Tumgik
#occhi di vetro
givemeanorigami · 1 year
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Non il mio cervello mal funzionante che, per un banalissimo occhio gonfio, si sta convincendo che stiamo perdendo un occhio, dovrò scegliere se adottare una benda come Elle Driver o se usare un occhio di vetro come il bisnonno che non ho mai conosciuto, e da questa mia perdita inizierà la mia scalata per diventare un villain.
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molecoledigiorni · 1 month
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- divenire -
Ho già visto tutto il mondo
nei suoi occhi
tutte le insonnie dei giorni amari,
tutta la dignità
di chi sta in ginocchio
di fronte al dolore.
Siamo divenire costante,
con un’ anima di vento
e un cuore di vetro.
©b.b.s
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susieporta · 15 days
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Stamattina, in fila al gate, osservavo una donna con i suoi genitori. Avrà avuto la mia età. Teneva la madre per mano e le sistemava i capelli, come fosse la sua bambina. La madre poneva domande e lei la tranquillizzava.
Ero ipnotizzata dalla loro interazione, li ho seguiti tutti e tre, finché non mi sono ritrovata a parlare con loro. La donna aveva uno zaino in cui teneva uno sgabellino per la madre, che ha paura di non riuscire a salire sui pullman.
Me ne cado, mi ha detto con inequivocabile accento calabrese.
Ma a salire su questa navetta, ha detto il marito indicandola oltre il vetro, ce la fai.
Mi piace tanto viaggiare, mi ha detto la madre con gli occhi sgranati, quasi fosse una dichiarazione inconfessabile. Erano chiarissimi, quegli occhi.
La figlia aveva preso i suoi genitori in Calabria, lei che vive a Milano, e li stava portando in crociera.
E la crociera parte da Genova?, ho chiesto.
No, da Atene.
Così ho capito che ero in fila al gate sbagliato e sono corsa via.
Mi è rimasta la sensazione di non averli salutati.
Ho invidiato quella figlia che può portare in viaggio i suoi genitori, perché loro hanno voglia di viaggiare: i miei non hanno fatto una vacanza in tutta la loro vita. Ho invidiato la dolcezza di quella donna, la sua pazienza. Ho invidiato quella madre che si affidava, che si faceva prendere per mano, che si lasciava rassicurare.
Ci sono cose che non ho mai fatto e che, ora lo so, non farò più. Il tempo finisce, a un certo punto.
Ma si può provare tenerezza per gli altri. Pensarli, ore dopo, mentre girano con uno sgabello nello zaino. I ruoli invertiti, com’è giusto, com’è naturale che sia.
Pensarli, in questa giornata di saluti. In questa giornata di padri che se ne vanno per sempre e di figli che dall’altare li salutano, in una chiesa piena, in una giornata di sole - che luce. C’è il mare, là dietro. Un figlio racconta un episodio dell’infanzia, buffo, intimo: riguarda suo padre. È con quel racconto che ci spacca il cuore.
Rosella Postorino
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gottdeswill · 6 months
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"Un mondo dove nessuno era capace di amare e le persone vivevano con l'anima vuota, nude di emozioni. Ma, nascosto al mondo intero, nella sua immensa solitudine, c'era un uomo vestito d'ombre. Un artigiano solitario, pallido e curvo, che, con i suoi occhi chiari come il vetro, era capace di fabbricare lacrime di cristallo.
La gente andava alla sua casa e chiedeva di poter piangere, di poter provare un briciolo di sentimento, perché nelle lacrime si nasconde l'amore e il più compassionevole dei commiati. Sono l'estensione più intima dell'anima, ciò che, più dell'allegria o della felicità, fa sentire veramente umani.
E l'artigiano li accontentava…
Incastonava negli occhi delle persone le loro lacrime con ciò che contenevano e quello era ciò che la gente piangeva: rabbia, disperazione, dolore e angoscia.
Erano passioni laceranti, delusioni e lacrime, lacrime, lacrime. L'artigiano infettava un mondo puro, lo tingeava dei sentimenti più intimi e estenuanti.
"Ricorda: al fabbricante di lacrime non puoi mentire", ci dicevano alla fine del racconto."
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caoticoflusso · 5 months
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oggi in autobus fra la calca ho posato lo sguardo su una coppia, avranno avuto trentasei anni a vicenda su per giù. due bambini, di cui uno era seduto in braccio alla mamma, aveva la mano adagiata teneramente sul vetro e con gli occhi esplorava un po’ le macchine ferme al semaforo, indicando qualche cane al loro interno. ho pensato a quanto splendore abbiano le cose se viste da una prospettiva diversa, una prospettiva temporale decisamente opposta alla nostra: quella di un bambino, o una bambina.
la voce del più piccolo esclama: ‘che bella città!!’ come se non ci fosse stato mai, come se non sapesse neanche lui dove si trovasse. l’ingenuità delle sue parole, miste a quelle del più grande che con disinvoltura, guardava il resto dei passeggeri. talvolta pensiamo che ingenuità equivalga a stupidità e che, una volta cresciuti, è un bene lasciar spazio a consapevolezze e astuzia. io la penso sempre in modo diverso, il candore e l’innocenza devono far parte di noi per mantenere quello sguardo mai perso che possedevano quei bambini/quelle bambine che non abbiamo mai smesso d’essere. (sono quasi sicura che io abbia espresso una teoria del fanciullino rivisitata da me, un po’ moderna e meno intellettuale)
i due bimbi, infine, decidono di tirare la catena della borsa che avevano fra i due sedili, ho dedotto fosse della madre. il più piccolo, sorride. e così fa anche il più grande, con tanto di: ‘continua, stiamo facendo musica’ e c’ho trovato poeticità.
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gregor-samsung · 1 month
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Eravamo insieme davanti alla televisione mentre sullo schermo scorrevano le immagini della ritirata degli americani dall’Afghanistan, anno di grazia 2021, e l’arrivo dei talebani in varie città del paese. Le ragazze di Kabul fuoriuscivano dallo schermo, con i loro quaderni, i loro zaini, le loro matite, la loro voglia di non perdere l’istruzione e la vita che in quei decenni di relativa calma avevano ottenuto a suon di sacrifici. Quelle ragazze di un’altra latitudine le sono scoppiate letteralmente nel cuore. E ho visto hooyo [=mamma] tremare di rancore. Più volte si è alzata in piedi e si è avvicinata alla televisione. Più volte, con un gesto tanto meraviglioso quanto inutile, ha cercato di sorreggere quelle ragazze stanche e affamate di un altro continente con le sue mani minute che accarezzavano il vetro dello schermo. La vedevo mentre cercava di tendere loro il braccio per teletrasportarle sulla pista dove aerei dalla pancia grossa si dirigevano verso una salvezza qualsiasi. Le facevano troppo pena quelle ragazze giovani e intraprendenti, immerse come grumi di merda nel canale di scolo che costeggiava l’aeroporto internazionale Hamid Karzai.
“Dovrebbero stare in un’aula, davanti a una maestra o a un maestro,” mi ha detto con voce sconvolta, adirata. “Davanti a una lavagna, con in mano un gesso, una penna, una possibilità. Accidenti, devono stare in classe con una maestra o un maestro che gli apre una finestra sul mondo.” “Invece, hooyo,” sussurro io, “sono grumi di merda in un canale di scolo.” Grumi di merda destinati a diventare grumi di sangue. Sì, sangue e materia cerebrale. Quando il telegiornale ha dato la notizia di persone assiepate all’aeroporto di Kabul, ho visto la rabbia di hooyo trasformarsi prima in furia e poi in lacrime. Per giorni ha camminato nervosa dentro casa, per strada, nelle terre della sua fantasia, alla ricerca di qualcosa che riuscisse a calmare le raffiche del suo cuore ferito. Era arrabbiata per la triste sorte che stavano subendo le ragazze di Kabul, ma era arrabbiata anche per se stessa. Si era rispecchiata in quelle giovani dagli occhi da cerbiatto, ragazze con quaderni e penne in mano, e si era chiesta perché a molte persone, più donne che uomini, sia ancora proibito sognare.
Igiaba Scego, Cassandra a Mogadiscio, Bompiani (collana Narratori Italiani), 2023¹; pp. 148-149.
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neropece · 8 months
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“skater at sunset” photo by Fabrizio Pece (tumblr | 500px | instagram)
Il sole stava già iniziando la sua lenta discesa dietro gli edifici di mattoni rossi e intonaco che costellavano il centro della città. Una luce dorata tingeva il cielo, facendo brillare le finestre dei grattacieli come pezzi di vetro spezzato. Jack, un uomo di mezza età dalle spalle curve e dallo sguardo stanco, si trascinava lungo le strade trafficate, cercando di raggiungere casa dopo una giornata di lavoro che sembrava non avere mai fine.
Mentre si avvicinava al suo appartamento, passò davanti a un negozio di dischi di seconda mano che aveva sempre ignorato. Qualcosa, quella sera, attirò la sua attenzione. Una copertina sgargiante spiccava tra gli svariati album impolverati esposti nella vetrina. Era un disco di qualche band indie locale, ma ciò che catturò l'occhio di Jack fu l'immagine sulla copertina.
Al tramonto, su una pista da skate, in quella che sembra una città europea, uno skater si muoveva fluido con la sua tavola sotto i piedi. La silhouette nera del ragazzo si stagliava contro il cielo dai colori invecchiati dal passaggio del tempo. Il movimento della tavola da skate e del ragazzo disegnavano un'ombra allungata sulle piastrelle di cemento. Era un momento intrappolato nel tempo, un istante di pura grazia e abilità, catturato in una frazione di secondo.
Senza pensarci due volte, Jack varcò la soglia del negozio e chiese al commesso dietro al bancone di vendergli quel disco. Il giovane commesso, con una pettinatura alla moda e un paio di occhiali da sole sul naso, gli sorrise e accettò di buon grado la sua richiesta.
Tornato a casa, Jack mise il vinile sul giradischi polveroso che aveva ereditato da suo padre. Il suono scricchiolante della puntina che si posava delicatamente sulla traccia iniziò a riempire la stanza. Le note di chitarra si diffusero nell'aria, e Jack si ritrovò avvolto dalla melodia malinconica.
Chiuse gli occhi e si immaginò sul bordo di quella pista, al tramonto, mentre uno skater sconosciuto danzava con il pavimento in un perfetto equilibrio tra gravità e libertà. Sentì la brezza tiepida sulla pelle, assaporò la sensazione di libertà che solo uno skate e una strada deserta possono offrire.
La musica continuava a suonare, e Jack si lasciò trasportare in quel mondo di movimenti eleganti e sfide audaci. Quella copertina diventò per lui un portale, un ricordo che sfuggiva alle mani ma che, grazie alla musica, poteva rivivere ogni volta che lo desiderava. E così, nella sua solitudine quotidiana, trovò un rifugio in un tramonto urbano immortalato su una copertina di vinile.
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donaruz · 7 months
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Federico Garcia Lorca
Pioggia
La pioggia ha un vago segreto di tenerezza
una sonnolenza rassegnata e amabile,
una musica umile si sveglia con lei
e fa vibrare l'anima addormentata del paesaggio.
 
È un bacio azzurro che riceve la Terra,
il mito primitivo che si rinnova.
Il freddo contatto di cielo e terra vecchi
con una pace da lunghe sere.
 
È l'aurora del frutto. Quella che ci porta i fiori
e ci unge con lo spirito santo dei mari.
Quella che sparge la vita sui seminati
e nell'anima tristezza di ciò che non sappiamo.
 
La nostalgia terribile di una vita perduta,
il fatale sentimento di esser nati tardi,
o l'illusione inquieta di un domani impossibile
con l'inquietudine vicina del color della carne.
 
L'amore si sveglia nel grigio del suo ritmo,
il nostro cielo interiore ha un trionfo di sangue,
ma il nostro ottimismo si muta in tristezza
nel contemplare le gocce morte sui vetri.
 
E son le gocce: occhi d'infinito che guardano
il bianco infinito che le generò.
 
Ogni goccia di pioggia trema sul vetro sporco
e vi lascia divine ferite di diamante.
Sono poeti dell'acqua che hanno visto e meditano
ciò che la folla dei fiumi ignora.
 
O pioggia silenziosa; senza burrasca, senza vento,
pioggia tranquilla e serena di campani e di dolce luce,
pioggia buona e pacifica, vera pioggia,
quando amorosa e triste cadi sopra le cose!
 
O pioggia francescana che porti in ogni goccia
anime di fonti chiare e di umili sorgenti!
Quando scendi sui campi lentamente
le rose del mio petto apri con i tuoi suoni.
 
Il canto primitivo che dici al silenzio
e la storia sonora che racconti ai rami
il mio cuore deserto li commenta
in un nero e profondo pentagramma senza chiave.
 
La mia anima ha la tristezza della pioggia serena,
tristezza rassegnata di cosa irrealizzabile,
ho all'orizzonte una stella accesa
e il cuore mi impedisce di contemplarla.
 
O pioggia silenziosa che gli alberi amano
e sei al piano dolcezza emozionante:
da' all'anima le stesse nebbie e risonanze
che lasci nell'anima addormentata del paesaggio!
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IL PESO DEL MONDO
Ho sofferto a lungo di dolori al collo. Ho cambiato sedia, ho comprato un collare ortopedico, ho fatto yoga, pilates, sono andata da un chiropratico e da medici di ogni genere, ma il dolore è continuato; un peso, un disagio che non mi faceva nemmeno dormire più. A volte era anche difficile per me respirare.
Poi, incontrai una saggia ed anziana donna.
Solo guardando la mia colonna vertebrale tesa e compressa,
solo tastando la mia pelle nuda con il suo tocco di mani vecchie e consumate.
Mi disse: "Hai portato così tante pressioni negli anni, così tanto dolore, da perderne il conto; porti il peso del tuo mondo e di quello degli altri."
- Sospirai...
Prese le mie mani, tra le sue mani nodose, di vecchia signora; mi fece abbassare le mani, sciogliere le spalle, sollevare il mento e si mise dietro di me. Le sue labbra sfiorano il mio orecchio e sussurrarono dolcemente:
- "Non tutto è colpa tua. "
- "Non tutto è tua responsabilità. "
- "Non puoi fare tutto. "
- "Non puoi sistemare tutto. "
- "Non devi farti carico di tutto. "
I miei occhi all'improvviso, iniziarono a versare lacrime spesse come vetro rotto...
C'è stato un momento in cui ho pensato che avrei pianto sangue, per quanto dolore stavo provando.
Piano piano le mie spalle sono tornate al loro posto, il mio collo è diventato morbido e si è rialzato, la mia schiena si è raddrizzata come non accadeva da anni e ho sentito le mie ossa come rinsaldarsi.
Il peso del mondo era sceso dalle mie spalle ed il peso del dolore del passato,
era finalmente caduto a terra.
Il peso del mondo.
Flora Azevedo
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solosepensi · 9 months
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Che è restato di quei bei momenti?
Il brillío degli occhi,
una goccia di profumo,
qualche sospiro sul bàvero,
il respiro sul vetro,
una briciola di lacrime
e un’unghia di tristezza.
E poi, dovete credermi, quasi piú nulla.
Un pugno di fumo,
qualche sorriso al volo
e un po’ di parole
che rotolano in un angolo
come rifiuti
sospinti dal vento.
E non vorrei dimenticare
tre fiocchi di neve.
Questo è tutto.
Jaroslav Seifert
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fridagentileschi · 10 months
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(...VOGLIO HANNAH...) liberamente tratto da Lucio Battisti ( e Mogol)...
Il 4 dicembre 1975 lasciava il suo corpo Hannah Arendt, occhi e neuroni sfavillanti, mente curiosa e penna profonda, una delle più tenaci assertrici di ciò che lei chiamava : “ la faccenda del pensare”. Citata da molti, conosciuta da moltissimi/e, letta da quasi nessuno, di lei parlo dettagliatamente ne : “ I Calzini di Hegel” ( PIEMME/ Audible).
Disse negli anni 50’: “ Molte persone non sono stupide, sono semplicemente senza idee. Ma questa mancanza di idee e la loro conseguente distanza dalla realtà, può essere più pericolosa di tutti gli istinti malvagi che sono innati nell’uomo…. Pensare è faccenda rischiosa ed improba, perché la società di massa non vuole cultura ma semplice svago».
Dopo 48 anni esatti, oggi , i principali argomenti di tendenza ( sul web) sono : il "campionato di calcio", il "festival di Sanremo", "il grande fratello”, "uomini e donne".
Non aveva alcuna palla di vetro. Faceva solo filosofia.
Zap Mangusta
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scorcidipoesia · 5 months
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oh, se tu potessi ritornare, ti porterei a vedere il giardino,
dietro casa, dove c'è un nespolo che è solo mio
e alla cui ombra potremmo leggere d'estate,
se l'estate venisse
e tu volessi passarla solo con me. e anche il lucernario,
sul tetto, senza un vetro da dove, a
volte, cadono le stelle; e tanto piccole che si perdono negli occhi
di chi si pone così, a guardarle, senza sapere da dove vengono
dicono che sono gli angeli che le lanciano adagio per riscaldare
le notti.
Forse ti mostrerei anche gli angeli se tu ritornassi.
(Maria do Rosário Pedreira)
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tulipanico · 8 months
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Sono passati svariati giorni da quando ho visto perfect days, e continuo a pensarci. Sono seduta in macchina, parcheggiata sotto casa, i rami di un albero ondeggiano sopra alla mia testa, le ombre ballano proiettate sul vetro. Intorno c'è silenzio assoluto, mi pare di sentire il mare, poi una macchina che si avvicina. Mi piacerebbe vivere la vita incastrandola in fotogrammi in movimento, montarli tutti insieme sul nastro di una vecchia videocassetta, donarla a qualcuno: ecco cosa vedono i miei occhi. C'è bellezza qui. Sogno il caffè lento, la domenica mattina, sotto alle lenzuola: manca poco.
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casvnatural · 3 months
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La condanna
Un tempo avevo solo cinque anni Seduta sul lettone la mia mamma mi intrecciava i capelli In quella che era una teca di vetro Fatta di finta felicità e spensieratezza. Poi venne il tuo sguardo maligno Dal più remoto degli angoli bui La tua oscurità si fece lentamente spazio Nel silenzio della stanza. Tutto si confonde nella mia mente, Urla di terrore si mescolano con le lacrime Le tue mani le toccano il viso, Ma non sono carezze, non è amore È la mera crudeltà di un uomo piccolo Che distrugge tutto ciò che osa guardare. Solo allora il mondo si ferma Inerme guardo la macabra scena, Qualcuno cerca di portarmi via invano e Mamma piange, mamma ha il volto sfigurato, Mamma ha l'anima che sta cadendo a pezzi davanti a me, Tu chiedi scusa in ginocchio ed io Prego ad occhi chiusi Eppure per quanto io possa urlare, nessuno mi risponde.
Poi come in un sogno la scena cambia Tu vai via ed io respiro di sollievo, Ma ho solo cinque anni E tra le mani il peso di una vita che non vuole incominciare Sulle spalle la pesante consapevolezza Che per sempre dovrò fuggire da te. Quando torni mesi dopo, Coloro che mi dovevano proteggere annuiscono omertosi I loro occhi sono buchi neri, Sorridenti mi consegnano a te Firmando la mia condanna a morte. Ma io ho solo vent'anni, Sono in ginocchio che prego Davanti all'altare di un dio che non risponde Gli chiedo invano quanto gli sia stato facile assolvere Te ed i tuoi sporchi peccati Mentre davanti al mio sguardo Ha saputo solo voltarsi dall'altra parte.
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smokingago · 3 months
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La piscina è quasi deserta, mi immergo nell'acqua fresca, una forte spinta e vado sotto, mi sembra di rinascere, sono nel mio ambiente naturale.
Inizio a nuotare lentamente, la mente si apre, il pensiero mi torna subito a quella telefonata di poche ore prima, al suo nome che scorre sullo schermo dello smartphone, sono quello che aggiusta le cose certo, ma di solito mi scrive un messaggio quando ha bisogno di me, immediatamente ho la sensazione che qualcosa non va.
Con la voce tremante mi dice:
- Ciao, ho fatto a pezzi il
paraurti della macchina e non so come fare -
- dimmi dove sei che vengo ad aiutarti -
... Nel parcheggio sotterraneo del supermercato è quasi buio, il paraurti è distrutto, ma lei molto di più... tiene in braccio quel minuscolo bambino dai capelli biondi che assomiglia a quelli che si vedono nei dipinti con gli angioletti, sembra una bambina anche lei, i capelli arruffati, l'aspetto trasandato.
Incontro i suoi occhi, sono così grandi e azzurri come il cielo, per metà iniettati di sangue e per metà gonfi di lacrime.
Le sorrido tranquillizzandola:
- gli do una sistemata con del nastro adesivo così puoi ripartire, non ti preoccupare non è così grave -
- non mi doveva succedere, è stato un momento di rabbia -
Incontro di nuovo il suo sguardo, scoppia in lacrime e inizia a raccontarmi l'ennesimo brutto momento che ha passato, si lascia andare ed inizia con foga a dirmi tutto in maniera molto sconclusionata che non ci capisco molto, ma resto sempre sorridente e cerco di darle conforto.
Ma lei non lo sa, non lo sa che in quel momento io sentivo il suo stesso dolore, dentro di me avevo come mille schegge di vetro che scorrevano nelle vene, continuavo a sorriderle per darle sicurezza, ma dentro sentivo tutti i miei organi contorcersi per quanta sofferenza sentivo.
- tutto sistemato, poi con calma la fai aggiustare -
Mi ringrazia, ma entrambi abbassiamo gli occhi, mi rivolgo al suo bambino, così sereno, sembra non rendersi conto di nulla.
- sbrigati a crescere, così diventerai tu l'aggiustatutto! -
Un ultimo sguardo:
- chiamami quando vuoi se hai bisogno -
Poi non riesco a trattenere un
- fatti aiutare -
Risalgo in macchina, ora posso lasciarmi andare e piango anch'io, ho il respiro corto, non riesco più a sopportare tutto il dolore e la sofferenza che c'è intorno a me.
Non posso farci niente, sono condannato a "sentire" le emozioni di alcune persone ma non di altre, non riesco a darmi una spiegazione ma succede sempre più spesso.
Respiro, respiro profondamente.
Anche questa volta è passato, ma tornerà.
Cit. Smokingago
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septeline · 1 year
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Girando su internet ho trovato una frase che diceva:
“Cosa diresti alla te bambina se te la trovassi di fronte?”
Mi ha fatto male. Il primo pensiero é stato di abbracciarla forte, per tutte le volte che hanno sminuito quel che provava, per tutte le volte che ha deciso di tenersele per se, allora, tutte quelle giornate che le facevano male. Per tutte le volte che l’hanno rimpiazzata, guardata ma non vista, lasciata in angolo a chiedersi “cos’ho di diverso rispetto a loro?”
L’avrei abbracciata per tutte le volte che avrebbe visto un tramonto e avrebbe pianto, per essere cresciuta così in fretta perché la vita l’aveva costretta a rinunciare alla fantasia. Per tutte le volte che ha desiderato un abbraccio e invece cantava a squarciagola, ma quando tornava a casa esplodeva.
Le direi di avere più cura dei sentimenti altrui, di continuare a strizzare gli occhi per capire cosa c’é davvero infondo a quelle battute da poco conto. Le direi che un giorno ci sarebbe riuscita ad amare follemente, a rompere quel vetro che utilizzava come corazza, per non permettere agli altri di farle del male.
Le direi che é stata brava.
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