#pechino 2022
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Il presidente dell'Argentina Javier Milei ha richiesto che ispettori governativi entrino nella stazione spaziale cinese extraterritoriale, la “Espacio Lejano Station”, situata nella provincia di Neuquén. L’area di due chilometri quadrati è stata concessa alla Cina nel 2014 e da allora nessuno si è più potuto avvicinare alla base.
Spiega Giulia Pompili sul Foglio che il presidente Milei trova che questa struttura misteriosa somigli molto a Costa Rossa, la base militare top secret cinese che è la vera protagonista de “Il problema dei tre corpi”, romanzo di Liu Cixin diventato una delle serie tv più viste e discusse su Netflix. Dunque sarebbe determinato a scoprire quello che effettivamente fanno i cinesi là dentro.
Secondo Pechino la Espacio Lejano Station ha scopi “rigorosamente scientifici”, ma diverse fonti e inchieste giornalistiche, hanno però rivelato che la base avrebbe in realtà una funzione militare, e soprattutto ce l’avrebbe l’antenna istallata lì dalla Cina nel 2017, dal diametro di 35 metri. Il sospetto principale riguarda il fatto che nonostante più volte Pechino avesse promesso di aprire al pubblico e ai visitatori l’area di ricerca, in realtà nessuno può avvicinarcisi. Per questo Milei non ha escluso un’ispezione di suoi funzionari che non sarà come quella che ci fu nel 2019 e nel 2022, quando però al governo in Argentina c’erano amministrazioni particolarmente compiacenti con la Repubblica popolare cinese.
via https://www.liberoquotidiano.it/news/esteri/39000678/javier-milei-ispezione-stazione-top-secret-cina-argentina.html
Milei sputtana i cretinos che ovunque han svenduto e svenderebbero per due lire la sicurezza loro e del mondo ai chinago.
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LA CINA CI SCRIVE
Non capita tutti i giorni che il Global Times – l’organo di stampa del governo cinese – dedichi un articolo in homepage all’Italia. E purtoppo il titolo era tutt’altro che incoraggiante:
“Non permettete che l’abbandono del BRI possa diventare per l’Italia un motivo di pentimento” . (BRI sta per “Belt and Road Initiative”, cioè l’accordo commerciale italo-cinese, da noi soprannominato “Via della seta��).
L’articolo cinese critica le recenti dichiarazioni del ministro Crosetto, che si è detto contrario all’accordo in un’intervista al Corriere della Sera. Come scrive Giorgio Bianchi : “Non si e' fatta attendere la risposta cinese alle dichiarazioni offensive fatte da Crosetto nell'intervista al Corriere. Il Ministro della Difesa, avventurandosi in un campo che non conosce e non gli compete, quello dell'economia e del commercio, aveva definito l'adesione dell'Italia alla Via della Seta una decisione "improvvisata e scellerata" e aveva snocciolato una serie di falsita' sulla mancanza di benefici per l'Italia.”
Nell’articolo, il Global Times smentisce apertamente i dati dichiarati da Crosetto:
“Crosetto ha affermato che la BRI ha moltiplicato le esportazioni cinesi verso l'Italia, ma non ha avuto lo stesso effetto sulle esportazioni italiane verso la Cina. Ma in realtà, per più di quattro anni, il volume degli scambi bilaterali tra Cina e Italia ha ripetutamente raggiunto nuovi massimi. Dal 2019 al 2022 è aumentato di quasi il 42% in controtendenza. L'anno scorso ha raggiunto quasi 78 miliardi di dollari. Dal 2019 al 2021 le esportazioni italiane verso la Cina sono aumentate del 42%. Nei primi cinque mesi di quest'anno, le esportazioni italiane verso la Cina sono aumentate significativamente del 58%. Queste cifre riflettono inconfutabilmente il forte effetto della BRI, che non è affatto quello che ha detto Crosetto.”
Dopodichè il Global Times va dritto al punto, ovvero la situazione di sudditanza dell’Italia rispetto agli USA:
“Anche la tempistica della retorica di Crosetto è dubbia, e dietro ovviamente ci sono gli Stati Uniti. … Dopo l'incontro con il presidente Usa Joe Biden, la Meloni ha detto che il governo italiano prenderà una decisione sulla Bri entro dicembre, sottolineando di "mantenere aperto un dialogo costruttivo con Pechino" e rivelando la volontà di visitare la Cina. Ciò riflette anche l'attuale dilemma dell'Italia: vuole il riconoscimento politico di Washington, ma non è disposta a rinunciare alla cooperazione economica con la Cina, e non vuole sceglierne solo una. È chiaro chi è responsabile della difficile situazione attuale dell'Italia. Da quando l’Italia ha deciso di aderire alla BRI, nel 2019, gli Stati Uniti hanno esercitato una forte pressione su di essa e hanno quasi etichettato l'Italia come un "traditore dell'Occidente". A quel tempo, il New York Times descrisse addirittura l'Italia come un "cavallo di Troia" del mondo occidentale, "che consente all'espansione economica - e potenzialmente militare e politica - della Cina di raggiungere il cuore dell'Europa". Dopo il cambio di governo italiano, Washington ha visto un'opportunità e ha intensificato le pressioni su di essa. Poco prima della visita di Meloni negli Stati Uniti, John Kirby, direttore delle comunicazioni strategiche del Consiglio di sicurezza nazionale, ha pubblicamente "istruito" l'Italia sulla "mancanza di ricompensa per le partnership economiche con la Cina" e ha detto che "abbiamo creato un'alternativa".
Il Global Times conclude dandoci dei “suggerimenti amichevoli”:
“Essendo l'unico paese del G7 che ha firmato il Memorandum sulla BRI, la priorità dell'Italia nelle relazioni estere della Cina e lo stato delle relazioni Cina-Italia nelle relazioni Cina-UE sono stati notevolmente migliorati, con molti effetti positivi diretti e indiretti. Inoltre pone l'Italia in una posizione unica e vantaggiosa per collegare l'Oriente e l'Occidente. Se guardiamo solo da un punto di vista pragmatico e puramente dagli interessi nazionali dell'Italia, l'adesione alla BRI è senza dubbio vantaggiosa. Ma se si mescola con la geopolitica e la pressione e la coercizione degli Stati Uniti, le cose si complicheranno. Ci auguriamo che l'Italia possa prendere una decisione razionale senza interferenze esterne. Questo è il momento di mettere alla prova la saggezza politica e l'autonomia diplomatica dell'Italia.”
Parole sante. Ma di quale “saggezza politica e autonomia diplomatica” stiamo parlando?
Massimo Mazzucco
https://www.globaltimes.cn/page/202308/1295423.shtml
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“ Per Pechino Taiwan è cinese dal 1683, quando fu conquistata dalla dinastia Qing, che però non ne fece una priorità. Assegnata come prefettura alla provincia del Fujian (Fokien), ivi integrata nel 1887, otto anni prima della cessione al Giappone (1895-1945), prima dell’arroccamento nell’isola e nei suoi arcipelaghi dei nazionalisti del Guomindang sconfitti da Mao nel 1949. Quanto basta a battezzarla recuperanda dalla Repubblica Popolare Cinese, cui non è mai appartenuta. Pechino legittima tale pretesa con la continuità pentamillenaria della Cina, indipendentemente dalle dinastie o dai regimi al potere. Altra invenzione recente, distillata dalla propaganda della Prima Repubblica di Cina fondata nel 1911 da Sun Yat-sen. E ripresa entro diversa costellazione ideologica nella Cina di Mao subito dopo la morte del suo fondatore, che pretendeva di aver inaugurato la Nuova Cina. Oggi Xi Jinping insiste sui cinquemila anni di ininterrotta continuità del Drago. Vale la pena riportarne lo scambio di battute con Donald Trump nella Città Proibita di Pechino. È l’11 agosto 2017. Trump: “La Cina può tracciare la sua storia fino a cinquemila anni fa”. Xi: “La Cina ha una storia documentata di più di tremila anni”. Trump: “Credo che la cultura più antica, si dice, sia l’Egitto, con ottomila anni”. Xi: “Sì, l’Egitto è un poco più antico della Cina. Ma la civiltà cinese è una durevole cultura unica al mondo tramandata costantemente attraverso le generazioni”. Trump: “Dunque questa è la vostra originaria forma di cultura”. Xi: “Sì. La gente come noi può essere ritrovata fino a cinquemila anni fa. Abbiamo gli stessi capelli neri e la stessa pelle gialla. Noi ci chiamiamo i discenti del Drago”. Trump: “Grande!”. * È notevole come i capi di due imperi rivali trovino un linguaggio comune sulla profondità delle radici storiche che distingue le grandi civiltà. In questo ovviamente l’America non può competere, sicché l’apertura di gioco di Trump è da intendersi come atto di cortesia, subito avvelenato dall’evocazione dell’anzianità (esagerata) dell’Egitto. Eco a quattro decenni di distanza dell’altrettanto significativa battuta con cui il primo ministro Zhou Enlai si rivolse a Kissinger, inaugurando il primo “disgelo” sino-americano, per cui l’America era più antica della Cina perché aveva due secoli di storia contro i ventitré anni della Repubblica Popolare. Altra epoca, quando al regime di Mao interessava marcare la rottura con il passato imperiale e poi nazionalista, sicché il battesimo della “Nuova Cina”, nel 1949, s’ergeva a ora zero. “
* La conversazione fra Xi Jinping e Trump è ripresa in diretta l’11 agosto 2017 dalla televisione di Stato cinese Cgtn (China Global Television Network) strumento di influenza rivolto al resto del mondo. Cfr. https://news.cgtn.com/news/3267444f34597a6333566d54/share_p.html
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Lucio Caracciolo, La pace è finita. Così ricomincia la storia in Europa, Feltrinelli (collana Varia), novembre 2022. [Libro elettronico]
NOTA: il testo contiene un refuso, la data della visita del presidente Trump alla Città Proibita non risale all’11 agosto (11/8) ma all’8 novembre (8/11) del 2017.
#letture#scritti saggistici#saggistica#saggi brevi#geopolitica#Lucio Caracciolo#leggere#citazioni#Donald Trump#Cina#Repubblica Popolare Cinese#Xi Jinping#Taiwan#nazionalismo#relazioni internazionali#Pechino#Mao Zedong#Mao Tse-tung#La pace è finita#Sun Yat-sen#Città Proibita#tradizioni#libri#Stati Uniti d'America#grandi civiltà#Zhou Enlai#civiltà cinese#imperialismo americano#antico Egitto#storia
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Dopo sedici mesi torna per la seconda volta a Mosca il cardinale Zuppi
Nuova missione del cardinale Zuppi nell'ambito dell'iniziativa umanitaria della Santa Sede per trovare vie di pace per l’Ucraina martoriata. Lo rende noto il direttore della Sala Stampa vaticana, Matteo Bruni: “Confermo - si legge in una dichiarazione - che il cardinale Matteo Zuppi ha iniziato oggi una nuova visita a Mosca, nel quadro della missione affidatagli da Papa Francesco l'anno scorso, per incontrare le autorità e valutare ulteriori sforzi per favorire il ricongiungimento familiare dei bambini ucraini e lo scambio di prigionieri, in vista del raggiungimento della tanto sperata pace”. Il primo incontro incontro avuto dal cardinale a Mosca oggi è stato con il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov. Lo ha reso noto il Ministero degli Esteri russo, sottolineando che i due hanno discusso della "cooperazione nella sfera umanitaria nel contesto del conflitto in Ucraina" e altre questioni sulla scena internazionale. Nella stessa nota viene rimarcato "lo sviluppo costruttivo del dialogo tra Russia e Vaticano". La missione del giugno 2023 Zuppi era già stato a Mosca il 28 e 29 giugno 2023, seconda tappa della sua missione dopo quella a Kyiv, durante la quale aveva avuto un incontro pure con il presidente Volodymyr Zelensky, e prima dei viaggi nei mesi successivi a Washington e Pechino. Nelle 48 ore in terra russa, il porporato aveva avuto un incontro con Kirill, patriarca di Mosca e di tutta la Rus'. Un incontro “fruttuoso”, lo definiva la Santa Sede in un comunicato, in cui si sottolineava che il cardinale aveva trasmesso a Kirill “il saluto del Santo Padre”; con il patriarca l’emissario del Pontefice si era “intrattenuto su iniziative umanitarie che possano facilitare una soluzione pacifica”. Il colloquio con il commissario per i diritti del bambino Il cardinale aveva poi avuto due incontri istituzionali separati, prima con Yuri Ushakov, assistente del presidente Vladimir Putin per gli affari di politica estera, e poi con Maria Lvova-Belova, commissario per i diritti del bambino. In quei colloqui era stato fortemente sottolineato l’aspetto umanitario dell’iniziativa, nonché l’esigenza di poter pervenire alla “tanto desiderata pace”. In particolare con Lvova-Belova – riferiva quel giorno il sito del commissario, pubblicando la foto della visita del cardinale – Zuppi aveva discusso le cosiddette questioni umanitarie relative alle “operazioni militari” e alla tutela dei diritti dei bambini. L’attenzione era, cioè, sul tema degli oltre 19 mila minori ucraini portati con la forza in Russia, questione per cui il presidente Zelensky ha chiesto l’aiuto della Santa Sede nell'udienza di maggio 2023 con Papa Francesco. Una richiesta ribadita anche nell’udienza con il Pontefice in Vaticano di venerdì scorso, durante la quale il leader ucraino ha centrato il focus su tutti i prigionieri ucraini. Non solo i bambini, ma anche i giornalisti. I risultati degli "sforzi" diplomatici Grazie al canale aperto da Zuppi, un certo numero di bambini ucraini trasferiti in Russia dalle forze di occupazione è potuto tornare a casa. Nei mesi scorsi, la vicepresidente del Parlamento ucraino Olena Kondratiuk - rendendo pubblico un incontro a Roma con il presidente della CEI – aveva ringraziato il cardinale sottolineando che la “diplomazia umanitaria” della Santa Sede ha dato risultati rilevanti. Tra questi, anche la liberazione dei due sacerdoti redentoristi arrestati nel novembre 2022 e rilasciati dalla Russia in uno scambio di prigionieri con l’Ucraina il 29 giugno scorso. Un risultato per il quale Zelensky stesso aveva espresso gratitudine alla Santa Sede per i suoi “sforzi”. Rispetto dei diritti umani Insomma il viaggio ha avviato un meccanismo, “lento” come ha avuto modo di dire in varie occasioni il cardinale Segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, ma che va avanti. Proprio Parolin a settembre ha avuto una video-conferenza con Tatiana Moskalkova, commissaria per i diritti umani della Federazione Russa. Durante il colloquio, ha informato quel giorno la Sala Stampa della Santa Sede, il cardinale ha ribadito la necessità di salvaguardare, nel contesto del conflitto, i diritti umani fondamentali sanciti dalle Convenzioni Internazionali. Read the full article
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La decisione di Putin di usare le forniture di gas come un’arma per ricattare l’Europa è stata un totale fallimento, che a due anni di distanza dalla crisi energetica del 2022 ha drasticamente ridimensionato una delle principali risorse economiche e strategiche della Russia. Nel 2021 i gasdotti russi avevano trasportato nell’Unione europea e in Turchia più di 166 miliardi di mcb di gas, nel 2022 la quantità è scesa a 85 miliardi, nel 2023 è crollata a 45 miliardi.
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H-6 e Tu95: la combinazione mortale di bombardieri che volano intorno agli Usa Nelle ultime ore ha destato scalpore l’avvistamento di bombardieri russi e cinesi che hanno effettuato un pattugliamento congiunto tra il continente asiatico e quello americano, non lontano dallo Stato dell'Alaska. Nel caso specifico, il NORAD (North American Aerospace Defense Command) ha riferito che due Tu-95 Bears russi, accompagnati da caccia Su-35S e Su-30SM, e due bombardieri strategici H-6 cinesi sono entrati nell'Alaska Air Defense Identification Zone (ADIZ), un'area dello spazio aereo internazionale vicino al Nord America. Se è vero che la combinazione mortale rappresentata dai Tu-95 e gli H-6 sottolinea la volontà di Mosca e Pechino di stringere i muscoli, di fronte alle crescenti tensioni con la Nato, dall’altro lato è pur vero che i velivoli dei due Paesi partner in questione, in precedenza, avevano creato problemi anche ad altri alleati Usa, come Giappone e Corea del Sud. I bombardieri in azione e il messaggio di Russia e Cina Il recente volo nei pressi dell’Alaska non ha rappresentato, di fatto, una minaccia per nessuno Stato nella regione, ma parallelamente ha mostrato le capacità dei piani di impegno militare di Russia e Cina. In ogni caso, russi e cinesi hanno già effettuato azioni del genere, usando la stessa combinazione di bombardieri, nei pressi di Giappone e Corea del Sud. Nel novembre 2022, per esempio, i Tu-95MS e gli H-6K hanno effettuato "pattugliamenti congiunti" sul Mar del Giappone e sul Mar Cinese Orientale, con aerei di entrambe le nazioni atterrati sui rispettivi aeroporti. Lo scorso marzo, il generale dell'aeronautica militare, Gregory M. Guillot, capo del NORAD, avevaipotizzato che le operazioni aeree cinesi nell'ADIZ statunitense si sarebbero probabilmente verificate "già quest'anno". L'ingresso degli aerei cinesi nell'ADIZ Usa rappresenta un'espansione della portata dell'Esercito Popolare di Liberazione (PLA). Anche perché i bombardieri coinvolti in simili esercitazioni sono cruciali per le strategie militari di entrambe le nazioni rivali di Washington. Il Tu-95MS russo coincide con un asset chiave del Cremlino con capacità nucleare all'interno dell'aviazione a lungo raggio russa. I dettagli della capacità nucleare dell'H-6K della Cina sono alquanto ambigui; tuttavia, un precedente rapporto del Pentagono sull'esercito cinese si definiva la variante simile dell'H-6N come il "primo bombardiere aria-aria rifornibile con capacità nucleare" di Pechino. Tensione in aumento Come ha scritto l’Eurasian Times, oltre alle operazioni aeree, anche le truppe di terra russe e cinesi hanno aumentato la loro collaborazione. Nel 2021, l'EPL e l'esercito russo hanno partecipato alle esercitazioni ZAPAD/INTERACTION, con quest'ultima parte condotta per la prima volta sul suolo cinese. Tali hanno incluso addestramento teorico e di sistema, scambi di armi e un'esercitazione conclusiva volta a migliorare la comprensione e la cooperazione tra i due eserciti. Nel corso degli anni, tra l’altro, il PLA è entrato frequentemente nell'ADIZ di Taiwan, a volte inviando decine di aerei in un solo giorno. Gli esperti di difesa suggeriscono che queste manovre potrebbero sondare le difese taiwanesi o tentare di cullarle nella compiacenza. Questa crescente cooperazione militare tra Russia e Cina riflette insomma gli interessi strategici comuni dei due Paesi, e rivela la presenza di un fronte sempre più unito contro l'influenza degli Stati Uniti. Tornando all’episodio registrato in Alaska, gli Stati Uniti e il Canada, che compongono il Norad, hanno spiegato di aver intercettato i bombardieri russi TU-95 Bear e cinesi H-6. L'intercettazione è stata effettuata da caccia F-16 e F-35 statunitensi, e da caccia CF-18 canadesi, secondo il funzionario della difesa. I voli russi nell'Adiz dell'Alaska non sono rari. A maggio, ad esempio, la Russia ha fatto volare quattro aerei vicino all'Alaska e allora il Norad aveva detto che "si verifica regolarmente". La novità è invece la presenza di aerei cinesi.
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Russia e Cina
Pechino è diventata di fatto il principale fornitore della base industriale militare russa a seguito dell’invasione dell’Ucraina, iniziata il 24 febbraio 2022 e che, a causa delle sanzioni imposte dall’Occidente, ha determinato il ritiro delle catene di fornitura europee e statunitensi dal Paese eurasiatico. Da allora, il commercio tra la Russia e la Cina ha scalato vette importanti, arrivando a…
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Colloquio telefonico tra Xi Jinping e Joe Biden: tensione su Taiwan
Colloquio telefonico tra Xi Jinping e Joe Biden: tensione su Taiwan. Xi Jinping e Joe Biden hanno avuto una conversazione telefonica. Lo hanno riportato i media di Stato cinesi, sottolineando che «i due capi di Stato hanno avuto uno scambio di opinioni sincero e approfondito sulle relazioni Cina-Stati Uniti e su questioni di interesse comune per le due parti». La Casa Bianca ha confermato il colloquio spiegando che si tratta del loro primo colloquio telefonico dal luglio del 2022. I due leader si sono incontrati di persona l'ultima volta nel novembre 2023 in California. La questione di Taiwan «è la prima linea rossa insormontabile nelle relazioni sino-americane». Il presidente cinese Xi Jinping nella telefonata avuto in serata con l'omologo Usa Joe Biden ha assicurato che «non lasceremo che le attività separatiste, la connivenza esterna e il sostegno alle forze dell'indipendenza di Taiwan restino incontrollati». Pertanto, ha aggiunto Xi nel resoconto della Xinhua, «ci auguriamo che gli Stati Uniti mettano in pratica la dichiarazione positiva del Presidente di non sostenere l'indipendenza di Taiwan». Biden e Xi hanno avuto un confronto «franco» e «costruttivo» su molti temi. Lo riferisce la Casa Bianca, sottolineando che Biden ha messo in evidenza «l’importanza di mantenere la pace e la stabilità nello stretto di Taiwan e di rispettare la legge e la libertà di navigazione nel Mar della Cina». Biden ha sollevato con il presidente cinese Xi Jinping le preoccupazioni americane sulla cooperazione di Pechino con la Russia per ricostruire l'industria militare di base di Mosca. Lo ha detto un funzionario dell'amministrazione Usa illustrando i contenuti della conversazione telefonica fra i due leader.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Operazione Satellite, l'11 marzo all'Iic conversazione con l'autore Frediano Finucci
Di Pietro Nigro E' Operazione Satellite. I conflitti invisibili dalla Guerra Fredda all’Ucraina di Frediano Finucci il libro al centro della conversazione con l'autore che si terrà l'11 marzo all'Istituto Italiano di Cultura. Operazione Satellite. I conflitti invisibili dalla Guerra Fredda all’Ucraina: l'autore Frediano Finucci all'Istituto di Cultura di Londra Lunedi’ 11 marzo alle 18, all'Istituto di Cultura di Londra, conversazione di Frediano Finucci, autore di Operazione Satellite. I conflitti invisibili dalla Guerra Fredda all'Ucraina con Michele Groppi e Zeno Leoni - docenti del King’s College, e Antonello Guerrera, corrispondente da Londra di La Repubblica. Non solo soldati, navi e droni. Il conflitto in Ucraina è stato combattuto, sin dall’occupazione russa della Crimea, anche nello Spazio con reciproci attacchi ai satelliti civili e militari da parte di Mosca e Washington. In Operazione Satellite Frediano Finucci per la prima volta ricostruisce, con documenti inediti e fonti esclusive, le incredibili e pressoché sconosciute schermaglie tra superpotenze (Stati Uniti, Russia e Cina) a centinaia di chilometri di distanza dalla terra. Un’inchiesta rigorosa, un raro affresco divulgativo che svela e spiega le ultimissime tecnologie satellitari, un tempo riservate solo a militari e governi, oggi disponibili anche a utenti non specialisti, con risvolti economici, sociali e geopolitici finora impensabili. Il libro ricostruisce episodi poco conosciuti e misteriosi, quale ad esempio l’improvviso blackout (13 ore) dell’intera costellazione GLONASS (24 satelliti) ossia il GPS russo in dotazione alle forze armate di Mosca, giusto 14 giorni dopo il referendum sulla Crimea del 2014. Eventi immediatamente precedenti, evidenze tecniche, pareri attendibili ed una ricerca sui media occidentali e russi condotta anche con l’ausilio dell’intelligenza artificiale, consentono di formulare la concreta ipotesi che si sia trattato di un attacco sferrato dagli Stati Uniti. Troviamo una ricostruzione dettagliata dell’’attacco informatico russo alle infrastrutture satellitari ucraine poche ore prima dell’inizio dell’invasione militare in Ucraina (24 febbraio 2022) e le successive, pesanti conseguenze nelle infrastrutture civili di molti paesi occidentali, Italia inclusa, e scopriamo come Elon Musk fosse pronto a supportare Kiev con i suoi satelliti Starlink già mesi prima dell’invasione. ricostruendo le sue frizioni per impedire a Kiev di usare la sua infrastruttura per condurre attacchi con droni esplosivi, soprattutto di fronte al mancato pagamento da parte degli ucraini del servizio internet che offriva. Il libro ci racconta come la Russia negli anni passati abbia mandato in orbita dei satelliti “fantasma” (stalker) per intercettare e disturbare le comunicazioni dei satelliti occidentali e ricostruisce la quotidiana attività americana ed europea per individuare queste minacce e le relative contromisure, per poi concentrarsi sul famoso episodio dei palloni aerostatici cinesi sui cieli americani (gennaio 2023) e spiega come Pechino abbia usato questi aerostati, in combinazione con i satelliti, per esperimenti scientifici avanzatissimi che riguardano le energie rinnovabili, l’Internet quantistico e sistemi innovativi di propulsione. Inoltre, il libro racconta come la Cina negli anni passati abbia condotto esperimenti con la Russia per il disturbo delle comunicazioni satellitari, tecniche che Pechino potrebbe replicare, con apposite strutture, in caso di invasione dell’isola di Taiwan. Gli ultimi capitoli illustrano in modo divulgativo ma rigoroso le ultime tecnologie satellitari (osservazione della terra e intelligenza artificiale) che per la prima volta nella storia consentono ai comuni cittadini di osservare quello succede in ogni parte del globo in tempo più o meno reale. Una possibilità sinora riservata ai militari o agli enti governativi, una rivoluzione tecnologica poco conosciuta, ma che sta già avendo importanti e finora impensabili implicazioni economiche, sociali e geopolitiche. Infine, il libro mette in guardia sui rischi dovuti all’immenso potere che stanno accumulando le tre società tecnologiche più concentrate sulla Space Economy, con applicazioni divenute indispensabili per cittadini e Stati Sovrani: Google, Amazon e specialmente Starlink/Space X di Elon Musk, il vero uomo da tenere seriamente d’occhio. Prenotazioni sul sito Billetto. Gli ospiti della conversazione Frediano Finucci (Lucca, 1968) è il capo della redazione economia ed esteri del Tg de La7, rete dove conduce la trasmissione Omnibus e per la quale è stato inviato speciale, corrispondente da Bruxelles (2003-2006) capo della redazione di Otto e mezzo. Laureato in storia delle relazioni internazionali alla facoltà di Scienze Politiche Cesare Alfieri di Firenze, ha lavorato nelle redazioni di Milano del telegiornale di Videomusic e di TMC seguendo, come cronista giudiziario, tutta l’inchiesta Mani Pulite. ... Continua a leggere su
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Marcia, Stano record italiano nella 20 km in Cina
EUGENE, July 25, 2022 Massimo Stano of Italy celebrates after winning the men’s 35km race walk final at the World Athletics Championships Oregon22 in Eugene, Oregon, the United States, July 24, 2022. (Credit Image: © Wang Ying/Xinhua via ZUMA Press) PECHINO (CINA) (ITALPRESS) – Marcia da record per Massimo Stano. A Taicang, in Cina, il campione olimpico firma il record italiano della 20…
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[...]
Oggi non sono più le conseguenze economiche a spaventare le cancellerie europee, o almeno non solo quelle, quanto il rischio che il Partito Comunista Cinese possa sfruttare i veicoli elettrici sfornati dalle proprie aziende – un discreto numero delle quali unite in joint venture con marchi occidentali – per spiare i cittadini stranieri. Il presente, dunque, ci porta in una nuova arena di discussione. Che, in tutta obiettività, dovrebbe riguardare ogni Ev e non solo quelli made in China.Il dibattito infuria sui media del Regno Unito. Alcuni parlamentari conservatori hanno fatto notare ai loro colleghi e alle agenzie competenti un fatto non da poco: “Nel 2022, l’88% di tutti i passeggeri della Gran Bretagna ha viaggiato in macchina. È difficile immaginare infrastrutture più critiche (delle auto ndr) per la vita quotidiana nel Regno Unito, e per questo è assolutamente sbagliato consentire che venga ceduto il controllo di un settore così importante alla Cina”. Dunque, considerando che quasi tutti si spostano utilizzando le automobili e che, da qui al 2030 (quando Londra dovrebbe vietare la vendita di auto con il motore endotermico), le vendite di Ev cinesi potrebbero raggiungere il 90%, il potenziale rischio paventato è facile da immaginare. Facendo leva sui mezzi sfornati dalle proprie aziende, il Dragone potrebbe raccogliere ingenti quantità di dati sensibili dalle vetture made in China – o da aziende cinesi – oltre che intervenire su di esse da remoto. È davvero possibile? Innanzitutto, è doveroso rimarcare che tali incertezze riguardano tutte le auto elettriche e non solo quelle connesse a Pechino. All'inizio di quest'anno, non a caso, sono circolate notizie angoscianti secondo cui gli ingegneri di Tesla avrebbero condiviso filmati di telecamere presi dalle auto personali di cittadini possessori dei modelli Tesla all'insaputa dei loro proprietari. Non c'è da stupirsi, quindi, che una simile prospettiva abbia pietrificato i servizi di sicurezza di gran parte dei Paesi occidentali.
In breve, la sorveglianza remota delle automobili è possibile grazie all’esistenza dei cosiddetti moduli cellulari, piccoli componenti presenti in un’ampia gamma di dispositivi moderni, dai computer agli elettrodomestici. Servono a stabilire connessioni internet e a trasmettere enormi quantità di dati relativi al funzionamento degli oggetti nei quali sono inseriti. Detto altrimenti, i suddetti moduli consentono la connettività machine to machine nell'ambito di varie reti di comunicazione. Sono, insomma, componenti chiave del sistema che controlla sensori, telecamere, audio, capacità di geolocalizzazione, motore e altro ancora. Nel caso specifico delle auto, connesso a Internet, proprio come il vostro cellulare, il modulo cellulare funge da gateway per le informazioni che entrano ed escono dal veicolo. Ma dove finiscono questi dati? I produttori li usano per migliorare il design e le prestazioni, nonché per migliorare e aggiornare il software. Si dà il caso che la Cina domini il mercato globale nella fornitura di moduli e componenti annessi. "Supponiamo che io compri un'auto con uno di questi moduli cinesi e che sia stato invitato a tenere un discorso presso un istituto della Difesa. Se l’auto avesse delle telecamere, qualcuno dall’esterno potrebbe usarli per accenderle e acquisire i dati", ha detto al Telegraph l’ex diplomatico Charles Parton, membro senior del Royal United Services Institute. [...] La presunta minaccia, in ogni caso, non proviene solo dai marchi cinesi o da aziende di proprietà cinese come Volvo e Mg. Semplicemente, qualsiasi automobile con un modulo cellulare prodotto da un produttore cinese, come Quectel o Fibocom, potrebbe vedere i suoi dati (anche quelli sensibili) risucchiati dal Dragone. Come se non bastasse, intervenendo da remoto sui moduli i veicoli possono essere resi inabili o manomessi. Qualcuno potrebbe anche pensare di fermare i trasporti nazionali di una nazione rivale in un momento di tensione. E la Cina? Il governo cinese, molto più attento di noi nel salvaguardare la sicurezza nazionale, ha già preso adeguate contromisure contro ipotetiche minacce straniere. Pechino ha bandito le auto Tesla dalle aree militari e sensibili della nazione, compresi i luoghi nei quali soggiorna o transita il leader Xi Jinping, come la città di Beidaihe, che ospita i ritiri estivi del Partito.
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L'Argentina userà il Dollaro come valuta corrente
Dollarizzare l’Argentina? Tutti i rischi di un’operazione con pochi precedenti. La nuova presidenza vuole adottare la valuta Usa e abbandonare il peso ma la situazione finanziaria del paese rende la transizione molto rischiosa, anche sul piano geopolitico. Dollarizzare l’Argentina: ma è davvero un’opzione possibile? L’elezione alla presidenza di Javier Milei, che si dice anarco-liberista, pone ora all’ordine del giorno uno dei punti chiave della sua campagna elettorale: l’abbandono del peso e l’adozione del dollaro Usa per contrastare l’inflazione, che ha ora raggiunto il 142% (in sostanza, l’11.75% mensile). Un’operazione che costa 40 miliardi di dollari e che deve fare i conti con le volontà di Pechino. L’esperienza di Quito e San Salvador I dubbi sono tanti. Nessun Paese delle dimensioni dell’Argentina ha mai provato ad abbandonare la propria moneta (l’eurozona ne ha adottata una nuova, è un esperimento totalmente diverso). A Panama, dove stampare banconote è vietato dalla Costituzione dal 1904, in Ecuador, a El Salvador la moneta Usa circola liberamente, e con qualche vantaggio economico, ma sono paesi decisamente più piccoli. L’Ecuador ha adottato il dollaro nel 2000: dal 2004 al 2022 – dopo quindi tre anni di “convalescenza” dall’alta inflazione – ha registrato un’inflazione media (geometrica) annua del 2,8%, con una crescita media del 6,9%. Nello stesso periodo El Salvador ha registrato un’inflazione del 2,5% e una crescita del 4,8, e Panama un’inflazione del 2,5% con una crescita media del 9,5% malgrado la maxirecessione del 2020 (-18%). Dollaro e moderazione fiscale Uno sguardo alle finanze pubbliche mostra anche una certa moderazione fiscale: il debito 2022 in rapporto al pil – che non può essere “gonfiato” dall’inflazione – è del 57,7% in Ecuador, e del 53,7% a Panama. Più complessa la questione di El Salvador, che ha di recente portato il suo debito pubblico al 75,1% dall’88,1% del 2020: era al 46,8% nel 2004, segno che la dollarizzazione non impone una sana gestione dei conti pubblici. Come cinque Ecuador e diciassette El Salvador L’Argentina è un’altra cosa: a parità di potere d’acquisto – un’unità di misura necessaria, vista l’elevata inflazione del paese – le sue dimensioni misurate dal pil 2022 sono pari a cinque Ecuador, diciassette El Salvador (e mezzo), e sette Panama. C’è un evidente problema di dimensioni: il governo di Quito ha dollarizzato praticamente grazie alla Coca Cola, e alla sua controllata Tonicorp, attiva anche nel settore dei latticini, che riusciva a distribuire dollari anche nei villaggi più piccoli. Non sono mancate, proprio in quel caso, tensioni sociali e politiche: i primi depositi in dollari avevano un tasso di interesse negativo. Milei in cerca di 40 miliardi di dollari La transizione dal peso al dollaro può diventare onerosa. Lo stesso Milei ha valutato in 40 miliardi di dollari, da recuperare, l’intero costo dell’operazione; e questo anche se gli argentini, per mantenere fermo il loro potere d’acquisto, possedevano già, a fine 2022, nei loro conti bancari o in contanti 246 miliardi in valuta Usa: più del 50% del pil in dollari del 2021, il 39% di quello del 2022 (la svalutazione morde…). La sola scelta del tasso di cambio – tra tassi ufficiali e tassi del mercato nero – può avere conseguenze enormi. È vero che l’operazione può avvenire in un tempo relativamente lungo: El Salvador ha impiegato due anni, l’Ecuador sei mesi. Riserve valutarie negative Occorre però fare attenzione alle riserve detenute dalla banca centrale: Melei dice di volarla abolire (anche se Ecuador ed El Salvador la conservano), ma in ogni caso le sue attività e le sue passività, tra le quali ci sono riserve e banconote, sono parte del bilancio allargato dello Stato. A maggio, sulla base dei tassi di cambio allora vigenti, era stato calcolato un fabbisogno di dollari pari a 5,5 miliardi, non poco, solo per l’autorità monetaria. In ogni caso, con 23,8 miliardi di dollari di riserve valutarie lorde (e -10 miliardi di riserve nette, perché prevalgono le passività, secondo il Fondo monetario internazionale) l’Argentina «non ha abbastanza dollari per dollarizzare - come ha spiegato Alejandro Werner, ex direttore per l’Emisfero occidentale per l’Fmi, all’Americas Quarterly – e non ha accesso ai mercati per ottenere dollari». La bomba fiscale dei Leliq La Banca centrale, inoltre, sta emettendo titoli di liquidità, i Leliq, per drenare moneta dal sistema e tenere sotto controllo l’inflazione: l’ammontare complessivo è in riduzione, ma l’autorità monetaria è ancora esposta per 22.581 miliardi di pesos, pari a 62,8 miliardi di dollari al cambio ufficiale, sui quali riconoscono un tasso del 130%. Sono il triplo della base monataria argentina e il triplo delle riserve valutarie lorde: per l’economista Ramiro Castiñera sono l’equivalente di uno schema Ponzi. Secondo Roberto Cachanovsky, economista anch’egli ultraliberista – propone come Friedrich Hayek l’uso di qualunque moneta, in concorrenza tra loro – e favorevole alla dollarizzazione fino al 2019, questa massa di debito impedisce ora l’adozione della valuta Usa. Non mancano soluzioni più o meno creative, che consistono in una ristrutturazione dell’intero bilancio della Banca centrale o, in alternativa, l’ennesimo ricorso ai prestiti del Fondo monetario. Un’antica proposta, mai realizzata Il passaggio, insomma, è delicato e gli aspetti tecnici, fondamentali per la riuscita del programma, sono molto complessi. Un ennesimo default non si può escludere. Non si può dimenticare che l’idea di dollarizzare l’economia non è nuova: fu proposta nel 1999 anche da Carlos Saúl Menem, il presidente che varò nel ‘91 il currency board, il cambio fisso con la moneta Usa. Fu istituito un gruppo di lavoro alla banca centrale, ma la sola notizia determinò un aumento dei tassi, nel timore di una nuova svalutazione, dopo quella decisa a gennaio di quell’anno. La storia dei mesi successivi, tra l’elezione di Fernando de la Rúa, e l’introduzione del Corralito e poi del Corralón per evitare la corsa agli sportelli, e infine il rovinoso crollo del currency board spinsero il progetto sullo sfondo, anche se gli economisti hanno continuato a discuterne. Allora, come oggi, la proposta fu avanzata durante una fase di crisi, quando l’intera operazione era decisamente più complicata. Obiettivi irrealistici L’esperienza del currency board mostra anche cosa ci si può realisticamente attendere da una dollarizzazione: la stabilità monetaria, ma niente di più. L’Argentina non cederebbe più alla tentazione di monetizzare il proprio debito pubblico, e tornerebbe ad avere un’inflazione ragionevole. Non male, per un paese colpito ripetutamente da un surriscaldamento dei prezzi che, alla fine, punisce i più deboli. La dollarizzazione però non garantirebbe una sana gestione fiscale e soprattutto non sarebbe sufficiente, da sola, per stimolare la crescita, per la quale occorre innanzitutto innovazione. Durante il currency board, l’aumento della produttività e quindi dei salari reali fu piuttosto limitato. Il tutto al costo di un forte irrigidimento della politica economica: niente politica monetaria, niente politica valutaria. Il ruolo di Pechino Non manca un versante geopolitico. Una quota importante delle riserve valutarie sono a disposizione dell’Argentina grazie a uno swap bilaterale, attivato nel 2014 e valido fino al 2026, tra la banca centrale di Buenos Aires e la Banca del Popolo cinese, che ha quindi un ruolo importante nel sostenere i pagamenti internazionali del Paese. Dei 23,8 miliardi di dollari di riserve lorde, a metà agosto 17,9 miliardi risultavano forniti dalla Pboc cinese, anche se finora l’Argentina ha effettivamente attivato lo swap per 6,5 miliardi. I molti swap attivati dalla Cina sono operazioni che, secondo molti analisti, danno a Pechino un forte potere sui paesi assistiti, e la cosa è ancora più evidente per l’Argentina, in evidenti difficoltà finanziarie: i contratti sono formalmente simmetrici, ma è difficile che la Pboc abbia bisogno dell’assistenza di Buenos Aires. Il dilemma di Milei Milei ha adottato finora una forte retorica anti-cinese, ma è verosimile che abbia ora bisogno anche di Pechino, subito e a maggior ragione durante e dopo un’eventuale dollarizzazione (la Cina aiuta anche il dollarizzato Ecuador). Forse sarà addirittura necessario un via libera da parte della Cina. A meno che la dollarizzazione non avvenga con il sostegno pieno, e un’intesa formale, con gli Usa. Operazione semplice con un’eventuale nuova presidenza Trump - “the Donald” è apparso entusiasta per l’elezione di Milei - più difficile, a meno che non prevalga un pragmatismo di carattere geopolitico, con Biden o un suo successore democratico. Read the full article
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⚠️ XI JINPING A BLINKEN: "RISPETTO RECIPROCO E SINCERITÀ SONO LE BASI PER LE INTERAZIONI TRA STATI
🇨🇳 il 19/06, il Presidente Xi Jinping ha incontrato Antony Blinken - Segretario di Stato USA - a Pechino 🇺🇸
🐰 Il Presidente Cinese ha ricordato all'imperialista statunitense la Posizione della Cina sui Rapporti Sino-Statunitensi, sottolineando come Rispetto Reciproco e Sincerità siano le basi per le interazioni tra Stati 🤧
🇨🇳 La Posizione della Cina nei confronti degli USA si fonda su Tre Principi e Cinque No, come spiegato dal Presidente Cinese al Presidente Biden a Bali, durante il Vertice G20 a Novembre del 2022:
⭐️ TRE PRINCIPI:
一 Rispetto Reciproco (相互尊重) 🤝
二 Coesistenza Pacifica (和平共处) 🕊
三 Cooperazione a Mutuo Vantaggio (合作共赢) 🤝
⭐️ POLITICA DEI CINQUE NO:
一 Gli USA non condurranno una Guerra Fredda contro la Cina ❌
二 Gli USA non mireranno a cambiare il Sistema Socialista della Cina ❌
三 Gli USA non rilanceranno alleanze contro la Cina ❌
四 Gli USA non sosterranno il separatismo del regime-fantoccio di Taiwan ❌
五 Gli USA non cercheranno un conflitto contro la Cina ❌
🙂 Essendo grandi Paesi e potenze, Cina e USA dovrebbero agire con un senso di responsabilità per la Storia e per il Mondo, ha dichiarato il Presidente Cinese 🇨🇳
🚩 Il Presidente Xi Jinping ha affermato che la competizione non rappresenta lo spirito dei tempi, e che le politiche anti-Cinesi non risolveranno né i problemi degli USA, né quelli del Mondo 🤧
🇨🇳 Così come la Cina rispetta gli USA, anche gli USA dovrebbero rispettare la Cina e i suoi interessi legittimi. La Cina, come dichiarato dal Presidente Xi Jinping, non intende cercare di plasmare gli USA secondo la sua ideologia e non vuole privare all'altra parte il diritto allo Sviluppo, ma si aspetta che anche gli USA sostengano tale posizione 🤧
🚩 Ovviamente, neanche uno dei quasi cento milioni di Membri del Partito Comunista Cinese si fida di Blinken, uno dei più ferventi imperialisti anti-Cinesi del Governo USA 🤮
🤔 Ad esempio, Blinken ha dichiarato che gli USA non sostengono il separatismo del regime-fantoccio di Taiwan, eppure inviano soldati sull'isola, vendono armi e rafforzano i legami con il DPP, piattaforma pro-US vendipatria guidata da Tsai Ing-wen. Pura ipocrisia! 😡
💡 Gli USA dovrebbero trasformare le parole in azioni concrete: non si può affermare di sostenere il Principio dell'Unica Cina e poi, nei fatti, foraggiare il separatismo di Tsai Ing-wen 🤹♂️
🔺Wang Yi a Blinken: "Se gli USA non cambiano rotta, lo scontro diventerà conflitto"
🔺Wang Wenbin risponde al discorso anti-Cinese di Blinken
🔺Wang Yi: "Gli USA devono tradurre in azioni concrete le loro parole, e cessare di interferire negli affari interni della Cina"
🇨🇳 丢掉幻想,准备斗争 ⭐️
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⚠️ XI JINPING IN BLINKEN: "MUTUAL RESPECT AND SINCERITY ARE THE BASIS FOR INTERACTIONS BETWEEN STATES
🇨🇳 on 19/06, President Xi Jinping met Antony Blinken - US Secretary of State - in Beijing 🇺🇸
🐰 The Chinese President reminded the US imperialist of China's position on Sino-US relations, stressing that mutual respect and sincerity are the basis for interactions between states 🤧
🇨🇳 China's position towards the USA is based on Three Principles and Five No's, as explained by the Chinese President to President Biden in Bali, during the G20 Summit in November 2022:
⭐️ THREE PRINCIPLES:
一 Mutual Respect (相互尊重) 🤝
二 Peaceful Coexistence (和平共处) 🕊
三 Cooperation for Mutual Benefit (合作共赢) 🤝
⭐️ FIVE NO'S POLICY:
一 The US will not wage a Cold War against China ❌
二 The US will not aim to change China's socialist system ❌
三 The US will not relaunch alliances against China ❌
四 US will not support Taiwan puppet regime separatism ❌
五 The US will not seek a conflict against China ❌
🙂 As great countries and powers, China and the US should act with a sense of responsibility for history and the world, said the Chinese President 🇨🇳
🚩 President Xi Jinping said that competition does not represent the spirit of the times, and that anti-China policies will solve neither the US nor the world's problems 🤧
🇨🇳 Just as China respects the USA, the USA should also respect China and its legitimate interests. China, as stated by President Xi Jinping, does not intend to try to shape the USA according to its ideology and does not want to deprive the other side of the right to development, but expects the USA to support this position too 🤧
🚩 Of course, not one of the nearly 100 million Communist Party of China members trusts Blinken, one of the US Government's most fervent anti-Chinese imperialists 🤮
🤔 For example, Blinken said that the US does not support the separatism of Taiwan's puppet regime, yet it sends soldiers to the island, sells weapons and strengthens ties with the DPP, a pro-US traitorious platform led by Tsai Ing-wen. Pure hypocrisy! 😡
💡 The USA should turn words into concrete actions: one cannot claim to support the One China Principle and then, in fact, bankroll Tsai Ing-wen's separatism 🤹♂️
🔺Wang Yi to Blinken: "If the USA does not change course, the clash will become conflict"
🔺Wang Wenbin responds to Blinken's anti-Chinese speech
🔺Wang Yi: "The US must translate its words into concrete actions, and stop interfering in China's internal affairs"
🇨🇳 丢掉幻想,准备斗争 ⭐️
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La maratoneta ugandese Rebecca Cheptegei è morta a causa delle gravi ustioni riportate dopo che il suo fidanzato le aveva dato fuoco
Rebecca Cheptegei, che ha gareggiato nella maratona a Parigi 2024, è morta dopo essere stata ricoverata in terapia intensiva in un ospedale di Eldoret, cittadina del Kenya occidentale, ricevendo cure per ustioni sul 75% del corpo. Secondo un rapporto della polizia, il compagno keniano dell'atleta, Dickson Ndiema Marangach, è entrato nella sua casa nella città di Endebess, nella contea di Trans, domenica intorno alle 14, mentre l'atleta e i suoi figli erano a messa. Al loro ritorno, Dickson "ha versato benzina su Rebecca prima di appiccare il fuoco", precisa il rapporto, aggiungendo che anche l'uomo è rimasto ustionato dalle fiamme. In Kenya, e non solo, la chiamano 'la maledizione di Eldoret'. Troppe tragedie e troppi lutti hanno contrassegnato la storia della città della Rift Valley dove si allenano tutti i più forti fondisti del mondo, una catena di morti alla quale oggi si è aggiunta quella della maratoneta ugandese. A febbraio di quest'anno erano morti in un incidente stradale il primatista mondiale della maratona, il keniano Kelvin Kiptum, e il suo allenatore Gervais Hakizimana, mentre la notte di Capodanno era stato accoltellato a morte un altro atleta dell'Uganda, Benjamin Kiplagat. Nell'aprile 2022, il corpo di un'atleta bahreinita di origine keniana, Damaris Mutua, era stato ritrovato a Iten, e il suo compagno venne accusato di omicidio. Tre anni fa, la campionessa keniana Agnes Tirop era stata trovata morta nella sua casa a Iten, vicino Eldoret, col marito sospettato dell'omicidio. Nel 2008 invece era morto,per un incidente su un mezzo militare, sulla strada per Eldoret, un altro Kipkorir, bronzo ad Atlanta '96 nei 1.500. Non a Eldoret, ma nel distretto di Nyandarua, quindi a circa 200 km di distanza, c'era invece stato nel 2011 il suicidio di Samuel Wanjiru, oro olimpico della maratona di Pechino 2008, gettatosi dal balcone di casa. Read the full article
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Paura dell'arresto o del Papa? Bin Salman assente in Puglia dopo lo "strappo" sul petrolio Temeva di venir arrestato perché un'associazione italiana lo ha denunciato per l'omicidio del dissidente Jamal Ahmad Khashoggi. Ha ascoltato il «consigliere» Matteo Renzi accettando di rifilare un reale sgarbo a Giorgia. Non voleva farsi vedere con il Papa cristiano. O semplicemente l'infastidiva la visita a un'Italia con cui è stato in competizione per l'Expo 2030. Le voci sono tante, ma nessuno conosce la vera ragione per cui il principe ereditario saudita Mohammed Bin Salman ha evitato di farsi vedere al G7 e stringere la mano all'ex-alleato Joe Biden. Dietro le quinte dell'economia internazionale la reale defezione vien spiegata con ragioni ben più serie e gravide di conseguenze. Il 9 giugno, tre giorni prima dell'annullamento della visita, era infatti arrivato a scadenza il cinquantennale accordo sui petrol-dollari stretto da Usa e Arabia Saudita nel lontano 1974. E a decidere la rottura - con uno sgarbo non da poco all'America e a Biden - è stato proprio il principe Bin Salman. Lo sgarbo è, infatti, tutt'altro che formale. In base alla defunta intesa il regno saudita s'impegnava a vendere e quotare il suo greggio esclusivamente in dollari. E a utilizzare una parte dei dollari incassati per pagare la protezione garantita al regno dagli Stati Uniti. Oltre all'acquisto di armamenti prodotti da aziende americane. Ma non solo. La terza parte di quell'intesa prevedeva il reinvestimento dei surplus derivanti dalla fatturazione del greggio in bond americani. I sauditi s'impegnavano, insomma, ad acquistare parti consistenti del debito americano. E se ci aggiungiamo che di conseguenza tutto il petrolio del mondo veniva quotato e pagato in dollari, anche se a comprarlo o venderlo erano Paesi come Russia o Cina, è facile capire perché il mancato rinnovo rischi di scatenare un terremoto finanziario che non poteva lasciar indifferente il G7. Anche perché il terremoto minaccia innanzitutto la tradizionale stabilità della valuta di Washington garantita dal ruolo di moneta indispensabile per l'acquisto di energia. Senza più quel ruolo la richiesta di dollari andrebbe incontro a un'inevitabile flessione capace di generare svalutazione e inflazione sui mercati americani. Sul piano strategico lo sgarbo saudita ha implicazioni che vanno ben aldilà delle dinamiche finanziarie. La mossa è la diretta conseguenza della crisi nei rapporti tra Washington e Riad aperta nel 2021 da un Joe Biden pronto ad attribuire al principe ereditario saudita l'omicidio di Jamal Khashoggi. Da quel momento tra Riad e Washington nulla è più stato come prima. La ritirata saudita dal fronte anti Houthi nello Yemen è andata di pari passo con gli accordi sugli aumenti del greggio che nel 2022 hanno garantito le entrate di Mosca nonostante le sanzioni. E subito dopo sono arrivate le intese tra Riad e lo storico nemico iraniano mediate inaspettatamente da una Cina sempre lontana dagli affari mediorientali. Bazzecole rispetto a quanto potrà succedere nelle prossime settimane quando la Russia chiederà che il suo petrolio venga pagato in rubli mentre Pechino pretenderà fatture energetiche da saldare in yuan. O in valute digitali. Un meccanismo totalmente nuovo che rischia di avere per Washington l'effetto di un'indesiderata quanto non dichiarata sanzione finanziaria.
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Putin da Xi: la missione dello Zar in Cina
Nel 2022, per effetto dell’aumento dei prezzi internazionali dell’energia, stimolato dall’invasione russa dell’Ucraina, il deficit commerciale della Cina nei confronti della Russia è arrivatoa 38 miliardi di dollari: un record.
De Ficchy Giovanni Il presidente russo visiterà Pechino la prossima settimana, in occasione del terzo forum internazionale dedicato alla Belt and Road Iniziative, evento in programma il 17 e 18 ottobre. Durante un briefing a Mosca, il consigliere presidenziale Yuri Ushakov ha parlato dei prossimi viaggi di Putin, in Cina. L’impegno del presidente russo in Cina, ha detto Ushakov, è previsto…
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