#parchi eolici onshore
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Roma. Successo per “Creiamo Energia”: La Campagna di Community Funding di RWE Supera le Aspettative
In meno di 8 ore, la campagna “Creiamo Energia” ha raggiunto il doppio dell’obiettivo minimo, coinvolgendo i cittadini nella realizzazione del parco eolico di San Severo per sostenere la transizione energetica in Italia.
In meno di 8 ore, la campagna “Creiamo Energia” ha raggiunto il doppio dell’obiettivo minimo, coinvolgendo i cittadini nella realizzazione del parco eolico di San Severo per sostenere la transizione energetica in Italia. Roma, 21 ottobre 2024 — Si è conclusa con un risultato straordinario la campagna di community funding “Creiamo Energia – Insieme per la Transizione Energetica in Italia”…
#capacity building#cittadini protagonisti#community funding#Creiamo Energia#decarbonizzazione#Ener2Crowd#energia eolica#Energia pulita#Energia rinnovabile#Energia verde#Foggia#fotovoltaico Bosco#Giorgio Mottironi#innovazione energetica#interessi annui#investimenti energetici#investimenti rinnovabili in Italia#Investimenti Sostenibili#Italia green#nuove tecnologie energetiche#Paolo Raia#parchi eolici onshore#Parco Eolico San Severo#progetto San Severo#Puglia#rendimenti garantiti#responsabilità ambientale#RWE Renewables Italia#sostenibilità ambientale#Sviluppo Sostenibile
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Si conferma l'effetto scia delle turbine eoliche, ma con effetti ancor più marcati di quelli prima conosciuti. Infatti, studiando il dettaglio satellitare e le influenze registrate all'interno di parchi eolici offshore, si nota che l'effetto scia si protrae per almeno 100 km dal distacco dall'aerogeneratore. Questo non ha tanto effetti locali evidentissimi, le temperature si incrementano ma in misura trascurabile. L'effetto studiato, invece, evidenzia come il danno all'ambiente sia ben più evidente, con ripercussioni persino sui parchi eolici onshore, sull'agricoltura e sulle temperature locali.
In mare, invece, il danno è ancor più profondo, perché incide sulla catena dell'alimentazione. Eppur c'è qualcuno ancora convinto dell'impatto positivo degli aerogeneratori... magari sulle economie degli speculatori, questo di sicuro.
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Non occorreva nemmeno essere Jacques Cousteau per arrivarci.
Gli ambientalisti e gli installatori germanici ancora oggi sostengono che non vi è un effetto scia così marcato e non vi sono danni per l'ambiente. Hanno persino avuto il coraggio di dire che, saturando le distanze in un parco eolico offshore, pur ammettendo la perdita di carico per effetto scia, possono sempre produrre talmente e tanta energia da poter soddisfare i bisogni di tutta la Germania solo dai parchi dei Mari del Nord. Folli.
E per finire un fatto certamente non secondario:
Circa i danni, occorrerebbe chiedere un parere ai volatili che vengono fatti a fette.
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Presentato l’aereo più grande della storia dell’aviazione, ma non trasporterà né passeggeri né merci
C’è una crisi energetica globale e i parchi eolici onshore sono un’opzione di crescita potenziale. Le turbine eoliche più grandi producono più energia di quelle standard, ma i componenti sono troppo grandi per essere trasportati su strada. Qual è la soluzione? Una startup energetica del Colorado, Radia, ha un’idea. Sta sviluppando il più grande aereo della storia dell’aviazione. Si tratta…
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Vincoli ambientali non fanno decollare l'eolico italiano
Perché l’eolico in Italia non decolla (e in Europa va a gonfie vele). I numeri roboanti in Ue, mentre il nostro Paese non cresce. Il ritmo delle nuove installazioni. Vento in poppa per l'eolico in Europa, ma in Italia le pale non decollano. Nel 2022 l’eolico e il solare hanno generato un quinto dell’elettricità dell'Ue (22%), superando per la prima volta il gas fossile (20%) e rimanendo ben al di sopra dell’energia da carbone (16%), in base ai risultati dell'European Electricity Review del centro studi energetico Ember, secondo cui la risposta politica dell’Europa all’invasione russa dell’Ucraina nel 2022 è stata quella di accelerare la transizione elettrica. L'eolico, in particolare, ha coperto il 17% del fabbisogno elettrico del continente (+9% rispetto al 2021) e quest'anno andrà anche meglio, dato il ritmo delle nuove installazioni.
Eolico a gonfie vele in Europa, ma non in Italia (Ansa) Nel 2022 le nuove installazioni eoliche in Europa sono state pari a 19,1 gigawatt (16,7 gigawatt onshore e 2,5 gigawatt offshore), con un aumento del 4% rispetto all'anno precedente, in base ai dati diffusi da Wind Europe. Nonostante il difficile contesto economico e le difficoltà della catena di fornitura, il 2022 è stato un anno record: Germania, Svezia e Finlandia sono in testa alla Top 10 dei Paesi europei per le nuove installazioni, con oltre 2,6 gigawatt di nuove pale per la Germania e quasi 2,5 gigawatt di nuovi impianti per Svezia e Finlandia. Seguono la Francia, con oltre 2 gigawatt di nuove installazioni, il Regno Unito, la Spagna, la Polonia e l'Olanda. L'Italia si piazza appena al nono posto della graduatoria, con meno di mezzo gigawatt di nuovi parchi eolici nel 2022. Così, all'inizio di quest'anno l'Ue a 27 disponeva di una capacità eolica installata di 204 gigawatt complessivi, di cui 188 onshore e 16 offshore. I Paesi con maggiore capacità installata sono la Germania, con oltre 66 gigawatt, la Spagna (30), la Francia (21), la Svezia (15) e l'Italia (12). In alcuni Paesi europei l'energia del vento copre ormai una parte rilevante del fabbisogno elettrico. Nel 2022, in particolare: il 55% in Danimarca, il 34% in Irlanda, il 26% in Germania e Portogallo, il 25% in Spagna e Svezia, il 19% in Grecia, il 14% in Finlandia, il 13% in Belgio e Croazia, il 12% in Austria, Romania e Lituania, l'11% in Polonia, l'8% in Francia ed Estonia, il 7% in Italia. Anche il Regno Unito attinge all'eolico per buona parte della sua elettricità: il 28% nel 2022. In base alle previsioni di Wind Europe, l'Europa installerà 129 gigawatt di nuovi parchi eolici nel periodo 2023-2027, di cui 98 gigawatt nell'Ue a 27, cioè in media 20 gigawatt di nuove pale all'anno. Una crescita importante, ma non sufficiente a centrare gli obiettivi di decarbonizzazione del sistema elettrico posti dalla Commissione. Per raggiungere i suoi obiettivi al 2030, l'Ue dovrebbe costruire in media oltre 30 gigawatt all'anno di nuova potenza eolica, quindi le installazioni sono in forte ritardo Perché l’Italia non decolla Per non parlare dell'Italia, dove le nuove installazioni procedono a passo di lumaca, per la storica difficoltà di ottenere le necessarie autorizzazioni. Contrariamente al mito dell'Italia Paese con “poco vento”, il potenziale eolico onshore italiano è almeno doppio rispetto agli impianti esistenti, secondo i calcoli dell'Anev, tanto che al 31 dicembre 2022 Terna ha ricevuto 75 gigawatt di richieste di connessione per parchi eolici onshore e 104 gigawatt per l'offshore (che in Italia non c'è, malgrado la folla di progetti). Basta fare un confronto con i 12 gigawatt scarsi già installati per capire che l'eolico italiano potrebbe decollare alla grande se si togliesse il tappo delle autorizzazioni bloccate e dei ministeri recalcitranti. Read the full article
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Un mare d’energia
L’eolico offshore, così chiamato quando le turbine sono poste direttamente sulla superficie del mare, è una tecnologia ormai matura, mentre sullo sfruttamento del moto ondoso siamo a uno stadio avanzato sotto al profilo delle tecnologie.
In Europa quella dell’eolico offshore è una tecnologia promettente.
Nel 2015, l’anno dei record per l’eolico offshore nel Vecchio Continente, è stata installata una potenza per oltre 3 GWe, dei quali l’86,1% nel Mare del Nord, il 9.2% nel Mar Baltico e il 4.7% nel Mare di Irlanda, raggiungendo così gli 11 GW elettrici installati grazie a 3.230 turbine in 84 siti che riguardano undici paesi europei. E si tratta di una tecnologia in pieno sviluppo, visto che la potenza media delle turbine offshore è stata, sempre nel 2015, di 4,2 MW ognuna, un aumento di potenza del 13% in più rispetto all’anno precedente.
Si tratta di un aumento che traccia un quadro positivo circa questa tecnologia. Le turbine offshore, infatti, diventano più grandi di quelle a terra (on shore) per due motivi.
Il primo è rappresentato dal fatto che l’impatto visivo e acustico delle turbine offshore è molto meno importante: gli impianti installati nel 2015 si trovano a una distanza media dalla costa di 43,3 km.
Il secondo motivo è legato ai trasporti e alla logistica: a terra, infatti, le dimensioni delle pale sono limitate dalla possibilità di trasporto e oggi siamo giunti al limite: si pensi che in Danimarca – nazione all’avanguardia per quanto riguarda l’energia dal vento, con la quale soddisfa il 37,6% del proprio fabbisogno elettrico – le rotonde stradali sono state modificate per consentire il passaggio delle pale eoliche on shore le cui dimensioni arrivano spesso a oltre cinquanta metri per singolo pezzo.
Si tratta di un limite che sul mare non esiste. Le tecnologie messe a punto per la costruzione delle piattaforme petrolifere, per esempio, sono perfettamente in grado di gestire pale da oltre 6 MW, oggi ormai una misura standard; qualche mese fa, nel tratto di mare tra l’Irlanda e la Gran Bretagna, le pale installate, di potenza da 8 MW ognuna, erano alte 200 metri, con un rotore del diametro di 164 metri, e singole pale da 80 metri, realizzate in un pezzo unico.
Il problema, per quanto riguarda l’eolico offshore, non sta quindi al di sopra del livello del mare ma sotto. E si chiama fondale. La maggior parte delle installazioni realizzate fino ad ora, infatti, ha utilizzato fondali poco profondi, sui quali è possibile piantare le fondazioni delle pale senza grandi problemi, ma è una scelta che limita lo sviluppo di questa fonte.
Prendiamo il caso dell’Italia. Nel Mare Adriatico abbiamo fondali poco profondi, ottimali per fissare le pale, ma c’è poco vento; il Mar Tirreno si caratterizza per essere più ventoso ma anche per una maggiore profondità dei propri fondali. È una situazione problematica che si ripropone, con aspetti diversi, in molte parti del mondo, ma che grazie a nuove tecnologie si sta risolvendo. L’uovo di Colombo, sotto questo profilo, è realizzare le fondazioni delle pale galleggianti. Cosa non semplice ma che sta diventando possibile.
Con il progetto Hywind i norvegesi sono arrivati alla fase commerciale di questo tipo di pale eoliche dopo una fase di test durata sei anni. Al largo delle coste scozzesi, in acque ricche di vento e profonde centinaia di metri, nel sito di Buchan Deep, si sta realizzando un parco eolico da 30 MW nel quale cinque turbine da 6 MW saranno installate grazie a una zavorra cilindrica immersa nell’acqua per 78 metri di profondità che garantirà una grande stabilità alle pale, nonostante gli impetuosi venti del Mare del Nord. Unico impatto verso i fondali è costituito dall’ancoraggio dei cavi d’acciaio. E l’eolico offshore galleggiante, potendo essere posizionato al largo, ha anche una maggiore accettazione da parte della popolazione; i parchi eolici, infatti, anche quelli con turbine di grandi dimensioni, diventano invisibili, non inquinano a livello visivo le attività turistiche, e non ostacolano le attività di pesca nei pressi della costa. Problemi che ben conosciamo in Italia, visto che l’opposizione ai parchi eolici qui si è manifestata anche quando le proposte per tali impianti sono state fatte in zone dove già esistono da decenni grandi strutture industriali.
Le altre fonti, meno mature dell’eolico offshore ma promettenti, sono lo sfruttamento del moto ondoso e delle maree.
Il moto ondoso può essere convertito in energia tramite sistemi a galleggiante nei quali si produce aria compressa che successivamente aziona le turbine per la produzione di elettricità, oppure grazie a boe al cui interno, tramite dei giroscopi, le oscillazioni della boa stessa sulle onde vengono trasformate in moto rotativo azionando così i generatori elettrici.
Si tratta di sistemi che sono a un passo dalla commercializzazione, cosa che ne consentirà la produzione in massa.
Per le maree e le correnti il sistema di generazione è sostanzialmente lo stesso: un generatore a pale immerso al di sotto della superficie marina, ma la resa è diversa. Infatti i generatori immersi nelle correnti, molto promettenti e con un vastissimo potenziale impiego, sono in grado di produrre elettricità in maniera costante, mentre quelli per le maree producono durante le due fasi di afflusso e reflusso delle acque.
Per quanto riguarda queste due fonti l’Unione Europea, nel Piano Strategico per le Tecnologie Energetiche (Set Plan), ha previsto una serie di misure che dovrebbero portare i costi per la produzione di energia elettrica a 15 c€ per kWh entro il 2025 e a 10 c€ per kWh al 2030 per la produzione da correnti di marea, mentre per quanto riguarda l’energia da moto ondoso il percorso dovrebbe essere di 20 c€ per kWh al 2025, 15 c€ per kWh al 2030 e 10 c€ per kWh al 2035. Dopo di che i costi di questi due tipi d’energia saranno competitivi con altre fonti, sia fossili, sia rinnovabili.
Gli impatti ambientali degli impianti eolici posti sul mare sono di due tipi: sopra e sotto il mare. Per limitare i primi, ossia quelli sugli uccelli, è sufficiente non porre impianti sulle linee di migrazione; le specie stanziali, infatti, si abituano ben presto a considerare un “pericolo” le pale eoliche offshore. Sott’acqua, invece, sono più i vantaggi che gli svantaggi, fatto comunque salvo il fatto di preservare, durante la posa, la Posidonia sul fondo marino; ma ciò riguarda per lo più i sistemi eolici offshore ancorati sul fondo e molto meno quelli galleggianti. Per la parte sommersa gli impianti per l’energia dal mare possono diventare delle specie di scogliere artificiali, e risultare in tal modo attrattivi per numerose specie di animali permettendo lo sviluppo della biodiversità. E al loro fine-vita possono essere affondati senza problemi riducendoli in macerie sul fondo: si tratta di una tecnica molto utilizzata nel mondo, che sembra essere positiva per le specie marine a patto che non si intervenga su zone molto sensibili dal punto di vista ecologico. Certo affondare una pala eolica a fine vita nei pressi di una barriera corallina non sembra essere un buon affare… Ma è un problema che deve essere affrontato a monte visto che nelle zone sensibili sotto il profilo ambientale gli impianti energetici non devono essere posizionati.
Sotto il profilo della sicurezza relativamente alla fornitura energetica l’eolico non ha problemi. Il 4 gennaio 2018, infatti, in base ai dati di WindEurope in Germania con 925,3 GWh (833 onshore e 92,3 offshore) è stato soddisfatto il 60,1% del consumo di elettricità di tutta la nazione. E andando oltre alla questione ambientale bisogna considerare anche il fattore occupazionale. Nella Gran Bretagna, che dieci anni fa ha imboccato con decisione la strada dell’eolico offshore, Cambridge Econometrics stima che nel 2032 il settore avrà creato 60 mila posti di lavoro considerando sia quelli diretti sia quelli indiretti.
Fonti: https://windeurope.org/ https://www.statoil.com/en/news/hywindscotland.html https://www.camecon.com/news/cambridge-econometrics-research-shows-uk-offshore-wind-jobs-reach-21000-2032/
Immagine di copertina: Armando Tondo. Febbraio 2018.
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Un mare d’energia
L’eolico offshore, così chiamato quando le turbine sono poste direttamente sulla superficie del mare, è una tecnologia ormai matura, mentre sullo sfruttamento del moto ondoso siamo a uno stadio avanzato sotto al profilo delle tecnologie.
In Europa quella dell’eolico offshore è una tecnologia promettente.
Nel 2015, l’anno dei record per l’eolico offshore nel Vecchio Continente, è stata installata una potenza per oltre 3 GWe, dei quali l’86,1% nel Mare del Nord, il 9.2% nel Mar Baltico e il 4.7% nel Mare di Irlanda, raggiungendo così gli 11 GW elettrici installati grazie a 3.230 turbine in 84 siti che riguardano undici paesi europei. E si tratta di una tecnologia in pieno sviluppo, visto che la potenza media delle turbine offshore è stata, sempre nel 2015, di 4,2 MW ognuna, un aumento di potenza del 13% in più rispetto all’anno precedente.
Si tratta di un aumento che traccia un quadro positivo circa questa tecnologia. Le turbine offshore, infatti, diventano più grandi di quelle a terra (on shore) per due motivi.
Il primo è rappresentato dal fatto che l’impatto visivo e acustico delle turbine offshore è molto meno importante: gli impianti installati nel 2015 si trovano a una distanza media dalla costa di 43,3 km.
Il secondo motivo è legato ai trasporti e alla logistica: a terra, infatti, le dimensioni delle pale sono limitate dalla possibilità di trasporto e oggi siamo giunti al limite: si pensi che in Danimarca – nazione all’avanguardia per quanto riguarda l’energia dal vento, con la quale soddisfa il 37,6% del proprio fabbisogno elettrico – le rotonde stradali sono state modificate per consentire il passaggio delle pale eoliche on shore le cui dimensioni arrivano spesso a oltre cinquanta metri per singolo pezzo.
Si tratta di un limite che sul mare non esiste. Le tecnologie messe a punto per la costruzione delle piattaforme petrolifere, per esempio, sono perfettamente in grado di gestire pale da oltre 6 MW, oggi ormai una misura standard; qualche mese fa, nel tratto di mare tra l’Irlanda e la Gran Bretagna, le pale installate, di potenza da 8 MW ognuna, erano alte 200 metri, con un rotore del diametro di 164 metri, e singole pale da 80 metri, realizzate in un pezzo unico.
Il problema, per quanto riguarda l’eolico offshore, non sta quindi al di sopra del livello del mare ma sotto. E si chiama fondale. La maggior parte delle installazioni realizzate fino ad ora, infatti, ha utilizzato fondali poco profondi, sui quali è possibile piantare le fondazioni delle pale senza grandi problemi, ma è una scelta che limita lo sviluppo di questa fonte.
Prendiamo il caso dell’Italia. Nel Mare Adriatico abbiamo fondali poco profondi, ottimali per fissare le pale, ma c’è poco vento; il Mar Tirreno si caratterizza per essere più ventoso ma anche per una maggiore profondità dei propri fondali. È una situazione problematica che si ripropone, con aspetti diversi, in molte parti del mondo, ma che grazie a nuove tecnologie si sta risolvendo. L’uovo di Colombo, sotto questo profilo, è realizzare le fondazioni delle pale galleggianti. Cosa non semplice ma che sta diventando possibile.
Con il progetto Hywind i norvegesi sono arrivati alla fase commerciale di questo tipo di pale eoliche dopo una fase di test durata sei anni. Al largo delle coste scozzesi, in acque ricche di vento e profonde centinaia di metri, nel sito di Buchan Deep, si sta realizzando un parco eolico da 30 MW nel quale cinque turbine da 6 MW saranno installate grazie a una zavorra cilindrica immersa nell’acqua per 78 metri di profondità che garantirà una grande stabilità alle pale, nonostante gli impetuosi venti del Mare del Nord. Unico impatto verso i fondali è costituito dall’ancoraggio dei cavi d’acciaio. E l’eolico offshore galleggiante, potendo essere posizionato al largo, ha anche una maggiore accettazione da parte della popolazione; i parchi eolici, infatti, anche quelli con turbine di grandi dimensioni, diventano invisibili, non inquinano a livello visivo le attività turistiche, e non ostacolano le attività di pesca nei pressi della costa. Problemi che ben conosciamo in Italia, visto che l’opposizione ai parchi eolici qui si è manifestata anche quando le proposte per tali impianti sono state fatte in zone dove già esistono da decenni grandi strutture industriali.
Le altre fonti, meno mature dell’eolico offshore ma promettenti, sono lo sfruttamento del moto ondoso e delle maree.
Il moto ondoso può essere convertito in energia tramite sistemi a galleggiante nei quali si produce aria compressa che successivamente aziona le turbine per la produzione di elettricità, oppure grazie a boe al cui interno, tramite dei giroscopi, le oscillazioni della boa stessa sulle onde vengono trasformate in moto rotativo azionando così i generatori elettrici.
Si tratta di sistemi che sono a un passo dalla commercializzazione, cosa che ne consentirà la produzione in massa.
Per le maree e le correnti il sistema di generazione è sostanzialmente lo stesso: un generatore a pale immerso al di sotto della superficie marina, ma la resa è diversa. Infatti i generatori immersi nelle correnti, molto promettenti e con un vastissimo potenziale impiego, sono in grado di produrre elettricità in maniera costante, mentre quelli per le maree producono durante le due fasi di afflusso e reflusso delle acque.
Per quanto riguarda queste due fonti l’Unione Europea, nel Piano Strategico per le Tecnologie Energetiche (Set Plan), ha previsto una serie di misure che dovrebbero portare i costi per la produzione di energia elettrica a 15 c€ per kWh entro il 2025 e a 10 c€ per kWh al 2030 per la produzione da correnti di marea, mentre per quanto riguarda l’energia da moto ondoso il percorso dovrebbe essere di 20 c€ per kWh al 2025, 15 c€ per kWh al 2030 e 10 c€ per kWh al 2035. Dopo di che i costi di questi due tipi d’energia saranno competitivi con altre fonti, sia fossili, sia rinnovabili.
Gli impatti ambientali degli impianti eolici posti sul mare sono di due tipi: sopra e sotto il mare. Per limitare i primi, ossia quelli sugli uccelli, è sufficiente non porre impianti sulle linee di migrazione; le specie stanziali, infatti, si abituano ben presto a considerare un “pericolo” le pale eoliche offshore. Sott’acqua, invece, sono più i vantaggi che gli svantaggi, fatto comunque salvo il fatto di preservare, durante la posa, la Posidonia sul fondo marino; ma ciò riguarda per lo più i sistemi eolici offshore ancorati sul fondo e molto meno quelli galleggianti. Per la parte sommersa gli impianti per l’energia dal mare possono diventare delle specie di scogliere artificiali, e risultare in tal modo attrattivi per numerose specie di animali permettendo lo sviluppo della biodiversità. E al loro fine-vita possono essere affondati senza problemi riducendoli in macerie sul fondo: si tratta di una tecnica molto utilizzata nel mondo, che sembra essere positiva per le specie marine a patto che non si intervenga su zone molto sensibili dal punto di vista ecologico. Certo affondare una pala eolica a fine vita nei pressi di una barriera corallina non sembra essere un buon affare… Ma è un problema che deve essere affrontato a monte visto che nelle zone sensibili sotto il profilo ambientale gli impianti energetici non devono essere posizionati.
Sotto il profilo della sicurezza relativamente alla fornitura energetica l’eolico non ha problemi. Il 4 gennaio 2018, infatti, in base ai dati di WindEurope in Germania con 925,3 GWh (833 onshore e 92,3 offshore) è stato soddisfatto il 60,1% del consumo di elettricità di tutta la nazione. E andando oltre alla questione ambientale bisogna considerare anche il fattore occupazionale. Nella Gran Bretagna, che dieci anni fa ha imboccato con decisione la strada dell’eolico offshore, Cambridge Econometrics stima che nel 2032 il settore avrà creato 60 mila posti di lavoro considerando sia quelli diretti sia quelli indiretti.
Fonti: https://windeurope.org/ https://www.statoil.com/en/news/hywindscotland.html https://www.camecon.com/news/cambridge-econometrics-research-shows-uk-offshore-wind-jobs-reach-21000-2032/
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L’eolico offshore, così chiamato quando le turbine sono poste direttamente sulla superficie del mare, è una tecnologia ormai matura, mentre sullo sfruttamento del moto ondoso siamo a uno stadio avanzato sotto al profilo delle tecnologie.
In Europa quella dell’eolico offshore è una tecnologia promettente.
Nel 2015, l’anno dei record per l’eolico offshore nel Vecchio Continente, è stata installata una potenza per oltre 3 GWe, dei quali l’86,1% nel Mare del Nord, il 9.2% nel Mar Baltico e il 4.7% nel Mare di Irlanda, raggiungendo così gli 11 GW elettrici installati grazie a 3.230 turbine in 84 siti che riguardano undici paesi europei. E si tratta di una tecnologia in pieno sviluppo, visto che la potenza media delle turbine offshore è stata, sempre nel 2015, di 4,2 MW ognuna, un aumento di potenza del 13% in più rispetto all’anno precedente.
Si tratta di un aumento che traccia un quadro positivo circa questa tecnologia. Le turbine offshore, infatti, diventano più grandi di quelle a terra (on shore) per due motivi.
Il primo è rappresentato dal fatto che l’impatto visivo e acustico delle turbine offshore è molto meno importante: gli impianti installati nel 2015 si trovano a una distanza media dalla costa di 43,3 km.
Il secondo motivo è legato ai trasporti e alla logistica: a terra, infatti, le dimensioni delle pale sono limitate dalla possibilità di trasporto e oggi siamo giunti al limite: si pensi che in Danimarca – nazione all’avanguardia per quanto riguarda l’energia dal vento, con la quale soddisfa il 37,6% del proprio fabbisogno elettrico – le rotonde stradali sono state modificate per consentire il passaggio delle pale eoliche on shore le cui dimensioni arrivano spesso a oltre cinquanta metri per singolo pezzo.
Si tratta di un limite che sul mare non esiste. Le tecnologie messe a punto per la costruzione delle piattaforme petrolifere, per esempio, sono perfettamente in grado di gestire pale da oltre 6 MW, oggi ormai una misura standard; qualche mese fa, nel tratto di mare tra l’Irlanda e la Gran Bretagna, le pale installate, di potenza da 8 MW ognuna, erano alte 200 metri, con un rotore del diametro di 164 metri, e singole pale da 80 metri, realizzate in un pezzo unico.
Il problema, per quanto riguarda l’eolico offshore, non sta quindi al di sopra del livello del mare ma sotto. E si chiama fondale. La maggior parte delle installazioni realizzate fino ad ora, infatti, ha utilizzato fondali poco profondi, sui quali è possibile piantare le fondazioni delle pale senza grandi problemi, ma è una scelta che limita lo sviluppo di questa fonte.
Prendiamo il caso dell’Italia. Nel Mare Adriatico abbiamo fondali poco profondi, ottimali per fissare le pale, ma c’è poco vento; il Mar Tirreno si caratterizza per essere più ventoso ma anche per una maggiore profondità dei propri fondali. È una situazione problematica che si ripropone, con aspetti diversi, in molte parti del mondo, ma che grazie a nuove tecnologie si sta risolvendo. L’uovo di Colombo, sotto questo profilo, è realizzare le fondazioni delle pale galleggianti. Cosa non semplice ma che sta diventando possibile.
Con il progetto Hywind i norvegesi sono arrivati alla fase commerciale di questo tipo di pale eoliche dopo una fase di test durata sei anni. Al largo delle coste scozzesi, in acque ricche di vento e profonde centinaia di metri, nel sito di Buchan Deep, si sta realizzando un parco eolico da 30 MW nel quale cinque turbine da 6 MW saranno installate grazie a una zavorra cilindrica immersa nell’acqua per 78 metri di profondità che garantirà una grande stabilità alle pale, nonostante gli impetuosi venti del Mare del Nord. Unico impatto verso i fondali è costituito dall’ancoraggio dei cavi d’acciaio. E l’eolico offshore galleggiante, potendo essere posizionato al largo, ha anche una maggiore accettazione da parte della popolazione; i parchi eolici, infatti, anche quelli con turbine di grandi dimensioni, diventano invisibili, non inquinano a livello visivo le attività turistiche, e non ostacolano le attività di pesca nei pressi della costa. Problemi che ben conosciamo in Italia, visto che l’opposizione ai parchi eolici qui si è manifestata anche quando le proposte per tali impianti sono state fatte in zone dove già esistono da decenni grandi strutture industriali.
Le altre fonti, meno mature dell’eolico offshore ma promettenti, sono lo sfruttamento del moto ondoso e delle maree.
Il moto ondoso può essere convertito in energia tramite sistemi a galleggiante nei quali si produce aria compressa che successivamente aziona le turbine per la produzione di elettricità, oppure grazie a boe al cui interno, tramite dei giroscopi, le oscillazioni della boa stessa sulle onde vengono trasformate in moto rotativo azionando così i generatori elettrici.
Si tratta di sistemi che sono a un passo dalla commercializzazione, cosa che ne consentirà la produzione in massa.
Per le maree e le correnti il sistema di generazione è sostanzialmente lo stesso: un generatore a pale immerso al di sotto della superficie marina, ma la resa è diversa. Infatti i generatori immersi nelle correnti, molto promettenti e con un vastissimo potenziale impiego, sono in grado di produrre elettricità in maniera costante, mentre quelli per le maree producono durante le due fasi di afflusso e reflusso delle acque.
Per quanto riguarda queste due fonti l��Unione Europea, nel Piano Strategico per le Tecnologie Energetiche (Set Plan), ha previsto una serie di misure che dovrebbero portare i costi per la produzione di energia elettrica a 15 c€ per kWh entro il 2025 e a 10 c€ per kWh al 2030 per la produzione da correnti di marea, mentre per quanto riguarda l’energia da moto ondoso il percorso dovrebbe essere di 20 c€ per kWh al 2025, 15 c€ per kWh al 2030 e 10 c€ per kWh al 2035. Dopo di che i costi di questi due tipi d’energia saranno competitivi con altre fonti, sia fossili, sia rinnovabili.
Gli impatti ambientali degli impianti eolici posti sul mare sono di due tipi: sopra e sotto il mare. Per limitare i primi, ossia quelli sugli uccelli, è sufficiente non porre impianti sulle linee di migrazione; le specie stanziali, infatti, si abituano ben presto a considerare un “pericolo” le pale eoliche offshore. Sott’acqua, invece, sono più i vantaggi che gli svantaggi, fatto comunque salvo il fatto di preservare, durante la posa, la Posidonia sul fondo marino; ma ciò riguarda per lo più i sistemi eolici offshore ancorati sul fondo e molto meno quelli galleggianti. Per la parte sommersa gli impianti per l’energia dal mare possono diventare delle specie di scogliere artificiali, e risultare in tal modo attrattivi per numerose specie di animali permettendo lo sviluppo della biodiversità. E al loro fine-vita possono essere affondati senza problemi riducendoli in macerie sul fondo: si tratta di una tecnica molto utilizzata nel mondo, che sembra essere positiva per le specie marine a patto che non si intervenga su zone molto sensibili dal punto di vista ecologico. Certo affondare una pala eolica a fine vita nei pressi di una barriera corallina non sembra essere un buon affare… Ma è un problema che deve essere affrontato a monte visto che nelle zone sensibili sotto il profilo ambientale gli impianti energetici non devono essere posizionati.
Sotto il profilo della sicurezza relativamente alla fornitura energetica l’eolico non ha problemi. Il 4 gennaio 2018, infatti, in base ai dati di WindEurope in Germania con 925,3 GWh (833 onshore e 92,3 offshore) è stato soddisfatto il 60,1% del consumo di elettricità di tutta la nazione. E andando oltre alla questione ambientale bisogna considerare anche il fattore occupazionale. Nella Gran Bretagna, che dieci anni fa ha imboccato con decisione la strada dell’eolico offshore, Cambridge Econometrics stima che nel 2032 il settore avrà creato 60 mila posti di lavoro considerando sia quelli diretti sia quelli indiretti.
Fonti: https://windeurope.org/ https://www.statoil.com/en/news/hywindscotland.html https://www.camecon.com/news/cambridge-econometrics-research-shows-uk-offshore-wind-jobs-reach-21000-2032/
Immagine di copertina: Armando Tondo. Febbraio 2018.
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Un mare d’energia
L’eolico offshore, così chiamato quando le turbine sono poste direttamente sulla superficie del mare, è una tecnologia ormai matura, mentre sullo sfruttamento del moto ondoso siamo a uno stadio avanzato sotto al profilo delle tecnologie.
In Europa quella dell’eolico offshore è una tecnologia promettente.
Nel 2015, l’anno dei record per l’eolico offshore nel Vecchio Continente, è stata installata una potenza per oltre 3 GWe, dei quali l’86,1% nel Mare del Nord, il 9.2% nel Mar Baltico e il 4.7% nel Mare di Irlanda, raggiungendo così gli 11 GW elettrici installati grazie a 3.230 turbine in 84 siti che riguardano undici paesi europei. E si tratta di una tecnologia in pieno sviluppo, visto che la potenza media delle turbine offshore è stata, sempre nel 2015, di 4,2 MW ognuna, un aumento di potenza del 13% in più rispetto all’anno precedente.
Si tratta di un aumento che traccia un quadro positivo circa questa tecnologia. Le turbine offshore, infatti, diventano più grandi di quelle a terra (on shore) per due motivi.
Il primo è rappresentato dal fatto che l’impatto visivo e acustico delle turbine offshore è molto meno importante: gli impianti installati nel 2015 si trovano a una distanza media dalla costa di 43,3 km.
Il secondo motivo è legato ai trasporti e alla logistica: a terra, infatti, le dimensioni delle pale sono limitate dalla possibilità di trasporto e oggi siamo giunti al limite: si pensi che in Danimarca – nazione all’avanguardia per quanto riguarda l’energia dal vento, con la quale soddisfa il 37,6% del proprio fabbisogno elettrico – le rotonde stradali sono state modificate per consentire il passaggio delle pale eoliche on shore le cui dimensioni arrivano spesso a oltre cinquanta metri per singolo pezzo.
Si tratta di un limite che sul mare non esiste. Le tecnologie messe a punto per la costruzione delle piattaforme petrolifere, per esempio, sono perfettamente in grado di gestire pale da oltre 6 MW, oggi ormai una misura standard; qualche mese fa, nel tratto di mare tra l’Irlanda e la Gran Bretagna, le pale installate, di potenza da 8 MW ognuna, erano alte 200 metri, con un rotore del diametro di 164 metri, e singole pale da 80 metri, realizzate in un pezzo unico.
Il problema, per quanto riguarda l’eolico offshore, non sta quindi al di sopra del livello del mare ma sotto. E si chiama fondale. La maggior parte delle installazioni realizzate fino ad ora, infatti, ha utilizzato fondali poco profondi, sui quali è possibile piantare le fondazioni delle pale senza grandi problemi, ma è una scelta che limita lo sviluppo di questa fonte.
Prendiamo il caso dell’Italia. Nel Mare Adriatico abbiamo fondali poco profondi, ottimali per fissare le pale, ma c’è poco vento; il Mar Tirreno si caratterizza per essere più ventoso ma anche per una maggiore profondità dei propri fondali. È una situazione problematica che si ripropone, con aspetti diversi, in molte parti del mondo, ma che grazie a nuove tecnologie si sta risolvendo. L’uovo di Colombo, sotto questo profilo, è realizzare le fondazioni delle pale galleggianti. Cosa non semplice ma che sta diventando possibile.
Con il progetto Hywind i norvegesi sono arrivati alla fase commerciale di questo tipo di pale eoliche dopo una fase di test durata sei anni. Al largo delle coste scozzesi, in acque ricche di vento e profonde centinaia di metri, nel sito di Buchan Deep, si sta realizzando un parco eolico da 30 MW nel quale cinque turbine da 6 MW saranno installate grazie a una zavorra cilindrica immersa nell’acqua per 78 metri di profondità che garantirà una grande stabilità alle pale, nonostante gli impetuosi venti del Mare del Nord. Unico impatto verso i fondali è costituito dall’ancoraggio dei cavi d’acciaio. E l’eolico offshore galleggiante, potendo essere posizionato al largo, ha anche una maggiore accettazione da parte della popolazione; i parchi eolici, infatti, anche quelli con turbine di grandi dimensioni, diventano invisibili, non inquinano a livello visivo le attività turistiche, e non ostacolano le attività di pesca nei pressi della costa. Problemi che ben conosciamo in Italia, visto che l’opposizione ai parchi eolici qui si è manifestata anche quando le proposte per tali impianti sono state fatte in zone dove già esistono da decenni grandi strutture industriali.
Le altre fonti, meno mature dell’eolico offshore ma promettenti, sono lo sfruttamento del moto ondoso e delle maree.
Il moto ondoso può essere convertito in energia tramite sistemi a galleggiante nei quali si produce aria compressa che successivamente aziona le turbine per la produzione di elettricità, oppure grazie a boe al cui interno, tramite dei giroscopi, le oscillazioni della boa stessa sulle onde vengono trasformate in moto rotativo azionando così i generatori elettrici.
Si tratta di sistemi che sono a un passo dalla commercializzazione, cosa che ne consentirà la produzione in massa.
Per le maree e le correnti il sistema di generazione è sostanzialmente lo stesso: un generatore a pale immerso al di sotto della superficie marina, ma la resa è diversa. Infatti i generatori immersi nelle correnti, molto promettenti e con un vastissimo potenziale impiego, sono in grado di produrre elettricità in maniera costante, mentre quelli per le maree producono durante le due fasi di afflusso e reflusso delle acque.
Per quanto riguarda queste due fonti l’Unione Europea, nel Piano Strategico per le Tecnologie Energetiche (Set Plan), ha previsto una serie di misure che dovrebbero portare i costi per la produzione di energia elettrica a 15 c€ per kWh entro il 2025 e a 10 c€ per kWh al 2030 per la produzione da correnti di marea, mentre per quanto riguarda l’energia da moto ondoso il percorso dovrebbe essere di 20 c€ per kWh al 2025, 15 c€ per kWh al 2030 e 10 c€ per kWh al 2035. Dopo di che i costi di questi due tipi d’energia saranno competitivi con altre fonti, sia fossili, sia rinnovabili.
Gli impatti ambientali degli impianti eolici posti sul mare sono di due tipi: sopra e sotto il mare. Per limitare i primi, ossia quelli sugli uccelli, è sufficiente non porre impianti sulle linee di migrazione; le specie stanziali, infatti, si abituano ben presto a considerare un “pericolo” le pale eoliche offshore. Sott’acqua, invece, sono più i vantaggi che gli svantaggi, fatto comunque salvo il fatto di preservare, durante la posa, la Posidonia sul fondo marino; ma ciò riguarda per lo più i sistemi eolici offshore ancorati sul fondo e molto meno quelli galleggianti. Per la parte sommersa gli impianti per l’energia dal mare possono diventare delle specie di scogliere artificiali, e risultare in tal modo attrattivi per numerose specie di animali permettendo lo sviluppo della biodiversità. E al loro fine-vita possono essere affondati senza problemi riducendoli in macerie sul fondo: si tratta di una tecnica molto utilizzata nel mondo, che sembra essere positiva per le specie marine a patto che non si intervenga su zone molto sensibili dal punto di vista ecologico. Certo affondare una pala eolica a fine vita nei pressi di una barriera corallina non sembra essere un buon affare… Ma è un problema che deve essere affrontato a monte visto che nelle zone sensibili sotto il profilo ambientale gli impianti energetici non devono essere posizionati.
Sotto il profilo della sicurezza relativamente alla fornitura energetica l’eolico non ha problemi. Il 4 gennaio 2018, infatti, in base ai dati di WindEurope in Germania con 925,3 GWh (833 onshore e 92,3 offshore) è stato soddisfatto il 60,1% del consumo di elettricità di tutta la nazione. E andando oltre alla questione ambientale bisogna considerare anche il fattore occupazionale. Nella Gran Bretagna, che dieci anni fa ha imboccato con decisione la strada dell’eolico offshore, Cambridge Econometrics stima che nel 2032 il settore avrà creato 60 mila posti di lavoro considerando sia quelli diretti sia quelli indiretti.
Fonti: https://windeurope.org/ https://www.statoil.com/en/news/hywindscotland.html https://www.camecon.com/news/cambridge-econometrics-research-shows-uk-offshore-wind-jobs-reach-21000-2032/
Immagine di copertina: Armando Tondo. Febbraio 2018.
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