#penso che vi interesserebbe
Explore tagged Tumblr posts
Text
@ilmdirectioner @conquistatore
Zoozve, my beloved
128K notes
·
View notes
Note
Ma perché non pensi di fare qualcosa per unire qui la community anziché su whatsapp dove siamo in tantissimi sarebbe bello che chi come te ha la possibilità di avere tanta visibilità faccia qualcosa per tutti sarebbe bello veramente vederci più uniti
Ma a me non interessa nulla di sentirmi dire che sono il miglior blog, mi interesserebbe conversare con chi come me ha la “””fortuna””” di avere diversi lettori per poi collaborare assieme e fare qualcosa per chi ne ha bisogno, perché per quanto non mi interessi nulla di avere questa quantità di seguaci, io penso sempre che da un lato sia giusto renderli partecipi delle proprie iniziative, per esempio, non parlo di mettere mi piace, rebloggare o “spingersi/supportarsi” a vicenda, bensì di aiutare chi è in difficoltà, dandogli le attenzioni che si merita, perché penso che qui dentro ci sia chi veramente abbia tanto bisogno di un supporto morale, e spesso basta anche un semplice messaggio e questo potrebbe svoltare completamente certe situazioni, chiaro min siamo qui per guarire nessuno, ma una parola di conforto tramite passaparola fra i vari blog può fare tanto.
Qui dentro c’è chi ha Tumblr solamente per scappare dall’inferno che vive nella vita reale, ma finché nessuno lo calcola, poiché non è per nulla facile farsi notare in mezzo a milioni di blog, e le persone che hanno veramente bisogno sono quelle che non si lamentano ma fammi capire tantissime cose da ciò che pubblicano.
Ecco, mi piacerebbe molto unire i blog più “popolari” per poi iniziare a confrontarci uno ad uno ed aiutare queste persone qui di cui parlavo sopra, al di là del tipo del blog, e dell’età, penso sarebbe una bella cosa riuscire a far sorridere chi magari ormai si è già dato per vinto.
Io sono qui che vi aspetto, non avendo mai usato Tumblr per navigare fra un blog e l’altro non conosco bene l’utenza, ma se è per fare del bene sono il primo ad accettare chiunque mi si presenti davanti!
27 notes
·
View notes
Text
non so come iniziare un post del genere ok, non ne scrivo mai perché beh non lo so il perché, forse perché romperei l'equilibrio che mi sono creata nella mia testa di questo blog, forse perché non voglio che qualcuno mi faccia troppe domande su certi argomenti o forse perché mi perdo a pensare che a nessuno interesserebbe davvero leggere ciò, e poi è molto difficile farmi aprire completamente. se sai qualcosa su di me non la saprai mai al 100%.
c'è una cosa credo che vorrei da qualcuno ed è raccontarmi a questa persona e sapere che a quest'ultim* interessa davvero quello di cui sto parlando. qualcuno a cui non debba rimpiangere di avergli detto qualcosa perché poi magari in un discorso me lo viene a ributtare in faccia e magari ci sto male sia perché me l'ha buttato in faccia sia perché è un argomento fragile che non dovrebbe essere ricacciato in certe situazioni.
ci sono alcune persone che considero più vicine rispetto ad altre per un motivo o per un altro ed è a loro che vorrei raccontare certe cose e soprattutto già ne sanno altre, però a volte mi sembra di non potergli parlare di certi argomenti perché reagiscono diversamente dal solito, come se iniziassero a lamentarsi o a prendersela con me per ciò che ho fatto ma, che posso farci ormai? è una cosa passata e non posso cambiare il passato, al massimo posso rimediare però è proprio qui che penso che forse dovevo tenermela per me e mano mano inizio a parlare sempre meno di certe cose con una persona. o altri motivi per cui ne parlo meno è che l'argomento per cui sto male potrebbe far star male anche l'altra persona ed evito di mettere in mezzo il tutto.
ci sono dei motivi per cui sto stando abbastanza male ultimamente, il primo è per certe persone che si stanno allontanando o si sono allontanate improvvisamente e magari a me piaceva la loro compagnia e mi mancano..però, non vi verrò a scrivere. un pò perché se ti sei allontanat* significa che o non vuoi parlarmi o lo stai facendo per il tuo bene, e un pò perché nel caso tu non voglia parlarmi non voglio dover cominciare una conversazione forzata.
il secondo motivo è per le persone che mi piacciono e a cui piaccio. beh per le persone che mi piacciono c'ho sempre sfiga per un motivo o per un altro quindi facciamo che lascio stare..per le persone a cui piaccio invece:
parlo con abbastanza persone online e non e ad alcune di queste sono iniziata a piacere, a me fa sempre strano perché non faccio nulla di speciale, non capisco cosa attiri la loro attenzione, e poi quando glielo chiedo i motivi sono sempre gli stessi. 'sei simpatica, ci sei sempre e mi piaci fisicamente'. ed io so solo dire che so cosa sono, e so cosa do e cosa non do, però non mi sembra di averti dato abbastanza. perché non sono nei miei periodi migliori e so di poter dare di più. ma perché dovrei? nel senso, il mio obiettivo non è piacere per forza, no? però dicendo così mi sembra di si. mi sembra di star cercando solo di piacere e poi fine, 'il mio lavoro qui è finito'. anche se so che non è così davvero, voglio che l'altra persona stia bene con me e si senta al sicuro ecco. oltre questo, molte persone se ne sono andate proprio per questo motivo qua. perché gli piacevo e non riuscivano a mantenere questo sentimento per loro dato che io non ricambiavo. e si sono allontanati per stare meglio. però..però a me mancano, gli voglio comunque bene. e torniamo al punto di prima, cioè al primo motivo per cui sto male.
il terzo è per la scuola. ieri (28/09) è stato il primo giorno(perché faccio il serale e abbiamo iniziato dopo), faccio il quinto superiore sperando che finisca e che finisca bene. comunque solitamente quando vado a scuola ho sempre ansia. sempre ansia di star sbagliando qualcosa, di non aver completato qualcos'altro o di dover rispondere a qualcosa e non so farlo. e da una parte credo sia normale, dall'altra invece no..perché spessissimo mi causa dolori fisici e mi sento uno schifo. è dalle elementari che va avanti così a dolori fisici tutti i giorni, tutti gli anni da 14 anni, non mi sembra una buona cosa ecco-
mi sono ritrovata spesso con molte assenze che io non mi rendevo neanche conto di star facendo però dall'altra parte se andavo a scuola comunque non stavo bene e non mi sentivo in grado di far qualcosa, quindi che cambiava? negli ultimi 2 anni ho iniziato ad andare a scuola nonostante l'ansia(non sempre) perché so e ho sempre saputo che non importa se sbaglio. infatti mi sono resa conto che l'ansia maggiore non è dovuta a quello. ma è dovuta al fatto di sentirmi giudicata se sbaglio. so che dovrei fregarmene perché tanto 5 minuti e uno si dimentica, però io no, il fatto di aver sbagliato quella cosa che magari per me è importante mi rimane impressa anche se aggiusto il tutto dopo. ho un grossissimo problema coi giudizi degli altri. che riguardi la scuola o meno.
comunque. tornando all'inizio, anche ieri che è stato il PRIMO giorno ho avuto ansia. però perché questa volta? non avevo nessun compito, nessuna interrogazione, nessuno doveva chiedermi nulla, i compagni di classe li conoscevo già e sono stata per i cazzi miei. e allora qual era il problema ieri..? non lo so. non mi viene in mente nulla. so solo che stavo già per non entrare perché mi sentivo male.
un'altra cosa ancora è la mia famiglia. molte delle cose per cui sto male sono '''ovviamente''' nate qui. ai miei, soprattutto mia madre, li ringrazio sempre perché hanno cercato di starmi vicino e darmi il più possibile, e sono felice che ci abbiano provato a starmi vicino però sfortunatamente l'hanno fatto nel modo sbagliato, sfortunatamente non sono persone con cui io riesca a confidarmi, non dico su tutto ma nemmeno sulle piccole cose perché in primis sono loro a iniziare a giudicare me e le persone che frequento. poi tante altre cose ma non voglio parlarne molto di loro.
e ultima cosa, ho ritrovato un diario di quando andavo in quarta elementare in cui parlo solo del mio stare male. ma avevo 9 anni. e sono giorni che mi sto scervellando a ricordare perché cazzo a 9 anni devo lamentarmi sempre di star male? e pensando pensando non era nemmeno per motivi stupidi. erano gli stessi motivi con cui mi appiccico ora.
nel caso qualcuno abbia davvero letto fino a qui beh..
ma chi te l'ha fatto fa'?
grazie per aver letto comunque. ora mi verrà l'ansia per i messaggi che riceverò dopo questo sfogo ok. mi sotterro ok. addio ok.
#ma so le 2 di notte porcodio vai a dormire#sfogo#MA QUANTO HO SCRITTO AIUTO#MA CHE FAI- LEGGI PURE GLI HASHTAG?#my post#me
45 notes
·
View notes
Note
17) a song with great lyrics
youtube
(the smiths - there is a light that never goes out)
parliamo per un minuto di narrativa.
qualche anno fa ho letto comma 22, il libro di joseph heller da cui è tratto il famoso paradosso che avrete visto citare decine di volte nei contesti più svariati. l'ho letteralmente divorato, e mi ha colpito per la quantità elevatissima di idee e trovate che ha al suo interno. roba che l'autore avrebbe potuto scriverci tre romanzi al posto di uno.
una ventina di anni prima circa, quando ancora avevo i capelli e le giornate parevano decisamente più lunghe, mi è capitato di leggere due diversi libri che citavano -ad un certo punto- la stessa canzone. il primo è trainspotting, il secondo -almeno mi pare, ne sono quasi sicuro ma lasciatemi un margine di dubbio- jack frusciante è uscito dal gruppo. la canzone è, ovviamente, quella là sopra. credo tra l'altro sia stato il mio primo contatto veramente consapevole con gli smiths. forse.
(quante cose incerte, in questo post, signora mia)
la cosa curiosa, considerando che parliamo di una canzone che non ha un testo lunghissimo, è che i due libri ne citavano parti diverse, entrambe contenenti delle immagini vive e di impatto emotivo efficacissimo. il sottopasso scuro e la strana paura che afferra il protagonista in uno, il bus a due piani che potrebbe potenzialmente incidentalmente regalare una morte paradisiaca nell'altro.
e le parti citabili del testo, per capacità emotiva, iconica e narrativa, non sarebbero nemmeno finite qui. come per comma 22, potevano uscirne tre testi diversi, e invece è venuto fuori il manifesto perfetto di un certo modo di vivere le cose.
mi rendo conto che è una scelta piuttosto banale, data la notorietà del brano, ma me la perdonerete. è che oltre ad essere una canzone meravigliosa (bon, a mio parere; poi magari voi ascoltate solo i cadaveric crematorium e there is a light that never goes out vi fa cagare, ed è una vostra opinione legittima che non mi permetterei mai di criticare) è anche una canzone piena, e rappresenta bene l'intelligente miscuglio di ironia e tristezza presente in una parte significativa dei testi di morrissey.
(qui ci tengo a ribadire che è una canzone meravigliosa, perché sì)
grazie per la domanda a @blackabsynthe, e a chi mi ha posto le altre a cui ho risposto nei giorni precedenti. spero di non avervi annoiato.
ps ho un seguito piuttosto basso a livello numerico, per cui non credo che statisticamente accadrà, ma a chi volesse alzare il ditino e far notare che morrissey is canceled per via di quello che è diventato a distanza di trent'anni mi limito a dire "ah, ok", perché di fare un discorso su quello che penso della cancel culture e compagnia cantante non ne ho veramente voglia. e a nessuno interesserebbe, oltretutto, per cui.
35 notes
·
View notes
Text
Pensi quanto sia triste la tua vita, quando se ti dovessero dire che morirai fra 10 giorni a te non cambierebbe nulla. Non come tutti che "ho avuto un illuminazione". Dentro credo accetterei la cosa con una felice rassegnazione. Come per dire "finalmente basta con sta merda di esistenza, basta avere a che fare con persone orribili stupide cattive vuote.... Basta responsabilità, problemi, stress... finalmente!!!" Non vorrei fare nulla, anche se nei miei sogni c'è sempre stato quello di viaggiare, non ne avrei il coraggio ne la possibilità credo sapendo che tanto fra un po' morirei. Non mi interesserebbe vedere persone per l'ultima volta perché non sento di avere legami con nessuno, o semplicemente non importerebbe a loro e so che mi deluderebbero trovando una scusa per non venire a dirmi addio. Quanto cazzo è triste, quest'ultima frase. Forse per altri sarebbe triste, ma io godrei del loro dispiacere perché cazzo, non mi avete apprezzata ne fatta stare bene nella mia vita, e ora vi dispiace e mi compatite? Ipocriti.
L'unica cosa, non vorrei morire sola, vorrei qualcuno che mi stringesse la mano mentre io accetto la luce e non esisto più qui in questo tempo.
Lo stress e la depressione la famiglia disfuzionale e le persone tossiche di tutta una vita mi hanno portato a sentirmi così. Non avere il coraggio di farla finita perché in fondo spero ancora come una bambina che qualcosa cambia mentre sputo sangue per impegnarmi 100 e ricevere 0 dal mondo. Ma io sono STANCA vorrei che le persone iniziassero a capirlo senza che io debba ogni volta dire le cose. IO SONO STANCA. Non sto bene in questo mondo con queste persone e la colpa non penso proprio sia mia.... Forse è la mia ultima incarnazione forse potrò dopo stare finalmente tranquilla avendo sperimentato così tanto dolore in una sola vita. Dolore che è per gli altri sempre invisibile .... Mentre vedo che chi ha un unghia rotta viene coccolato e compatito. Io resto qua, dissociata dal mio corpo a aspettare che le ore passino e qualcosa succeda, mi impegno in tutto ciò che voglio ma puntualmente non riesco a raggiungerlo mentre chi non lo merita si. Queste ingiustizie mi creano una profonda frustrazione che si aggiunge alla rabbia di non esser mai stata compresa e riconosciuta.
Penso spesso di voler farla finita, ma poi mi ricordo che ho troppi libri che devo ancora finire di leggere
1 note
·
View note
Text
Sabato 19 dicembre 2020 ore 3.57
❄️- 7🎄☃️😞
Ciao a tutti buone feste ancora raga per quanto possa essere un buon Natale quest’anno spero tutto bene da voi. Almeno haha perché come ogni momento qui da me e un casino colossale.. e il bello è che i casini me li combino da solo già di mio.
È successa una roba fuori da ogni immaginazione che manco vi immaginate giuro! E ora ho un’ansia addosso che nemmeno immaginate! Allora tutto ha inizio qualche sera fa quando uno dei miei cugini che in questo caso (privacy)chiamerei Gesualdo, mi chiama al cellulare e mi chiede com e netflix perché gli interesserebbe farlo ma purtroppo ora non c’è più la prova gratuita ma tanto nel suo tab non gli funziona (non so come mai) quindi magari lo farebbe per connettersi col pc o con la Nintendo ad esso e nulla io gli ho un po’ spiegato. Spiego meglio: il profilo che ho io è quello doppio che ho con l’altro mio cugino ed e un po’ che lo abbiamo assieme e Gesualdo lo sa e ti endo a sto punto della storia che sia un po’ geloso.. dato tutte le domande che mi fa spesso e volentieri anche dal nulla.(Specifico che avevo il profilo doppio schermo da sempre perché quando lo fatto era mio e della mia ragazza e abitavamo lontano ma effettivamente non l’ho mai cambiato e quando è venuta a star da me l’ho offerto a mio cugino al suo posto nel vero senso della parola ovvero che non pagava ma ormai a me andava bene così perché la cifra era abitualmente quella e non mi sarei mai impoverito x 10 euro di netflix o poco più al posto di 8 e sapevo che causa la tirchiezza di mio cugino(non Gesualdo l’altro anzi diamogli il nome di Ernestino) , che poi in realtà la verità è anche un po’ diversa perché effettivamente io ora come ora non ho più rapporto con quasi più nessun cugino dopo aver passato la maggior età praticamente o poco meno si son staccati tutti tranne Gesualdo e Ernestino perché penso che non “approvassero” il mio stile di vita e il cambiamento anzi i cambiamenti del mio corpo , vita ecc così per “””” tenermi buoni””” almeno loro diciamo che sto giocando un po’ sporco ma non per loro ma a scapito di me stesso... so che non è il massimo e mi do dello scemo da solo e lo fa anche la mia ragazza e ha ragione ed ora vi dico il perché ma penso lo abbiate capito.. non ho davvero nessuno come amico son sparito tutti persino i parenti appunto e rimangono un paio di zie praticamente con i rispettivi figli e un altro paio un po’ più vecchie che accettano diciamo così ma quest’ultime 2 non le vedo ne sento così spesso e poi diciamo che preferisco i cugini della mia età o circa come amici e non zie anzianotte con tutto rispetto parlando ovvio. Fatto sta che mi sto perdendo e nulla stasera Gesualdo mi chiama dicendomi che sia nonna x Natale gli ha preso la tv nuova e data la sua antenna rotta da tempo praticamente non può vedere nulla se non i canali o le piattaforme a pagamento e gira che ti rigira mi ha convinto a aggiungere anche lui nel mio account Netflix insomma, forse un po’ x pena o per bontà d’animo di merda che ho e faccio vagate a causa del fatto che sono troppo buono o non so forse mi dispiace perché non è messo bene economicamente e mi va di aiutarlo in ciò che posso bo almeno l’ho tenuto buono dai comunque sia le cose sono andate un po’ a caso anzi a casino perché durante la chiamata gli chiedo di giocare a fortnite e fare na partita per passare il tempo e fare due chiacchiere prima di andare a nanna dato che era presto (22 tipo o 23) così ci siamo messi a parlare abbastanza accesamente(bo non credo esista sta parola ma fa nulla) e lui allora rompendo un po’ le scatole perché ne parlavamo da ben venti minuti tutti mi chiede come sarebbe andata poi con tre profili netflix in un account a doppio schermo che in realtà non ci avevo proprio pensato io perché personalmente ho sempre pensato solo per me essendo un singolo massimo con la mia ragazza proprio se quindi di getto gli faccio” be che problema c’è faccio il profilo x 3 cioè quello da 16 euro con 4 schermi e mi date tho 5 euro l’uno te e Ernestino dato che siamo solo noi no? “ e lui fa ok quindi x lui sarebbe andata più che bene ed effettivamente prima me lo aveva detto che stava già parlando con lui per messaggi x altro e quindi gli ho chiesto se avrebbe detto della propria aggiunta al gruppo e del fatto che entrambi avrebbero dovuto pagarmi .
0 notes
Text
“Le persone troppo virtuose mi fanno paura. E Sylvia Plath è la mia sorella maggiore”: Matteo Fais dialoga con Maria Antonietta, la cantautrice ispirata dai poeti
Ci sono molti cantautori, probabilmente tanti quanti sono gli scrittori e i poeti. Selezionare diviene una questione di legittima difesa. Per fortuna, internet e Facebook – con buona pace dei detrattori dello strumento informatico – forniscono loro almeno la remota possibilità di farsi notare. Un buon numero di contatti, perlopiù fantasma, in tal senso, può tornare utile. Se non altro può accadere, tra le centinaia di post deficienti e petalosi, di trovare segnalato qualcosa di diverso. Da qualche tempo, per esempio, sta circolando il link Spotify del nuovo album di Maria Antonietta (al secolo Letizia Cesarini), Deluderti. Si tratta di un disco che potrebbe certamente interessare chiunque non condivida una visione della canzone come semplice strumento di intrattenimento e motivo per balli dalla discutibile gradevolezza estetica. La cantautrice che l’ha composto è, peraltro, una ragazza con una preparazione letteraria di tutto rispetto. Era quindi inevitabile, per noi di Pangea, andare a bussare alla sua porta con un’intervista atipica per una musicista, ma che potrebbe tranquillamente essere rivolta a un poeta o a uno scrittore.
Cominciamo dal primo verso con cui si apre l’album, “Io non ho intenzione di deluderti”. Ascoltandolo pensavo che, quasi tutte le volte in cui ho conosciuto i miei miti letterari, sono rimasto talmente deluso da sperare di poter tornare indietro nel tempo e rimuovere quell’incontro dalla storia della mia vita. Cerca di capirmi ma, quando penso a un grande scrittore, immagino sempre che sia prima di tutto un grande, invece… Ti andrebbe di dirmi qualcosa che possa veramente deludere i lettori e i tuoi fan?
(Ride) Ciò che dici rispetto ai miti e alle mitologie che ci creiamo nella vita, tra autori, poeti, scrittori e musicisti, è molto vero. Forse è per questo che, tendenzialmente, riesco a sviluppare questa forma di adorazione solo nei confronti degli artisti morti. Sarà per difendermi dal pericolo di una potenziale delusione. O, magari, è perché ho l’abitudine a vivere così, in differita. Questo è il mio grande limite. Per quanto riguarda, invece, il rapporto con le persone che ascoltano la mia musica, ho la presunzione di non riuscire a fare, o dire, nulla che possa deluderli. Qualsiasi tipo di relazione, se reale e vera (non importa che sia fisica, concreta, ma casomai che sia quotidiana, anche se a distanza), va avanti e fiorisce malgrado accadano fatti o si dicano parole che possono dispiacere. In un rapporto, quale quello di cui parlo, la delusione non è niente di distruttivo. Anzi, non è nemmeno una delusione, ma giusto un momento di frizione, di tensione, che però io percepisco come positivo. Forse mi illudo, ma sono convinta di aver costruito nel tempo un legame vero con le persone che mi seguono. E, quindi, sono anche persuasa di non riuscire davvero a deluderli.
Eppure, in una tua intervista, parlando della canzone Quanto eri bello, dici che nessuno sembrava aver compreso a suo tempo la portata drammatica del testo. Ti viene mai il sospetto che il pubblico, tutto sommato, non capisca un cazzo?
(Ride) Non nego che la domanda sia pertinente. Quando fai qualcosa di creativo, il rischio del fraintendimento, come della mistificazione, è da mettere in conto, per quanta sofferenza possa causare. Il meccanismo che si mette in moto è quello per cui, non riuscendo a gestire la complessità, la si semplifica travisando. E ciò avviene non solo con le opere, ma anche con i nostri simili. Io, poi, sono una persona molto ironica e autoironica, ma probabilmente, talvolta, questa ironia non passa o viene mal compresa. Purtroppo, questa è la sfida della scrittura. In generale però, sono molto fiduciosa e nutro un’estrema speranza nel pubblico. Anzi, penso che spesso venga sottovalutato e, con questa scusa, gli si dia in pasto il peggio, nella convinzione che non sia pronto a recepire e comprendere qualcosa di più. La colpa di tutto ciò però non è sua, ma bensì dall’industria culturale.
Come componi una canzone? Vorrei conoscere il processo di gestazione.
Il punto di partenza sicuramente è il testo, in particolare per quel che riguarda l’ultimo disco. Spesso in principio c’è un verso, una parola, un’immagine trovata in una poesia che leggo. Naturalmente, il discorso è molto personale e mi riguarda profondamente, diciamo che ingloba un’esperienza della mia vita, che è ciò da cui tendenzialmente muovo. Le parole altrui mi danno la scintilla. Solo successivamente si presenta la necessità della costruzione musicale, dell’arrangiamento e della produzione. L’inizio, però, come dicevo, è letterario. La dimensione testuale è sempre stata prioritaria, dato che, fin da piccola, ho scritto poesie, affascinata dalla parola e dal ritmo della lingua.
Nelle tue interviste citi spesso delle poetesse. Quanto è importante avere una preparazione letteraria per poter comporre i testi di una canzone?
Credo che, in generale, una cultura letteraria non possa che dare profondità a quello che si fa, a qualsiasi ricerca, sia essa musicale, pittorica, scultorea, o teatrale. E la profondità che se ne ricava sta nel fatto che leggere libri, in fondo, non significa altro che potersi permettere il lusso di vivere molte vite alternative alla propria, consentendo così di ampliare la prospettiva – aspetto fondamentale per svolgere un’attività creativa, senza divenire troppo autoreferenziali.
A proposito, mi piacerebbe sapere quali sono i tuoi poeti preferiti e, nello specifico, cosa ami di ognuno di loro.
Certamente Sylvia Plath mi ha conquistata. Trovo che in tutto quello che scrive ci sia una spigolosità, un’onestà veramente spietata. Lei è una di quelle che non fa sconti a nessuno e prima di tutto a sé stessa. Questo tipo di approccio è sempre stato particolarmente ispirante per me. Ho amato molto anche i diari e tutta quella parte della sua produzione non strettamente poetica, come La campana di vetro. Mi sono sempre sentita molto vicina a lei, anche umanamente, fino a percepirla in qualche modo come una sorella maggiore. Poi, apprezzo tantissimo Emily Dickinson. Trovo che il suo discorso su Dio e la Natura sia molto radicale, come la sua solitudine assunta come scelta e non come ripiego. È interessante, inoltre, il modo in cui ha portato avanti la propria personale ricerca, al di là di qualsiasi riscontro che potesse venire dal mondo esterno. Pensa come potrebbe essere percepito di questi tempi un simile atteggiamento, oggi che quello che pensiamo e costruiamo sembra avere un valore solo se viene conosciuto. Adoro queste figure così estreme. Poi, per carità, non è che legga solo poesia al femminile. Non credo neppure in una differenza sostanziale tra scrittura maschile e femminile. Semplicemente, mi piace costruirmi una specie di genealogia di antenate con le quali poter dialogare a distanza.
Qual è la differenza tra un poeta e un cantautore? E, soprattutto, se è certo che un poeta difficilmente è un cantautore, un cantautore è anche un poeta? Perdona la formulazione marzulliana della domanda.
(Ride) Onestamente, se si tratta di un buon cantautore, per me costui è anche un poeta. Non ho mai percepito un’eccessiva distanza tra i due mondi. Il punto di partenza è il medesimo: la ricerca all’interno della lingua di un ritmo, di una musicalità. Quindi, in realtà, è la musica il filo conduttore di tutto. Se sei un bravo cantautore sei anche un bravo poeta e, se un poeta sapesse suonare un qualche strumento, sarebbe anche un bravo cantautore.
Nel pezzo intitolato Con gli occhiali da sole, tu dici “io sono quella che scrive canzoni, perché credevo rendesse in qualche modo migliori”. Tu ci credi davvero che fare letteratura, scrivere canzoni, diciamo fare arte in generale, richieda una superiorità morale, etica? In due parole, un artista deve essere un esempio?
Non necessariamente. Quella frase simboleggia una tensione, quella per cui probabilmente ho iniziato a scrivere, ovvero il fatto che mi sentissi molto timida, inadatta, come spesso mi sento ancora. Cimentarsi in una simile attività riesce non di rado ad avere un valore terapeutico e a renderti in qualche modo migliore. Poi, questo “essere migliore”, non saprei bene come definirlo. Non credo concerna la dimensione morale. Ritengo, piuttosto, che sia da intendersi come un sinonimo di “vasto”. Ecco, lo scrivere accresce la tua vastità, che può essere di molti tipi, e che certamente io concepisco come un valore.
Devo dire la verità, forse ho volutamente frainteso il tuo testo per proporti la domanda e tu hai risposto molto bene riportandomi al punto. Però, mi interesserebbe realmente comprendere se per te un artista debba essere anche un esempio. Sai, molte volte, leggendo raccolte poetiche, mi rendo conto che c’è gente che confonde l’essere poeti con l’esprimere semplicemente dei buoni sentimenti. Vorrei sapere se, a tuo avviso, vi sia poi la necessità di costituire un esempio morale, per essere degli artisti?
Prima di tutto, direi che la coincidenza fra bontà e moralità non è così scontata. Il nesso è discutibile. Ci sono persone che non sono simpatiche, gentili, concilianti, o dotate di grandi sentimenti, ma hanno una dimensione morale molto salda. Perciò ti dico, non credo che per essere grandi artisti si debba necessariamente essere anche buoni, affatto. Anzi, ritengo ci si debba sporcare il più possibile con tutta una serie di cose e situazioni per niente piacevoli, né sentimentalmente alte. Nutro una certa diffidenza verso le persone troppo virtuose, penso sempre che nascondano qualcosa di pericoloso. Più che altro, credo che un artista dovrebbe condurre la sua ricerca con onestà intellettuale e che ciò non debba riguardare necessariamente quello che accade nella sua vita. Spesso, i grandi autori sono delle persone più che discutibili, e per fortuna! Siccome, poi, conoscendoli si rischierebbe di non trovarli simpatici, finendo così per non riuscire a empatizzare con la loro opera, il mio consiglio è di non incontrarli mai di persona.
Letizia, tu faresti quello che fai per il resto della tua vita, anche se non ti dovesse fruttare un euro che uno? Immagina di dover andare in giro per locali sfigati, senza ricevere alcuna retribuzione, anzi dovendo pregare per suonare in pubblico. Molti scrittori hanno fatto qualcosa di simile e anche di peggio, seppur in un contesto differente. Sono andati avanti malgrado tutto e tutti. Tu lo faresti? Io credo che in questa risposta stia il senso della differenza tra un artista dotato della vocazione e uno da classifica. Come la vedi?
Credimi, ho sempre condotto, negli anni passati e tuttora, una vita molto sobria. Non ti nasconderò che quello che faccio ha alla sua base anche un sostrato di egoismo, dato dall’emozione che genera scrivere un qualcosa di significativo. È una sensazione impagabile, che non ha nulla a che fare con i soldi, con la gente che viene a vederti e con le possibilità che ovviamente nessuno disdegna, perché poter fare ciò che fai avendo delle risorse ti permette di farlo al massimo. Però, il motore primo è quella sensazione, quando scrivi, poi cancelli e riprovi, e alla fine riesci. È stupendo e non ha prezzo. Non può essere quantificato in nulla di materiale.
Di recente, Philippe Vilain, un noto autore francese, mi ha detto questo durante un’intervista: “Quasi tutti vogliono scrivere o hanno bisogno di esprimersi, attraverso la scrittura, in un determinato momento della propria esistenza, ma la differenza tra uno scrittore comune e uno autentico, che dedica la maggior parte del suo tempo alla scrittura e allo studio della letteratura, è che il primo ha semplicemente bisogno di scrivere, mentre il secondo, l’autentico, ne ha la necessità”. Condividi questa affermazione? Tu la senti questa necessità per la musica?
Sì, assolutamente. Certo, anche io penso che vi sia un bisogno umano di esprimere sé stessi e che più o meno tutti possono averlo. Anzi, direi che si tratta di un indice di buona salute e umanità. La necessità, però, è quella cosa per la quale, molto spesso, anche a me è capitato di pormi delle domande e di dirmi che avrei potuto prendere un’altra strada, però poi tutte le volte mi sono dovuta scontrare con essa. Mi ritrovavo lì e mi dicevo che non sarei riuscita a fare a meno di scrivere e, se non potevo fare altrimenti, dovevo insistere, senza pormi troppe domande. Alla fine, diventa un modus vivendi, una forza di fronte a cui capitolare, se non esiste un’altra possibilità. Mi rendo conto che sarebbe più razionale fare qualcos’altro, anche più opportuno e sensato. Ma è un qualcosa che si sente nel profondo del corpo, qualcosa di fisico che, prima si accetta, prima si comincia ad apprezzarne la necessità.
Credi di aver dato un contributo fondamentale alla musica italiana con le tue canzoni? Vorrei una risposta onesta, che se ne fotta di questa disgustosa mania della modestia. E, se non sei convinta di aver apportato alcun contributo significativo, vorrei capire perché, allora, ti sei gettata nell’arena.
Onestamente credo di aver dato un contributo. Se non lo pensassi, non farei quello che faccio, perché sarebbe totalmente inutile e autoreferenziale. Non so però se userei l’aggettivo “fondamentale”. Già il semplice riconoscere di dare un contributo mi sembra abbastanza presuntuoso. In ultimo, attribuire un valore al proprio operato spetta agli altri, a chi eventualmente ne beneficia. Resta, però, da parte mia, la convinzione di quello che sto portando avanti, per quanto la fiducia in me stessa non sia sempre strabordante.
In cosa credi risieda la cifra fondamentale della tua scrittura come cantautrice? Nel senso, un determinato scrittore potrebbe pensare di aver innovato sul piano formale, quell’altro di aver portato all’attenzione del pubblico un certo tipo di contenuti di cui non si era mai discusso prima. Ecco, io vorrei chiederti quale pensi sia la tua peculiarità.
Credo che, in un panorama quale quello del cantautorato femminile italiano, nel momento in cui io ho realizzato il primo disco, nel 2012, in cui c’erano tante altre donne, il linguaggio che ho scelto e che continuo a cercare di sviluppare fosse – e seguiti a essere – caratterizzato da una peculiare onestà. Illustra, da quella particolare prospettiva spazio-temporale, il punto di vista di una femmina giovane che ha dei desideri, dei pensieri, un certo modo di relazionarsi con il reale. Trovo che spesso, purtroppo, le donne che scrivono lo facciano autocensurandosi ed edulcorando quelli che sono i propri contenuti, assecondando più o meno coscientemente un cliché, uno stereotipo. Invece, io ho cercato di essere molto diretta, per certi versi spigolosa, e credo che il mio disco sia arrivato in un momento in cui si sentiva la necessità, da parte di una femmina, di questa crudezza.
Tu, giustamente, parli di un punto di vista femminile. Vorrei capire se, secondo te, nella prospettiva e nella fattispecie della scrittura della donna, esista un qualcosa di irriducibile, che l’uomo non riuscirà mai a dire con una chitarra in mano. Per quel che mi riguarda, sono convinto che la scrittura femminile sia altra da quella maschile e i due piani risultino inconciliabili. Quando qualcuno mi dice che uno scrittore può tranquillamente parlare per la donna, io rispondo sempre che, nei libri che ho letto, lì dove una scrittrice cercava di raccontare il punto di vista maschile, falliva miseramente, attribuendo all’uomo pensieri che non gli appartengono.
Come ti dicevo, non credo in una differenza ontologica tra la scrittura di un’autrice e un autore. È innegabile, però, che entrambi parlano e partono da una prospettiva molto specifica. Come diceva qualcuno, “il pensiero è un frutto del corpo”. Noi continuiamo a ritenere che sia qualcosa di astratto rispetto alla materia, che possa procedere autonomamente. Invece, si parte sempre da uno sguardo particolare. Inoltre, questa prospettiva e questo sguardo si orientano anche in virtù di una tradizione, nella quale siamo per forza di cose inseriti e da cui sarebbe una follia cercare di svincolarsi. Quindi, per questo aspetto, ti do ragione. Però non arriverei a postulare l’esistenza di una scrittura diversa. Mi sembra un po’ svilente nei confronti delle donne, come degli uomini. In realtà, penso che gli esseri umani siano incredibilmente complessi e possano arrivare a esplorare tutto con la stessa profondità, ma in una forma diversa.
Per spiegarmi meglio: io non riuscirei mai a descrivere, che ti posso dire, la gravidanza, non foss’altro perché è un qualcosa di talmente estraneo a me, al mio corpo, per tornare a quanto affermavi un secondo fa. Non la so pensare, concepire. Se dovessi provarci, sono certo che inventerei un personaggio femminile filtrandolo attraverso il testosterone e il modo in cui questo lo concepisce. Ma venendo a questioni più leggere: ho letto delle tue influenze musicali e vedo che citi le Babies in Toyland, le Hole, le Bikini Kill. Però, devo ammettere che non sono proprio quelle che io avrei menzionato, dopo aver ascoltato il tuo disco.
Questi gruppi femminili sono stati il punto di partenza, quando ho scoperto la musica, perché si esprimono senza censure. Successivamente, i miei ascolti sono molto cambiati, con autori estremamente diversi tra loro e ciò è confluito in quello che ho scritto, seppur in forma sotterranea. Sono passata attraverso i migliori gruppi degli anni ’50 e ’60: The Shirelles, The Shangri-Las, The Ronettes, The Gladiators, The Abyssinians, e il genere del Reggae Roots. Nel corso degli anni, alcune band, che in principio erano i miei ascolti fondamentali, sono diventate più che altro un punto di riferimento affettivo, un ricordo e niente di più. E tra gli italiani?
Stimo molto i Bluvertigo e Morgan. Ma non ho mai avuto troppa empatia con gli autori italiani. Tra di loro, non ho alcun grande eroe o eroina.
Matteo Fais
*
Se volete ascoltare il brano “Deluderti” di Maria Antonietta andate qui.
Se volete scoprire qualcosa di più su Maria Antonietta andate qui.
L'articolo “Le persone troppo virtuose mi fanno paura. E Sylvia Plath è la mia sorella maggiore”: Matteo Fais dialoga con Maria Antonietta, la cantautrice ispirata dai poeti proviene da Pangea.
from pangea.news https://ift.tt/2ESiU4h
1 note
·
View note
Photo
I MOTIVI PER CUI NON VI SEGUO PIU CON CONTINUITÀ (NULLA DI PERSONALE) - 1. Scorro e ogni due post e c'è una pubblicità. Il più delle volte sono immagini non di mio interesse. 2. Il disordine dei post, che ora vengono ordinati in base alle interazioni o follower stalkerati, e poi subito dopo vengono quei profili che hanno più engagement. Ma vederli tutti in ordine cronologico è proprio impossibile? 3. La presenza massiccia di follower Ghost. Che siano bot o veri, non mi interessa: guardano e basta. Questo mi infastidisce. Da me sono un'enormità. 4. Gente che crede di stare su Tinder o fB: per carità, ognuno fa ciò che meglio crede sul proprio profilo, ma capirete bene che sono su Instagram quando era pensato meramente per la fotografia. Ormai non è più cosi. cazzeggiano tutti sulle storie. Bene, lo faccio anche io, visto che noto molta più partecipazione di qui. Poi penso che sono solo uno stupido numero per il 99% che mi segue e che se crepo nessuno di questi lo saprà mai. Quindi che parlo a fare della mia vita? A chi interesserebbe veramente? Ai miei amici forse... Ma quelli li dovrei vedere e sentire al di fuori di questo social... quindi? 5. La triste e tragica realtà di come ci siano donne - parlo per me che sono uomo - che mi valutano da ciò che pubblico. Per carità, libere di immaginare, ma anche qui c'è una realtà ben filtrata. E lo è ovunque: è per questa fottuta ragione che non mi va di chattare. Era bello quando ci si apriva col cuore, coi soli nickname, aiutati dall'anonimato. Lì capivo con chi avevo a che fare. Ora diamo importanza alle apparenze. Ora, se si esce per farsi due risate e un caffè , sono il primo a dire di sì, ma ve prego... Non ce riesco a tinderá qua dentro. 6. La fotografia di qualità in questo social è per lo più quella ignorata (e chi è veterano di internet lo sa), motivo per cui la popolarità per me conta molto relativamente. 7. Il popolo di IG cambiato: un tempo i profili e i post erano apprezzati senza un tornaconto. Ora è raro vedere questa spontaneità. Se non c'è ricambio, arrivederci. E allora checcazzo ci seguiamo a fare? 8. Quelli che dopo che tu li segui, ti rimuovono. Che tristezza... (presso Viale Cortina D’Ampezzo - Roma) https://www.instagram.com/p/CAGheXIIAWN/?igshid=1i1pziyb4nouq
0 notes