbe consegnata alla professoressa Potts la settimana successiva.
Non che lo avesse finito per davvero, ma sapeva esattamente di che libro si trattava, considerando che aveva visto anche il film e allora decise di anticiparsela. Chiuse il computer e fece un respiro profondo, buttandosi con la schiena sul letto e con i suoi capelli che coprivano quasi tutti i cuscini, si girò verso la sua scrivania e vide il quaderno che aveva usato due giorni prima per poter prendere gli appunti di fisica.
"Se voglio che mi ascolti, dovrei studiarli già da ora..."disse lei con un leggero sbuffo ma subito si alzò e si diresse vicino la sua scrivania.
Si alzò con calma, per evitare che da un momento all'altro potesse cadere per colpa delle sue gambe e del forte mal di schiena che aveva da questa mattina. Avrebbe tanto voluto andare alla partita del capitano Barnes ma purtroppo c'erano cause di forza maggiore che non gliel'hanno permesso. Arrivò fino alla sua scrivania dove c'erano il suo libro, quello che aveva letto per fare la sua relazione e il suo quaderno. Li prese tutti e due lanciando il quaderno sul suo letto e prendendo il libro fra le mani.
"Bene, dove eravamo rimasti?"chiese lei vedendo che il fiore che aveva come segnalibro era messo quasi alla fine.
Si rimise sul letto prendendo la pagina dove erano segnate le poche cose che James le aveva detto e iniziò a leggerle notando come tutto le sembrava abbastanza facile da poterlo capire.
Dopo solo un'ora, era quasi ora di cena, decise di rimetterlo a posto sulla sua scrivania dove poggiò anche il suo computer e il suo astuccio che le era servito per poter trascrivere gli appunti a penna. Aprì la porta di camera sua e scese le scale per andare di sotto in cucina, era vuota si sentiva solo il trambusto della televisione, suo fratello stava giocando con i videogiochi e lei al pensiero sorrise. Aprì la dispensa, non aveva molta fame e quindi decise di arrangiarsi con semplice panino e alcune merendine. Certo dover mangiare poco non le faceva bene, visto che le sue ossa e i suoi muscoli ne risentivano di più ma, così come tutte le cose, a Wanda non importava.
"Wanda? Stai prendendo le mie merendine?"
Restò ferma sul posto sentendo la voce del fratello che l'aveva sentita arrivare in cucina.
"No, perché pensi che io possa mangiare le tue merendine se sono le tue preferite?"chiese lei a suo fratello e subito dopo ne mangiò un pezzo.
"Perché ti ho vista scendere le scale, oggi non hai mangiato nulla e so che la prima cosa che hai aperto è stata la confezione di merendine"
"Ma sei stato tutto il tempo con gli occhi nel videogioco dai!"
"Wanda! Non finirai le mie merendine preferite!"disse lui alzandosi dal divano e sentendo che suo fratello stava arrivando, si fece un scorta e iniziò a correre.
"Si, se non mi prenderai!"disse lei che iniziò a correre dal lato opposto della penisola dove stava per arrivare il piccoletto.
Lei continuò a correre arrivando fino alla porta di camera sua dove si chiuse dentro, mentre suo fratello bussò al di fuori della porta e iniziò a lamentarsi.
"Wanda, apri la porta"
"Ne ho prese solo due"
"Ne hai prese tre, ti ho vista..."
"Guarda che fanno male più a te che a me"
"Gne gne gne"
Lo sentì allontanarsi e quando suo fratello aveva raggiunto il piano di sotto lei iniziò il suo tipico sabato sera.
Nei spogliatoi della palestra della scuola, dopo la partita...
"Tre falli, te ne mancavano due e potevi essere espulso e tu cosa fai? Esageri arrivando a sei e, non solo, ci fai perdere persino la partita"
James non badava alle mille proteste che il suo migliore amico stava dicendo e neanche a quanti falli aveva fatto e che stava per elencare.
"Hai tenuto la palla in mano per più di cinque secondi senza palleggiare, hai commesso il fallo dell'infrazione, hai saltato con la palla in mano, hai iniziato a palleggiare e poi hai smesso...ma cosa ti..."iniziò a dire Steve
"Hai finito di fare l'elenco di tutti gli errori che ho commesso oppure preferisci autocommiserarmi ancora di più?"
"James..."
"No, niente James...anche Rumlow ha sbagliato e peggio di me"
"Tu rischi grosso, sei il capitano della squadra"
"Oh...bene, allora l'azione che ha fatto..."
"Lascia perdere per un attimo Rumlow e sta a sentire noi"
"Mi stava mettendo le mani addosso Sam, capisci? E con lui ci sono passati sopra, ed io? Non posso avere un cretino nella mia squadra che farebbe a pugni con un suo compagno e cosa farebbe con la squadra avversaria o al di fuori?"
"Ho capito, mi è chiaro il concetto. Ora, ti vai a fare una doccia, ti vesti e andiamo tutti e tre a farci un giro, ci stai?"
"Va bene...scusatemi, non pensavo di poter reagire così"
"Tranquillo"dissero Steve e Sam con piena tranquillità e consapevolezza che il loro migliore amico era solo frustrato.
"Dopotutto ha ragione, insomma è Bucky non reagirebbe mai di questa maniera a meno che non venga provocato"
"Già che lo chiami Bucky per lui è una provocazione"disse ridendo Sam.
I due iniziarono a svestirsi e andarono anche loro a fare la doccia, tornarono e si rivestirono con dei vestiti puliti mentre il castano li aspettava all'uscita con il suo borsone sulla spalla destra.
"Oh era ora! Sembrate una ragazza quando ci mette tanto a prepararsi"
"L'unico ad essere fidanzato qui in mezzo sei tu James"gli ricordò Steve.
"Evitiamo l'argomento Sharon e le sue millemila preoccupazioni inutili che riguardano solo scarpe e colori dello smalto"disse il sottoscritto procurando una risata fragorosa da parte di Sam.
Il loro sabato sera era appena iniziato.
#alternative universe#black widow#brock rumlow#captain america#falcon#james barnes#maria hill#marvel#natasha romanoff#pairing#writing#wanda maximoff#scarletwitch#steve rogers#sam wilson#the winter soldier#sharon carter#stevenat#romanogers#scarlet soldier#winterwitch
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Quella volta che si creò il silenzio e qualcuno decise di fare rumore
Abituatevi a questi titoli, perché ce ne saranno tanti altri così
Parole: 1015 (iniziamo con roba corta, dai)
Beta: Server di Discord (Giusto? Non posso fare la mia battutina sulla beta)
Fandom: Sanremo RPF (Cenone di Natale AU/Sanremo Family AU)
Ship: Nessuna (per adesso), forse ehm mentioned Anacore
Avvertimenti: piccolo discorso omofobico, roba fatta di fretta, povero Anastasio
Note autore: Ormai è da secoli che dovevo postare questa piccola cosina che sul server ha avuto conseguenze inaspettate... C’è una seconda parte (X)... Ringrazio @just-one-more-fandom dato che abbiamo stabilito che questa idea era partita da te!
L’ambiente non è per niente teso. Per una volta. Non capita quasi mai a questi incontri di famiglia che ci sia quiete. Forse è l’aria di primavera o lo spirito della Pasqua, anche se non spiega perché lo spirito del Natale non debba avere lo stesso effetto. Sembra quasi assurdo che un pranzo di Pasqua risulti più sereno di una cena di Natale… Ama per la prima volta dopo chi sa quanto, sorride serena durante una riunione di famiglia. È quasi un evento storico. Forse è per quello che Enrico sta facendo così tante foto con un sorriso soddisfatto piantato sulla faccia. Cally si guarda intorno e vede tranquillità sul volto di tutti, perfino su quei due idioti di Anastasio e Rancore, e gli viene in mente che forse può provare a spingerli un po’ nella giusta direzione giusta. In fondo, l’ambiente è certamente adatto.
Sembra un momento perfetto quando suo cugino si siede molto vicino a Tarek senza quasi accorgersene. Che adorabile idiota, pensa Cally mentre progetta un piano per farli avvicinare ancora di più. Non resiste all’idea di riuscire a farli arrossire entrambi, sarebbe una scena fantastica. Ma prima che possa avvicinarsi, prima che possa anche solo dire una delle sue battute per punzecchiarli, prima che possa anche solo pensare esattamente cosa fare, la voce del Male Assoluto parla qualche passo più avanti a lui. «Marco non ti rendi conto di che comportamento vergognoso stai avendo? Sei già un maleducato ed un delinquente, adesso devi pure appiccicarti così tanto a quell’altro delinquente? È davvero questo quello di cui ha bisogno questa famiglia? Un altro deplorevole esempio di omosessualità?». Silenzio assoluto. Tutti si voltano verso la fonte della voce. Ovviamente zia Rita, assistita dalle nonne vicine a lei che annuiscono in assenso. Cally stringe i pugni pronto a tirare un cazzotto in piena faccia ad una sua stessa parente, mentre nota una simile quantità di furia assoluta negli occhi di Tarek, che ha istintivamente stretto a sé Marco. Lui, poverino, sembra non essere riuscito nemmeno a capire esattamente cosa sia successo e continua a fissare la zia con lo sguardo perso.
Ci sono alcuni secondi di pesante attesa in cui tutti sembrano pronti ad assaltare la zia Rita, perfino la zia Ama sembra aver completamente perso il suo normale controllo. Cally inizia a fare un passo in avanti, ma viene interrotto da Antonio, l’altro Antonio, che si mette improvvisamente in mezzo tra lui e la zia Rita. «Se ne vada.» dice semplicemente Diodato con un tono stranamente calmo, ma osservandolo bene, nel suo stato di shock, Cally si accorge che sta stringendo i denti con forza. «Come prego? Antonio, caro, cosa stai dicendo?» risponde la zia confusa voltandosi improvvisamente verso il favorito della famiglia «Se ne vada. Non siamo direttamente imparentati, ma siamo una famiglia ormai da svariati anni, grazie alla meravigliosa e felice unione di Ama e Fiore. Che sono un perfetto esempio di un felice matrimonio e non so se lei in questi anni si è resa effettivamente conto che sono due persone queer sposate tra loro o se ha cercato di convincersi che fossero solo dei coinquilini molto vicini. E non sono gli unici. Questa famiglia è piena di meravigliosi individui che ognuno in modo diverso rappresenta la fantastica comunità che lei ha azzardato chiamare deplorevole. Io e lei non siamo imparentati, ma ho finto che lo fossimo in questi anni per rispetto e per educazione nei suoi confronti nonostante lei abbia continuato ad insultare in più occasioni, direttamente ed indirettamente, i membri della mia amata famiglia, sia quelli di sangue che quelli acquisiti che io considero vicini ed importanti quanto i primi. Non posso più sopportare, ad alcun livello, una mancanza di rispetto ed un odio tale nella quiete e nella tranquillità della mia famiglia e non intendo farlo. Non posso neanche più considerarla, nemmeno per rispetto ed educazione, parte della mia famiglia in alcun modo, quindi… Se ne vada immediatamente e lasci in pace i miei amati familiari, che lei, signora Pavone, non merita assolutamente. Potrà tornare, se e solo se, avrà imparato quanto meravigliosamente varia ed importante sia la sua stessa famiglia e quanto è fortunata a farne parte.» spiega Antonio con lo stesso tono calmo e posato di prima.
Altro profondo silenzio. Zia Rita rimane ammutolita, sbattendo più volte le palpebre confusa, tanto quanto sono confusi gli altri presenti. Cally abbassa il braccio che si accorge di aver tenuto alzato fino a quel momento pronto a tirare un pugno. La zia prende la sua borsa e si allontana urlando qualcosa sul fatto che se ne sta andando di sua scelta perché nessuno le aveva mai mancato di rispetto in quel modo. Enrico fermo nell’angolo appoggia la macchina fotografica e comincia ad applaudire, seguito prima soltanto da sua sorella Giordana e poi, lentamente, da tutti gli altri. Antonio si allontana e scompare da qualche parte in giardino, senza che nessuno se ne accorga. Cally rimane bloccato nello stesso posto faticando a capire cosa sia successo. Vede Marco riprendere a respirare e Tarek sciogliersi dal suo stato di tensione per poterlo consolare e si accorge che questo è merito di Antonio Diodato. Quel Antonio Diodato. Il cugino perfetto, adorato dalle zie e dalle nonne, che non ha mai detto una parola contro nessuna di loro. Quello che è sempre stato usato da Zia Rita come esempio di buona condotta. Quello che ha passato l’ultimo cenone di Natale a guardare storto Claudia perché adesso sta con Elodie? Lui è quello che ha deciso di fermare e cacciare la zia Rita? In difesa di Marco e Tarek? Questa poi. Di tutte le assurdità che sono successe alle riunioni di famiglia questa deve essere la più assurda. Che cazzo. Adesso mi tocca andargli a parlare. A ringraziarlo. A ringraziarlo per aver difeso mio cugino. Che cazzo. Appena riesce a muoversi di nuovo e si riprende abbastanza dallo shock Cally va a chiedere a zio Bugo dove sia andato Antonio. Mentre gli altri sembrano già essere tornati alla normalità, lui si dirige verso il luogo che gli viene indicato in cerca di Diodato.
#sanremo#sanremo rpf#sanremo rpf fanfiction#cenone di natale au#sanremo family au#anacore#sanremo 2020#and so it begins...
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Ferro in Agosto
Sai come ho fatto?
Infilando le unghie nella carne non appena cominciavo a desiderare di chiamarti e raccontare. Il bruciore mi induceva a lasciarti immerso nel tuo limbo stagionale al riparo dal mio ego(t)ismo (riesco anche a vederti, gli occhi rilassati dall'assenza di ogni scadenza che si arrotondano quando incrociano la palla rossa che cala tra il fogliame).
Solo che mi annoia soffrire di un dolore così effimero, così ho guardato i piccoli fili di sangue ricamarmi la pelle del polpaccio, o dell'avambraccio, o del lembo estratto a sorte con interesse appena tiepido, anzi, addirittura scarso. Però le vedi le piccole cicatrici che movimentano l'ammirevole monotonia della pelle abbronzata? Le vedi?
Sono i piccoli post-it in cheratina che mi hanno ricordato di starti lontana. E' a loro che devi le tue vacanze meritate e serene.
E' a loro che devi questa lettera.
Ma ora andiamo, per favore?
Ti ho aspettato, per entrare.
Il luogo è fresco di umidità, al riparo dalla calura di questo torrido mattino (certo che è notte, e certo che lo so! Ma "lì" è mattino, capisci?)
Va bene, ne abbiamo già parlato, allora mi correggo: il luogo non è fresco ma freddo. F R E D D O.
La pelle raggrinzisce come se una secchiata di acqua gelata l'avesse appena trafitta, e il sollievo dall'arsura lasciata alle spalle muta in dolore leggero non appena le ossa roventi si temprano alla temperatura inattesa. Va meglio adesso?
Come promesso. Ometto le omissioni stilistiche e recido i vaporosi merletti con cui amo rivestire le cose camuffandole.
Come hai preteso, come ho promesso, tu (#tu#) non avrai sconti.
Il portoncino bianco cigola insieme alle cicale, e il piccolo atrio buio odoroso di muffa ci inghiottisce lasciandoci spauriti e titubanti come quando - ricordi?- bimbi affondati nelle coperte temevamo l'istante in cui il sonno ci avrebbe sopraffatti e dolcemente assassinati col suo nulla (non è un merletto questo, NON LO E'! - non osare dirmelo).
E' solo un attimo, poi gli occhi si allineano agli spettri della non luce e dalle ombre affiorano forme distinte e note, a me naturalmente, e a te per mia mano, tra pochissimo.
No, aspetta un secondo. Ho bisogno di allestirmi un caffé. 'Spetta, taci, non frignare.
Eccomi eccomi (…COSA?! …Ti avrei lasciato solo troppo a lungo? …Paura, tu?! …B U G I A R D O).
Ti ha incuriosito il piccolo attaccapanni sulla destra (lo sapevo, devi avere visto col tuo terzo occhio, o sentito col tuo quinto orecchio). Tre ganci tondi in ferro battuto e cupo. Non li vedi bene perché in questo momento sono nascosti da felpe e giacche di varie dimensioni estranee alla routine della casa. Prova a spostarle, e guarda meglio se vuoi. Un uomo ci ha lasciato appesa la vita, anni fa, dopo aver gridato un nome. Tutto qua, non c'è altro. Bàstatelo.
Di fronte una scala in pietra grigia, nove alti scalini, a fianco dei quali una minuscola porta di un minuscola sottoscala ospita un minuscolo bagno dove mai entrerei mezza vestita figuriamoci mezza nuda.
Attento! Ora viene il bello!
Proprio tra l'attaccapanni ed il muro che conduce all'angusto pisciatoio. C'è una porta proprio lì, dove nessuno la crederebbe possibile. Il bianco ormai giallo dell'intelaiatura ospita in un certo punto, a sinistra, più in alto della sua metà, una cartolina vista mare. Non particolarmente bella, ma particolarmente adatta a nascondere il foro che una mano inquieta ha osato aprire ancora anni fa con un brusco movimento dettato da piccola circostanza sfavorevole (o pugno, se preferisci).
Su, entriamo.
La stanza è invasa dai mobili, farcita in modo imbarazzante, non si riesce quasi ad attraversarla senza urtare lo spigolo del lungo tavolo o il piede di una delle otto sedie abitanti quei modesti metri quadrati, o la rotella della stufa a gas, o il divanetto duecentomila lire tutto compreso, vuoi che non lo sappia?
E ora non stare a immaginare chissà quali intense riunioni umane, porcellane, pietanze e gomiti tiepidi che si sfiorano in amichevole convivialità, non è il caso di sprecare tanta bella fantasia.
Quella che stai osservando è pura rappresentazione, metodica scenografia piuttosto gotica.
Questa stanza è magistrale rappresentazione di un soggiorno vissuto e usurato dal calore umano che di calore umano non ha mai sentito l'afrore, ed ogni oggetto che la occupa recita con maestria il suo ruolo immoto e privo di vita.
Non mi credi (me lo dice il modo in cui ti mordicchi il labbro inferiore), cioè sai che devi credermi (perché non mentirei) ma ti riesce difficile (vedendo ciò che vedi), e questo mi/ti/ci dimostra quanto il regista del trailer domestico sia stato efficiente: chapeau!
Guarda per esempio quel vaso in cristallo lucido, esattamente al centro del manufatto ad uncinetto - esattamente al centro ho detto, si, controlla pure, la sua base rotonda ha un diametro di dieci centimetri che equidista dai bordi del lato più lungo del centrino di altri dieci.
Credi che abbia mai accolto fiori veri? Che qualche insetto sfuggito ad una corolla qualsiasi lo abbia mai percorso in viaggio tra una zigrinatura e l'altra delle splendide incisioni a forma di stella che lo solcano per tutto il diametro? Esatto. Mai.
Sorridi adesso, eh? Però hai controllato (bastardo). Ma si, sorridi. Sorridiamo.
Del quadro che spezza la parete di fronte alla porta, appeso sotto un arco scalcinato che nessuno ha più pitturato, non ho altro da aggiungere. L'ho già fatto a suo tempo, forse ricordi e forse no - ho spesso il sospetto che tu faccia defluire le mie parole attraverso il tuo corpo senza trattenerne una ( o era tuo, il sospetto?), dicendo tutto quello che mi potevo (e dovevo) permettere.
Voglio solo precisare che quel volto inquieto di ragazza non viveva sotto quell'arco, non so chi abbia deciso di mettercelo, e ho fatto apposta a non dargli troppa importanza chiedendo chi sia stato.
Forse c'è andato da solo, non mi sarebbe difficile crederlo.
Sostava in un altro ambiente, una volta. Per guardarlo bisognava varcare nove gradini più altri cinque, e tenere la faccia fissa al muro, e le pupille rovesciate all'indietro, ed una mano sulla bocca. E lasciare che accadesse quel che accadeva.
Ma quanto tempo impieghi ad osservare tutte quelle chincaglierie, ti sembra il caso? Anche le foto ti interessano! Quelle le ho tirate fuori io, ci crederesti? A casa non ne ho in giro nessuna, e qui invece ne ho disseminate ovunque, scegliendole con cura maniacale affinché ognuna sostituisse un ricordo dimenticato. Freud direbbe che sono una criminale intenzionale. Che ho frantumato lo specchio della memoria nascosta lasciandone in giro i frammenti come mine inesplose affinché chiunque passando ne rimanga ferito. Lasciamoglielo dire. Nessuno è riuscito ad azzittirlo ed io non voglio essere la prima.
Forse la tenda rossa merita un po' di attenzione, anche perché con gli occhietti acuti è già un pezzo che mi stai silenziosamente (…SILENZIOSAMENTE?! Sono ormai praticamente sorda!) chiedendo a cosa serva quello scampolo di stoffa pesante che interrompe la stanza in un modo decisamente teatrale (e in effetti sembra proprio il sipario di un piccolo palcoscenico), e so come sei martellante quando ti ci metti (cioè sempre) e come non mi darai tregua fin quando non apriremo quella tenda imprevista, quindi apriamola - guarda però come lo faccio lentamente, come mi diverto a prolungare l'attesa con allegria un po' balorda, forte del fatto che IO so cosa ci aspetta.
E ora dimmi: TU te l'aspettavi?
Quel brusco cambio di scenografia, quel fascio di piastrelle scheggiate ed il vecchio lavello a fianco della cucina poco usata, e l'armadio tarlato privo di ante e il frigorifero nano che ronza come uno sciame di api? Tutti insieme segretamente avvinghiati ad un solo metro di distanza dall'ordine perfetto e desolante della metà, anzi no, dei tre quarti del resto del soggiorno buono?
No, ne sei sorpreso. E anch'io.
Varcare una facciata qualunque, anche nota, mi devasta sempre con la stessa dolorosa modalità. Non userò altre parole per questo quartino di camera, quindi adopera pure il tuo talento se hai voglia di disegnare le storie che si sono avvicendate dietro questo drappo vermiglio, o le cose che vi sono state celate (alcune anche da me).
Sai che non siamo qui per questo.
Che non è un giro turistico di quattro o di otto mura quello in cui ti ho chiesto di accompagnarmi.
Cioè no, in realtà non lo sai, perché non te l'ho detto -e non farmi lo sguardo dell'
"… ETTIPAREVAEQUANDOMAI !"
per favore.
Più che saperlo, lo senti. Come?
Col corpo.
Nelle viscere più aggrovigliate, nella vena più profonda della tua gamba sinistra, lì dove io risiedo.
Aspetta adesso, ci vuole un attimo di pausa. Facciamoci una sigaretta (che vuol dire che "non fumiamo"? E che importa? E a chi?). Lascia che io riprenda fiato.
Di nuovo. Eccomi. Ci sei ancora?
Riprendere a dipanare è decisamente difficile.
Ora, UDITE UDITE, dichiaro che non muoverò più un muscolo da questa sedia fin quando non avremo (avremo, hai letto bene) finito. Se ci volessi provare (a fuggire) immobilizzami, o legami, o non so. Trova tu un modo qualsiasi, ti sto autorizzando. C'è il caso (ci sarà sicuramente) che io ti preghi di desistere, che io ti neghi ogni autorizzazione concessa mentendo come una tossica in astinenza. Fai tu come meglio ti riesce (purché effettivamente ti riesca).
Non ho sorvolato su quei nove gradini, naturalmente.
Anzi si, naturalmente.
Ma tanto tu vieni sempre a scovarmi ovunque io mi nasconda. Anch'io lo faccio io con te, e non è meno difficile, solo che adesso è il mio turno di preda stanabile, e quindi cerco di prendere tempo e mi dibatto come un uccello impazzito in una grotta priva di uscite comode (ahi le ali, AHI LE ALIII!).
Tento di non dirti cose che non vorrei dirti ma che dovrei dirti.
Inizio della storia.
Prima di tutto una volta su quella scala ci sono scivolata, pesantemente, di schiena, e alla fine della corsa ho battuto la testa perdendo i sensi per qualche minuto, cosa che ha fatto temere per la mia vita con gran clamore dei pubblici astanti, e forse non avrebbe dovuto.
Un'altra volta lì trascorrevo la notte, tra il quinto ed il sesto gradino, in punizione. Il freddo di quel marmo mi è stillato come veleno nell'animo per sette anche otto ore di fila, e l'ha pietrificato. Lì, al buio, nel silenzio assenso dei sonni altrui mi sono fatta una promessa, cosa che non ha fatto temere nessuno per la mia vita, ma che forse avrebbe dovuto.
Fine della storia.
E perché ti incazzi adesso, scusa? Che ho detto?
Ah. Quello che NON ho detto. Capisco. Ancora un attimo di pazienza.
Guarda di nuovo nella solita stanza. La donna anziana siede su di una sedia, pingue eppure composta nella sua scatola di carne greve. Il piccolo televisore rimanda immagini stanche di notizie che nessuno segue, fanno da scenografia alla scenografia. Il caffè sbuffa nella macchinetta al di là della tenda, una manciata di medicinali attende sul tavolo pronta a svanire dalla scena dopo l'uso affinché l'ordine rimanga imperturbato. Alle sue spalle, curve, una donna di molto più giovane le pettina i lunghi capelli con delicata fermezza. Sono entrambe silenziose, lignei noccioli racchiusi in frutti acerbi incapaci di evolvere in generosa incoscienza.
Non si odiano, nemmeno si amano abbastanza da perdonarsi le insormontabili diversità, né esiste la necessità che questo accada.
Affettuosamente reciprocamente stanno.
Lei continua a pettinarle i capelli sapendo quanto questa coccola le piaccia e quanto non la meriti. Eppure continua a farle questo dono, sa che sarà ancora per poco.
Cinque. Cinque sono i segreti importanti che solo loro due condividono in questo istante. Il meno impegnativo riguarda la foto che la donna anziana e vanitosa ha indicato all'altra per la sua tomba, e che le figlie non vorranno mai (ma lo vorranno a forza). Insieme al vestito, alla sciarpetta di seta sul collo tozzo ed esangue, ed alle scarpe blu lucide tacco medio, ancora nuove, che aspettano nella scatola sul pianerottolo prima dell'ultima scala, quella nera.
"Ti truccherò il volto così non sembrerai pallida e deforme" è la promessa che strappa alla vecchia un sorriso compiaciuto e felice.
E quella terza donna? Che circola attorno alle altre due con scatti nervosi e repentini, senza riuscire mai ad avvicinarle, anzi respinta con forza molle come si respingono i poli uguali di una calamita?
Di lei non c'è niente da dire, anche se è per lei che siamo qui (recidere, lenire, dimenticare, tentare di giustificare senza riuscire a perdonare, perennemente disprezzare).
…E questo sapore di ferro arrugginito che all'improvviso mi inonda la bocca?
Coi denti ho appena squarciato la guancia senza rendermene conto, morirò dissanguata, proprio adesso: OH NO!
Mi giro: ci sei tu, a leccarmi le ferite (ci sei ancora?).
Stringimi forte la mano.
Ora, qui, mentre inscatolo i sospiri sepolti e sigillo il grazioso portoncino alle mie spalle senza nemmeno voltarmi indietro, STRINGILA!
Non lasciare che si accorgano di quanto stia tremando.
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