#odio scegliere i dettagli
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dolce-tenebra-toscana · 1 month ago
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WHY IS IT SO HARD TO CHOOSE A FUCKING CHANDELIER FOR A LIVING ROOM?! WHY??!
IT TOOK ME LESS TIME TO FIX AND REPAINT THE ENTIRE KITCHEN!
And i still have to choose the wallpaper AND mirror for the bathroom 😭😭😭😭
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levireonhato · 24 days ago
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https://www.tumblr.com/hollowforhollow/767388163575545856/httpswwwtumblrcomlevireonhato767383240612937?source=share
Sì poteva solo / lontanamente / immaginare quanto lo sguardo palesemente curioso del corvino potesse arrecare fastidio o imbarazzo al medesimo interlocutore per quanto indagatore e severo potesse essere; era uno sguardo attento alla continua ricerca dei più piccoli ed insignificanti dettagli che gli altri non riuscivano a notare. Eppure non aveva intenzione di cessare quel suo studio tanto attento quanto rigoroso, non se immaginava ch'egli aveva senza dubbio qualcosa che nascondeva nella parte più recondita della sua essenza; qualcosa a cui / probabilmente / nessuno aveva libero accesso. D'altronde chi non aveva almeno un segreto riguardante la propria anima?
Dimitri parlava, mentre Levi ascoltava silenziosamente il strano placido concerto dei suoi pensieri. Le sue parole avevano catturato la sua attenzione, ma era sempre molto sospettoso. Era abituato a scavare sempre molto prima di convincersi, o farsi un'idea.
«Mh» fece un mezzo e finto sorriso, quasi come se lo stesse prendendo in giro, guardandolo poi con una profonda serietà. Sembrava che lo stesse trafiggendo con i suoi occhi taglienti e grigi. Aveva tutta l'aria di chi stesse per architettare un modo per ucciderlo e scegliere un luogo dimenticato da dio in cui scavargli una fossa. No, niente di tutto questo entrava nella mente del Reonhato. Ed ecco che il corvino decise finalmente di rivolgergli parola.
«”Vecchio / amico / di famiglia”, eh… perché no? Potrebbe rivelarsi assai piacevole» chiaramente nel tono da lui usato traspariva una forma blanda di ironia, scavando nei ricordi di Dimitri, ma quello che aveva trovato era solo morte, sangue, disprezzo, odio. Tutte emozioni negative.
«Quanto un attacco di diarrea suppongo.» Com’era sempre così raffinato nell'esporre le sue figure retoriche. Stavolta l'ironia aveva abbandonato il tono di voce. Forse inconsciamente voleva spaventarlo, ma a quanto sembrava non ci stava riuscendo per niente, almeno con Dimitri. Era davvero un tipo strano Levi. Rimaneva piuttosto indecifrabile come persona, lo era sempre stato sin da piccolo. Giravano voci su di lui e chiunque non abbia mai avuto il / piacere / di conoscere Levi Reonhato, si immaginerebbe un uomo molto brutto e molto sgradevole. Ma a pelle si poteva essere abbastanza certi che fosse uno di cui ci si potesse fidare sul serio. Uomo complesso ma allo stesso tempo anche molto onesto e diretto.
«Non racconto mai la mia vita a nessuno. E' mia e basta, non voglio essere / compatito /, piuttosto preferisco essere disprezzato.»
Levi non è un tipo di cui si fida facilmente, col tempo aveva perso molta fiducia, specialmente nell’umanità. Né avrebbe accettato l’aiuto di nessuno, anche quando non sarebbe stato in grado di cavarsela da solo. Questo lato lo aveva sicuramente preso da sua madre Laia: preferirebbe morire piuttosto che fare affidamento sugli altri.
«/ Ma / potrei fare qualche eccezione, oggi, con te. Ho sempre pensato che l’unica cosa che ci accomuna – purtroppo – è che siamo attratti dall'oscurità come le falene dalla luce» concluse il corvino, concedendogli stranamente una piccola opportunità. Il corvino era uno che non andava tanto per il sottile e nei propri occhi baluginava l'efferatezza, con cui ogni tanto amava duettare. E mentre lo scrutava, capì che Dimitri non aveva cattive intenzioni almeno per adesso, sebbene quegli occhi e quel perfido sorriso gli suggerisse il contrario.
«Ci terrei a precisare però che sono molto bravo a smascherare le bugie, quindi non provare ad ingannarmi, Dimitri.»
Lo freddò il giovane Reonhato, senza perderlo di vista neanche per un secondo. Sarà un pezzo di ghiaccio, ma anche il ghiaccio può bruciare. Brucia la pelle se ci rimani a contatto troppo a lungo e il suo ghiaccio non era da meno. Le scottature da ghiaccio fanno male, come quelle da fiamma. Ecco com'era il suo ghiaccio. Uno sguardo che ti penetrava dentro, in ogni cellula, in ogni anfratto. Aveva una freddezza che ti rimaneva addosso per sempre.
«Qui vicino ci deve essere un piccolo locale niente male. Potremmo andare lì» suggerì infine il corvino, decidendo finalmente di seguire il rosso, mantenendo sempre e comunque una certa distanza di / sicurezza /. Nella vita non si sai mai, eh Levi.
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vefa321 · 3 years ago
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✒️𝗟𝗲𝘁𝘁𝗲𝗿𝗮 𝗮 𝘂𝗻 𝘀𝗼𝗹𝗱𝗮𝘁𝗼
Vorrei scriverti che le tue gesta non hanno colpe
Vorrei dirti che gli ordini non sono scritti dal destino
Vorrei ascoltassi il rumore delle bombe che non farai cadere
Vorrei sentissi leggero, il fucile carico che pesa sulla tua spalla...
Potrei darti un nome,
sei un figlio,
sei un padre
Potrei non volerti conoscere per non riconoscerti
pari a me
Potrei evitare di pensarti impaurito,
spiazzato,
sconvolto...
Forse...
Dovrei solo ricordarmi che non sono i soldati a scegliere la guerra
𝗗𝗼𝘃𝗿𝗲𝗶 𝘀𝗮𝗽𝗲𝗿𝗹𝗼 𝗱𝗮𝗹𝗹𝗮 𝘀𝘁𝗼𝗿𝗶𝗮 𝗰𝗵𝗲 𝗶 𝗴𝘂𝗲𝗿𝗿𝗮𝗳𝗼𝗻𝗱𝗮𝗶 𝗻𝗼𝗻 𝘀𝗶 𝘀𝗽𝗼𝗿𝗰𝗮𝗻𝗼 𝗹𝗲 𝗺𝗮𝗻𝗶,
scaldano le poltrone e lucidano medaglie di vecchie vittorie che non hanno saputo perdere in nome di un odio che hanno amato più di ogni cosa.
Ti scrivo sapendo che non leggerai mai questa lettera,
Perché la guerra fa carta straccia delle buone parole e scrive solo pagine di storia, nera con l'inchiostro rosso del sangue.
In fede
J.D
✒️Vivi di particolari, raccogli i dettagli
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cate81 · 4 years ago
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UN PENSIERO SUGLI STUPRI E GLI ABUSI.
 Stavo seguendo il caso del figlio di Grillo, accusato di stupro insieme ad alcuni amici. Non ho gli strumenti necessari per sapere se lo stupro sia avvenuto o meno, ma sicuramente non trovo particolarmente nobile farsi una ragazza in tre. Per carità, nessuno vuole moralizzare, ognuno vive la propria sessualità come preferisce, tuttavia se nel rapporto consenziente fra due individui esiste complicità fra i due individui, in un caso come questo esiste più probabilmente complicità fra un gruppo di amici e una ragazza che funge soltanto come trastullo. Se poi tale ragazza abbia scelto o meno di essere il trastullo, questo non ci è dato saperlo. Sul caso di Ciro Grillo non mi interessa dunque esprimere giudizi, non ero lì e non posso sapere. Quello che invece mi interessa approfondire con voi è la facilità con cui oggi si arrivi a parlare di stupro. Siamo sempre lì: come per la violenza sulle donne, anche con gli stupri spesso a denunciare è chi nei fatti quel tipo di dolore non lo ha mai davvero vissuto. Qualcuno in passato mi ha accusato di essere poco sensibile all'argomento, poiché manifestavo dissenso verso l'ipocrita propaganda di oggi, ma la verità è che la mia reazione è dovuta semmai ad un'estrema sensibilità all'argomento, la sensibilità di chi davvero ha conosciuto certi orrori nella sua vita. Perché, parliamoci chiaro: la donna che realmente ha subito violenze si sente soltanto offesa da tutta questa propaganda, sfruttata quasi sempre da una certa politica e da donne che nei fatti non hanno mai conosciuto il vero dolore e la vera paura. Tutti parlano senza osservare il reale tessuto sociale in cui viviamo, sento discorsi anacronistici di vecchi parolieri che sbraitano di come "le donne non vengano mai credute se denunciano" e che "occorre coraggio a denunciare". Mi spiace, ma questo senza dubbio era così ieri, non certo oggi. Oggi la realtà è che a una donna basta volersi vendicare di un ragazzo che magari non le dà più attenzioni per denunciarlo e accusarlo di violenze e nessuno metterà in discussione la sua parola, perché farlo significherebbe sembrare dei "maschilisti misogini". La verità è che oggi subiamo una propaganda a favore delle donne a prescindere e questo mi disgusta per due motivi: il primo è che odio le ingiustizie e pertanto come odiavo un tempo la prevaricazione del maschilismo, trovo oggi odiosa la prevaricazione del femminismo. Il secondo è che non sopporto l'attuale politica del vittimismo: io sono una donna e non ho alcuna voglia di essere una vittima, una creatura fragile, non ho voglia di essere parte di una categoria protetta da tutelare, perché ciò offende e sminuisce ciò che sono. Questa politica del vittimismo non fa altro che alimentare il desiderio di essere martiri. Se un tempo era incoraggiato l'eroismo e la forza, oggi viene incoraggiato il "martirismo". Il debole viene coccolato dal buonismo popolare e quindi le persone anziché cercare di rafforzarsi cercano sempre nuovi motivi, anche fittizi, per alimentare la propria debolezza, arrivando persino a inventare traumi e disgrazie mai vissute, solo per ricevere attenzioni e consensi. In tutta questa propaganda occorre poi fare i conti con uno Stato che nei fatti non esiste, dove se denunci rovini soltanto la reputazione di un individuo ma nessuno ti tutelerá poi davvero legalmente e concretamente dal tuo carnefice. Accade così che le vere vittime tacciono per paura e impotenza, leccandosi le ferite in un angolo e portando dentro un dolore che i più nemmeno possono immaginare, mentre i viziati figli del benessere odierno si creano i propri drammi, spendendo i soldi di mamma e papà per andare in terapia e poterlo poi raccontare sui social, dove una manica di coglioni buonisti condividerà i loro hastag da justice warriors del momento. Ho sentito discorsi assurdi, di ragazze che gridavano allo stupro solo perché dopo essersi ubriacate si sono concesse allegramente a ragazzi, per poi pentirsene il giorno dopo. E poi via subito al gran galá della demagogia, con discorsi della serie: "Poverina, era ubriaca e lui se n'è approfittato". Ah, davvero? Quindi lui non era altrettanto ubriaco? Lui non era poco lucido esattamente come lei? Perché a meno che lui non fosse un integerrimo mormone astemio, a vedere i ragazzi di oggi mi pare che tutti, uomini e donne, si diano all'alcol in egual misura. Quindi mi spiegate perché una lei ubriaca dovrebbe essere considerata incapace di intendere e volere e un lui ubriaco non può essere giustificato allo stesso modo? Ipocrisia da farisei! Mi spiace essere arrabbiata, ma lo sono, e molto. Sono arrabbiata per tanti motivi. Sono arrabbiata perché mi offende vedere donne che non hanno mai conosciuto orrori usare certi drammi reali per fare le ego-vittime. E purtroppo avrei numerosi esempi di casi in cui mie conoscenti hanno millantato abusi. E fa incazzare, perché non solo non hanno il minimo rispetto delle vere abusate, ma spesso rovinano per sempre la vita di ragazzi che magari non hanno mai fatto male a una mosca. E sono arrabbiata perché non ho più voglia di vedere gente stupida o che ci tratta da stupidi. Donne, non lo sapete che bere fa perdere lucidità? Siete tutte candide e ingenue Heidi scese dal monte? Io non credo, penso anzi che ormai già a 14 anni ne sappiate più di me. Quindi, se non volete l'indomani pentirvi di un rapporto sessuale che da sobrie probabilmente non avreste avuto, non potreste semplicemente prendervene la responsabilità ed eventualmente non bere? Perché se una persona non è capace di bere, allora non beva! Tutti bevendo hanno fatto cazzate, ci mancherebbe, in modo diverso ne ho fatte anche io, però mi son sempre assunta la responsabilità dei miei errori. Perché se scegli di bere, se scegli TU di renderti vulnerabile, dopo non puoi accusare nessuno delle tue cazzate. Se un uomo ti prende, ti blocca in un angolo e ti violenta, allora è stupro. Se un uomo ti fa ricatti morali per ottenere favori sessuali, allora è una forma di abuso. Ma se tu per scelta ti ubriachi con lui e decidete di divertirvi e fare le teste di cazzo, allora siete solo e semplicemente due teste di cazzo, entrambi, nessuna vittima e nessun carnefice. O forse in quanto donna vuoi essere trattata come imbecille, incapace di intendere e volere? Non so te, ma io sono donna e non mi sento affatto imbecille e se sbaglio, proprio come un uomo, mi prendo ogni responsabilità delle mie azioni. Per concludere, le vitttime di stupro esistono? Certo che sì, come esistono però anche le stronze bugiarde. E il fatto che un tempo ogni donna ingiustamente non era quasi mai creduta non significa che oggi si debba al contrario credere a tutte. E gli stupratori esistono? Sì, ovvio, e sono dei figli di puttana, nature marce che nessuna campagna di sensibilizzazione potrà mai cambiare. Non serve far campagne di sensibilizzazione contro gli stupratori o i "bulli", perché chi è una brutta persona non diventerà certo buono. Ciò che semmai possiamo fare è insegnare alle vittime a diventare forti, a difendersi, a rendersi meno attaccabili, a scegliere di non essere più vittime. Io per tanto tempo, soprattutto da giovane, mi son sentita una vittima. Avevo vissuto cose orrende e mi sentivo soltanto una creatura ferita, giustificata pertanto ad essere debole. A quel tempo non sapevo manifestare certe emozioni e quando finalmente son riuscita a farlo mi sono accorta che tutto quello che potevo ricevere era la compassione. Non era vero sostegno, non era era vera stima o vero affetto, era solo falsa pietà. Ed io trovai quella compassione più umiliante persino delle ferite ricevute, così ho capito che tutto ciò che potevo fare era diventare forte e circondarmi di donne e uomini forti. Sapevo di non essere wonderwoman, sapevo che qualcuno avrebbe potuto farmi del male, ma sapevo anche che per quel che potevo non lo avrei più permesso. Non potevo tornare indietro e sfondare di botte chi mi aveva fatto del male, ma potevo scegliere, dentro di me, di non vivere più quel dolore da vittima, di andare oltre quel ruolo degradante. Alzare la testa anziché piangersi addosso! Ogni persona ha le sue situazioni e ciò che ho vissuto io non ha nulla a che fare con le dinamiche odierne, dove dominano i locali, l'alcol e la noia, ma lo stesso principio di forza e auto determinazione può comunque essere applicato. Se ad esempio sai che bevendo ti rendi più vulnerabile, non puoi semplicemente controllarti? Non sto dicendo di non bere, tutti hanno diritto di divertirsi, ma c'è bisogno di devastarsi al punto da non riuscire nemmeno più ad avere il controllo di te stessa? Se tu arrivi a bere così tanto, al punto da accettare consapevolmente di non essere più padrona di te stessa, allora sei tu che ti sei stuprata, sei tu ad aver fatto violenza su te stessa, sei tu a non rispettarti. E non te lo dice una astemia moralista, te lo dice una che ha conosciuto anche l'auto-distruzione e che per amor proprio e dignità ad un certo punto ha saputo dire No, Vafanculo. Una società che ti tratta da martire e ti dice poverina se nei fatti ti auto-distruggi non è una società che ti ama, é solo una società di deboli e mediocri che ti vuole debole e mediocre. Non è vero amore, è solo gente bassa che sta ad applaudire la tua caduta per sentirsi meno sola nel proprio degrado. Se vuoi l'amore devi in primis dartelo tu, imparando ad innalzare te stessa. Non pretendere il rispetto dell'uomo, impara tu per prima a rispettarti. Se ti ubriachi fino a non ricordare più il tuo nome, se frequenti uomini che come te fanno altrettanto, di preciso cosa ti aspetti di trovare? Il principe azzurro non credo stia lì nella merda in cui hai scelto di sguazzare. E per rivolgermi anche all'uomo, va da sé che nemmeno tu troverai in certi contesti la tua principessa. Che posso dire? Questa non è un'autobiografia, non voglio scendere nei dettagli, però posso assicurarvi di aver vissuto esperienze realmente difficili, che spesso non son nemmeno dipese da me. Eppure ho scelto di non essere una vittima, l'ho scelto in primis dentro di me. Ho scelto di affrontare ciò che ho vissuto, di farne una fonte di rafforzamento anziché un pretesto di vittimismo. Ho iniziato persino a vedere il mio dolore come uno strumento per capire e sentire il dolore degli altri, quello vero, perché le persone ferite esistono, nonostante la moltitudine di commedianti in cerca di attenzioni. Il mio post non è una condanna verso chi parla di certe disgrazie, anzi, parlarne va bene. Il mio post è semmai contro chi mistifica, protetto da una società che vuole il martire. È contro chi ne parla perché vuole muovere negli altri pietismo, anziché trovare in sé stesso orgoglio, forza e fierezza. Alle persone che hanno vissuto certi orrori, donne e uomini, va il mio più sincero affetto, reale e privo di pietà, nonché il mio invito a scegliere di non essere più vittime. A tutti gli altri che vivono di menzogne, vittimismo e ipocrisia va invece il mio disgusto e sí, forse davvero anche la mia compassione. Avete scelto il caos, avete scelto di farlo entrare dentro di voi e ora che state bruciando continuate a buttarvi benzina addosso, perché nei fatti vi fa schifo il vostro mondo. E la verità è che potrebbe esistere un mondo ben migliore ma non avete più la voglia e la forza di crearlo. Siete anestetizzati da un falso benessere, da falsi valori, da un caos cancerogeno che vi hanno spacciato come normalità. Ma vi basterebbe guardarvi dentro per capire che nessuno di voi sta bene e che nel profondo sentite chiaramente che qualcosa non va. In nome di una falsa libertà siete diventati schiavi. E finché non capirete questo non credo di aver molto altro da potervi dire.
trovata sul web
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still-a-sketch · 6 years ago
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24 maggio 2019
Decisamente non dovrei essere qui a scrivere, ma sulla via per andare a nanna. Domani e dopodomani saranno giornate parecchio stressanti, e dovrei almeno tentare di salvaguardarmi con una nottata di sonno.
...no eh?
Questo weekend avrò (finalmente) gli ultimi due giorni di riprese di un corto di uno studente di film making della mia Accademia. Dico “finalmente” perché avremmo dovuto finire quasi un mese fa, ma una serie di sfortunati eventi (cit.) ha portato a rimandare e rimandare. Questo per me, che se non ho tutto programmato nei minimi dettagli sclero, è stato davvero pesante da sopportare. Mi rendo conto che ho un’enorme rigidità verso l’imprevisto, e questo amplifica il motivo per cui ho definito le due prossime giornate “parecchio stressanti”.
Cosa è questo corto? Per chi non lo sapesse, generalmente nelle scuole di cinema agli studenti degli indirizzi di film making/video making viene chiesto di realizzare come prova di esame (o una delle prove) un cortometraggio da loro scritto. È così che lo scorso anno ho iniziato a muovere i primi passi nell’ambito della recitazione davanti alla telecamera: grazie a corti di studenti, prima di una scuola della mia città e poi dell’Accademia NEMO di Firenze (con la quale ho ri-collaborato anche quest’anno, dato che gli ero piaciuta e mi hanno richiamata). Insomma, questo studente della mia Accademia ha fatto un casting interno alla scuola, per scegliere fra tutti noi studenti di primo e secondo anno due attori per il suo corto. E sì, sono stata una di quei due, nonostante una volta uscita dal provino avessi la certezza matematica di aver fatto un’impressione pessima (vi dico solo che a metà provino, che sappiate vengono registrati, ho chiesto se mi potessi togliere l’apparecchio perché non riuscivo a parlare bene). Il che, diciamocelo, mi ha fatto un piacere immenso dato che io sono solo al primo anno (e comunque a prescindere, anche fossimo state solo due candidate, mi sarei sentita come avessi vinto l’Oscar).
Il problema? Che il mio dca mi rende tutto questo, potenzialmente fantastico, una sorta di incubo perverso. Perché? Risposta ovvia: a causa del fatto che dovrei mangiare in presenza degli altri.
(continua)
La troupe è formata da tutti i ragazzi del corso di film making, ognuno con un ruolo preciso (regista, operatore, DOP, ecc) più il loro insegnante più altri due ragazzi che come me recitano (uno dei due è quello a cui faccio da tutoraggio linguistico, che è raccomandato come solo Dio sa cosa). Dato che le riprese inizieranno alle 11 e finiranno non si sa quando, è abbastanza ovvio che perlomeno il pranzo si presuma lo faremo tutti là.
Interferenza di sistema: mangiare davanti a persone che conosco è in assoluto uno dei miei blocchi più grandi. Che vedano cosa mangio, quanto mangio... ma semplicemente che vedano CHE MANGIO. Ovviamente so che nessuno di loro pensa che io campi d’aria, ma la razionalità in questi casi non serve. Il risultato è che ho passato tutta la sera a fare calcoli su comequandocosa mangiare in modo che loro in tutto il giorno mi vedano mangiare solo una mela. E persino pensare al fatto che mi vedano mangiare una mela intera mi mette in crisi.
Mi rendo conto che è assurdo. Mi rendo conto che è puro nonsense. Ma non ci riesco. Non riesco a fregarmene, non riesco a dirmi “tutte le persone di questo mondo per stare vive mangiano quindi non è che mangiando davanti a loro farai qualcosa di assurdo e anormale”. Ma per me È assurdo e anormale! Mi è capitato spessissimo, anche in biblioteca, di nascondermi a mangiare dietro le macchinette o addirittura in bagno perché ho visto arrivare qualcuno che conosco. È una paura talmente radicata che non riesco ad affrontarla. Non riesco a razionalizzarla, non riesco a superare quel “vorrei che loro mi identificassero come la ragazza che non mangia/che mangia pochissimo”. Dopotutto è stata proprio quella frase a farmi tuffare di testa nel dca, nel 2013, quando ero ancora in bilico: “certo che tu mangi proprio poco”. Un commento da niente, ma che per me in quel momento fu come un’illuminazione divina... che poi si è rivelata tutto l’opposto.
Come si fa ad affrontare giganti più grandi di noi? Anche in questo momento mi sto arrovellando su questi comequandocosa, e tutte le volte mi sembra che non avrò mai la capacità di superare questo ostacolo. Sono questi i momenti in cui mi rendo conto della merda in cui il mio dca mi tiene. Sono questi i momenti in cui mi viene da piangere. Sono questi i momenti in cui provo rabbia e odio e disperazione, ma non so verso chicosa indirizzarli. La prossima settimana sarò ad un LARP, ed indovinate chi scartabella da un mese per decidere come organizzare l’aspetto alimentare per via della presenza di altre persone?
Non posso andare avanti a barrette energetiche e barrette proteiche, comode da nascondere ma decisamente non l’alimentazione più sana del mondo. Ho fatto tanti passi avanti, perché verso questo provo ancora così tanto orrore?
Faccio domande retoriche, ma so almeno in parte il perché. Perché ancora non riesco a schiodarmi da dentro il desiderio che la gente si riferisca a me come “quella che non mangia”. Perché ancora non riesco a concepire cosa mai potrei essere se non questo. Perché continuo a cercare di arrampicarmi sugli specchi, ma durerà solo fino a che scivolando non ne romperò uno e mi causerò non solo altri anni di sfiga ma principalmente un sacco di ferite.
Mi dispiace per il tono di questo post. Non voleva essere così... malato. Dovrei essere felice e non vedere l’ora, invece tutto questo seppur presente viene oscurato da un’ombra che fagocita tutto.
Chiedo scusa se posso aver turbato qualcuno. Non era mia intenzione, e mai lo sarà. Non mi vedrete mai nella vita incoraggiare questi comportamenti o osannare l’ideale di ragazza che non mangia.
Non più.
Vi auguro una buona notte, sweet dreams.
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yoursweetberry · 3 years ago
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Mi sono messa a letto, mi stavo perdendo un po’ su pinterest a guardare le mise en place e decorazioni varie per natale. Non lo so perchè lo faccio, mi piace guardare ma non mi serve granché, ho anche paura che finisca come l’anno scorso che non abbiamo nemmeno mangiato.
Già so che comunque staremo solo noi tre perchè ho chiesto a mia zia che ha già detto di non mettere in mezzo non vuole ne che andiamo noi li ne lei qui. Quindi apposto già mi posso mettere l’anima in pace. Che schifo mammami.
Amo così tanto le cose di questo periodo dell’anno, mi entusiasma, ho voglia di fare mille cose, ma quando devo fare i conti con la realtà è sempre come cadere dall’ultimo piano di un grattacielo. Non è mai come desidero. Mi dico che posso farle comunque per me stessa da sola tutte quelle cose, e va bene, ma non è la stessa cosa è inutile prendersi in giro.
Amo fare l’albero e mettere le canzoni, ma odio farlo da sola. Amo fare i biscotti, ne farei a miliardi, ma odio non poterli fare per regalare. Amo sistemare nei minimi dettagli la tavola, scegliere il menu, preparare tutto, ma vorrei sentire le voci di più persone, vorrei che la stanza fosse piena e anche con la confusione, vorrei condividere . Vorrei non dover sentire la fretta di finire tutto in meno di un’ora se tutto va bene e dopo restare da sola in camera a non sapere che fare.
Boh vabbè è inutile che continui e che ci pensi.. come andrà andrà.. non posso fare nulla
scusa lo sfogo.. mi manchi
23:12
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giancarlonicoli · 4 years ago
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30 apr 2021 10:09
“OGNI 17 MAGGIO ALLE NOVE E UN QUARTO, IO GUARDO L' ORA E DICO ‘ECCO, ADESSO’” - MARIO CALABRESI INTERVISTA LA MADRE, GEMMA CAPRA: “GLI ARRESTI DI PARIGI SONO UN FULMINE A CIEL SERENO. CERTO, AVREBBE AVUTO UN ALTRO SENSO PER LA NOSTRA FAMIGLIA SE FOSSE ACCADUTO UNA VENTINA DI ANNI FA. OGGI IO SONO DIVERSA, HO FATTO UN MIO CAMMINO, MA CREDO CHE ANCHE LORO NON SIANO PIÙ GLI STESSI. E TRA L' ALTRO SONO ANZIANI E MALATI. NON MI SENTO NÉ DI GIOIRE NÉ DI INVEIRE CONTRO DI LORO. TUTTAVIA, PENSO CHE, DA UN PUNTO DI VISTA STORICO, QUELLO CHE È SUCCESSO SIA VERAMENTE FONDAMENTALE” – IL PODCAST
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1 - LA MEMORIA HA LE GAMBE
Da “Altre/Storie” di Mario Calabresi
Negli anni, ogni volta che mia madre ha voluto parlarci di qualcosa di delicato o che le stava particolarmente a cuore, ci ha offerto un caffè al tavolo rotondo della sua cucina. Poteva capitare a uno solo di noi fratelli, i suoi figli, ma anche che ci convocasse tutti insieme. In quest’ultimo caso significava che il messaggio era davvero importante. Potrei chiamare quei caffè “gli insegnamenti della cucina”.
Negli ultimi tempi ho pensato che avrei voluto fare una cosa strana: intervistarla. Non è cosa usuale un figlio che intervista sua madre, ma mi sono convinto che quei dialoghi della cucina meritassero di essere raccolti e condivisi.
Perché non hanno valore soltanto privato, sono riflessioni sul senso della giustizia, sulla memoria, sul tempo che passa e ci chiede di essere capaci di lasciare andare, sull’importanza di avere uno sguardo positivo sulle cose. Così, non senza difficoltà, l’ho convinta a registrare un podcast, che pensavo potesse uscire intorno al 17 maggio, quarantanovesimo anniversario dell’omicidio di mio padre.
Poi, mercoledì mattina, la notizia dell’arresto in Francia di quel gruppo di ex terroristi condannati per reati di sangue, che a Parigi avevano trovato da decenni accoglienza e coperture, mi ha spinto a concludere il nostro dialogo, che potete ascoltare qui, partendo proprio dall’attualità e ad anticiparne l’uscita pensando che le sue parole potessero essere una risposta – la sua risposta- ai tanti sentimenti che questo arresto ha smosso tra le persone.
Abbiamo parlato del valore della giustizia, anche quando arriva in grande ritardo, della verità storica, ma soprattutto di come si fanno i conti con qualcosa che continua a visitare i sogni, anche dopo mezzo secolo. Per mia madre, Gemma Capra, la vita ha preso una nuova strada dopo la morte di mio padre, e una ancora diversa dopo la pubblicazione del suo necrologio. Ecco alcuni passaggi del nostro incontro, questa volta non davanti a un caffè, ma a due microfoni.
Mario: «Hai detto che la memoria cammina, ha le gambe. E partiamo da quel necrologio particolare che apparve sul Corriere della Sera. Che cosa diceva?».
Gemma: «Il necrologio erano le ultime parole di Gesù sulla croce e cioè “Padre, perdona loro” rivolgendosi ai suoi assassini “perché non sanno quello che fanno”.
Ecco, io in quel momento non sarei riuscita a scegliere una frase del genere e quindi l’ha scelta per mia mamma, tua nonna, che era una donna di grande fede. Io però, quando lei me l’ha proposta, l’ho accettata molto volentieri, pensando che era giunto il momento di spezzare questa catena di odio, di rancore e di violenza, con una frase d’amore. E quindi ho accettato di scriverla».
Mario: «L’hai accettata ma poi tu come hai vissuto quei primi anni? Io ero così piccolo che mi ricordo solo i dettagli, tu che piangevi con la testa tra le mani alla scrivania, noi che andavamo per la strada e c’erano i fotografi che ci inseguivano».
Gemma: «È stato un periodo veramente difficile, molto difficile. Siamo andati ad abitare a casa dei nonni e avevamo comunque tanto affetto, l’affetto dei miei fratelli, le mie sorelle, l’affetto delle persone care e quindi riuscivamo comunque anche a ridere. Questo sì, io me lo ricordo. Ecco, si viveva. Se tu ti ricordi, io ho scelto da subito di farvi vivere non nel rancore e nell’odio.
Poi io mi sono messa a insegnare religione alla scuola elementare e devo dire che, insegnando ai bambini, che sono una cosa meravigliosa, spontanei, avevo la sensazione quasi di tradirli. Perché quando io spiegavo il Vangelo o parlavamo dell’amicizia, del rispetto, del perdono, io poi avevo la sensazione a volte di tradirli. Io gli insegno il perdono ma io in realtà assolutamente non ho perdonato perché tu scopri che il perdono non lo dai con la testa, con l’intelligenza, lo dai solo col cuore e quindi non puoi prenderti in giro. O sei sicuro o niente da fare insomma».
Mario: «Pensi di essere arrivata dove volevi arrivare?».
Gemma: «Penso di sì. Ho dei momenti ancora magari difficili. Però io volevo arrivare a pregare per loro e io riesco a farlo. Ogni giorno nelle mie preghiere, io prego perché loro abbiano la pace nel cuore. Questa cosa mi dà pace, mi dà serenità, mi dà anche gioia e io ci tengo a dire che il perdono non è una debolezza. Voglio dirti che il perdono è una forza, ti fa volare alto».
Mario: «Tu hai avuto il coraggio, non senza alcune critiche, di risposarti, di darci un padre, che è stato un passo fondamentale, così è arrivato Tonino, Tonino Milite, che era un tuo collega di scuola, maestro di scuola elementare, pittore e poeta. Si può ben dire che ci hai fatto un gran regalo perché per quanto tu facessi, non è che fossimo bambini allegri».
Gemma: «No, le foto tue poi… Gli altri forse già di più, ma le foto tue erano proprio di un bambino triste».
Mario: «E invece Tonino ha colorato le nostre vite. Ci ha fatto ridere ci ha fatto fare la lotta, ci ha ridato anche quello che significa un padre, con tutto quello che ne consegue. Anche gli scontri. Io ricordo nella mia adolescenza scontri epici con Tonino. Però la storia di Gigi ha continuato a essere in te in un certo senso tutti i giorni. Come hai fatto a gestire le due cose? Come ha fatto Tonino?».
Gemma: «Tonino è stato veramente generoso perché lui ha abbracciato la nostra causa. Per cui ci ha seguito nei processi, ci ha aiutato quando dovevamo fare qualche intervista, ci è stato veramente vicino e quindi è stato importantissimo per noi.
Ci siamo sentiti anche appoggiati e poi lui ha portato una ventata di giovinezza, anche se giovani eravamo, e ha tolto quel senso di cupo dalla nostra casa, vi ha fatto ridere, ha inventato un sacco di giochi, è stato importante. Io, ovviamente ho continuato a essere la signora Calabresi, anche quando ero con lui e dicevo Milite. Ricordo un giorno, quando mi presentarono come la signora Calabresi, e quando venne il suo turno lui disse: “Io sono il fantasma”».
Un passaggio fondamentale del suo racconto sono gli incontri con Licia, la vedova di Giuseppe Pinelli, avvenuti a Roma e a Milano, l’ultimo grazie al presidente Mattarella nel giorno del cinquantesimo anniversario della strage di Piazza Fontana.
Gemma: «Ci siamo salutate, ci siamo prima date la mano, ci siamo guardate e poi dopo ci siamo abbracciate e io l’ho fatto con tanto amore. Ho pensato che anche in quella casa, un giorno, il papà non è più rientrato e che quindi quel dolore lì ci accomunava. Ecco perché potevamo… Anche se due vite diverse, ecco perché potevamo abbracciarci, capirci. E la vedova Pinelli mi ha detto “Peccato non averlo fatto prima” una frase bellissima.
Poi ho incontrato le figlie a volte nella Giornata della Memoria e ultimamente, proprio vicino a casa mia, in bicicletta, ho incontrato una delle figlie. Non potevamo abbracciarci, perché avevamo le mascherine, però ci siamo salutate con molto affetto».
Alla fine della registrazione del nostro podcast, mia madre si è accorta che nello studio c’era una batteria, allora ha cominciato a muovere le mani nell’aria come se stesse suonando, così ho scoperto che a 17 anni, con il suo primo stipendio, andò da Ricordi a Milano e comprò una batteria. La regalò a suo padre. La suonavano insieme la sera accompagnando i dischi, soprattutto quelli del suo gruppo preferito: i Beatles. Non ce lo aveva mai raccontato.
2 - "CARO FIGLIO, SONO IN PACE HO SCELTO IL PERDONO MA ORA SPERO NELLA VERITÀ"
Estratto dell’articolo di Mario Calabresi per "la Repubblica"
(��) Mario : Ti avevo chiesto di fare questa intervista per l' anniversario del 17 maggio, volevo ragionare con te su questo mezzo secolo, su tutto ciò che ci hai insegnato e sul percorso di pacificazione che ti sta a cuore. Adesso però la cronaca è tornata prepotentemente nelle nostre vite. A Parigi è stato arrestato Giorgio Pietrostefani, insieme ad altri condannati per terrorismo. E allora non posso che partire da lì e chiederti qual è la prima sensazione che hai avuto quando hai sentito la notizia?
Gemma : Un fulmine a ciel sereno, una cosa che non mi aspettavo più.
Mario : Ma che sentimento prevale in te in questo momento?
Gemma : Molteplici sono i sentimenti. Prima di tutto un chiaro e forte segno di giustizia e anche di democrazia. Certo, avrebbe avuto un altro senso per la nostra famiglia se fosse accaduto una ventina di anni fa. Tuttavia, penso che, da un punto di vista storico, quello che è successo sia veramente fondamentale.
Mario : Credo anche io che con questo gesto sia stata finalmente sanata una ferita tra l' Italia e la Francia, una ferita che era aperta da troppo tempo. Anche perché la dottrina Mitterrand non è stata sconfessata da Macron con questi arresti, ma finalmente interpretata correttamente. Perché il presidente francese aveva previsto l' accoglienza e l' asilo in Francia per chi lasciava l' Italia, ma non per chi si era macchiato le mani di sangue. E quindi oggi questo è stato ribadito.
Gemma : È per questo che dico che è un segno di democrazia, perché la Francia, che ha ospitato e tutelato degli assassini per troppi anni, oggi finalmente riconosce e accetta le sentenze dei tribunali italiani. Ricordo che durante il processo di revisione a Mestre tuo fratello Paolo mi disse: "Guarda bene Pietrostefani perché da domani non lo vedrai più". Era chiaro a tutti che sarebbe scappato in Francia.
Mario : Però hai detto che dentro di te ci sono molteplici sentimenti. Il primo è un senso di giustizia. Cos' altro senti, cos' altro provi?
Gemma : Oggi io sono diversa, ho fatto un mio cammino, ma credo che anche loro non siano più gli stessi. E tra l' altro sono anziani e malati.
Mario : Cosa significa per te questo?
Gemma : Che oggi non mi sento né di gioire né di inveire contro di loro, assolutamente.
Mario : Ti aspetti qualcosa adesso?
Gemma : Non voglio illudermi ma penso che sarebbe il momento giusto per restituire un po' di verità. Sarebbe importante che a questo punto delle loro vite trovassero finalmente un po' di coraggio per darci quei tasselli mancanti al puzzle. Io ho fatto il mio cammino e li ho perdonati e sono in pace. Adesso sarebbe il loro turno.
Mario : Come hai fatto a fare questo cammino?
Gemma : Io ho scelto da subito di farvi vivere non nel rancore e nell' odio, ma ho fatto il possibile per darvi la gioia di vivere e di credere ancora nell' umanità, nell' uomo e nelle persone, nonostante tutto.
Mario : Avevi 25 anni e vedevi l' uomo che amavi e che consideravi una persona per bene, che non c' entrava nulla con le accuse che gli venivano mosse, che subisce questa campagna di linciaggio, le minacce, le scritte sui muri, le lettere minatorie. Poi viene ammazzato sotto casa. Come facevi ad avere ancora fiducia negli esseri umani?
Gemma: Io non l' ho mai persa, devo dire la verità. Perché quelle persone lì non rappresentavano l' umanità, non rappresentavano l' Italia. Io ho ricevuto centinaia e centinaia di lettere di solidarietà, lettere di affetto, io non mi sentivo sola.
Per me la minoranza erano quelli che avevano deciso di ucciderlo, erano quelli che per un' ideologia sbagliata hanno costruito a tavolino un mostro al quale non corrispondeva assolutamente Gigi.
Mario: Incredibile la solidarietà che ho visto. Quasi cinquant' anni dopo la gente ti ferma ancora al mercato.
Gemma: Sì, è bello. Mi ha aiutato a vivere questo. Io dico sempre "Non ce l' ho fatta, ce l' abbiamo fatta". Perché io ce l' ho fatta grazie a tutte le persone che mi vogliono bene, ancora oggi.
(…)
Mario: Ma torniamo a te, quante volte ti viene in mente quel giorno di 49 anni fa?
Gemma: Ci sono dei periodi che mi viene in mente spessissimo. Ho dei sogni ricorrenti. Sogno che lui viene ucciso. Per esempio, l' ultimo: siamo al ristorante e si sente tipo un boato in lontananza e io dico "è una bomba, scappiamo" e lui dice "ma no, ma stai tranquilla, aspetta".
Poi, a un certo punto, io so che sono fuori, all' aperto, come se fossi scappata e c' è un altro boato forte, una bomba che distrugge tutto e lui muore. Oppure noi scappiamo, siamo rincorsi, però già sappiamo che lui non ce la farà. Non so, c' è questa sensazione nel sogno. Ecco, questo non mi ha mai abbandonato, poi magari per dei mesi non lo sogno e poi ritorna.
Mario: E c' è lui? Te lo ricordi bene?
Gemma: Sì sì sì, c' è lui. Lo rivedo. Lui è giovane, è questo il guaio. Però nel sogno sono giovane anch' io.
Mario: cosa ti sta più a cuore oggi?
Gemma: Voglio lasciare a voi una testimonianza positiva della vita. Io vi dico una cosa: senz' altro è stata una vita pesante, ma sapete che non la cambierei? Perché è stata una vita intensa, ricca e piena di affetti, di amore, di gente che mi vuole bene. Eh, se io guardo gli altri, no, non mi cambierei. Qualche volta mi viene un po' di rabbia quando vedo le persone anziane ancora insieme per mano, allora lì ho un attimo di debolezza, ma è bene così, è bella così. La mia vita comunque è stata bella.
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maggese · 4 years ago
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Milton Glaser. “Dieci cose che ho imparato”
1) Lavora solo con persone che ti piacciono
Questa è una regola strana e mi ci è voluto del tempo per impararla. All’inizio della mia carriera pensavo che fosse vero il contrario. Il professionismo significava che le persone per cui lavoravi non dovevano esserti particolarmente simpatiche o almeno che dovevi tenerti a debita distanza. Per me significava che non avrei mai pranzato con loro né li avrei visti in altre occasioni sociali. Qualche anno fa ho capito che era vero esattamente l’opposto. Ho scoperto che tutto il lavoro che ho fatto e che ha un qualche significato era il risultato di una relazione positiva, affettiva, con il cliente. Non sto parlando di professionalità, ma di affetto. Sto parlando di un cliente con cui si condivide qualcosa. La tua visione della vita deve essere in qualche modo coerente con quella del cliente. Altrimenti è una battaglia acida e senza speranze.
2) Se puoi scegliere, scegli di non avere un’occupazione
Una notte ero seduto nella mia macchina fuori dalla Columbia University, dove mia moglie Shirley studiava antropologia. Mentre aspettavo ascoltavo la radio e sentii un intervistatore chiedere: “Ora che hai 75 anni, hai dei consigli da dare agli ascoltatori che si preparano ad entrare nella vecchia?” Una voce irritata rispose: “Perché di questi tempi tutti mi fanno domande sulla vecchiaia?”. Riconobbi la voce, era quella di John Cage. Sono sicuro che molti di voi sanno chi fosse, il compositore e filosofo che influenzò persone come Jasper Johns e Merce Cunningham e il mondo della musica in generale. “Io so come prepararmi alla vecchiaia”. “Non trovarti mai un’occupazione. Perché se ti trovi un’occupazione un giorno qualcuno ti porterà via il tuo lavoro e tu sarai impreparato alla vecchiaia. Per me, è sempre stato così da quando avevo 12 anni. Mi sveglio al mattino e mi chiedo cosa dovrò fare per guadagnarmi da vivere quel giorno. Lo faccio ancora oggi che ho 75 anni. Mi alzo e mi chiedo cosa fare per guadagnarmi da vivere. Quindi, sono molto preparato per la vecchiaia”.
3) Certe persone sono tossiche. Evitale
Questo è un sottotesto del punto uno. Negli anni 60 c’era un uomo, Fritz Perls, terapista della Gestalt, una terapia che affonda le sue origini nella storia dell’arte. Suggerisce che tu debba capire il “tutto” prima di capire i dettagli. Devi guardare all’intera cultura, l’intera famiglia, l’intera comunità ecc ecc. L’idea di Perls era che in tutte le relazioni, le persone potevano essere o tossiche oppure potevano nutrirsi a vicenda. Non necessariamente la stessa persona sarà tossica o positiva in ognuna delle sue relazioni, ma qualsiasi relazione tra due persone si traduce o in una relazione tossica o “nutriente”. La cosa importante è che c’è un test per determinare se la persona con cui avete una relazione, in quella relazione è tossica o positiva. Eccolo: dovete passare un po’ di tempo con questa persona, andare a bere qualcosa o a cena o a una partita di calcio. Non importa, ma alla fine dovete chiedervi se vi sentiti più o meno energizzati. Se siete più stanchi, siete stati avvelenati. Se avete più energia, siete stati nutriti. Il test è praticamente infallibile e vi suggerisco di usarlo per il resto della vostra vita.
4) La professionalità non è abbastanza e il buono è nemico dell’ottimo
All’inizio della mia carriera ambivo a essere un professionista, era la mia unica aspirazione, i professionisti sembravano sapere ogni cosa e venivano anche pagati per questo. Dopo aver lavorato per un po’ scoprii che la professionalità poteva essere un limite. Dopo tutto, ciò che la professionalità davvero significa è “riduzione dei rischi”. Se vuoi farti riparare la macchina, vai da un meccanico che sa come risolvere un problema di trasmissione e che dimostra la stessa capacità ogni volta che vai da lui. Se hai un tumore al cervello probabilmente eviterai il chirurgo che dice di voler sperimentare sui tuoi neuroni un nuovo modo di connettere le cellule. Per favore, fatelo nel modo che si è dimostrato finora valido. Purtroppo nel nostro campo, che chiamiamo creativo (una parola che odio perché troppo spesso viene usata a sproposito), non funziona esattamente così. Se fai qualcosa in modo ripetitivo, per diminuire i rischi o lo fai addirittura nello stesso modo, è chiaro che non funziona. Nel nostro campo la professionalità non è sufficiente. Ciò che più ci viene chiesto è di trasgredire continuamente. La professionalità non permette questo perché la trasgressione ha in sé il rischio del fallimento, e l’istinto naturale di un professionista è di non fallire, di ripetere i successi che ha ottenuto in passato. Quindi aspirare al professionismo per tutta la vita è un obiettivo limitato.
5) Meno non è necessariamente più
Poiché sono un figlio del modernismo ho sentito il mantra “less is more” per tutta la mia vita. Un giorno mi sono svegliato e ho capito che non aveva alcun senso, è una sentenza assurda e forse senza significato. Ma suona fantastica, perché contiene un paradosso di cui non si riesce a venire a capo. Ma se guardi alla storia dell’arte non ha senso. Se guardi a un tappeto persiano non puoi dire less is more, perché capisci che ogni parte di quel tappeto, ogni cambio di colore, ogni sfumatura nella forma, è essenziale per il successo estetico di quell’oggetto. Non potrai mai dimostrare che un tappeto blu in tinta unita è più bello. Lo stesso vale per le opere di Gaudi, per le miniature persiane, per l’art nouveau e per ogni altra cosa. Però posso proporre un alternativa al mantra, che mi sembra più appropriato: “just enough is more” (appena sufficiente è di più).
6) Non bisogna fidarsi dello stile
Credo che questa idea mi sia venuta per la prima volta guardando una meravigliosa incisione di un toro fatta da Picasso. Era fatta per illustrare una storia di Balzac chiamata Il capolavoro nascosto. Sono sicuro che tutti conoscete quel toro. E’ un toro che viene descritto in 12 diversi stili, da una versione molto naturalistica del toro fino a un’astrazione assolutamente riduttiva fatta con una singola linea. Tra i due estremi ci sono dieci versioni. Ciò che è evidente guardando queste opere è che lo stile è irrilevante. Tutte le versioni del toro, da quella di più estrema astrazione a quella di più acuto naturalismo, sono straordinariamente slegate dallo stile. E’ assurdo essere fedeli a uno stile. Uno stile non merita fedeltà. Devo dire che per vecchi professionisti questo è un problema, perché oggi la nostra professione è spinta da considerazioni economiche più che da qualsiasi altra considerazione. I cambiamenti di stile in genere sono legati a fattori economici, come sa chi tra voi ha letto Marx. E poi compare sempre una certa stanchezza nelle persone quando vedono la stessa cosa per troppo tempo. Quindi ogni dieci anni circa c’è un cambiamento di stile e le cose vengono fatte in modo da sembrare diverse. I caratteri passano di moda o diventano di moda. Se sono molti anni che lavori come grafico, hai il problema di come comportarti. In fondo, ognuno di noi sviluppa un suo vocabolario, una forma che è solo sua. E’ un modo per distinguerti dai tuoi pari e per crearti un’identità nel settore. Come mantenerti fedele ai tuoi canoni e a ciò che ti piace fare diventa un atto di equilibrismo. La scelta tra scegliere il cambiamento o mantenere la tua forma distintiva diventa difficile. Abbiamo tutti visto il lavoro di illustri professionisti passare d’un tratto di moda. Anche se più precisamente, non passa di moda, non invecchia, ma sembra a un tratto appartenere a un altro momento storico. Ci sono storie tristi come quella di Cassandre, sicuramente uno dei più grandi grafici del ventesimo secolo. Verso la fine della sua carriera nessuno gli commissionava più lavoro e si suicidò.. Il punto è che chiunque sia e voglia restare in questo campo per molto tempo deve decidere come rispondere allo zeitgeist. Cosa si aspettano ora le persone, che prima non volevano? E come rispondere a questo desiderio in un modo che non cambi il tuo senso di integrità, coerenza, scopo.
7) Il tuo modo di vivere cambia il tuo cervello
Il cervello è l’organo più reattivo del nostro intero organismo. E’ inoltre l’organo che più è sensibile ai cambiamenti e alla rigenerazione di tutti gli organi del nostro corpo. Un mio amico, Gerald Edelman, è stato un grande professore di anatomia del cervello e dice che fare un’analogia tra il cervello umano e i computer è semplicemente patetico. Il cervello è piuttosto simile a un giardino fin troppo rigoglioso, che continua a crescere, che continua a ricevere sementi e a farli germogliare, rigenerandosi in continuazione. Edelman crede che il cervello sia suscettibile, in modi di cui non siamo pienamente coscienti, rispetto a qualsiasi esperienza facciamo e a qualsiasi incontro facciamo. Qualche anno fa rimasi colpito da un articolo in un giornale che parlava dell’intonazione perfetta. Un gruppo di scienziati aveva deciso di capire perché certe persone sono perfettamente intonate. Alcune persone sono in grado di ascoltare una nota e di riprodurla con la stessa esatta intonazione. Alcuni hanno una buona intonazione, ma l’intonazione perfetta è molto rara anche tra i musicisti professionisti. Gli scienziati scoprirono (non so come fecero ma lo fecero) che il cervello delle persone che hanno un’intonazione perfetta è diverso. Certi lobi del cervello presentavano un particolare tipo di deformazione, comune a tutte le persone perfettamente intonate. Questo di per sé era una cosa affascinante. Ma poi scoprirono qualcosa di ancora più affascinante. Se prendi un gruppo di bambini di 4 o 5 anni e gli insegni a suonare il violino, dopo qualche anno alcuni di loro sviluppano l’intonazione perfetta e se osservi il loro cervello, i lobi sono cambiati. Cosa significa questo per tutti noi? Tendiamo a credere che la mente influenzi il corpo e che il corpo influenzi la mente, ma non crediamo che tutto quello che facciamo abbia una conseguenza sul cervello. Sono convinto che se un uomo inveisse contro di me dall’altro lato della strada il mio cervello potrebbe subirne un qualche effetto e la mia vita potrebbe essere diversa. Ecco perché le mamme ci suggeriscono di evitare le cattive compagnie. Hanno ragione. Il pensiero cambia la nostra vita e il nostro comportamento. Penso che il disegno funzioni nello stesso modo. Sono un grande sostenitore del disegno, non perché penso che tutti debbano diventare illustratori, ma perché credo che il disegno cambi il cervello esattamente nel modo in cui la ricerca della nota perfetta cambia il cervello di un violinista. Il disegno inoltre ti rende più attento. Ti costringe a fare attenzione a ciò che stai guardando, che non è una cosa facile.
8) Il dubbio è meglio della certezza
Si parla sempre dell’importanza di essere sicuri, convinti, di ciò che si fa. Mi ricordo che una volta, durante una lezione di yoga, un maestro yogi ci disse che, spiritualmente parlando, se pensi si aver raggiunto l’illuminazione, in realtà sei semplicemente arrivato a vedere il tuo limite. Credo che lo stesso valga anche nella realtà non spirituale. Convinzioni profondamente radicate, di qualsiasi tipo siano, ti impediscono di essere aperto a nuove esperienze, ed è questa la ragione per la quale diffido grandemente di tutte le posizioni ideologiche. Credo che essere scettici e mettere in dubbio qualsiasi profonda convinzione sia essenziale. Certo, dobbiamo conoscere la differenza tra scetticismo e cinismo perché anche il cinismo è una limitazione della propria apertura mentale verso il mondo, proprio come una convinzione troppo radicata. Scetticismo e cinismo sono una sorta di gemelli. E da un punto di vista pratico, risolvere i problemi è molto più importante che avere ragione. C’è un diffuso senso di essere nel giusto nel mondo dell’arte e del design. Forse inizia a scuola. Spesso gli istituti d’arte o le scuole di design iniziano con il modello di Ayn Rand, secondo cui una personalità singola può contrastare le idee della cultura che lo circonda. E’ una teoria vera fino a un certo punto. Secondo la teoria dell’avanguardia un individuo può cambiare il mondo, ma è vero fino a un certo punto. Uno dei segnali da cui capire che un ego è stato danneggiato è la certezza assoluta. Le scuole incoraggiano l’idea di non scendere a compromessi e difendere il tuo lavoro a ogni costo. Ma in realtà quando si lavora scendere a compromessi è la cosa più importante. Devi sapere come scendere a compromessi. Perseguire ciecamente i tuoi obiettivi, le tue idee, esclude la possibilità che gli altri abbiano una qualche ragione e questo mette in discussione il modello in cui noi grafici sempre ci muoviamo, che è di fatto una triade: il cliente, l’audience e tu. Idealmente, cercare di soddisfare tutti con successivi passi e compromessi è desiderabile. Ma l’alta considerazione di sé è spesso un nemico. L’alta considerazione di sé e il narcisismo in genere nascono da un trauma infantile, e questi sono argomenti che non voglio trattare. Perché sono temi che ricorrono di continuo nella vita delle persone. Alcuni anni fa lessi una considerazione sulla natura dell’amore, che si applica anche alla natura della coesistenza tra esseri umani più in generale. Era una citazione di Iris Murdoch, usata per scrivere il suo necrologio. “Amare significa raggiungere la difficilissima consapevolezza che qualcosa oltre a noi stessi è reale”. Non è fantastico? Sono le parole più profonde che io abbia mai sentito sull’amore.
9) Sull’invecchiare
L’anno scorso mi hanno regalato un saggio di Roger Rosenblatt, Invecchiare con grazia. Sul momento il titolo non mi piacque per niente, ma devo ammettere che il libro contiene una serie di regole per invecchiare con grazia. La prima regola è anche la migliore: La regola numero uno è “Non importa”. “Segui questa regola e ti allungherai la vita di dieci anni. Non importa se sei in ritardo o in anticipo, se sei qui o lì, se l’hai detto oppure no, se sei stato intelligente o stupido. Se un giorno ti svegli con dei capelli inguardabili e non importa se il tuo capo ti guarda come se fossi un marziano, non importa se lo fa la tua fidanzata o il tuo fidanzato o se tu ti guardi come se fossi un marziano. Se ricevi una promozione, un premio, se compri una casa o non lo fai. Non importa”. Finalmente un po’ di buon senso. (…)
10) Dite la verità
(…) cercare del cavolo in una macelleria è un po’ come cercare un’etica nel campo del design. Né un luogo né l’altro sono adatti a trovare ciò che si vuole. E’ interessante notare che nel nuovo codice etico dell’Aiga ci sono molte informazioni su quello che viene definito un comportamento appropriato verso i clienti e gli altri grafici, ma non c’è una sola parola sulla relazione con il pubblico. Diamo per scontato che un macellaio ci venda della carne commestibile e che non spacci la sua merce per ciò che non è. Ho letto da qualche parte che negli anni di Stalin in Russia ciò che era etichettato come manzo era in realtà pollo. Non voglio immaginare cosa fosse ciò che era etichettato come pollo. Accettiamo tranquillamente alcune bugie, come la quantità di grasso realmente contenuta in un hamburger, ma se un macellaio anche solo una volta ci vende della carne avariata, andiamo da un altro. Chi stesse pensando a creare un albo professionale per il nostro settore dovrebbe ricordare che l’idea di albo nasce per proteggere il pubblico, non i grafici o i clienti. “Non fate del male” è un monito che vale per i dottori nel rapporto con i loro pazienti, non con i loro colleghi medici o con le ditte farmaceutiche. Se avessimo un albo, forse dire la verità tornerebbe al centro della nostra attività.
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Capitolo 48 - Errori, linguacce e feticisti
Nel capitolo precedente: Eddie è al telefono con Angie e si eccita nel sentire la sua voce; Angie fa un incubo su Chris Cornell, tanto da reagire in maniera esagerata quando lui si presenta a casa delle ragazze per scroccare del cibo, ma anche per consegnare a Angie un pacchetto che era stato infilato per sbaglio nella sua cassetta della posta; Angie scopre che Eddie si è arrampicato sulla cima dello Space Needle per prendere le lampadine e gliene ha inviata una con una lettera; Angie insulta Eddie al telefono per il gesto avventato, ma non riesce ad essere del tutto arrabbiata con lui; Angie medita di cambiare pettinatura e tagliare i suoi lunghi capelli da bambola.
***
“Ma che caz-” per un attimo penso di essere rimasto inspiegabilmente intrappolato quando, dopo aver chiuso il rubinetto, allungo la mano ad occhi chiusi verso il box doccia per far scorrere la porta e questa non si muove di un millimetro. 
Ci metto qualche secondo e numerose spinte di troppo per capire che il problema è che si apre dall'altra parte, opposta rispetto a quella di Seattle. Perché non sono a Seattle, sono a San Diego, sono a casa. Eppure non mi sento veramente a casa, è come se fossi in vacanza, come se questo fosse l'ennesimo motel di passaggio e non il luogo dove avevo deciso di trascorrere il mio futuro, per lo meno quello più immediato, con la mia ex. L'oceano, durante la prima surfata di una mezz'oretta fa, mi è più familiare di questo posto. Forse è proprio l'effetto tour, l'essere sempre in un luogo diverso, che fa perdere un po' i riferimenti. Forse è perché questa casa in un certo senso mi è davvero estranea, dopotutto ci stavo da due o tre mesi quando l'ho lasciata per trasferirmi definitivamente a Seattle. E non ho avuto neanche modo di personalizzarla più di tanto, anche perché aspettavo di farlo con Beth, perciò l'arredamento è piuttosto neutro e anonimo. Gli unici tocchi personali sono le figurine del baseball attaccate al frigo, la foto in bianco e nero di Pete Townshend in volo a mezz'aria con la sua chitarra che sta in camera da letto e che, pensandoci, quasi quasi porto con me a Seattle, un'acustica da quattro soldi appoggiata al divano, il canestro che ho sistemato sul retro, la muta stesa ad asciugare sul portico, il gioco delle freccette sulla porta. Quel poco di personale che c'era in più ora occupa la stanzetta e parte del soggiorno dell'appartamento che divido con Jeff e in cui ho ormai trascorso più tempo di quanto ne abbia vissuto qui in questa casa. Oppure è solo perché sono arrivato da sì e no un paio d'ore e non ho ancora visto nessuno della compagnia. La casa non la fanno le mura, ma le persone.
Lancio gli asciugamani nel cesto delle cose da lavare e mentre lo faccio mi ricordo che qui ho una lavatrice e che non sarà necessario andare da Wash'n'Go per fare il bucato, anche se il lavaggio non avverrà magicamente da sé e mi sarà comunque richiesto il piccolo sforzo di buttare i panni nel cestello, aggiungere detersivo e premere un bottone. Arrivo in camera, mi infilo maglietta e mutande pulite e mentre sto valutando se è il caso di far fare un viaggio nella lavatrice anche ai pantaloni o se posso farci un altro giro, ecco che sento suonare il campanello. Promuovo velocemente i bermuda per un ulteriore round e corro in sala mentre me li sto ancora allacciando e allargo con le dita le lamelle della veneziana per vedere chi è.
“Non sono una bella figa, ma spero tu mi faccia entrare lo stesso!” esclama Craig proprio in direzione della finestra.
“Perché dovrei?” gli chiedo dopo aver aperto la finestra.
“Perché ho la birra” risponde sollevando il cartone da dodici.
“Mi piacciono i tuoi argomenti” richiudo la finestra e apro la porta al mio amico, non mi piace definirlo migliore, non faccio classifiche o cose del genere, ma sicuramente è uno dei più stretti che ho e quello che mi porto dietro da più tempo, praticamente dall'infanzia.
“Ti odio” mi guarda scuotendo la testa, rimanendo sul portico.
“Anch'io sono felice di rivederti”
“Non mi hai aspettato” protesta indicando la muta appesa alla ringhiera.
“Lo sai che mi piace entrare in acqua presto”
“Sei uno stronzo,” borbotta entrando “ma sono contento tu sia qui” aggiunge dandomi una mano e una pacca non troppo delicata prima di entrare.
“Ti avviso che non ho niente da mangiare” preciso quando lo vedo andare diretto verso il frigo.
“A quello ci pensa Jamie più tardi, quando stacca dal lavoro, non temere” risponde sistemando la birra nel ripiano più basso del frigorifero.
“Cinese?”
“Ovvio. E viene anche suo fratello. Ah poi ci sarà sicuramente Mitch con la sua compagna di corso. E poi boh, qualcun altro”
“Avete organizzato tutto eh?”
“E la tua band?”
“Staranno tirando il fiato in albergo, dopo ci raggiungono”
“Perfetto. E la tua ragazza?” mi chiede a bruciapelo sedendosi sul divano.
“La mia ragazza?” vado verso la finestra e tiro su completamente la veneziana, come se mi aspettassi di trovarmela d'un tratto fuori dalla porta di casa pronta a bussare.
“Sì, la tua ragazza, dov'è?”
“Oddio, non lo so, non l'ho ancora vista. Non è certo venuta a darmi il bentornato, spero di non incontrarla neanche per sbaglio onestamente”
“Eheh ma non eri diventato zen?”
“Sì, ma se non la vedo è meglio” dopo aver ispezionato tutto il circondario raggiungo Craig sul divano.
“Comunque chi se ne frega di Beth, non voglio mica sapere della tua ex, parlavo di quella nuova”
“Quella nuova?” lo guardo storto e in nanosecondo capisco dove vuole andare a parare.
“Sì, come si chiama... Ce l'ho sulla punta della lingua...”
“Ma chi? Angie?”
“HA! Allora lo vedi che è la tua ragazza!”
“Eheh no che non lo è”
“Ma se l'hai detto!”
“Ho solo capito che intendevi parlare di lei”
“Seh seh, va beh, dove sta?”
“A Seattle”
“Come a Seattle? E quando viene?”
“Boh, non so, non è mica detto che venga”
“Come sarebbe a dire? Non gliel'hai chiesto?”
“Certo che gliel'ho chiesto”
“Come cazzo gliel'hai chiesto?”
“Ahah che significa? Gliel'ho chiesto, le ho chiesto di venire in California”
“Ok, ma come? Come gliel'hai detto, che parole hai usato?”
“Cosa cambia, scusa?”
“Cambia tutto, che le hai detto, Ed?”
“Le ho detto che sarebbe stato figo se fosse venuta a vederci suonare in questo tour”
“Stai scherzando?”
“Perché?”
“Le hai detto così?”
“Potrei non aver usato la parola figo, ma-”
“Sei un coglione”
“Ahahah ma perché?”
“Non verrà mai”
“Che ho detto di male?”
“Neanch'io sarei venuto a trovarti oggi se mi avessi fatto una proposta del genere, pensa te”
“E sentiamo, cos'avrei dovuto dirle?”
“Mah, non saprei, che ne dici di Mi manchi, ho voglia di vederti?”
“Certo, come no”
“Vieni qui a San Diego, ti ospito io, così stiamo un po' insieme?”
“Cristo santo”
“Eddie?”
“Così se ne torna direttamente in Idaho a gambe levate” gli atteggiamenti di Angie a volte mi confondono, non capisco se sta prendendo tempo o se veramente non si è resa conto che mi interessa, ma la verità è che propendo per la seconda. Se invece le dicessi una cosa del genere non ci sarebbe possibilità di equivoco e sarebbe costretta ad affrontare la questione e i miei sentimenti. E ci rimarrebbe di merda. E finirebbe per scaricarmi e tenermi a distanza come ha fatto con quel Dave...
“Ma questo lo dici tu!” ribatte Craig.
“Lo dico perché lo so”
“Va beh, posso almeno vederla?”
“Certo, se vieni a Seattle”
“Non fare lo spiritoso”
“Non lo faccio” rispondo sinceramente, non capendo cosa voglia dire.
“Dai, muoviti”
“Ma cosa?”
“Non provarci neanche a convincermi che non hai una sua foto perché non ci credo”
“Uhm... no... non penso di averne...”
“Non farmi perdere tempo, su”
“Aspetta, fammi guardare, ma non credo...” prendo i miei quaderni dal tavolino accanto al divano e ne faccio scorrere rapidamente le pagine.
“Guarda, cerca pure con calma, io non ho fretta” aggiunge piazzandosi uno dei cuscini dietro la testa e mettendosi ancora più comodo sul divano e a questo punto capisco che finché non gliela faccio vedere non mollerà il colpo. Mi alzo e raggiungo il tavolo, infilo la mano nella tasca della giacca di velluto appesa a una delle sedie e recupero il mio portafogli, da cui estraggo tre polaroid. Le analizzo velocemente prima di scegliere quella di cui sono meno geloso.
“Sei fortunato, casualmente ne ho una”
“Casualmente ce l'hai nel portafoglio eh? Fammi vedere” Craig mi spunta alle spalle, in un vero e proprio agguato, e mi ruba la foto prima che io possa protestare, sedendosi poi sul tavolo.
“Non mi ricordavo neanche di averla...” mento spudoratamente mettendomi il portafoglio nella tasca dei pantaloni.
“Certo, sicuro. Però, non male la ragazza” commenta senza staccare gli occhi dalla foto nemmeno per un secondo e improvvisamente mi rendo conto di quanto sia fragile il concetto di meno geloso.
“Non si capisce tanto la fisionomia perché fa la linguaccia” indico il volto di Angie sulla foto e ora come ora vorrei che la smorfia in questione nascondesse anche di più.
“No no, direi che si capisce che è carina, molto carina” insiste.
“Beh, sì”
“Si capisce tutto” io lo ammazzo.
“Ok ridammela” faccio per recuperarla, ma lui si sposta.
“Si capisce anche dove è stata scattata”
“L'ho fatta quando mi ha regalato la macchina” ci riprovo, ma ancora invano.
“IN UN LETTO, ECCO DOV'E' STATA SCATTATA!”
“Ma che cazzo dici?”
“E sdraiata in un cazzo di letto! Hai capito, Eddie! E io che sto a darti i consigli, tu invece sei già avanti!”
“Non è un letto, sono i sedili della sua macchina”
“TANTO MEGLIO!”
“Ahahah ma piantala, coglione!”
“E bravo Eddie, ti avevo sottovalutato” mi rifila un altro paio di pacche sulla schiena e finalmente riesco a riprendermi la polaroid.
“Stavamo giocando”
“Me lo immagino... risparmiami i dettagli sui giochini che facevate però, ok?”
“Ma che giochini?! Volevo testare il mio regalo, ma lei non voleva farsi fotografare” spiego rimettendo la foto al suo posto.
“Guarda che non mi devi nessuna spiegazione, sei grande ormai” mi sfotte cercando di pizzicarmi una guancia, beccandosi di tutta risposta una manata che lo fa scendere dal tavolo.
“Non è successo niente”
“E cosa aspetti a far succedere qualcosa?”
“Dai, andiamo a prendere qualche onda” rispondo recuperando le scarpe accanto alla credenza.
“Ma non ci sei già stato prima?” mi guarda con aria interrogativa.
“Tutto pur di farti tacere”
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Love is in the Hair recita la scritta sulla vetrina del salone di bellezza, circondata da una nuvola di cuoricini rossi e rosa. Chissà cosa ne pensa Angie di questo gioco di parole? Entro e vengo subito accolta dal sorriso della ragazza dietro la cassa.
“Buongiorno! Hai un appuntamento?” domanda aprendo un cassetto ed estraendone un grosso libro dalla copertina blu. Solo quando lo apre e scorgo dei numeri capisco che si tratta di un'agenda.
“No, ehm, cioè, sì, sono l'amica di Meg, Kaminski... Grace”
“Ah sì! E' in magazzino, aspetta che te la chiamo” mi strizza l'occhio e si allontana rapidamente verso non so dove.
Appendo giacca e sciarpa all'attaccapanni all'ingresso e mi guardo attorno. Hanno aperto da pochi minuti eppure ci sono già due signore ai lavatesta, una ragazza che si sta facendo fare le unghie e un'altra che si sta facendo spalmare un composto color rosa chewing gum, che presumo sia cera, sui baffetti.
“Ehi sei in anticipo! Che è successo?” mi volto e vedo Meg venirmi incontro con una specie di vestaglietta blu tra le mani, assieme alla ragazza di prima.
“Lo so, lo so, mi sono stupita da sola”
“La borsa puoi darla a me se vuoi”
“Sì grazie” la mia borsetta passa dalle mie mani a quelle di Meg e subito dopo a quelle della ragazza al desk, che provvede a sistemarla in un armadietto alle sue spalle, richiudendolo subito dopo a chiave. Mentre seguo con lo sguardo questo percorso, Meg mi infila questa specie di kimono leggero e me lo lega in vita.
“Allora, che vuoi fare? Quanto tagliamo?” continua Meg invitandomi a seguirla ai lavatesta.
“Non molto, vorrei solo alleggerirli un po'”
“Uhm facciamo tanto così? Magari con una bella scalatura generale?” domanda prendendo una ciocca dei miei capelli tra le dita e indicando una misura modesta.
“Sì, perfetto. Magari anche un centimetro in più, ma senza esagerare”
“Va benissimo. E il colore?” continua invitandomi a sedermi sulla poltroncina.
“Vorrei fare sempre un castano, ma magari un po' più caldo” spiego mentre mi sistema un asciugamano sulle spalle, infilandolo per bene sotto il colletto della mia camicia.
“Ok, quindi niente cambio drastico di look per stupire Stone quando torna?” chiede mentre vado con la testa all'indietro e vedo il suo sorrisino ammiccante dal basso.
“No no, preferisco non rischiare di non essere riconosciuta”
“Ahahah addirittura?”
“Beh ci frequentiamo da così poco...” abbiamo praticamente appena iniziato a vederci e lui è già partito con la band, non credo ci sia necessità di cambiare immagine per non annoiarlo, deve ancora imparare a conoscerla la mia immagine.
“Stone è pazzo di te e ti conosce a memoria, non credo ci sia pericolo in tal senso, ti riconoscerebbe anche rasata a zero e con la faccia tatuata”
“Meglio non rischiare comunque” l'acqua calda sulla testa comincia ad avere il suo effetto rilassante.
“Come va tra voi?”
“Beh, va come due che non stanno nello stesso luogo e non si vedono”
“Beh ma vi siete sentiti?”
“Sì, qualche volta”
“Qualche volta?”
“Beh, più o meno ogni due tre giorni...”
“Direi che è un po' più di qualche volta. Chi chiama chi?”
“Oh ecco, in genere mi chiama lui, cioè, mi ha sempre chiamata lui, anche perché si spostano continuamente. Mi sento anche un po' in colpa, gli ho proposto di darmi il numero di dove si trova di volta in volta o di addebitarmi la chiamata, ma mi ha mandata a fare in culo ogni volta con una battuta sarcastica diversa”
“E' un vero gentleman”
“Eheh già”
“Quindi è una cosa seria...” insiste con questa sorta di indagine e il massaggio con schiuma e acqua calda è estremamente rilassante, ma non abbastanza da farmi sbottonare a tal punto.
“Mmm forse, non lo so, è ancora presto per dirlo”
“Ok, ma lui mi sembra bello preso, no? E tu? Cosa provi?”
“Wow, eheh, questa... questa è una bella domanda”
“Che dovrebbe avere una risposta molto semplice”
“Mi piace, mi piace molto e sto bene con lui. Però dobbiamo ancora conoscerci nel vero senso della parola, ecco, dovremmo passare altro tempo insieme per capire se ingraniamo o meno” mi lancio in un bel giro di parole, perché Meg avrà pure studiato psicologia, ma non ho intenzione di farle da paziente in questo momento, mi limito ad essere una sua cliente del salone.
“Oh... OH! Adesso ho capito!” esclama interrompendo per un istante il massaggio, per poi riprenderlo in maniera leggermente più vigorosa “Non avete ancora... beh...”
“No io non... Non mi riferivo a quello! Anche se in effetti...”
“Va beh, ma ci sarà tempo per quello, quando i ragazzi torneranno”
“Sicuramente” rispondo cercando di cammuffare il mio imbarazzo tenendo gli occhi chiusi. Senza volerlo è riuscita a centrare uno dei miei motivi di ansia. E' sempre la solita storia, che si ripresenta ogni volta che inizio a frequentare un ragazzo nuovo e ormai dovrei esserci abituata, ma forse non mi abituerò mai a questa cosa. Al fatto di dover ricominciare tutto da capo di nuovo, arrivare al momento di spogliarsi e mostrarsi per quello che si è e dover dare per l'ennesima volta le solite spiegazioni, sperando che lui non fugga disgustato o, peggio, non finga che vada tutto bene per poi spegnere subito la luce. Ancora una volta sono all'inizio di una storia e sono divisa tra la voglia di farla progredire, di viverla fino in fondo e godermela in ogni aspetto da una parte, e il desiderio di non uscire mai da questa fase, di restare per sempre, o almeno il più a lungo possibile, in questo limbo preliminare, fatto di appuntamenti, baci, battutine, sguardi e telefonate senza pensare a quando dovrò affrontare di nuovo quel discorso.
“Magari se Stone non è tanto intraprendente da quel punto di vista, dovresti pensarci tu” commenta interrompendo il mio flusso di pensieri, mentre inizia a risciacquare lo shampoo.
“Non è una questione di intraprendenza... e comunque va bene anche a me non affrettare troppo i tempi, lo preferisco” più lunghi sono questi maledetti tempi, meglio è.
“E questo perché per te è una cosa seria, quindi avevo ragione! Mettiamo un po' di balsamo?”
Dopo lo shampoo vengo dirottata su una delle postazioni del taglio. La rivista che trovo davanti allo specchio e che comincio a sfogliare ci dà degli argomenti interessantissimi, e soprattutto diversi da Stone Gossard, di cui parlare, come il metodo prodigioso per far ripartire il metabolismo in quattro settimane, le ville da sogno d'America, le trame degli ultimi episodi di Good Sports con tanto di servizio fotografico di Farrah e Ryan nel dietro le quinte, le ultime tendenze in fatto di stivali. Mentre Meg comincia a darsi da fare con spazzola e phon per l'asciugatura, una delle sue colleghe, una bellissima bionda sulla trentina, mi si avvicina trascinandosi dietro un carrellino che fa un bel baccano.
“Ti va se le mani te le faccio adesso, mentre Meg ti asciuga?” mi chiede  e senza attendere una risposta, mi prende la sinistra e la appoggia sul carrellino, sopra a un asciugamano arrotolato a mo' di salsicciotto, si siede accanto a me e comincia a scrutarmi le unghie, poi prende una specie di piccolo pannetto, ci versa su quello che dall'odore sembra disinfettante e me lo passa sulla mano, dopodiché mi prende anche la destra e ripete la stessa sequenza anche con l'altra mano. E' la prima volta in vita mia che faccio questa cosa e da come sono tesa penso l'abbiano capito tutte qui.
“Che dici? Abbiamo dato una bella svecchiata, ma senza esagerare” Meg richiama la mia attenzione  e solo ora mi accorgo che ha spento il phon e che mi sta spruzzando una lacca profumata sulla testa.
“Oddio sì! Grazie, Meg, sono proprio come li volevo” e stranamente sono sincera, in genere esco dai parrucchieri con una testa gonfia e imbarazzante, che non vedo l'ora di correre a rilavare a casa mia, invece stavolta sono davvero soddisfatta.
“Dopo vuoi fare anche i piedi?” il mio entusiasmo viene raggelato dalla domanda della collega di Meg.
“NO!” rispondo secca.
“Sicura? Guarda che ti faccio la tessera sconto” interviene Meg cercando di rassicurarmi, ma non è il prezzo il mio problema.
“No, non è quello è che... beh, soffro da morire il solletico e non amo che mi si tocchino i piedi, è una specie di fissazione. Sono strana, lo so, eheh” cerco di buttarla sulla paranoia per chiudere in fretta l'argomento.
“Praticamente è l'opposto di Mister Piedino” la ragazza strizza l'occhio a Meg, che fa una faccia disgustata.
“Chi è Mr Piedino?” chiedo incuriosita.
“Un porco schifoso” risponde Meg.
“Un cliente,” ribatte la collega “molto gentile ed educato, che lascia delle mance generosissime”
“Un maiale viscido che si fa fare i piedi da Samantha” Meg completa l'informazione, svelandomi anche il nome della sua collega.
“Non ha mai fatto niente di sconveniente”
“A parte farselo venire duro mentre gli massaggi i piedi” una delle due signore che stanno facendo la piega fa una faccia scandalizzata, l'altra sembra non aver sentito di cosa si sta parlando.
“Ahahah non è sicuro! E comunque, anche se fosse, sarebbe una reazione involontaria, non la può controllare”
“E ogni cazzo di volta, non appena ha finito, chiede di usare il bagno. Che schifo!”
“Ma magari ci deve semplicemente andare!”
“Sì, certo. Ci va a segarsi, altro che!”
“Oh cazzo” commento ridendo.
“Ma che ne sai?”
“Basta vedere l'espressione beata che ha quando viene a pagare!” la ragazza alla cassa risponde al posto di Meg da lontano.
“Dev'essere uno di quei cosi... come si chiamano... feticisti dei piedi” commenta la signora numero due, mentre una delle parrucchiere le gonfia la frangia.
“Ma quelli in genere si eccitano coi piedi degli altri, non se gli toccano i propri” ribatte Samantha.
“E' la stessa cosa, sempre piedi sono” insiste la cliente.
“Non esattamente, il classico feticismo del piede è una questione di sottomissione, quello è solo un maniaco del cazzo” precisa Meg, forse dall'alto dei suoi studi.
“O del piede” osservo io facendo ridere lei, Samantha e la signora numero due, mentre la numero uno finge di non ascoltare concentrandosi su Vanity Fair.
“Va beh, allora sei soddisfatta del taglio?” mi chiede di nuovo Meg, cercando di cambiare argomento.
“Niente ciocche colorate?” domanda la collega sorridendo, mentre si sta scatenando con la lima sulle mie unghie.
“Ahahah no, Grace è una ragazza sobria, non una teppista come Angie”
“Angie? Le hai colorato i capelli?”
“Sì, mi ha stressato l'anima e alla fine ho ceduto. Le ho fatto solo dei colpi di sole comunque, però li ha tagliati un bel po'”
“Meches blu e viola” aggiunge la collega.
“Ha tagliato la sua preziosissima chioma?!”
“Pensa che lei li voleva più corti dei tuoi, è totalmente impazzita. Alla fine abbiamo trovato un compromesso su una lunghezza meno drastica, ma rispetto a com'erano lunghi prima...”
“Si vede che aveva voglia di cambiare... e magari anche di fare colpo su qualcuno” aggiungo alludendo a Eddie.
“Eheh credo che non abbia bisogno di fare ulteriormente colpo, il ragazzo è già stato conquistato” replica Meg muovendo un grosso specchio rotondo dietro di me in modo da farmi vedere il taglio anche nella parte posteriore.
“Però il ragazzo in questione non si dichiara” commento mentre le mie mani vengono messe letteralmente a mollo in una vaschetta d'acqua tiepida.
“E se ti dicessi che il ragazzo si è in un certo senso dichiarato?”
“E' quell'in un certo senso che con Angie non va bene, le lascia sempre un margine di dubbio”
“In un certo senso solo perché Angie è ottusa, qualsiasi altra persona avrebbe capito che era una dichiarazione. Non voglio spettegolare, ma stiamo parlando di un regalo e di una lettera, il messaggio era chiaro”
“Il messaggio era Ti amo, voglio stare con te?”
“Eheh no, non così esplicito”
“E allora capisco Angie. Eddie ce la mette tutta, ma è ambiguo. Dovrebbe parlare chiaro, pane al pane, vino al vino. Capisco essere cauti, sondare il terreno all'inizio, ma dopo un po' bisogna mettere le carte in tavola, soprattutto quando vedi che l'altra persona non coglie i tuoi messaggi tra le righe”
“Sì, ma se nessuno dei due si sveglia qui possiamo andare avanti per anni. Se non lo fa lui, allora lo deve fare lei” Meg si allontana verso una tenda fucsia, ci infila semplicemente una mano e ne estrae  una scopa, dopodiché torna verso di me.
“Ma certo, non dico di no. Dico solo che probabilmente questa situazione di stallo fa comodo anche a lui, magari sta prendendo tempo, magari non è sicuro, ha dei dubbi”
“L'unico dubbio che gli posso concedere è per l'età. E per la paura che Jeff gli spacchi la faccia se combina casini con Angie. Per il resto non vedo che dubbi potrebbe avere” spiega mentre raccoglie i miei capelli tagliuzzati dal pavimento con la scopa.
“Beh, qualsiasi dubbio abbia se lo deve chiarire e comportarsi di conseguenza, se non è sicuro che stare con Angie sia una buona idea, beh, che la lasci perdere, ma se invece decide di andare fino in fondo, che lo faccia una volta per tutte!”
“Concordo!” esclama Samantha, mentre sistema una serie di limette e bastoncini in fila sul carrellino.
“Beh, questa potrebbe essere l'occasione perfetta” suggerisce Meg intenta a raccogliere i mei capelli che furono con una paletta.
“Dici che sarà già atterrata a quest'ora?”
“Nah, troppo presto”
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“Farò la fame per qualche mese, ma ne è valsa la pena” dico tra me e me non appena esco dall'aereoporto col mio zaino e mi ritrovo su un viale assolato costeggiato da palme. Esiste un'immagine più californiana di questa? Con il pullman avrei speso un terzo dei soldi, ma ci avrei messo venti ore per arrivare a San Diego. Invece, dopo neanche tre ore di volo, tranquillo e per niente turbolento, sono già qui. C'è una fila interminabile di taxi fuori dal terminal, ma prima ho bisogno di capire se me ne serve uno o no. Mi infilo in una cabina telefonica e chiamo il centralino per chiedere l'indirizzo di Winter's, il posto dove suoneranno stasera i ragazzi di cui fortunatamente Eddie si è lasciato scappare il nome, dopodiché cerco El Cajon Boulevard sulla cartina di San Diego che ho appena acquistato in un edicola. Non è vicinissimo. Non è vicino per un cazzo, saranno una ventina di chilometri da qui. Il taxi mi serve per forza.
Ammetto che il piano non è dei migliori: gironzolare attorno al locale finché non vedo qualcuno. Tuttavia è l'unico che potevo elaborare senza dover chiedere troppe informazioni a nessuno e quindi senza che i Mookie venissero a saperlo. Considerando che è appena l'una, spero ci sia almeno un caffè in cui mi possa infilare nell'attesa che spunti qualcuno per il soundcheck. Il mare, o meglio, l'Oceano è ben visibile solo per un breve tratto di strada, in corrispondenza di un porto, poi giriamo verso l'interno. Il tassista è un signore di mezza età dalle guance rosse e il sorriso simpatico. Spero non sia ubriaco. Fa qualche domanda per fare conversazione, ma senza essere invadente. Mi fa i complimenti per i capelli. Li sento strani, mi sento stranissima, più leggera, più scoperta, il che non guasta visto e considerato che con la giacca di pelle sto iniziando a sudare. E meno male che ho ascoltato Meg e non sono partita col cappotto. Mi levo la giacca, resto col maglioncino arcobaleno e mi sento subito meglio, anche se in questo taxi senza aria condizionata sarei stata bene anche in maniche corte. Apro di poco il finestrino e pur guardando fuori, in realtà non sono più di tanto concentrata sul paesaggio che mi scorre davanti. Il mio pensiero è tutto rivolto a quella che sarà la reazione dei ragazzi quando mi vedranno e alle varie elaborazioni della scena, che vanno dalla più sguaiata reazione di stupore e giubilo alla totale indifferenza, alle prese per il culo per il mio piccolo cambio di look agli sguardi che dicono Cosa cazzo sei venuta a fare da sola? E Eddie? Cosa mi aspetto da lui? Sto qui a farmi i film su come reagirà e cosa mi dirà, invece magari non avrà nemmeno tempo di darmi retta perché sarà con i suoi amici di qui. Non so cosa aspettarmi e la cosa mi mette ansia, proprio adesso dovevo decidere di uscire dalla mia comfort zone? Che cosa volevo dimostrare? Che anch'io sono in grado di scalare il mio Space Needle e superare le mie insicurezze? Per ora ho solo dimostrato di saper prendere un aereo. E un taxi.
Arrivo all'indirizzo indicato, pago il tassista e mi guardo attorno. Il locale è così piccolo che ci metto un po' a individuarne l'insegna, confondendola fra tutte le altre. Questo viale è tutt'altro che isolato, è pieno di attività commerciali, oltre ad altri club, un sacco di bar e ristoranti, fast food, supermarket, negozi di vario genere, anche uno di materassi, solo da qui vedo almeno tre carrozzerie e due onoranze funebri. D'istinto faccio per tirarmi su il maglione sulla spalla che resta ugualmente scoperta, attraverso la strada per raggiungere il locale e man mano che mi avvicino riconosco la piccola locandina che riproduce la copertina di Facelift appesa all'ingresso del club. Quando sono abbastanza vicina però mi accorgo che c'è qualcosa che non quadra, anche se non mi rendo subito conto di cosa si tratta, cioè percepisco che qualcosa è fuori posto, ma non riesco a individuarlo se non dopo alcuni lunghi secondi. Poi improvvisamente l'illuminazione: la scritta recita FEB 13 ALICE IN CHAINS. 13 febbraio? Ma oggi è il 12, il 13 è domani. Loro suonano stasera, sono sicura, me l'ha detto Eddie: 'Il 12 siamo ancora a San Diego' così ha detto... No, un momento, ad essere precisi ha detto 'mercoledì 12'... Ma si è confuso perché oggi è martedì, o meglio, io ho dato per scontato che avesse sbagliato giorno della settimana. E se invece avesse sbagliato il numero?
Merda.
E se fosse un errore del locale? Mmm poco probabile. Se suonano domani io che cazzo faccio? Per prima cosa devo spostare il volo, sempre che me lo permettano, ma poi? Come faccio? Dove mi accampo? Come faccio a dirgli che sono qui? Perché devo dirglielo. Ma perché non sono rimasta a Seattle? Ma perché Eddie non ha il senso del tempo? Mentre sto andando in paranoia mi cade l'occhio un po' più in giù, proprio sotto la foto della locandina, e la situazione assume un tono surreale: WITH PEARL JAM.
E chi cazzo sono i Pearl Jam?
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theoldbookwormsnest · 7 years ago
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Il primo caffè del mattino, Diego Galdino
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Scheda del libro
Titolo Il primo caffè del mattino
Autore Diego Galdino
1ª ed. originale 9 aprile 2013
Editore Sperling & Kupfer  (collana Pandora)
Pagine 288
Genere Letteratura Italiana
Lingua originale Italiano
Sinossi Massimo ha poco più di trent'anni, è il proprietario di un piccolo bar nel cuore di Roma, e non si è mai innamorato davvero. Ogni mattina, all'alba, attraversa le vie della città ancora addormentate, dove si sente il profumo del pane appena sfornato, e raggiunge il suo bar. Lì lo aspetta il primo caffè della giornata, quello dall'aroma più intenso, e dal sapore più buono. In fin dei conti sta bene anche da solo, continua a ripetersi man mano che il locale si anima: a tenergli compagnia ci pensano i clienti affezionati, con cui ogni mattina Massimo saluta la giornata fra tintinnio di tazzine, profumo di cornetti caldi e un po’ di chiacchiere. Allora come mai, il giorno in cui improvvisamente entra nel bar una ragazza dagli occhi verdi, il viso spruzzato di lentiggini e l'aria sperduta di una turista straniera, Massimo non riesce a toglierle gli occhi di dosso… Né tanto meno a farsi capire in nessuna lingua: al punto che, tempo cinque minuti di interazione, si ritrova una zuccheriera rovesciata addosso, la porta sbattuta in faccia e qualcosa di molto simile a un cuore spezzato che gli martella nel petto. Ma la ragazza con le lentiggini, che viene da Parigi, di nome fa Geneviève e di mestiere inventa cruciverba, tornerà presto da Massimo: perché ha un segreto che non può rivelare a nessuno, e che la lega proprio a quel luogo. Massimo - che da quando l'ha incontrata la prima volta, con la frangia spettinata e il vestito rosso - non se l'è più tolta dalla testa, non potrà che corteggiarla con le armi che conosce meglio: caffè, cappuccini e il fascino di Roma. Sperando che, nonostante tutti i segreti che Geneviève nasconde, entrambi si ritrovino a volere la stessa, unica cosa: bere insieme il primo caffè del mattino. Tutte le mattine.
Dettagli
Inizio lettura: 24 Maggio
Fine lettura: 27 Maggio
Tempo di lettura: 7,2h x 160 p/m
Rating: ★★★½/★★★★
I say...
La mia migliore amica A. era tutta un “Diego Galdino ha scritto questo su Facebook”, “Diego Galdino ha detto questo alla presentazione del libro”, “Devo andare in libreria ad ordinare il nuovo libro di Diego Galdino” e quindi ho voluto capire chi fosse questo fantomatico Diego Galdino. Insomma, lei lo AMA. E lui oggi le ha fatto gli auguri di compleanno su Facebook!
Ho voluto cominciare con questo perché mi intrigava. È un po’ noioso il fatto che stia sempre lì a ripetere le ordinazioni dei clienti, dopo i primi capitoli ormai sai chi sono, ma pazienza.
È bello leggere il punto di vista dell’uomo quando si parla di amore e sentimenti. Insomma, qualche animo romantico lì fuori esiste ancora. La cosa che mi piace è che c’è questo mistero di fondo, una storia che non capisci fino a quando non leggi fino alle ultime righe, e mentre leggi sei lì che dici “Ma quindi lui è…?”, “E se magari lei è…?”.
Diego Galdino è stato presentato come “Il Nicholas Sparks italiano”. Odio queste cose. Nessuno è la copia di nessuno di un’altra nazionalità. Galdino e Sparks hanno in comune quell’aura romantica e sognatrice, ma Sparks è ripetitivo ai limiti del noioso. E un sadico. Leggere Sparks è come essere dei masochisti – io finisco sempre per piangere come una cretina, peggio di quando faccio la ceretta.
A. sostiene che il secondo libro è più bello, ma visto che questo è stata una bella scoperta non vedo l’ora di essere stupita.
Citazioni
Lei sorrise e sospirò: «Sei sempre tanto caro tu, mi metti di buonumore. Adesso però dovrai tornare al lavoro, ma fammi una promessa: quando, in vita tua, penserai che qualcosa è davvero importante, promettimi che andrai fino in fondo, che lotterai e combatterai, e non lascerai il dubbio e la paura decidere per te. Altrimenti ti condannerai a una vita di rimpianti. Non so se capisci cosa intendo… me lo prometti?»
L’idea gli era venuta nella notte, quando il mal di testa lo teneva sveglio. Forse non esiste un proverbio in materia, ma qualcuno dovrebbe inventarlo: se vuoi una vita tranquilla non seguire le ispirazioni notturne. Infatti Massimo era lì sul pianerottolo della signora Maria, o meglio di Geneviève, sudato, imbarazzato e tremebondo come uno che ha superato la trentina non dovrebbe mai essere, a dirsi «suonare o non suonare?» manco fosse il monologo dell’Amleto… Decisamente un’idea del cavolo.
Dire che Massimo dormì bene quella notte sarebbe una tremenda menzogna, anzi, a un certo punto si ritrovò a invidiare Antonio l’idraulico che di sicuro almeno ci aveva fatto l’abitudine. Faceva caldo, una zanzara continuava a tormentarlo con il suo fastidioso ronzio per poi sparire appena lui accendeva la luce. Il campionario di posizioni provato era degno di un contorsionista d’avanspettacolo, il gregge di pecore contate avrebbe destato gli interessi di parecchie multinazionali del settore, il rubinetto gocciolava e il cervello di Massimo continuava a girare come una trottola senza volerne sapere di arrestarsi. Lui lo chiamava il vortice di pensieri: in buona sostanza non riusciva a spegnere la testa, ma solo a passare da un argomento all’altro, come una televisione perennemente accesa sulla quale si può solo cambiare canale.
Non che gli dispiacesse com’era, ma avrebbe tanto desiderato sapere come sarebbe stato.
«Dove scappi? Volevo ringraziarti. Senza di te io non so come avrei fatto, sarei morto, annegato, affondato, kaput, mi capisci?» Massimo rincarò la dose mimando alcuni modi classici di morire. «Capito. Tu es mort?» «Senza di te sì. Tu mi hai salvato. Grazie, merci.» «De rien. Io… brava?» «Avoja!» rispose Massimo di getto. «Hai voglia? Di cosa?»
Dario sorrise: «Infatti è per te che mi preoccupo. Ti vorrei vedere un po’ più allegro, altrimenti ti consumerai presto. Fa’ qualcosa! Ti piace la ragazza? Benissimo: giocati le tue carte. Non ti piace? Benissimo: ne troverai un’altra. Ma non stare lì a soffrire senza fare niente. La tua età è fatta per essere vissuta, tu forse avrai l’impressione che ci siano infinite possibilità davanti, invece sai cosa succederà? Un giorno ti ritroverai vecchio, magari anche un po’ saggio se ti va bene, e le occasioni perdute te le ricorderai perfettamente perché verranno a trovarti ogni sera prima di dormire!»
R: R: Oggetto: Essere o malessere Ne avrei bisogno (dell’interprete)! Praticamente parliamo ognuno per i fatti suoi, anzi parlo solo io perché lei se ne sta sulle sue e io blatero e blatero, non so nemmeno se lei capisce o no… quindi a “Le parole che non ti ho detto” andrebbe aggiunto un sequel: “Le parole che non hai capito”. M
Rimase in ascolto, ma lei si riscosse di colpo, cambiando tono: «Mannaggia a li pescetti!» «Ah, e questa chi te l’ha insegnata? A chi devo dare la colpa questa volta?»
Se avesse dovuto scegliere una lettura per quel periodo della vita avrebbe scelto “I sepolcri” di Foscolo, se avesse dovuto scegliere un film avrebbe scelto una sua rielaborazione personale: “Quattro funerali e un matrimonio (immaginario)”.
«Oui… destino… Pensa: un colpo di vento o chissà cosa, una busta perduta e cambia una vita, che se ne porta dietro altre due. Ma il passato è passato, non si può cambiare. Ora il cerchio è chiuso, perché solo conoscere la verità dà un piccolo po’ di pace. Adesso voglio solo guardare presente e futuro. Voglio essere felice, dici che me lo merito?» «Io credo di sì», rispose lui guardandola negli occhi verdi. «E tu? Tu cosa vuoi, Massimo?» «Io voglio soltanto bere con te il primo caffè del mattino, mi basta questo. Ma dev’essere ogni mattina, per il resto della nostra vita. Ti va?»
In una prima versione avevo nervosamente scritto di fianco alla voce cappuccino: se bevete il cappuccino avete sbagliato libro. Poi però mi sono reso conto che in fondo il caffè funziona come l’amore. Magari uno non ha ancora trovato la persona giusta, oppure l’ha persa per strada e adesso è bloccato dalla paura oppure è indeciso o magari soltanto stanco, ma in fondo la verità è una sola: l’amore c’è anche quando non c’è. Così anche chi non beve caffè può godere dei suoi effetti nelle altre persone, nell’energia positiva e nell’inconfondibile profumo che si diffonde nell’aria delle mattine italiane.
Note
A questo libro è seguito Il viaggio delle fontanelle. Non è un vero e proprio sequel, ma da quel che ho capito è Il primo caffè del mattino con un capitolo più dettagliato sulla passeggiata che fanno i protagonisti per la capitale (per l’appunto, il viaggio delle fontanelle).
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pleaseanotherbook · 7 years ago
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Aspettando Gold: La Trilogia dei Wired
Tanto tempo fa, ok non così tanto tempo fa, ho conosciuto una persona speciale, una persona che ha completamente cambiato la mia visione del mondo. Lo ha fatto con l’eleganza e l’umiltà che la contraddistinguono sempre, con una certa dose di forza e sfrontatezza. Lo ha fatto anche crescendo insieme a me, studiando leggendo amando, e lo ha fatto chiedendo, perché come me ha imparato che chiedere è la forma migliore di comunicazione possibile. E da allora stiamo compiendo un viaggio bellissimo che passa anche attraverso la parola scritta, che passa anche attraverso le storie.
Perché in fondo è sempre la stessa storia.
Una di queste storie è una trilogia, un fantasy/sci-fi, una storia che si nutre di connessioni, di futuro, ma anche di passato, di storia e di scienza, di politica e di fede e soprattutto di amore. Perché sarebbe un po’ presuntuoso scegliere un'altra forma di comunicazione. Sto parlando de la Trilogia dei Wired di Mirya, iniziata con Glitch, proseguita con Beta e che finirà a breve con Gold. Leggerla è come immergersi in un mondo che non esiste, ma che esisterà, un mondo che sembra lontanissimo e invece è molto vicino. Ci sono certi libri che non puoi neanche immaginarli, che fanno male prima ancora di iniziare a leggerli. Ci sono certe storie che non hanno niente di lineare ma sono graffi e spine, incontri e scoperte, che lasciano scappare singulti ad ogni pagina. Ci sono certi libri che non perdonano, che trascinano in fondo, tra le pagine, alla ricerca di un significato molto più profondo. E la trilogia della prof ferrarese è così, non lascia scampo, neanche quando si arriva all’ultima pagina. I fatti che in Glitch sembrano solo quelli di una coppia che si ritrova innamorata, non sono come appaiono, ogni dettaglio nasconde un risvolto che all’inizio neanche lo si immagina. Leanne e Caleb sono solo il pretesto per gettare le basi di uno scontro epico, millenario, che si protrae nel tempo e nello spazio.
Qualcuno o qualcosa muore. Qualcuno o qualcosa rinasce.
È la bellezza di una storia che si innesta su un contesto molto scientifico, ma poi vola con la fantasia verso un mondo che è tutto interiore, che nasconde molti lati oscuri, che pone molte domande. Il fil rouge è quello delle domande filosofiche, ma c’è anche tanta vita. Da un lato c’è la studiosa Leanne, la Bug, la donna dei libri e dell’impegno, che sviscera e smantella tutto. Poi c’è Caleb, il Ragno, che strisciando e calcolando arriva ad ottenere ciò che vuole, ma che non finisce mai di andare oltre. Adam, l’Anomalia, il diverso tra i diversi, il protagonista indiscusso di una guerra che si prospetta letale da più punti di vista. Gregory e Felix i gemelli capaci di cambiare tutto, con la loro simpatia, la loro fame, la loro gioia. Edelweiss, forse il mio personaggio preferito, è meravigliosa, una ventata d’aria fresca, che ascolta tutti con grande attenzione. E Beniamino, il conoscitore di piante e animali, un ragazzo che sperimenta e cresce, dal cuore d’oro.
D’altra parte c’è il worldbuilding arzigogolato e potente, ricchissimo di dettagli. E poi... e poi ci sono le interconnessioni. E poi c’è il mondo, c’è la scuola, c’è l’amore, c’è la vita, ci sono milioni di miti e leggende che si uniscono. E allora la trilogia è un mondo che evolve, una marea che tramortisce, un pugnale che divelte il cuore e impone tanta riflessione, perché è una crescita, una riscoperta, un cerchio che si chiude.
E non è neanche una bella storia.
O forse si.
GLITCH
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Una storia mozzafiato che non lascia scampo, cattura dalla prima all’ultima pagina. La penna di Mirya delinea un percorso ricco e ostacolato, che corona la fatica della scoperta, il fascino del primo amore, la meraviglia della fantascienza, il fascino di un racconto che ha dell’incredibile, ma che sconvolge per la sua bellezza. Leggetelo, non ve ne pentirete!
La mia recensione.
Trama: A partire dalla generazione 3.0, gli esseri umani si sono abituati a essere quasi sempre connessi al web, tramite il portale installato nella nuca. Ma alcuni di loro sono davvero sempre connessi, e possono accedere a un’altra realtà virtuale, in cui si trova la loro altra anima.  Considerati pericolosi dal resto dell’umanità, i Wired vivono nascosti e sono educati in scuole nascoste, dove imparano a gestire i loro poteri e i loro Alter. Leanne non sapeva di essere una Wired impura, finché non ha percepito la sua Alter. Caleb ha sempre saputo di essere un Wired puro, nato e cresciuto per onorare il DNA della sua famiglia. Il loro odio dura da più di quattro anni. Il loro amore è appena iniziato. E tutto il Mondo Connesso scommette contro di loro.
BETA
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Un secondo volume molto atteso e stratosferico, intenso e affascinante, che mostra lati di Caleb che non si sarebbero mai immaginati, che rivela e nasconde, mostra e capovolge, in una continua altalena di emozioni, mentre apre le porte al capitolo finale.
La mia recensione.
Trama: La relazione tra Caleb e Leanne è nata da poco e sta ancora facendo i conti con anni di ostilità e reciproci pregiudizi. In questo clima di tensione basta un errore, a Caleb, per lasciare che ciò che è stato rovini ciò che potrebbe essere, perché un errore non è mai solo un errore, ma è la somma di tutti quelli che l’hanno preceduto.  Allora è proprio al passato che Caleb deve guardare, per capire il presente, per cambiare il futuro, e deve farlo in fretta, perché Natale non è solo una festa sconnessa ma un modo per dire ‘famiglia’. E la sua famiglia ha qualcosa da mostrargli, nel bene e nel male, e qualcosa da nascondergli ancora. Sballottato nel tempo e nello spazio da tre Spiriti non proprio bendisposti, Caleb insegue la sua Bug e fugge da se stesso, insegue se stesso e fugge dalla sua Bug, per capire quale sia la differenza, cosa davvero voglia per Natale e come ottenerlo, strisciando e calcolando.
GOLD
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Trama: Leanne e Caleb hanno ignorato la guerra incombente, nascondendosi nella loro relazione, ma la guerra li ha infine trovati e li ha trovati impreparati. Ora hanno un cammino da intraprendere, e le diverse strade che hanno percorso per arrivare a stare insieme possono avere svolte diverse: nella vicinanza è possibile distruggersi, come nella lontananza è possibile ricostruirsi. Ma soprattutto hanno un cambiamento da sperimentare, per capire in cosa sono differenti, se lo sono davvero, e se quelle differenze possono armonizzarsi. La scelta non spetta più a loro, perché è stata fatta nel momento in cui Adam è stato programmato, ed è una scelta che coinvolge il Mondo Connesso e il Mondo Sconnesso, i robot sperimentali, le scuole per Wired, i cyborg, antiche e nuove divinità e una nuova specie. Ma è proprio quando si è senza scelta che bisogna scegliere di combattere, perché la guerra uccide anche quando lascia in vita. Per poi ricominciare con un altro ciclo. E perché in fondo è sempre la stessa storia. Qualcuno o qualcosa muore. Qualcuno o qualcosa rinasce. E non è neanche una bella storia.
E voi state aspettando Gold?
Abbiate pazienza, arriva... intanto #preparateifazzoletti
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robertevansclark · 5 years ago
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Come fratello e sorella 
@october 27 - Philly, Desert. 
“Volevi parlarmi? Ma io non so chi sei… “ Iphigenia lo osserva ancora e la pausa è troppo lunga, troppo penosa per non finirla con una blanda ripetizione scoraggiata “Io non so chi sei”.
Lei si ferma, lui la osserva, tiene lo zainetto con una mano “Non potevi saperlo, Dominic non voleva che tu sapessi della mia esistenza. Me lo ha detto chiaramente a lui e a mia madre”  un’altra pausa piena quella che segue “So che è difficile credermi, ma non cambia che abbiamo lo stesso sangue, sebbene la parte più putrida” poi tira fuori dalla tasca un cellulare, il suo smartphone  “C’è una cosa che devi vedere” e preparandolo, lo passerebbe all’altra “E’ un video” poi sceglierà lei se vederlo, fatto sta che rimane con il cellulare pronto e un video da fare partire da un momento ad un altro  “Se vuoi sapere chi sono, guardalo”.
“Le cose non sono andate come voleva lui, eh?” A parlare di Dominic Clark, che nemmeno nomina, le si forma involontariamente un sorriso incattivito ed infelice sul lato destro del volto, come se l'amarezza del fallimento paterno le potesse dare una meschina soddisfazione; quando fa per prendere il cellulare dalle mani di Robert  “ Come può un video...” Sospira, non termina la frase e si arrende: preme il tasto play. 
Robert lascia che l’altra prenda il cellulare e non aggiunge altro, sembra poi intenzionato ad osservare la sua mano, vorrebbe fare tante cose ma non può. Un passo alla volta. Quando il video parte la scenetta si apre con un cielo terso, e parte di una palma. E’ una bella giornata di sole, di un tempo lontano. Vengono inquadrati alcuni dettagli, prima una macchina, poi di una rete metallica e poi un parco giochi. La ripresa poi vira ancora, inquadra il volto di Dominic per un momento. La ripresa instabile dà l’impressione che lui stia ancora mettendo a fuoco, sistemando prima di fermarsi del tutto. Poi la scena si ferma da una certa distanza, una decina di metri, mentre un gruppo di bambini giocano: altalene, scivoli, luoghi dove saltare e arrampicarsi. Per un momento, la visuale si abbassa, viene mostrata una Iphigenia piuttosto piccola, di tre, quattro anni circa, che viene lasciata andare, libera di dirigersi verso una delle postazioni di gioco. Poi l’inquadratura vira appena, lateralmente, dove vi è un tavolo di legno, con una donna e un bambino più grande, sono Robert con sua madre, lui è chiaramente riconoscibile, ha dei tratti particolari. La stessa massa di capelli castani, una maglietta bianca e gialla e dei jeans. Sopra il tavolo vi è un cesto pieno di cibo, la madre di Rob pare notare la presenza di Dominic e della bambina, tanto che va ad indicare qualcosa verso il parco giochi. La scena cambia, quando Rob, si sposta e raggiunge la piccola Effie, ed è possibile, poi vederli giocare insieme.
Iphigenia Clark deglutisce, va avanti in silenzio e preme il tasto play, limitandosi ad osservare il display del cellulare con occhi prima vacui, poi attenti, poi dubbiosi. Si riempiono delle immagini che osserva, sembra farle pezzo a pezzo, non si perde niente, aggrotta le sopracciglia ma non osa toccare il display per andare avanti, o indietro, o mettere pausa. Niente. E per un istante... sembra perfino smettere di respirare. Fino a che non capisce. Fino a che non cede il cellulare a Robert, cercando di spingerglielo addosso senza delicatezza e senza nemmeno fermare il video. “Ho capito, ho capito”  Protesta. “Potrebbe significare tutto e niente. Può significare qualsiasi cosa. Qualsiasi cosa. Tu... “ Lo guarda in faccia, boccheggia, sbuffa, si arrende esasperata e pigola con la voce sfinita “Cosa...”
Robert continua a fissarla, rimane in silenzio e lascia cadere tutto il resto delle affermazioni, come se non gli importasse di questo. Si mordicchia un labbro, pare teso, pensieroso ma sempre proiettato verso di lei. La mira per tutto il tempo quando lei osserva quel video, vuol dire tutto e vuol dire nulla ma questo dipende da con che occhi lo si guarda “Ascolta, con me non è stato un buon padre, anzi non è stato proprio un padre… “senza scendere troppo nei dettagli “…Possibile che tu non voglia averci nulla a che fare con me e se è questo che vuoi, io lo rispetterò. Ma volevo venire qui e sono venuto. Volevo dirti che siamo fratello e sorella. Volevo però che fossi tu a scegliere e non lui per noi” sospira piano ma cerca di apparire il più serio possibile “Ti chiedo solo di pensarci…”
Eppure, gli occhi sono ancora fermi al cellulare ancora tra le mani di Robert, assuefatti da quelle immagini che ha così alacremente allontanato dai suoi occhi. Sembra perdersi perfino le prime parole, forse nemmeno lo ascolta e torna su di lui sorpresa come se lo vedesse per la prima volta, che sembra che non si fosse accorta che era ancora lì. Boccheggia per qualche istante […]“Anche se fosse...” Deglutisce  “Anche se fosse vero che abbiamo lo stesso sangue... “ respira quasi a fatica, per questo distoglie lo sguardo. “Questo ci rende davvero fratello e sorella? Io NON SO chi sei” Ripete, il tono gretto, graffiato. Sembra parli per ferire. Forse rabbia, da come tiene fermi i muscoli nervosi.  “Che potresti volere da me” E di nuovo “Da una come me”.
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 Today
Ricorda ancora le parole che si sono scambiati quel giorno nella Desert, più di un anno fa, mese più e mese meno. E sono ritornate tutte in mente, in questi giorni. In quei giorni dove come un pazzo ha cercato sua sorella, notte dopo notte. O meglio Socket lo ha fatto. E le parole di Crawler, quelle voci che poi sono sopraggiunte con il rapimento di Echo, gli avevano dato la conferma e aveva messo insieme i pezzi. Era stato come ricevere un pugno in piena pancia. Ed il conforto era qualcosa che non poteva avere, non con quella brutta sensazione. Anche se ti stanno vicino. Anche se passi la notte in maschera a battere le strade della North. Anche se batti i siti internet, il deep web, provando ad agganciare quel maledetto sito che porta ad un angosciante countdown. Lo aveva promesso, niente colpi di testa. A Jane, A Chloe, ad Effie. Tutti gli chiedevano di non far qualcosa che potesse danneggiarlo sebbene volesse farlo, qualcosa di incredibilmente stupido, per non sentire più nulla. Non quella rabbia, non quell’ansia, non quel dolore. Non quell’orribile sensazione di impotenza, di inutilità. Nello sguardo e nel cuore solo la morte, come un velo, come un lenzuolo era calato su di lui. E durante la diretta streaming, mentre stringeva Rat Baker, portato via dal Centro SOS per prendersene cura, mentre stava nascosto nel rifugio segreto che sua sorella gli aveva mostrato, era morto anche lui. Buona parte, quella parte buona o quel poco che era rimasta in vita solo per sua sorella. Era rimasto solo il peggio, un guscio carico di sentimenti negativi e distruttivi. E aveva guardato tutto, non aveva levato lo sguardo manco per un secondo. Costringendosi e non solo per lui ma per lei. Per non lasciarla sola. Glielo ha detto con il pensiero. “Sono lì con te, Eff. Presto sarà tutto finito. Presto il dolore sarà svanito e starai bene”. Ha continuato a ripeterlo, ad abbracciarla mentalmente con i grandi occhi lucidi, con il volto arrabbiato, triste, allucinato segnato dalle lacrime. Non aveva detto nulla, le parole erano come strozzate. Ed era come rivivere la morte di Lydia ma con una maggiore lucidità. Una consapevolezza diversa “Non sei sola”.
Le parole di Rage hanno l’effetto di scavare contro il derma, affondare nella carne, recidere tutto quanto, i muscoli, i tendini, le vene, le arterie fino all’osso. E il volto si contorce, diventa pressoché una maschera colpa di disgusto, rabbia ma soprattutto odio. Infatti, Philip Rogers è riuscito nel triste primato di farsi odiare più di Dominic Clark. Qualcosa che pensava non potesse mai succedere. Ed ora, osserva sua sorella, il suo corpo minuto, che mostra tutto ciò che le è successo. Sbatte le palpebre e accarezza lo schermo. Deve essere forte per lei, almeno finchè respira ancora. E’ lì con lei. Sempre. Poi nulla, le ultime parole, quel grilletto e quel proiettile che colpisce e affonda. Il capo di Effie che finisce in avanti, come quello di una bambola rotta. Il filo si è spezzato, tutto è finito con rapidità e semplicità.
E’ tutto finito oppure è tutto cominciato. Un nuovo punto. Un nuovo inizio. Oscuro e tragico. Un enorme buco nero. E questo basta a liberare il suo potere, a scagliare oggetti contro pareti, rompendo, distruggendo.
“Devo dare una sistemata, Ef”, sbianca mentre si guarda intorno, forse rassicurato dal fatto che si sia rotto tutto, adesso il fuori è uguale al suo dentro. Sbatte le palpebre, poi si passa una mano per cacciare le lacrime, per liberare tutto quello che ha dentro e poi per urlare, urlare fino a sgolarsi, a raschiare la voce, a rendere quel suo volto arrossato, come gli occhi azzurri sgranati e febbricitanti. La vena del collo che si gonfia, il potere che esplode ancora una volta.
Alla fine, c’erano davvero riusciti loro, erano diventati come fratello e sorella.
Come fratello e sorella.
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im-a-fullmoon · 7 years ago
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All'incontro del gruppo delle medie, più di sei anni fa, l'educatrice aveva preparato un “gioco” per tutti noi. Si trattava di completare per venti volte la frase “io sono…” e per quanto sembrasse una cosa semplice, ricordo che tutti avevano fatto fatica ad arrivare almeno a sette frasi.
A pensarci, in questo momento, dopo anni, è molto più semplice arrivare a 20 frasi.
quindi ci ritento.
io sono così: sul marciapiede sto sul bordo e metto un piede davanti all'altro e sto in equilibrio. spesso mi reggo alla persona che cammina di fianco a me e se sono da sola cerco di non cadere. è un movimento così istintivo che solo chi mi conosce ha già visto fare;
mi piacciono le case con il parquet;
vado matta per le bolle di sapone;
adoro andare all'ikea e immaginare; sorrido come una bambina quando vedo gli animali e vorrei portarli tutti a casa come se fossero tutti animali domestici: la mucca da portare a spasso con la campana al collo che continua a suonare, la paperella che nuota nello stagno da mettere nella vasca, la renna da cavalcare, la foca anche lei nella vasca, la scimmietta, l'elefante a cui dare le noci, la capretta a cui dare il latte, il pappagallo da tenere sulla spalla e da addestrare;
quando lavo i piatti canticchio, anzi in molte situazioni canticchio, anche quando mi asciugo i capelli;
mi piace il pizzo ma non quello troppo pesante;
quando faccio la doccia metto la musica ad alto volume e il mio vicino mi odia per questo; in pizzeria, sempre in qualunque caso preferisco la pizza margherita; non mi piace il piccante o le troppe spezie; in gelateria, stracciatella e crema sono i gusti fissi;
spesso sono quella che passa inosservata; preferisco il ghiacciolo all'amarena; ho teorie salde e sicure come il pane da offrire a tutti gli animali esistenti al mondo, perché tutti mangiano il pane, ne sono certa; ho momenti di felicità improvvisi e di idee strane a cui pochi danno corda;
non mi piacciono le attrazioni come Gardaland o Mirabilandia; ho l'immaginazione che parte a mille e sogno un mondo diverso, situazioni diverse e ipotetiche;
a volte dormo troppo;
non riesco ad indossare a lungo gli occhiali da sole;
odio la sensazione della crema appiccicosa sulla pelle;
mi piace cucinare le crepes o i pancake; rido e mi piacciono i sorrisi, quelli veri, quelli contagiosi; faccio stupidaggini, quelle che fanno ridere tutti;
mi piace la pioggia e odio gli ombrelli; amo chi mi fa ridere, chi mi sorprende, chi capisce il mio mondo; amo saltare nelle pozzanghere, dopo la pioggia interminabile; adoro volare in bici anche durante il freddo inverno o durante l'autunno tra le foglie che cadono; amo la montagna e le camminate, quelle faticose e interminabili che alla fine finiscono con un panorma da perdere il fiato; mi piace sentirmi a casa, in posti diversi che non sono una casa materiale; amo il freddo, le coperte calde e la cioccolata con la panna;
adoro le stelle cadenti, i desideri, le promesse;
sono dipendente da thè alla vaniglia, biscotti dell'esselunga, caramelle e lamponi; adoro l'inverno, le luci natalizie che illuminano la città, l'odore delle caldarroste che passa per le vie fredde di ogni città; ammiro i treni, che vanno avanti e indietro e portano amori lontani, viaggi, sogni, mancanze; ho paura del buio ma allo stesso tempo è qualcosa di rassicurante; ho paura del rumore improvviso dei tuoni ma mi meraviglia vedere una luce gialla che illumina il cielo notturno; mi perdo nei testi delle canzoni, nei loro significati, nella loro melodia; passo ore a cantare, perché mi fa sentire bene; amo i girasoli e i fiori di ciliegio; preferisco le opere dell'800; ho scoperto da meno di un anno che mi piace il sushi; non so cucinare, ho paura di bruciarmi con l'olio bollente e nonostante la consapevolezza delle mie capacità, ci rimango ancora male quando brucio quello che sto cucinando; se la mattina non ho il succo, non la considero una buona mattina; spesso mi sento poco femminile, ho costantemente i nodi ai capelli e mi trucco poco o per niente; non amo i gioielli costosi o le borse di marca ma le cose particolari; spesso dó importanza a cose stupide; spesso uso il passato nel modo sbagliato; inizialmente sono timida ma quando capisco che posso essere me stessa, so essere un esplosione; dormo con due cuscini e le coperte, sempre, in qualunque stagione; spesso ho voglia di lasagne; la voglia di mangiare dipende dal mio umore e se non mi trovo a mio agio non mangio; ho cicatrici ovunque e ognuno ha storie improbabili; mi considero un disastro e quando provo a sembrare una persona seria sono poco credibile;
mi piace la musica ad alto volume in macchina e cantare a squarciagola in compagnia;
non mi piace litigare, perché in casa ho sempre visto la gente, scappare;
preferisco la birra piuttosto che un drink; mi piace andare a pattinare sul ghiaccio e vorrei imparare a sciare; amo la neve e le ciaspolate; preferisco lo smalto nero; di inverno bevo il latte caldo con il miele; non guardo gli horror e preferisco le commedie, i film romantici, i cartoni; dormo con la maglietta lunga e le mutande; non mi piacciono le mie smagliature; mi riempirei di tatuaggi, piccoli,non giganti; spesso basta davvero poco per rendermi felice;
conosco i miei difetti e ammetto i miei errori; sono disordinata e ordinata allo stesso tempo;
amo la compagnia dei miei amici, quelli con cui posso essere me stessa senza il problema di essere troppo o poco; a volte ho tante ambizioni ma poi faccio fatica a credere in me stessa; posso essere testarda;
di inverno in montagna mi brucio sempre il naso;
ogni anno passo il mio compleanno alla fiera dell'artigianato;
ho una memoria abbastanza salda;
ho la lacrima facile ma sto imparando ad essere forte;
quando ero piccola odiavo perdere quando giocavo a carte con i miei fratelli;
mi piacciono le fotografie e i video imbarazzanti;
avevo una capretta di nome nuvola a cui davo il latte;
adoro i prodotti di lush;
non mi piacciono le mancanze e gli addii;
d'inverno mi piace sentirmi al caldo indossando una sciarpa;
sono coraggiosa solo in certi casi;
dovrei imparare ad essere indifferente in alcuni casi e stronza in altri;
amo e odio le canzoni della domenica del papà;
scelgo la montagna piuttosto che il mare anche se esso mi ricorda il mio paese;
faccio fatica ad esprimere quel che penso a voce e preferisco scrivere perché a voce direi la metà delle cose;
se viaggio devo avere sempre con me, almeno, un libro, l'album da disegno o la macchina fotografica;
preferisco comporre un puzzle e incorniciarlo o disegnare qualcosa da attaccare al muro, piuttosto che comprare un quadro;
vorrei viaggiare ma non da sola;
preferisco il cappuccino piuttosto che il caffè oppure il ginseng;
vorrei essere più alta e avere più tette ma so che non è possibile e che quindi mi vado bene così;
preferisco i capelli lunghi perché con i capelli corti sembro più piccola;
quando si tratta di mettere da parte l'orgoglio ci metto poco;
posso sembrare ingegnua, posso sembrare una bambina;
spesso faccio di testa mia quando molte persone mi dicono che sbaglio;
adoro le cose stravaganti e le particolarità delle persone;
a volte d'estate dormo nella vasca;
odio il mio pesce rosso ma ci sono affezionata;
sono un po' stitica;
quando torno a casa da sola durante un orario notturno, controllo sempre se qualcuno mi segue e spesso mi metto a correre per tornare subito a casa;
mi piace chi vede le cose in un modo diverso, in un modo singolare e particolare;
odio con tutta me stessa le zanzare;
sono introversa ma so essere amichevole;
se devo scegliere preferisco il vino bianco piuttosto di quello rosso e la birra scura piuttosto che quella chiara;
durante la notte se mio fratello russa gli tiro addosso i cuscini finché non smette;
sono semplice e complicata allo stesso tempo;
piango se mi fanno arrabbiare;
di ogni edificio conto fino al quarto piano;
mi piacciono le lucine dell'albero di natale;
tra tutti i generi musicali non ascolto il rap e soprattutto quello italiano;
in casa non indosso quasi mai le ciabatte ma sono sempre perennemente in calze;
ho sempre desiderato avere i vinili e un giradischi;
mi sento più semplice dopo aver pianto;
mi piacciono le candele profumate;
sono troppo riflessiva e per questo molte cose le tengo per me;
quando sono triste mi sento al sicuro sul mio letto;
se piango per tristezza devo sempre stringere un cuscino;
quando ero piccola dormivo con il pupazzo di Prezzemolo e di un tricheco;
mi piace la vista dall'ottavo piano perché quando c'è bel tempo posso vedere le montagne;
adoro gli abbracci, quasi più dei baci;
ho il terrore di cadere dalle scale, infatti non le faccio quasi mai correndo e mi devo sempre reggere al corrimano;
osservo molto e mi innamoro dei dettagli;
cerco la luna e la stella...
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hegelhegel · 5 years ago
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Aprile 2020,Siamo in quarantena
Ho sempre usato la scusa del “non ho tempo” per evitare un sacco di cose, che poi non lo avevo davvero eh, però era anche molto comodo. 
Quindi è stata un po’ una riscoperta rispetto alla pesantezza del mio culo e al mio egoismo
Non ho voglia di fare attività fisica
Non ho voglia di imparare 70 lingue
Non ho voglia di studiare la geografia
Non ho voglia di parlare con i miei
Non ho voglia di aiutare nessuno
Non sto imparando a cucinare
Non ho rimesso l’armadio e la camera
Forse è brutto da dire ma la cosa che mi manca di più è il reparto, il calcolo minuzioso del fosforo e del potassio in un paziente dializzato e scegliere quanti cucchiaini di addensante deve usare un paziente con la SLA.
Che poi da una parte sono anche contenta, cioè se mi manca così tanto quello che stavo facendo vuol dire che sono ben lontana dall’aver fatto una scelta solo per una pressione sociale che mi porta a scalare una montagna verso il posto fisso.
Poi lo so che le interazioni ritorneranno prima o poi,
quindi non mi manca l’aria se penso alle persone.
Che poi un po’ penso di aver sempre vissuto in prospettiva
Quindi se ora la prospettiva è l’unico modo in cui si può vivere magari sono anche avvantaggiata.
Cioè gli scambi relazionali vanno bene 
Pensavo che il nocciolo dell’individuo fosse da ricercare nelle relazioni
Tipo in un saggio c’era una frase che mi è piaciuta troppo
Diceva
“io non sono da me, da me non sono nulla, in ogni attimo mi trovo di fronte al nulla e devo ricevere in dono attimo per attimo nuovamente l’essere”
Cioè quindi dice che solo avendo cura delle nostre relazioni si formi l’essere, che solo aver cura di certe persone genera uno scambio relazionale che dà forma alla nostra esistenza
Quindi nulla, ora sono solo un po’ spaventata.
Penso cose
A volte non so se i miei pensieri si potranno poi conformare con la realtà dove ci sono anche gli altri.
Tipo quando pensi le cose e ormai le pensi da più di 30 giorni in un determinato modo e hai paura che alla fine non ci sia in realtà niente di vero.
Pensi solo cose tue, zero riscontri
Poi non sono mai stata un genio della comunicazione.
O meglio, per definire la tua capacità in realtà dovresti provare
E io diciamo che è da poco che ci provo, a comunicare
E ho i miei modi
Ma vanno bene tutti i modi?
Tipo nella scienza, se fai una ricerca, puoi anche scoprire qualcosa, ma se poi non c’è la parte di diffusione dei dati, quello che hai fatto non vale niente, zero, non ti verrà mai riconosciuto nulla.
E’ stressante come condizione lo ammetto, è uno stress diverso.
Personalmente sono calma rispetto alle privazioni degli assembramenti
Una calma che mi ha anche spaventato
Non mi sono sentita parte del dolore di tutti
Ho avuto episodi si, ma sono rimasti eventi isolati.
Rifuggo dai video su “come affrontare la quarantena” 
Che poi noi cosa dobbiamo affrontare 
Personalmente posso dire che è stato difficile quando mi si sono screpolate le mani e mi sono dovuta mettere la crema, 
Odio le creme e non voglio che i miei polpastrelli rimangano appiccicosi per la vita, quindi si è stato difficile spalmarsi la crema solo con le nocche.
Ho avuto paura che mi potesse scivolare tutto addosso, che neanche una pandemia fosse capace di farmi sentire qualcosa.
Qualcuno sta riscoprendo cose di su di sé, qualcuno sta rivalutando i rapporti.
Io ho scoperto che non mi so gestire le giornate, che mi basta che la punta del lapis sia poco appuntita par mandarmi un po’ in ansia, perché se la punta del lapis non è appuntata bene vuol dire forse che non sono capace di tenere un astuccio in modo decente? E se non tieni un astuccio in modo decente forse è perché non hai le idee chiare sulla vita?
Insomma, queste son diventate le connessioni più logiche da fare.
E’ stato brutto riscoprirmi poco determinata, non ho letto come pensavo di voler fare tutte le linee guida su come trattare le patologie di ogni tipo.
E’ stato brutto riscoprirmi una “non buona”, non ho neanche guardato come fare per entrare a far parte di quei servivi che portano la spesa a casa degli anziani, cose di questo tipo insomma.
Però ci sta forse
Ormai ho la certezza di funzionare in mono
Ho un po’ sempre pensato che troppi stimoli mi scombussolassero.
Non ho visione d’insieme, e se a volte ce l’ho è solo perché mi sono persa i dettagli.
Non mi piace come funziona il mio pensiero.
Le slide di psicologia dicono che assenza di concentrazione, di memoria con pensiero ruminativo (ossessivo) e perdita di autostima sono aspetti da ricondurre allo stress.
Quindi magari lo sento anche io, magari faccio parte del tutto, però mi son confusa perché i sintomi sono sfumati e vicini a quello che sento nella maggior parte del tempo e quindi non mi sembra che siano cambiate le cose.
Non riesco a fare nulla, ho iniziato 4 libri e sono alle prime pagine di tutti e 4
Non so se va bene distrarmi
E quindi sono ancora più paralizzata
Funziono così e quando c’è qualcosa che non va raramente metto in atto tutti quei meccanismi che di solito sono utili per superare il fatto, la fase “attacco o fuggi” non mi compete
La maggior parte delle volte mi blocco e non riesco più a fare le cose
Non trovo una strategia organizzata in quelli che sono i miei comportamenti
E se il blocco bloccasse e basta forse mi starebbe anche bene
Ma questo blocco non è statico si sa
Costruisce
Distrugge
Allora questo dà fastidio.
E poi mi dà fastidio che mi dia fastidio
Studio con bianca, la chiamo e poi la muto
Gabriele dice che non ha senso e che allora posso fare anche da sola
Ma lui sta bene nel suo e ho scoperto che funziona molto meglio di me lui come essere umano
Alle 5 bianca va a prendere la merenda, la riattivo per mezz’ora e poi la rimuto, ma fino alle sei perché poi fa gli esercizi, è una tedesca dentro lei.
Ogni tanto chiamo qualcuno
Ogni tanto faccio una sfida
Ogni tanto le sfide vanno bene 
Ogni tanto non come vorresti
Che poi non è che voglia qualcosa
Cioè in realtà due cose ho sempre detto di volerle
Ma anche perché non sono cose che riguardano me come singola
Tipo la trasparenza
Che poi lo sapevo
Discutevo con B su quante condizioni avesse chiesto una cliente per comprare dei mandarini
Ma secondo me le condizioni non erano così tante poi
Nel senso, poi ci sta che al venditore sembrassero tante
Però ecco
La trasparenza serviva proprio a questo, a dirlo, quando le condizioni sui mandarini avrebbero superato le risorse del venditore.
Che poi è strano perché se manca per una volta hai la sensazione che possa mancare sempre
Cioè capito non stai comprando una casa lo sai, si tratta sempre di un mandarino
Però convivi con l’ansia 
E quindi te la ritrovi anche quando stai comprando un mandarino
Cerco di non additare tutto alla pesantezza
Che un po’ lo sono ed è vero
Ed è l’ora che la riconosca come parte di me
Sperando ovviamente che non mi totalizzi
Poi in realtà spero un po’ che questo diario non lo legga nessuno 
Perché ormai il bipolarismo ha raggiunto la pesantezza
E poi sono un genio a screditare i pensieri che ho avuto
Però ecco magari se li scrivo un po’ me ne libero
E intanto mi sono abbandonata a compromessi di ogni tipo
Comunque, è anche carino stare per una volta in una solitudine che non hai né scelto né provocato te.
Cioè bello che ora nessuno si può concentrare sul perché e stiamo tutti a ragionare sul come.
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ciao sono io Ok. ce l'ho fatta. Dopo ore a scegliere Tema, foto profilo, layout e qualunque altra parola che vi propongono quando decidete di aprire un blog, alla fine ho lasciato le impostazioni di base. Ovvio che i temi con sfondo rosa, con fiorellini o cuoricini non facciano per me. Pensate che credo di aver scelto quello dedicato alla sezione viaggi. Mi sembrava il più adatto. Non vi capita mai di passare ore a scegliere qualcosa e poi alla fine vi arrendete alla scelta più ovvia? io lo faccio in continuazione. Vorrei fare la scelta giusta, quella che le persone si aspettano...o forse quella che vorrei la gente si aspettasse da me. Come quando faccio shopping. Prendete un qualsiasi sito di abbigliamento on line. il mio carrello è pieno di pantaloni, blazer , camicette... Alla fine l'acquisto prevede solo un paio di leggins leopardati o una maglietta dei "Ramones", l'ennesima.  E si : abbinate. Questo fa di me ovviamente una persona poco "normale". Ma perchè sono qui? Ovvio che non intendo diventare famosa con un blog; ovvio che non sono una professionista della scrittura ; ovvio che non vi darò consigli sulla modo o sul trucco o in generale sulla vita. E non vi aspettate grandi lezioni di vita sull'amore. Perchè io sono un disastro. E logorroica. E estremamente frustrata in questo momento. Ho un caos di emozioni che non riesco neanche a mettere in ordine per fare un discorso di senso compiuto ad una amica. E in realtà non ho neanche voglia di farlo. Perchè di solito odio le amiche che parlano, parlano, parlano...si io sono quel tipo di persona : che mentre mi racconti i grandi problemi della tua vita, ti do il consiglio che credo sia vangelo, mi si gonfia il petto dall'orgoglio per quello che ho appena detto, molto umilmente , e poi continuo a bere il mio bicchiere di vino , tanto nessuno mi ascolta. Non ho un buon rapporto con i terapeuti. Ho provato due volte ad andare in analisi ed in entrambi i casi mi è stato detto perchè continuavo a pagare le sedute per mentire spudoratamente. Quindi ho pensato che in qualche modo dovevo iniziare a lasciare andare le emozioni per capirci qualcosa e magari scriverle e confrontarmi con persone che in realtà non mi conoscono e non mi vogliono bene, fosse una bella idea. Non mi ricordo neanche cosa stavo dicendo. Da capo? Allora, perchè sono qui? Il caos. detto. l'assoluta incapacità di rivelare il mio malessere alle persone care. detto Aggiungerei anche la paura di rivelare il malessere. Le persone che ho intorno , ma anche chi mi conosce da una sola ora , vede in me sempre e solo la persona strana. Quella che vi dicevo prima : che indossa leggins leopardati con una maglietta bordeaux dei Ramones. La ragazza che non ha problemi, che vive nel suo mondo circondato da mura invalicabili, che guarda solo film horror , che ascolta musica non "adatta" ad una trentacinquenne. Quanto odio quella parola : ADATTA.  Ancora di più "strana". Perchè tutti partono dal presupposto che se una cosa non è convenzionale o solo diversa, deve essere necessariamente STRANA. Quando è che qualcuno ha deciso che una donna di trantacinque anni non possa farsi i capelli verdi? Sto divagando,accidenti. Vedete non so mantenere un filo logico. Da capo? Ciao sono Hannah. Hannah Baker. no, sto scherzando. burlona! Ciao sono Penelope. E no, non è un nome finto. E' il nome del gatto che mia madre aveva da piccola. Iniziamo bene, eh? In pochi mi chiamano Penny, soprattutto dopo la messa in onda di "The Big Bang Theory" . Ma sicuramente nessuno mi chiama "PENE". Sono Romana, nata e vissuta a Roma e mi chiamano tutti Ninni. Va a capire il perchè. Ho 35 anni, faccio l'impiegata e come vi dicevo ho una passione per il film horror. In realtà la mia è una vera e propria mania. Passo intere notti a documentarmi sui veri casi dei serial killer più famosi. Sono stata fidanzata per molto tempo, ma i dettagli di questa storia ve li dirò un'altra volta. Sono abbastanza di bell'aspetto, non vado in giro vestita come Morticia nonostante i miei gusti e sono una patita di musica. Che altro? ah. Ho l'inferno dentro in questo momento e sto cercando di uscire dalla mia zona comfort. Nel senso che solitamente io sono la mia zona comfort. metto sempre tutto da parte e faccio finta che i problemi non esistano, basta non pensarci. Non stavolta. Sento il bisogno di vomitare sto disastro che ho creato, involontariamente. Praticamente tutto quello che ho detto fino adesso non ha senso. Sono pessima anche come "blogger". Facciamo così :  il primo post terribile è stato una presentazione. "Ciao Sono Ninni, ho 35 anni e vengo da Roma. Mi piacciono i gatti e sono del segno del leone" Mettiao fine a questo delirio. Sarà il mio diario, ecco. Questo Blog sarà il mio diario. Non potevo scriverlo subito?
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thebreezybees-blog · 8 years ago
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TOP 5 - libri da leggere d’un fiato.
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Buongiorno a tutti!
L'estate è praticamente arrivata e speriamo di avere un po' di tempo per noi, per rilassarci anche solo la sera prima di andare a letto. Ecco perché oggi vi svelo la classifica dei primi 5 libri che preferisco. Sono quelli che mi hanno accompagnata in particolari momenti della vita, che ho letto tutto d'un fiato e che spero possano appassionare e dare un po' di relax anche a voi. 
Si sa, con i libri è una questione estremamente personale e i miei gusti potrebbero non piacere a tutti. Proprio per questo vi invito a scrivere nei commenti la vostra classifica, per ispirare e consigliare chiunque legga. In più, lo sapete, io sono super curiosa!! Iniziamo subito: 
1) La trilogia di Sevenwaters - Julliet Marillier.
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L'intera trilogia è sensazionale, ma se dovessi scegliere il mio preferito direi che è il secondo volume (“Il figlio delle ombre”). Non che gli altri siano da meno! Non voglio svelarvi assolutamente nulla, ma invogliarvi a perdevi tra le parole che l'autrice (figlia di immigrati scozzesi e cresciuta a Dunedin in Nuova Zelanda) ha sapientemente messo in riga. Mentre il primo libro è una rivisitazione in chiave celtica de “I sei cigni” dei fratelli Grimm, gli altri proseguono nella narrazione in modo indipendente. Vi riporto alcune parole dell’autrice: 
“Nella mia storia ho cercato il dilemma racchiuso nelle favole, poiché esse narrano di esperienze meravigliose e strazianti, dando voce al meglio e al peggio dell’animo umano. Onore, fiducia,coraggio, onestà, amore. Perfidia, tradimento, cordialità, odio. Esse ci divertono, ci fanno inorridire e ci rassicurano. Ci fanno ridere oppure piangere. […] E soprattutto esse risvegliano in noi il senso del prodigioso e la consapevolezza dei misteriosi schemi dell’esistenza, una danza a spirale di nascita, morte e rinascita” 
Che aggiungere? Tutti questi fattori si intrecciano su uno scenario celtico e remoto sapientemente ricostruito, dove momenti bui si alternano a festività, racconti attorno a un focolare di antichi miti irlandesi precedono grandi lotte. Vi invito a seguire Sorha, Red, Liadan, Niamh, Bran e tutti gli altri personaggi ( con nomi il cui significato celtico corrisponde a pennello alla loro identità) per far vostri quegli aspetti che ne fanno donne e uomini coraggiosi e fieri. Per quanto riguarda l'acquisto, devo dirvi che sono libri poco conosciuti qui, tanto che i volumi successivi non sono stati tradotti in italiano. Potete comunque ordinarli in libreria o direttamente in rete per un prezzo che varia tra gli 8 e i 15 euro. 
2) Il conte di Montecristo - Alexandre Dumas.
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Questo libro, come il precedente, mi è stato consigliato. Non potevo immaginare di appassionarmi tanto! Tutti abbiamo subito un torto e, ahimè, non è difficile pensare a una dolce vendetta in alcuni casi. Se il torto è stato grande e a subirlo è stato Edmond Dantès, allora state pur certi che vendetta sarà fatta. Tutte le vicende sono raccontate in modo incalzante e ci sono molte curiosità sul conto di questo libro, che è stato definito “uno dei più appassionanti romanzi più mal scritti di tutti i tempi” ( fidatevi, non ci farete per nulla caso). Un piano finemente orchestrato, scheletri nell'armadio che si scoprono poco a poco, prigioni, navi, lusso, banditi, farse e crude verità. Voi quanto sareste disposti ad aspettare e perdere per veder realizzato il vostro piano e farla pagare a chi vi ha tolto tutto? Il prezzo per l’edizione BUR è di 14 euro. 
3) Dracula – Bram Stoker.
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Beh, io adoro i romanzi gotici e questo non poteva assolutamente mancare nella classifica. Oggi ci sono molti libri e serie tv su vampiri (e annessi), ma vi siete mai chiesti come veniva visto un vampiro nel periodo in cui dalla storia si passava al mito? Non vi aspettate nulla di amorevole, nulla di simile a ciò che immaginate. Ambientazioni perfette, contesto storico appassionante, credenze popolari e superstizioni per  una caccia all’ultimo sangue. Pensate che Van Helsing sia un uomo figo e forte, ma se non fosse così come potrebbe sconfiggere il più grande vampiro di tutti i tempi? Per scoprirlo, calatevi nella lotta tra bene e male che rivive tra questi due personaggi tanto quanto dentro di noi, che come dice Vittorio Andreoli siamo fatti “un po’ di Dracula e un po’ di Van Helsing, un po’ demone e un po’ Dio”. Per l’edizione BUR il prezzo è di 7,40 euro.
 4) Cime tempestose- Emily Bronte.
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Ahh, che potrei raccontare? Qui l'amore c'entra, non lo nascondo, ma sbagliate se credete che sia solo una storia per ragazze. Non è solo l'amore il protagonista, ma lo struggimento di un bambino divenuto uomo il cui personaggio troneggia su tutti gli altri. Una storia di incontri e intrecci stretti, di intenso amore e di odio ancor più intenso, di vendette e ripercussioni che si alternano nell’aspra la brughiera dello Yorkshire, a  Wuthering Heights, quanto nella signorile casa Linton a valle. La storia di un’amore che va oltre la morte, i cui confini con la vita sono  “labili e sfumati come la nebbia che tutto avvolge”. Intramontabile. Per l’edizione Acquerelli il prezzo è di 5 euro. 
5) Moby Dick – Herman Melville.
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Questo e un libro impegnativo, a metà tra un romando e un saggio sulla caccia alle balene. Del resto l'autore ha prestato servizio sulle baleniere, quindi chi meglio di lui avrebbe potuto descriverne i dettagli? Lunghe digressioni descrittive spezzano per interi capitoli il corso della narrazione, ma non bastano a far crollare il mito del capitano Achab, un uomo evanescente che rincorre in mari sconosciuti la reincarnazione dei suoi limiti e delle sue paure. Ecco che la storia della caccia alla Balena Bianca si fa allegoria del destino umano.  Se volete sentire sulla punta della lingua il sale marino, se volete provare la fatica, assaporare la tensione di certi momenti e l'estrema libertà di altri, se come Achab non accettate il mistero della natura, ma volete affrontarlo e conquistarlo, seguite Ismaele e salite a bordo del Pequod. Per l’editore Newton Compton Editori il prezzo è di 7 euro.
Ecco finita la mia classifica. Ho tenuto fuori volontariamente le saghe più conosciute, per potervi suggerire qualcosa di più particolare. Come vedete ce n'è un po' per tutti i gusti, ci sono diversi generi a cui mi sono appassionata e molti altri libri meriterebbero di essere citati. Ma abbiamo tutto il tempo per parlarne!
Fatemi sapere se li avete già letti, quali libri preferite o di quale genere. Insomma...aspetto tutti nei commenti! A presto, M.
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