#però è troppo buono
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最近の食事~
(Pizza, homemade cheese dak galpi, sukiyaki)
#il cheese dak galpi è uno dei piatti coreani più buoni che potete mangiare a Tokyo#dico a Tokyo perché è una giapponesata spacciata per coreana#però è troppo buono#il sukiyaki invece è 100% giappo#ci schiaffi l'uovo sopra e magni col riso#tutto il set è costato 7€ circa#me sto a fa magnate stratosferiche sti giorni#cibo#magnare#dak galpi#sukiyaki#neapolitan pizza#pizza napoletana#Sorbillo
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forse sto abusando di caffè ginseng istantaneo
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IL CANALE DEL DOLORE
È un argomento molto difficile da trattare per me, anzi, lo era fino a oggi pomeriggio, quando sono riuscito a trovare una metafora per definire il mio stato d'animo... stavo guidando, ho tirato fuori una penna dalla borsa e mi sono scribacchiato sul polso il titolo che avete letto là in alto, giusto per non dimenticare l'immagine che mi era apparsa.
Non credo proprio di soffrire di depressione (non rispetto i criteri maggiori), magari qualcosa di più simile a una pseudo-ciclotimia ma, vedete, potrei anche sbagliarmi però ho come l'impressione che le persone dividano le loro esperienze in positive e negative: da una parte le cose che le hanno fatte stare bene e che, se perseguite, continuano a far stare bene e dall'altra quelle negative, esperite nel passato e da evitare nel futuro.
Sbaglio nel pensare questo? Me lo confermate?
Ecco... per me funziona in modo completamente differente.
Io ho vissuto esperienze e basta, se percepite poi positive o negative dipende dalla mia vicinanza al Canale del Dolore.
Prendete la mia gattina Minou, che ci è stata accanto per tanti anni, fin dalla nascita di Figlia Grande.
Se percorro la mia vita nel verde paesaggio del mondo posso ricordarne con gioia i bei momenti condivisi assieme - quando la allattavo minuscola e miagolante, quando dal tavolo ha rubato un pollo arrosto intero più grande di lei e quando Figlia Grande divideva con lei i biscotti plasmon sul seggiolone. Poi però imbocco il viale di ghiaia che costeggia il canale del dolore e comincio a provare nostalgia - le zampate di fango che ancora resistono sotto al davanzale della finestra da cui entrava, il collarino viola che sbuca fuori da un cassetto - e poi comincio a camminare sugli argini del canale, dove mi prende la tristezza del vuoto che ha lasciato, di come forse avrei dovuto accarezzarla di più, di come a volte la sogno e sono pieno di gioia che sia tornata ma poi mi sveglio con le guance umide.
E infine cado nel canale del dolore, dove riconosco le mie colpe e ciò che avrei potuto fare e non ho fatto.
Intendiamoci, non succede sempre e soprattutto non succede per ogni cosa che ho vissuto ma il cammino è sempre potenzialmente quello.
Per dire, ho vissuto cose estremamente negative e mi basta riuscire a stare lontano da quel canale, nel verde della foresta del mondo, per riuscire comunque a evocare un ricordo di quello che di bello sono riuscito a tirare comunque fuori da esse.
Vi dirò, forse il trucco è camminare sul bordo di quel viale di ghiaia, attingendo alla malinconia per farmi più consapevole del tempo che scorre in una sola direzione e nel contempo non rimpiangere mai troppo ciò che non è più...
Però la vita è faticosa e in quel canale giacciono troppi nomi e troppi istanti perché il mio passo sia sempre fermo e dritto.
E fa male che il dolore nel caderci dentro offuschi i bei ricordi.
Vabbe'... stasera va così ma sono sicuro che domani qualcuno mi confermerà che c'è davvero del buono in questo mondo e che è giusto combattere per questo, quindi tranquilli <3
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Molti mi definiscono “diversa”, io semplicemente, penso di essere “rara”; ho dei difetti, ne ho parecchi, ma ho anche dei pregi, forse pochi.
Sono una persona di cuore, lo sono troppo. Non do mai tanto quanto gli altri danno a me, se posso e se voglio do tutta la mia vita. E no, non me ne pento mai, se c’è una cosa che voglio lasciare dentro una persona è il mio bel ricordo. Amo lottare per chi penso possa valerne la pena, e non mi tiro indietro al primo problema, anzi, abberei muri e cancelli.
Lascio agli altri la libertà di farmi del male, non sono stupida e nemmeno una fifona, purtroppo vedo del buono anche nelle brutte persone provando a tirar fuori il loro meglio, vorrei davvero che le persone fossero come realmente le vedo io. Sono un’ingenua, basterebbe solo aprire un po’ di più gli occhi. Le brave persone, quelle che ti amano soprattutto, non ti farebbero mai lo sgambetto.
Sono testarda, quando mi impunto non c’è verso che io cambi idea, ho bisogno di sbattere contro un palo e di cadere 1000 volte, per far sì che ascolti i consigli degli altri. Non ho paura del giudizio altrui, anzi non mi tocca minimamente, ma voglio sbagliare e camminare con le mie gambe, voglio poter capire da sola quali sono le cose che ostacolano il mio cammino e non mi lasciano passare.
Sono impulsiva, maledettamente impulsiva. Se c’è qualcosa che odio sono le bugie e le doppie facce. Ho bisogno di dire tutto ciò che penso, non riesco a trattenermene una. A volte questo mio lato viene “condannato”, non a tutti piace la verità sbattuta in faccia, eppure penso si vivrebbe meglio. Viviamo in un mondo fatto di menzogne.
Odio il grigio, o è bianco o è nero, le mezze misure non mi piacciono. Quando chiudo una porta, butto via la chiave, non torno indietro, tendo a farmene una ragione sin da subito.
Sono la persona più paziente al mondo in assoluto, sopporto fino a quando non scoppio, ma quando mi incazzo non mi trattengo.
Sono una romanticona, mi piace l’amore, io amo l’amore. Odio le sdolcinatezze, non mi si addicono per niente (sono quasi una scaricatrice di porto). Preferisco il cinema alla discoteca, un film con una pizza piuttosto che una cena a lume di candele al ristorante. CHE IMBARAZZO!! Sono passionale, mi piace fare l’amore con la persona per la quale mi batte il cuore. Sono una sognatrice, mi piace immaginare cose che per la maggior parte delle volte non accadono, però mi fanno star bene, meglio di niente, no?
Mi chiudo a riccio quando non conosco qualcuno, sono sfiduciosa verso il genere umano, ma quando prendo confidenza divento logorroica e inizio a parlare di tutto il mio albero genealogico e della mia vita dalla mia prima parola.
Sono insicura, non sempre mi convincono le decisioni che prendo e spesso, tendo a cambiare idea facilmente anche mentre la sto cambiando, mi sento una pazza!!
Sono folle, mi piacciono le pazzie, d’amore...
Sono una persona gelosa, non morbosa ma controllata, so cosa è giusto e cosa è sbagliato, nei limiti.
Sono complicata, è vero, ma non chiedo né pretendo nulla da nessuno, sono questa PRENDERE O LASCIARE
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Se, riesci a mantenere la calma, quando tutti attorno a te la stanno perdendo;
Se sai avere fiducia in te stesso, quando tutti dubitano di te tenendo però nel giusto conto quei loro dubbi;
Se sai aspettare, senza stancarti d'aspettare o se calunniato, non rispondi con calunnie, o se odiato tu non dai spazio all'odio senza tuttavia sembrare troppo buono, nè parlare troppo da saggio;
Se sai sognare senza lasciare che i sogni siano poi i tuoi padroni;
Se riesci a pensare senza fare dei pensieri il tuo scopo, il tuo fine;
Se sai incontrarti con il successo e la sconfitta e trattare questi due impostori proprio allo stesso identico modo;
Se riesci a sopportare di sentire la verità che tu hai detto, distorta da imbroglioni che ne fanno una trappola per ingenui;
Se sai guardare con serenità alle cose e a quegli affetti distrutti e riuscire a ricostruirli tutti, con i tuoi strumenti ormai logori;
Se sai mettere insieme, tutte quelle tue vittorie e rischiarle poi in un solo colpo a testa e croce, perderle e ricominciare daccapo senza lasciarti sfuggire neanche una parola su quello che hai perso;
Se sai costringere il tuo cuore, i tuoi nervi, i tuoi polsi a sorreggerti anche dopo tanto tempo che non te li senti più e, cosi resistere, quando in te non c'è più nulla tranne la volontà che dice loro: "Resistete!";
Se sai parlare con i disonesti, senza per questo perdere la tua onestà oppure passeggiare con i Re senza perdere il comportamento normale;
Se non possono ferirti nè i nemici e nè gli amici troppo premurosi;
Se per te contano tutti gli uomini, ma nessuno troppo;
Se, riesci a riempire l'inesorabile minuto, dando valore ad ogni istante che passa, tua è la Terra e tutto ciò che vi è in essa e quel che più conta, tu sarai un Uomo!
lan ✍️
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Quanto siamo connessi con noi stessi e di conseguenza con gli altri? Siamo coscienti di quello che si muove nella mente, nelle emozioni, nel nostro sistema psichico?
Di ciò che muove i nostri comportamenti, e che poi influisce sugli altri? Ecco, la risposta riguarda appunto quanto il nostro mondo interiore influenza il mondo esteriore, attraverso le persone ovviamente, ma non solo, anche attraverso delle energie - perché noi siamo anche campi di energia, che influenzano altri campi di energia.
Ogni persona nasce come corpo; da bambini siamo corpi ed Essenza/Coscienza. Non c'è ancora la personalità, che si forma dai 6-7 anni in poi, e continua a formarsi più o meno per tutta la vita; il periodo più importante (la prima cristallizzazione di personalità) ce l'abbiamo intorno ai 7 anni, poi a 14, poi a 21 e a 28 - che sono le varie fasi evolutive più importanti della personalità.
Però noi siamo Essenza, mentre la personalità è un'acquisizione esteriore; per cui non nasciamo con la personalità, nasciamo con delle caratteristiche essenziali.
Possiamo anche dire che nasciamo già con una sorta di “personalità”, però questa personalità ce la portiamo dietro da infinite vite; oppure, se uno non accetta l'idea di infinite vite, possiamo dire che nasciamo già con delle caratteristiche, con delle potenzialità, con dei semi da poter sviluppare, con delle qualità da portare fuori.
Per cui non è proprio vero che si nasce come delle lavagne bianche, questo può valere per il cervello ma non per la parte interiore, non per la parte spirituale. In realtà siamo degli adulti in un corpo di neonati e tantissime nostre parti, tante nostre qualità (noi le chiamiamo qualità essenziali, vere qualità), richiedono un terreno adatto per potersi manifestare - terreno che dovrebbe essere la famiglia, nella misura in cui la famiglia riconosce chi siamo, cosa siamo e quali sono le nostre qualità.
La famiglia dovrebbe aiutarci a manifestare le nostre qualità e potenzialità essenziali, e a formare una vera personalità.
La personalità che si forma dovrebbe essere strettamente connessa con l'Essenza, con le qualità essenziali.
Questo però accade solo se la famiglia, i genitori o chi ci educa utilizzano un metodo socratico, e quindi aiutano il bambino o la bambina a portare fuori le sue caratteristiche e le sue qualità, aiutando i suoi semi a trovare un terreno buono per poter manifestare le sue caratteristiche reali.
È diverso invece quando la famiglia o chi ci educa non riesce a percepire cosa realmente siamo, le nostre capacità, abilità e potenzialità, ed è fin troppo preoccupato a educarci secondo gli standard familiari e collettivi.
Quindi ti dicono: “Devi essere così, devi fare questo, devi diventare quell'altro, devi essere un po' più così, un po' più cosà, ma non troppo…”, che va bene, ma se non si tiene conto anche delle vere caratteristiche, che cosa succede?
Che formeremo una personalità falsa, non vera, cioè totalmente autocostruita, che viene interamente dal di fuori, che non tiene conto di ciò che siamo dentro; ed ecco che avremo un conflitto tra essenza - ciò che noi siamo nel profondo - e la personalità che abbiamo formato in seno alla famiglia, ai parenti, alla scuola, a fratelli, sorelle, eccetera.
E questo crea un grosso problema, perché genera uno scollegamento tra la personalità esterna, quindi la falsa personalità (che non è noi, non è connessa a noi) e ciò che siamo dentro, la nostra essenza, che dovrebbe invece formare la vera personalità.
Questo è molto importante perché ci permette di capire che, nella misura in cui veniamo “educati” da mamma, da papà, dai nonni, dalla scuola, e nessuno di loro tiene conto di ciò che siamo dentro, ognuna delle persone che ci educa e ci dice delle cose su di noi formerà un io, una parte della falsa personalità, ognuna diversa dall'altra, perché nessuno tiene conto di ciò che siamo; per cui il papà si aspetterà che noi siamo così, così, così… la mamma si aspetterà questo, questo, quello… i fratelli maggiori, i nonni, gli insegnanti, gli educatori o tutte le persone della nostra vita, ognuno ci metterà un'etichetta, si aspetterà qualcosa da noi, vorrà che noi diventiamo più questo e meno quello etc.
Alla fine, crescendo, saremo sempre più scollegati da ciò che siamo in profondità e sempre più proiettati in una falsa personalità, che è a sua volta suddivisa in tante sub-personalità, ognuna sviluppata per soddisfare le aspettative di chi ci ha educato e ha grandi aspettative su di noi, (che potrebbero essere anche gli insegnanti, fino all'università).
E quindi noi non siamo uno, connessi, non abbiamo una sola personalità, ma abbiamo tante personalità che nel lavoro chiamiamo io divisi.
Questo è un problema che chiamiamo frammentazione: è come avere non un unico io, un'unica personalità e un'unica essenza, ma una multi-personalità che cambia a seconda di chi abbiamo davanti, in base a quello che evoca, e che dipende molto dall'educazione fino ai 28-30 anni.
Tutto questo non è assolutamente connesso con ciò che noi veramente siamo.
ROBERTO POTOCNIAK
Poi aggiungiamo a questo anche tutto il nostro vissuto, la nostra storia personale, le ferite, tutto quello che abbiamo vissuto - piaceri e dolori, abbandoni, tradimenti, problemi di licenziamenti, problemi con il lavoro, problemi di soldi, problemi con la famiglia… ed ecco che abbiamo, nella struttura di adulti, un'essenza totalmente circondata e bloccata da una storia personale spesso molto pesante, e uno spesso strato di personalità, sempre sulla difensiva - perché deve difendere la sofferenza che ci portiamo dietro nella storia personale. Nella storia personale c'è tutto quello che hai vissuto, soprattutto quello che ha creato ferite e sofferenza, dalla prima infanzia in poi. La personalità in qualche maniera tiene a bada la sofferenza e ti dà una facciata, una maschera, una serie di maschere, una serie di io e quindi una serie di maschere, che ti permettono di relazionarti con le persone.
Questo è per dare un accenno, perché in realtà c'è molta altra roba, ma intanto lavoriamo su questo. Quindi: quando entro in relazione con gli altri, devo sapere che ho una personalità frammentata, in cui ogni parte è diversa dall'altra; ho una storia personale molto spesso carica di dolore e sofferenza, e ho la mia piccola essenza, non sviluppata perché non è mai stata finita di sviluppare, che è bloccata all'interno e dalla quale sono praticamente disconnesso.
Quando entriamo in relazione dobbiamo tener conto che portiamo tutta questa roba all'interno della relazione. Qui non ho messo tutte le varie sfumature della storia personale, tutte le altre caratteristiche della personalità e dell'essenza - che non è per nulla sviluppata. Ma è come se fuori sembrassimo un adulto bello, fatto, finito, forte (oppure anche in crisi, non ha importanza), mentre all’interno c'è un mare di sofferenza e di problemi, e dentro, ancora più in profondità, c'è un bambino o bambina in panico, arrabbiato, arrabbiata, carica di paura ma anche piena di potenzialità, mai sviluppata, mai cresciuta, che aspetta di venire fuori.
E tutto questo poi, quando cominciamo a relazionarci con l'altro sesso - crescendo, soprattutto da adulti - tutto questo comincia a spingere, spingere, spingere... Si parte sempre dall'amore, dall'innamoramento, dall'amicizia, e poi nel tempo vengono fuori i disastri, perché ci relazioniamo solo dalla personalità frontale, che è più un insieme di maschere, senza tener conto della frammentazione della storia personale, delle ferite, della sofferenza e della nostra essenza bambina - che al minimo problema piange, scappa, protesta, proprio come un bambino di 5-6 anni anche se ne abbiamo 40, 50, 60.
E questo ci dovrebbe far riflettere sul perché, da dove arrivano tutte queste aspettative della relazione, da dove deriva la rabbia, la frustrazione, la delusione, come mai non riusciamo a ripartire puliti in una nuova relazione.
Roberto Potocniak
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Incontro
Subito è partito un abbraccio lungo. Quello che ho desiderato da tanto tempo. Quell'abbraccio che lui sempre ha voluto darmi.
"Bimba" - ho sentito vicino al mio orecchio - " è bellissimo, finalmente, avere la possibilità di toccarti"
"Posso dire lo stesso"
Sentivo il suo respiro sul mio collo. Poi un bacio leggero. Mi ha guardato e mi ha baciato la fronte. C'era molta tenerezza nel suo sguardo.
"Andiamo, facciamo un giro. Spero che non sia molto stanco dopo il viaggio "
"Portami tu. Qui sei di casa. E no, non sono stanco. Soprattutto dopo averti vista."
Mi ha sorriso. Mi piace quando lo fa. Mi fa sentire bene e spensierata.
Le strade del centro storico erano piene di persone che volevano approfittare di quella bella giornata di maggio. Si sentiva il rumore delle onde dietro il muro antico. Nell'aria si sentiva l'odore dell'estate che stava per cominciare. Mi ha seguito tra la gente tenendomi per mano. Ci siamo fermati vicino alla gelateria in una piazzetta.
"Io cioccolato e pistacchio. E tu che gusti prendi?"
"Menta. Prendo solo questo."
La panchina era calda e il gelato troppo buono. Mi ha guardato attentamente come se stesse decidendo cosa fare o cosa dire. E poi la sua mano è partita verso le mie labbra per pulirle dal gelato che era rimasto. Ha leccato il pollice.
"Sinceramente volevo pulirti le labbra con la mia lingua però ho pensato che sarebbe stato inappropriato con tutta questa gente in giro"
"Lo farai dopo"
Abbiamo preso la strada verso il b&b che aveva prenotato per questi tre giorni. La camera era molto carina e accogliente. Con le persiane che fanno entrare quel poco di luce che serve per vedere bene l'altra persona.
"Vieni qui. Fatti baciare."
Ha messo le sue mani sulle mie guance. Mi ha baciato dolcemente ma la mia risposta era più passionale e la sua lingua è entrata nella mia bocca. Mi stringevo a lui e sentivo le sue mani esplorare il mio corpo.
"Voglio vedere la mia bimba godere. Voglio sentirti gemere"
"Voglio godere con te "
Tutto quel tempo di attesa mi aveva fatto crescere la voglia. Volevo le sue mani, la sua bocca e il suo sguardo addosso a me. Volevo, finalmente, fargli sentire come riesce a farmi godere. Mi ha tolto la maglietta continuando a baciarmi il collo.
"Hai un seno bellissimo. Voglio tuffarmici dentro"
"Fallo"
Con un gesto ho accompagnato la sua testa verso il seno ancora con il reggiseno. Lo ha afferrato con le mani toccando i miei capezzoli duri. Stuzzicarli. Ho chiuso gli occhi. Sentivo soltanto come mi apre il reggiseno e lo toglie. Come lecca e poi succhia il mio capezzolo. Prima uno e poi l'altro. Fino a farmi male. Mi ha baciato di nuovo. Ho messo la mano sopra i suoi pantaloni.
"Come sei duro"
"Mi ecciti da morire"
Ci siamo spogliati rimanendo solo con le mutande.
"Voglio che ti stendi sul letto "
Obbediente, sono andata verso il letto e mi sono sdraiata sulla schiena. Si è avvicinato. Mi ha guardato. E si è sdraiato vicino a me. Le sue mani esploravano il mio corpo caldo e eccitato. Le labbra baciavano ogni parte che potevano raggiungere sentendo giù. Ogni tanto tornava su per baciarmi le labbra. Accarezzavo la sua testa.
"Voglio sentire come sei bagnata "
Ha spostato le mie mutandine e ha messo le sue dita tra le labbra bagnate. Non ho potuto trattenere un gemito. Era bello sentire le sue dita mentre mi guardava.
"Che brava bimba"
Con queste parole mi ha tolto le mutande e allargato le mie gambe mettendosi in mezzo. Mi sono alzata un po' per guardarlo. Guardavo come mi baciava e leccava il mio interno coscia avvicinandosi alla fica. Le dita stuzzicavano il mio clitoride. Sentivo la lingua calda sulle labbra che affondava. La bocca che succhiava il clitoride. Voleva sentirmi gemere sempre di più e ha messo due dita dentro. Piano. Dentro e fuori. Con la lingua sul clitoride e l'altra mano che mi stringeva il seno. Mi faceva impazzire. Avevo tanta voglia.
"Ti voglio dentro di me"
"Prima la mia bimba deve venire e poi potrà avere il resto."
Ha continuato a leccarmi aumentando la velocità con le dita e la lingua. Dandomi qualche schiaffo sul clitoride fradicio. Non riuscivo più a resistere. Ho spinto la sua testa su di me, subito prima che il mio corpo cominciasse a tremare. Ho stretto le lenzuola con le mani. Questa volta potevo dire il suo nome ad alta voce mentre stavo venendo.
"Sei bellissima quando vieni. Bel visino soddisfatto "
"Mi hai fatto impazzire "
Mi ha baciato e ho sentito il mio sapore dalle sue labbra.
"Mettilo dentro. Ti prego."
Mi sentivo ancora tremare dopo questo orgasmo intenso.
"Lo vuoi dentro? Dimmelo bimba. Voglio sentire."
" Voglio il tuo cazzo dentro. Voglio che mi fai gridare."
Ha tolto le mutande e appoggiato la punta sul clitoride. Lo ha bagnato e spinto dentro. Una sensazione stupenda. Un gemito ancora, forte. Mi ha stretto la testa tra le mani mentre spingeva tutto dentro. Piano. Il suo respiro si è fatto pesante e i miei gemiti aumentavano. L'ho baciato.
Il suo cazzo mi faceva impazzire. Ho sorriso, mordendomi le labbra.
"È bello vederti sorridere. Come in quel video. Però adesso sorridi a me. Sei mia."
"Si..."
Sempre più veloce, più forte. Il mio seno si muoveva e lui lo afferrava con la mano, mordendomi la spalla. Mi guardava, guardava come godevo. Come ogni movimento mi faceva gemere sempre più forte.
"Girati. Mettiti sulle ginocchia."
Ho fatto come mi ha detto e la prima cosa che ho sentito è stato un schiaffo forte sul mio culo che mi ha fatto un gridare. Poi un altro. Mi ha preso per i fianchi per farmi avvicinare a lui. Un bacio su ogni natica. Ha strofinato il suo cazzo sulle mie labbra bagnate prima di metterlo dentro. Ha preso le mie mani e le ha bloccate dietro la schiena. La mia faccia schiacciata sul cuscino. Altri schiaffi e subito dopo un movimento veloce che mi ha fatto gridare. Usava le mie mani come una leva per sbattermi ancora più forte. Poi si è fermato. Ha baciato la mia schiena.
"Guardami"
Mi sono girata verso di lui. Un colpo forte. Poi un altro. E un altro ancora.
"Sei troppo bella per stare in silenzio "
"Allora fammi gridare!"
Ha ricominciato con il movimento veloce. Dentro e fuori. Il contatto visivo mi eccitava sempre di più. Sculacciate, il suo modo di chiamarmi "bimba", il suo cazzo dentro di me. Avevo voglia di tutto questo. Di lui e di noi insieme in questa stanza.
" Ti dispiace se vengo dentro?"
"Non mi dispiace "
"Allora te la riempio "
Vedevo che non riusciva più a resistere. I suoi gemiti più forti e il cazzo che pulsava dentro di me. Lo ha tirato fuori e istintivamente mi sono girata per pulirlo e succhiarlo un po'. Mi ha tirato su e ci siamo baciati.
"Adesso mettiti come prima"
Mi sono rimessa nella stessa posizione e ho sentito la sua lingua a leccarmi da dietro. Succhiare i nostri umori mischiati. E farmi venire di nuovo.
Dopo si è messo vicino a me.
"È bellissimo vederti venire"
"È bellissimo venire per te"
"È stata una decisione giusta venire a trovarti!"
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Questo è quello che puoi comprare con la carta "dedicata a te". Io immagino il ministro e i suoi collaboratori che si siedono attorno a un tavolo e decidono cosa possano o non possano acquistare i poveri.
- Ce la mettiamo la cioccolata?
- La cioccolata.... mh... Fa ingrassare. Io direi di no.
- Però è così buona! Non lo so: lei che dice signor Ministro?
- Ma sì, siamo generosi!!! Che poi dicono che siamo cattivi, che non vogliamo la felicità delle persone, e poi pensiamo anche ai bambini: io dico sì alla cioccolata!!!
Applauso di tutti i sottosegretari: "Lei è troppo buono Ministro!!!!" "Bravo Ministro, bravo, generoso e democratico!!!" "Viva il Signor Ministro e viva la cioccolata!!!"
Una scena talmente grottesca che nemmeno Elio Petri sotto allucinogeni avrebbe potuto immaginare: lo stato etico/alimentare. Siamo in mano a dei pazzi pericolosi!
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Sentitevi libere di diffidare delle altre donne.
Le donne migliori che conosco, sono alquanto scettiche nei confronti delle altre donne. Critiche, diffidenti, disinteressate a cercare un vero contatto. Le conoscono bene, e sanno quello che ci si può aspettare. Il loro non è un odio, non avrebbe senso, e da persone intelligenti le squalificherebbe. Ogni essere umano è a se stante, sempre, e pertanto generalizzazioni assolute non se ne possono mai fare. Questa è una regola aurea. No, loro semplicemente sanno chi hanno di fronte (a parte eccezioni, appunto). Paradossalmente, una persona superficiale dall’esterno potrebbe dire che sono più misogine di me. Con la differenza, però, che io misogino non lo sono. Sono solo estremamente critico, sia nei confronti delle donne, che degli uomini (soprattutto per quanto mi riguarda personalmente). Quello che voglio dire, è che le donne che disprezzano le altre donne le comprendo benissimo. A patto che non sia per invidia, perché la questione lì cambia radicalmente. No, dico solo che secondo me è normale, quasi auspicabile in una parabola ideale, che le donne abbiano delle forti rimostranze nei riguardi delle altre posseditrici della vagina. Sto facendo un discorso molto concettuale, ideologico se vogliamo. Quando trovo un tallone d’Achille del mondo femminile, parlo con queste donne e trovo un riscontro. È quasi un conforto, se vogliamo. So che con loro posso confrontarmi senza peli sulla lingua, dicendo quello che penso. E solo se avrò ragione, allora ci sarà un compiacimento. Ma non è necessario, non è scontato. Ci si confronta e basta, in serenità. Però lo ammetto, che una ragazza che si esprime in modo duro (e non necessariamente volgare) nei confronti di un’altra, mi smuove qualcosa dentro. Nel senso che mi fa sentire meno sbagliato, mi fa capire che non sono matto, ma solamente attento alle dinamiche umane. Anzi, il paradosso è che spesso sono più io a delineare pregi e caratteristiche positive, piuttosto che loro. Sono io a cercare il buono che loro non sempre vedono. Perché dobbiamo dirlo, dai: mica è tutto brutto e terribile, assolutamente. Ci sono difetti, ma anche qualità nascoste. Bisogna solo farle venire fuori, quando le si possiedono. Io penso che il problema vero del mondo femminile, sia un timore nell’andare fino in fondo. Per ipocrisia, per immaturità, per finzione. Non tutto è deprecabile, assolutamente. Ma serve più verità. Serve più testa, e meno corpo. Serve una profondità di pensiero che, ahimé, troppo raramente riscontro. E logicamente (senza ironia), la colpa è ovviamente di noi uomini. Che troppo spesso rincorriamo in maniera infantile e animalesca ideali di donna sbagliati, che vengono quindi esaltati anziché soffocati dall’oblio. Siamo noi la causa di tutti i problemi che riguardano le donne, perché tutto è partito e a tutt’oggi parte ancora da noi. Un giorno, auspico, ci sarà un risveglio collettivo. E si riprenderà in mano il destino delle sorti del mondo. In modo assolutamente serio, maturo, lungimirante. Verso cose più grandi.
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Actually, second time's the charm: Fantastic Parasuicides e The World of Us
Trovo abbastanza buffo che nel primo consiglio dedicato ai film io mi sia prodigata nello specificare che si tratta della forma di narrativa per cui ho i gusti più mainstream di tutti, che conosco poco del linguaggio del cinema e che dunque vedrete pochi post a tema ecc ecc., per poi finire a scrivere due dei quattro articoli di quest’anno su dei film... D’altra parte non ho mai preteso di essere una persona coerente. Mi rendo conto che mi mancano delle basi importanti per parlare di cinematografia in maniera completa e interessante, ma d’altra parte ci tengo talmente tanto a questa segnalazione, visto che mi permette (finalmente!) di parlare di cinema che mi è davvero tanto caro, che preferisco mettere in piedi un consiglio un po’ didascalico e poco brillante ma che potrebbe permettere a qualcuno di muovere i primi passi del cinema coreano meno famoso. Proprio così, è un sacrificio bello e buono quello che faccio, ma d'altronde ho invece la pretesa di essere una persona altruista, tipo uh... scrivendo articoli che mi divertono sul mio blog personale? No?
Giustificazioni non richieste a parte, ci tengo a fare questa segnalazione perché se negli ultimi anni il cinema della Corea del Sud ha ricevuto rinnovate attenzioni e interesse anche da parte della stampa generalista, il tipo di film che arrivano ai giornali, alle testate cinematografiche più popolari o ai portali di aggregazione di recensioni sono spesso e volentieri un po’ monotematici – insomma, quando si parla di cinema dalla Corea o si parla di horror o si parla di thriller. Mi sento di dire tutto sommato anche a ragione: i thriller coreani fanno spesso e volentieri le scarpe a quelli anglofoni per qualità della recitazione, intreccio e sequenze d’azione (guardatevi The Chase, The City of Violence o perché no, A Bittersweet Life e poi ne riparliamo) e non c’è dubbio che la popolarità di Parasite renda più facile che sia questo tipo di titoli ad essere distribuito dignitosamente anche in occidente. Sarebbe però estremamente scorretto – e piuttosto razzista – pensare che allontanandosi da questi generi e da qualche grande Regista-Camaleontico-con-la-R-e-la-C-maiuscole (Kim Ki-duk, Lee Chang-dong ecc.) la Corea abbia poco o nulla da offrire. Dunque per le segnalazioni di oggi mi sembra giusto presentarvi due film relativamente atipici se paragonati ai titoli che hanno avuto più fortuna presso la distribuzione nostrana: Fantastic Parasuicides e The World of Us, completamente differenti come struttura, intreccio e tematiche ma entrambi assai competenti in quello che si propongono di fare.
Fantastic Parasuicides
Il primo film del consiglietto di oggi è in realtà una raccolta di corti, ciascuno girato da un regista diverso, a tema, beh... para-suicidi fantastici. Para- perché come potrete immediatamente notare già dal primo corto, ciascuno dei protagonisti incontrerà più difficoltà del previsto nel tentare di togliersi la vita, e fantastici perché ciò che capiterà nel corso di questi tentativi difficilmente potrà essere descritto in altro modo; dalle situazioni apertamente sovrannaturali fino a quelle semplicemente bizzarre, ciascuno dei corti sceglierà un angolazione diversa da cui esplorare che cosa passa per la mente di una persona che vuole morire e che cosa può succedere attorno a lei per farle cambiare idea.
Il poster non mi dispiace, ma forse è solo perché ho un debole per questa palette.
Tra i tre, il primo corto è quello che adotta la prospettiva più surreale e votata allo strambo per il gusto dello strambo: la protagonista è una studentessa che dopo essersi presentata troppo in ritardo per sostenere un esame decide di buttarsi dal tetto della scuola; anziché morire, però, si risveglia in una realtà simile alla nostra, ma che si rivelerà lungo lo snodarsi della vicenda decisamente più peculiare. Come accennavo, il suicidio in questo corto è poco più che un pretesto per dare inizio alle avventure carrolliane in cui la protagonista sarà impantanata per tutta la durata della storia: non c’è alcuna pretesa di parlare delle modalità e delle motivazioni dietro al gesto che vadano oltre al pretesto di trama o alla stucchevole banalità del finale. Il film è però piuttosto conscio di questa superficialità, poiché il fascino del corto risiede nel domandarsi ad ogni momento quanto la situazione potrà ancora farsi più assurda: da un ragazzo con una bomba nella macchina ad un insegnante paranoico, passando per una serie atroce di effetti speciali che verso il finale diventeranno alquanto buffi, il motivo principe per completare la visione di questa prima parte del film sta proprio nella sequenza onirica in cui la protagonista verrà sballottata. Di certo il corto più debole di questa raccolta, ma ugualmente divertente se si ha un certo gusto per il surreale a basso budget.
Il secondo corto, intitolato Fly Chicken, sceglie modalità più sobrie (ma non per questo meno peculiari) per esplorare il tema della raccolta. La premessa infatti è quella di un agente segreto che trova rifugio in una casa sul mare, dove inizia a pianificare il suo suicidio per sfuggire al suo terribile passato; in teoria tutto ciò che deve fare è premere il grilletto, ma una serie di eventi bizzarri ritardano il momento fatidico. E con “una serie di eventi bizzarri” mi riferisco principalmente al pollo che compare in riva al mare, con cui il nostro protagonista avrà una serie di dialoghi intensi e drammatici, appropriatamente sottotitolati in coreano e in inglese vista l'impossibilità dell'uccello di esprimersi in lingua umana. Il contrasto tra la serietà dei momenti in cui l’agente segreto rimane da solo a confrontarsi con gli oscuri meandri della sua psiche, e quelli in cui interagisce con il pennuto nel tentativo di aiutarlo a liberarsi dalla rete in cui è invischiato suscita una certa ilarità – anche se il regista è molto bravo a mantenere una certa serietà e tensione circa il destino finale del protagonista, camminando sulla linea sottile che separa la commedia nera dal dramma; complice anche la durata ridotta, questo tono ibrido e l’azzeccata scelta di ridurre i dialoghi all’osso – le uniche interazioni verbali saranno proprio quelle con la gallina – permettono allo spettatore di lasciarsi catturare da quest’atmosfera così peculiare fino ad un finale ambiguo ma abbastanza spiazzante da risultare una degna conclusione del film.
Come vedete non mento mai. Solo segnalazioni di qualità su questo blog.
Ok, arrivati al terzo corto – che è, per inciso, di gran lunga il migliore nonché il mio preferito della raccolta – mi sento di specificare che il mio punto debole quando leggo/guardo/ascolto fiction sono i vecchi tristi. Potrete sparare tranquillamente ad una dozzina di bambini senza vedermi battere ciglio (… sì, dicevo, nella fiction), ma mostratemi un signore anziano che mangia una minestrina patetica nel suo appartamento vuoto e sarò costretta a tastare se sul comodino sono rimasti dei fazzoletti con cui asciugarmi il moccio che mi starà già colando giù per il naso. Dunque partivo già disposta ad accogliere come si deve questo corto su un anziano signore che un giorno si sveglia e si rende conto che nessuno si ricorda più che è il suo compleanno. Non il partner – morto anni prima – e non i pochi amici che gli sono rimasti; messo di fronte alla desolazione e alla noia in cui si consumano le sue giornate, il protagonista decide che è arrivato il momento di lasciarsi la vita alle spalle, e decide di sdraiarsi sulle rotaie in attesa del treno poco distante dalla città in cui abita. Piano che viene scombussolato dalla presenza di un’altra persona sulle rotaie, che sembra ugualmente in pericolo ma meno desiderosa di morire… Quale miglior occasione per dare un senso alla propria vita prima di compiere l’estremo gesto? A partire da questo inizio si dipanerà un intreccio rocambolesco che tiene con il fiato sospeso fino alla fine: proprio perché il corto è così abile nel farci provare empatia nei confronti del nostro anziano protagonista ogni minuto sarà speso a “tifare” per lui, oltre che a domandarci che cosa succederà: innanzitutto, riuscirà a salvare dai gangster che lo inseguono il giovane incontrato sulle rotaie? E secondariamente, riuscirà a farlo senza divenire lui stesso una vittima o rimarrà rassegnato fino alla fine all'idea del suicidio?
A questa storia appassionante si aggiunge anche un finale davvero brillante: un paio di colpi di scena perfettamente giustificati anche all’interno di un corto così breve, e l’abilità del regista di dosare le rivelazioni sul passato e sul presente nei momenti più opportuni, permettono a questo film di finire meglio di come è iniziato – e non era un’impresa facile. Emozionante, divertente e capace di suscitare genuina preoccupazione per le sorti dei personaggi coinvolti, si tratta del corto migliore della raccolta e quello che permette a Fantastic Parasuicides di fare un decisivo salto di qualità. Se siete ancora indecisi se dare una possibilità all'intero film, vi consiglio di guardare almeno questo.
Sì, il ragazzo necessita di una mano. Immaginatevelo un po' come il povero Jessie Pinkman ma senza la dipendenza.
The World of Us
Nel momento in cui ho iniziato a buttare giù la struttura della recensione mi sono resa conto di quanto The World of Us risultasse un’anomalia rispetto al genere di storia di cui parlo di solito sul blog. Si tratta infatti di una vicenda senza alcuna traccia di fantastico, incentrata sul rapporto tra due bambine alla fine delle elementari che fanno amicizia nel corso di un’estate e che vedono il loro rapporto messo a dura prova al ritorno sui banchi di scuola. Sembra un genere di storia lontanissimo sia dalle mie corde sia da quello che scelgo di recensire su questo spazio, ma la verità è che il film è riuscito a colpirmi per la precisione mimetica con cui dipinge quel tipo di amicizie intense che si formano tra giovani emarginati, senza per questo idealizzarle o spogliarle dei loro lati più vulnerabili e crudeli (oltre ad essere del tutto sconosciuto al grande pubblico); dunque ho deciso che meritava uno spazio su questo blog, nonostante si tratti di un film che lavora per tutto il tempo con archetipi più che consolidati e che abbia ben poco di stravagante o bizzarro.
Già dalla locandina è facile capire quale sarà la palette del film,
Sun è un bambina che frequenta gli ultimi anni delle elementari, ed è molto sola. A scuola è presa di mira dalle compagne e non ha nemmeno un’amica con cui passare del tempo assieme durante l’intervallo; quando torna a casa si trova a dover curare il pestifero fratellino, a cui sua madre presta molte più attenzioni di quante non ne abbia mai prestate a lei, mentre suo padre beve troppo spesso e quando beve diventa sgradevole. Quindi quando durante la pausa estiva incontra per caso Jia, una ragazzina appena trasferitasi da un’altra scuola che non conosce ancora nessuno, Sun decide che dovrà fare di tutto per conquistarla: il suo piano funziona a meraviglia, ma quando le due bambine tornano a scuola per l’ultimo anno iniziano i problemi… Ecco, leggendo questo rapido riassunto penso che la maggior parte di voi non avranno difficoltà ad immaginare che cosa succede in questo film. L’intera storia si muove infatti su strade ben tracciate e soffre di un certo disinteresse a parlare di temi come il bullismo, l’isolamento e l’amicizia intensa e totalizzante dei bambini in maniere meno convenzionali rispetto agli archetipi già visti e rivisti nella fiction. Quello che distingue questa pellicola dai suddetti archetipi (la cui visione mi è onestamente di solito indigesta) è la qualità della scrittura dei personaggi e la bravura di tutte le interpreti.
Per elaborare il secondo punto, le due attrici principali sono molto naturali nel loro ruolo; è difficile trovare attrici o attori così giovani con una certa abilità (come penso dimostri bene il film recensito nello scorso consiglio), ma entrambe sono bravissime nel rendere ciascuna sfumatura del proprio personaggio. Sun desidera disperatamente piacere a qualcuno, tanto che in ogni scena ogni suo movimento, dall’imbarazzo con cui si muove vicino ad altri fino al suo prodigarsi in mille gesti fin troppo gentili, tradisce la necessità di sembrare piacevole, disponibile, amabile: l’amica perfetta; di contro, Jia appare assai più sicura di sé – eppure anche Jia nasconde più di un segreto, e la sua incapacità di affrontare la solitudine avrà conseguenze molto crudeli. Insomma, la regista Yoon Ga-eun è al suo meglio quando si tratta di rendere con accuratezza le mille sfumature di un’amicizia così ricca di fragilità, tra un’emarginata disposta a smussare ogni lato potenzialmente sgradevole della sua personalità per scappare dalla sua solitudine e una bambina spavalda che nasconde i propri difetti e la propria codardia dietro una facciata cool e patinata.
tipregoamamitipregotipregoTIPREGO – il monologo interiore di Sun in ogni momento del film.
Entrambe le protagoniste – e anche il gruppo di bulle che rende la vita impossibile a Sun – interagiscono poi su uno sfondo molto abile nel riprodurre con mimetica precisione le attività e i giochi più comuni a quell’età: la telecamera indugia spesso sulle unghie dipinte (ma anche nude, scheggiate e morsicate) delle protagoniste, o sul telefono pieno di giochi, sulle matite colorate di marca e così via. In senso più ampio, si tratta di un film che non avrebbe affatto stonato inserito nel mio post precedente: l’atmosfera estiva che permea la maggior parte del film è costruita grazie alle strade semideserte, ai parchi abbandonati dagli studenti in vacanza, ai colori pastello desaturati in cui è avvolta tutta la pellicola. Sono rimasta piuttosto impressionata dall’abilità della regista di catturare quelle sensazioni specifiche che si provano durante la pausa estiva quando si è bambini, nonché di ancorarle ad elementi fisici così azzeccati.
Ammetto di essere ancora incerta su quanto mi siano piaciute le battute finali di questo film, che forse soffrono di una certa convenzionalità, ma mi sento di dire che per la maggior parte del film Yoon evita di cadere in facili buonismi sulla natura dei bambini e su quanto siano più “puri” degli adulti; trovo che ciò sia vero anche sul finale, anche se non faticherei a capire il punto di vista di chi si sarebbe aspettato qualcosa di più radicale e meno vicino ai canoni del genere. In ogni caso, se il tema non vi repelle istintivamente consiglio caldamente la visione! Non sono molti i film che parlano di bullismo che riescono a non farmi alzare gli occhi al cielo durante la visione, ma questo c’è riuscito.
Il fratellino di Sun è adorabile, nonostante sia una peste. Devono essere le guanciotte.
Anche la segnalazione di oggi giunge al termine: sono assai soddisfatta di aver potuto finalmente dedicare un intero post al mio amato cinema coreano, peraltro segnalando titoli un po’ lontani anche dal “suo” mainstream. E dico così perché so quanto siano irreperibili i due titoli segnalati: se aveste difficoltà a recuperarli non esitate a mandarmi un messaggio sul blog e vedrò di farvi avere il materiale necessario. Dunque spero vivamente che almeno uno di questi film abbia catturato la vostra attenzione – e davvero, se seguite questo blog per il bizzarro non potete non dare una chance a Fantastic Parasuicides.
#ita#movie#fantastic parasuicides#the world of us#sung-ho kim#chang-ho cho#soo-young park#yoon ga-eun#recensione
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Ieri sera mi sono scopato Lucia.
- Ma dici sul serio?
- Siii! Era fuori, cioè fuorissima!
Cadeva da tutte le parti e continuava a dire che voleva andare a casa. Allora io le ho detto "guarda, qua c'è casa mia", e così è salita su.
- Cazzo che storia! Che culo! E… scopa bene o… Allora?
- Beh, era proprio fusa. Stamattina non si ricordava niente. Però oh... me la sono scopata tre volte. Cioè... Ho fatto quello che mi andava eh eh…
- E stamattina? Te la sei scopata ancora?
- Ma va! Quella se è lucida mica ci scopa con me.
Ma che gran figa… Oh, appena s'è svegliata, quando ha visto dov'era, è scappata via, moriva dalla vergogna!
- E le tette? Come sono?
- sta buono, che ho fatto le foto, era talmente andata che neanche se n'è accorta! Adesso te le mando…
- Manda! Manda! Che figata!
La maggior parte delle violenze non sono commesse da un tipo col passamontagna che aspetta dietro l'angolo.
Sono attuate da una persona conosciuta,
e in questo dialogo che ho appena descritto ci troviamo con tre protagonisti.
Un violentatore, una donna violentata e un complice.
E la cosa più strana di tutte è che di sicuro nessuno dei tre pensa che quello che è successo si chiama VIOLENZA, ma che sia un qualcosa accaduto ad una festa. Cose da "messi male", cose di una notte da sballo.
E la cosa più normale è che le persone che leggeranno questo penseranno che la colpa sia di Lucia, che non è stata in grado di prendersi cura di sé, di aver bevuto troppo.
Quando ho scritto queste cose i commenti non son tardati ad arrivare. Commenti in cui si scriveva che una ragazza non dovrebbe ubriacarsi, perché poi succede quel che succede.
Allora: immaginate che Lucia stanotte non beva. Si stanca della festa e decida di prendere un taxi che la lasci sotto casa e quando è al portone arriva un tipo, la butta dentro e la violenta. Ma se non beve e prende un taxi qualcuno dirà che Lucia non dovrebbe andare in giro a certe ore della notte.
Immaginate che neanche questo fa. Un pomeriggio esce a correre da sola in un parco. E uno la violenta. E ci sarà gente che dirà che doveva fare più attenzione. Non si esce a correre da sole.
Immaginatevi che non beve, non va in giro di notte, nemmeno esce a correre.
Ma ha un fidanzato, che una notte vuole scopare e lei no. Avete capito come va a finire.
Ehhhh… Allora qualcuno dirà che dovrebbe scegliere meglio i suoi fidanzati.
Il problema non è Lucia, quello che lei fa o smette di fare.
Il problema è il patriarcato.
Il problema è il maschilismo.
E finché tutti non avremo ben chiaro questo, non termineremo mai con questa cosa.
Lucia porta sulle spalle uno zaino pieno di colpe e vergogna: "Non dovevo bere tanto…
Mi fidavo di lui… La colpa è mia per non essere andata a casa prima… etc... etc"
Lucia ha bisogno che le dicano che la colpa di una violenza non è dell'alcool, ne di andare in giro sola, né di vestirsi in un modo o nell'altro, né di uscire la notte.
Lucia ha bisogno di avere chiaro che la colpa di una violenza è di colui che la commette e che lei è una donna LIBERA.
La società deve toglierle questo zaino e metterlo addosso a chi lo dovrebbe portare invece di caricarla come sempre, ancora di merda, che già abbastanza se ne porta addosso.
Dal web
Photo Daniele Deriu
#Noallaviolenza
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La nuova casetta in provincia di Bergamo è buttata in una valle in mezzo alle montagne: apri la finestra e puoi fare lo yodel, la gente giù nella zona residenziale ti sentirà e risponderà a pieni polmoni. È grande e luminosa ed io mi sento già scomparire in mezzo a tutta quella luce. I mobili sono brutti, c'è troppo legno e sento l'odore di vecchio già a guardare le foto, ma c'è un orologio a pendolo che mi piace: mi ricorda l'orologio che vedevo a casa della mia prozia, il ticchettio costante e l'oscillazione ipnotizzante del pendolo e il brusco risveglio dall'ipnosi dato dal suono che faceva ogni tot. Mi vedo girare scalza per la casa silenziosa, quando non c'è nessuno, e guardarmi intorno dicendomi: forse ho esagerato quando dicevo che mi sarei rintanata in una casa sul cocuzzolo di una montagna. Certo che, se ci penso, passare dal mare alla montagna è veramente radicale come scelta, mi sorprendevo l'anno scorso quando mi giravo intorno a vedevo solo montagne quando io ho sempre visto solo mare acqua e spiaggia. Saranno solo un paio di mesi – chissàchissà – ma quella casa già è mia: immagino librerie lungo tutte le pareti nel salone, un tavolinetto con un paio di sedie sul balcone; angolo ufficio e angolo trucchi nella camera da letto, cameretta adibita a stanza per il computer; planetaria, macchinette per il caffè, forno, forno a microonde in cucina, col bancone per preparare il cibo separato dai fuochi e dal lavello; vedo tanti tappeti per la casa e me che lavo a terra perché tra tutte le faccende domestiche che in generale odio e schifo lavare a terra è l'unica che mi rilassa e mi diverte. Il padrone di casa dice che c'è un cane lì nel cortile, dice che non entra mai in casa e che è una pecorella talmente è buono, allora mi immagino che torno da lavoro io che apro il cancello e vedo un cane pastore grosso e mansueto battermi la coda e farmi le feste. Sono pensieri felici, forse un po' illusi, mi sembra quando da bambina mi mettevo a fantasticare robe talmente assurde che sembravano reali e fattibili. Ma a far venire i pensieri intrusivi ci vuole un attimo, d'altronde da piccola le mie fantasticherie venivano in poco tempo buttate giù ed infangate: i primi tempi mi sa dalle persone a me vicine, in poco tempo poi imparai a farlo da sola. Ad esempio, se mi fermo un attimo, penso che mi fa paura questo cambiamento: temo di rimanere sola abbandonata a me stessa e di non sapermi gestire. Questo perché questa notte ho sognato letteralmente di impazzire: avevo gli occhi furiosi, un odio che partiva dal petto e saliva in gola, gridavo ma di un grido grosso e feroce, mi sentivo quasi posseduta come quella volta che gridai nel sonno terrorizzata perché mi sentivo posseduta. In questi giorni poi sono tornata a fare sogni nervosi, dove litigo con la gente, addirittura con dei miei ex colleghi della pizzeria coi quali invece non ho mai avuto problemi. Guardo le mie reazioni inconsce e mi spavento all'idea di rimanere da sola in un posto così lontano. Però guardo anche le foto, vedo tutta quella luce e penso che sarà ottima per fare le foto e allora penso che mi servirà un cavalletto e altre cianfrusaglie varie. Chissà, magari un giorno realizzerò anche il sogno di mio padre di avere un telescopio. Intanto però mi dico che: se passati questi due mesi sarò costretta a ritornare giù al sud, sarà la volta buona che impazzirò definitivamente.
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L’immagine che molti si sono fatti di Carlos (egoista e a cui non frega niente della squadra e di Charles) è secondo me il risultato dell’immagine che lui cerca di far passare di sé ma che non rispecchia come sia veramente. Partiamo dal presupposto che secondo me ha una famiglia tanto ingombrante alle spalle, soprattutto il padre, che lui cerca in tutti i modi di rendere orgoglioso (Alexa play daddy issues by the neighbourhood), quindi spesso si comporta o parla in un certo modo (soprattutto con la stampa spagnola) perché non vuole far passare l’immagine di quello “debole” e che non ha la stoffa per diventare campione del mondo, soprattutto agli occhi del padre. Di fondo secondo me Carlos è un ragazzo molto insicuro ma allo stesso tempo tanto buono e dolce, che però non sono attributi che ti faranno mai vincere a questi livelli, come ha detto anche lui in un’intervista parlando degli insegnamenti che gli ha impartito il padre da piccolo (il fatto di dover essere il cacciatore e non la preda ecc. ecc.), quindi cerca di compensare in qualche modo con quest’immagine che si è costruito e che appunto è ormai il modo in cui viene percepito da molti
assolutamente concordo con tutto!!!
in questo devo dire che carlos mi ricorda molto kimi, tutti e due fanno passare ai media un’immagine di se che non è propriamente vera, infatti fuori sono completamente diversi da come molti pensano che siano
carlos è sicuramente insicuro (cosa di cui avevo parlato anche in precedenza se non sbaglio) a causa della grande pressione della famiglia e soprattutto del padre, che vorrebbe categoricamente che lui diventasse campione (probabilmente sottintendendo a carlos che se ciò non dovesse succedere, allora lui sarebbe un fallimento (daddy issues intensifies))
lui probabilmente vorrebbe essere davvero in parte come l’immagine che fa passare, ma non riesce a esserlo completamente (semplicemente perché è una persona troppo buona che non riesce ad essere davvero spietato come un campione, forse anche a causa dei suoi traumi? maybe), ed è per questo che è insicuro (appunto perché si considera “debole”)
sinceramente, mi dispiace seriamente che una persona così buona abbia avuto così tanta pressione per diventare qualcuno che non è, nessuno si merita di essere trattatx così (menchemeno dal proprio padre) :(
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Day 42
Giorno 42 - ieri.
Totale caffè bevuti, 2.
A pranzo: cucinato ragù di tonno, servito con pasta SG.
A cena: all'asciutto con aggiunta di una salsa di melanzana, prima fatta arrostire e poi frullata con paprika, olio, sale e pepe.
E' stata già una di quelle domeniche autunnali che passano troppo in fretta e nella quale si ha la sensazione di non aver fatto nulla di buono. Ho (finalmente!) iniziato Sea of Stars, però, che non è niente male.
Se questa settimana non arriva lo stipendo, penso che dovrò portarmi il pranzo da casa.
Cheers, moots.
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L’anno 2005 è stato uno dei più intensi emotivamente della mia vita. Facevo il primo anno di università a Bologna ma per un serie di cose (fra le quali la fidanzata dell’epoca, il gruppi di amici a Marsciano, la band…) tornavo giù a casa dai miei spesso. Ero in una fase a metà della mia vita nella quale studiavo, lavoravo ma allo stesso tempo avevo tante cose del cuore legate alla mia cittadina fra cui la nostra band con Lorenzo e Giuseppe, gli Autumn Leaf. Ricordo tantissimo di quel periodo di vita anche perché tendenzialmente vivevo fino al giovedì mattina a Bologna e poi prendevo il treno per scendere giù. A volte scendevo mercoledì sera inventando la mancanza di lezioni, altre volte risalivo il lunedì sera mancandone altre. Insomma era una sorta di settimana cortissima che mi ha fatto mantenere un piede in due scarpe, o meglio, portare avanti due sentieri assieme: quello universitario (che tardava a decollare) e quello tardo adolescenziale (che invece era rimasto piacevolmente legato giù. Anche perché gli altri membri della band, nonché i miei nuovi amici del cuore, erano tutti più giovani di me almeno di uno-due anni; avevamo alcuni ascolti in comune e questa piccola ma sostanziale differenza di età ha fatto sì che io diventassi il loro mentore, la loro persona di fiducia. Ma la cosa era reciproca visto che ancora oggi ricordo i pomeriggi a casa di Lorenzo a guardare film e film, lui che per me era la mia fonte cinematografica. Ed è grazie a loro che scoprii i Porcupine Tree. Lorenzo, Giuseppe (ma anche Caroli e Alberto) erano più legati ad un progressive metal che era emerso da ascolti giovanili di nu-metal e qualcosa di thrash. Deadwing (ma anche In Absentia) è strettamente legato a quei giorni, alle nostre prove, al tentare di creare in sala prove qualcosa a metà strada fra gli Opeth, gli Ulver, gli Anathema e, appunto, i Porcupine Tree.
Ancora oggi quando parte l’omonima traccia del disco i miei pensieri vanno giù a quei bellissimi anni; queste chitarre liquide, aperte, ariose, meravigliose sembravano appunto uscire dagli Opeth più melodici; la voce di Steven Wilson era qualcosa di magico, orecchiabile, che sapeva trasportarti altrove. Deadwing è un album progressive che – per fortuna – spinge poco il piede sul metal (una cosa che ancora non sopporto è la produzione soprattutto della batteria in In Absentia) e che lascia emergere tutte le componenti calorose degli strumenti, del pianoforte, del legno. Il ritornello di "Shallow", anche se mena forte è mitigato dalla voce effettata di Steven. "Lazarus" sembra quasi un singolo dei Coldplay ma in senso buono, perfettamente inserito all’interno dello storytelling dell’album (e Steven ha sempre ammirato Chris Martin e soci anche se è famosa quella foto dove tiene un cartello in mano con scritto “i Coldplay sono dei segaioli”); consideriamo sempre che al pianoforte, al mellotron, ai synth c’è Richard Barbieri, un ex-Japan.
Anche "Mellotron Scratch" tira fuori i Porcupine Tree più dolci, che giocano con le sovrapposizioni vocali e riescono a creare dei bellissimi collage con foto ritagliate dai ricordi delle estati che furono. Una delicatissima malinconia che è intrecciata con le chitarre dei Pink Floyd, con tutta la tradizione di tastiere della scuola di Canterbury senza però abbandonarsi in lunghe perifrasi tecniche tanto care al prog duro e puro. I più maniaci dei tempi dispari e delle pippe tecniche devono spostarsi a fine album ad ascoltare "The Start of Something Beautiful" dove Gavin Harrison e Colin Hedwin si divertono a picchettare il brano e l’ascoltatore… se non siete dei mega-fan del tempo disparo resistete fino alla seconda metà del brano dove si assiste ad una bellissima trasformazione verso il sentimentale con i classici echi di David Gilmour. A volte, in questo Deadwing, Steven assume un timbro vocale forse troppo debitore a Maynard Keene, ma d’altronde i Tool sono stati una delle pietre angolari di tanta musica sperimentale ("Shallow", "Open Car"). C’è da dire che il picco più alto dell’album nonché uno dei picchi massimi dell’intera discografia dei Porcupine Tree coincide con "Arriving Somewhere but not here". Una bellissima suite di 12 minuti con suoni in backwards, sonorità nostalgiche e dolci che impennano verso il cielo col primo assolo: pazzesco, bellissimo, come se uscisse da "Comfortably Numb". Questo brano con l’opener Deadwing e la conclusiva "Glass Arm Shattering" (e la bellissima coda di "The Start of Something Beautiful") descrivono i Porcupine Tree più spensierati, che suonano di getto, che aprono il cuore e riescono a selezionare i nostri migliori ricordi. Anzi, le dita di Wilson riscrivono su carta i ricordi di ognuno di noi.
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Non sono un filologo o un semiologo, ma...
Sono pigro. La colpa non è mia: è del DNA.
Lo dice la scienza, non lo dico io.
Alla scienza ci credo. Anche all'Accademia della Crusca credo. Quando mi danno ragione ancora di più, ovvio...
Al progresso no. Al progresso non credo, ma quella è un'altra storia
L'Accademia della Crusca è simpatica: se cerchi l'eccezione giusta ti aiuta, ti racconta la vita e i nomi e i cognomi delle eccezioni. A volte si dilunga un po' troppo, ma ci sta...
Dicevo ma... Ma ora ho dimenticato ciò volevo dire all'inizio.
No, non è vero. Mento. Me lo ricordo bene.
La verità è che volevo scrivere una battuta che sembrava carina e invece era scarsina.
Ora però è meglio finirla qui. Non vorrei irritare troppo uno dei miei lettori più cari, un certo Bro Tink.
Tink è molto buono e paziente con me, a volte fin troppo.
Voglio bene a Tink.
Sono sicuro che anche lui vuole bene a me, forse. Scherzo, lui sa che io scherzo.
La cosa che più amo di Tink è modo in cui lui ti ama e ti aiuta. Non solo ti dice le cose in faccia, ti dice anche la verità, o almeno l'inverosimile meno inverosimile.
Dire la verità in faccia è pericoloso quando non è fatale.
Non dico niente di nuovo, lo so.
Che e come sia pericoloso dire la verità lo sanno tutti, anche i bambini e i giornalisti.
Grazie Tink, abbraccio forte e fraterno.
E sta giù, mi raccomando. Su fa più freddo che giù, forse.
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