#placido russo
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Berlinguer: oltre l’ambizione
Un film come visto e vissuto
Di Sauro Sardi
Giocando coi versi del grande poeta russo, se Berlinguer fosse Majakovskij
direbbe al placido chimico dalla fronte spaziosa: “Risuscitami… perché la
gente di me ha sete”. Dunque, un film che riattacca la spina e inietta sangue
nel cuore senza la presunzione di riaccendere il sole, seccare l’oceano. Un
film che fa tornare a scrivere anche i mezzi morti di parole, quelli che
aspettavano l’occasione per dire che gli argomenti di una certa stagione non
invecchiano mai. Nessuno di noi fa di mestiere lo scontento e insieme alle
lodi si avanzino pure anche le critiche, sarebbe un gradire molto sospetto se
tutti fossero pienamente d’accordo su questa pellicola, ci sarà pure qualche
aspetto da ingoiare appena o troppo malvolentieri, ma buttato giù il boccone
tutto il resto è arte, umanità, politica. Quei tre pacchetti di sigarette ci
riportano dentro a quelle stanze di fumo bestemmiato. Non avremo
guadagnato il socialismo ma l’inferno era di sicuro alla nostra portata.
Scorrono meravigliose e crudeli le scene; per fortuna le so a memoria. Al
cinema non esiste la pagina Talk Back per l’audio descrizione delle immagini.
“la piazza è strapiena di gente” dice una voce alle mie spalle Spero sempre
che dietro di me ci sia qualcuno che bisbiglia, è un occhio trovato. Si va verso
il finale, accompagnato da una musica dentro un silenzio che ti strozza
transita quel sole dell’avvenire, il suo splendore, il decadimento, i resti.
Appunto, i resti sono le nostre opinioni, saluto la mia comoda poltroncina di
velluto, usciamo.
Sta ancora piovendo qualche gocciolina che si affronta anche senza
cappello, penso che sia regolata da un Dio che ha visto tutto, ci accompagna
alla macchina, ci riporta a casa, poche parole, quasi muti. Eppure era la
giornata ideale per andare al cinema e ora la riassumo alla faccia degli spazi
e delle virgole comprese.
Avevo attraversato quelle poche gocce di pioggia che oltre la biglietteria si
asciugano subito. Ora le musiche si accompagnano alla stupenda
espressività vocale del protagonista, Berlinguer non fa una piega ma non è
un blocco di granito rosso, no, ha famiglia, sentimenti, un sogno che
intravede oltre la linea dell’orizzonte. La piazza è sua, il popolo di quella
grande stagione è suo.
In ogni opera d’arte c’è sempre un aspetto che suscita non solo emozioni ma
anche riflessioni, analisi. Dunque, come e quante volte Berlinguer si
incontrasse anche di nascosto con Moro non è una pallida leggenda
metropolitana ma l’incipit di una storia che non doveva mai nascere. “Divide
et impera” era un concetto semplice, tradotto in tutte le lingue. Ormai
avevamo capito che a guadagnarci non erano i belligeranti ma chi
organizzava lo scontro per trarne profitti. La politica doveva restare un campo
di battaglia, mai diventare un luogo dove le diverse opinioni alla fine fanno
sintesi e si procede, magari verso l’idea condivisa di una necessaria visione
post ideologica. Intendiamoci, il plastico di una casa comune dove alloggiare
politiche, credenze e culture diverse sarebbe stato un progetto tutto da
spiegare ma era in atto l’avvio di un percorso nuovo. Ora non conta dire
quanto Berlinguer lo volesse più degli altri, lui ci credeva quando tutto era
ancora possibile, il sole che picchiava sugli scogli di granito rosso era sempre
lo stesso ma proprio quello nato nei luoghi del socialismo reale diventava
sempre più brutto, una farcitura di socialismo imperialista. Doveva “strappare”
quel filo, quei legami e al tempo stesso raggiungere il sole di un avvenire che
si evolve. Lo diceva indicando il punto dove il mare e l’orizzonte si toccano.
Ma quell’uomo apparentemente timido e riservato, prima di conoscere il
domani di tutti i comunismi di questo mondo conosceva il mare, le distanze
apparenti tra cielo e terra, sapeva bene che più vai verso l’orizzonte, più quel
punto si allontana. Ma lui doveva crederci e preparare il terreno per una
nuova stagione della politica, non più riverente ma opposta al dominio di
vecchi e nuovi imperi. Potrà sconvolgere qualcuno immaginare che nel mare
nostrum gonfio di antiche e nuove rivalità politiche stava soffiando il vento di
una ragionevole intesa anche nel completo disaccordo su tante questioni. Un
vento nuovo. Ma tutto si interrompe, precipita, passano gli anni e si torna al
tempo delle invasioni barbariche, nascono eserciti al soldo di chi ha più
moneta, l’arco e la catapulta diventano ordigni che possono varcare i confini
delle peggiori immaginazioni. Torna la gigantografia di Enrico Berlinguer,
umida e malinconica questa giornata al cinema, forse se avessi lasciato
qualche ricordo a casa avrei sofferto di meno. Un film che rotola all’indietro
come un macigno che accarezza e travolge.
Non credo nei film buoni per la didattica, per quella ci sono i documentari,
semmai questo genere di realismo cinematografico espone la capacità degli
autori, l’arte di suscitare emozioni. Cosa non secondaria in tempi dove l’agire
sensibile affronta la fredda intelligenza artificiale; difficile per un algoritmo
venirci a dire che i comunisti ci porteranno via il maiale, non avrà mai tanta
fantasia. Un bel film, può provocare sgomento oppure fare da stimolo a tutti
quelli che ancora, comunque la pensino, hanno una loro visione
dell’orizzonte. Quale orizzonte? Non era una domanda difficile.
P.S.
www.saurosardi.com Ai funerali di Enrico Berlinguer
Noi popolo, siamo gli stessi del popolo di allora.
Una storia che fa resuscitare ideali ed equilibrio sociali, pur stando all'orizzonte.
Ma chi ucciderà chi ancora cerca alleanze di potere
...di sicuro né Moro né Berlinguer
dY
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SENSI DELL'ARTE - di Gianpiero Menniti
SCELTE
Vasilij Vasil'evič Kandinskij (1866 - 1944), nato a Mosca, artefice di un'affascinante esperienza cosmopolita, viaggiando prima nella costellazione dei paesi dell'allora impero russo, poi varcandone i confini fino alla Germania, all'Italia e alla Francia, è generalmente inteso come il "padre" della figurazione astratta. Lo si studia come tale e lo si identifica come alta espressione di questa categoria nella storia dell'arte contemporanea. Eppure, esiste un Kandinskij che precede il creatore del "primo acquerello astratto" (risalente al 1910), un artista che non ha ancora conosciuto il testo istitutivo della teoria dell'immagine non figurativa, "Astrazione ed empatia" (1907) di Wilhelm Worringer. Quel dimenticato Kandinskij è considerato "minore", tutto sommato ancora incosciente di quella profonda innovazione della quale, per un caso fortuito, sarà capostipite. Come se la ricerca non fosse parte di un divenire misterioso. Come se un'improvvisa visione non fosse l'effetto di una sensibilità consumata nell'esperienza della creatività. Come se produrre tracce di figurazione non fosse già lento abbandono che lambisce il sottile confine della forma ignota. In quelle opere si annida la tensione febbrile dell'inaspettato. Vibrano di svolta. Fremono di futuro. Nascondono il cambiamento ma possedendone tutta la carica vitale: l'impeto di uno spirito senza pace. Per questa ragione, i dipinti che segnano il "primo" Kandinskij, lasciano l'eco di una sfida interiore, intensa e a tratti struggente. La forma consueta appare per dissolversi: l'artista ne è consapevole. Non è certo che accadrà. Ma lo avverte. E decide di accompagnarla. Con la tenerezza di una favola che adombra un placido sonno senza ritorno.
- Vasilij Kandinskij, "Rapallo boats", 1905, collezione privata; "Der Blaue Reiter" (Il cavaliere azzurro), 1903, collezione privata; "Porto di Odessa", 1898, Galleria Tret'jakov, Mosca
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ROUND 1 PART 2 MASTERPOST.
Donny v. Placido Russo
Renee Parmedes Branvillier v. Charkie
Dez Nibiru v. Carnea Kaufman
Ronny Schiatto v. Upham
Niki v. Donald Brown
Edith v. Edward Noah
Mark Wilmens v. Randy
Maria Barcelito v. Carzelio Runorata
John Drox v. Molsa Martillo
Celice Artia v. Rail
Salomé Carpenter v. Graham Specter
Luchino B. Campanella v. Firo Prochainezo
Lebreau Fermet Viralesque v. Bilt Quates
Jon Panel v. Nice Holystone
Misery v. Misao
Adele v. Krieck
Lucrezia de Dormentaire v. Tim
Jack v. Nile
Jacuzzi Splot v. Bride
Luck Gandor v. Melody
Sonia Bake v. Aging
Lua Klein v. The Former Felix Walken
Carol v. Lisha Darken
Nicola Casetti v. Natalie Beriam
Paula Wilmens v. Goose Perkins
Denkuro Togo v. Nicholas Wayne
Gustavo Bagetta v. Begg Garrott
Lester v. Claudia Walken
Nick v. Ricardo Russo
Tick Jefferson v. Spike
Lia Lin-Shan v. Maiza Avaro
Bill Sullivan v. Monica Campanella
Elmer c. Albatross v. Hong Chi-Mei
Carl Dignis v. Juliano
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Acido Placido + Antonio Russo - Unplugged Session: L'ultima goccia '95 (...
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1988 Non aver paura della zia Marta aka Тайна убийства
Regia Mario Bianchi
Soggetto Mario Bianchi
Sceneggiatura Mario Bianchi
Questo film televisivo fu prodotto in origine per la serie I maestri del brivido di Reteitalia. Come gli altri film del ciclo, non fu mai mandato in onda a causa della violenza considerata eccessiva. Fu trasmesso da reti locali nel 1991 e distribuito in videocassetta l'anno seguente, all'interno del ciclo Lucio Fulci presenta.
CURIOSITÀ
Alcune delle idee per la trama ( incidente di camion , nome sulla tomba di una persona ancora in vita) sono state utilizzate da Lucio Fulci nel suo ultimo film " La porta del silenzio ". Nel film di Fulci ci sono riferimenti diretti a questo film e uno dei personaggi si chiama anche "Zia Marta".
Interpreti e personaggi
Adriana Russo: Nora Hamilton
Gabriele Tinti: Richard Hamilton
Anna Maria Placido: madre di Richard
Jessica Moore: Georgia Hamilton
Maurice Poli: custode Thomas
Massimiliano Massimi: Charles Hamilton
Edoardo Massimi: Maurice Hamilton
Sacha Maria Darwin: Marta Thompson
#non avere paura della zia marta#the murder secret#lucio fulci#lucio fulci presenta#lucio fulci present#mario bianchi#giallo fever#giallofever#italian giallo#gialli#italian cult#giallo#cinema cult#cult#italian horror#film horror#spaghetti horror#the murder’s secret#adriana russo#gabriele tinti#maurice poli
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good day mate. i popped into your ask box after seeing your baccano! and naritaverse collection and i must say i'm really impressed. you've amassed quite the assortment of merchandise! i'm starting to get into the collecting frenzy as well; thank you for the encouragement. additionally, i wanted to pose a question. i apologize if it's annoying, considering that the reason i'm inquiring about this is i noticed it in your blog, since apparently other people have asked about this before. (cont.)
(cont.) feel free to ignore: would you consider at least posting the pictures you took of the loose sheets that weren’t included in the settings collections? i know you intend to scan them, so it would be a placeholder thing, but i’m asking as someone interested in the drawing reference, as well as someone who knows other people who would benefit from it. plus, it sounds less time consuming than scanning them; i wouldn’t want to ask so much of you. no matter what, thank you for reading. [End transcription of Ask Part 2].
Ahh, yes, I’d forgotten to post those photos...for those of you who want context, check my #merchandise and/or #Asked and Answered tags to find past people asking me toward the end of September about the sheets and photographs of said sheets.
Here is a Google Drive folder of the photographs I took (that I could find); I can’t be sure if these are all the photographs* (I did delete a few duplicates), but at least they’re something. I do have some more sheets preparing to ship from Japan so hopefully I’ll be able to scan those once they arrive. And I would like too, you know; the thing with the photographs is the sheets are all on the stack, so the lineart of the sheet underneath is visible through the sheet on top. Which isn’t the greatest.
Anyway, the sheets contain a great deal of FPF details, and I’m especially interested in the freight car sheets/information myself. There are some notes on clothes and faces as well as a gun model sheet--also, the model sheet of Isaac & Miria in their underclothes has a drawing of Miria sitting/resting on Isaac’s back, and I love it.
*It’s also likely I didn’t photograph every image, actually; if you look at the first TOC, for instance, you’ll see there are supposed to be a few more sheets after the Placido Russo and Family sheet (including one labeled Ronny) that either I didn’t photograph or weren’t included in the sheets after all. I think the former is more likely; I probably didn’t photograph certain sheets I knew were already available.
Thanks for the reminder I hadn’t shared those photos yet; hell fortnight really bowled me down.
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graham!
meet ‘n greet ( accepting! ) | @10dreamt
[ THE MAD MECHANIC ]
1. Graham Specter used to be a working mechanic for an automobile industry within Chicago proper. Apparently, he caught wind that the company was illegally bootlegging and distilling alcohol, a fact that brought him much despair. He ended up notifying the proper authorities, causing the factory to close and go under, leaving Graham without a job. This didn’t particular bother him ; according to Graham, despite being good at dismantling and fixing, he didn’t really have a good time there and any memory of the place makes him quote - unquote “ begin to cry. “ 2. He works primarily as a strong - arm member for the Russo mafia family. However, his loyalty isn’t really to Placido, the family head, but to the wily Ladd Russo, the designated and infamous family assassin. The two consider each other sworn brothers, and Graham holds Ladd in high regard, enough to not fight Ladd’s own enemies to whom Ladd wishes to kill. 3. Graham’s most notorious personality trait is his always fluctuating moods. Even the novels state it’s the most difficult part about him, going from 0 to 100 in no time flat. You usually can tell since he goes off on long - winded tirades about either his joy, or his misery ( it’s usually about his misery, but he can immediately start getting manic if something presents itself to excite him ). You should also note that Graham doesn’t really seem to have fixed opinions about something ; he relies almost entirely on his emotional whims and feelings. Since they tend to contradict and change on the flip of a dime, he can say one thing and immediately contradict himself the next ( case in point : in the anime he begins a long and angry harangue about how terrible boredom is, proclaiming it ought to die right then and there, before suddenly praising the virtues of tedium within the next few seconds ). 4. I’m not necessarily certain which characters Graham would “ get along with, “ since Graham’s idea of making friends seem to be engaging them in fights, nor do I really know what his criteria of friendship is. However, I can see him and Tetcho weirdly get along since they have such different personalities. Some other options can include Mushi or Poe since all 3 are dramatic fucks, Kajii because they’re both chaotics, and Belkia to add someone Graham might enjoy friendly fighting with.
#the mad mechanic | graham ; in character#what is it for the actions of men to be incomprehensible? | graham ; ask#meet 'n greet | meme#// thanks for the ask!#// <3#// graham and tetcho sound hilarious together#// tetcho mentions anything about how he eats his food and graham would immediately follow suit
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La stupidità occidentale: pic nic di cretini sul placido Don
La stupidità occidentale: pic nic di cretini sul placido Don
Davvero non c’è fine alla stupidità delle elite occidentali che cercano di contenere un nemico che esse stesse hanno evocato dal nulla: si è arrivati al punto che il The Telegraph che non è proprio l’ultimo dei fogliacci della stampa padronale ha sostenuto seriamente “che l’inverno russo può impedire all’esercito russo di combattere”. Il problema è che questi giornali vengono letti e che dunque…
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"Anyone you like, I'll like 'em too." Claire promises this with certainty; after all, it's easy for him to like people. Of course, since most people don't necessarily get along with him, he can't really guarantee that liking Ladd's sworn brother will mean anything in terms of not picking fights, but that won't be his fault. "I'm sort of an old-fashioned person when it comes to relationships, so I'll do my best to make a good impression on anyone you consider family."
His first thought when the situation on the Flying Pussyfoot died down a little had actually been something like, am I gonna have to play nice with the Russo family head over this?
Claire had taken jobs from Placido Russo as Vino before, of course. Being such a notorious name, he'd often been hired by people who wanted to show off by bringing him into things. Since they were jobs, he'd always complied without complaint, but Placido had been the sort of person Claire wouldn't want to get to know personally. Fortunately, it had turned out that Ladd was pretty much cut-off fron the rest of the family with very little intention of showing his face around there. Already, he'd described his uncle as a little washed-up.
Claire probably could have offered to help get the family back into sorts, but he hadn't. Sometimes, he's a little selfish in that way.
"Anyways, I'm not sure whether or not my brothers'll like you, but I'll make 'em like you if I have to. See, it really wouldn't stop me from marrying you if they hated you, but they mean a lot to me." He smiles fondly, clearly taken somewhere else in his mind for just a moment at the thought of his brothers.
"... That is to say, since I'll try and play nice with your sworn brother, could you do somethin' like that with mine? I don't think it'll be too hard, since they're not anything like me. None of 'em can even wrap their heads around me being the center of the world, so it's safe to say that they probably won't agitate you. Well, except that I just found out they all somehow became immortal in the past year or so, but that's not a huge deal."
you might be the strangest man i've ever met. no consideration is given to the fact that ladd himself is remarkably odd, as are most of his friends && acquaintances. strangeness is usually measured in instability, in violence, in unpredictable chaos. it's not that claire doesn't have any of those qualities, but what throws ladd off-guard is his genuine trust && openness.
well, the bastard thinks the whole world exists in his head, so why wouldn't he take me at my word? i can't stand people who think they're the center of the universe. they're so much fun to kill. && it just so happens that claire's an engaging guy to be around.
he can't turn on love the way claire can, but the pull he felt toward claire on the train had been so magnetic, there was no question in his mind that he could love him fiercely && easily.
ladd shakes his head, half in disbelief && half in amusement, at the confidence with which claire speaks. he likes being right, && claire isn't arguing with him. that's a pretty good deal.
so he lets the conversation turn away from lua, for now.
"huh, you did? wow. gotta say, i'm flattered." he means it, too. "as long as they're cool with it, i'm looking forward to meeting 'em. you'll hafta introduce me soon. there's actually someone i want you to meet too. my sworn brother came out here a few years back, && i've just been itching to catch up with him. he's a lot like me... so i think you'll like him. or maybe not! haha. who knows?"
#muse: claire stanfield#empiriical#the laddclaire brainrot truly is that strong. help. i stopped working to reply
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SENSI DELL’ARTE - di Gianpiero Menniti
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Vasilij Vasil'evič Kandinskij (1866 - 1944), nato a Mosca, artefice di un'affascinante esperienza cosmopolita, viaggiando prima nella costellazione dei paesi dell'allora impero russo, poi varcandone i confini fino alla Germania, all'Italia e alla Francia, è generalmente inteso come il "padre" della figurazione astratta. Lo si studia come tale e lo si identifica come alta espressione di questa categoria nella storia dell'arte contemporanea. Eppure, esiste un Kandinskij che precede il creatore del "primo acquerello astratto" (risalente al 1910), un artista che non ha ancora conosciuto il testo istitutivo della teoria dell'immagine non figurativa, "Astrazione ed empatia" (1907) di Wilhelm Worringer. Quel dimenticato Kandinskij è considerato "minore", tutto sommato ancora incosciente di quella profonda innovazione della quale, per un caso fortuito, sarà capostipite. Come se la ricerca non fosse parte di un divenire misterioso. Come se un'improvvisa visione non fosse l'effetto di una sensibilità consumata nell'esperienza della creatività. Come se produrre tracce di figurazione non fosse già lento abbandono che lambisce il sottile confine della forma ignota. In quelle opere si annida la tensione febbrile dell'inaspettato. Vibrano di svolta. Fremono di futuro. Nascondono il cambiamento ma possedendone tutta la carica vitale: l'impeto di uno spirito senza pace. Per questa ragione, i dipinti che segnano il "primo" Kandinskij, lasciano l'eco di una sfida interiore, intensa e a tratti struggente. La forma consueta appare per dissolversi: l'artista ne è consapevole. Non è certo che accadrà. Ma lo avverte. E decide di accompagnarla. Con la tenerezza di una favola che adombra un placido sonno senza ritorno.
Vasilij Kandinskij, "Rapallo boats", 1905, collezione privata; "Der Blaue Reiter" (Il cavaliere azzurro), 1903, collezione privata; "Porto di Odessa", 1898, Galleria Tret'jakov, Mosca
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1. La cosa più singolare della lettura consecutiva dei romanzi di un autore molto amato è che si crede di leggere dei libri e invece si chiacchiera con un uomo. Un uomo che spesso non c’è più. Ho amato molto Tolstoj nell’epoca della mia meglio gioventù di lettore appassionato e un po’ rétro. Credo di averlo letto tutto – quello edito e in circolazione nella metà degli anni ’70 – eccetto “I cosacchi” e “Chadzi- Murat” e gli scritti saggistici e religiosi dell’ultimo periodo della sua vita. In cima alla mia predilezione ci sono “La morte di Ivan Il’ič ”, “La sonata a Kreutzer” e gli immensi “Anna Karenina” e “Guerra e pace”. Ho letto la Karenina due volte e “Guerra e pace” una: per leggerlo due volte occorrerebbero due vite. Ho letto questo lunghissimo romanzo (oltre 2000 pagine nella mia edizione Garzanti Grandi Libri, trad. P. Zveteremich) in marce forzate, è il caso di dire vista la materia bellica, in una calda estate siciliana, nel cortile di casa, con il conforto di un pacchetto di sigarette “MS” a notte, e boccali di una bevanda al limone ghiacciata che mi preparavo da me. Praticamente la felicità. Devo dirlo: non avevo altri diversivi, distrazioni o divertimenti. Mentre i miei amici si avventuravano nei primi interrail, io che ero abbastanza malestante e lavoravo da imbianchino per mantenermi agli studi, chiedevo alla letteratura di espletare il suo ufficio di narcotico per poveri, di proiezione a poco prezzo in mondi fantastici: il raddoppio delle sensazioni nientemeno. Quelle mediate dalla letteratura avrebbero dovuto affiancarsi, nelle mie intenzioni, a quelle immediate provenienti dalla vita, ma nei fatti le sostituivano. Chiedevo alla letteratura di salvarmi la vita. E ci sono riuscito. O c’è riuscita la letteratura, nel senso che ha agito con una forza tutta propria su di me. Mi sono distratto, e distraendomi dalla vita vera, proiettandomi in quella fantastica, prendevo le misure di quella reale. Chiedevo all’ homo fictus, al lettore qual ero, di dare una mano all’homo naturalis, di dargli la mappa della vita – i fondamentali – tale che al momento di vivere più che conoscerle le emozioni, le esperienze, le situazioni, io potessi ri-conoscerle. La lettura era insomma una anticipazione della vita, una gigantesca simulazione, come quella che fanno i piloti prima di saliere sui jet, un vivere preavvisato, fuori dai condizionamenti della vita vissuta. Una specie di libertà assoluta quella del lettore dunque, se quella del vivente è una libertà vigilata.
Sia come sia, Tolstoj (insieme a Stendhal, Rousseau, Brancati, Pavese, Verga, Moravia, Flaubert, Hemingway e tanti altri) accompagnò gli anni belli e afflitti della giovinezza. Ero angosciato – dal bisogno materiale soprattutto – ma avevo questi beni spirituali in eccesso. Rischiavo: leggevo più di quanto mi necessitasse per vivere. Una situazione di squilibrio pericolosissima, di accumulo di eccitazioni mentali , di exacerbatio cerebri, che in genere conduce gli individui senza pesi a librarsi nel vuoto della nevrosi, della più grande e irrimediabile infelicità, oppure andare incontro al destino tipico dell’intellettuale spiantato: trovare impiego con artifici e raggiri a Mediaset o vagheggiare inacidito il sovvertimento violento dell’ordine esistente. Forse vivere significa garantire un’accettabile integrità all’io, ovvero impedirne letteralmente la disintegrazione, porre solide basi all’arco dell’esistenza tra progetto ed esecuzione, giovinezza e maturità, speranza e ricordo. C’era dalla mia parte tuttavia anche la nascita plebea e l’ironia popolaresca che mi impedivano di “prendere la tangente” come avvenne a tanti viziati borghesi della mia città. Nel dialetto del mio popolo dopotutto la parola “pensiero” coincide con il campo semantico di “preoccupazione” e suggerisce vivamente di non averne troppi di questi “pensieri” in testa. Mi “salvai”, se mi salvai (« Non dire che un uomo è felice se non hai visto l’ultimo dei suoi giorni», ultima battuta di “Edipo re” di Sofocle), soprattutto grazie a Tolstoj. Cosa ho trovato in Tolstoj di tanto salutare e salvifico? Semplice: la vita. Boom! Sì la vita etica. Non che Tolstoj mi abbia dato chissà quale formula che mondi potesse aprirmi, forse soltanto indicato una tana (la letteratura, la lettura in sé) da dove scrutare la lotta per la vita (degli altri), o forse qualche indicazione generica sui salvacondotti per superare alcune frontiere dell’essere, allo scopo di affrontare, anche schivandola forse, quella res severa che è la vita stessa. Che come è noto, tanto fu seria con lui da farlo deragliare in età tardissima poco prima della morte (a comprova che di formule facili non ce n’è proprio). Ma solo dopo molti anni ho compreso che Tolstoj mi aveva indicato la vita etica, ovvero la vita matrimoniale. Una cosa dopotutto non scontata in un’epoca (fine anni Settanta) di attacchi all’istituzione matrimoniale, di “familles, je vous haie!”, di coppie aperte, di nomadismo sessuale, di “comuni “ e di Macondi.
2. Quando si legge un’opera non abbiamo mai contezza dell’azione che essa esercita su di noi. Spesso non sappiamo neanche condurre una ricognizione ragionata della trama, figurarsi capire il centro profondo che l’opera ha in sé e per sé o solo per noi (non sempre i due piani infatti coincidono). Dell’opera perdiamo la visione nel corso del tempo, ci sfugge non solo la trama, ma anche l’impressione complessiva, restando nella nostra memoria soltanto alcuni punti luminosi, i “fosfeni “ di quell’opera, come quando chiudiamo gli occhi e li strizziamo a palpebre chiuse. «Un nugolo di impressioni, alcuni punti chiari che emergono da un’incertezza fumosa: è tutto questo che in genere possiamo sperare di possedere di un libro» e «un libro non è una catena di fatti, è una singola immagine». (cit. P.Lubbock – “Il mestiere della narrativa”, Sansoni 1984”). E ciò accade per i dettagli del libro e a volte del suo insieme, si tratti del viso di Natasha, della morte di Bolkonskij, del peregrinare cogitativo di Bezukov, del saggio Kutuzov o dell’epilogo stesso della vicenda, che tuttavia ricordiamo benissimo: finisce in un tranquillo tinello familiare. Relativamente alla “forma” per esempio ancora il nostro critico inglese Percy Lubbock dice che “Guerra e pace” non ne ha, come struttura forte egli intende dire, ma è piuttosto un “flusso” inarrestabile di eventi, lungo come un grande fiume o come un inverno russo: «Lo scorrere del tempo, l’effetto del tempo appartiene al cuore del soggetto» di questo romanzo . Probabilmente quel tipo di narrazione “fluviale” oggi non avrebbe corso, è fuori dalla nostra stessa percezione del tempo, la quale è accelerata e sincopata ormai come un videogioco. Alcuni critici (Italo Calvino, non ricordo più dove, forse in “Perché leggere i classici” che non ho sottomano) dicono che è cambiata la nostra stessa percezione del tempo: nell’Ottocento la visione della realtà era come quella osservata da un tranquillo signore sul parapetto di una nave, oggi è quella, accelerata e vorticosa, di chi cade nella tromba delle scale. E qui forse ha ragione Alfred Polgar (“Piccole storie senza morale”, Adelphi 1994) quando dice: “La vita è troppo breve per la forma letteraria lunga, è troppo fuggevole perché lo scrittore possa indugiare in descrizioni e commenti, è troppo psicopatica per la psicologia, troppo romanzesca per il romanzo; la vita fermenta e si decompone troppo rapidamente per poterla conservare a lungo in libri ampi e lunghi”. Nel vortice della nostra vita sociale suggerire la lettura di “Guerra e pace” a soggetti debilitati dagli scossoni di un assetto sociale che ruba vita alla vita potrebbe perciò sembrare un azzardo quando vorrebbe essere solo una proposta aristocratica e insieme terapeutica. Se oggi infatti si moltiplicano gli inviti a consumare cibo, musica, televisione lentamente, perché non anche la narrativa lenta di Tolstoj?
3. Nel corso di una di quelle scorribande da lettore onnivoro e disordinato quale sono, mi imbattei in un illuminante passo di Remo Cantoni (“La coscienza inquieta”, Il Saggiatore, Milano 1976, n. 18, p.55) che improvvisamente mi delineò il rapporto tra me e Tolstoj e mi mise sulle tracce di un’ interpretazione pungente dell’arte tolstojana, sul solco delle “filosofia dell’esistenza”. Interpretazione che da allora mi accompagna. Il libro di Cantoni è una delle più belle e penetranti disamine del pensatore danese ancora circolante in lingua italiana. Riassumiamo a grandissime linee (e con qualche mio tradimento) questa dialettica esistenziale. Don Giovanni, l’Assessore Guglielmo e Abramo sono nel pensiero di Kierkegaard le figure emblema dell’itinerario fenomenologico dell’esistenza. Vita estetica, morale e religiosa sono i tre “stadi” possibili della vita. Sono essi coincidenti con in tre stadi della vita biologica: giovinezza, maturità e vecchiaia? No, certamente (a me è capitato il contrario: una infanzia e giovinezza religiose, una maturità etica, un inizio di terza età estetica, speriamo!), anche se i tre stadi in genere si attraversano secondo questa sequenza e i tre personaggi portatori delle istanze sembrano ricalcare le tre età della vita. Il giovane don Giovanni, il maturo Guglielmo, il vecchio Abramo. Diciamo subito che chiunque abbia superato le rapide dello stato nascente dell’innamoramento ed è entrato nel placido stadio istituzionale del matrimonio (o della diade stabile) sa che la nascita di un figlio immette la coppia in un universo di valori in cui l’eticità è la “dominante”. Anche se si troverà la propria personale vibrazione estetica nel cambio dei pannolini, nei fatti ,i figli, che pur sono una nostra vena che batte fuori di noi, non sono noi, sono altro da noi e chiedono cure indifferibili, impegno diuturno, fatica e apprensione infinite. Oltre che serietà coscienziosa. Se la giovinezza è uno stato “estetico” per definizione (da aisthesis, esperire con i sensi) visto che si hanno addosso troppo pochi giri d’esistenza per avere una dimensione più sedimentata e ragionata della vita, la nascita di un figlio pone il soggetto immediatamente nella dimensione etica. Il marito è l’eroe coniugale se, di contro, i grandi amanti sono eroi pre-coniugali, post-coniugali o meta-coniugali.
Ora, i tre stadi vivono in maniera autonoma nelle scelte di vita di ciascuno di noi, ma c’è da aggiungere che non sono “isolati”, allo stato puro, sono misti dialetticamente e si contaminano a vicenda, nel senso che c’è nella vita estetica una piega a volte religiosa. Don Giovanni ha il culto della donna si potrebbe dire, ma, oltre ai genitali di lei, da acquisire in maniera compulsiva e seriale in una “cattiva infinità” nel tentativo, sempre fallito, di possederli per sempre, c’è la ricerca inesausta delle infinite modalità estetiche in cui si manifesta l’inebriante “femminile” nelle donne. Un fatto che di per sé vale la coazione a ripetere. Ma anche nella vita religiosa vi sono componenti estetiche. Non occorre aver letto Freud per intero per capire che in alcune esperienze religiose estreme, nei cilici e nelle autofustigazioni o addirittura nella scelta finale della morte autoinflitta come quella dei martiri qualcuno ha visto una sorta di piacere, voluptas dolendi estrema fino all’amor mortis. Clemente Alessandrino lo vide negli occhi dei martiri cristiani e se ne spaventò a tal punto da sospettare che fossero dei voluttuosi aspiranti suicidi infiltrati tra le fila dei “veri” cristiani. “Noi per parte nostra biasimiamo coloro che si sono gettati in braccio alla morte: giacché esistono alcuni che non sono realmente dei nostri, ma hanno in comune con noi soltanto il nome, e che ardono dal desiderio di consegnarsi, poveri miserabili innamorati della morte (grassetto mio) in odio al Creatore. Noi affermiamo che questi uomini commettono suicidio e non sono martiri, anche se vengono ufficialmente giustiziati. “ (citato da A. Nock. “La conversione”, Laterza, Bari, p.155).
In fondo, la scelta della vita etica è di tipo mediano, fuori dai, e forse contro i, grandi turbamenti e le sfide estreme della vita estetica e religiosa. L’istanza della vita etica può imporsi in due modi secondo ciò che ho compreso provvisoriamente. A) sorgere dalla malinconia, dallo squallore, dall’autodistruzione insita nella vita estetica stessa. C’è un momento in cui la vita estetica appare all’esteta come insensato scialo che brucia solo nell’attimo; la propria genialità sensibile e sensualità demoniaca gli appaiono senza scopo se non se stesso. Oppure B) come strategia di ritiro calcolato della “cattiva coscienza”, la quale “spontaneamente” tenderebbe sempre e comunque alla vita estetica, approvandola nell’intimo, ma quasi sempre negli individui medi non ha i mezzi per metterla in atto. Accade così che non potendo vivere una vita di piaceri ce ne inventiamo una di doveri. È, infine, anche vero che nella vita etica si assaporano le dolcezze dell’uno e dell’altro stadio sia estetico che religioso (per chi ha fede). Com’è vero che nell’amore coniugale si trova sia quella Venerem facilem parabilemque – il sesso facile e abbordabile di cui parlava Orazio -, sia il culto dell’unione familiare, che era già “sacra”, signori, prima del cristianesimo. Proprio in ultimo mi occorre aggiungere che se il seduttore non ama una donna, ma la donna, l’uomo etico è tentato di amare la donna in una donna.
4. Analogamente, nei personaggi di Tolstoj gli stadi dell’esistenza kierkegardiana appaiono misti, mai allo stato puro. Se Pierre Bezukov e Konstantin Dmitric Levin (veri e propri alter ego di Tolstoj) sembrano scolpiti nella pietra viva della vita etica (anche se bellamente “estetica” è la scena “etica” della falciatura del grano perché è il padrone Levin che sceglie di mischiarsi a torso nudo in uno slancio etico-estetico con i propri contadini), se Nechljudov di “Resurrezione” e Ivan Il’ič sembrano smarriti nella dimensione religiosa della vita, Anna Karenina (una crasi narrativa di Madame de Rênal ed Emma Bovary) è una bella che sbanda tragicamente dallo stadio etico a quello estetico, presa al laccio dei frutti sublimi e amari dell’adulterio. Immensi sommovimenti psichici e sessuali sembrerebbe destare l’amore extraconiugale che oggi “aggredisce” (o felix culpa!) le coppie perlopiù intorno ai quarant’anni e ai tempi di Anna ai trenta; una forza estetica inebriante non solo per i graditi e liberatori sensi di colpa che esso genera, per quel lato avventuroso e teatrale di sdoppiamento della personalità di chi giocoforza deve recitare due parti in commedia, ma soprattutto per la “riscoperta” e la reviviscenza del sesso infeltrito dalle ambagi del coniugio e dai gravosi impegni “etici” dell’allevamento della prole che procurano ottundimento dei sensi e la fatale clorosi della vita “estetica” dei primi anni matrimoniali quando i sensi scattavano come levrieri all’apertura dei cancelli. L’io tolstojano come l’io di ogni grande artista è ovviamente frantumato in tutti i suoi personaggi e in tutt’e tre gli stadi dell’esistenza. Tolstoj è Anna Karenina, è Pierre Bezukov, Levin, Ivan Il’ič, Nechliudov e anche Vronskij (l’avete visto nelle foto giovanili quant’era bello?). Ma solo Tolstoj e i grandi artisti, o anche noi, si parva licet? Non accade anche a noi, in fondo, di attraversare per avventura romanzesca della nostra esistenza o per adesione cosciente i tre stadi dell’esistenza? Com’è anche vero che ci può toccare di essere classici alle nove del mattino, romantici a mezzogiorno e barocchi o decadenti alle ventuno, o se volete da giovani, nella maturità e nella vecchiaia, ad libitum. “Un io è come un club dove vecchi soci si dimettono e nuovi si iscrivono” avvertiva Gadda. Il giovane Petja Rostov vive nello stadio estetico ed estatico della vita militare, dimensione in cui perlopiù si racchiude la vita estetica di Tolstoj in quanto uomo e narratore, si vedano i “Racconti di Sebastopoli”. A noi potrà sfuggire questa dimensione estetica della vita militare. Cosa può avere di estetico l’occupazione di dare morte agli altri a colpi di cannone? Nulla, ma la vita estetica cui qui si allude è quella dell’esuberanza dei corpi, quella dei giovani conviventi nelle caserme che hanno consuetudine con le altrui nudità nelle camerate, quella dei giovani soldati alle prese con bevute colossali (com’è normale esperienza dello zapoj, le inenarrabili ciucche russe), che scommettono sulla propria resistenza sui davanzali delle finestre della camerate con sotto l’abisso in cui rischiano di schiantarsi, nel gioco ferale della roulette russa, che frequentano i bordelli, esperienza quest’ultima che segnerà di interrogativi angosciosi il Tolstoj di “Sonata a Kreutzer” quando si chiede se quelle stesse mani che hanno toccato le carni guaste e viziose delle prostitute sono le stesse che dovranno sfiorare i visi angelici di fanciulle educate tra i merletti e spinette, intente a singhiozzare davanti ad abissali e ridicoli amori romantici e che nulla sanno degli sperdimenti della carne, della sua fosca, sporca, inebriante fisicità “estetica”. È bene ricordare che educazione sessuale ed educazione sentimentale divergevano per tutto l’Ottocento. Che i giovani maschi apprendevano l’Ars amandi e venivano iniziati sessualmente nei bordelli. Che questo tipo di iniziazione sessuale si è protratta almeno fino agli anni ’60 del ‘900 e che forse la generazione dei nati attorno agli anni ’40-50 del secolo scorso (quella del ’68 per intenderci) è stata la prima in assoluto in Occidente in cui educazione sentimentale ed educazione sessuale coincidono e sono avvenute contestualmente con coetanei. Ma prima di allora la vita sessuale dei giovani fino al matrimonio, e per molti anche dopo, si svolgeva principalmente nei postriboli.
Tolstoj è il cantore dei tre stadi dell’esistenza così bene “isolati” e descritti da Kierkegaard in tutta la sua opera. Enten Eller, aut aut o piuttosto et et? E benché lo stadio etico-matrimoniale sembra essere il proprium di questo grande artista che secondo Isaiah Berlin era una volpe che si credeva un istrice (ne sapeva tante di cose della vita e non una sola, e inoltre era una cosa e si credeva un’altra), si falserebbe la prospettiva nel comprenderlo appieno se ci si fermasse solo a questo stadio come abbiamo visto. Ma la vita matrimoniale, quella che Kierkegaard ha intravisto con la sua Regina Olsen, è in Tolstoj materia perenne di canto. Tutti ricordano l’incipit di Anna Karenina. “Tutte le famiglie sono felici allo stesso modo ogni famiglia è infelice a modo proprio”. Ma che dire de “La felicità domestica”? che proprio l’elemento etico ed estetico sembra già coniugare nel titolo. E la vita coniugale nella sua forma ossessiva è al centro della indimenticabile “Sonata a Kreutzer” e in “Resurrezione”. E se si pone mente alla trama di “Guerra e pace” si ricorderà che sono scoppiate mille granate, sono state attraversate decine di fiumi, combattute battaglie eroiche senza fine, è morto Bolkonskij in quel modo sublime che tutti abbiamo letto, ma sembrerebbe che le monde existe pour aboutir une … famille. Tutta la storia e tutto il mondo esistono perché la tenera Natasha e il pacioso, pacifico e meditabondo Bezukov possano sposarsi. La pace, dopo la guerra, l’idillio domestico di questa coppia dopo lo… scoppio delle granate, sembra che l’epos di tutto il romanzo si incanali e si acquieti in questo tranquillo tinello borghese. Sembra dire Tolstoj “ I drammi ci capitano, ma le tragedie dobbiamo meritarcele, come tutto ciò che è grande”. Ma in mezzo o dopo eventi così perigliosi occupiamoci delle tartine e dei bambini, perché a essi si deve tornare dopo i grandi “cannoneggiamenti” della vita.
Alfio Squillaci
La frusta letteraria
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you’re alive. you listened to me. / ladd for lua, shortly after their 1935 reunion... look he's just happy she didn't get herself killed without him
It's rare to see a ghost in the eyes of someone still alive and breathing, but even when Lua smiles, there's a ghost in her place.
To say that she had never considered not listening would be a lie. Even then, on the train, she hadn't bothered to struggle against the relatively gentle actions of the Rail Tracer. She hadn't known the knot was fake, so facing the reaper, she'd thought: does it matter who takes my life as long as they're happy to do it?
She'd thought so again, under the care of Placido Russo. Were she not such a useful bargaining chip, she's sure any number of people would have smiled and done away with her, thinking it to be some sort of punishment. Only that time, she'd thought back to the train. Back to Ladd.
Even now, she feels herself shiver at the very thought that he'd wanted to kill her so badly that he'd sacrificed his fight with the Rail Tracer.
That's why she'd smiled. Because the man in front of her wants, wholly and truly, to kill her, for no other reason than that she wants to be killed and he loves her. For that kind of end, Lua will endure any amount of empty living.
"It wouldn't be as nice," Lua says plainly, but she's still smiling, possibly imagining it in her head. "If it were anyone but you. You'd enjoy it the most."
misc. prompts. / accepting.
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Il dipinto ha al centro della scena il pittore che tiene per mano la moglie Bella mentre vola tranquillamente per aria. Nell'altra mano ha un uccellino che simboleggia il loro accordo con la natura. Alle loro spalle c'è la città dove i due sono nati e dove vivevano all'epoca (siamo nel 1917): Vitebsk. In terra ai piedi del pittore c'è la classica tovaglia da picnic con una bottiglia di vino e un bicchiere. Essa, decorata con fiori, ha un colore rosso vivo che spicca ancora di più essendo complementare al verde del prato e del paesaggio tutto intorno. L'artista guarda verso di noi con un largo sorriso che esprime tutta la sua felicità: è una splendida giornata, sta facendo un picnic con la sua amata moglie, alle loro spalle c'è la loro città, il luogo dove sono nati. La loro felicità è perfetta: Bella si alza in volo e Chagall la trattiene con la mano, ma a sua volta sembra sollevato da terra grazie all'amore che lo lega alla donna. È un po' come se i due si muovessero su piani diversi, lui cammina sulla terra, lei è una specie di angelo e si libera nell'aria. Il senso di questa immagine è che l'amore che lega profondamente due persone, va oltre i limiti imposti dalla natura, ha qualcosa di trascendente. Il volo di Bella significa che l'amore, sentimento reciproco, va in una dimensione quasi irrazionale, un amore che si libra in un volo e che simboleggia che il loro amore sia al di sopra di qualsiasi altra cosa trascendente. Lo stile del dipinto risente delle scomposizioni tipiche della scuola cubista con cui Chagall entrò in contatto a Parigi e tutto sommato questo rafforza l'atmosfera irreale e fiabesca di questo paesaggio placido e tranquillo, come sottolinea il cavallo che pascola indisturbato sullo sfondo. L'unica nota diversa è la sagoma della sinagoga, che ha una tonalità rosata, molto più delicata rispetto al verde delle case: la sua struttura evanescente ci mostra che ha una funzione diversa, spirituale, rispetto a quella molto più concreta degli altri edifici della città. 👩🎨 #MarcChagall 🗓 1917-1918 🎨 Olio su tele 📏 170×163,2 cm 🌍 Museo di Stato Russo, San Pietroburgo #undipintoalgiorno #undipinto #undipintoognigiorno #arte #arteinpillole https://www.instagram.com/p/CDRokdyosfq/?igshid=96xv0m8lwmw9
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