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#placido russo
eaeulfl · 6 months
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SENSI DELL'ARTE - di Gianpiero Menniti
SCELTE
Vasilij Vasil'evič Kandinskij (1866 - 1944), nato a Mosca, artefice di un'affascinante esperienza cosmopolita, viaggiando prima nella costellazione dei paesi dell'allora impero russo, poi varcandone i confini fino alla Germania, all'Italia e alla Francia, è generalmente inteso come il "padre" della figurazione astratta. Lo si studia come tale e lo si identifica come alta espressione di questa categoria nella storia dell'arte contemporanea. Eppure, esiste un Kandinskij che precede il creatore del "primo acquerello astratto" (risalente al 1910), un artista che non ha ancora conosciuto il testo istitutivo della teoria dell'immagine non figurativa, "Astrazione ed empatia" (1907) di Wilhelm Worringer. Quel dimenticato Kandinskij è considerato "minore", tutto sommato ancora incosciente di quella profonda innovazione della quale, per un caso fortuito, sarà capostipite. Come se la ricerca non fosse parte di un divenire misterioso. Come se un'improvvisa visione non fosse l'effetto di una sensibilità consumata nell'esperienza della creatività. Come se produrre tracce di figurazione non fosse già lento abbandono che lambisce il sottile confine della forma ignota. In quelle opere si annida la tensione febbrile dell'inaspettato. Vibrano di svolta. Fremono di futuro. Nascondono il cambiamento ma possedendone tutta la carica vitale: l'impeto di uno spirito senza pace. Per questa ragione, i dipinti che segnano il "primo" Kandinskij, lasciano l'eco di una sfida interiore, intensa e a tratti struggente. La forma consueta appare per dissolversi: l'artista ne è consapevole. Non è certo che accadrà. Ma lo avverte. E decide di accompagnarla. Con la tenerezza di una favola che adombra un placido sonno senza ritorno.
- Vasilij Kandinskij, "Rapallo boats", 1905, collezione privata; "Der Blaue Reiter" (Il cavaliere azzurro), 1903, collezione privata; "Porto di Odessa", 1898, Galleria Tret'jakov, Mosca
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baccano-gauntlet · 2 years
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ROUND 1 PART 2 MASTERPOST.
Donny v. Placido Russo
Renee Parmedes Branvillier v. Charkie
Dez Nibiru v. Carnea Kaufman
Ronny Schiatto v. Upham
Niki v. Donald Brown
Edith v. Edward Noah
Mark Wilmens v. Randy
Maria Barcelito v. Carzelio Runorata
John Drox v. Molsa Martillo
Celice Artia v. Rail
Salomé Carpenter v. Graham Specter
Luchino B. Campanella v. Firo Prochainezo
Lebreau Fermet Viralesque v. Bilt Quates
Jon Panel v. Nice Holystone
Misery v. Misao
Adele v. Krieck
Lucrezia de Dormentaire v. Tim
Jack v. Nile
Jacuzzi Splot v. Bride
Luck Gandor v. Melody
Sonia Bake v. Aging
Lua Klein v. The Former Felix Walken
Carol v. Lisha Darken
Nicola Casetti v. Natalie Beriam
Paula Wilmens v. Goose Perkins
Denkuro Togo v. Nicholas Wayne
Gustavo Bagetta v. Begg Garrott
Lester v. Claudia Walken
Nick v. Ricardo Russo
Tick Jefferson v. Spike
Lia Lin-Shan v. Maiza Avaro
Bill Sullivan v. Monica Campanella
Elmer c. Albatross v. Hong Chi-Mei
Carl Dignis v. Juliano
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hamaonoverdrive · 15 days
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In the interest of mashing together the two things I'm reading rn (Akagi and Baccano! light novel 2).... The fact that Ladd Russo's ragtag crew of homicidal misfits are collectively referred to as "whitesuits" is something that I just can't pass up.
The surface-level read would be Ladd Russo as a whitesuit, cheering on Washizu to kill Akagi in some exceedingly verbose way... but this falls apart really fast if you think about it for a bit. What gets Ladd going isn't mere wonton murder, he specifically wants to see people who think they are safe from death 'humbled'. Akagi is someone who has not only accepted the possibility of death, but is completely unafraid of it-- he is likened to a soldier who will keep his calm in the face of disaster until his dying breath, which is a type of warrior who Ladd SPECIFICALLY states that he finds boring.
But you don't have to look too far to find someone utterly in denial about death: Washizu is right there. Not only is there the overarching rage against his old age, but (where I am in the manga rn, where Washizu has started to pay for direct hits in blood and has already dealt into Akagi once) he is also firm in his belief that it is his capital D Destiny to not only win, but kill Akagi in the process (ironic given that we know Akagi must survive the events of the night, but I digress).
If we're coming into this with the premise that Ladd is a whitesuit, then not only can he not decide to kill Washizu on the spot, but he's innately gonna be one of Gramp's biggest hypemen. This is still reasonably in-line with him as a character: while I don't know where Ladd's respect for Washizu would be coming from, he IS someone who is a lot more calculated than the impulsively hedonistic image he cultivates. As we see in his scene with Placido Russo, he won't bite the hand that feeds purely for shits and giggles, and he very deliberately only commits murders that he knows he can get away with.
So after all this deliberation, I think this is how it would go down: Ladd would do something insanely out of line (pull Washizu's own sword on him?) to put the proper fear of death in his mind. It would be done in a way to superficially look like another one of his thrill killings, but would have no actual killing intent and would be a very pragmatic move to put Washizu in the right head space to properly face down Akagi. (See also: Ginji's "pep talk" to Morita in the GtK mahjong arc)
Tbh given FKMT's writing, I wouldn't be surprised if there was some similar 'revelation' for Washizu down the road, although it will probably be done entirely internally.
(Idk where I'm going with this, it started out as "oh that could be a funny thing I could draw" but then got kinda drawn out and srs.)
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lamilanomagazine · 9 months
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I protagonisti di allora sbarcano a Striscia la Notizia
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I protagonisti di allora sbarcano a Striscia la Notizia Drive In festeggia 40 anni (la prima puntata della mitica trasmissione andò in onda su Italia 1 nel 1983) e per l'occasione torna eccezionalmente in tv. Alcuni dei protagonisti saranno ospiti a Striscia la notizia a partire da lunedì 25 dicembre, dando vita a un inedito crossover tra i due più famosi programmi di Antonio Ricci. I conduttori Ezio Greggio (anche lui star di Drive In) ed Enzo Iacchetti, accoglieranno alcuni interpreti del rivoluzionario varietà degli anni Ottanta e, insieme, faranno rivivere le gag più famose. Da Nino Formicola, il Gaspare del duo Gaspare e Zuzzurro (ospite il 25 dicembre), a Carlo Pistarino (26 dicembre), da Edoardo Romano e Mirko Setaro dei Trettré (27 dicembre) a Francesco Salvi (28 dicembre), fino a Massimo Boldi (30 dicembre), protagonista di Bold Trek, parodia di Star Trek. I festeggiamenti proseguiranno con l'anno nuovo: il 1° gennaio l'ospite d'onore sarà la cassiera del Drive In Carmen Russo, il 5 arriverà la professoressa Olga Durano, mentre il 6 toccherà alla coppia Enrico Beruschi e Margherita Fumero. E tanti altri ancora. Andato in onda su Italia 1 dal 1983 al 1988, Drive In – recentemente definito in un convegno in Università Cattolica "la trasmissione che ha cambiato la storia della tv" – era una caricatura delle abitudini degli italiani e della società dell'epoca, un programma comico e satirico che ha irriso e messo alla berlina protagonisti, mode e personaggi di quegli anni. Una parodia dell'Italia del riflusso, dell'edonismo reaganiano e della Milano da bere. Trasmissione divenuta un cult della televisione, ha lanciato alcuni dei comici italiani oggi tra i più celebri. Federico Fellini, Umberto Eco, Giovanni Raboni, Beniamino Placido, Oreste Del Buono, Omar Calabrese, Luciano Salce, Lietta Tornabuoni, Maurizio Cucchi, Angelo Guglielmi e tanti intellettuali e artisti dell'epoca definirono Drive In «la trasmissione di satira più libera che si sia vista e sentita per ora in tv» e «l'unico programma per cui vale la pena avere la tv». Drive In è stato descritto da Antonio Ricci come «una macedonia di generi, una via di mezzo tra sit-com, varietà, effetti speciali, satira politica, parodie, gag, barzellette, tormentoni».... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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giallofever2 · 2 years
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1988 Non aver paura della zia Marta aka Тайна убийства
Regia Mario Bianchi
Soggetto Mario Bianchi
Sceneggiatura Mario Bianchi
Questo film televisivo fu prodotto in origine per la serie I maestri del brivido di Reteitalia. Come gli altri film del ciclo, non fu mai mandato in onda a causa della violenza considerata eccessiva. Fu trasmesso da reti locali nel 1991 e distribuito in videocassetta l'anno seguente, all'interno del ciclo Lucio Fulci presenta.
CURIOSITÀ
Alcune delle idee per la trama ( incidente di camion , nome sulla tomba di una persona ancora in vita) sono state utilizzate da Lucio Fulci nel suo ultimo film " La porta del silenzio ". Nel film di Fulci ci sono riferimenti diretti a questo film e uno dei personaggi si chiama anche "Zia Marta".
Interpreti e personaggi
Adriana Russo: Nora Hamilton
Gabriele Tinti: Richard Hamilton
Anna Maria Placido: madre di Richard
Jessica Moore: Georgia Hamilton
Maurice Poli: custode Thomas
Massimiliano Massimi: Charles Hamilton
Edoardo Massimi: Maurice Hamilton
Sacha Maria Darwin: Marta Thompson
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good day mate. i popped into your ask box after seeing your baccano! and naritaverse collection and i must say i'm really impressed. you've amassed quite the assortment of merchandise! i'm starting to get into the collecting frenzy as well; thank you for the encouragement. additionally, i wanted to pose a question. i apologize if it's annoying, considering that the reason i'm inquiring about this is i noticed it in your blog, since apparently other people have asked about this before. (cont.)
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(cont.) feel free to ignore: would you consider at least posting the pictures you took of the loose sheets that weren’t included in the settings collections? i know you intend to scan them, so it would be a placeholder thing, but i’m asking as someone interested in the drawing reference, as well as someone who knows other people who would benefit from it. plus, it sounds less time consuming than scanning them; i wouldn’t want to ask so much of you. no matter what, thank you for reading. [End transcription of Ask Part 2].
Ahh, yes, I’d forgotten to post those photos...for those of you who want context, check my #merchandise and/or #Asked and Answered tags to find past people asking me toward the end of September about the sheets and photographs of said sheets. 
Here is a Google Drive folder of the photographs I took (that I could find); I can’t be sure if these are all the photographs* (I did delete a few duplicates), but at least they’re something. I do have some more sheets preparing to ship from Japan so hopefully I’ll be able to scan those once they arrive. And I would like too, you know; the thing with the photographs is the sheets are all on the stack, so the lineart of the sheet underneath is visible through the sheet on top. Which isn’t the greatest.
Anyway, the sheets contain a great deal of FPF details, and I’m especially interested in the freight car sheets/information myself. There are some notes on clothes and faces as well as a gun model sheet--also, the model sheet of Isaac & Miria in their underclothes has a drawing of Miria sitting/resting on Isaac’s back, and I love it.
*It’s also likely I didn’t photograph every image, actually; if you look at the first TOC, for instance, you’ll see there are supposed to be a few more sheets after the Placido Russo and Family sheet (including one labeled Ronny) that either I didn’t photograph or weren’t included in the sheets after all. I think the former is more likely; I probably didn’t photograph certain sheets I knew were already available.
Thanks for the reminder I hadn’t shared those photos yet; hell fortnight really bowled me down.
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guildielove · 5 years
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graham!
     meet ‘n greet ( accepting! ) | @10dreamt
            [ THE MAD MECHANIC ]
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     1. Graham Specter used to be a working mechanic for an automobile industry within Chicago proper. Apparently, he caught wind that the company was illegally bootlegging and distilling alcohol, a fact that brought him much despair. He ended up notifying the proper authorities, causing the factory to close and go under, leaving Graham without a job. This didn’t particular bother him ; according to Graham, despite being good at dismantling and fixing, he didn’t really have a good time there and any memory of the place makes him quote - unquote “ begin to cry. “     2. He works primarily as a strong - arm member for the Russo mafia family. However, his loyalty isn’t really to Placido, the family head, but to the wily Ladd Russo, the designated and infamous family assassin. The two consider each other sworn brothers, and Graham holds Ladd in high regard, enough to not fight Ladd’s own enemies to whom Ladd wishes to kill.     3. Graham’s most notorious personality trait is his always fluctuating moods. Even the novels state it’s the most difficult part about him, going from 0 to 100 in no time flat. You usually can tell since he goes off on long - winded tirades about either his joy, or his misery ( it’s usually about his misery, but he can immediately start getting manic if something presents itself to excite him ). You should also note that Graham doesn’t really seem to have fixed opinions about something ; he relies almost entirely on his emotional whims and feelings. Since they tend to contradict and change on the flip of a dime, he can say one thing and immediately contradict himself the next ( case in point : in the anime he begins a long and angry harangue about how terrible boredom is, proclaiming it ought to die right then and there, before suddenly praising the virtues of tedium within the next few seconds ).     4. I’m not necessarily certain which characters Graham would “ get along with, “ since Graham’s idea of making friends seem to be engaging them in fights, nor do I really know what his criteria of friendship is. However, I can see him and Tetcho weirdly get along since they have such different personalities. Some other options can include Mushi or Poe since all 3 are dramatic fucks, Kajii because they’re both chaotics, and Belkia to add someone Graham might enjoy friendly fighting with.
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La stupidità occidentale: pic nic di cretini sul placido Don
La stupidità occidentale: pic nic di cretini sul placido Don
Davvero non c’è fine alla stupidità delle elite occidentali che cercano di contenere un nemico che esse stesse hanno evocato dal nulla: si è arrivati al punto che il The Telegraph che non è proprio l’ultimo dei fogliacci della stampa padronale ha sostenuto seriamente “che l’inverno russo può impedire all’esercito russo di combattere”. Il problema è che questi giornali vengono letti e che dunque…
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eaeulfl · 6 months
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closedcoffins · 2 years
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you’re alive. you listened to me. / ladd for lua, shortly after their 1935 reunion... look he's just happy she didn't get herself killed without him
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It's rare to see a ghost in the eyes of someone still alive and breathing, but even when Lua smiles, there's a ghost in her place.
To say that she had never considered not listening would be a lie. Even then, on the train, she hadn't bothered to struggle against the relatively gentle actions of the Rail Tracer. She hadn't known the knot was fake, so facing the reaper, she'd thought: does it matter who takes my life as long as they're happy to do it?
She'd thought so again, under the care of Placido Russo. Were she not such a useful bargaining chip, she's sure any number of people would have smiled and done away with her, thinking it to be some sort of punishment. Only that time, she'd thought back to the train. Back to Ladd.
Even now, she feels herself shiver at the very thought that he'd wanted to kill her so badly that he'd sacrificed his fight with the Rail Tracer.
That's why she'd smiled. Because the man in front of her wants, wholly and truly, to kill her, for no other reason than that she wants to be killed and he loves her. For that kind of end, Lua will endure any amount of empty living.
"It wouldn't be as nice," Lua says plainly, but she's still smiling, possibly imagining it in her head. "If it were anyone but you. You'd enjoy it the most."
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misc. prompts. / accepting.
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SENSI DELL’ARTE - di Gianpiero Menniti 
SCELTE
Vasilij Vasil'evič Kandinskij (1866 - 1944), nato a Mosca, artefice di un'affascinante esperienza cosmopolita, viaggiando prima nella costellazione dei paesi dell'allora impero russo, poi varcandone i confini fino alla Germania, all'Italia e alla Francia, è generalmente inteso come il "padre" della figurazione astratta. Lo si studia come tale e lo si identifica come alta espressione di questa categoria nella storia dell'arte contemporanea. Eppure, esiste un Kandinskij che precede il creatore del "primo acquerello astratto" (risalente al 1910), un artista che non ha ancora conosciuto il testo istitutivo della teoria dell'immagine non figurativa, "Astrazione ed empatia" (1907) di Wilhelm Worringer. Quel dimenticato Kandinskij è considerato "minore", tutto sommato ancora incosciente di quella profonda innovazione della quale, per un caso fortuito, sarà capostipite. Come se la ricerca non fosse parte di un divenire misterioso. Come se un'improvvisa visione non fosse l'effetto di una sensibilità consumata nell'esperienza della creatività. Come se produrre tracce di figurazione non fosse già lento abbandono che lambisce il sottile confine della forma ignota.  In quelle opere si annida la tensione febbrile dell'inaspettato. Vibrano di svolta. Fremono di futuro. Nascondono il cambiamento ma possedendone tutta la carica vitale: l'impeto di uno spirito senza pace. Per questa ragione, i dipinti che segnano il "primo" Kandinskij, lasciano l'eco di una sfida interiore, intensa e a tratti struggente. La forma consueta appare per dissolversi: l'artista ne è consapevole. Non è certo che accadrà. Ma lo avverte. E decide di accompagnarla. Con la tenerezza di una favola che adombra un placido sonno senza ritorno.
Vasilij Kandinskij, "Rapallo boats", 1905, collezione privata; "Der Blaue Reiter" (Il cavaliere azzurro), 1903, collezione privata; "Porto di Odessa", 1898, Galleria Tret'jakov, Mosca
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baccano-gauntlet · 2 years
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ROUND 1.
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liviaserpieri · 7 years
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1. La cosa più singolare della lettura consecutiva dei romanzi di un autore molto amato è che si crede di leggere dei libri e invece si chiacchiera con un uomo. Un uomo che spesso non c’è più. Ho amato molto Tolstoj nell’epoca della mia meglio gioventù di lettore appassionato   e un po’ rétro.  Credo di averlo letto tutto –  quello edito e in circolazione nella  metà degli anni ’70 –  eccetto “I cosacchi” e “Chadzi- Murat” e gli scritti saggistici e religiosi dell’ultimo periodo della sua vita. In cima alla mia predilezione ci sono “La morte di Ivan Il’ič ”, “La sonata a Kreutzer”  e gli immensi “Anna Karenina” e “Guerra e pace”. Ho letto la Karenina due volte e “Guerra e pace” una:   per leggerlo due volte  occorrerebbero due vite. Ho letto questo   lunghissimo romanzo  (oltre 2000 pagine nella mia edizione Garzanti Grandi Libri, trad. P. Zveteremich) in marce forzate, è il caso di dire vista la materia bellica,  in una calda estate siciliana, nel cortile di casa, con il conforto di un pacchetto di sigarette “MS” a notte, e   boccali di  una bevanda al limone ghiacciata che mi preparavo da me. Praticamente la felicità.  Devo dirlo: non avevo altri diversivi, distrazioni o divertimenti.  Mentre i miei amici si avventuravano nei primi interrail, io che ero abbastanza malestante  e lavoravo da imbianchino   per mantenermi agli studi, chiedevo alla letteratura  di espletare il suo ufficio di narcotico  per poveri, di  proiezione a poco prezzo in mondi fantastici:  il raddoppio delle sensazioni nientemeno. Quelle mediate  dalla letteratura avrebbero dovuto affiancarsi,  nelle mie intenzioni, a quelle immediate provenienti dalla vita, ma nei fatti le sostituivano. Chiedevo alla letteratura di salvarmi la vita. E ci sono riuscito. O c’è riuscita la letteratura, nel senso che ha agito con una forza tutta propria su di me. Mi sono distratto, e distraendomi dalla vita vera, proiettandomi  in quella fantastica,  prendevo le misure di quella reale. Chiedevo all’ homo fictus, al lettore qual ero, di dare una mano all’homo naturalis, di dargli la mappa della  vita – i fondamentali –   tale che al momento di vivere più che conoscerle le emozioni, le esperienze, le situazioni, io potessi ri-conoscerle. La lettura era insomma una anticipazione della vita, una gigantesca simulazione, come quella che fanno i piloti prima di saliere sui jet, un vivere preavvisato, fuori dai condizionamenti della vita vissuta. Una specie di libertà assoluta quella del lettore dunque,  se quella del vivente è una libertà vigilata.
Sia come sia, Tolstoj (insieme a Stendhal, Rousseau, Brancati, Pavese, Verga, Moravia, Flaubert, Hemingway e tanti altri) accompagnò gli anni belli e afflitti della giovinezza. Ero angosciato – dal bisogno materiale soprattutto – ma avevo questi beni spirituali in eccesso. Rischiavo:  leggevo più di quanto mi necessitasse per vivere. Una situazione di squilibrio pericolosissima, di accumulo di eccitazioni mentali , di exacerbatio cerebri, che in genere conduce gli individui senza pesi  a  librarsi nel vuoto della nevrosi, della più grande e irrimediabile infelicità, oppure andare incontro al destino tipico dell’intellettuale spiantato: trovare impiego con artifici e raggiri a  Mediaset o vagheggiare inacidito il sovvertimento violento dell’ordine esistente. Forse  vivere significa  garantire un’accettabile integrità all’io, ovvero impedirne letteralmente la   disintegrazione, porre solide basi all’arco dell’esistenza  tra progetto ed esecuzione, giovinezza e maturità, speranza e ricordo. C’era dalla mia parte tuttavia anche la nascita plebea e l’ironia popolaresca  che mi impedivano di “prendere la tangente” come avvenne a tanti  viziati borghesi della mia città. Nel dialetto del mio popolo dopotutto la parola “pensiero” coincide con il campo semantico di “preoccupazione” e suggerisce vivamente  di non averne troppi di questi “pensieri” in testa.  Mi “salvai”, se mi salvai (« Non dire che un uomo è felice se non hai visto l’ultimo dei suoi giorni», ultima battuta di “Edipo re” di Sofocle),  soprattutto grazie a Tolstoj. Cosa ho trovato in Tolstoj di tanto salutare e salvifico? Semplice: la vita.  Boom! Sì la vita etica. Non che Tolstoj mi abbia dato chissà quale formula che mondi potesse aprirmi, forse soltanto indicato una tana (la letteratura, la lettura in sé) da dove scrutare la lotta per la vita (degli altri), o forse qualche indicazione generica sui salvacondotti per superare alcune frontiere dell’essere, allo scopo di  affrontare,  anche schivandola forse, quella res severa che è la vita stessa. Che come è noto, tanto fu seria con lui da farlo deragliare  in età tardissima  poco prima della morte (a comprova che di formule facili non ce n’è proprio).  Ma solo dopo molti anni ho compreso  che Tolstoj mi aveva indicato la vita etica, ovvero la vita matrimoniale. Una cosa dopotutto  non scontata in un’epoca  (fine anni Settanta)  di attacchi all’istituzione matrimoniale,  di  “familles, je vous haie!”, di coppie aperte, di nomadismo sessuale, di “comuni “ e di Macondi.
2. Quando si  legge un’opera non abbiamo mai contezza dell’azione che essa esercita su di noi. Spesso non sappiamo neanche condurre una ricognizione ragionata della trama, figurarsi  capire il centro   profondo che l’opera ha in sé e per sé o solo per noi (non sempre i due piani infatti coincidono).  Dell’opera  perdiamo la visione nel corso del tempo, ci sfugge non solo la trama, ma anche l’impressione complessiva, restando nella nostra memoria soltanto alcuni punti luminosi, i “fosfeni “ di quell’opera, come  quando chiudiamo gli occhi e li strizziamo a palpebre chiuse. «Un nugolo di impressioni, alcuni punti chiari che emergono da un’incertezza fumosa: è tutto questo che in genere possiamo sperare di possedere di un libro» e «un libro non è una catena di fatti, è una singola immagine».  (cit. P.Lubbock – “Il mestiere della narrativa”, Sansoni 1984”). E ciò accade per i dettagli del libro e a volte del suo insieme, si tratti del viso di Natasha,   della morte di Bolkonskij, del peregrinare cogitativo di Bezukov, del saggio Kutuzov  o dell’epilogo stesso della vicenda, che tuttavia   ricordiamo benissimo:  finisce in un tranquillo tinello familiare. Relativamente alla “forma” per esempio ancora il nostro critico inglese Percy Lubbock dice che “Guerra e pace” non ne ha, come struttura forte egli intende dire, ma   è piuttosto un “flusso” inarrestabile di eventi, lungo come un grande fiume  o come un inverno russo: «Lo scorrere del tempo, l’effetto del tempo appartiene al cuore del soggetto» di questo romanzo . Probabilmente quel tipo di narrazione “fluviale” oggi non avrebbe  corso, è fuori dalla nostra stessa percezione del tempo,  la quale è accelerata e sincopata ormai come un videogioco. Alcuni critici (Italo Calvino, non ricordo più dove, forse in “Perché  leggere i classici” che  non ho sottomano) dicono che è cambiata la nostra stessa percezione del tempo: nell’Ottocento la visione della realtà era come quella osservata da un tranquillo signore sul parapetto di una nave, oggi  è  quella, accelerata e vorticosa, di chi cade nella tromba delle scale. E qui forse ha ragione  Alfred Polgar (“Piccole storie senza morale”, Adelphi 1994) quando dice: “La vita è troppo breve per la forma letteraria lunga, è troppo fuggevole perché lo scrittore possa indugiare in descrizioni e commenti, è troppo psicopatica per la psicologia, troppo romanzesca per il romanzo; la vita fermenta e si decompone troppo rapidamente per poterla conservare a lungo in libri ampi e lunghi”. Nel vortice della nostra vita sociale suggerire la lettura di “Guerra e pace”  a soggetti debilitati dagli scossoni di un assetto sociale  che ruba vita alla vita  potrebbe perciò sembrare un azzardo quando vorrebbe essere solo  una proposta aristocratica e insieme terapeutica. Se oggi  infatti si moltiplicano gli inviti a consumare  cibo,  musica, televisione  lentamente, perché non anche la narrativa lenta di Tolstoj?
3. Nel corso di una di quelle   scorribande da lettore  onnivoro e disordinato quale sono,  mi imbattei in  un illuminante passo di Remo Cantoni (“La coscienza inquieta”,  Il Saggiatore, Milano 1976, n. 18, p.55) che improvvisamente mi delineò il rapporto tra me e Tolstoj e mi mise sulle tracce di un’ interpretazione pungente dell’arte tolstojana, sul solco delle “filosofia dell’esistenza”. Interpretazione  che da allora mi accompagna.   Il libro di Cantoni è una delle più belle e penetranti disamine del pensatore danese ancora circolante in lingua italiana. Riassumiamo a grandissime linee  (e con qualche mio tradimento) questa dialettica esistenziale. Don Giovanni, l’Assessore Guglielmo e Abramo sono nel pensiero di Kierkegaard le figure emblema  dell’itinerario   fenomenologico dell’esistenza.  Vita estetica, morale e religiosa sono i tre “stadi” possibili della vita. Sono essi coincidenti con in tre stadi della vita biologica:  giovinezza, maturità e vecchiaia? No, certamente (a me è capitato il contrario: una infanzia e giovinezza religiose, una maturità etica, un inizio di  terza età estetica, speriamo!), anche se i tre stadi in genere si attraversano secondo questa sequenza e i tre personaggi portatori delle istanze sembrano ricalcare le tre età della vita. Il giovane don Giovanni, il maturo Guglielmo, il vecchio Abramo. Diciamo subito che chiunque abbia superato le rapide dello stato nascente dell’innamoramento ed è entrato nel placido stadio istituzionale del matrimonio (o della diade stabile)  sa che la nascita di un figlio immette la coppia in un universo di valori in cui l’eticità è la “dominante”. Anche se si troverà la propria personale vibrazione estetica nel cambio dei pannolini, nei fatti ,i figli,  che pur sono una nostra vena che batte fuori di noi, non sono   noi, sono altro da noi e chiedono cure indifferibili, impegno diuturno, fatica e apprensione infinite. Oltre che serietà coscienziosa. Se la giovinezza è uno stato “estetico” per definizione (da aisthesis, esperire con i sensi) visto che si hanno addosso troppo pochi giri d’esistenza per avere una dimensione più sedimentata e ragionata della vita, la nascita di un figlio pone il soggetto immediatamente nella dimensione etica. Il marito è l’eroe coniugale se, di contro, i grandi amanti sono eroi  pre-coniugali, post-coniugali o meta-coniugali.
Ora, i tre stadi vivono in maniera autonoma nelle scelte di vita di ciascuno di noi, ma c’è da aggiungere che non sono “isolati”, allo stato puro, sono misti dialetticamente e si contaminano a vicenda,  nel senso che c’è nella vita estetica una piega a volte religiosa. Don Giovanni ha il culto della donna si potrebbe dire, ma,  oltre ai  genitali di lei, da acquisire in maniera compulsiva  e seriale in una “cattiva infinità” nel tentativo, sempre fallito, di possederli per sempre,  c’è la ricerca inesausta delle infinite modalità estetiche in cui si manifesta  l’inebriante “femminile” nelle donne. Un fatto che di per sé vale la coazione a ripetere. Ma anche nella vita religiosa vi sono componenti estetiche.  Non occorre aver letto Freud per intero per capire che in alcune esperienze religiose estreme, nei cilici e nelle autofustigazioni o addirittura nella scelta finale della morte autoinflitta come quella dei  martiri qualcuno ha visto una sorta di piacere,  voluptas dolendi  estrema  fino all’amor mortis. Clemente Alessandrino lo vide negli occhi dei martiri cristiani e se ne spaventò a tal punto  da sospettare che fossero dei voluttuosi aspiranti suicidi infiltrati tra le fila dei  “veri” cristiani. “Noi per parte nostra biasimiamo coloro che si sono gettati in  braccio alla morte: giacché esistono alcuni che non sono realmente dei nostri, ma hanno in comune con noi soltanto il nome, e che ardono dal desiderio di consegnarsi, poveri miserabili innamorati della morte (grassetto mio) in odio al Creatore. Noi affermiamo che questi uomini  commettono suicidio e non sono martiri, anche se vengono ufficialmente giustiziati. “ (citato da A. Nock.  “La conversione”, Laterza, Bari, p.155).
In fondo, la scelta della vita etica è di tipo mediano, fuori dai,  e forse contro i, grandi turbamenti  e le sfide estreme della vita estetica e religiosa. L’istanza della vita etica può imporsi in due modi secondo ciò che  ho compreso provvisoriamente. A) sorgere dalla malinconia, dallo squallore, dall’autodistruzione  insita  nella vita estetica stessa. C’è un momento in cui la vita estetica appare all’esteta come insensato scialo che  brucia solo nell’attimo; la propria genialità sensibile e sensualità demoniaca  gli appaiono senza scopo se non se stesso.  Oppure B) come strategia di ritiro calcolato della “cattiva coscienza”, la quale “spontaneamente”  tenderebbe sempre e comunque alla vita estetica, approvandola nell’intimo,  ma quasi sempre negli individui medi non ha i mezzi per metterla in atto. Accade così che non potendo vivere una vita di piaceri ce ne inventiamo una di doveri.   È, infine,  anche vero che  nella vita etica  si assaporano le dolcezze dell’uno e dell’altro stadio sia estetico che religioso (per chi ha fede). Com’è vero che nell’amore coniugale si trova sia  quella Venerem facilem parabilemque  – il sesso facile e abbordabile  di cui parlava Orazio -, sia   il  culto dell’unione familiare, che era già “sacra”, signori, prima del cristianesimo. Proprio in ultimo mi occorre aggiungere che se il seduttore non ama una donna, ma la donna, l’uomo etico è tentato di amare  la donna in una donna.
4. Analogamente, nei personaggi di Tolstoj gli stadi dell’esistenza kierkegardiana appaiono misti, mai allo stato puro. Se Pierre Bezukov e Konstantin Dmitric Levin (veri e propri alter ego di Tolstoj) sembrano scolpiti nella pietra viva della vita etica (anche se bellamente  “estetica” è la scena “etica” della falciatura del grano perché è il padrone Levin che sceglie di mischiarsi a torso nudo in uno slancio etico-estetico  con i propri  contadini), se  Nechljudov di “Resurrezione” e Ivan Il’ič sembrano smarriti nella dimensione religiosa della vita, Anna Karenina  (una crasi narrativa di Madame de Rênal ed Emma Bovary) è una bella che sbanda  tragicamente dallo stadio  etico a quello estetico, presa al laccio dei  frutti sublimi e amari dell’adulterio. Immensi sommovimenti psichici e sessuali sembrerebbe destare l’amore extraconiugale che oggi  “aggredisce” (o felix culpa!)  le coppie perlopiù intorno ai quarant’anni e ai tempi di Anna ai trenta; una forza  estetica inebriante non solo per i graditi e liberatori sensi di colpa che esso genera, per quel  lato avventuroso  e teatrale di sdoppiamento della personalità  di chi giocoforza deve recitare  due parti in commedia, ma soprattutto  per la “riscoperta”  e la reviviscenza del sesso infeltrito  dalle ambagi  del coniugio e dai gravosi impegni  “etici” dell’allevamento della prole che procurano ottundimento dei sensi e la  fatale clorosi della vita “estetica” dei primi anni matrimoniali quando i sensi scattavano come levrieri all’apertura dei cancelli. L’io tolstojano  come l’io di ogni grande artista è ovviamente frantumato in tutti i suoi personaggi e in tutt’e tre gli stadi dell’esistenza.  Tolstoj è Anna Karenina, è Pierre Bezukov, Levin,  Ivan Il’ič, Nechliudov e anche  Vronskij (l’avete visto nelle foto giovanili quant’era bello?).  Ma solo Tolstoj e i grandi artisti, o anche noi, si parva licet? Non accade anche a noi, in fondo, di attraversare per avventura romanzesca della  nostra esistenza o per adesione cosciente i tre stadi dell’esistenza?  Com’è anche vero che ci può toccare di essere  classici alle nove del mattino, romantici a mezzogiorno  e barocchi   o  decadenti alle ventuno, o se volete da giovani, nella maturità e nella vecchiaia, ad libitum. “Un io è come un club dove vecchi soci si dimettono e nuovi si iscrivono” avvertiva Gadda. Il giovane Petja Rostov  vive nello stadio estetico ed estatico della vita militare,  dimensione in cui perlopiù si racchiude la vita estetica di Tolstoj  in quanto uomo e narratore, si vedano  i “Racconti di Sebastopoli”.  A noi potrà sfuggire questa dimensione estetica della vita militare. Cosa può avere di estetico l’occupazione di dare morte agli altri a colpi di cannone? Nulla, ma la vita estetica cui qui si allude è quella dell’esuberanza dei corpi, quella  dei giovani conviventi nelle caserme che hanno consuetudine con le altrui nudità  nelle camerate, quella dei giovani soldati  alle prese con bevute  colossali (com’è normale esperienza  dello zapoj, le inenarrabili ciucche russe), che scommettono sulla propria resistenza   sui davanzali  delle finestre della camerate con sotto l’abisso in cui rischiano di schiantarsi, nel gioco ferale della roulette russa, che frequentano i bordelli, esperienza quest’ultima che segnerà di interrogativi angosciosi il Tolstoj di “Sonata a Kreutzer” quando si chiede se quelle stesse mani che hanno toccato le carni guaste e viziose delle prostitute sono le stesse che dovranno sfiorare  i visi angelici di fanciulle educate tra i merletti e spinette,  intente a singhiozzare davanti ad abissali e ridicoli amori romantici e che nulla sanno degli sperdimenti della carne, della sua fosca, sporca,  inebriante fisicità “estetica”. È bene ricordare che educazione sessuale ed educazione sentimentale divergevano per tutto l’Ottocento. Che i giovani maschi apprendevano l’Ars amandi e venivano iniziati sessualmente nei bordelli. Che questo tipo di iniziazione sessuale si è protratta almeno fino agli anni ’60 del ‘900 e che forse la generazione dei nati attorno agli anni ’40-50 del secolo scorso (quella del ’68 per intenderci) è stata la prima in assoluto in Occidente in cui educazione sentimentale ed educazione sessuale coincidono e sono avvenute contestualmente con coetanei. Ma prima di allora  la vita sessuale dei giovani fino al matrimonio, e per molti  anche dopo, si svolgeva  principalmente nei postriboli.
Tolstoj è il cantore dei tre stadi dell’esistenza così  bene “isolati” e descritti da Kierkegaard in tutta la sua opera. Enten Eller, aut aut o piuttosto et et? E benché lo stadio etico-matrimoniale sembra essere il proprium di questo grande artista che secondo Isaiah Berlin era una volpe che si credeva un istrice (ne sapeva tante di cose della vita e non una sola, e inoltre era una cosa e si credeva un’altra), si falserebbe la prospettiva  nel comprenderlo appieno se ci si fermasse solo a questo stadio come abbiamo visto. Ma la vita matrimoniale, quella che Kierkegaard ha intravisto con la sua Regina Olsen, è in Tolstoj materia perenne di canto. Tutti ricordano l’incipit di Anna Karenina. “Tutte le famiglie sono felici allo stesso modo ogni famiglia è infelice a modo proprio”. Ma che dire de “La felicità domestica”? che proprio l’elemento etico ed estetico sembra già coniugare nel titolo. E la vita coniugale nella sua forma ossessiva è al centro della indimenticabile “Sonata a Kreutzer” e in “Resurrezione”.  E se si pone mente alla trama di “Guerra e pace” si ricorderà che sono scoppiate mille granate, sono state attraversate decine di fiumi, combattute battaglie eroiche  senza fine, è morto Bolkonskij  in quel modo sublime che tutti abbiamo letto, ma  sembrerebbe che le monde existe pour aboutir une … famille. Tutta la storia e tutto il mondo esistono perché la tenera  Natasha e il pacioso, pacifico e meditabondo Bezukov possano sposarsi. La pace, dopo la guerra, l’idillio domestico di questa coppia dopo lo… scoppio delle granate, sembra che l’epos di tutto il romanzo si incanali e si acquieti in questo tranquillo tinello borghese. Sembra dire Tolstoj “ I drammi ci capitano, ma le tragedie dobbiamo meritarcele, come tutto ciò che è grande”.  Ma in mezzo  o dopo  eventi così perigliosi occupiamoci delle tartine e dei  bambini, perché a  essi  si deve  tornare dopo i grandi “cannoneggiamenti” della vita.
Alfio Squillaci
La frusta letteraria
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lamilanomagazine · 2 years
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Milano, a Palazzo Reale la mostra sul generale Carlo Alberto dalla Chiesa
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Milano, a Palazzo Reale la mostra sul generale Carlo Alberto dalla Chiesa.   “Io penso che la mia vita non sia stata una favola. E se è, come è, una esperienza duramente vissuta, ambisco solo raccontarla ai giovani della mia Arma”: con queste parole del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, impresse sul pannello all’ingresso percorso espositivo, si apre a Palazzo Reale a Milano la mostra “Carlo Alberto dalla Chiesa, l’Uomo, il Generale”. Il ricordo della sua figura istituzionale e l’omaggio alla sua persona sono stati pensati in occasione del quarantesimo anniversario della morte, avvenuta a Palermo per mano mafiosa, del Generale, della seconda moglie Emanuela Setti Carraro e dell’agente di scorta Domenico Russo, la sera del 3 settembre 1982. Promossa dal Comune di Milano - Cultura, la mostra è organizzata dal Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri con la produzione di Publimedia Srl e la direzione artistica di Andrea Pamparana, e resterà aperta al pubblico gratuitamente da martedì 31 gennaio a domenica 26 febbraio 2023 nelle Sale dell’Appartamento di Parata della Reggia milanese. Grazie a fotografie, filmati e testi, il percorso ricostruisce la vita di Carlo Alberto dalla Chiesa dai primi passi nell’Esercito, giovane soldato in Montenegro, il matrimonio con la prima moglie Dora Fabbo, le prime indagini in Sicilia dopo l’omicidio del sindacalista Placido Rizzotto, Luciano Liggio, boss di Corleone e primo nemico giurato del giovane capitano Carlo Alberto. Gli anni del terrorismo, tra Milano e Torino, l’arresto dei capi delle Brigate Rosse, le indagini dopo il delitto di Aldo Moro, la nomina nel 1982 a Prefetto di Palermo, il feroce agguato in via Carini la sera del 3 settembre 1982. La mostra racconta quindi non solo il militare, il Generale poi Prefetto, colui che negli anni più bui del terrorismo e della lotta alla mafia pose lo Stato al centro del suo agire, ma anche l’uomo Carlo Alberto, il cui coraggio e carisma era riconosciuto da parte di tutti i suoi collaboratori e dei suoi più cari affetti. Un affetto ricambiato se, come indicato sul pannello in chiusura della mostra, lo stesso dalla Chiesa affermava: “Certe cose non si fanno per coraggio, si fanno solo per guardare più serenamente negli occhi i propri figli e i figli dei nostri figli”. Al termine del percorso espositivo, i visitatori potranno ritirare un volume/catalogo che riporta testi e immagini della mostra con un QR Code che consente il download su computer e smartphone. Info: palazzorealemilano.it... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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serial-traveler · 4 years
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Il dipinto ha al centro della scena il pittore che tiene per mano la moglie Bella mentre vola tranquillamente per aria. Nell'altra mano ha un uccellino che simboleggia il loro accordo con la natura. Alle loro spalle c'è la città dove i due sono nati e dove vivevano all'epoca (siamo nel 1917): Vitebsk. In terra ai piedi del pittore c'è la classica tovaglia da picnic con una bottiglia di vino e un bicchiere. Essa, decorata con fiori, ha un colore rosso vivo che spicca ancora di più essendo complementare al verde del prato e del paesaggio tutto intorno. L'artista guarda verso di noi con un largo sorriso che esprime tutta la sua felicità: è una splendida giornata, sta facendo un picnic con la sua amata moglie, alle loro spalle c'è la loro città, il luogo dove sono nati. La loro felicità è perfetta: Bella si alza in volo e Chagall la trattiene con la mano, ma a sua volta sembra sollevato da terra grazie all'amore che lo lega alla donna. È un po' come se i due si muovessero su piani diversi, lui cammina sulla terra, lei è una specie di angelo e si libera nell'aria. Il senso di questa immagine è che l'amore che lega profondamente due persone, va oltre i limiti imposti dalla natura, ha qualcosa di trascendente. Il volo di Bella significa che l'amore, sentimento reciproco, va in una dimensione quasi irrazionale, un amore che si libra in un volo e che simboleggia che il loro amore sia al di sopra di qualsiasi altra cosa trascendente. Lo stile del dipinto risente delle scomposizioni tipiche della scuola cubista con cui Chagall entrò in contatto a Parigi e tutto sommato questo rafforza l'atmosfera irreale e fiabesca di questo paesaggio placido e tranquillo, come sottolinea il cavallo che pascola indisturbato sullo sfondo. L'unica nota diversa è la sagoma della sinagoga, che ha una tonalità rosata, molto più delicata rispetto al verde delle case: la sua struttura evanescente ci mostra che ha una funzione diversa, spirituale, rispetto a quella molto più concreta degli altri edifici della città. 👩‍🎨 #MarcChagall 🗓 1917-1918 🎨 Olio su tele 📏 170×163,2 cm 🌍 Museo di Stato Russo, San Pietroburgo #undipintoalgiorno #undipinto #undipintoognigiorno #arte #arteinpillole https://www.instagram.com/p/CDRokdyosfq/?igshid=96xv0m8lwmw9
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