#pensiero della notte
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kseenefrega · 6 months ago
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In questo mondo si è sempre arrabbiati per invidia, denaro, un posto di lavoro, per amore, per rivalità calcistica e stronzate varie... Senza accorgersi di quanto siamo fragili, di quanto sia breve la vita e di quanto ci sia bisogno l'uno dell'altro.
-kseenefrrga-
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maohf44 · 5 months ago
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quesito notturno, HELP
Sto tornado da un concerto dove non poco distante da me c’erano una ragazza con sua mamma
ci siamo guardati molte volte, un sacco di volte
volevo, giuro, volevo andare da lei a chiederle come si chiamava ma alla fine ho desistito
ho fatto bene, ho fatto male?
non lo saprò mai, tanto non la rivedrò più, rimarrò con questo dubbio
non volevo altro che sapere il suo nome, non volevo sembrare sfrontato ne marpione, solo conoscerla
ma come sempre ho preferito non disturbare, questa mia gentilezza innata, questo mio frenarmi per non creare impiccio mi ha fatto e mi farà perdere un sacco di occasioni
ditemi voi cosa ne pensate per favore …
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linnamoraato · 1 month ago
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dodematt · 11 months ago
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Qualcosa è rimasto. Un bene sottile. Un pensiero.
"Chissà come sta. Spero bene".
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Everytime an episode doesn't feature Livia I see that as an absolute win
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ellmick · 1 year ago
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Mi sono stancata di sentirmi sola ogni sera e di lanciare segnali che non vogliono essere colti.
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maohf44 · 5 months ago
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Gioia e poi tristezza
Sensazioni contrastanti di chi ha un’anima pura
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segaligno · 4 months ago
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Vi vedo, qui, così estremamente belle. E io mi sento così incompatibile che mi sembra di impazzire. È come se la vostra luce splendente fosse il riflesso di un mondo a cui non appartengo, un mondo fatto di bellezza intangibile, di armonia perfetta, di lineamenti che si intrecciano con la delicatezza di una melodia suonata dal vento. E io, in questa notte senza stelle, mi trovo a vagare nel buio della mia stessa esistenza, dove ogni pensiero si perde, si confonde, come un eco che svanisce nell’abisso dell’inquietudine.
Mi sembra che ogni vostro sguardo, ogni vostro sorriso, sia un universo a sé stante, un universo in cui non trovo il mio posto. Mi sembra di essere una nota stonata in una sinfonia sublime, una sfumatura di grigio in un quadro dove voi siete colori vibranti, vivi, pulsanti. Eppure, non posso distogliere lo sguardo. Non posso fare a meno di essere attratto da questa bellezza che mi consuma, da questa bellezza che mi sembra così irraggiungibile, eppure così vicina.
È un tormento dolce, questo. Un tormento che mi strappa via ogni certezza, che mi lascia nudo davanti all’immensità del vostro essere. E mentre vi osservo, mentre il mio cuore si perde nei vostri occhi, mi chiedo se mai ci sarà un momento, un singolo istante, in cui le nostre anime potranno sfiorarsi, in cui le mie insicurezze si dissolveranno come nebbia al sole, lasciando spazio solo alla pura essenza di ciò che siamo.
Forse, è proprio in questa distanza che risiede la nostra bellezza. Forse, è questo il segreto di ciò che ci rende umani: il desiderio incolmabile, l’attesa, la speranza che non muore mai, anche quando sembra destinata a non essere mai soddisfatta. Forse, è questo il modo in cui l’universo ci insegna a sentirci vivi: facendoci assaporare la bellezza dell’impossibile, facendoci desiderare ciò che non possiamo avere.
E mentre vi guardo ancora, in silenzio, sento che c’è qualcosa di sacro in tutto questo. Qualcosa che va oltre le parole, oltre i pensieri, oltre la ragione. C’è una verità nascosta nelle pieghe del tempo, una verità che solo i cuori più audaci possono comprendere: che è nell’incontro delle nostre fragilità, delle nostre paure, che si nasconde la vera forza. Che è nel riconoscere la nostra stessa vulnerabilità di fronte alla bellezza del mondo che diventiamo davvero umani, davvero vivi.
E allora, anche se mi sento così piccolo, così lontano, continuerò a cercare quel legame invisibile che ci unisce, quella scintilla che, anche solo per un attimo, farà brillare la mia oscurità. Perché in fondo, in questo grande teatro della vita, non è forse la bellezza di quel che sfugge, di ciò che non possiamo possedere, a renderci eterni sognatori?
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linnamoraato · 1 month ago
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Che è quando abbiamo tutto.. che ci piace mettere tutto a rischio.
S. @linnamoraato
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me-soltanto-me · 1 month ago
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«Non si staccava dalla sua bocca e sprofondavano sempre più l’uno nell’altra: gli sembrava di viaggiare attraverso gli spazi, una stella rossa brillava nella bianca nebbia lunare, prima fioca e intermittente, poi più forte e sempre più vicina, cresceva e si dilatava fino a diventare un’ardente fonte di fuoco, cui si attaccò con le sue labbra. E gli sembrava di bruciare senza dolore, le fiamme gli rinfrescavano la lingua come un vino aspro, e tutto – sazietà e fame, sete e refrigerio, il vigore del sole e l’angoscia del buio, il chiaro pensiero del giorno e le lunatiche elucubrazioni della notte, i piaceri e le miserie di tutta la terra – tutto gli sembrava di bere a quella fonte.»
Da «La giovinezza di Martin Birck» di Hjalmar Söderberg
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yomersapiens · 2 months ago
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La speranza è la prima a rammollire
Nei periodi come questo, quando gli occhi peggiorano drasticamente, mi rifugio nei ricordi. È l'unico posto dove i colori sono ancora gli stessi e le persone ancora definite. Ho un archivio di ricordi fotografati accuratamente nel corso della mia esistenza. Reperti dal millennio passato. Ci navigo tra cartelle organizzate per argomento. Passo ore così. Ricordando. Ricordo ad esempio quando tutto questo calvario era iniziato una qundicina di anni fa. Ricordo che la luce era troppo forte e non riuscivo ad andare in giro durante il giorno. Di notte entravo al cinema indossando gli occhiali da sole perché la luce dello schermo era lame che infilzavano la retina. In quel periodo, quello che inizialmente fu solo un'eredità degli anni 90, documentare divenne un vero e proprio obbiettivo. Fotografare tutto per non perdere niente. Non riuscivo a godermi quello che stavo vivendo completamente ma potevo fotografarlo e poi, la notte, abbassando la luminosità dello schermo al minimo, potevo ripercorrere lo scattato e comprendere quello che avevo vissuto. Ho vissuto sempre in due tempi diversi. Il primo nel momento stesso in cui accadeva, incapace però di comprenderlo pienamente, il secondo quando il momento era passato, rivivendolo attraverso i ricordi, aggiungendo i sensi mancanti. Questa modalità di vivere comporta il subentrare di un ingrediente tanto saporito quanto terribile: la nostalgia. Io ero in quelle foto. Ero dietro l'obbiettivo ok, ma io ero lì, incapace di godermelo eppure c'ero! Così, quando ripercorrevo, mi mancava non esserci stato davvero. Poi ahimè si è ripercosso su tutto. Anche nei periodi in cui la vista non ha grossi problemi, resto sempre distante. Non mi fido di quello che sto vivendo perché preferisco diventi un ricordo in cui aggiungere tutta la nostalgia che voglio a mio piacimento.
Equivale a vivere in tempi diversi. Ho perso fiducia nel futuro. L'ho dovuta ridimensionare davanti a un'altra terapia fallita. Io davvero ci speravo questa volta ma poi lo dico sempre che ci spero. Non sono cinico come sembro. Sono un cinico a posteriori. Accade qualcosa di brutto e dico "Ah ma tanto lo sapevo che andava così" e in realtà non sapevo niente, anzi, nel mio cuoricino di adolescente pulsava linfa di speranza. Come un coglioncello. Ci speravo in questa terapia perché non mi sarebbe dispiaciuto avere un pensiero in meno. Ma poi, se le cose fossero andate bene, che me ne sarei fatto del bene? Io il bene non me lo so godere. Sembro uno di quelli che inviti a cena, gli metti il piatto in tavola e lui aggiunge subito altro sale senza nemmeno aver assaggiato. Giusto perché deve rovinare quello che riceve. Questa terapia doveva funzionare ma poi sai che palle che mi sarebbero venute ad andare in giro e magari godermi quello che c'era attorno?
Al telefono con mia madre non riesco a sorridere, mi dice che le manca il Matteo che fa lo scemo e fa battute. Manca anche a me quel Matteo. Mi manca non poterlo chiamare e fargli fare il suo spettacolino per tranquillizzare i genitori e per fortuna stiamo a centinaia di chilometri di distanza così questi contatti si centellinano altrimenti dovrebbero confrontarsi con un uomo che giace per la maggior parte del tempo sul divano con il telefono quasi schiacciato in faccia per riuscire a guardare video da qualche social network asiatico. Non mi piace avere gente attorno a me quando sto così. Non mi piace dover spiegare cosa si prova e quello che odio più di tutto è quando mi viene fatto presente che potrebbe essere molto peggio. Lo so cazzo. Tutto potrebbe essere molto peggio. Ma molto potrebbe anche essere non dico meglio ma almeno evitare di rompere il cazzo.
Ti chiudi in te stesso e non vuoi dire come stai. Almeno riesco a scrivere. Ci sono alti e bassi. Oramai questa tecnica di scrittura simile a un diario mi aiuta a tenere traccia delle maree della mia salute. Non voglio dimenticare i precedenti del male per ricordare che poi, forse, se si è fortunati, passa tutto. Bisogna ritirarsi nella propria caverna, mentale o reale, e aspettare. Avere sempre pazienza. Questa estate ho avuto un paio di momenti dove sono stato davvero bene e me li sono appuntati perché non scappassero durante i periodi bui. Bui sul serio. Bui come il bar dove mi rinchiudo a scrivere scappando dal timido sole viennese. Mi costringo a ricordare attraverso le foto, gli archivi, le pagine del diario, i tatuaggi. Il mio corpo è una mappa del tesoro, nascosti tra i rotolini di ciccia ci sono racconti, amori del passato, battute. Devo ricordare.
Quando mia nonna si è ammalata di Alzheimer ho capito che quello sarebbe stato il mio inferno. Perdere pezzi del mio passato, della mia identità. Certo, sarebbe stato un allegerirsi, ma il prezzo è troppo alto. Dimenticare i nomi delle persone a cui voglio bene. Dimenticare dove sta il bagno. Dimenticare il tuo piatto preferito.
Vorrei la mia testa funzionasse esattamente come le cartelle dove deposito quello che non voglio perdere. Sperando che nessun virus o difetto dell'hardware accorra. Vorrei salvare tutto per i momenti difficili. Organizzare per data e importanza. Alcune cartelle le avrei nascoste o addirittura cancellate. Le volte in cui ti ho fatta piangere. Le volte in cui non sono stato abbastanza. La foto che ho scattato quando hai detto che non mi amavi più, che ho scattato per commerare quel dolore mentre tutti e due stavamo sorridendo. Come quando scatto un ritratto davanti allo specchio per poi guardare nel telefono che aspetto ho, come sto invecchiando. Se la mia testa fosse organizzata così io sarei più tranquillo. Non avrei paura di un eventuale peggioramento della mia condizione perché tanto potrei andare sul desktop e cliccare da qualche parte un'icona gigantesca (per facilitarne l'individuazione) e navigherei in quel mare, remando tra momenti pessimi e momenti lontanamente buoni.
La musica aiuta. È autoreferenziale lo so, ma anche la musica che ho scritto io mi aiuta. Riascolto alcune tracce sperando di poterle tornare a suonare. Accadrà. Lo so. Lo sento. Quando non vedo mi torna il bisogno di cantare. Che rottura di cazzo deve essere avermi accanto. Non biasimo il mio gatto che mi odia e anzi, lo capisco. Ha sempre fame. Costantemente. Io oramai lo accontento e basta, ho provato a dargli delle regole, a farlo dimagrire, ma poi ho pensato, cosa è meglio per lui? Una vita breve ma piena di cibo e quindi rilassata, oppure una vita lunga e sana ma sempre dietro a chiedere di essere nutrito e insoddisfatto? Sai quando pensi di fare il bene per qualcun altro e allora prendi una decisione ma poi non serve a nulla perché comunque non rendi l'altro felice perché prova tu a spiegare che ci vuole tempo perché le cose migliorino a chi non ha idea di cosa sia il tempo perché è una palla di pelo rossastro.
Scrivere di getto mi aiuta. Sono i discorsi che non sto facendo a nessuno perché non riesco a comunicare con nessuno e che non voglio neanche fare a un essere umano reale voglio scriverli perché scrivendoli resteranno. Potrò rileggerli. Ti immagini andare da una persona e dirle "Oh senti ti ricordi quello che ti avevo detto quella volta che non stavo tanto bene e allora mi sono messo a parlare di come mi piacerebbe avere un sistema di archiviazione nel mio cervello simile a..." e poi mi fermerei perché anche meno dai. Trattieniti. Forse sono sempre stato questa forma di scrittore. Uno a cui piace parlare da solo. O parlare con se stesso. Che ha diverse personalità che entrano in scena quando le cose si complicano.
Non c'è una nuova terapia all'orizzonte. Quella che è fallita era l'ultima speranza. Allora si torna indietro. Si prova una terapia che era fallita anni fa. Proprio agli inizi della mia carriera di malato cronico. La provo adesso, quindici anni dopo, anche perché non ricordo esattamente cosa andò storto all'epoca perché non avevo preso appunti a riguardo! Errore fatale! Adesso invece ho imparato e scriverò tutto e poi lo confronterò tra altri quindici anni quando tornerò a provare la stessa terapia per la terza volta. Si spera io sia vivo tra quindici anni e che non sia diventato un calcolatore elettronico strabordante di cartelle contenenti foto e testi e tracce audio.
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elperegrinodedios · 4 months ago
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La mia dimora della notte passata in bianco per il caldo e l'afa infernale. Il pensiero di te, o luogo incantato, dove l'aria è fresca e frizzantina, dove i sogni sono paradisiaci e le emozioni senza fine.
lan ✍️
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papesatan · 6 months ago
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Trovo che nulla parli di noi come le nostre lacrime. Di conseguenza, ho deciso di trascrivere qui una lista di eventi e situazioni che mi fanno piangere inconsolabilmente:
le lettere scritte da mia madre e nascoste in un vecchio diario di scuola, quando andavo ancora alle medie. Le ho scoperte soltanto pochi mesi fa, riaprendolo casualmente, e sono scoppiato a piangere,
il finale di Mary Poppins, quando dopo essere stato licenziato, il signor Banks torna a casa con l’aquilone finalmente riparato e comincia a giocare coi figli, correndo fuori con loro per farlo volare nel parco (scena tuttora inguardabile per me senza cominciare a frignare),
gli abbracci alla stazione,
l’episodio di Doraemon in cui Nobita vorrebbe ringraziare la persona che, durante una gita all’asilo, lo aiutò a rialzarsi, scacciando i bruchi pelosi che lo ricoprivano. Tuttavia, Nobita non riesce a ricordare il suo volto, così Doraemon gli offre l’opportunità d’incontrare chiunque voglia nella Stanza del Rivedersi,
la perduta innocenza,
il finale dell’Uomo dei Sogni, quando Ray incontra suo padre, morto da tempo, e prima che questi svanisca gli chiede: “Ehi papà, vuoi giocare un po’ con me?” (tema a quanto pare ricorrente, dovrei forse dedurne qualcosa?),
l’inesorabile decadimento fisico e psichico dei miei genitori, ormai pressoché anziani,
la tenerezza del mio cagnolino e la consapevolezza della sua ineluttabile caducità, 
questo mio talento letterario negletto e sprecato, gettato ormai ad appassire come giardino incolto,
il finale della terza stagione di Person of Interest, quando Samaritan sembra aver ormai vinto, ma il monologo di Root ci ricorda che nonostante tutto il male che ci opprime, non dobbiamo mai smettere di sperare,
Exit music for a film dei Radiohead, dal minuto 2:50, ovvero lo smanioso desiderio di rivalsa che da sempre m’avvampa e mi corrode animo e viscere dopo ogni mortificante derisione, al pensiero che sì, un giorno tutti sapranno, e allora, beh, gliela farò vedere io… (me ne rendo conto, di solito è così che nascono i serial killer). Questa parte, ad ogni modo, mi emoziona a tal punto da avermi spinto a scrivere il finale della mia storia: “Un ventoso mattino di settembre, i servi del marchese  avrebbero forzato le porte dello studio, ove il misero scrittore soleva rinchiudersi di notte, e lo avrebbero trovato morto, riverso fra le sue carte in una pozza di vomito. Spalancate le finestre a lutto, i poveri disgraziati sarebbero stati travolti allora dall'empia ferocia di quegli astiosi fogli sdegnati dal tempo e, così finalmente libere, pagine e pagine d'inchiostro si sarebbero riversate in strada, pronte a prender d'assalto case e negozi, scuole e caserme, mulinando burrascose sulla città, fra le strida dei borghesi impazziti e le urla dei bambini accalcati contro i vetri, fino a seppellire il mondo, terra e cielo, sotto cumuli di scritti dissotterati dal fuoco e dagli abissi”,
la morte di Due Calzini in Balla coi lupi (e il tema ad esso collegato), quando il lupo segue fedelmente Dunbar ormai prigioniero e i soldati gli sparano addosso per dimostrare la loro tonitruante possenza di coraggiosissimi esseri umani supercazzuti, finché non l’ammazzano senza pietà. 
la lettera di Valerie da V per Vendetta, (credo non occorrano spiegazioni né commenti qui),
la mia sciagurata impotenza dinanzi al dolore degli amici,
la morte del commissario Ginz ne Il dottor Živago: “Soldati armati di fucili lo seguivano. ‘Cosa vorranno?’ pensò Ginz e accelerò il passo. Lo stesso fecero i suoi inseguitori. [...] Dalla stazione gli facevano segno di entrare, lo avrebbero messo in salvo. Ma di nuovo il senso dell’onore, educato attraverso generazioni, [...] gli sbarrò la via della salvezza. Con uno sforzo sovrumano cercò di calmare il tremito del cuore in tumulto. Pensò: ‘Bisognerebbe gridargli: - Fratelli, tornate in voi, come volete che sia una spia! - Qualcosa di sincero, capace di svelenirli, di fermarli.��� [...] Davanti all’ingresso della stazione si trovava un’alta botte chiusa da un coperchio. Ginz vi balzò sopra e rivolse ai soldati alcune parole sconvolgenti, fuori dell’umano. Il folle ardire del suo appello, a due passi dalle porte della stazione, dove avrebbe potuto rifugiarsi, sbigottì gli inseguitori. I soldati abbassarono i fucili. Ma Ginz si spostò sull’orlo del coperchio della botte e lo ribaltò. Una gamba gli scivolò nell’acqua, l’altra rimase penzoloni fuori della botte. [...] I soldati accolsero la sua goffa caduta con uno scroscio di risate: il primo lo colpì al collo, uccidendolo. Gli altri gli si gettarono sopra per trafiggere il morto a baionettate”. Non riesco a dire come questa fine mi commuova, ma credo abbia a che fare con goffaggine, spietatezza e umiliazione, cose che mi colpiscono tutte enormemente,
l’episodio de La casa nella prateria, in cui il signor Ingalls realizza una scarpa speciale per la piccola Olga che zoppica a causa di un’asimmetria nelle gambe. Il padre però non vuole che giochi con le altre bambine perché teme possano deriderla o che, ancor peggio, possa farsi male. Aggredisce così il signor Ingalls per essersi intromesso, ma all’improvviso vedendo la figlia giocare felice in cortile, muta espressione commuovendosi profondamente, ed io con lui. È la gioia d’un padre che comprende che sua figlia è finalmente felice. 
la vittoria dell’Italia alle olimpiadi di Torino 2006 nel pattinaggio di velocità, inseguimento a squadre maschile. Avevo 17 anni, avevo finito da poco i compiti e non so perché, restai paralizzato di fronte alla tv ad ammirare l’impresa di Enrico Fabris e compagni, esplodendo poi in un inspiegabile pianto liberatorio che ancora oggi sa per me d’imponderabile (disciplina mai più seguita, che quel giorno però mi regalò un’emozione eguagliata solo dall’oro di Jacobs nel ‘21 - senza lacrime),
la canzone Ave Maria, donna dell’attesa: dal matrimonio di mia sorella ad oggi son passati sette mesi, eppure questa canzone mi fa ancora lo stesso perturbante effetto, scuotendomi ogni santa volta.
Isengard Unleashed dalla colonna sonora del Signore degli Anelli, in particolare, il momento coincidente con la marcia degli Ent (vedi sogni di furiosa rivalsa), dal minuto 2:18,
la comprensione altrui,
ogniqualvolta ho dovuto accompagnare qualcuno all’Eterna Porta e dirgli addio in Spiritfarer,
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trovare ricci spiaccicati sulla strada,
gli immarcescibili sensi di colpa per la morte del gattino Figaro, quando avevo cinque anni,
le storie di grandi insegnanti, capaci di lasciare tracce di sé nei loro alunni.
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ellmick · 1 year ago
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Com'è difficile evitare di mettere consapevolmente in atto quei comportamenti tossici che non faranno altro che peggiorare la situazione.
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maohf44 · 5 months ago
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Sono inaffidabile, rimango troppo spesso prigioniero dei miei pensieri.
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luluemarlene · 9 months ago
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C'è una persona, dove lavoro io, di una decina d'anni meno di me, con la quale sono entrata in confidenza
Scoperto di essere molto simili in tema di fantasie sessuali , abbiamo iniziato a raccontarci un po' di esperienze. Quello che lo distingue totalmente da me è che lui, le sue avventure, le vive con la bella e giovane moglie o comunque sempre con il suo consenso.
Sono naturisti, scambisti, e mi ha raccontato di giochetti che, devo ammettere mi hanno eccitato sempre molto
Una volta mi disse che avevano partecipato ad un festino dove la bella S. era stata messa in una gogna ed era rimasta a disposizione di uomini e donne per ore. Insomma hanno trovato il modo di dare spazio alle loro perversioni all'interno della coppia, ed io non posso far altro che invidiarli, ovviamente.
Lui aveva 23 anni quando mi confessò che gli facevo molto sangue e da allora non ha mai smesso di scoparmi con gli occhi. Era già fidanzato, ma dopo il matrimonio ha iniziato a provare a tirarmi dentro ai loro giochi con la complicità della neo mogliettina , ma nn mi sono mai sentita di mischiare il lavoro con il piacere, nonostante abbia sempre trovato piuttosto eccitante il suo sorriso con le fossette ai lati.
Insomma, per farla breve (sono quasi le due di notte e io crepo dal sonno) , ieri gli parlo delle fotografie viste su un social a contenuti espliciti che frequento, di gabbiette in plastica lucida o in freddo metallo e dei cazzi rinchiusi e frustrati su cui erano montate.
Conosce il mio passato, sa che ne possedevo una e sa che sto aspettando la consegna della prossima , così ho trovato piuttosto naturale raccontargli di quanto il mio cervello si senta "rapito" da quel tipo di strumento, gli ribadisco la sensazione di onnipotenza, di possesso ma anche di protezione . La verità è che al pensiero mi schizza l'ormone dritto in fica, dopo avermi masturbato il cervello.
Lo stesso effetto che mi fa pensare alla cintura di castità, quando mi impedisce di scopare, ma non di gocciolare come una stalagtite di ghiaccio al sole o... una lurida troia .
So che ha uno strumento simile alla gabbietta che si è autocostruito, con tutta una serie di punte che, ogni volta che sta per diventargli duro, si conficcano nella cappella.
Una gabbietta di metallo alquanto singolare.
Mi racconta che spera sempre che sua moglie lo obblighi a venirci a lavorare con quel coso. Lei, però, è sí una gran porca, ma nn ha smanie di controllo, e poi è nuovamente incinta e ha momentaneamente perso interesse per questi giochi.
Naturalmente non posso esimermi dal fare la stronza e gli dico cosa gli farei fare io con lo strumento costrittivo.
Credo che iniziata la descrizione della mia lingua tra una fessura e l'altra gli fosse già diventato duro, così passo a descrivere bene quanto il succhiare la punta sbavando saliva dentro e fuori lo strumento potesse essere davvero eccitante per entrambi... Ecco che mi manda affanculo e esce dall'ufficio ridendo.
Tutto normale insomma.
Questa mattina, però, entra in ufficio e mi mette sulla scrivania un paio di chiavi.
Il mio sguardo interrogativo dura davvero pochissimo e in un nano secondo so già a cosa servono
"L'hai indossata? "
Dice di no ma mi spiega che ne ha portate 3:
la prima, quella con le punte, già la conosco, la seconda è una vera e propria gabbia di metallo con chiusura personalizzata da lui, la terza è un cazzo di strumento ad impulsi elettrici, quella per i cani, che ha modificato e applicato ad una gabbietta per poterla indossare
Tralasciamo il fatto che avessi già le mutandine zuppe, ma quando mi ha chiesto di scegliere quale dovesse mettere, ho davvero pensato di correre nel cesso a masturbarmi
(in realtà l'ho fatto ma non gliel'ho detto)
Mi ha detto che l'altro mazzo di chiavi ce l'ha sua moglie e che per lei andava bene ne tenessi uno io.
Ho scelto quella con le punte, perché volevo soffrisse un po'
e perché mi ha confessato di non sentirsi sicuro a darmi in mano il telecomando di quello che procura scosse elettriche. Dice che sono PERICOLOSA e che sul lavoro sarebbe difficile nascondere la situazione
Quanta saggezza!
Io lo vedevo già in ginocchio a contorcersi in mezzo al piazzale dell'azienda.
Gli ho promesso che, se si comporterà bene, lo porterò a pranzo fuori e quando "ballerrà" sulla sedia col cazzo torturato a dovere, diremo che soffre di
epilessia 😁
Ovviamente ho cercato, con le giuste parole, di farglielo venire duro ogni volta che potevo e le sue smorfie di dolore mi dicevano quando ci riuscivo. Poi gli ho detto che, tutto divertente, tutto figo, ma comunque, non avremmo scopato .
Mi ha guardato con quel sorriso che da sempre mi spiazza e uscendo ha detto
"Inizia a giocare, poi vediamo"
Durante il pomeriggio sono salita in magazzino per controllare del vestiario e non riuscivo a smettere di pensare a quella gabbietta
I pensieri si accavallavano ai ricordi di quello che era stato , e potevo sentire l'odore del cazzo recluso, sentivo il gusto della plastica mischiata all'urina
Ho pensato che dovevo masturbarmi e voltamdomi per andare via me lo sono trovato di fronte
-"Vuoi vederlo" ?
Si cazzo, volevo!
Volevo vederlo, toccarlo assaporarlo
Vedevo la sua smorfia si dolore mentre aspettavo si slacciasse i pantaloni, guardavo le sue mani tremare ed ero compiaciuta.
Poi eccolo lì, nella gabbia lucente, chiuso da un lucchetto appeso al suo piercing
Ops!! avevo dimenticato di dirvi che ha una cannula che gli entra nell'uretra fermato da un piercing ? Cristo. Avrei potuto sborrare immediatamente .
Lo guardavo come guardo la cioccolata dopo un mese di dieta e credo di aver sentito un rivolo di saliva colarmi dal mento
"Vuoi toccarlo"?
Lo stronzo aveva pieno potere: era lui quello ingabbiato, ma ero io quella sopraffatta, soggiogata
Appena l'ho toccato ho sentito il mio clitoride allungarsi verso quell'oggetto diabolico
La capella era gonfia e bollente, usciva dal cilindro e nascondeva le punte del metallo conficcato alla base di essa
Un cazzo moscio che stava per esplodere!!!
"Vuoi leccarlo"?
L'ha detto tra i denti, mentre cercava di non abbandonarsi al dolore, consapevole fosse proprio quello ad eccitarlo tanto da farlo grugnire come un maiale
L'ho leccato. Ho preso prima in bocca l'anello e poi sono scesa lunga la cannula, fino ad incontrare la carne
Respirava sempre più forte e guardandolo mi sembrava che ormai non fosse più lì. Ero sola con le mie voglie, le mie fantasie, le mie pulsioni.
Ho sentito le chiavi nella tasca, ma questa volta non avrei ceduto all'impulso di liberazione così ho iniziato a succhiare cazzo e metallo, sentendo gusto di ferro, di sale, di sesso
Ho infilato tutto in bocca, ho sentito il piercing conficcarsi nel retro della gola
Lui aveva la testa rovesciata all'indietro e vacillava sulle gambe. Lì ho iniziato a pisciare, a colarmi addosso urina senza nemmeno accorgermene.
Ho battezzato il momento col liquido paglierino e masturbandomi ho fregato il mio sesso tanto forte da rischiare di incendiarlo.
Mi ha distratto il gusto del sangue, il suo.
Da sotto la capella le punte erano così penetrate e la cappella così gonfia che da alcuni punti uscivano minuscole goccioline rosse
Credo sia stato quello a farmi venire, insieme all'idea che avrei confessato tutto all'uomo che stavo aspettando e che poi mi avrebbe punita.
Gli ho lavato le scarpe e ho goduto come una cagna, leccandomi le dita, e leccando lui.
Si è appoggiato ad una stagiera per non cadere e ammetto, per un momento, di essermi maledetta per non avergli permesso di sborrarmi giù per la gola.
Mi ha guardato con gli occhi fuori dalle orbite e ha detto :
"Ringrazio il cielo di non averti dato in mano quello ad impulsi elettrici... rischiavo la vita, cazzo"
Buonanotte.
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