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PRIMA PAGINA La Nuova Sardegna di Oggi lunedì, 21 ottobre 2024
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Mio padre era comunista
Mio padre era comunista.
Si, lo era anche se non l’ ho mai visto mangiare bambini.
Lui era un vero comunista con tanto di tessera e simbolo all’occhiello. Lo ricordo per la coerenza con cui si schierava ma, anche per l’obiettività critica che sapeva esprimere.
Ingrao, Amendola, Berlinguer, per lui furono chiari riferimenti e figure da ammirare e seguire.
Come si troverebbe oggi mio padre se fosse qui? Me lo vedo,con la sua aria ironica a ridere di questi ” nanerottoli “, lui che fu soldato ma dalla parte sbagliata, di quelli con le scarpe di cartone in un esercito allo sbando, lui che dovette subire la disparità di trattamento tra i due eserciti italiani (fascisti e regolari) i primi ben equipaggiati e assistiti, i secondi abbandonati a se stessi, come reagirebbe in questo guazzabuglio?
So che starebbe male al pensiero di noi figli e nipoti che stiamo in questo paese che lui difese e noi no, so che urlerebbe di rabbia per il nostro adattamento al degrado e ci accuserebbe d’inerzia.
E’ vero, papà, non siamo come te, noi non abbiamo il tuo coraggio né la tua determinazione.
Siamo stati contaminati e, a differenza tua, ci siamo accorti troppo tardi dell’infezione che ci piombava addosso.
Ti ricordo in testa a quei lunghi cortei del primo Maggio, con la bandiera rossa che non cedevi a nessuno, forte e convinto delle tue idee.
Non so perché mi stanno tornando in mente in maniera così impetuosa tanti ricordi e mi viene di parlare di queste cose, ma sento la necessità di pensare a uomini diversi da coloro che ci stanno ammorbando con la loro presenza e le loro parole e tu li sovrasti, li fai scomparire e mi restituisci l’orgoglio di essere Italiana, cresciuta accanto a un padre come te, comunista autentico e antifascista SEMPRE !
(Pubblicato da Angela)
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anche oggi ho avuto ho attacco di ansia gratuito (?)
ho litigato con m, lo ignoro. amica mi sta ignorando per organizzare stasera
ora mi metto a dormire per far scomparire ogni pensiero
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Credetemi, voi che vi affaccendate per esserci, per presenziare, per affermarvi, per lasciare un segno, per essere ricordati, voi, voi tutti, lacchè dell’esistenza e uomini di buona volontà, credetemi, è tanto più bello assentarsi, togliere il disturbo, smettere di apparire, farsi dimenticare, lasciare la presa. Divenire assenti, trasparenti, inconsistenti.
Non potete nemmeno immaginare quale straziante sensazione di certezza, di solidità, dia non esistere più per nessuno, non avere più nessuno che venga a cercarti. Sprofondare nell’oblio del tempo, oggi. Morti viventi.
Assentarsi, da voi e da sé stessi. Da quella massa informe che è l’identità sociale di ognuno di noi, quella costruzione insignificante che è la nostra professione, il nostro curriculum, la nostra Opera, la nostra fama da pezzenti.
Guardarsi e non vedere più niente, non sapere più niente di sé. Chiedersi chi si abbia davanti; anzi, non vedere proprio nessuno davanti a sé, nemmeno quando si guarda il proprio volto allo specchio, quando ci si guarda negli occhi degli altri.
Come un puntino nero in una distesa di bianco, ecco, così mi piacerebbe scomparire.
Federico Ferrari -Assentarsi, dalla rivista Il primo amore
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Oggi è uno di quei giorni dove vorrei solo dormire e scomparire dai mie pensieri.
#frasi personali#frasi tumblr#no reposting#no reblobs pls#no reblog#foto mia#sono io#questa sono io#pensieri#dormire#scomparire#giorno no
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PABLO NERUDA ha violentato una collaboratrice domestica, ha abbandonato la figlia disabile ed è considerato un "celebre poeta cileno".
MARIO VARGAS LLOSA sposò sua zia, poi iniziò una relazione con sua cugina, che tra l'altro aveva 15 anni e lui 25, e gli diedero un premio Nobel.
GABRIEL GARCÍA MÁRQUEZ ha potuto scrivere il suo capolavoro grazie al fatto che sua moglie lavorava dentro e fuori casa, gli portava da mangiare, lavava, stirava e cucinava, a volte senza nemmeno ricevere una parola, mentre lui scriveva Cent'anni di solitudine, e hanno curato le sue opere in quasi tutte le lingue.
JUAN JOSÉ ARREOLA ha abusato sessualmente di Elena Poniatowska, è ricordato come un prodigio della letteratura messicana.
CHARLES BUKOWSKI era un alcolizzato violento e i suoi libri sono pubblicati da uno degli editori spagnoli più prestigiosi e costosi.
OCTOVIO PAZ ha preferito che Elena Garro restasse a casa come moglie devota, e continua a essere letto a tutti i livelli educativi.
VLADIMIR NABOKOV ha costruito la sua opera principale sulla pedofilia e sugli abusi ed è ancora oggi elogiato.
🔴J.K. ROWLING parla apertamente di cosa significhi essere una donna (=femmina umana adulta) e le pongono il veto, la insultano, la chiamano stronza, puttana, le augurano la morte, tolgono i suoi libri dagli editori e dalle librerie.. .
La misoginia e il patriarcato restano; a volte solo mutano e si travestono da inclusione, l'importante è ancora far scomparire le donne e che gli uomini parlino e definiscano ciò che sono e si aspettano dalle donne.
Ma finisce molto facilmente, vero? Dopotutto le femminazi (che persone erudite) han già detto che se le donne sono così oppresse, è meglio per noi diventare uomini. Il loro livello di odio e di imbecillità non ha ancora raggiunto il limite...basta pensare che sono le femminazi che ci stanno portando all' islamizzazione, che nascondono gli stupri dei musulmani a cui portano supporto alle manifestazioni.
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Ci siamo divertiti lì, tutto era perfetto, quante dichiarazioni d'amore abbiamo fatto, abbiamo visto passare la gente, giocare i bambini, litigare tra i passanti, suonare il clacson a ritmo frenetico e tanto altro, c'era la televisione all'aperto, ricordo le capanne che avevamo facevamo da bambini la corsa al rincorrersi, nel pomeriggio il gioco del nascondino era al culmine, gli alberi ci aiutavano a scomparire per qualche istante, nei giorni di pioggia il prato si bagnava, ma se la mamma ci distraeva lì eravamo, siamo cresciuti insieme, ti ho chiesto un appuntamento lì, ci siamo sposati e ora vediamo i nostri figli giocare nello stesso ambiente in cui eravamo così felici, il nostro giardino è un posto incredibile, i fiori e le persone erano nato, cresciuto lì, nuovi ricordi ogni giorno in quello stesso posto, oggi ho preso il suo nome giardino, ora è il nostro magnifico cortile di magia.
Jonas R. Cezar
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Oggi è uno di quei giorni in cui vorrei scomparire e non tornare per molto tempo.
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8:00
Non mi va di alzarmi resto a letto
12:00
Non ho molta fame mangio dopo
14:00
Mangio qualcosina
14:10
Cosa faccio? Vabbè mi metto sul letto
15:00
16:00
17:00
18:00
19:00
20:00
Cazzo già sono le otto.. vabbè resto a letto
21:00
3:00
È presto meglio se dormo sennò domani che faccio
8:00
Non mi va di alzarmi resto a letto.
E così che va da un po', i giorni passano e io resto qui ferma vorrei fare qualcosa ma in realtà non voglio fare niente. Dovrei reagire ma non mi va. I miei genitori mi vedono e nemmeno mi chiedono più nulla..per loro sono come quella bomboniera data ad un matrimonio anni fa.. sta li. Se non c'è non c'è se c'è, c'è.
Metto le cuffie ma in realtà non sto ascoltando nulla. Metto un film ma in realtà non lo sto guardando.
Mi chiedo cosa mi stia succedendo ma non voglio sapere la risposta.
Mi chiedo se forse è il caso di passare per il bagno e guardarmi allo specchio e darmi una sistemata magari avrei più voglia di uscire... No, mi guardo e penso ma perché mi sto preparando non voglio uscire.
Non accendo nemmeno più le luci quando escono tutti e resto sola. Spero di addormentarmi presto anche oggi. E domani? E dopodomani? Boh si può scomparire?
Penso ad oggi domani si vede e poi è un loop che non finisce mai.
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Mondo, mi inginocchio davanti ai tuoi piedi d’erbe. Sono qui per piangere. Ai maschi della mia specie insegnano fin da cuccioli come mantenere il volto sereno, la fronte ben spianata di fronte alle bufere. Siamo bravi a nascondere le bestemmie e il pianto. Siamo bravi a mentire, fino a provare disgusto di noi stessi. Ma oggi no. Davanti ai tuoi occhi muti, alle tue orecchie cieche, voglio piangere fino a che il petto non rassomigli ad uno dei tuoi deserti scosso da una violenta pioggia a lungo taciuta dal cielo. È l’idea di scomparire a turbarmi, Mondo. L’idea di perderti dopo avere amato ogni sporco gingillo che pende dalla tua schiena spossata dai secoli. Un torrente di immagini mi attraversa - ma non voglio impietrarne nessuna; potrei – e un solo lungo conato d’amore e di rabbia provo e cerco di farti comprendere. È una tortura sapere che nel giro di giostra di un secolo tutte le bocche sorridenti e ubriache che vedo muoversi come nuvoli di storni sopra i banchi di nebbia e di vetro dei sabato sera saranno prima un ghigno senza labbra e poi molecole che capriolano dentro ai venti morti delle sere invernali nelle spianate nude dei tuoi rocciosi tubercoli. È una tortura sapere quanta preoccupazione possa stipare nel ventre un essere umano prima di mollare le briglie, rilasciare gli sfinteri e arrendersi all’inutile comprensione dell’inutilità del lavoro, dei treni in ritardo, delle borse di Vuitton troppo care, dei parcheggi in doppia fila davanti alle sale scommesse, dei figli che non vogliono studiare, del fumo di sigaretta, del colesterolo alto, dei troppi caffè che fanno alzare la pressione; della sacra vita divorata dal nulla assoluto delle conversazioni di facciata e dall’ansia di arrivare fino in cima. In cima… Non si arriva mai alla cima. Il mio capolinea si chiama Nadir. Allo Zenit abbiamo posto una Lampada che ci indica la strada per arrivare al bagno, a scaricare i nostri pensieri rigonfi di tarme, e ad avere meno paura del buio. Piangere voglio, Mondo. Perché, come scriveva Majakovskij, passerò anch’io, trascinando il mio enorme amore e quando lo lascerò andare - perché a Nadir non accettano i fardelli di questo manicomio, che siano amore, spicci, bestiame o semplice polvere di cipria, cosa ne farai? - Come potrai digerirlo senza che la sua enormità ti strozzi?
Ti prego, dammi almeno questo: la forza di scrivere un verso, un verso solo, prima di sparire; un verso che abbia il vigore di nutrire l’illusione nutrita dalla Lampada. Che non illumini questo mio verso. Ma, come la lucetta rossastra nella camera dei nostri cuccioli, sia in grado solo di far provare meno paura… meno paura di te, Mondo.
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[...]
Fin dalla notizia della morte del blogger russo, i quotidiani occidentali sono stati sicuri della responsabilità e della modalità dell’omicidio, per alcuni pianificato, per altri improvviso. Come abbiamo già spiegato in un precedente articolo, con la sua morte, l’Occidente ha suggellato il ritratto di Alexei Navalny, rendendolo un simbolo di libertà, un moderno santo protettore dei valori democratici, schiacciato a morte dallo zar.
A pochi minuti dalla notizia del suo decesso, infatti, i quotidiani parlavano già di avvelenamento. Secondo altri, sarebbe morto di freddo o l’assideramento sarebbe stato una concausa. L’indomani la versione era già cambiata, ma come insegna il bipensiero orwelliano, era sempre stata quella corretta: un “pugno al cuore”, secondo The Times, chiaramente una classica tecnica del KGB per liquidare gli oppositori. Il fatto che Navalny avesse avuto delle convulsioni prima della sua morte e che i presunti lividi sul petto potessero indicare i tentativi di rianimazione, non ha sfiorato nessuno.
Fatto sta che per Il Foglio, la dinamica cambia poco, Navalny è stato ucciso: “La sua morte non è altro che la vendetta di Putin contro ogni oppositore”. A chi dovrebbe fare informazione, non interessa stabilire come siano andate le cose. La verità sfuma all’orizzonte, soffocata dalla propaganda. Se per La Stampa, Putin ha superato la “linea rossa”, Vanity Fair ci consegna un ritratto di supercattivo: “Alexei Navalny: mentre moriva, Putin rideva”. Se ancora Il Foglio è convinto dei “calcoli premeditati del Cremlino per far scomparire l’oppositore”, Il Riformista ricorda che veniva “torturato anche quando si lavava la faccia”, mentre La Repubblica firma un riepilogo su “Tutti i veleni di Putin, dal polonio al Novichok”.
Un caso emblematico ci viene dal Post, dove Eugenio Cau e la giornalista Anna Zafesova, in una puntata di Globo, spiegano perché Putin ha ucciso Navalny e in che modo con lui la Russia ha perso il suo migliore politico e la sua migliore speranza. Cau esordisce nel podcast senza mezzi termini: “Vladimir Putin ha ucciso Alexsey Navalny, il suo principale oppositore” e spiega che, anche non sono ancora note le cause del decesso, “sappiamo” chi ha voluto e ordinato la morte del dissidente russo: ovviamente, Putin, che così ha mandato un “messaggio sprezzante” all’Occidente.
[...]
Se è più che lecito avere dei sospetti sulla scomparsa di Navalny, così come denunciare le condizioni della sua prigionia, la deontologia imporrebbe la pazienza di una ricerca accurata, volta a ricostruire in maniera obiettiva la dinamica della sua morte. Invece, la granitica certezza e le molteplici quanto fantasiose ricostruzioni sbandierate dai media occidentali dovrebbero far riflettere su come il giornalismo sempre più spesso scivoli nella sciatteria e nella disinformazione. A maggior ragione quando a inebriarsi dai fumi della propaganda sono gli autoproclamatisi professionisti dell’informazione, che oggi esaltano un dissidente comodo all’Occidente, ma ogni giorno fanno la morale a chiunque manifesti un pensiero divergente.
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Filo
Il mio regalo per te è arrivato oggi. Il tuo messaggio per me è arrivato oggi. E io che dubitavo. Dubitavo di quel filo che ci lega, ma che invece c'è. Che non è come voglio, della natura che vorrei. Ma c'è.
Sai smentire i miei dubbi (o certezze?) e smantellare le mie paure in un attimo. Gioia di un secondo...ma gioia. Destinata a finire, ma che comunque è stata.
È ora di lasciarti scivolare via dal cuore, dalla testa, dalla pancia. Sicura che quello che c'è (e che non è tutto quello che vorrei, ma c'è) nessuno me lo porterà via, nemmeno lei.
Il filo invisibile, oggi l'ho riconosciuto ancora. Sottile. Resistente. Chissà se è stata lei a suggerirti di esserci anche tu nella foto che mi hai inviato. Chissà se è stata lei a suggerirti di non includerla nelle immagini testimoni della vostra felicità. Probabile, ma spero che non sia così.
Possibile ma, anche se fosse, non mi sentirei in dovere di esserle grata. Troppo facile essere empatica quando si è stata scelta. Il suo stare in disparte non richiesto, anche se desiderato. Un rimanere dietro le quinte un po' ipocrita, quando invece, nella realtà, si domina il palcoscenico.
Ma era l'unica alternativa accettabile. Restare nascosta, visto che da me non era stata inclusa. Visto che nella storia che ho scelto per voi (per te e tua figlia), per te, lei non c'è e non è un caso. C'è già abbastanza nella realtà...
Che poi non è vero che non c'è! L'occhio attento e indagatore c'ha messo un po', complice il desiderio di farla evaporare nell'oblio, ma alla fine ha trovato tracce della sua presenza. Non poteva non esserci e stupida chi nell'illusione di questa possibilità s'è cullata.
Un lembo di pigiama, un dito...una presenza che vorrei cancellare ma che rimane indelebile. Una presenza che, anche volendo, non sarò io a cancellare. E che se anche venisse cancellata probabilmente non porterebbe i riflettori ad accendersi su di me.
Una presenza che non posso cancellare, né dimenticare ma che forse, spero, col tempo perderà peso specifico e quando la vedrò non sentirò più lo squarcio. Al petto, nella pancia. Non sentirò più trapanarmi le domande nella testa, domande che rimarranno senza risposta. Non sentirò più il dolore.
Lui è un balsamo che lenisce le mie ferite e gli sono grata. Forse bisogna aprirsi a ciò che è differente da quello che abbiamo sempre pensato essere "su misura" per noi.
Ma appena compari tutto il resto impallidisce, si affievolisce e perde spessore. Si assottiglia fino quasi a scomparire. Ma lui è tutto quello che ho ora. Cioè, tutto quello che ho e che somiglia a quello che vorrei.
No, non è "tutto quello che ho". È una persona, è un incontro. Un incontro nel momento giusto. Del desiderio. Di essere consolata, ascoltata, coccolata, bramata.
Lui sembra esserci, in quest'incontro. Forse più di me, o forse è un'illusione. Forse senza "forse", è un incontro che va liberato dai fantasmi del passato.
Aprire le porte, darsi possibilità, anche non cercate, anche fuori dagli schemi dei miei desiderata. Paura che l'entusiasmo che si sprigiona dalla sensazione di essere cercata svanisca, lasciando il vuoto di sempre a regnare sovrano.
Paura di non essere più capace di essere il miele che attira l'ape e di finire dimenticata in qualche punto dell'etere.
Perché le parole accendono qualcuno e su altri scivolano via come olio sull'acqua? Una parola, differenti pesi specifici.
Sentire un legame a volte è violenza, se non porta a ciò che vuoi. Una dolce violenza dal sapore di malinconia.
Sentire un legame e non poterlo vivere come vuoi è dolcezza violenta, una convivenza di fiaba e incubo contemporaneamente coesistenti.
Aprire le porte...riempire vuoti o svuotare pieni, che in fondo è la stessa cosa.
Un'amica mi ha detto che basta a se stessa. Riuscirò anch'io nell'intento? Placherò la mia fame?
Anoressia sentimentale, anzi inedia. Difficile, da qui, provare sazietà.
Eppure mi hai ringraziato subito e, leggendo il mio regalo per te, hai rischiato pure di commuoverti, hai scritto.
Per me il rischio è diventato realtà. Per te anche, credo. Corrispondenza emotiva. Pericolosa come una droga, che ti fa volare ma quando finisce è impalpabile come l'aria e crea un vuoto solido e pesante come un masso (o una montagna). Corrispondenza...chissà fino a che punto...
È il punto che delimita la mia sofferenza ed è per questo che è ora di lasciarti andare.
Accettare la solitudine, raggiungere la sazietà emotiva nutrendosi d'altro. O abituarsi alla fame, per non sentirla più.
Dimenticarmi di ciò che eravamo, perché in effetti poi non lo siamo mai diventati. Come un seme che non ha mai germinato.
Non parlarti per non sentire più il piacere di quello che già siamo e di ciò che saremmo potuti diventare, ma non saremo mai.
Eppure nonostante tutto, nonostante faccia anche male, mentre fa del bene (e mentre scorre il bene), quel filo c'è.
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E poi vorresti che questo peso al cuore divenisse ogni minuto più lieve, fino a scomparire. Che il nodo alla gola si potesse sciogliere lasciandoti libero di cantare. Vorresti che gli occhi fossero lucidi per belle emozioni e non per questo dolore che senti. Che i pensieri fossero leggeri e ti facessero sorridere, invece di ricordarti quello che stai passando. Perché ognuno di noi vive momenti di sconforto, sentendosi attanagliato dalla tristezza, dall’ineluttabilità. Tutti sanno cos’è la sofferenza. Pochi riescono ad aiutare colui che la sta provando. E non per semplice egoismo o menefreghismo. È vero, c’è chi se ne allontana, come se fosse una malattia che può contagiare. Che preferisce frequentare chi sta bene, chi non porta pesi, perché è più facile. Ma questo è solo un rapporto superficiale, che non vuole impegni. A cui va bene scambiarsi due risate, senza la voglia di cercare la fonte delle lacrime. Oppure c’è chi tiene veramente a te, ti sta vicino, ci prova, ma pensi che in fondo non capisca la tua vera pena. Se ci riflettiamo ce ne rendiamo conto e non è per giudicare o per recriminare. Quando stai male cerchi il sostegno degli altri, la mano che ti rialza, ma non serve, la forza la devi trovare in te, altrimenti sarai sempre un passo indietro al dolore, invece che affrontarlo e vincerlo. Perché vincerai. Questa è una sicurezza. Questa è la certezza a cui ti devi aggrappare. Tu sei il rifugio dalla bufera, il tuo faro nel buio, il sorriso tra le lacrime, l’abbraccio che avvolge la tua anima. Non perché gli altri non possano aiutarti, ma perché l’aiuto vero, quello che serve, viene da te stesso. Sei padrone della tua vita, prendi questo dolore e trasformalo, l’hai vissuto, guardato negli occhi, sentito in ogni cellula del tuo corpo e ora oltrepassalo. Non pensare di essere da solo, siamo tanti guerrieri che dentro affrontano sfide e a ogni vittoria diventiamo sempre più forti. Guardati allo specchio e sorridi, perché sei qui e puoi dire che anche oggi ce l’hai fatta.
(tratto dal libro 'Riflessioni per Rinascere' di Simona Bianchera)
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"Depuis huit jours, j'avais déchiré mes bottines Aux cailloux des chemins…
Da otto giorni stracciavo le mie scarpe sui sassi delle strade…
scrive Rimbaud. Strada: striscia di terra che si percorre a piedi. Diversa dalla strada è la strada asfaltata, che si distingue non solo perché la si percorre con la macchina, ma in quanto e una semplice linea che unisce un punto a un altro. La strada asfaltata non ha senso in se stessa; hanno senso solo i due punti che essa unisce. La strada è una lode allo spazio. Ogni tratto di strada ha senso in se stesso e ci invita alla sosta. La strada asfaltata è una trionfale svalutazione dello spazio, che per suo merito oggi non è che un semplice ostacolo al movimento dell'uomo e una perdita di tempo. Prima ancora di scomparire dal paesaggio, le strade sono scomparse dall'animo umano l'uomo ha smesso di desiderare di camminare con le proprie gambe e di gioire per questo. Anche la propria vita ormai non la vede più come una strada, bensì come una strada asfaltata: come una linea che conduce da un punto a un altro, dal grado di capitano al grado di generale, dal ruolo di moglie al ruolo di vedova. Il tempo della vita è diventato per lui un semplice ostacolo che è necessario superare a velocità sempre maggiori. La strada e la strada asfaltata sono anche due diversi concetti di bellezza. Quando Paul dice che nel tal posto c'è un bel paesaggio, significa questo: se ti fermi là con la macchina, vedi un bel castello del Quattrocento con accanto un parco; oppure: là c'è un lago, sulla cui fulgida superficie, che si perde in lontananza, nuotano i cigni. Nel mondo delle strade asfaltate un bel paesaggio significa: un'isola di bellezza unita da una linea ad altre isole di bellezza. Nel mondo delle strade la bellezza è continua e sempre mutevole; ad ogni passo ci dice: «Fermati!». "
Milan Kundera, L'immortalità, traduzione di Alessandra Mura, Adelphi (collana gli Adelphi, n° 47), 2023²¹; pp. 242-243.
[Testo originale: Nesmrtelnost, 1988]
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Oggi è uno di quei giorni in cui non voglio più combattere, voglio solo scomparire.
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È successo, ancora!
L’ho rivista, quasi prima di scomparire all’ombra di una nuova alba. Era talmente super, bella piena e luminosa da sembrare irreale. Come se Il Cielo facesse quasi fatica a contenerla, volendo scendere sulla Terra per farsi ammirare ancora meglio e magari perché no farsi addirittura abbracciare da Me!
Incontenibile è stata anche la felicità che ho provato per la strepitosa sorpresa che mi ha fatto. Mi sono sentita talmente fortunata da voler quasi addirittura piangere di gioia.
Avrei voluto che quell’istante durasse per sempre, mentre un vortice di emozioni e di pensieri contrastati stavano invadendo con brivido la Mia mente. Non riuscivo più a controllarmi per quanto fosse tutto esageratemente forte, tanto d’arrivare persino a tremare, mentre prendevo di corsa il cellulare dalla tasca, per provare ad immortalare la Mia Musa, che più cercavo di mettere a fuoco e più si allontanava dall’obiettivo pur restando immobile dentro ai Miei occhi così pieni della Sua infinita, accesa bellezza. Lo confesso: nemmeno stavolta gli scatti fatti sono venuti granché ma non fa niente, l’importante è poter avere il Ricordo di questo attimo mozzafiato. Ho fatto fatica a staccarle gli occhi di dosso, come sempre del resto, ma il dovere chiamava e così a malincuore sono stata costretta a lasciarla. È stato comunque magico, poiché sono arrivata lì con maggiore slancio e con un sorriso interminabile, che non mi hanno fatto sentire il peso della fatica o pressione alcuna.
Oggi il Mondo avrebbe pure potuto essere più cinico e spietato del solito, non me ne fregava, perché avevo vicina Lei, Sua Maestà, e questo bastava per sentirmi potente e realizzata!
Chissà mi chiedo infine, se nel mentre l’ammiravo mi ha fatto da tramite verso coloro i quali mi mancano, per far giungere il Mio Pensiero affettuoso? Spero di sì! Spero che sia riuscita ad unire il Mio Cuore ai Loro per sentirci meno distanti.
@elenascrive
📸 mia
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