#perdonate il francese
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lumioluna · 2 months ago
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Ma quanto sei una pick me? 😂
secondo me voi vi siete fritti il cervello a furia di stare su internet, eh
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aki1975 · 7 months ago
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Treviso - Porta di San Tomaso - 1518
Dopo la sconfitta di Agnadello (1509) in cui Venezia fu sopraffatta dalla Lega di Cambrai (Francia, Sacro Romano Impero, Inghilterra, Giulio II), Treviso si dotò di mura di terrapieno. In questo modo superò indenne l’assedio del 1511. La guerra si concluse con la decisione di Giulio II di sciogliere la Lega di Cambrai e di formarne una, la Lega Santa, per ridurre l’influenza francese in Italia. Accanto al Papa si trovarono Venezia e l’Inghilterra di Enrico VIII, uno dei tanti casi di contatto fra il regno inglese e la città lagunare: anche per questa ragione l’Italia - non solamente Roma - è così presente nelle opere di Shakespeare (Giulietta e Romeo, La bisbetica domata a Padova, I gentiluomini di Verona, Il mercante di Venezia, Otello, Molto rumore per nulla a Messina).
Mentre l’Europa continentale si preparava alla Prima Crociata (1096), l’Inghilterra era stata conquistata dai Normanni con la Battaglia di Hastings (1066): Guglielmo il Conquistatore costruì la Torre di Londra e regnò fino al 1087 e, dopo di lui, i suoi discendenti fino al 1154.
Da quel momento furono i Plantageneti a regnare:
- Enrico II (1154 - 1189)
- Riccardo Cuor di Leone che partecipò alle Terza Crociata (1189) e che regnò fino al 1192
- il fratello Giovanni Senzaterra (1192 - 1216) che sostenne senza successo l’avversario di Federico II che divenne imperatore nel 1214: i debiti che ne derivarono lo portarono a firmare la Magna Charta (1215), costituzione del Regno. Fu protagonista di una tragedia di Shakespeare
- Enrico III (1216 - 1272) supportato, nei suoi primari anni, da Guglielmo il Maresciallo e dal legato di Innocenzo III, Guala Bicchieri
- Edoardo I (1272 - 1307), l’antagonista di Braveheart
- Edoardo II (1307 - 1327)
- Edoardo III (1327 - 1377) che iniziò la Guerra dei Cento Anni dalla quale sarebbero emersi, dal feudalesimo, gli eserciti nazionali e lo Stato moderno capitalista in Inghilterra e in Francia. Scoppiata per la rivendicazione del trono francese da parte del re inglese, vide inizialmente vittorie britanniche grazie alla superiorità dei reparti di arcieri inglesi (Crecy, 1346 e Poitiers 1356), ma i francesi presero il sopravvento nella seconda parte;
- Riccardo II (1377 - 1399) che dovette fronteggiare la rivolta dei contadini scoppiata a causa del perdurare della guerra dei Cento Anni (1381) e che fu deposto da Enrico Bolinbroke della casa di Lancaster. Fu protagonista di una tragedia di Shakespeare
I Lancaster regnarono con:
- Enrico IV (1399 - 1413), protagonista di una tragedia di Shakespeare in cui emerge il futuro Enrico V
- Enrico V (1413 - 1422) vittorioso ad Azincourt, consorte della figlia del re francese Carlo VI il Folle, Caterina di Valois, protagonista di una tragedia di Shakespeare.
[Prologo dell’Enrico V di Shakespeare
Oh, per una Musa di fuoco, capace di ascendere al risplendente empireo dell’Invenzione: un regno per palcoscenico, principi per attori, e monarchi, a spettatori di un dramma grandioso!
Allora sì che, da par suo, il battagliero Harry
sarebbe un Marte personificato, ed alle sue calcagna, tenuti a freno come dei segugi, Ferro, Fuoco e Fame s’acquatterebbero, cupidi d’azione. Ma perdonate, pubblico cortese, la scarsa, incerta ispirazione di chi ebbe l’ardire, su questa indegna impalcatura, di portare in scena sì epica vicenda. Può contenere, quest’angusta arena, gli sconfinati campi della Francia? Possiam stipare a forza in questo “O” di legno anche solo i cimieri che ad Agincourt fecer tremare il cielo? Ah, perdonateci! perché uno sgorbio da nulla può, nel suo piccolo, rappresentare un milione.
Lasciate dunque a noi, gli zeri di sì gran rendiconto, di fare appello alle forze dell’immaginazione.
Immaginate che entro la cinta di questi muri
sian confinati due possenti reami che si confrontan dall’alto dei loro orgogliosi confini, divisi solo da un periglioso braccio di mare.
Supplite voi, col vostro pensiero, alle nostre carenze: dividete ogni singolo uomo in mille unità, così creando armate immaginarie.
Pensate, se vi parliam di cavalli, di vederli voi stessi calcare i lor fieri zoccoli nella terra amica; è alla vostra mente che spetta ora equipaggiare i sovrani e condurli per ogni dove, bruciando i tempi e condensando gli eventi di molti anni in un voltar di clessidra: e proprio a questo fine fatemi fare in questa storia, vi prego, la parte del Coro; ed io, da prologo, vi chiederò umilmente di esser pazienti e giudicare cortesemente il nostro spettacolo con occhi indulgenti].
- Enrico VI (1422 - 1471): la sua vita, di sovrano di Francia e Inghilterra fin dalla giovanissima età per via del matrimonio del padre con una principessa francese, è raccontata nell’opera di Shakespeare che mostra una Giovanna d’Arco demoniaca ed ammaliatrice (battaglia di Orléans, 1429) e affronta come, nel periodo di instabilità iniziata con lo scoppio nel 1455 della Guerra delle Due Rose, ne esca vincente la casa di York mentre terminava la Guerra dei Cento Anni e i Turchi prendevano Costantinopoli (1453).
Gli York regnarono con:
- Edoardo IV (1471 - 1483)
- Edoardo V deposto da Riccardo III
- Riccardo III (1483 - 1485), protagonista di una grande tragedia di Shakespeare fino alla sconfitta di Bosworth Field.
Sconfitti in battaglia, i Plantageneti lasciarono il campo ai Tudor che regnarono con:
- Enrico VII (1485 - 1509) che pacifica il Regno sposando Elisabetta di York e che accentra il potere dello Stato contro alle istanze dei feudatari appoggiandosi alla gentry mentre la Spagna, con la Reconquista e la scoperta dell’America (1492) inizia il suo Secolo d’Oro
- Enrico VIII (1509 - 1547) coevo di protagonisti quali Carlo V (imperatore dal 1519 l) e Solimamo (Sultano dal 1520), protagonista di una tragedia di Shakespeare. Sposò Caterina d’Aragona, figlia di Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona, zia di Carlo V. Nel 1534 ha luogo lo Scisma anglicano: nonostante il parere contrario del suo cancelliere Tommaso Moro per questo giustiziato, Enrico VIII incamera i beni della Chiesa, depone Caterina d’Aragona per Anna Bolena, fonda una fede “istituzionale” che non potrà, di fronte alle istanze riformatrici, che dare luogo al puritanesimo successivo
- Edoardo VI (1547 - 1553)
- Maria la Sanguinaria (1553 - 1558), figlia di Caterina d’Aragona ed Enrico VIII
- Elisabetta I (1558 - 1603): diventata regina un anno dopo Filippo II, osservò l’Assedio di Malta (1565), partecipò alla Battaglia di Lepanto (1571) e sconfisse la Invincible Armada di Filippo II iniziando il domino inglese sui mari.
William Shakespeare visse fra il 1564 e il 1616: in lui confluiscono la tradizione narrativa inglese, epica e novellistica, e il teatro di Marlowe e nei suoi drammi storici è raccontata la storia inglese dei Plantageneti e dei Tudor. Come Tasso in quegli anni scriveva la Gerusalemme Liberata alludendo alla battaglia di Lepanto così Shakespeare scrisse drammi relativi al passato per rappresentare le preoccupazioni del presente.
Nei suoi personaggi abbraccia l’intera umanità innovando il teatro dato che solo in due drammi rispetta le unità aristoteliche. Ad esempio nella Commedia degli errori, fondata sul classico intreccio dello scambio di identità.
“In questo mondo io sono una goccia d’acqua che nell’oceano cerca l’altra goccia e, cadendovi, si disperde”
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perilleonedisanmarco · 6 years ago
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Chiamatemi Chiara - Headcanons Edition:
/ ALLORA. Visto che sto pure iniziando a scriverci su qualcosa - sperando venga fuori qualcosa di decente - ecco a voi qualche headcanon scrauso sulla mia au preferita del momento, la Anne with an E!au.
So che quelli che conoscono lo show, o solo banalmente il libro, potrebbero trovare gli headcanons un po' noiosi, ma io ve li spammo lo stesso, perché attualmente sono un po' in fissa. MA BANDO ALLE CIANCE, INCOMINCIAMO!
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• Un caro benvenuto a tutti voi nell'allora Austria di fine '800/inizio '900 (ovvero il nostro amato Trentino-Alto Adige) e soprattutto, benvenuti nella fattoria dei fratelli Pichler, un vero paradiso immerso nella natura della zona.
• Edith e Sergio Pichler vivono insieme da sempre e non si sono mai sposati. L'unica compagnia che hanno è la loro cagnolina Bea (chiedo scusa a @laquila-di-trento per aver preso il nome, ma la cucciola è troppo carina).
• Ah, no. È vero. In effetti ci sarebbe anche Lucia.
• Lucia è la loro vicina. A dirla tutta, lei sostiene di essere una cara amica di Edith, lei invece non capisce come mai questa si presenti sempre a casa sua senza avvisare, per riempirla dei pettegolezzi sul paese.
• Lucia, in realtà, fa finta di non capire e continua a presentarsi a casa di Edith. D'altronde, prima di sposarsi, abitava in città, Edith è l'unica presenza relativamente vicina. Potrete anche toglierle la vita cittadina, ma la possibilità di fare un minimo di vita sociale? Assolutamente no!
• Chiara arriva a casa Pichler per puro caso. Un errore, visto che l'idea iniziale dei fratelli era di adottare un maschio, in modo da avere un aiuto con la fattoria, visto che l'età inizia a farsi sentire.
• Una cosa è sicura, Chiara non ha la minima intenzione di tornarsene a Vienna.
• Per rimediare all'errore, visto che sempre di una mano hanno bisogno, i Pichler decidono di assumere un ragazzo come aiutante.
• Chiara inizialmente non ne è contenta.
• Inizialmente crede che sia tutto uno scherzo per fare in modo di spronarla, poi quando si trova Marco davanti, capisce che invece è tutto vero.
• Marco è italiano e per questo Chiara cerca di farsi insegnare la lingua, in cambio di lezioni per imparare a leggere e scrivere.
• C'è solo un problema: Marco non lo sa l'italiano. O meglio, lo sa proprio poco. Ma ovviamente non le dice niente e inizia ad insegnarle il veneto. Tanto Chiara non dovrebbe accorgersi di nulla, no?
• Chiara, in effetti, l'italiano non lo sa e non può scoprirlo. Ma Maria sì.
• Maria è la migliore amica di Chiara, sempre pronta a sostenerla in tutto e a farle da mamma chioccia. Sua madre è di famiglia italiana e vuole che le figlie possano un giorno studiare in un prestigioso liceo del paese d'origine.
• Marco sarà anche solo un contadino, ma quale occasione migliore per esercitarsi con qualcuno che non sia sua madre?
• Chiara poi, lo sta imparando. Parlare tutti insieme in italiano sarebbe divertente.
• Ovviamente, è qui che casca il palco e Marco viene smascherato.
• Ma dato che non c'è due senza tre, vogliamo forse non parlare della piccola Francesca?
• Francesca è una delle ragazzine della scuola del paese. È una tredicenne davvero graziosa, e lo sa, e per questo spera di poter ricevere al più presto il maggior numero di proposte di fidanzamento dai ragazzi del paese.
• E perché mai? Ma per far ingelosire Giacomo, ovviamente!
• Giacomo è un ragazzino dal cuore d'oro. Letteralmente, il cavaliere senza macchia e senza paura, intelligente, sempre gentile, amichevole e benvoluto da tutti. Inoltre, tra le altre cose, è il futuro marito di Francesca.
• Almeno, questo dice lei.
• Ehi, sono tre anni che ci lavora su! E non permetterà certo alla nuova arrivata di rovinarle i piani.
• All'inizio è quindi un po' sul chi va là, nei confronti di Chiara, ma poi si rende conto che non deve preoccuparsi troppo: Chiara è buona e non ha intenzione di farle torto. Inoltre, figurati se mai potrebbe piacerle Giacomo!
• No, non le piace Giacomo.
• INSOMMA, NO, NO, NON LE PIACE E MARIA DEVE FINIRLA DI FARE ALLUSIONI
• Peccato che Marco non sia d'accordo, visto quanto lei gliene parli.
• D'accordo, tecnicamente, non ne parla esattamente benissimo e gli racconta solo delle gare scolastiche che fanno MA COMUNQUE
• Neanche Lorenzo è d'accordo. Lui, Marco e Maria, senza saperlo, sono un trio unito da uno scopo comune: fare in modo che se ne renda conto anche Chiara, e che si renda conto che Giacomo effettivamente potrebbe avere un minuscolo debole per lei.
• Sia chiaro, Marco lo fa solo perché ne ha abbastanza di sentirla parlare sempre e soltanto di questo tizio.
• Non è che c'è un altro motivo sotto, scordatevelo!
• Lorenzo è l'artista della classe e ogni giorno fa un disegno diverso sulla lavagna, prima che inizino le lezioni.
• Non importa quante volte venga mandato in punizione per questo.
• Tanto lui mica smette.
• Chiara diventa pian piano la sua migliore amica e i due hanno davvero un rapporto strettissimo.
• Sergio si rivela essere il miglior padre adottivo che potesse esserci.
• Infine, Marco:
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chez-mimich · 3 years ago
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TRA DUE MONDI
Pensare a Ken Loach guardando il magnifico film di Emmanuel Carrere (sì proprio lui) è fin troppo facile, direi scontato. Del resto, Loach, rimane il termine di paragone naturale per tutti quei registi che decidono di raccontare storie legate alla classe operaia e al proletariato urbano (perdonate i termini un po’ vetero-marxisti, ma al momento non me ne sovvengono altri più calzanti). Eppure in “Tra due mondi”, orrendo titolo italiano di “Le Quai de Ouistreham”, c’è anche qualcosa di più delle squallide storie di sfruttamento del lavoro, di ingiustizia sociale e di precarietà del grande regista britannico. La vicenda racconta della scrittrice Marianne Winkler che, per immedesimarsi nella condizione di una addetta alle pulizie, si fa assumere dalla ditta che effettua le pulizie sui ferry-boat che collegano Francia e Gran Bretagna (il titolo originale allude appunto al molo della sponda francese a Caen). L’infiltrata, per così dire, stringe amicizie e relazioni coi colleghi e con una in particolare, Christèle, madre di tre bambini. Marianne tocca con mano la durezza del lavoro, i salari da fame, le difficoltà quotidiane, ma anche i forti legami e la solidarietà che si creano tra queste lavoratrici e lavoratori. Non si tratta però della coscienza di classe che aleggia sempre nei film di Ken Loach, si tratta più che altro di partecipazione umana alla sofferenza altrui. Marianne, a causa di un contrattempo, viene scoperta nella sua vera identità, proprio da Christèle che le imputa di aver ingannato le compagne di lavoro e lei stessa. Christèle non può proprio perdonare una scelta di campo fittizia, fatta solo per poter avere materiali di prima mano per la stesura di un libro. Il metodo “Stalinslavskij” applicato alla scrittura, non è sufficiente per trasformare una scrittrice in una operaia, e se lo è per il materiale letterario, non lo può essere per condividere la condizione umana degli ultimi, tesi magari discutibile, ma certamente fondata. Magnifica interpretazione di Juliette Binoche nella parte di Marianne, ambientazione opportunamente squallida, dialoghi credibili, un (altro) film per pensare.
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ilfalcoperegrinus · 4 years ago
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XXIV DOMENICA DEL T.O.
anno A (2020)
Sir 27,33-28,9; Rm 14,7-9; Mt 18,21-35
https://predicatelosuitetti.files.wordpress.com/2020/09/xxiv-domenica-del-t.o.-anno-a-2020.mp3
Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito. Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».
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Non si può veramente capire cos’è la correzione fraterna come atto di amore (cfr. il vangelo di domenica scorsa) se non si accoglie sinceramente il messaggio inequivocabile del vangelo di questa domenica. Quella senza questo non si può illuminare agli occhi del nostro cuore, e viceversa. Pietro si rende conto, dalle indicazioni di Gesù circa i rapporti tra i discepoli, di quanto gli stia a cuore la fraternità, e allora gli fa una domanda con proposta in allegato: Signore, se mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte? (Mt 18,21)La risposta di Gesù alla domanda di Pietro (Mt 18,22) non solo amplia all’infinito l’orizzonte del perdono così ristretto nel cuore del suo discepolo, ma offre un’occasione unica a Gesù per ribadire, con una parabola, quale sia il fondamento di ogni vera fraternità. E, vista la chiarezza dell’insegnamento, si rassegni ogni spirito che voglia dirsi “cristiano” a cercare di giustificare in qualche modo il perdono negato, qualunque sia il tipo e la ripetizione dell’offesa in oggetto. Non esistono perdoni da concedere e perdoni da negare. Esistono solo perdoni più facili e perdoni più difficili da regalare; perdoni che hanno bisogno di più tempo e perdoni che ne hanno bisogno di meno, ferma restando la fatica “naturale” dell’uomo a perdonare. Non a caso il proverbio dice: “Dio perdona sempre, l’uomo qualche volta, la natura mai”.
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Il re che volle regolare i conti (Mt 18,23) è personaggio straordinariamente magnanimo difronte al debito insolvibile di un tale che gli viene presentato (Mt 18,24): un talento=6000 giornate lavorative; quindi il debito di 10.000 talenti=60.000.000 di salari quotidiani. Per pagare tale debito ci vorrebbero 200.000 anni da vivere, e senza mangiare! Oppure: al tempo di Gesù un talento pesava 36 kg. di metallo; quindi 10.000 talenti sono un peso da 360 tonnellate di metallo prezioso. Con che cosa lo si trasporta e quanto tempo occorrerebbe per trasportare questo debito? Il centro del messaggio emerge generando un’altra domanda: cosa fa cambiare così repentinamente il re che aveva ordinato che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva? La compassione davanti alla supplica della sua preghiera (Mt 18,26). Il re infatti lo lascia libero condonandogli tutto il debito (Mt 18,27). Il problema molto serio della parabola è che appena uscito (Mt 18,28) quell’uomo trova un compagno che ha un debito infinitamente minore nei suoi confronti e sembra non aver imparato nulla dalla magnanimità del re. Il compagno gli rivolge la stessissima supplica, ma non trova in lui alcuna pietà (Mt 18,29-30). Altri compagni assistono alla scena e molto dispiaciuti riferiscono al re l’accaduto (Mt 18,31). Il re convoca quell’uomo e, chiamandolo servo malvagio gli chiede come mai, dopo aver sperimentato l’abbondanza del suo perdono, non si sia comportato così anche con il proprio debitore. Sdegnato, cambia la sua decisione ed esegue verso quel tale la stessa “sentenza” che emessa nei confronti del suo debitore. Lapidaria la conclusione del vangelo: così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore ciascuno al proprio fratello (Mt 18,35).
Tutto sommato, credo che la nostra ragione non faccia fatica a riconoscere come giusto il comportamento del re. Eppure, pur riconoscendolo, l’insegnamento evangelico giunge come un ammonimento provocatorio che “costringe” a porci una serie di domande: ma io come vivo le mie relazioni con i fratelli? Come un creditore o come un debitore? Nella mia vita di fede, qual è il baricentro del mio agire? La mia promessa di restituire a Dio ciò che gli devo (cfr. Mt 18,26) oppure la sua promessa già compiuta con il dono del Figlio suo Gesù, nostro Salvatore? Insomma, vivo la mia relazione con Dio nell’ansia di dovergli qualcosa per la coscienza del mio debito (illudendomi di poterlo saldare), oppure nella gioia di non poterlo cancellare, perché credo che Colui che l’ha già cancellato (cfr. Col 2,13-14) mi offre ogni giorno una vita da peccatore perdonato? E poi: credo che il Signore mi ha fatto dono del potere di perdonare gli altri come Lui mi ha perdonato? Oppure mi nascondo dietro l’innata fatica umana di perdonare, creandomi un alibi davanti alle dure prove che ci fanno sentire come insormontabile il perdono di certe offese? È davvero il perdono al centro della vita nuova che Gesù ci ha donato o c’è qualcos’altro?
Penso che tutti ricordiamo lo scalpore generato un paio di anni fa da Antoine Leiris, un uomo francese che, all’indomani della tragica scomparsa della moglie ad opera dei terroristi dell’ISIS, dopo alcune notti di dolore insonni scrisse la celebre lettera pubblicata con il titolo “Voi non avrete il mio odio”. In quella lettera l’uomo non solo testimoniava la sua forza nella decisione di non odiare gli assassini di sua moglie, ma prometteva anche di crescere il suo piccolo figlio insegnandogli a operare questa stessa scelta, aggiungendo che in essa, insieme, sarebbero stati “più forti di qualsiasi esercito”. Non so se il sig. Antoine sia cristiano, ma so di certo che, anche se non lo fosse, la sua decisione è stata un raggio potente di luce che ha squarciato le tenebre di quel tragico momento della storia. Perché anche la Parola di Dio conferma, nella 1a lettura di oggi, che se sono orribili le tragedie procurate dai gravi peccati degli uomini, anche rancore e ira sono cose orribili, e il peccatore le porta dentro. Chi si vendica subirà la vendetta del Signore, il quale tiene sempre presenti i suoi peccati… (cfr. Sir 27,30-28,1ss.).
Dunque la scelta del perdono è anche ragionevole. Però è la rivelazione del volto di Dio nella Bibbia che la fonda e la rafforza, come abbiamo nella parabola raccontata da Gesù. In essa infatti, il Signore ci indica con chiarezza come poterlo seguire sulla via di un amore che non indietreggia davanti alle offese che si possono abbattere nella nostra vita: pensare ai miei 10.000 talenti di debito condonati da Dio piuttosto che ai 100 denari che il mio prossimo mi deve. Se sono realmente convinto che le cose stanno così, allora non sarà solo faticoso percorrere la sua via di amore a oltranza, ma sarà anche l’esperienza di un potere che davvero il Signore dona a chi gli crede. Un’ultima considerazione. Il sig. Antoine si è ripromesso di educare il suo piccolo a non odiare, ma a perdonare. Ha scelto anche il miglior investimento per suo figlio. Perché se induci un essere umano a ricordare sempre i peccati altrui, lo fai vivere nel rancore e nell’odio incendiatosi nel passato. E lì si vive malissimo, in prigione con sé stessi e con l’animo sempre in rivolta verso gli altri; da lì non ci si muove più. Se invece decidi di educare un uomo al perdono, lo fai camminare avanti e gli garantisci il futuro. Perché solo chi vive del perdono di Dio e si impegna a sua volta a perdonare, è veramente un uomo libero che vive già nel futuro.
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EL PERDON TE LLEVA AL FUTURO
Verdaderamente no se puede comprender qué cosa es la corrección fraterna como acto de amor (cf. El evangelio del domingo pasado), si no se acoge sinceramente el mensaje inequivocable del evangelio de este domingo. Aquella sin esto no se puede iluminar a los ojos de nuestro corazón, y viceversa. Pedro se da cuenta, de las indicaciones que Jesús da acerca de las relaciones entre los discípulos, de cuanto le está a pecho la fraternidad, y entonces hace una pregunta con propuesta en adjunto: Señor, si mi hermano comete culpa contra mí, ¿cuántas veces debo perdonarlo? ¿Hasta siete veces? (Mt 18,21) La respuesta de Jesús a la pregunta de Pedro (Mt 18,22) no solo amplía al infinito el horizonte del perdón así reducido en el corazón de su discípulo, sino que ofrece una ocasión única a Jesús para reiterar, con una parábola, cuál es el fundamento de cada auténtica fraternidad. Es, vista la claridad de la enseñanza, se resigne cada espíritu que quiera llamarse “cristiano” a buscar de justificar de alguna manera el perdón negado, cualquiera sea el tipo y la repetición de la ofensa en caso. No existen perdones para conceder y perdones para negar. Existen solo perdones más fáciles y perdones más difíciles que regalar; perdones que algunas veces tienen necesidad de más tiempo y perdones que se ofrecen inmediatamente más allá de la humana espera, teniendo en cuenta la fatiga “natural” del hombre a perdonar. No casualmente el proverbio recita: “Dios perdona siempre, el hombre algunas veces, la naturaleza nunca”.
El rey que quiere arreglar cuentas (Mt 18,23) se vuelve un personaje extraordinariamente magnánimo delante de la deuda insolvente de un tal que le viene presentado (Mt 18,24): un talento=6000 jornadas laborables; entonces la deuda de 10.000 talentos=60.000.000 de sueldos cotidianos. Para pagar tal deuda se necesitaría 200.000 ¡años de vida, y sin comer! O bien: en el tiempo de Jesús un talento pesaba 36 kg. de metal; entonces 10.000 talentos es un peso de 360 toneladas de metal precioso. ¿Con qué cosa se transporta y cuánto tiempo se necesitaría para transportar toda esta deuda? El centro del mensaje emerge haciéndonos otra pregunta: ¿qué hace cambiar así repentinamente al rey que había ordenado que fuera vendido como esclavo, junto con su mujer, sus hijos y todo cuanto poseía? La compasión delante de la súplica de su oración (Mt 18,26). El rey lo deja libre ¡perdonándole toda la deuda! (Mt 18,27). El problema muy serio de la parábola es que apenas salió (Mt 18,28) aquél hombre encuentra a un compañero que tiene una deuda infinitamente menor con él y parece no haber aprendido nada de la magnanimidad del rey. El compañero le dirige la mismísima súplica, pero no encuentra en él alguna piedad (Mt 18,29-30). Otros compañeros asisten a la escena y muy disgustados refieren al rey lo sucedido (Mt 18,31). El rey convoca a ese hombre y, llamándolo siervo miserable le pregunta cómo así, después de haber experimentado la abundancia de su perdón, no se haya comportado así también con el propio compañero deudor. Indignado, el rey cambia comportamiento y ejecuta hacia aquél tal la misma “sentencia” que él ha emitido respecto a su deudor. Lapidaria la conclusión del evangelio: lo mismo hará mi Padre Celestial con ustedes, a no ser que cada uno perdone de corazón a su hermano (Mt 18,35).
Sumando todo, creo que nuestra misma razón no haga fatiga en reconocer justo el comportamiento del rey. Sin embargo, también si lo reconocemos, el evangelio suena como una advertencia y al mismo tiempo como una sana provocación que nos “obliga” a ponernos una serie de preguntas: yo ¿cómo vivo mis relaciones con mis hermanos? ¿Cómo un acreedor o un deudor? Y en mi vida de fe, ¿cuál es el baricentro de mí actuar? ¿Mi promesa de restituirle a Dios lo que le debo (cfr. Mt 18,26) o su promesa ya cumplida con el don del Hijo suyo Jesús, nuestro Salvador? Es decir, vivo mi relación con Dios en el ansia de deberle algo por la consciencia de mi deuda (ilusionándome de poderlo saldar), o en el gozo de no poderlo cancelar, porque creo que Él que ya lo ha cancelado (cfr. Col 2,13-14) me ofrece cada día una vida de pecador perdonado? Y luego: ¿creo que el Señor me ha hecho el don del poder de perdonar a los demás como Él me ha perdonado? O ¿me escondo detrás de la innata fatiga humana de perdonar, creándome un pretexto delante de duras pruebas que superar que tocan al hombre hasta hacerle sentir como insuperable el perdonar ciertas ofensas? ¿Verdaderamente el perdón está al centro de la vida nueva que Jesús nos ha donado o hay otra cosa?
Pienso que todos recordamos la sensación generada un par de años atrás por Antoine Leiris, un hombre francés que, al día siguiente de la trágica desaparición de la esposa por obra de los terroristas del ISIS, después de algunas noches de dolor y sin dormir escribió la célebre carta publicada con el título “Ustedes no tendrán mi odio”. En aquella carta el hombre no solo daba testimonio de su fuerza en la decisión de no odiar a los asesinos de su esposa, sino que prometía también de hacer crecer a su pequeño hijo ensenándole a ejercitar esta misma elección, agregando que en ella, juntos, hubieran sido “más fuertes que cualquier ejército”. No sé si el sr. Antoine sea cristiano, pero sé ciertamente que, también si no lo fuera, su decisión ha sido un rayo potente de luz que ha desgarrado las tinieblas de aquél trágico momento de la historia. Porque también la Palabra de Dios confirma, en la 1ra lectura de hoy, que si son horribles las tragedias procuradas por los graves pecados de los hombres, también odio e ira son cosas abominables, y el pecador lo lleva dentro. El que se venga experimentará la venganza del Señor: él le tomará rigurosa cuenta de todos sus pecados. Perdona a tu próximo el daño que te ha hecho, así cuando tú lo pidas, te serán perdonados tus pecados. ¡Cómo! ¿Un hombre guarda rencor a otro hombre y le pide a Dios que lo sane?… Si él, débil y pecador, guarda rencor, ¿quién le conseguirá el perdón?  (Sir 27,30-28,1ss.). 
Entonces la elección del perdón es también razonable. Pero es la revelación del rostro de Dios en la Biblia que la funda y la refuerza, como hemos visto también en la parábola contada por Jesús. En ella de hecho, el Señor nos indica con claridad como poderlo seguir en el camino de un amor que no retrocede delante de las ofensas que se pueden derribar en nuestra vida: pensar a mis 10.000 talentos de deuda perdonados por Dios más que a las 100 monedas que mi prójimo me debe. Si estoy realmente convencido que las cosas están así como me dice el evangelio, entonces no será solo fatigoso recorrer su camino de amor a ultranza, sino que será una experiencia de un poder que de verdad el Señor dona a quien le cree. Una última consideración. El sr. Antoine se ha prometido así mismo educar a su pequeño a no odiar, sino a perdonar. Ha elegido también la mejor inversión para su hijo. Porque si induces a un ser humano a recordar siempre los pecados de los demás, lo haces vivir en el rencor y en el odio establecido en el pasado. Y allí se vive muy mal, en prisión consigo mismo y con el ánimo siempre en guerra hacia los demás; de allí no nos movemos más. Si en cambio decides educar a un hombre al perdón, lo haces caminar y le garantizas el futuro. Porque solo quien vive del perdón de Dios está comprometido a su vez en perdonar, es verdaderamente un hombre libre que vive ya en el futuro.
IL PERDONO TI PORTA NEL FUTURO, remake di un commento al vangelo della XXIV domenica del T.O. (2017), disponibile anche in audio-commento e in lingua spagnola entrando nella sezione "Commenti al vangelo" del menu principale XXIV DOMENICA DEL T.O. anno A (2020) Sir 27,33-28,9; Rm 14,7-9; Mt 18,21-35 Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli?
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pionchan-blog-blog · 2 years ago
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Film retrò: due amanti vampiri viviono in città, più sentimentale che horror
Film retrò: due amanti vampiri viviono in città, più sentimentale che horror
Perdonate la vaghezza, ma il film è vecchio (come me). Anni 60 o 70, mi pare italiano, ma potrebbe pure essere francese. Due amanti trascorrono le giornate in città, in maniera oziosa, quasi senza una vera trama. Il loro atteggiamento strano lo si intuisce verso la fine, in maniera molto velata: sono vampiri. Anche se la cosa non è proprio esplicita. Sono quasi certo che sia in bianco e nero, ma…
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afreecitizen · 6 years ago
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* Voi siete adesso a tavola. Oh, se fate brindisi fatene uno anche per il vostro presidente che vi ama tanto. E cercate sempre di stare vicino ai vostri figli, ai vostri giovani che si affacciano adesso alla vita. Io ai giovani questo dico: battetevi sempre per la liberta' , per la pace e per la giustizia sociale. La liberta' senza la giustizia sociale non e' che una conquista fragile che si risolve per molti nella liberta' di morire di fame.Bisogna che alla liberta' sia unita la giustizia sociale. Sono un binomio inscindibile. Lottate quindi con fermezza, giovani che mi ascoltate, perche' lotterete cosi' per il vostro domani, per il vostro avvenire. Ma siate sempre tolleranti. Si' lottate con la passione con cui ho lottato io, e lotto ancora oggi nonostante gli anni; lottate per la fede che arde nei vostri cuori. Ma io vorrei che voi teneste presente un ammonimento di un pensatore francese, ammonimento che io ho sempre tenuto presente alla mia mente. ´´Dico al mio avversario: io combatto la tua idea che e' contraria alla mia, ma sono pronto a battermi sino al prezzo della mia vita perche' tu la tua idea la possa esprimere sempre liberamente´´. Ecco quello che io dico ai giovani, senza presunzione, quasi fossi un loro compagno di strada, tanto mi sta a cuore la loro sorte. Ed io li esorto ad andare avanti, a continuare per la loro strada, a cercare nella scuola cultura; ad ascoltare i loro docenti per adornare la loro mente di cognizioni necessarie quando saranno chiamati a svolgere un' attivita'. Voi giovani siete la futura classe dirigente del nostro paese, dovete quindi prepararvi per assolvere degnamente questo nobilissimo compito. Ebbene io, finche' vita sara' in me, staro' al vostro fianco nelle vostre lotte, giovani che mi ascoltate. Lottero' sempre con voi per la pace nel mondo, per la liberta' e per la giustizia sociale. Buon anno a tutti voi miei connazionali, italiani e italiane. E perdonate se ho turbato la vostra vigilia di capodanno con questa mia conversazione guidata dalla fraternita' che a voi mi lega.
sandro pertini
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nonsololibri · 7 years ago
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120# Recensione (RP) "Fidanzati dell'inverno L'Attraversaspecchi " Di Christelle Dabos.
120# Recensione (RP) “Fidanzati dell’inverno L’Attraversaspecchi ” Di Christelle Dabos.
Buongiorno! Rieccoci insieme, perdonate per l’assenza. Un’libro dalla copertina fantastica, amo questa copertina, da una storia interessantissima e piena di colpi di scena.
Iniziamo il nostro viaggio, ma non perdete le altre meravigliose recensioni!
Tumblr media
aprile 2018, pp. 512 ISBN: 9788866329459 Traduzione: Alberto Bracci Testasecca Area geografica: Letteratura francese Collana: L‘Attraversaspecchi 
V…
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pangeanews · 4 years ago
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“Il Nemico oscuro che ci scava il cuore si alimenta del nostro sangue perduto!”. Una poesia di Charles Baudelaire tradotta da Giorgio Anelli
Di Baudelaire bisognerebbe leggere tutto. Anche a piccole dosi. Nella poesia Il nemico, che campeggia sulla parete della mia stanza studio, ornata a pergamena da Maria Giovanna Basaglia (che fu poetessa e pittrice bustocca, tra le prime artiste a credere in me), il poeta francese ammonisce ognuno di noi sul pericolo che è sempre in agguato. Soprattutto nell’età più felice: quella della fanciullezza e dell’adolescenza, nella quale ci crediamo imbattibili e dove, invece, la nostra supponenza e ingenuità non possono che portarci alla primordiale rovina. Da qui, il monito del poeta che, parlando di sé, si rivolge al futuro aedo. Ma come sempre Charles Baudelaire vuole andare oltre e il suo messaggio è molto chiaro e semplice. Ovvero. Tutte le volte che l’artista si sente stremato; quando egli ha esagerato in qualsiasi modo; nel momento in cui il poeta capisce di essere arrivato al limite, se non addirittura di averlo superato con conseguenze disastrose per sé e per la sua arte; ecco che soltanto in quel momento potrà guardare il suo giardino, da rigoglioso che fu, diventare come un cimitero di frutti avvizziti. Sarà proprio quello allora il momento di dover tornare umili. Arrendersi al fatto che la creatività e la visione, come “i frutti e i fiori”, sono esauste e prive di stimoli. Per poi riprendere in mano gli arnesi del mestiere: i libri! Rimettersi a leggere, ad imparare, a farsi meravigliare e stupire! Per far sì che nuovi sogni germoglino… Pur sapendo, tuttavia, che il nemico più grande delle nostre visioni è il Tempo, che come l’acqua scava il cuore dei nostri giorni, succhiando il sangue e la fatica che diamo, senza risparmiarci, per creare.
Giorgio Anelli
***
L’ENNEMI
Ma jeunesse ne fut qu’un ténébreux orage, Traversé çà et là par de brillants soleils; Le tonnerre et la pluie ont fait un tel ravage, Qu’il reste en mon jardin bien peu de fruits vermeils.
Voilà que j’ai touché l’automne des idées, Et qu’il faut employer la pelle et les râteaux Pour rassembler à neuf les terres inondées, Où l’eau creuse des trous grands comme des tombeaux.
Et qui sait si les fleurs nouvelles que je rêve Trouveront dans ce sol lavé comme une grève Le mystique aliment qui ferait leur vigueur?
‒ Ô douleur! ô douleur! Le Temps mange la vie, Et l’obscur Ennemi qui nous ronge le coeur Du sang que nous perdons croît et se fortifie!
*
IL NEMICO
La mia giovinezza è stata un’oscura tempesta, Attraversata talvolta da soli rigogliosi; Il tuono e la pioggia hanno fatto una grossa rovina, Che nel mio giardino rimane ben poco di frutti vivi.
Ecco la mia visione è vecchia, Occorre riprendere in mano gli arnesi Per rimettere a nuovo le terre sommerse, Dove l’acqua scava tombe sotterranee.
E chi sa se i fiori che sogno portano notizie Troveranno nella terra abbattuta Il seme spirituale che darebbe loro respiro?
‒ O dolore! o dolore! Il Tempo divora la vita, E il Nemico oscuro che ci scava il cuore Si alimenta del nostro sangue perduto!
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pangeanews · 5 years ago
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“Perché mi hai lasciato, Iosif?”. Eduard Limonov ulula il suo amore per Brodskij e per Jean Genet. E scrive una poesia cinica contro l’Europa “che dorme” (a proposito, traduciamo il Limonov poeta?)
Al di là del cliché ribadito all’eccesso dell’“esteta armato” – “Il nuovo senso estetico era quello che nasceva sfrecciando per una città bruciata sopra la corazza di un carroarmato circondato da giovani belve con il mitra” – Eduard Limonov resta, decisamente, letterato, uno scrittore, che vive assecondando una poetica prima che una politica. La biografia scritta in carcere nel 2002, “Libro dell’acqua”, lo mostra con forza radicale. L’uomo che lascia tutto e va, nello sterminato della vita, è “come Rimbaud”, nella sua “fuga verso il nulla. Ero in preda al languore poetico. Mi aveva invaso la nostalgia per lo spazio. Bisogna viaggiare da soli. Così la vista si fa acuta e penetrante”. Anche quando deve descrivere le foreste dell’Altaj, Limonov usa la metafora letteraria: “Avevo capito da un pezzo che era il paesaggio di un romanzo di Fenimore Cooper”. D’altronde, quando parla di Parigi è ancora più preciso, “Baudelaire ci ha inventati tutti quanti. Lui e Balzac”. Intendo dire che pur facendo la Storia, Limonov sa che l’unica storia che si può forgiare, dissipandola, è la propria, varcando l’arcano della propria opera. In questa pagina – ricordando che Eduard Limonov sarà a Rimini, ultima tappa del suo tour italiano per presentare il romanzo “Il boia”, insieme all’editore Sandro Teti, giovedì 12 dicembre, ore 17, al Teatro degli Atti – traduciamo un articolo del 2000 (pubblicato su “The eXile”), in cui Limonov torna sul rapporto con Iosif Brodskij e denuncia la sua ammirazione per Jean Genet. Titolo: “Tristezza di essere il Numero Uno: megalomaniaco compianto del Dr. Limonov”. Con l’idea di scoprire il Limonov poeta, poi, traduciamo una poesia ‘politica’ del 2013, dedicata cinicamente all’Europa e raccolta nel libro “URSS, nostra Roma antica” (2014).
***
Tristezza di essere il Numero Uno
La cosiddetta “intellighenzia liberale russa” mi ha escluso per molto tempo dal mondo letterario. Si comportavano come se non esistessi, come se fossi morto, un mai nato. Mi pare un fenomeno interessante: l’unico caso simile che conosco è quello di Jean Genet.
Quando mi sono stabilito a Parigi, nel 1980, restai sbalordito della totale assenza di questo grande scrittore nella vita sociale e letteraria francese. Non era menzionato sui giornali e nessun critico aveva scritto un saggio su Genet. Chiesi al mio editore e ai miei amici di Jean Genet, se era ancora vivo, dove vivesse. Nessuno ha saputo dirmi con precisione se vivesse o meno a Parigi. Stando a certe indiscrezioni, abitava in un albergo mezzo disfatto, popolato da arabi, da qualche parte vicino a Montmartre. Non sono mai riuscito a rintracciarlo.
Poi morì e improvvisamente i giornali presero a parlare di Genet, perfino i burocrati del Ministero della Cultura cominciarono ad adorarlo. Ricordo di aver scritto il suo necrologio su un quotidiano comunista francese, Revolution. Straniero, scrissi, era uno straniero tra gli stranieri in Francia.
Solo più tardi capii: che ciò che era capitato a Jean Genet era a causa del suo non essere politicamente corretto. Ha sostenuto le “Black Panther”, ha sostenuto la lotta del popolo palestinese, e così via. Ha rifiutato il modo idiota di pensare del suo tempo. Quindi viveva come in una baracca, in quarantena, come una persona malata, isolata dal mondo.
Anch’io vivo nel mio paese da isolato, sono una persona pericolosa e malata. Se un giornalista mi cita, in qualsiasi contesto, poi aggiunge una postilla del tipo, “Certo, ora Limonov è diventato cattivo, ma…”. i miei colleghi-scrittori mi guardano di traverso. Poiché probabilmente sono morto o non sono mai nato, per loro è facile vincere gli stupidi “Booker” e “anti-Booker” Prize, litigare come galline nei cocktail letterari e sedurre le ragazze… [Anche se è noto che le ragazze migliori sono fottute criminali, donne d’affari, politiche. Quindi in questo sono superiore ai miei colleghi-scrittori, perché essendo a capo di una organizzazione politica ho ragazze migliori e più giovani di loro].
C’è stato soltanto un uomo il cui talento letterario era commisurabile al mio – benché diverso e minore del mio. Iosif Brodskij. Il Nobel per la letteratura nel 1987. Ma Brodskij è morto poco dopo la morte dei suoi lettori. I suoi lettori, quei quieti uomini sovietici, sono morti da qualche parte tra il 1986 e il 1991. Quindi, visto che Brodskij non era più necessario, è morto anche lui. Mi sento un po’ solo a causa della sua assenza, ho pure scritto una poesia su quanto mi senta solo al mondo senza di lui. Può o meno fa così: Senza Brodskij, la noia mi devasta. Come politico competo con Alexander Barkashov, e credo di poterlo battere. Nel 1992 ho invidiato Vladimir Zirinovskij, ma in questi ultimi anni Zirinovskij è diventato sempre più piccolo e comune (perdonate il francesismo), un coglione lecca culo del governo.
Ho sempre voluto essere il numero uno. Ma ora che sono il numero uno, probabilmente la personalità più interessante, di certo lo scrittore più interessante del mio paese, ora, sono piuttosto triste. Ho bisogno di avere rivali che mi guardino negli occhi.
Brodskij era una Maestro, abbiamo vissuto una complicata relazione di amore-e-odio. Non gli piaceva il mio primo libro, invidiava alcune pagine di Diario di un fallito. Ho invidiato la sua ode In morte di Zukov. Quando, nel 1998, uscì il mio libro, Anatomia di un eroe, avevo fisicamente bisogno che Brodskij leggesse quel libro. O uno simile a Brodskij. Ma Brodskij giaceva conficcato nel suolo di Venezia.
Perché mi hai lasciato, Iosif? A proposito, entrambi abbiamo scritto di Venezia, ma il mio La morte degli eroi moderni è meglio della sua delizia neoclassica su quella disfatta città-museo. Non era brillante, Iosif, ma era un Maestro, sapeva apprezzare, sapeva sentire. È una rara apparizione, un Maestro, dunque, ora, chi cazzo mi leggerà?
Tuttavia, mi leggerà Korchynsky! Poeta ucraino, avventuriero, soldato, Dmytro Korchynsky è stato fondatore e guida dell’organizzazione nazionalista ucraina, UNA-UNSO, nel 1990-97. L’ho incontrato a Mosca, nell’aprile del 1999, poi alcuni compagni di Kiev mi hanno inviato il suo libro. Il libro parla di guerre, della lotta del suo partito, è pieno di riflessioni filosofiche. L’ho letto con piacere, con comprensione. Perché è il libro di un uomo libero, cinico, bellissimo. A volte, siamo stati su diverse rive della stessa guerra, come in Abcasia. Il mio nemico Korchynsky mi leggerà. Se sopravvive, perché è ricercato dalle autorità ucraine. Anche io, per altro, dal marzo 1996.
Eduard Limonov
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L’Europa dorme
L’Europa dorme, e si sbaciucchia nel sonno, il pigiama si affloscia sulla sua carne corrosa, l’Europa dorme, la dama non è più una fanciulla, occhiali sul comodino, antenati appesi al muro…
Il tuo popolo di aborti è formato da orde germaniche, franchi, visigoti, angli, sassoni, sangue coagulato con alcool; con la forza, non tenevi sotto controllo soltanto la terra, ma tutti i mari.
Le piante sono annaffiate. Il pavimento è pulito, nessuna chiazza d’insetto sul soffitto e il fruscio dello stendardo vermiglio con la croce uncinata non disturba il denaro del vecchio disseccato.
Si è dimenticata di quanto fosse ubriaca, che è andata a letto coi fascisti, felice… (I nomi delle SS, non li ricordi? Eppure per loro hai spalancato le gambe) A mala pena ricorda di aver gridato Kaputt! Quando la guerra fu persa…
L’Europa dorme, ma i Turchi nella sala da tè in silenzio fino all’alba si accordano con gli arabi per partecipare alla guerra per portare la jihad a Berlino prima dell’estate…
La luna sopra l’Europa bianca, è come un simbolo di sventura, l’emblema della lotta: all’appello della guerra libica risponderà l’eco della guerra siriana… e i Turchi e gli Arabi, furiosamente, leggono il listino dei prezzi delle armi…
Europa, la vecchia troia, sta annusando, sul suo orecchio cade il cappuccio protestante, all’alba arriverà il compagno americano la inviterà a far guerra all’Iran.
Eduard Limonov
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