#plata & salud (... più forte ragazzi!)
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Capitolo Sei
«Pesa» lamenta piano Salud, mentre trainano il piccolo velivolo al sicuro verso uno degli hangar del campo volo.
«Probabilmente meno di te» rimbecca il pilota, non meno affannato di lui.
«Non sono così pesante. Solo un poco» protesta appena.
Lo sente sospirare. «Forse avrei dovuto provare ad avviarlo e farlo rullare fino al coperto.»
«Scordatelo. Non ci si vede a un palmo dal naso. Poi domattina avremmo dovuto raccattare la carcassa del tuo aereo disseminata lungo il prato.»
«Questo sì che si chiama ottimismo! Probabilmente dovrei offendermi per il fatto che mi ritieni una simile frana nel condurre un velivolo.»
«Non è quel che ho detto» ribatte testardo. Non sa neppure perché sta discutendo con il ragazzino invece di risparmiare fiato e forze per arrivare agli hangar.
«Manca ancora molto, secondo te?»
Ha una vocetta che gli arriva piccola e incerta. Sembra abbastanza scoraggiato. Salud prova a orientarsi nel buio, ma non è per niente facile. Se almeno ci fosse stata la luna avrebbe avuto un’idea abbastanza certa della strada ancora da percorrere, ma quella sera ci sono unicamente le stelle, e lui non è un marinaio e non saprebbe in che modo sfruttarle, quindi sbuffa e scuote la testa.
«Non saprei dire» borbotta.
〜
«È stata una brutta idea, eh?» lo riscuote dai propri pensieri nebulosi la voce abbastanza stremata del fottuto pilota.
«Stai zitto» ringhia piano.
«Oh? Altrimenti?»
«Altrimenti mollo questo trabiccolo, ti prendo a pugni e poi ti carico nella cabina e vi porto entrambi fino all’hangar.»
Doveva essere una sorta di promessa minacciosa. Un lungo silenzio le fa seguito, poi il silenzio viene spezzato da una lieve risatina.
«Sai che forse mi conviene? Almeno la fatica la faresti solo tu.»
Salud grugnisce indispettito. «Non esserne troppo entusiasta. Di solito ci impiegano un bel po’ per tornare coscienti.»
«Bah! Questo è tutto da vedere» ribatte a tono.
Pare proprio che non gli riesca di farlo stare al suo posto. Ma dopo tutto è pur sempre un pilota: brutta razza, son di quelli che dell’essere seccanti e tronfi hanno fatto un vanto, se non addirittura la loro ragion di vita.
«Come ti si spegne, a te? Non ce l’hai, da qualche parte, un interruttore per mandarti a nanna?»
«Guarda, io ci andrei volentieri anche da solo, se sapessi dove sta il tuo magazzino. Ma siamo in mezzo al nulla e… Ahi! Cazzo» mugola, dopo aver prodotto un tonfo attutito.
Salud si è fermato, perché è rimasto il solo a tirarsi appresso l’aereo e perché vorrebbe capire che ne è stato di quell’impiastro di pilota.
«Qual è il problema, a questo giro?»
«Che la tua pista ha pure delle buche, oltre a non essere affatto illuminata, e io ci sono finito dentro con tutte le scarpe» sbotta.
«A parte che la pista non è mia ma di un mio amico, sono piuttosto sicuro che non abbia affatto buche. Quindi direi che non siamo più sulla pista.»
«Ci siamo persi? È questo che cerchi di dirmi?»
«Credo di no» replica Salud, pensieroso. «Aspettami qui un momento.»
«Cosa? Non starai cercando di mollarmi in questo… buco, vero?» si altera il piccoletto.
«No, sto cercando di controllare se siamo arrivati dove penso. Adesso, per favore, puoi restartene zitto e buono un maledetto momento? Sai, non vorrei ritrovare la strada per poi scoprire che sei scomparso tu. Sarebbe una gran rottura di palle.»
«Fai come ti pare» ringhia, sembrando tutto fuorché lieto dell’ultima trovata di Salud.
Sospira e scuote la testa. Che razza di grana si è ritrovato per le mani. Come se non ne avesse già a sufficienza ogni santo giorno.
〜
La buona notizia (l’unica di quella dannata giornata che volge finalmente al termine) è che ha ritrovato uno dei loro magazzini. Come sospettava, sono arrivati alla fine della pista e si sono inoltrati appena un poco nella zona sterrata. Avrebbe preferito evitarlo, ma è anche colpa sua, dato che non ha pensato di passare prima dal magazzino per appropriarsi di una torcia e poi tornare a recuperare il monomotore. Ora, dato che se lo può permettere, oltre alla luce si frega anche uno dei loro rimorchiatori, così non dovranno più spaccarsi la schiena per trainare il velivolo del pilota al coperto. Ha pure i fari, il trattore; ha una mezza idea di vantarsi con il ragazzino indisponente e sfotterlo un po’... Magari la mattina seguente, perché a quel punto sono entrambi abbastanza stanchi e preferirebbe di gran lunga concedersi una lunga dormita, prima di attaccar briga, forse anche una bella colazione.
Presto ritrova l’aereo, tutto rosso fiammante e bianco neve nel mezzo dello sterrato polveroso. Il pilota, ovviamente, non è in vista. Sbuffa esasperato. Fottuti piloti! Dove accidenti sarà andato a cacciarsi quell’impiastro volante? Smonta dal suo veicolo, fa il giro dell’aereo ed eccolo, stravaccato accanto al timone di coda.
«Che fai, dormi?» sbotta, raggiungendolo.
«No, anche se mi sarebbe piaciuto. È solo che ci hai impiegato un’eternità!» lamenta piagnucoloso.
Salud leva gli occhi al cielo. «Sei sempre così fastidioso, oppure oggi è un’occasione speciale?»
Il ragazzino schiude le labbra, trae un respiro, tentenna, ci riprova, infine sospira e imbastisce un piccolo broncio che scatena una risatina divertita da parte del meccanico.
«A meno che tu non voglia passare la notte appoggiato al tuo aeroplano, muovi il culo e aiutami ad agganciarlo al rimorchiatore.»
I suoi occhi lo fissano un attimo di troppo, in un modo che, come sempre, non riesce a interpretare, ma infine annuisce. «D’accordo» accetta, rimboccandosi le maniche e aiutando Salud a fissare le ruote del velivolo al gancio del trattore.
Il breve viaggio fino alla rimessa trascorre in silenzio. Sistemano con cura il velivolo in uno spazio libero all’interno dell’hangar più vicino, il pilota si attarda in un ultimo controllo del suo mezzo. Salud si limita a osservarlo a braccia conserte e attendere che abbia terminato la sua ispezione che, in verità, somiglia molto a un commiato fra due amici di lunga data. Per un momento Salud ha l’impressione di averlo perfino veduto passare un palmo sulla fusoliera rossa in una sorta di carezza. Potrebbe essersi sbagliato, considerato che casca dal sonno, e non è certo se preferire un’ipotesi piuttosto che l’altra, ma infine fa spallucce e fa strada al ragazzo, accompagnandolo al suo magazzino mentre rischiara il loro cammino con la torcia recuperata in precedenza. Alle stranezze di quell'incontro tornerà a pensare l’indomani mattina; ora, francamente, è troppo stanco anche solo per mettere in fila un ragionamento sensato.
#...più forte ragazzi!#All the Way Boys (1972)#Plata/Salud#Ali dal Nord#R_Roiben_R#plata & salud#Plata#Salud#Naso Balsam#Airplanes#Pilots#First Meeting#from the work of Giuseppe Colizzi#Comper Swift#all the way boys
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Fandom: Bud Spencer and Terence Hill
Movie: Zwei Himmelhunde auf den Weg zur Hölle/ più forte, ragazzi!
Pairing: Plata/Salud, (romantic or platonic)
Language: German
Words: 210
Titel: eine Autofahrt
Plata sprang grinsend in das grüne Capriolet. „Na los, steig ein!“
Salud seufzte nur und warf ihre Taschen nach hinten.
Währen der Fahrt waren sie still. Salud konzentrierte sich auf die Straßen und Plata tat… was auch immer der Verrückte tat.
„Plata!“ rief Salud plötzlich und blickte kurz von der Straße zu Plata. Dieser grinste schelmisch und tat dann unwissend. „Was ist denn, Keule?“
Platas Füße, die auf Saluds Schoß lagen, bewegten sich leicht, bewusst, dass es genau das war, was Salud beanstandet hatte.
„Die Treter bleiben unten, ich fahre.“ Mit einer Hand schubste er Platas Füße herunter. Plata seufzte tief.
Salud spürte schon wenige Minuten später wieder, Platas Schuh, der diesmal gegen seinen Oberschenkel drückte.
„Deine Quadratlatschen bleiben unten.“ brummte Salud genervt und schob den Fuß wieder von den Sitzkissen herunter.
Diesmal dauerte es nicht einmal eine Minute, bis Salud wieder ein sanftes Stupsen von Schuhen sp��rte.
„Sag mal, bist du schwerhörig? Ich fahre!“ Er sah Plata wieder an, der mit seinem großkotzigen Grinsen dasaß und das unsichere Funkeln in seinen blauen Augen überspielte.
Salud seufzte und konzentrierte sich wieder auf das Fahren. Und als dann Platas Beine wieder hoch auf seinem Schoß wanderte schob er sie nicht weg. Stattdessen tätschelte er ungelenkt mit seiner freien Hand Platas Knöchel.
#bud spencer and terence hill movies#bud spencer#terence hill#oneshot#drabble#zwei Himmelhunde auf den Weg zur Hölle#gay#or platonic#as you like#piú forte#più forte ragazzi!#funny#my uncreative titles#what a surprise#german#german fanfiction#terebud
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23.09.2017
Heute gesehen: Zwei Himmelhunde auf dem Weg zur Hölle, Originaltitel: ...Più forte, ragazzi!, Spielfilm, Italien, 1972. Erstaufführung: 22. Dezember 1972 (Italien). EA (BRD): 06.03.1973, Verleih: Tobis, FSK: 16, Laufzeit: ca. 106 Min., Bild: Farbe, Bildseitenverhältnis: 2,35:1. Produktion: Delta, Tiger Film. Musik: Guido De Angelis, Maurizio De Angelis. Kamera: Marcello Masciocchi. Drehbuch: Barbara Alberti, Giuseppe Colizzi, Amedeo Pagani. Regie: Giuseppe Colizzi. Darsteller: Terence Hill, Bud Spencer, Reinhard Kolldehoff u.a. IMDB-Bewertung: 6.7/10
Handlung
„Plata und Salud versuchen sich als professionelle Bruchpiloten. Sie täuschen Flugzeugabstürze im südamerikanischen Dschungel vor. Doch der nächste Auftrag geht schief. Sie stürzen tatsächlich ab und stoßen in einen Dorf von Diamantenschürfern auf die Machenschaften des Skrupellosen Mr. Ears, der mit seinen Schergen die Leute ausbeutet. Salud und Plata sagen ihm den Kampf an. Sie kaufen sich selbst ein altes, schrottreifes Flugzeug, machen dieses wieder flugtauglich und beliefern von nun an ebenfalls die Diamantenschürfer im Dschungel. Mr. Ears ist von diesen Machenschaften natürlich nicht angetan und lässt das Flugzeug der Beiden durch seine Handlanger zerstören. Das lassen sich Salud und Plata natürlich nicht bieten.“ [Spencer Hill Datenbank]
Darsteller
Terence Hill: Plata (dt. Synchronsprecher: Thomas Danneberg)
Bud Spencer: Salud (dt.: Wolfgang Hess)
Reinhard Kolldehoff (als René Kolldehoff): Mr. Ears
Carlos Muñoz: Augusto, Pilot
Riccardo Pizzuti: ein Handlanger von Mr. Ears
Marcello Verziera: ein Handlanger von Mr. Ears
Sergio Bruzzichini: Pilot von Mr. Ears
Cyril Cusack: Matto
Alexander Allerson: Saluds Bruder
Ferdinando Murolo: Mann im Urwald, der Bier haben möchte
Antoine Saint-John (als Michel Antoine): Handlanger von Mr. Ears u.a.
Eine Verwirrung scheint bezüglich des Namens „Naso“ vorzuliegen, nach einigen Quellen ist das der Name der Figur, die Riccardo Pizzuti verkörpert (einer der Handlanger von Mr. Ears); nach anderen Quellen ist „Naso“ der Name von Saluds Bruder. Ich kann mich nicht erinnern, den Namen im Film selbst gehört zu haben.
Orte der Handlung: Kolumbien und Brasilien; Ortsnamen, die genannt werden: Macapá, Santarém, Maranhão (tatsächlich ein brasilianischer Bundesstaat), Salvador de Bahia (woraus die deutsche Synchronisation San Salvador macht). Außenaufnahmen wurden unter anderem in Kolumbien aufgenommen (man sieht zum Beispiel den Flughafen von Medellin).
Wie bei vielen italienischen Filmen der 1960er und 1970er Jahre, die für den Export vorgesehen waren, gibt es keinen Originalton. Sämtliche Sprachfassungen, also auch die italienische, sind Synchronisationen. Die Herstellung der deutschen Verleihfassung lag wie bei den meisten Hill/Spencer-Filmen in den Händen von Rainer Brandt.
Mir lag die Aufzeichnung einer Fernsehausstrahlung auf Kabel1 vor, die am 25.05.2017 ausgestrahlt wurde. Unter Abrechnung der Werbeunterbrechungen betrug die Spieldauer etwa 100 Min. Die ursprüngliche italienische Fassung des Films hatte eine Spieldauer von ca. 120 Min. Sie scheint nicht erhalten zu sein (?), die heute bekannte italienische Fassung, die auf DVD und Blu-ray veröffentlicht wurde, dauert nur ca. 90 Min. Die deutsche Synchronisation von Rainer Brandt hatte eine Laufzeit von etwa 106 Min. Die internationale Fassung für den englischen Markt wurde auf ca. 90 Min. gekürzt.
Quellen: [IMDB]; [OFDB]; [Filmdienst]; [Wikipedia (de)]; [Spencer Hill Datenbank]
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Capitolo Cinque
Il suo pilota…
Sgrana gli occhi, sbalordito.
Ora, vediamo, perché diavolo lo ha appena chiamato suo pilota nella propria testa? Per esperienza, Salud sa bene che i piloti non sono mai di nessuno. Al massimo possono prestarsi momentaneamente per qualche lavoretto, dietro compenso si intende; come ad esempio spostare un aereo da qui a lì, o da su a giù (per quest’ultimo caso in particolare, dietro un compenso più oneroso, in quanto i rischi sono maggiori).
Sta vaneggiando. Dev’essere più stanco di quanto pensasse. Quel che cercava di dire prima di perdere la bussola è che il pilota (che non è suo, proprio per niente!) ha tutta l’aria di uno che sta per crollare dal sonno. Allora Salud decide di prendersi un ulteriore rischio. Gli è chiaro che, essendo letteralmente piovuto giù dal cielo quella sera, non può evidentemente avere a disposizione un posto sicuro dove dormire. Pertanto tenta la sorte.
«Pensavo, potrei scovarti un posticino in cui puoi stare per stanotte.»
Il ragazzo leva gli occhi dalla superficie del tavolo che stava contemplando distrattamente fino a un momento prima e li posa in quelli di Salud, poi offre uno striminzito sorriso.
«L’idea ha un che di allettante, ammetto. Mi risparmieresti l’ennesimo, misero tentativo di infilarmi sotto la carlinga del mio aeroplano per ripararmi dall’eventuale pioggia» commenta imbarazzato.
Salud spalanca la bocca, impreparato. «Non ci staresti» protesta flebile.
«Eh, no che non ci starei. Ci ho provato, sai. Sono sottile, ma non abbastanza, soprattutto considerando che intendo avvolgermi attorno un sacco a pelo» replica divertito.
«E quindi come facevi?»
«Mi ci mettevo a fianco, nel lato riparato dall’aria.»
Salud storce il naso, per niente allettato da quell’idea. «Non mi piace.»
Si stringe nelle spalle, dubbioso. «A me non piace molto più che a te, ma in mancanza d’altro… Comunque non ho molto denaro con me, quindi non potrei concedermi il lusso di spenderlo per affittare una camera. Se stavi pensando a qualche locanda, devo avvisarti che non credo di potermelo permettere… A meno di non proporre un pagamento in natura» scherza.
Salud arrossisce di nuovo. Sta diventando una pessima abitudine, quella sera. È assurdo, se pensa che in realtà dovrebbe essere il ragazzino quello imbarazzato fra i due.
«Quante sciocchezze dici» borbotta, scuotendo la testa contrariato. «Se le locande sono da scartare, beh, posso vedere se c’è rimasto dello spazio nel magazzino in cui sto io. Almeno avresti un tetto sopra la testa. Può darsi che si riesca a rimediare anche un letto.»
Non sa bene come interpretare l’ennesima occhiata che gli sta lanciando il pilota. Forse trova la sua idea un’idiozia. In effetti non è particolarmente allettante ma, considerate le alternative, suppone che ci si potrebbe adattare; per lo meno, Salud lo farebbe, ma non è certo che lo stesso discorso valga per il ragazzo.
«Non so bene per quale motivo ti importi di dove dormirò questa notte» commenta con un tono confuso e incerto. Salud sta per protestare, ma a quanto sembra l’altro non ha ancora terminato il suo pensiero. «Sarebbe però folle da parte mia non approfittarne. Quindi…» per l’ennesima volta si stringe nelle spalle «Considera accettata la tua proposta. Starò alla grande anche sul pavimento. Alla peggio mi porterò appresso il sacco a pelo.»
〜
Stanno ripercorrendo in silenzio la strada dell’andata. Salud è pensieroso, e fra le varie idee che gli frullano in testa una riguarda quel che invece potrebbe avere in testa il ragazzino, che prima o poi smetterà di chiamare in quel modo. In fondo un nome glielo ha dato, anche se non è quello di battesimo, quindi potrebbe anche usarlo… forse.
Hanno appena superato la recinzione del campo volo, quando il pilota prende la parola.
«Dovrei recuperare il mio aereo. L’ho praticamente abbandonato lungo la pista. Se non lo levo di mezzo, domani mattina finisce che qualche altro pilota ci si schianta contro mentre prova a lasciare questo posto.»
«D’accordo, ti aiuto» annuncia Salud, dopo averci riflettuto per quasi due interi secondi.
Un lungo silenzio risponde alla sua offerta, una mancanza di suoni che non avrebbe idea di come interpretare ma che ha la capacità di innervosirlo.
«Va bene» soffia appena la voce incerta del ragazzo. «Grazie.»
Arriccia le sopracciglia, perplesso. Era un tono ben strano quello con cui lo ha ringraziato. Salud non capisce. Da quando è sceso a terra, il ragazzino che gli è comparso di fronte ha mostrato modi e toni che lo confondono. A momenti sembra felice e spensierato, qualche istante dopo invece è come se fosse immerso in pensieri sgradevoli. Lo stesso genere di dubbio glielo offrono i suoi occhi, quando decidono di posarsi su Salud. Può darsi che serva approfondire la conoscenza per capirci qualcosa in più, ma è un’eventualità inusuale per lui e sta faticando un poco per accettarla.
E sta faticando un bel po’ anche per ritrovare l’aeroplano del pilota. Avrebbe dovuto procurarsi una torcia, magari anche due. Che idea assurda brancolare sulla pista buia sperando di imbattersi per caso in quel trabiccolo volante. Uh! Meglio tenere quel pensiero per sé, o potrebbe finire per offendere di nuovo il pilota, oltre che l’aereo.
«Eccolo!» annuncia la voce ora vibrante del ragazzo. «L’ho trovato.»
«Grazie al cielo!» esulta Salud, che già immaginava di vagare per il campo volo una notte intera nella vana ricerca di quella specie di colibrì di metallo.
Il pilota ridacchia, chiaramente divertito a causa della voce esasperata di Salud. «Mi pareva ti fossi offerto tu di darmi una mano» fa notare con ironia.
«E intendo ancora farlo, non dubitarne. Sono solo seccato perché non ho pensato prima di portarmi dietro qualcosa per poterci vedere.»
«Ci penserai alla prossima occasione» ribatte di buon grado.
“Perché supponi di atterrare di nuovo oltre il crepuscolo per farmi venire la tachicardia?” avrebbe una gran voglia di rinfacciargli. Si astiene perché è stata una giornata lunga e faticosa, seguita da una serata abbastanza pesante, e non ha modo di sapere se quella del pilota sia stata migliore, ma ha una mezza idea che la risposta sarebbe assolutamente negativa.
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Capitolo Quattro
Si sono appena accomodati attorno a un tavolaccio in una taverna sovraffollata, una delle tante che si possono trovare a Santarém. Al pilota in sua compagnia non sembra tuttavia importare troppo di essere circondato da così tanta gente, voci, luci, musica e odori spesso discordanti o incomprensibili. Sorride, invece, appoggiando la schiena contro il muro alle sue spalle, lo sguardo che vaga sfarfallando per il locale.
Salud approfitta della sua distrazione per studiarlo con più cura. È così orribilmente giovane. Il piccoletto ha il suo bel da proclamare di essere ormai quasi maggiorenne: sembra un ragazzino anche guardandolo da così vicino e in piena luce. Chissà da dove diavolo è saltato fuori quel folletto biondo con le sue piccole ali rosse e bianche. Forse glielo chiederà, dopo tutto. Anzi, che diavolo: sicuramente glielo chiederà. È troppo vergognosamente curioso di saperne di più per potersi permettere di essere discreto, di avere la pazienza di aspettare che si decida a sbottonarsi spontaneamente.
Ma intanto sarà il caso di fare, finalmente, le dovute presentazioni, perché ancora non ha la più pallida idea di come dovrebbe chiamarlo. «Ehi, io sono Salud, a proposito» annuncia, tendendogli una mano e sfoggiando un gran sorriso per provare a invogliarlo.
Il pilota non sembra troppo impressionato dai suoi maldestri tentativi. Reclina appena un poco il capo di lato e lo sogguarda pensieroso, spostando i suoi occhi blu dal largo viso bonario alla grossa mano tesa di Salud e viceversa. Sembrerebbe indeciso sul da farsi. Eppure infine si risolve a offrirgli una qualche replica, anche se forse non era quel che il meccanico si attendeva.
«Penso tu possa chiamarmi Plata» proferisce in un bizzarro tono pensieroso.
Salud sfarfalla le ciglia, perplesso. «Vuol dire cosa: che non sei sicuro di come ti chiami? O che non lo sei riguardo al dirlo a me?»
Ora il pilota torna a sorridergli. Così è molto meglio, deve ammettere Salud. «Nessuna delle due. Conosco il mio nome, ma non lo uso da un po’, da quando sono partito per questo viaggio. Quindi, se non ti dispiace, continuerò a fingere che non esista.»
È un po’ sorpreso. Parecchio, in verità. E non sa se ha capito nel modo corretto quel che gli sta dicendo il ragazzo. Quel che invece sa è che le domande che si accumulano nella sua testa su di lui stanno inesorabilmente aumentando invece di diminuire, così come del resto accade con la sua curiosità.
«Beh, d’accordo. Un nome è pur sempre meglio che nessun nome. Non è come se potessi chiamarti Ehi all’infinito, no?»
Plata ride. Salud si sente decisamente soddisfatto per quel risultato.
«Sei buffo» gli butta lì il ragazzo, in un ansito mezzo soffocato dal divertimento.
Le guance di Salud si gonfiano. «Come sarebbe, buffo?» replica un po’ indispettito.
«Sarebbe che sei divertente e mi fai star bene.»
«Oh…» affanna impreparato, avvertendo il volto surriscaldarsi (di nuovo, accidenti!).
Qualche momento dopo giunge finalmente la loro sospirata cena, e i minuti seguenti vengono occupati nel farle i dovuti onori in un silenzio disteso, accompagnato dalla musica che riempie il locale quasi quanto fanno gli avventori.
Di tanto in tanto Salud si attarda con lo sguardo sul suo compagno di tavolo. Sembra un cucciolo di lupo. Si sta abbuffando come se dovesse fare rifornimento, o come se temesse di lasciare indietro qualcosa e doversene pentire in seguito. Di certo non è il tipo che fa complimenti. Si sofferma a riflettere, ancora una volta, sulla comparsa di questo pilota nel loro cielo, del suo modo di apparire quasi dal nulla e irrompere di prepotenza in quel loro mondo. Cruccia la fronte, perplesso: chissà dove diavolo lo mette tutto quel cibo? È sottile come un giunco, eppure sembra senza fondo. Può darsi che abbia trovato difficoltà e procurarsi dei pasti regolari, in quel suo stravagante viaggio? Non ha modo alcuno per saperlo. O meglio, uno ci sarebbe, ma non è sicuro che il ragazzo vorrebbe offrire di buon grado la sua collaborazione per chiarire i dubbi di Salud.
«E, senti, posso chiederti da dove sei arrivato con quel tuo aeroplano?» arrischia Salud, con la pazienza di attendere ormai agli sgoccioli.
Plata lo valuta nuovamente con lo sguardo. I suoi occhi sembrano ora terribilmente seri, e poco rimane della luce allegra di qualche istante prima. Può darsi non sia stata la domanda giusta da porre, dopo tutto.
«Dal nord» è infine la succinta replica che ottiene.
Salud batte le palpebre, incerto. La sua risposta è stata un poco vaga. Cosa può significare “dal nord”? Dalla Colombia? Forse dal Messico? Quanto a nord, poi? Di certo non dall’Alaska, giusto? Non che Salud ne possa sapere granché di quel che è giusto. Magari viene davvero dall’Alaska. I colori sono quelli giusti, dopo tutto. È abbronzato, certo, ma magari dipende dal fatto che è in giro per il sud da un po’ di tempo.
Il pilota lo sta ancora osservando, ora con uno sguardo incuriosito. Salud ha l’impressione di scorgere una sorta di aspettativa nei suoi occhi. Decide di tentare, mal che vada lo manderà affanculo intimandogli di farsi i cazzi suoi. Non sarebbe la prima volta che gli capita. Può sopravvivere benissimo a questo.
«Quanto a nord intendi?»
Le labbra di Plata si arricciano in un piccolo sorriso. «Sai dov’è il Michigan?» lancia pacifico.
«Euh… No…» dubita.
«Beh, vediamo. Il Canada lo sai dove sta?»
«Oh, quello sì!» esulta.
«Ecco. Hai presente che a sud-est ci sono i Grandi Laghi, giusto?»
«Mhh…» mugola, riflettendo sulle sue scarse conoscenze geografiche. «Credo di sì» tenta, visibilmente incerto. «Sono qualcosa come quattro o cinque e confinano con gli Stati Uniti.»
«Proprio così! Uno degli stati federati è appunto il Michigan, che a sud confina con il Canada e tre dei suoi cinque laghi.»
«Brrr!» esclama Salud, tremando alla sola idea di tutto il freddo che farà in quel posto.
E Plata ride di nuovo, sembrando sinceramente rallegrato dalla reazione di Salud, così quest’ultimo non prende troppo sul serio quel che immagina essere una delle sue innumerevoli figuracce.
«Sì, in effetti fa piuttosto freschetto lassù» ammette, stringendosi nelle spalle.
«Ed è per questo che sei venuto quaggiù?» si informa Salud.
«Non proprio.»
Lo osserva. Non ha l’aria di uno che abbia intenzione di dilungarsi oltre sui suoi motivi. Forse non portano a ricordi piacevoli, chissà. Magari Salud dovrebbe semplicemente lasciar perdere le sue indagini non troppo velate e permettere al ragazzo di tirare il fiato dopo quel che immagina essere stata una serata piuttosto movimentata.
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Capitolo Tre
«Ehi… Hai fame? Conosco un posto non troppo lontano da qui che fa dell’ottima feijoada» propone Salud.
Il silenzio si installa sulla pista per qualche lungo momento. Probabilmente il pilota sta valutando l’offerta.
«Non so cosa sia, ma sì, ne ho parecchia di fame. Quindi fai strada che ti seguo» accetta infine, facendo sorridere ancora una volta Salud.
Il tizio, chiunque sia e da qualunque luogo sia spuntato, sembra piuttosto in gamba nel rallegrare il nostro amico meccanico.
«Bene. Ehi, non mi hai ancora detto com’è che ti chiami» esclama.
«Nemmeno tu. Ma preferirei vederti in faccia prima di fare le presentazioni ufficiali. In questo posto di cui parlavi prima, la luce ce l’hanno, vero?»
Eccolo, di nuovo. Il pilota ride, e stavolta Salud lo segue a ruota, stranamente allegro.
«Ovvio che sì. Hanno la luce, hanno le panche e i tavoli, hanno cibo e bevande. Pensa, hanno perfino la musica» scherza divertito.
«Oh, ci mancherebbe! Non sono certo venuto fin quaggiù per ritrovarmi in un mortuorio senza musica.»
«Ah no? E allora perché sei venuto?»
«Beh, mi pare evidente: per divertirmi!»
Che dire? L’aereo non s’è schiantato sulla loro pista e Salud ne ha guadagnato una buona compagnia per una sera. Poteva andare peggio, decisamente. Invece ora può finalmente avviarsi in città, e non lo deve neppure fare da solo! Ogni tanto le cose vanno per il verso giusto, pure quando sembrano fatte apposta per incasinarti la serata.
〜
«Per la miseria!» esclama d’un tratto il pilota che lo sta tallonando lungo la strada. Ormai non manca più molto al centro abitato, il percorso è ora asfaltato e spunta qua e là qualche lampione a illuminare la via. Presto saranno nel piacevole via vai di gente che è uscita a cena e per divertirsi, esattamente quel che intendono fare loro. «Sei assolutamente enorme! Molto più di quel che mi era parso prima sulla pista.»
Salud sbuffa una risata e scuote la testa. «Preferivi rimanere all'oscuro, immagino» ribatte con una lieve nota sarcastica.
«Che? No, affatto. Sottolineo solo l’ovvio. A volte mi capita» commenta leggero.
Un po’ sorpreso suo malgrado, Salud si volta per cercare di valutare se il pilota da strapazzo che si è ritrovato fra capo e collo senza preavviso lo stia o meno prendendo per i fondelli. E a quel punto rimane impietrito, quasi inciampando nei suoi stessi piedi mentre indietreggia involontariamente e vedendosi per questo costretto a fermarsi per evitare di finire lungo disteso per terra.
«Che c’è? Ho qualcosa che non va?» indaga. Si porta le mani fra i capelli, provando a valutare con le dita le loro condizioni. «È un po’ che non mi guardo allo specchio, devo essere un vero casino, eh?»
Salud boccheggia, apparentemente incapace di collegare le informazioni che lo hanno appena assalito e mettere assieme un pensiero che abbia senso. «Tu… T-tu sei…»
«Quello che è atterrato sulla tua pista con un monoposto senza luci, sì. Pensavo lo avessimo già stabilito da un pezzo» si burla divertito.
«No… Io… Tu…» balbetta incerto.
«Dovrai provare con qualche altra parola, se vuoi spiegarmi il tuo problema, sai» lo deride con un piccolo sogghigno che gli arriccia un angolo della bocca.
«Sei un ragazzino» affanna Salud, gli occhi fuori dalle orbite per la sorpresa.
«Ehi! Attento a come parli, scimmione! Io non sono un ragazzino, ho quasi diciotto anni, che credi? Cioè, li compirò tra quattro mesi, ecco… Ma non è questo il punto!» si inalbera, visibilmente contrariato.
«Scusa, non intendevo offenderti. Sono solo sorpreso, perché, ecco… sei arrivato con quello strambo aggeggio e sei pure riuscito ad atterrare senza un graffio, e così pensavo…»
«Smetti di insultare il mio aereo. Si può sapere che cos’hai contro di lui?» protesta piccato.
«Oh, no, non stavo… Cercavo solo di spiegarti. Non ho nulla in contrario verso il tuo aereo.»
Il ragazzino… Beh, comunque sia, il pilota, inarca un sopracciglio prendendo un’aria molto scettica.
«Non sei granché convincente, te lo devo proprio dire» fa notare con giusto una punta di acidità.
«Eh, immagino di no. Il fatto è che non mi aspettavo di scoprirti così giovane. Sono un po’ invidioso, per la verità» borbotta costernato.
Sgrana gli occhi, poi arriccia il naso in un modo piuttosto buffo e si scompiglia i capelli con una mano. Più di quanto già non fossero un momento prima, cosa che francamente Salud non riteneva fosse possibile. Ma a quanto sembra il ragazzino può permettersi questo e altro.
«Non credo di capire» ammette quest’ultimo, dopo un consistente lasso di tempo, apparendo visibilmente perplesso.
«Beh, ecco, il fatto è che sono mesi che sto provando a far sollevare da terra un aereo, uno qualsiasi in effetti, ma non mi riesce affatto. Chiaro che sbaglio qualcosa, ma nessuno mi dice mai che cosa sia. E poi tu arrivi nel bel mezzo della sera, già con il buio incombente; tu, con il tuo piccolo aereo che lo si vede appena, e lo fai sembrare di una semplicità disarmante…»
«Ehm… Non proprio. È stato un po’ faticoso, in realtà» dissente, indeciso se essere indispettito oppure divertito.
«Suppongo lo sia stato, ma il risultato non cambia: a terra ci sei arrivato tutto intero. Quindi, ecco, mi sono trovato un po’ spiazzato quando mi sei capitato davanti e ho dovuto fare i conti con il fatto che un ragazzino… Uh! Scusa!» esclama già pentito, dopo aver visto la sua espressione rabbuiarsi. «Volevo dire, un giovanotto come te riuscisse laddove io non faccio altro che fallire» spiega impacciato.
Il pilota rimane qualche momento in silenzio, studiando il suo interlocutore, poi soffia una lieve risata. «Ammetto che quando vuoi sei proprio bravo a lusingare la gente. Offrimi anche la cena e sarò tuo per sempre!» esclama divertito.
Il volto di Salud si imporpora di sconcerto e imbarazzo. Fottuti piloti!
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Capitolo Due
E anche per quel giorno ha concluso. Certo, l’indomani, con tutta probabilità, ci saranno altri guai da sistemare. Ma, dopotutto, domani è un altro giorno! Aggrotta la fronte, confuso. Gli pare di aver già sentito prima qualcosa di simile, ma non ha proprio in mente quando né dove. Bah! Che importa? È stanco, ora, e ha voglia di andare a sbronzarsi da qualche parte in città, e magari divertirsi, magari con qualcuno. Sorride speranzoso a quell’eventualità.
Levata la tuta da lavoro, macchiata e unta, e datosi una bella ripulita, si riveste alla bell’e meglio con abiti un po’ rattoppati ma lindi ed esce dal magazzino, avviandosi verso la città. A piedi, certo, e per due solidi motivi: per primo perché non possiede un’automobile; e per secondo perché, se anche la possedesse, non se la sentirebbe di portarla con sé e rischiare di mandarla a sfracellarsi in qualche fosso perché non è lucido a sufficienza da distinguere la via asfaltata dalla campagna.
Mentre si fa strada lungo lo sterrato che lo condurrà in mezzo al traffico cittadino, nella tiepida sera che si avvia rapidamente al crepuscolo, gli pare di udire un sottile ronzio nell’aria tranquilla. Corruga le sopracciglia, interdetto; reclina il capo di lato, provando ad ascoltare con maggior attenzione. Il rumore sale di intensità, oppure si sta ingannando? Si volta alla sua destra, poi alla sua sinistra, ma non scorge nulla di strano, nulla di diverso dalla solita e conosciuta campagna circostante e dalla strada che scorre placida e serpeggiante in mezzo a prati e alberi.
Scrolla le spalle, perplesso. Sta per rimettersi in marcia quando si rende conto che il suono che prima non era riuscito a identificare ora è più distinto, prende un più chiaro significato nella sua testa: è il ronzio regolare del motore di un aeroplano. Ancora si guarda attorno, stavolta con gli occhi puntati verso il cielo, ma non riesce a scorgere nulla, tranne alcune nuvole sfilacciate e l’aranciato infuocato del tramonto che va presto imbrunendosi. Tra poco il cielo si tingerà di viola, poi pian piano si scurirà fino al nero. Ma lui non vede nessuna luce nel grande cielo sopra la sua testa, il che significa che l’aereo ne è sprovvisto, il che significa che il folle ai comandi del velivolo se la dovrà vedere da solo con la pista ombrosa, perché neppure quella ne ha di luci.
Solleva un braccio e si gratta la testa, pensieroso. Continua a non vederlo, ma il suono del motore si sta facendo più distinto, quindi deve essere vicino, e dev’essere un monomotore.
E infine lo avvista, là, proprio a pochi palmi dall’orizzonte scuro, e spalanca la bocca, e quasi scoppia a ridere. È un affaretto minuscolo, appena un puntino insignificante che si allunga tremolante nell’aria calda e umida. Un puntino più scuro dell’orizzonte, che a breve si sfracellerà sulla pista ormai nera come l’inchiostro. Fottuti piloti!
〜
È indeciso. Dovrebbe andare a controllare, forse. Si mordicchia un labbro, incerto sul da farsi. Gli altri piloti se ne sono già andati a casa loro da un bel pezzo. Naso è partito da poco meno di mezz’ora per raggiungere la famiglia. I due meccanici che lavorano come lui al campo volo saranno già in qualche bettola a giocarsi la paga. Rimane la guardia che pattuglia il perimetro di notte, e la squadra delle emergenze. Loro potrebbero fare al caso, in effetti. Se le cose andassero storte (e viste le premesse c’è una forte probabilità che accada), un’autobotte è proprio quel che ci vuole. Inaspettatamente avverte lo stomaco contrarsi. Digrigna i denti, contrariato, e scuote la testa. Che cazzo ci sta a fare uno stronzo di pilota in cielo a quell’ora, in un posto non attrezzato e senza un aereo adeguato? I piloti di Naso sono idioti, questo è un fatto, ma nemmeno loro lo sarebbero abbastanza da andarsene a zonzo dopo il tramonto. Quindi dev’essere uno di fuori, magari uno che stava giusto cercando un posto per atterrare perché il suo aereo è in avaria. Fottuti piloti!
〜
Alla fine si è deciso a tornare sui suoi passi. Non che avesse davvero molte altre scelte. Poteva fregarsene, è pur vero. Solo che Salud non è tipo da fregarsene, se c’è qualche cosa che può fare in proposito.
Non riesce più a distinguerlo, nell’oscurità dell’imbrunire. Però il suo motore lo sente ancora. Chissà se ha già scovato la pista? Salud la sta raggiungendo giusto in quel momento, ed è davvero una lunga e indistinta striscia d’inchiostro. Freme e si stampa in testa l’unica regola da non scordare mai, ma proprio mai: evitare di prendere il volo dopo il crepuscolo senza una strumentazione adeguata. Fatto.
Il rombo del monomotore lo riporta bruscamente alla realtà. Per sicurezza si tiene a lato della pista. Non si sa mai che il pazzo riesca a centrarla e si ritrovi di fronte Salud a fare da ostacolo. Sarebbe veramente bella, questa. Pochi momenti dopo spalanca di nuovo la bocca, suo malgrado sorpreso, mentre il suono inconfondibile delle ruote che toccano terra precede di poco quello dei freni. Ora lo distingue, anche se a mala pena. Sta procedendo a zig zag lungo la pista, rallentando progressivamente senza sforzare troppo sui freni. E infine lo scorge fermarsi dolcemente poco più avanti del punto in cui sosta Salud. E quest’ultimo scuote la testa, basito e suo malgrado ammirato. Quel bastardo di pilota sarà anche uno svitato, ma sa di certo il fatto suo. Ora, più rilassato, si avvia per dare un’occhiata al nuovo arrivato e sincerarsi che sia tutto intero.
«Ehi, amico» lo apostrofa una volta giunto a tiro d’orecchi.
Lo scorge appena voltarsi verso di lui, evidentemente altrettanto sorpreso dalla sua comparsa.
«Oh! Accipicchia. M’era parso di intravedere qualcuno nei paraggi, ma non ero troppo sicuro che fosse qualcuno in carne e ossa, così, sai… Ehm… Mi hai messo paura, chiunque tu sia.»
Salud storce il naso, piccato. «Io, eh? E tu che scendi giù dal cielo di notte come un fantasma, allora?» protesta.
Il pilota ride. Salud resta un lungo momento sospeso, quasi di sasso. Quella risata, sembra quella di un bambino.
«Giusto. Scusa, è che ho calcolato male i tempi e non sono riuscito a trovare una pista più adatta e abbastanza vicina. Quindi le scelte erano due: o mi sfracellavo in mezzo alla foresta, oppure tentavo con questa pista. Tu cosa avresti scelto?»
«La foresta» borbotta Salud, indispettito.
E il pilota ride di nuovo, con lo stesso identico effetto sui nervi del suo interlocutore. «Che gran racconta balle, sei.»
Offeso, mette il broncio, poi sbuffa. «Non sono un pilota. Ma nella mia ignoranza preferirei non trovarmici proprio a dover scegliere.»
«Eh, non hai tutti i torti. Ehi, senti, mi dispiace se ti ho spaventato. Volevo solo portare a terra il mio aereoplano e la mia pelle assieme a lui.»
Salud sospira ma è costretto ad ammettere che il pilota bastardo un po’ di ragione ce l’ha. Decide di farsi più vicino, perché è da quando il monomotore ha toccato terra che qualcosa nella sua testa gli urla quanto cattiva sia stata la sua idea, e vuole proprio capire perché.
Giunto accanto all’aereo si rende conto di quanto effettivamente sia piccolo e di nuovo si ritrova a scuotere la testa abbastanza allibito.
«Sei arrivato fin qui con questo giocattolino tutto da solo?» non può evitare di stupirsi.
«Vedi forse qualcun altro? E anche se avessi voluto, il posto a bordo è uno solo. Scommetto che andrebbe giù come un masso in un lago, se ci salisse una seconda persona. Se ci salissi tu, è probabile che non decollerebbe proprio» scherza il pilota, fissandolo con tanto d’occhi nonostante l'oscurità incombente non gli possa offrire un quadro preciso di quel che si ritrova di fronte.
«Sei parecchio spiritoso, per uno che ha appena rischiato l’osso del collo a bordo di un aereo per le bambole» lo redarguisce.
«Il mio Comper Swift funziona come qualsiasi altro aereo! Quindi non permetterti più di insultarlo» si inalbera il pilota.
Salud sorride. Il primo segnale positivo da quando ha udito il ronzio del motore di quel piccolo velivolo. Un pilota che difende il suo aereo. Il mondo non fa poi così tanto schifo, in fin dei conti.
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Capitolo Uno
Il possente rombo di un trimotore che prende avvio lo ripesca di prepotenza dal suo sonno che, in quell’ultima ora, si è fatto più leggero e delicato. Socchiude un occhio, incerto, e sbuffa annoiato. La luce fuori è già bella forte e splendente, e quindi sa piuttosto bene che deve proprio prepararsi mentalmente a dire addio al comodo materasso che lo ha accolto per la notte e a darsi da fare per iniziare la nuova giornata. Borbotta. Sbuffa di nuovo, abbastanza seccato. Infine si arrende e abbandona le lenzuola per gettarsi nel mondo crudele che lo attende là fuori in agguato.
Salud si ritira a dormire, ogni notte, in un angolo dei magazzini del campo volo dell’amico Naso Balsam. Un’altra sistemazione non ce l’ha, non ancora per lo meno. Ma si accontenta facilmente. Salud non è tipo da lamentarsi per certe scomodità. Un tetto sopra la testa ce l’ha; pasti regolari, anche; ha perfino un lavoro, che gli rende qualcosina. Non è molto ma, appunto, lui si accontenta. Fa il meccanico, ripara un po’ di tutto; al momento ripara aerei. Il mestiere del meccanico glielo ha insegnato un altro amico, tempo fa; ormai saranno trascorsi quasi cinque anni, ma quell’amico è morto poi, da un paio d’anni, lasciandogli in eredità quel che sa fare meglio nella vita, a parte dormire e mangiare: riparare cose.
Avrebbe proprio un gran bisogno di caffè, quella mattina. È così difficile svegliarsi. Sarà che ha fatto un poco tardi la sera prima… che poi si è trasformata in notte. Ma sono cose che possono capitare, in fondo. Ha solo ventiquattro anni: un po’ di divertimento se lo può ben permettere, no? Dovrà provare a chiedere a Naso, a quel punto, dato che lui di caffè non ne ha, e se è per questo nemmeno il gas su cui prepararlo. Intanto si butta di peso sotto la doccia, acqua rigorosamente fredda, sperando che aiuti. E aiutare aiuta, ma non a svegliarsi. O meglio, non a risvegliare il suo cervello. Qualcosa d’altro però sì, e forse non era il caso.
〜
«Ah, ma quale onore! Il nostro stimato meccanico che si presenta sul lavoro» lo accoglie la voce sarcastica del padrone della baracca, nonché amico di vecchia data, Naso.
Salud grugnisce qualcosa di indistinto, con buona probabilità un insulto. «Fatto tardi ieri notte» borbotta svogliato, sbadigliando. «Di’, ce l’hai mica un caffè?»
«Ma certamente!» esclama, occhi spalancati e sogghigno canzonatorio. «È risaputo che qui abbiamo un’ampia scelta di bevande e stuzzichini per placare gli appetiti più esigenti.»
Sbuffa. «Sei simpatico come una scimmia nelle mutande.»
«Perché, l’hai forse provata?» si informa Naso, intrigato.
Salud rotea gli occhi, esasperato. «Lascia perdere. Vado a vedere quanti danni hanno fatto ieri i tuoi grandi piloti» avvisa sarcastico, marcando a fondo su quel “grandi”.
«Sei solo invidioso perché a loro riesce di tenerli su e a te no» lo sfotte.
«Non ancora! Ma stai a vedere. Prima o poi ci riuscirò» prevede, pieno di speranza e con il pensiero già oltre, al suo vittorioso volo fra i cieli del Sud America.
«Come no, come no» concorda senza dar credito a una sola parola. «Ecco, prendi un po’ quella tazza di latta, quella che ti sta proprio accanto, sulla sedia, sì. Là dietro lo trovi il tuo caffè, è ancora caldo. Così magari non ti addormenti sul motore del de Havilland, eh.»
«Già, già» borbotta, recuperando la tazza un po’ ammaccata che gli ha indicato l’amico e facendosi largo nel ciarpame che ingombra il suo ufficio per tentare di raggiungere il retro e appropriarsi del famoso caffè. «Che ha il de Havilland, stavolta?» si informa dal fondo, tra un sorso e l’altro.
«E che ne so. Sei tu il meccanico, qui. Trovamelo tu il problema. Non si avvia, e quando lo fa borbotta peggio di te la mattina presto e poi tossisce e si spegne di nuovo.»
«Uhm…» riflette pensieroso, mentre la caffeina fa il suo lavoro. «La vedremo» mormora assorto. «A dopo, capo» si accomiata, sfarfallando una mano in segno di saluto all’indirizzo di Naso.
«Finiscila di chiamarmi capo in quel modo. Sembra una presa per il culo» protesta l’amico.
«Eh! Appunto» conferma, sghignazzando, mentre esce dall’ufficio per raggiungere il suo primo paziente della giornata.
〜
Il de Havilland aveva solo un banale problema di iniezione che ha risolto in fretta nella mattinata. Poi però sono arrivati due dei piloti dell’amico, entrambi lamentando guasti al proprio velivolo, che loro insistono ad apostrofare “catorcio”. Salud pensa che il vero problema di quei poveri aerei siano i piloti che li portano in aria e che, per quanto può vedere lui, non hanno la minima cura delle macchine che hanno sotto le chiappe. E così gli aerei si rompono sul più bello e i piloti se la prendono con il loro velivolo e non alzano un dito per correggere i loro errori, aspettandosi che sia Salud, ogni volta, a sistemare il guasto. Un giorno o l’altro lo sistemerà davvero il guasto: un bel cazzotto e via, problema sistemato.
«Ehi, Salud. Oh! Salud!»
L’interpellato leva gli occhi al cielo e, lentamente, abbandona il lavoro in cui era immerso, letteralmente, per dare attenzione allo scocciatore di turno: un altro pilota, tanto per cambiare. Ha la faccia da faina, ed è per quello che lo hanno soprannominato tale, ma Salud pensa che il povero animale sia mille volte più interessante, nonché più intelligente del pilota che ne ha usurpato il nome.
«Che c’è?» borbotta scocciato.
«Il mio 10 Electra dà problemi in rullaggio. Ci dai un’occhiata?»
«Per favore» appunta Salud.
«Sì, ok: per favore, puoi dargli un’occhiata?»
Salud grugnisce, sempre più seccato. Ma il povero 10 Electra non ha colpa del pilota che si ritrova a bordo, quindi va bene così. «D’accordo. Finisco qui e poi vedo che ha il tuo bimotore» promette di buon grado.
«Bene. Ci si vede.»
«Grazie, eh!» sbotta sarcastico.
«Sì, sì. Grazie» conviene la Faina, mollandolo al suo lavoro.
«Deficiente» sibila fra i denti, sbrigandosi con quel carburatore per poter controllare che altra sciagura ha combinato l’ennesimo, maledetto pilota della malora.
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Brogliaccio di … Più forte ragazzi! di Giuseppe Colizzi (Aprile 1972)
[Disclaimer: il testo che segue non mi appartiene. È di creazione e proprietà di Giuseppe Colizzi, scrittore, montatore, regista, sceneggiatore e produttore cinematografico, direttore artistico televisivo. Si tratta di una bozza di quello che in seguito diventerà la sceneggiatura di uno dei suoi film: ...più forte ragazzi! del 1972, con protagonisti Bud Spencer e Terence Hill. A fine testo i relativi crediti]
Più forte ragazzi, di Giuseppe Colizzi, Aprile 1972
Anni fa, quando ancora le grandi compagnie aeree non erano in grado di controllare con linee regolari tutto il paese, date le immense distanze del Sud America, i trasporti aerei sia di merci che di persone, il più delle volte, erano esclusivo appannaggio dell’iniziativa privata, di piloti cioè che con aerei il più delle volte inadeguati tecnicamente, sfidavano la foresta volandovi sopra con minuscoli monomotori privi di strumenti, fidando solo nel loro coraggio e nello spirito di avventura che li animava.
Un vecchio proverbio dice: “abbi fede in Dio, tocca legno e via” e loro toccavano legno e andavano senza porsi altri problemi.
Certo non erano tutti stinchi di santi!
PLATA Y SALUD, i nostri due protagonisti, hanno una cosa in comune: volare. Non molto, ma già qualcosa. Ovviamente, per il mestiere che fanno, vivono alla giornata anche se, prospetticamente nei confronti del futuro, hanno aspirazioni diverse.
Plata – del quale anche noi ignoriamo la reale provenienza (forse americano di origine o forse inglese o francese o tedesco, non lo sappiamo) in attesa, come un animale da preda, del colpo grosso che possa introdurlo nel ristretto mondo dei privilegiati, dei ricchi, di quelli veri.
Salud, di origine italiana, napoletana per l’esattezza, è invece di quelli che dove e come li metti continuano a star bene nella propria pelle.
In effetti la sua più grande aspirazione, anche se molto spesso la dimentica (e, certo, non ci perde il sonno a pensarci) è quella di possedere un piccolo monomotore, attaccarci dietro un bello striscione pubblicitario e fare un giretto la domenica sugli stadi, guadagnando abbastanza per spassarsela il resto della settimana. Sì, insomma, Salud, almeno nelle aspirazioni, è quel che comunemente si definisce uno stacanovista del non lavoro. Ovvio che nelle nostre peregrinazioni attraverso il Sud America incontreranno altri tipi, il mondo è fitto di tipi. Cercheremo, per quanto ce ne permetta il tempo, di accennarne qua là man mano che se ne presenterà l'occasione.
Un vecchio, vecchissimo bimotore vola basso rasentando le cime degli alberi della foresta. Ha il motore di sinistra in fiamme che si lascia dietro una pesante scia di fumo nero.
All'interno, nello spazio riservato ai passeggeri, un negro con gli occhi bianchi dal terrore si tiene arpionato ai braccioli di un seggiolino di fortuna. Una pesante gabbia di galline, a seconda del beccheggio, viaggia come sui pattini a rotelle sbattendo contro le pareti quando se le trova davanti. A ogni colpo i polli starnazzano disperatamente. Nella cabina di pilotaggio, alla cloche, Salud. È un omone di trentacinque anni o giù di lì che madre natura ha tagliato fuori misura, come dire centoventi chili di ossa e muscoli, due spalle da ex massimo e un faccione coperto da una barba ispida sormontato da un berrettaccio a visiera unto d'olio.
L'uomo sembra osservare gli strumenti di bordo. In realtà sta leggendo con molto interesse le avventure di Paperon dei Paperoni.
Steso dietro di lui in una bizzarra cuccetta, nudo come l'ha fatto mamma, c'è Plata, l'altro pilota. Ha il volto bruciato dal sole dei tropici e dorme come un angelo.
I due, dopo un soggiorno di un mesetto nell'interno per recuperare il vecchio Dakota, stanno rientrando alla base.
Atterrano alla base mettendo l'aeroporto un po' in subbuglio, ovviamente, ma atterrano. Sono felici di tornare in città.
All'uscita dall'aerostazione, una signora distratta e frettolosa consegna a Salud le chiavi di un'imponente decappottabile, scambiandolo per un parcheggiatore, e Salud gliela parcheggia: con Plata al fianco, fanno un ingresso molto piacevole in città sulla molto confortevole automobile.
Naso Balsam è un uomo sui quarantacinque di chiara origine ebreoamericana, ormai in pianta stabile in Sud America.
Ha un bel ufficetto moderno e molto efficiente dove vende, compera, affitta terreni, aziende, case, barche, aerei e quant'altro c'è da comperare, vendere, affittare in una grande città. Ovviamente si occupa anche di turismo, di pullman, di trasporti. Ha persino l'esclusiva di un certo tipo di piscina “installazione e funzionamento nelle ventiquattr’ore” made in U.S.A.
Non è che tutti i suoi affari vengano conclusi alla luce del sole. Naso ha un fitto pelo sullo stomaco e c'è stato anche in passato chi ha tentato di introdurre attraverso quel pelo un paio di pillole nient'affatto curative, ma Naso è di quelli fortunati, è riuscito a digerire anche quelle, e c'è chi dice che tramite amici è persino riuscito a restituirle al mittente, nessuno può giurarci, naturalmente, comunque il tutto gli ha giovato in prestigio, come dire che molti in città lo considerano un duro e lui lascia dire e bada al sodo, il che significa badare solo e unicamente a concludere affari vantaggiosi.
Questo nei giorni migliori! Nel momento in cui facciamo la sua conoscenza ha le vene del collo talmente gonfie che sembrano scoppiargli e urla come un ossesso. Ma come? Lui paga per il recupero dell'aereo, lui paga le spese di andata e ritorno, paga perché ha un acquirente che ha bisogno di quell'aereo, paga al vecchio proprietario l'aereo, lui paga, anticipa e che si ritrova? Un aereo con un motore in meno. Che se ne fa di un aereo con un motore in meno...
Plata e Salud lo ascoltano senza scomporsi: sono usi a scene del genere. Al momento del saldo per il loro lavoro Naso Balsam, ogni volta, trova sempre una scusa, ha sempre qualcosina da ridire. Basta lasciarlo sfogare, basta avere un pochino di pazienza…
Al crepuscolo Salud, salendo verso una chiesetta sulla collina, compera un mazzo di candeline. Un omaggio alla sua protettrice alla quale fà anche un voto: per tutto il tempo in cui rimarrà in città, stavolta, rimarrà fedele alla sua sempre fedele fidanzata.
Plata invece si paga una birra nel solito bar, frequentato da piloti come lui.
Una birra veramente ghiacciata come da tempo non ne beve.
Ambedue hanno il portafogli ben fornito e puoi giurarci che ne approfitteranno per godersi a piene mani le gioie che le città più importanti possono offrire senza alcuna preoccupazione di trovare altri ingaggi.
Naso, invece, nonostante le apparenze, è in un momento difficile. Deve aver fatto alcune speculazioni sbagliate e non ha certo tempo da perdere in frivolezze. Convoca Melampo detto la Folaga, un altro pilota che saltuariamente lavora per lui e, insieme, raggiungono l'officina di Ciuenlay. Naso deve a quest'ultimo un bel po' di quattrini e il giapponese non molla certo il Beechcraft di cui ha appena finito di revisionare i motori senza prima vedere tra le mani il colore della carta moneta. Naso non si lascia smontare per così poco: sfodera il libretto d’assegni, domanda quant’è, e riempie l’assegno poi, mentre il proprietario dell’officina sta stropicciandosi le mani soddisfatto, si fa prendere dai dubbi:
E la prova in aria? – domanda.
No, la prova in aria ancora non è stata fatta.
Il dettaglio viene presto risolto: mentre Ciuenlay gli offrirà il thè può farla la Folaga, suggerisce Naso. Questione di cinque minuti. Un giretto sul campo controllando che tutto sia in ordine, e quando torna giù, lui paga. Ciuenlay abbocca. La Folaga è appena decollato che Ciuenlay cerca invano Naso Balsam: servendosi di un’uscita di “fortuna” sul retro di una toilette, anche il nostro uomo d’affari ha preso il volo, dimenticandosi, nella fretta, di lasciare l’assegno.
Ora il Beechcraft è al sicuro in un campetto fuori mano. Chi non si sente affatto al sicuro è la Folaga. Naso non gli ha fatto certo ritirare l’aereo per farci una passeggiatina, Naso desidera che l’aereo, durante un trasporto regolare, vada giù con tutte le regole per poter incassare il premio dell’assicurazione, e Melampo detto la Folaga sa bene che tirare giù un aereo non è uno scherzo: o ci affondi le mani e finisci all’ospedale se non peggio o ci vai leggero e i tecnici dell’assicurazione si accorgono del trucco e allora anche se riesci a evitare la galera per truffa, quantomeno ti tolgono il brevetto.
La Folaga, purtroppo, è stato costretto ad accettare. Quel figlio di puttana di Balsam lo tiene in pugno come una nocciolina, come dire che ha in mano carte abbastanza pesanti nei suoi confronti per non rischiare un rifiuto. Tirarsi indietro adesso è impossibile. Ci vorrebbe una “causa di forza maggiore”. Ma dove la trova la causa di forza maggiore se crepa di salute a parte quei maledetti piedi.
Già perché Melampo detto la Folaga, ci siamo dimenticati di dirlo, ha i piedi un po’ piatti ma questo non significa un fico secco in quanto, per tirare giù un aereo, non occorrono certo piedi da bersagliere.
Così mentre il sole, del tutto indifferente, tramonta, la Folaga pedala tristemente verso la città ciucciando bevande a forte percentuale alcolica da ogni bar che incontra e quando arriva in centro ne ha abbastanza in corpo per capire che o trova subito una soluzione o l’indomani mattina è la volta buona per dire addio alla vecchia pellaccia, e occorre dire che Melampo detto la Folaga, come ogni bravo cittadino, alla sua ci tiene mica poco.
Le auto corrono veloci lungo le grandi arterie. Il pilota le considera con molta attenzione. Sì, ficcarsi sotto una di quelle non è poi una brutta idea! Si fà il segno della croce, si prepara “Uno, due, tre!” ma il semaforo, in quel momento, scatta al rosso. Le auto si fermano e lui considera il tutto come un segno del cielo e riprende a pedalare. Comunque, deve riflettere, auto in giro ci sono tutta la notte, ha ancora tempo per una bevutina.
Plata e Salud stanno giocando a carte con Josè il Fischione, il Pellicano e con Santo detto anche la Poiana. Il Pinguino osserva e segna i punti e tutto fila nel più perfetto dei modi giù dallo Svedese quando la Folaga, ubriaco fradicio, fa il suo ingresso nel bar, e dopo un'occhiata in giro, e un'ennesima ciucciata alla vecchia bottiglia, comincia a sfottere Plata. “Lascia perdere” gli suggerisce il barista, ma alla Folaga l'inglès deve essergli molto ma molto antipatico se continua a intignare (1), e la faccenda va avanti finché non lo prende per il petto e allora Plata lo spedisce al tappeto con un pulisci denti, ma la Folaga si rialza e torna all'attacco e Plata lo rispedisce chiappe all'aria e quello torna a rialzarsi e il gioco chissà per quanto tempo andrebbe avanti se Salud, il bestione, non se ne stancasse e, per poter continuare la partita interrotta, la prossima volta che la Folaga torna alla carica non fosse lui a fermarlo e spedirlo nel mondo dei sogni con un carico da undici che è un punto a capo. Come dire che la Folaga adesso dorme con un sorriso soddisfatto sul grugno e la mascella che sembra del tutto indipendente dalle altre ossa del cranio tanto è fratturata.
Occorre chiarire a questo punto che fin da quando la Folaga entra nel bar tutti sanno quello che gli tocca l'indomani: le notizie nell'ambiente corrono e anche Plata lo sa, così non è vero, come sembra, che è giù di forma quando fa volare la Folaga via senza fargli troppo male. L'unico a esserne all'oscuro è Salud. Ma, ormai, la frittata è fatta: Melampo detto la Folaga viene spedito ancora nel sonno in un comodo ospedale e i nostri due amici, l'indomani mattina, sono costretti per onor di firma a prenderne il posto a bordo del Beechcraft.
Se tu vuoi buttare giù un aereo in una certa zona dell'interno non hai che l'imbarazzo della scelta: niente strade, niente case, niente occhi indiscreti, niente di niente, tanto niente di niente che una volta giù, per uscirne, magari ti tocca camminare nella foresta per un mesetto prima di trovare un mammifero della tua specie e loro, appunto dopo circa un mese, finalmente ne trovano uno. Da lì con uno sgangheratissimo monomotore e un’ora e mezzo di volo raggiungono un piccolo centro dove c'è il telefono e s'affrettano a chiamare Naso per farsi mandare il denaro necessario per tornare a casa. Ma Naso, nel frattempo, è fallito e non solo non è più al numero da loro chiamato ma nessuno sa attualmente dove si trovi visto che sono in molti a cercarlo.
Così, per sbarcare il lunario, i nostri due amici mettono insieme un antiquato biplano trovato in una stalla e fanno, per un po' di tempo, vita di garimpo portando viveri ai cercatori della zona.
Non che si annoino, tutt'altro, ma, col passare del tempo, la nostalgia per le grandi città si fa sentire e quando Naso torna a farsi vivo offrendo loro un “prosciutto” da trasportare in città non ci pensano certo due volte. Un prosciutto, per chi non sia uso al gergo aviatorio, è un cadavere regolarmente incassettato il cui ultimo desiderio evidentemente è stato quello di tornare nella città natale. Non che i piloti amino questo genere di trasporti, ma anche i morti hanno i loro diritti e Plata e Salud tornano finalmente in città con il loro prosciuttino e il ‘papa-defunto’ che lo accompagna.
Quando abbiamo occasione di rincontrarli sono nel Nord che trasportano, con una vecchia ‘Catalina’, quarti di bue dall’interno.
Un giorno, mentre volano a pieno carico, da un piccolo aeroporto nell’interno li pregano di scendere per caricare un malato.
Atterrano e il malato è un pazzo che arriva sotto il pesante bimotore accompagnato da due tipi armati. Il caldo sul campo è terribile. Il pazzo si lascia accompagnare tranquillamente fin sotto la Catalina poi, d’un tratto, con un balzo si impossessa di un fucile e lo spiana contro i due piloti e i tipi che lo hanno accompagnato, terrorizzandoli per alcuni minuti mentre il sole picchia su tutte le teste presenti e sul carico di carni macellate che rischia di imputridire. Infine, e altrettanto all’improvviso, prende a darsi degli ordini e a eseguirli. Presentat’ arm! e presenta il fucile, spall’arm e lo mette in spalla, avanti march! e via: unò dué, dietro front, unò dué, unò dué, dietro front, dietro front e quelli a guardarlo esterrefatti senza sapere a che santo votarsi, finché uno dei due piloti ha l’idea giusta. Improvvisandosi sergente è lui che comincia a dare ordini e il pazzo, dopo un momento di esitazione, li esegue. Unò dué e dietro front e fianco sinistr, il pazzo marzialmente sale a bordo. Ancora fianco sinistr e avanti march, si dirige nella toilette.
Squadra alt! e Plata, dopo averlo chiuso a doppia mandata, tergendosi il sudore che gli scorre copioso dalla fronte, ordina con voce stentorea:
“Riiiposo!” E, finalmente, il bimotore può ripartire.
Il Pellicano è un po’ di tempo che sta spupazzando quà e là con il suo piccolo bimotore un uomo d’affari nordamericano, quando gli capita che la moglie deve partorire e lui vuole stare accanto alla sua dolce metà, così chiede a Plata una sostituzione di un paio di giorni. Il nordamericano è alla fine del suo giro e deve rientrare in città. A Plata l’idea di una corsetta nella grande città lo allappa assai, così accetta. Salud resta a trasportare quarti di bue su nel Nord e lui carica l’uomo d’affari e fila in città. Quando arrivano, l’americano lo prega di passare nel pomeriggio in albergo per incassare. Plata trascorre una piacevole giornata nella immensa metropoli, si concede una magnifica colazione che gli va di traverso apprendendo, quando arriva in albergo, che il tipo è partito già da alcune ore su un volo di linea intercontinentale verso il suo paesello natio.
Plata ha in tasca sì e no i soldi per mezzo pacchetto di sigarette. Telefona a Salamandra, uno spagnolo zoppo che bazzica nel sottobosco locale. Vuole un incarico, uno qualsiasi, non ha altra scelta, e Salamandra non tarda ad accontentarlo: ha, appunto, tre tipi che hanno urgente bisogno di passare la frontiera. Tre rapinatori che alcuni giorni prima hanno alleggerito di una grossissima cifra una banca. Plata esita, non ha alcuna voglia di infilare il collo in una storia del genere, poi pensando al Pellicano che deve ancora finire di pagare le rate del suo aereo, ai figli del Pellicano (sette anzi otto, ormai) finisce coll'accettare. D'accordo, si farà trovare in un certo punto a una certa ora pronto al decollo. Salamandra organizza il resto ma, all'ultimo momento, qualcosa va storto e i tre arrivano all'Aereo Club con la polizia alle calcagna.
Salamandra ci rimette la pelle ammazzato brutalmente da uno dei rapinatori.
Il piccolo aereo, comunque, riesce a partire…
In volo, sentendosi ormai al sicuro, i tre cominciano a litigare tra loro e finiscono col farsi fuori l'uno con l'altro, e Plata, dopo aver rischiato anche lui di venire ammazzato, all'improvviso si ritrova padrone di un enorme cifra di biglietti di banca. È il colpo grosso stavolta!
Un piccolo aereo con un lungo striscione pubblicitario vola pacioso sulla città. Alla guida c'è un Salud molto soddisfatto di avere finalmente ottenuto il giocattolo più ambito della sua vita.
Plata gioca al golf. Vive ormai nell'ambiente che ha sempre sognato di frequentare.
Naso Balsam, in un ufficio favoloso che mai si è sognato di possedere, ormai lavora sul solido amministrando per Plata e Salud il capitale piovuto dal cielo, è il caso di dirlo.
Sembra tutto perfetto, tutto risolto. I nostri tre amici, ognuno per il suo verso, sono riusciti a realizzare i loro sogni più ambiti. Ma i sogni, quanto meno certi sogni, è meglio restino tali: a poco a poco, fatalmente, non solo i rapporti tra Plata e Salud si guastano ma ambedue, anche se per motivi diversi e senza rendersene chiaramente conto, finiscono col prendere a noia quel mondo in cui cercano di muoversi più o meno spigliatamente. È un mondo che non gli appartiene, un mondo che non ha niente a che vedere con loro.
Il primo a comprenderlo appieno è Salud che alla prima occasione e per un banale incidente, la cosiddetta goccia del cosiddetto vaso, ne viene fuori e senza compromessi. Capita un giorno in cui sono ospiti di una ricca villa. Il bestione, pur di uscirne, decide di farsi a piedi quattrocento chilometri che lo separano dal primo centro abitato e dopo aver detto senza uso di metafore a Plata ciò che pensa di lui, degli ospiti e della loro nuova esistenza, gli molla un leccamuffo (2) di quelli delle grandi occasioni, e se ne va senza che nessuno dei tanti che gli sono intorno osi trattenerlo, amareggiato per aver perso un amico, incurante della distanza, semplicemente mettendosi in moto e andandosene come dovesse attraversare una piazza o andare al caffè.
E il giorno dopo è ancora lì che cammina con la pervicacia, la caparbietà di un bufalo infuriato in quella immensa pianura che si stende davanti a lui a perdita d'occhio e, d'un tratto, ode alle spalle un leggero ronzio, dapprima confuso con il frinire dei grilli poi sempre più distinto...
Ma Salud non si volta, cocciutamente continuando a marciare… Poi il piccolo aereo scende in picchiata e allora è costretto a voltarsi e fa bene perché quel pazzo sta venendo dritto contro di lui, puntandogli addosso...
Il terreno acquitrinoso ha un fondo di melma densa, marrone come cioccolato liquido, ma non ne ha il sapore deve pensare Salud quando è costretto a infilarvi la faccia gettandosi a terra in tempo per evitare di essere investito dal Piper... e la cosa si ripete finché la rabbia impotente del bisonte, costretto ogni volta a tuffarsi nel fango come un giocatore di rugby placcante un immaginario avversario, non esplode e, come l'aereo gli passa sopra un'ennesima volta, gli spara addosso i due colpi della doppietta sentendo i pallettoni frinire come gragnuola di grandine sulla fusoliera e vedendolo impennarsi, scivolar d'ala, riprendersi all'ultimo momento, poi venir giù di fianco come un uccello ferito. “Sangre de Dios, l'ho ammazzato!” già in movimento, già correndo verso quel ciuffo d'alberi dietro il quale è scomparso venendo giù il Piper…
E arrivandoci senza fiato, al limite delle forze, disperato di aver fatto fuori l'amico, urlandone il nome e aprendo di scatto il portello in tempo per ricevere in pieno muso un terribile cazzottone che gli squassa la faccia spedendolo a terra.
“Così a quanto sembra la vita comoda non ti piace” sembra dirgli Plata mentre scende calmo a terra. “Dobbiamo chiarirci un po' le idee noi due” e si picchiano a morte senza esclusione di colpi: un modo come un altro per ritrovarsi...
Il Piper vola ora verso un gruppo di montagne, prende quota.
All'interno pesti, contusi, ammaccati, sanguinolenti ma con la luce di sempre negli occhi – quantomeno in quelli rimasti aperti, Plata y Salud siedono di nuovo uno accanto all'altro.
Di fronte a loro, in basso, c'è il Sud America, quella terra meravigliosa ancora tutta da scoprire per loro e che merita più di qualsiasi ricchezza...
Il piccolo aereo si allontana nel cielo, vi scompare come assorbito dal nulla…
fine
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Bibliografia
Terence Hill & Bud Spencer - la vera storia di Giuseppe Colizzi - l’uomo che inventò la coppia, di Francesco Carrà, edito da Falsopiano nel 2012
1 Intignare: verbo d'uso regionale, centromeridionale, con il significato di ostinarsi, intestardirsi
2 leccamuffo: espressione dialettale, Roma e provincia, con il significato di schiaffo, ceffone. In base alla zona, potrebbe variare di significato, indicando anche un pugno in faccia che produce lividura
#plata & salud#terence hill#bud spencer#plata & salud (... più forte ragazzi!)#Giuseppe Colizzi#Più forte ragazzi#all the way boys
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Cielo - L’infinito di un sogno (parte terza)
Per qualche momento ancora, dopo il decollo, si attarda a osservare la foresta scorrere sotto di loro e laggiù, in lontananza, la loro montagna. Chissà se la rivedranno mai. Si volta appena e sogguarda assorto l’amico ai comandi del monomotore. Sembra tranquillo. Peggio, sembra spensierato. Non riesce proprio a capacitarsi di come possa sembrare tanto felice. Hanno appena perduto tutto, di nuovo.
«Non lo rivedremo mai più, il nostro giacimento di smeraldi, non è vero?» chiede d’un tratto, pacato.
Plata distoglie qualche momento lo sguardo dal cielo davanti a loro e dà attenzione a Salud. Scuote la testa.
«Ne dubito. Non ci permetterebbero mai di girare per il paese indisturbati, non dopo quel che hai combinato laggiù.»
«Ehi! Io avrei incasinato le cose?»
«Beh, direi di sì» conferma serafico.
«Senti…» si altera Salud.
«La buona notizia è che nessun altro potrà sfruttare quel giacimento. Resterà nostro.»
Sbuffa, un po’ seccato. «Siamo ricchi, ma non possiamo approfittarne» constata.
«Proprio come il Matto, sì.»
Ora sospira, e lo fa apertamente, così che anche l’amico possa facilmente notare la sua frustrazione. «Dimmi almeno perché diamine dovevi farlo» protesta sconfortato.
Di nuovo Plata si attarda a scrutarlo. Salud rabbrividisce appena, mentre scorge un’ombra nei suoi occhi chiari.
«I soldi non sono sempre una buona cosa. Qualcuno, in tasca, fa certamente comodo. Su questo ci puoi scommettere. Ma, sai, quando sono troppi… Finiscono per rovinarti la vita» mormora pensieroso.
«Io non ne so niente. Troppi non ne ho mai avuti in tasca» borbotta.
Sorride, piano, e annuisce. «Meglio così. Mi piaci di più quando sei uno scorbutico caprone che si dà da fare in mille modi per sbarcare il lunario.»
Salud, imprevedibilmente, arrossisce. «Sciocco» sibila imbarazzato. «Pensa a pilotare, piuttosto. E vedi di non portarci in qualche altro posto sperduto e pieno di pazzi.»
«Promesso. Dormi ora, e lasciami sognare in santa pace» intima, tornando a sorridere spensierato.
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Cielo - L’infinito di un sogno (parte seconda)
Il sole declina adagio, infiammando il cielo di arancio e carminio ma sembrando smorzare certi animi infuocati. Plata lo sta fissando in un modo abbastanza strano. Ha ancora sulle labbra quel sogghigno canzonatorio, anche se un poco ammaccato per via delle ultime traversie, ma ora nei suoi occhi c’è una luce differente, come se stesse pensando a qualcosa che Salud ancora non riesce a scorgere. Cosa sarà? Dev’essere proprio un bel pensiero, quello che ha per la testa, perché il suo sogghigno si attenua e ammorbidisce.
«Che cos’è?» borbotta Salud, volendola far sembrare una richiesta infastidita, ma ricavandone una domanda genuinamente incuriosita.
Plata non gli risponde che con un’incurante alzata di spalle. È sempre stato abbastanza enigmatico, l’amico. Quando va bene gli rifila risposte abbastanza incomprensibili, qualche arguto giro di parole che lo confonde piuttosto che chiarirgli le idee. Le volte in cui va male finiscono come quel giorno, con un silenzio bizzarro e una lieve stretta di spalle, o un cenno della testa. Chi lo capisce, Plata? Lui di certo no. Beh, forse ogni tanto… E va bene: diciamo, allora, più spesso di quanto ci si aspetterebbe, d’accordo? Pignoli!
«I tuoi gendarmi ronfano. Direi che ce ne possiamo anche andare» propone Plata.
Sbuffa, seccato. «Piacerebbe anche a me dormire. Ma poi arrivi tu e chi ci riesce più a prendere sonno» protesta piccato.
L’amico gli sorride sornione. «E allora io piloto e tu poltrisci. Ti va bene in questo modo?» tratta divertito.
Salud si acciglia, si rigira la proposta in testa, infine sospira arreso. «D’accordo, ci sto. Vedi di non far precipitare anche questo, di aereo» lo avverte.
«Se nessuno ci spara addosso lo terrò su senza problemi» controbatte canzonatorio, guadagnandosi un mugugno desolato.
«Non ti volevo davvero buttare giù. Lo sai» protesta piano.
«Oh, lo spero bene. Siamo ancora soci al cinquanta percento, no? O hai forse cambiato idea?»
«No. Non cambio idea. Basta che la smetti di decidere tu per noi senza interpellarmi» fa presente offuscato.
«Prendo nota» assicura, ancora con quel suo irritante sogghigno. «Salta su, caprone. Togliamo il disturbo, prima che ci ripensino.»
Salud annuisce e lo segue a bordo. Sospira dentro la sua testa e si dà un’ultima occhiata alle spalle. Alla fine, lo segue sempre, per un motivo o per l’altro.
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Cielo - L’infinito di un sogno (parte prima)
Il colpo di fucile riecheggia nell’aria polverosa; il suono fragoroso, lentamente, si dissipa nell’azzurro slavato del cielo immenso sopra la sua testa arruffata. Dolcemente, quasi con delicatezza, le piccole ali bianche dell’aereoplano monomotore si inclinano di lato, il suo motore si zittisce, lasciando il cielo in silenzio e in pacifica contemplazione, e la corta fusoliera rossa sussulta lievemente prima di precipitarsi giù, verso la verdeggiante macchia di alberi.
Il respiro si inceppa bruscamente fra il suo petto e la sua gola. Spalanca la bocca e non gli riesce di recuperare l’ossigeno necessario per pensare. “Oh, no. L’ho ammazzato” è il pensiero fisso che gira senza sosta nella sua testa incasinata. Ma infine abbandona ogni ulteriore indugio e, mentre il fucile scivola via dalle sue dita, si precipita in una corsa disordinata e abbastanza penosa verso la distesa di rami verdi che sembrano volerlo deridere con la loro placida tranquillità.
«Plata!» non può fare a meno di urlare, nonostante si renda conto che da quella distanza non lo può sentire.
Sempre ammesso, naturalmente, che sia ancora vivo per sentire qualcosa… Oh! Questo no, era meglio non pensarlo.
Ha il fiato corto. Il suo cuore minaccia di piantarlo in asso da un istante all’altro. Gli bruciano le gambe e i polmoni. Ciò nonostante sta ancora correndo, il più velocemente possibile, perché deve assolutamente raggiungerlo e appurare che respiri ancora, che non abbia effettivamente ucciso il suo migliore amico.
Infine lo avvista, bianco e rosso sullo sfondo verde della foresta, e si permette un minuscolo sospiro di sollievo: se non altro non è un ammasso di lamiere contorte e fumanti. È già qualcosa. Poche sgraziate e traballanti falcate ancora e finalmente lo raggiunge e spalanca il portello con foga febbrile. Qualche misero istante dopo barcolla indietro, centrato dalle nocche spigolose dell’amico. Con il culo ammaccato e la mascella dolorante, risolleva la testa e lo guarda confuso. “Uhm… Non ha l’espressione granché amichevole, a ben vedere” ragiona incerto. E quel sogghigno che arriccia le sue labbra, seguito dal motteggio che fa odiosamente il verso a quel che Salud si era divertito ad affibbiargli subito dopo il loro disastroso atterraggio nella foresta, gli confermano che no, non sembra averla presa troppo bene in effetti. Ma, insomma, non lo voleva certo ammazzare per davvero! Ci mancherebbe. E con tutti i guai che ha dovuto passare lui, per colpa di Plata e dei suoi giochini malefici! Ne vogliamo parlare?
In tutta evidenza no, non ne vuole parlare. Preferisce prenderlo a calci, questo è sicuro. Gli dovrà proprio far presente, un giorno o l’altro, che i tacchi dei suoi stivali fanno abbastanza male. Magari un’altra volta, ora gli tocca fare a botte. Eh va bè! Un po’ di movimento ci voleva per sgranchirsi, giusto?
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Cielo - L’infinito di un sogno (introduzione)
È tutta colpa di quel maledetto disgraziato dell’amico. Ma quale amico?! Prima evade di prigione, costringendolo a corrergli dietro per riacchiapparlo. Poi, inseguendolo, si ritrova a scontrarsi per sbaglio contro le guardie, e finisce per essere inseguito a sua volta. E intanto il furbastro è sparito nel nulla, e al suo posto è diventato lui il braccato. Come se l’avesse voluto lui! Per concludere in bellezza, oltre al danno di aver perso credibilità ed essere diventato un fuggiasco, giunge la beffa di essere preso di mira da quell’idiota perverso. Ma sta meditando vendetta. Ah! La vedremo chi avrà l’ultima parola, stavolta.
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Fandom: Bud Spencer and Terence Hill movies
Movie: Zwei Himmelhunde auf den Weg zur Hölle/ più forte, ragazzi!
Pairing: Plata/Salud, romantic or platonic
Language: German
Words: 232
Titel: die vergessene Blume
Plata ging lächelnd in die Hinterräume, wo er wusste, dass Salud war.
Er roch an der roten Blumen, die das schöne Mädchen ihm gegeben hatte.
Ein sanftes Grinsen teilte seine Lippen, als er an die Schönheit dachte, die er vor kaum einer Stunde verführte. Die Blume roch genauso frisch und süß wie sie es war.
Er ging mit lockeren Schritten durch die Billard-Spielhalle und schwelgte in diesem Duft.
Schon beim betreten des Raumes hörte er die vertrauten schmerzerfüllten Jammer und das Klatschen von Saluds Fäusten, die auf etwas… Jemanden einschlugen.
Plata sah sich kurz verwirrt im Raum um, bevor er seufzte und sich an die nächstbeste Säule lehnte und sich den Kampf ansah.
Er wollte gerade wieder an der Blume riechen, als Salud von hinten angesprungen wird. Er seufzte und hing seine Weste an den Hacken neben ihn. Dann stürzte er sich mit in das Getümmel, bis auch der letzte sich schmerzerfüllt auf dem Boden räkelte.
An der Bar angelehnt fragte Plata dann, worum es ging.
„Sie sagten mein Bruder sei ein Betrüger.“ brummte Salud
„Mh, unhöflich… Aber recht haben sie ja.“ Er trank einen Schluck.
„Natürlich haben sie recht, aber er ist immer noch mein Bruder.“
„Auch wieder wahr.“
Und als Plata dann seine Weste wieder mitnahm, bemerkte er nicht einmal, wie die Blume herunterfiel. Während er Salud hinterher ging, war sowohl die Blume, als auch das Mädchen von vorhin vergessen.
#bud spencer and terence hill movies#bud spencer#terence hill#più forte ragazzi!#zwei himmelhunde auf den weg zur hölle#fanfiction#drabble#gay#german#german fanfiction#terebud
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I rewatched another Bud Spencer and Terence Hill movie. "Più forte, ragazzi!" or "all the way boys!" or "Zwei Himmelhunde auf dem Weg zur Hölle" under whatever Name you know this movie.
And I mean... They are both husbands. Salud and Plata are so husbands and I Love it!
I Just wanna make a crack Video out of it, but unfortunatley I can't so... I made a shitpost out of my fangirling.
#più forte ragazzi!#all the way boys!#zwei himmelhund auf dem weg zu hölle#bud spencer and terence hill movies#bud spencer#terence hill#bud spencer is a hufflepuff#terence hill is a slytherin#yes in this movie you see this so good#gay#i ship it#terebud
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