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Al Festival dei due mondi di Spoleto, 1964
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Caterina Bueno
https://www.unadonnalgiorno.it/caterina-bueno/
Caterina Bueno, etnomusicologa e musicista che ha apportato un importante contributo alla nostra tradizione culturale, consentendo di recuperare molte canzoni popolari toscane e dell’Italia centrale, tramandate oralmente fino al ventesimo secolo.
Una ricerca che, fin dagli esordi, ha caratterizzato la sua attività di cantante, con esibizioni arricchite da esaustive presentazioni, rispettose delle fonti e finalizzate alla contestualizzazione dei canti. Repertorio e arrangiamenti mai piegati alle logiche commerciali.
Nacque a Fiesole, il 2 aprile 1943 da Julia Chamorel, scrittrice svizzera e Xavier Bueno, pittore spagnolo. Aveva imparato a suonare la chitarra da autodidatta e, da subito, iniziato la sua attività di ricerca che l’ha portata a raccogliere e registrare centinaia di canti popolari toscani.
Ha fatto parte del Nuovo Canzoniere Italiano e delle prime sperimentazioni del gruppo Nuova Resistenza i cui spettacoli erano mélange di canzoni e brani teatrali accompagnati da notizie di storia e di cronaca.
Nel 1964, al Festival dei Due Mondi di Spoleto, nello spettacolo Bella Ciao che ha debuttato ha cantato il brano che più di tutti l’ha resa celebre: Tutti mi dicon Maremma Maremma (Maremma amara), che, negli anni è stato ripreso da un gran numero di cantanti tra cui Amália Rodrigues, Gabriella Ferri, Rosa Jimenez e Gianna Nannini.
Allo stesso anno risale la sua prima incisione La brunettina – Canzoni, rispetti e stornelli toscani che ha dato l’avvio a una carriera fatta di spettacoli e tour internazionali nei maggiori folk festival.
Il suo album La veglia, del 1968, contiene il brano E cinquecento catenelle d’oro, omaggiato in seguito da Roberto Vecchioni e Francesco De Gregori.
È stata diretta da Dario Fo nello spettacolo Ci ragiono e canto in entrambe le edizioni.
Per la sua tournée del 1971, ha scritturato Francesco De Gregori che, all’epoca, era un giovane cantautore.
In quegli anni è stata protagonista coi suoi brani e la sua ricerca di varie trasmissioni radiofoniche e televisive, italiane e internazionali e tour in Europa.
Durante un’intervista radiofonica sulla Rai, nel 1977, Caterina Bueno ha dato, in diretta la notizia che si sarebbe tenuta una manifestazione pacifica contraria alla costruzione della centrale termonucleare di Montalto di Castro. Questo ha determinato la sua esclusione dalla Tv nazionale fino agli anni 2000.
Ha continuato a esibirsi in Svizzera e in Francia, mentre in Italia veniva ospitata essenzialmente in circuiti alternativi e underground. La sua musica è stata il mezzo per agire il suo impegno politico e ambientalistico.
È stata protagonista di vari documentari come Caterina raccattacanzoni del 1967, Il tempo e la memoria del 1980 e Toscana – L’ora che volge al desio, trasmesso dalla RAI nel 1983.
Resta famosa la sua esibizione, nel 1995 quando, in un concerto di raccolta fondi, si è esibita insieme a Francesco De Gregori, Giovanna Marini, Mimmo Locasciulli, Claudio Lolli e Paolo Pietrangeli nel canto anarchico Nostra patria è il mondo intero.
Nel 1997 ha pubblicato il CD Canti di Maremma e d’anarchia, distribuito come supplemento del settimanale Avvenimenti.
Nel 2001 è uscito il suo CD Canzoni paradossali e storie popolari di dolente attualità, arricchito da una dedica di Antonio Tabucchi.
Negli anni 2000 mentre si esibiva a teatro, è stata ospite delle Lezioni di indisciplina ovvero La morte del denaro e Pensiero e gesto nell’arte e nell’economia, moderate da Philippe Daverio, alla Sapienza di Roma e al Teatro Strehler di Milano.
Ha partecipato agli storici concerti Macchie di Rosso e Note di Rosso.
Nel 2005, ha ricevuto il riconoscimento Tradizioni ed oltre e suonato all’interno della Seconda Vetrina dell’Editoria Anarchica e Libertaria, si era impegnata a partecipare anche all’edizione successiva, ma i suoi compagni di viaggio hanno suonato anche per lei, che aveva lasciato la terra il 16 luglio 2007.
Nel 2006 il Comune di Firenze l’ha premiata col Fiorino d’oro, la massima onorificenza attribuita a personalità che rappresentano in maniera originale e significativa la cultura fiorentina e toscana in Italia e nel mondo e il Comune di San Marcello Pistoiese le ha conferito la cittadinanza onoraria.
Il suo ultimo concerto si è tenuto il primo settembre 2006 a San Giuliano Terme.
Caterina Bueno ha fatto la storia della musicale popolare italiana e ancora oggi viene ignorata dal grande pubblico.
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[L'altro Saba][Luca Baldoni]
L’altro Saba è uno studio monografico che ambisce ad aprire un nuovo capitolo nella ricezione dell’opera di Umberto Saba e del suo ruolo nel Novecento italiano ed europeo
L’altro Saba è uno studio monografico che ambisce ad aprire un nuovo capitolo nella ricezione dell’opera di Umberto Saba e del suo ruolo nel Novecento italiano ed europeo, mettendo in luce per la prima volta, anche sulla base della versione originaria di diverse raccolte e del materiale incluso nel cosiddetto “Canzoniere apocrifo”, la natura profondamente queer del Canzoniere. Lo studio ci rivela…
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#2023#Canzoniere#Canzoniere apocrifo#Franco Buffoni#Italia#L&039;altro Saba#L&039;omoerotismo nel Canzoniere#Le lettere#Luca Baldoni#poesia#queer#Saggi#Saggistica#Umberto Saba
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Bella Ciao - ORIGINALE
di Luigi Morrone
Gianpaolo Pansa: «Bella ciao. È una canzone che non è mai stata dei partigiani, come molti credono, però molto popolare». Giorgio Bocca: «Bella ciao … canzone della Resistenza e Giovinezza … canzone del ventennio fascista … Né l’una né l’altra nate dai partigiani o dai fascisti, l’una presa in prestito da un canto dalmata, l’altra dalla goliardia toscana e negli anni diventate gli inni ufficiali o di fatto dell’Italia antifascista e di quella del regime mussoliniano … Nei venti mesi della guerra partigiana non ho mai sentito cantare Bella ciao, è stata un’invenzione del Festival di Spoleto». La voce “ufficiale” e quella “revisionista” della storiografia divulgativa sulla Resistenza si trovano concordi nel riconoscere che “Bella ciao” non fu mai cantata dai partigiani. Ma qual è la verità? «Bella ciao» fu cantata durante la guerra civile? È un prodotto della letteratura della Resistenza o sulla Resistenza, secondo la distinzione a suo tempo operata da Mario Saccenti? In “Tre uomini in una barca: (per tacer del cane)” di Jerome K. Jerome c’è un gustoso episodio: durante una gita in barca, tre amici si fermano ad un bar, alle cui parete era appesa una teca con una bella trota che pareva imbalsamata. Ogni avventore che entra, racconta ai tre forestieri di aver pescato lui la trota, condendo con mille particolari il racconto della pesca. Alla fine dell’episodio, la teca cade e la trota va in mille pezzi. Era di gesso. Situazione più o meno simile leggendo le varie ricostruzioni della storia di quello che viene presentato come l’inno dei partigiani. Ogni “testimone oculare” ne racconta una diversa. Lo cantavano i partigiani della Val d’Ossola, anzi no, quelli delle Langhe, oppure no, quelli dell’Emilia, oppure no, quelli della Brigata Maiella. Fu presentata nel 1947 a Praga in occasione della rassegna “Canzoni Mondiali per la Gioventù e per la Pace”. E così via. Ed anche sulla storia dell’inno se ne presenta ogni volta una versione diversa. Negli anni 60 del secolo scorso, fu avvalorata l’ipotesi che si trattasse di un canto delle mondine di inizio XX secolo, a cui “I partigiani” avrebbero cambiato le parole. In effetti, una versione “mondina” di “Bella ciao” esiste, ma quella versione, come vedremo, fa parte dei racconti dei pescatori presunti della trota di Jerome. Andiamo con ordine. Già sulla melodia, se ne sentono di tutti i colori.È una melodia genovese, no, anzi, una villanella del 500, anzi no, una nenia veneta, anzi no, una canzone popolare dalmata … Tanto che Carlo Pestelli sostiene: «Bella ciao è una canzone gomitolo in cui si intrecciano molti fili di vario colore» Sul punto, l’unica certezza è che la traccia più antica di una incisione della melodia in questione è del 1919, in un 78 giri del fisarmonicista tzigano Mishka Ziganoff, intitolato “Klezmer-Yiddish swing music”. Il Kezmer è un genere musicale Yiddish in cui confluiscono vari elementi, tra cui la musica popolare slava, perciò l’ipotesi più probabile sull’origine della melodia sia proprio quella della canzone popolare dalmata, come pensa Bocca. Vediamo, invece, il testo “partigiano”. Quando comparve la prima volta? Qui s’innestano i racconti “orali” che richiamano alla mente la trota di Jerome. Ognuno la racconta a modo suo. La voce “Bella ciao” su Wikipedia contiene una lunga interlocuzione in cui si racconta di una “scoperta” documentale nell’archivio storico del Canzoniere della Lame che proverebbe la circolazione della canzone tra i partigiani fra l’Appennino Bolognese e l’Appennino Modenese, ma i supervisori dell’enciclopedia online sono stati costretti a sottolineare il passo perché privo di fonte. Non è privo di fonte, è semplicemente falso: nell’archivio citato da Wikipedia non vi è alcuna traccia documentale di “Bella ciao” quale canto partigiano. Al fine di colmare la lacuna dell’assenza di prove documentali, per retrodatare l’apparizione della canzone partigiana, molti richiamano la “tradizione orale”, che – però – specie se di anni posteriore ai fatti, è la più fallace che possa esistere. Se si va sul Loch Ness, c’è ancora qualcuno che giura di aver visto il “mostro” passeggiare sul lago …Viceversa, non vi è alcuna fonte documentale che attesti che “Bella ciao” sia stata mai cantata dai partigiani durante la guerra. Anzi, vi sono indizi gravi, precisi e concordanti che portano ad escludere tale ipotesi. Tra i partigiani circolavano fogli con i testi delle canzoni da cantare, ed in nessuno di questi fogli è contenuto il testo di Bella ciao. Si è sostenuto che il canto fosse stato adottato da alcune brigate e che fosse addirittura l’inno della Brigata Maiella. Sta di fatto che nel libro autobiografico di Nicola Troilo, figlio di Ettore, fondatore della brigata, c’è spazio anche per le canzoni che venivano cantate, ma nessun cenno a Bella ciao, tanto meno sella sua eventuale adozione come “inno”. Anzi, dal diario di Donato Ricchiuti, componente della Brigata Maiella caduto in guerra il 1° aprile 1944, si apprende che fu proprio lui a comporre l’inno della Brigata: “Inno della lince”. Mancano – dunque – documenti coevi, ma neanche negli anni dell’immediato dopoguerra si ha traccia di questo canto “partigiano”. Non vi è traccia di Bella ciao in Canta Partigiano edito dalla Panfilo nel 1945. Né conosce Bella ciao la rivista Folklore che nel 1946 dedica ai canti partigiani due numeri, curati da Giulio Mele. Non c’è Bella ciao nelle varie edizioni del Canzoniere Italiano di Pasolini, che pure contiene una sezione dedicata ai canti partigiani. Nella agiografia della guerra partigiana di Roberto Battaglia, edita nel 1953, vi è ampio spazio al canto partigiano. Non vi è traccia di “Bella ciao”. Neanche nella successiva edizione del 1964, Battaglia, pur ampliando lo spazio dedicato al canto partigiano ed introducendo una corposa bibliografia in merito, fa alcuna menzione di “Bella ciao”. Eppure, il canto era stato già pubblicato. È infatti del 1953 la prima presentazione Bella ciao, sulla Rivista “La Lapa” a cura di Alberto Mario Cirese. Si dovrà aspettare il 1955 perché il canto venga inserito in una raccolta: Canzoni partigiane e democratiche, a cura della commissione giovanile del PSI. Viene poi inserita dall’Unità il 25 aprile 1957 in una breve raccolta di canti partigiani e ripresa lo stesso anno da Canti della Libertà, supplemento al volumetto Patria Indifferente, distribuito ai partecipanti al primo raduno nazionale dei partigiani a Roma. Nel 1960, la Collana del Gallo Grande delle edizioni dell’Avanti, pubblica una vasta antologia di canti partigiani. Il canto viene presentato con il titolo O Bella ciao a p. 148, citando come fonte la raccolta del 1955 dei giovani socialisti di cui si è detto e viene presentata come derivata da un’aria “celebre” della Grande Guerra, che “Durante la Resistenza raggiunse, in poco tempo, grande diffusione”. Nonostante questa enfasi, non c’è Bella ciao nella raccolta di Canti Politici edita da Editori Riuniti nel 1962, in cui sono contenuti ben 62 canti partigiani. Sulla presentazione di Bella ciao nel 1947 a Praga in occasione della rassegna “Canzoni Mondiali per la Gioventù e per la Pace” non vi sono elementi concreti a sostegno. Carlo Pestelli racconta: «A Praga, nel 1947, durante il primo Festival mondiale della gioventù e degli studenti, un gruppo di ex combattenti provenienti dall’Emilia diffuse con successo Bella ciao. In quell’occasione, migliaia di delegati provenienti da settanta Paesi si riunirono nella capitale ceca e alcuni testimoni hanno raccontato che, grazie al battimani corale, Bella ciao s’impose al centro dell’attenzione», omettendo – però – di citare la fonte, onde non si sa da dove tragga la notizia. Sta di fatto, che nei resoconti dell’epoca non si rinviene nulla di tutto ciò: L’Unità dedica alla rassegna l’apertura del 26 luglio 1947, con il titolo “La Capitale della gioventù”. Nessun accenno alla presentazione del canto. Come si è detto, sul piano documentale, non si ha “traccia” di Bella ciao prima del 1953, momento in cui risulta comunque piuttosto diffusa, visto che da un servizio di Riccardo Longone apparso nella terza pagina dell’Unità del 29 aprile 1953, apprendiamo che all’epoca la canzone è conosciuta in Cina ed in Corea. La incide anche Yves Montand, ma la fortuna arriderà più tardi a questa canzone oggi conosciuta come inno partigiano per antonomasia. Come dice Bocca, sarà il Festival di Spoleto a consacrarla. Nel 1964, il Nuovo Canzoniere Italiano la presenta al Festival dei Due Mondi come canto partigiano all’interno dello spettacolo omonimo e presenta Giovanna Daffini, una musicista ex mondina, che canta una versione di “Bella ciao” che descrive una giornata di lavoro delle mondine, sostenendo che è quella la versione “originale” del canto, cui durante la resistenza sarebbero state cambiate le parole adattandole alla lotta partigiana. Le due versioni del canto aprono e chiudono lo spettacolo. La Daffini aveva presentato la versione “mondina” di Bella ciao nel 1962 a Gianni Bosio e Roberto Leydi, dichiarando di averla sentita dalle mondine emiliane che andavano a lavorare nel vercellese, ed il Nuovo Canzoniere Italiano aveva dato credito a questa versione dei fatti. Sennonché, nel maggio 1965, un tale Vasco Scansiani scrive una lettera all’Unità in cui rivendica la paternità delle parole cantate dalla Daffini, sostenendo di avere scritto lui la versione “mondina” del canto e di averlo consegnato alla Daffini (sua concittadina di Gualtieri) nel 1951. L’Unità, pressata da Gianni Bosio, non pubblica quella lettera, ma si hanno notizie di un “confronto” tra la Daffini e Scansiani in cui la ex mondina avrebbe ammesso di aver ricevuto i versi dal concittadino. Da questo intreccio, parrebbe che la versione “partigiana” avrebbe preceduto quella “mondina”. Nel 1974, salta fuori un altro presunto autore del canto, un ex carabiniere toscano, Rinaldo Salvatori, che in una lettera alle edizioni del Gallo, racconta di averla scritta per una mondina negli anni 30, ma di non averla potuta depositare alla SIAE perché diffidato dalla censura fascista. La contraddittorietà delle testimonianze, l’assenza di fonti documentali prima del 1953, rendono davvero improbabile che il canto fosse intonato durante la guerra civile.Cesare Bermani sostiene che il canto fosse “poco diffuso” durante la Resistenza, onde, rifacendosi ad Hosmawm, assume che nell’immaginario collettivo “Bella ciao” sia diventata l’inno della Resistenza mediante l’invenzione di una tradizione. Sta di fatto che lo stesso Bermani, oltre ad avvalorare l’inattendibile ipotesi che fosse l’inno della Brigata Maiella, da un lato, riconosce che, prima del successo dello spettacolo al Festival di Spoleto «si riteneva, non avendo avuto questo canto una particolare diffusione al Nord durante la Resistenza, che fosse sorto nell’immediato dopoguerra», dall’altro, però, raccoglie svariate testimonianze che attesterebbero una sua larga diffusione durante la guerra civile, smentendo di fatto sé stesso. Il problema è che le testimonianze a cui fa riferimento Bermani per avvalorare l’ipotesi di una diffusione, sia pur “scarsa”, di “Bella ciao” durante la guerra civile, sono contraddittorie e raccolte a distanza di svariati anni dalla fine di essa (la prima è del 1964 …), con una conseguente scarsa attendibilità. Dunque, se di invenzione di una tradizione si tratta, è inventata la sua origine in tempo di guerra. Ritornando al punto di partenza, come sostengono Bocca e Panza, “Bella ciao” non fu mai cantata dai partigiani. Ma il mito di “Bella ciao” come “canto partigiano” è così radicato, da far accompagnare il funerale di Giorgio Bocca proprio con quel canto che egli stesso diceva di non aver mai cantato né sentito cantare durante la lotta partigiana. Perché “Bella ciao”, nonostante tutto, è diventata il simbolo della Resistenza, superando sin da subito i confini nazionali? Perché ha attecchito questa “invenzione della tradizione”? Qualcuno ha sostenuto che il successo di “Bella ciao” deriverebbe dal fatto che non è “targata”, come potrebbe essere “Fischia il vento”, il cui rosso “Sol dell’Avvenir” rende il canto di chiara marca comunista. “Bella ciao”, invece, abbraccerebbe tutte le “facce” della Resistenza (Guerra patriottica di liberazione dall’esercito tedesco invasore; guerra civile contro la dittatura fascista; guerra di classe per l’emancipazione sociale), come individuate da Claudio Pavone. Ma, probabilmente, ha ragione Gianpaolo Pansa: «(Bella ciao) viene esibita di continuo ogni 25 aprile. Anche a me piace, con quel motivo musicale agile e allegro, che invita a cantarla». Il successo di “Bella ciao” come “inno” di una guerra durante la quale non fu mai cantata, plausibilmente, deriva dalla orecchiabilità del motivo, dalla facilità di memorizzazione del testo, dalla “trovata” del Nuovo Canzoniere di introdurre il battimani. Insomma, dalla sua immediata fruibilità.
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Al Teatro Golden di Roma Morgan aprirà la rassegna A tu per tu con...
Al Teatro Golden Morgan aprirà la rassegna A TU PER TU CON… il 23 e 24 marzo con un doppio spettacolo a sorpresa! Ad anticipare la sua performance al pianoforte ci sarà il cantautore romano Davide Valeri. Morgan, all’anagrafe Marco Castoldi, musicista, cantautore e interprete, nasce a Milano il 23 dicembre del 1972 da Mario e Luciana e vive a Muggiò fino al 1987. A sei anni comincia a suonare la chitarra, ad otto il pianoforte, appassionandosi alla musica classica. Frequenta quattro anni di liceo classico e termina gli studi liceali passando al liceo scientifico sperimentale. Nel 1984, influenzato dalle correnti musicali dell’epoca, come la New Wave, il New Romantic e il Synth pop, riesce finalmente a convincere i genitori ad acquistargli il suo primo sintetizzatore, un Korg-Poly 800. Comincia così il suo percorso musicale: nel 1986, sotto lo pseudonimo di Markooper, compone e arrangia canzoni che racchiude in due piccoli lavori dai titoli: “Prototype” e “Dandy bird & Mr contraddiction”. Nello stesso anno inizia il suo sodalizio artistico con Andrea Fumagalli, con il quale fonda i Golden Age. Nel 1989 esce il loro primo lavoro: Chains, seguito dal discreto successo del primo videoclip realizzato per il singolo Secret Love. Nel 1991, insieme a Sergio Carnevale e Marco Pancaldi, poi sostituito da Livio Magnini, i due inseparabili compagni d’avventura Morgan ed Andy fondano i Bluvertigo. Nel 1994 Morgan (basso e voce), Andy (tastiere), Pancaldi (chitarre) e Sergio (batteria) pubblicano il loro primo singolo Iodio. Partecipano a Sanremo Giovani, ottenendo consensi dalla critica e piazzandosi al terzo posto fra i gruppi musicali. Nel 1995 il gruppo pubblica il primo album Acidi e basi, seguito da Metallo non metallo (1997), che porterà la band alla vittoria all’MTV Europe Music Awards come miglior gruppo italiano, e alla vendita di 400.000 dischi. Nel frattempo Morgan produce gli album Playback dei Soerba e L’eroe romantico de La sintesi. Nel 1999 i Bluvertigo pubblicano l’album Zero, che chiude la cosiddetta trilogia chimica. I tredici brani che compongono Zero verranno pubblicati dalla Bompiani in una raccolta poetica dello stesso Morgan con il titolo Dissoluzione. Al libro è allegato un CD contenente Canone inverso, esperimento dei Bluvertigo e dei poeti Alda Merini, Manlio Sgalambro, Enrico Ghezzi e Murray Lachlan Young. Nel 2001 i Bluvertigo pubblicano Pop Tools, una raccolta dei maggiori successi della band, contenente due brani inediti, tra cui L’assenzio, brano con il quale la band, nello stesso anno, partecipa al Festival di Sanremo, classificandosi all’ultimo posto. Nel 2003 Morgan esordisce come solista con l’album Canzoni dell’appartamento, che vince la targa Tenco come Migliore Opera Prima dell’anno. L’anno successivo Morgan compone la colonna sonora di due film: Ingannevole è il cuore più di ogni cosa, diretto dalla compagna Asia Argento, e Il siero della vanità di Alex Infascelli. In quest’ ultimo film e in Perduto amor, per la regia di Franco Battiato, comparirà anche come attore. Nel settembre 2003 vince a Crotone il Cilindro d’Argento, nell’ambito del Festival “Una casa per Rino”, dedicato a Rino Gaetano. Nel 2005 pubblica il remake dell’album “Non al denaro, non all’amore né al cielo”, inciso nel 1971 da Fabrizio De André ed ispirato all’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters. Con quest’album Morgan conquista il suo secondo Premio Tenco, stavolta come miglior interprete. Sempre nel 2005 collabora con Edoardo Bennato al disco “La fantastica storia del Pifferaio Magico” cimentandosi nel brano “Lo show finisce qua”. Cura le parti musicali del suo nuovo programma su Rai 2 dal titolo “Il Tornasole”. L’anno successivo compone la colonna sonora del film “Il Quarto Sesso” di Marco Costa. Nel 2006 interpreta Milan nel film “Transylvania” di Tony Gatlif. Nel 2007 esce il singolo “Tra 5 minuti”, che anticipa l’ album di inediti “Da A ad A” . Nel 2008 i Bluvertigo annunciano la loro reunion con un nuovo tour e con la pubblicazione dell’album live MTV Storytellers. Nello stesso anno Morgan pubblica l’album “È successo a Morgan”, una raccolta contenente brani tratti dai suoi album da solista, quattro cover di Fabrizio De André e tre inediti: le cover di “Il nostro concerto” di Umberto Bindi, “L’oceano di silenzio” di Franco Battiato e “23 roses”, canzone in inglese inserita come bonus-track nella versione digitale di “Da A ad A”. Nello stesso anno, insieme a Mauro Garofalo scrive il libro “In pArte Morgan”. A partire dal 2008 partecipa a tre edizioni del programma televisivo X Factor. Nel 2009 pubblica il canzoniere “Italian Songbook vol.1”, in cui reinterpreta brani di Piero Ciampi, Sergio Endrigo, Domenico Modugno, Umberto Bindi ed altri. Del 2010 è “Morganicomio”, contenente il brano inedito “La sera”. MorganSempre nel 2010 Morgan conduce il programma dedicato alla musica “Invece no” su Deejay Tv. E’ ospite nel disco “Edoardo Bennato – Mtv Classic Storytellers” nella canzone “Perchè”. Nel 2011 Morgan presta la sua voce come narratore del docu-film di Tom Di Cillo “When you’re Strange” ispirato a Jim Morrison. A ottobre 2011 sarà di nuovo giudice di X Factor su Sky, con Simona Ventura, Elio ed Arisa. Durante la finale si esibisce con Asia Arento in “Indifference”, brano con testo di Asia e musica di Morgan, ispirato a “Gli Indifferenti” di Moravia. Successivamente Morgan pubblica l’album “Italian Songbook vol.2” uscito il 24 gennaio 2012, in cui reinterpreta, sull’onda del progetto iniziato nel 2009, cantautori come Domenico Modugno, Piero Ciampi, Pino Donaggio, I Gufi, Roberto De Simone, Charles Aznavour, Rodolfo De Angelis, Sergio Endrigo, Luigi Tenco e Giorgio Gaber. Il primo singolo estratto dall’album è “Marianne” (di Sergio Endrigo). L’album contiene inoltre due inediti di Morgan: la strumentale “Desolazione” e “Una nuova canzone”. A ottobre 2012 sarà nuovamente giudice di X Factor su Sky nella sesta edizione, arrivando in finale con due cantanti: la vincitrice Chiara Galliazzo e ICS, dei quali produce rispettivamente i singoli “Over the rainbow” e “Autostima di prima mattina”. Morgan esordisce come regista teatrale con l’opera lirica “Il Matrimonio Segreto”, opera in due atti con libretto di Giovanni Bertati e musica di Domenico Cimarosa, prodotta dalla Fondazione del Teatro Coccia di Novara. La prima dell’opera, durante la quale Morgan è anche apparso in un piccolo cameo, si è tenuta presso il Teatro Coccia il 5 Ottobre 2012. Nel 2013 collabora con Asia Argento per il suo disco “Total Entropy” uscito il 29 Maggio in Francia e successivamente in Italia, contenente quattro inediti con Morgan: “CheeseAndEggs”, “Sexodrome”, “Indifference” e “Liebestod”. Nell’autunno del 2013 torna ancora come giudice ad X Factor, vincendo per la quinta volta, stavolta con il cantante Michele Bravi, ed entrando nel Guinness dei primati come giudice che ha vinto più edizioni del programma a livello mondiale. Durante la semifinale del programma, Morgan presenta il suo nuovo inedito “Spirito e Virtù”, attualmente in vendita negli store digitali. Nel dicembre 2014 pubblica il suo libro autobiografico “Io, l’amore, la musica, gli stronzi e Dio”. Torna al Festival di Sanremo 2016 con i Bluvertigoi con il brano “Semplicemente”. La band viene eliminata prima della finale. Dal 2 aprile 2016 Morgan veste il ruolo di giudice al serale della quindicesima edizione di Amici, il Talent show di Maria De Filippi. Torna ad Amici l’anno seguente, dove questa volta è protagonista di una polemica che ha grande eco mediatica. Morgan per sole quattro puntate veste il ruolo di direttore artistico al serale di Amici: al termine di ripetuti dissapori con la produzione e con gli stessi ragazzi della squadra bianca, Maria De Filippi annuncia tramite comunicato stampa la sua esclusione dal programma. https://www.inartemorgan.it ********** Opening act Davide Valeri è un giovane cantautore che compone canzoni in stile pop-cantautorale parlando d’amore e tematiche sociali con un linguaggio profondo e mai banale. Studia pianoforte e chitarra al Saint Louis College of Music e segue diverse Masterclass di canto e composizione con artisti del calibro di Grazia Di Michele, Bungaro, e del M° Enzo Campagnoli. Si esibisce in duo con Grazia Di Michele nel 2017 durante il “Garrison’s Game”, concorso artistico diretto da Garrison Rochelle cui partecipa come giurato. Nel 2018 si esibisce in un concerto all’Auditorium di Roma Parco della Musica e partecipa ad “Area Sanremo” arrivando in finalissima. Muove i suoi passi nell’ambiente musicale con passione e dedizione, consapevole di essere sempre all’inizio.
Per prenotazioni: tel e whatsapp +39 06 70493826 – e mail [email protected] I biglietti possono essere acquistati presso il botteghino del teatro Golden aperto tutti i giorni dalle 11.00 alle 19.00 e su ticketone www.teatrogolden.it
PROSSIMI APPUNTAMENTI
29 marzo ore 21 MIMMO CAVALLO L’INCANTAUTORE Egidio Maggio chitarre, Marcello Ingrosso tastiere, Annamaria Lecce cori Opening Act Mauro Pandolfo
30 marzo ore 21 31 marzo ore 17 CARLO MARRALE SFUMATURE DI ME. LA STORIA DEI MATIA BAZAR Marco Dirani basso, Tommy Graziani batteria, Michele “Mecco” Guidi pianoforte Opening Act Francesco Rainero
1 aprile ore 21 2 aprile ore 21 SYRIA OMAGGIO A GABRIELLA FERRI. Pino Strabioli intervista Syria con PINO STRABIOLI Massimo Germini chitarra Opening Act Claudia Megrè
3 aprile ore 21 4 aprile ore 21 BUNGARO MAREDENTRO Antonio Fresa pianoforte, Antonio De Luise contrabbasso, Marco Pacassoni vibrafono/batteria/percussioni, BUNGARO chitarre Opening Act Ida Scarlato
5 aprile ore 21 6 aprile ore 21 MARIELLA NAVA EPOCA Sasà Calabrese contrabbasso, Roberto Guarino chitarre, Salvatore Cauteruccio fisarmonica, Tato Illiano batteria Opening Act Eleonora Betti
7 aprile ore 17 8 aprile ore 21 GRAZIA DI MICHELE SANTE BAMBOLE E PUTTANE Fabiano Lelli chitarra, Andy Bartolucci batteria, Marco Siniscalco basso, Paolo Luric pianoforte Opening Act Giulia Pratelli
10 aprile ore 21 11 aprile ore 21 ALBERTO FORTIS ROMA I LOVE YOU Concerto per voce e piano Opening Act Federico D’Annunzio
12 aprile – Ore 21 13 aprile – Ore 21 ROSSANA CASALE JAZZ (TRENT��ANNI DA BRIVIDI) ACUSTICA Emiliano Begni pianoforte, Ermanno Dodaro contrabbasso, Francesco Consaga sax Soprano e flauto traverso, Gino Cardamone chitarra jazz Opening Act Valeria Crescenzi
14 aprile – Ore 17 MAX MAGLIONE NOI DUO con Giulia Maglione Giorgio Amendolara tastiere, Francesco Calogiuri batteria, Ferruccio Corsi sax Stefano Scoarughi basso, Stefano Zaccagnini chitarra
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Il lavoro: le nostre radici, il nostro futuro
Questo il motto di quest'anno del Concertone del Primo Maggio che, come da tradizione, si è tenuto ieri in Piazza San Giovanni in Laterano, organizzato dai tre sindacati confederati: CGIL, CISL e UIL. Una vera e propria maratona musicale che dal 1990 tiene compagnia agli italiani dalle 15 del pomeriggio fino a tarda notte della Festa dei Lavoratori. E proprio gli organizzatori Massimo Bonelli e Carlo Gavaudan hanno dichiarato:
«Quest’anno abbiamo voluto dare al palco del Primo Maggio quell’impronta di contemporaneità che l’ha contraddistinto nelle sue prime edizioni, provando così a rappresentare al meglio l’attuale momento musicale italiano».
Ecco, infatti, che la line up dell’edizione 2017 del Concertone ha visto sul palco, tra gli altri:
Brunori Sas, al secolo Dario Brunori, cantautore quarantenne della provincia cosentina. Nel 2003 il suo esordio musicale nel collettivo Minuta, nel 2005 fonda con Matteo Zanobini e Francesca Storai la dream-pop band Blume, con grande consenso della scena musciale indipendente che lo premia nel 2006 in occasione del MEI (Meeting Etichette Indipendenti). E' però nel 2009 che si affaccia al cantautorato italiano col nome di Brunori Sas. Pubblica così il suo album d'esordio “Vol.1”: un vero e proprio canzoniere italiano, fatto di sonorità retrò e immaginario anni 90. Diverso da “Vol. 2: Poveri cristi” (2011) in cui il racconto autobiografico lascia spazio alle storie di vita altrui. Nel 2014 Brunori chiude il cerchio con “Vol. 3 – Il Cammino Di Santiago In Taxi” che vi invitiamo a prendere in prestito in biblioteca. Ascoltiamo invece il suo ultimo successo, trasmesso da tutte le maggiori radio italiane in questi giorni, e primo singolo del nuovo album A casa tutto bene (2017).
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Levante (Claudia Lagona) nata nel 1987 a Caltagirone, è bella, canta da quando era bambina, suona la chitarra, disegna e ha attirato l'attenzione del grande pubblico con il ritornello, quasi un urlo, "che vita di merda"del suo primo singolo Alfonso, tratto da Manuale distruzione, diventato il tormentone dell'estate 2014.
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Max Gazzè l'ha ascoltata e ha deciso farle aprire il suo tour. Fiorello l'ha invitata all'edicola a cantare con chitarra e voce. Nel 2015 arriva Abbi cura di te e da pochi mesi è uscito il terzo capolavoro dell'artista siciliana, Nel caos di stanze stupefacenti, ideale successore di Abbi cura di te, questo album vede la presenza di Antonio Filippelli al banco di regia e nuove sonorità più elettroniche e ritmate.
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Vasco Brondi, alias Le Luci della Centrale Elettrica, è un giovane artista con la capacità di far discutere molto. All'uscita del secondo disco Per ora noi la chiameremo felicità (2010), criticato di essere troppo simile al debutto Canzoni da spiaggia deturpata (2008). O, viceversa, perché il terzo album Costellazioni (2014), che invece ha una svolta stilistica, ha scontentato alcuni fan della prima ora. Ma Vasco Brondi, ha dimostrato di non curarsene troppo e andare dritto per la sua strada: dischi (quest'anno è uscito il suo ultimo progetto Terra), libri (Anime galleggianti, Nave di Teseo 2016), graphic novel (Come strisce che lasciano gli aerei, Coconino 2012) e ora anche la nomination ai David di Donatello per L'estate addosso, brano che prende il titolo dal film di Muccino di cui ha scritto il testo insieme a Lorenzo Jovanotti Cherubini.
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E poi ancora, Ex-Otago, Ermal Meta, Fabrizio Moro, Lo Stato Sociale, Samuel, Rocco Hunt, Motta, Gabbani e molti altri, fino agli ospiti internazionali come Editors, Public Service Broadcasting e Bombino. Ma c'è anche chi, con la sua solita ironia sul concertone del primo maggio prova a riderci su, pur nell'assoluto rispetto di una festa così importante.
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Domani esce "Inverna" di Cristina Meschia: un disco tra folk e jazz ispirato dallo studio di Nanni Svampa e del Nuovo Canzoniere Italiano che racchiude canti della tradizione lombarda.
All’interno del disco: “E l’era tardi” di Enzo Jannacci, canti di lavoro (“Bella Ciao delle mondine” e “Povre Filandere”) canzoni d’amore (“Bèll usellìn del bosch” e “Oh Mamma la mè mamma il muratore”), canti d’osteria (“De tant piscinìn che l’era” di Enrico Molashi), la nostalgica ballata “Gh’è anmò on quaivun” di Nanni Svampa.
Domani esce “Inverna”(distribuzione IRD), nuovo progetto…
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Niccolò Fabi in concerto a Loano
A Loano, NICCOLÒ FABI sarà il protagonista della ricca stagione di eventi musicali della rassegna DREAMS FESTIVAL, promossa dall’Assessorato al Turismo, Cultura e Sport del Comune di Loano e curata da Dimensione Eventi, con la direzione artistica di Ivan Fabio Perna. Giovedì 17 agosto, alle ore 21.30, farà tappa nell’Arena Estiva Giardino del Principe, “Diventi Inventi 1997 – 2017”, il tour con il quale Nicolò Fabi festeggia i suoi 20 anni di carriera. “Diventi Inventi 1997 – 2017” non è solo un tour, ma è anche una raccolta musicale che racchiude 20 anni di canzoni. Un anello di congiunzione tra passato e presente, ricco di grandissime sorprese, che muove i suoi primi passi partendo proprio dal principio: la rilettura de “Il Giardiniere”, singolo pubblicato da Niccolò Fabi nel 1997 ed estratto dal suo omonimo primo disco. Così Niccolò Fabi commenta sui suoi social: “[…] Pur sfuggendo per quanto posso alla dittatura moderna dei numeri volevo avvertirvi che sto per capitolare di fronte ai festeggiamenti per il ventennale. Dopo quindici anni di canzoni private il mio primo disco "Il giardiniere" veniva pubblicato nel 1997, venti anni fa per l'appunto. Ho sempre dribblato come potevo appendimenti di medaglie et similaria perchè li ho sempre masochisticamente considerati un ostacolo al miglioramento. Ma da uomo oramai di mezza età sto imparando ad abbandonarmi al godimento. E quindi che festa sia. […] Ci sarà quindi un tour estivo che si concluderà a novembre in un festone nella mia città. Il luogo è sicuramente roboante e sovradimensionato per me: il PalaLottomatica, ma come romano volente o nolente è il posto simbolo di tutti i concerti più importanti a cui ho assistito nella mia vita. Diventi Inventi è anche il racconto di quello che un musico può diventare continuando a inventare per vent’anni, il tentativo ostinato di cercare di piacersi. Dopo l'estate uscirà dunque una qualche forma di contenitore con al suo interno il mio "canzoniere”. Una raccolta inevitabilmente un po' antologica ma mi auguro sfiziosa di ciò che il cantautore Fabi e la sua creatività riuscirono a fare a cavallo tra il secondo e il terzo millennio […]”. Più di 80 canzoni, 8 dischi di inediti, 1 raccolta ufficiale, 1 progetto sperimentale come produttore, 1 disco di inediti con la super band FabiSilvestriGazzè, 2 Targhe Tenco per “Miglior Disco in Assoluto” (vinte per i suoi ultimi due album) Niccolò Fabi è oggi considerato uno dei più importanti cantautori italiani. Tanta musica nel percorso del cantautore, tanta sperimentazione e un avvicinamento sempre più evidente alla musica d'oltreoceano. È un percorso artistico incentrato sulla ricerca della libertà espressiva quello che in questi anni ha inseguito il cantautore romano e ne è dimostrazione il più recente “Una somma di piccole cose”, che da lui stesso è stato definito il disco che avrebbe sempre voluto scrivere.
Cantautore, produttore e polistrumentista Niccolò Fabi negli anni ha continuato a lavorare sul rapporto tra parole e musica sia in termini performativi con appuntamenti all’interno di rassegne culturali che in chiave formativa, è attualmente docente all’interno della scuola Officina delle arti Pierpaolo Pasolini. Impegnato nel sociale, il cantautore continua attivamente la collaborazione con l’ONG Medici con l’Africa – Cuamm e recentemente ha scritto insieme al geologo Mario Tozzi lo spettacolo “Musica Sostenibile”, indirizzato alla comprensione e alla divulgazione di tematiche ambientali, spesso dimenticate. Biglietti in vendita: - il circuito Ticket One (on-line su www.ticketone.it ed in tutti i punti vendita affiliati) - il circuito viva ticket (on-line su www.vivaticket,it ed in tutti i punti vendita affiliati) - Lollipop in Via Garibaldi 64 (aperto tutti i giorni dalle 9.30 alle 12.30 e dalle 16 alle 19.30; d’estate anche in orario 21-23); tel. 019/675488 oppure 339/3265115 - Lollipop Dischi, Via Garibaldi 64 Loano Tel. 019675488 – Cell. 3393265115 - Edicola Angolo di Mare, Via Roma 70/71 Alassio Tel. 0182/641303 - Rivendita 19 di Vignola Paolo tabaccheria, Via Alcide de Gasperi, 1 Albenga Tel. 0182/020030 - Agenzia Viaggi Prattours, Via S. Pietro, 13, 17011, Albisola Superiore Tel. 019/482399 - Tabaccheria Nesti, Via Camillo Benso Cavour, 25/R Savona Tel. 019/802714 - Agenzia Viaggi Prattours, Via Fratelli Cairoli, 38 Varazze Tel. 019/934848
Per maggiori informazioni sullo spettacolo è possibile contattare l’organizzatore del “Dreams Festival” presso il Giardino del Principe DIMENSIONE EVENTI al numero 011/2632323 (dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 19). BIOGRAFIA Niccolò Fabi muove i suoi primi passi all’interno del fervido ambiente musicale di inizio Novanta, insieme a tanti musicisti romani tra cui Daniele Silvestri, Max Gazzè, Federico Zampaglione, Riccardo Sinigallia. Nel 1997, con Capelli, vince il Premio della Critica nelle Nuove Proposte al Festival di Sanremo. Dello stesso anno è il disco d’esordio, Il giardiniere.
Nel 1998 presenta, sempre a Sanremo, Lasciarsi un giorno a Roma, che farà parte del secondo album, Niccolò Fabi, all’interno del quale si trovano anche Vento d’ estate, in coppia con Max Gazzè e Immobile assieme a Frankie HI-NRG. Il terzo lavoro, Sereno ad Ovest, del 2000, sostenuto dal singolo Se fossi Marco, precede una raccolta dei suoi pezzi più celebri, cantati in lingua spagnola per il mercato estero. La cura del tempo è del 2003, fra gli ospiti Fiorella Mannoia, che canta in Offeso e Stefano Di Battista ne Il negozio d’antiquariato. Canzoni come È non è, sottolineano una vena compositiva sempre più sfaccettata e il processo graduale di distacco dalle melodie più pop. Il 2006 è l’anno di Novo Mesto, registrato nella omonima cittadina Slovena, che contiene brani come Costruire e Oriente. Costruire, nello specifico, è diventata negli anni uno dei suoi brani più identificativi e più amati. A dieci anni dall’esordio è il momento della prima raccolta, Dischi volanti 1996-2006 che contiene l’inedito Milioni di giorni. Del 2007 è la produzione del documentario Live in Sudan, racconto di un viaggio e di un concerto di beneficenza effettuato nel paese africano. Nello stesso anno è ideatore e produttore del progetto Violenza 124, insieme a Mokadelic, Olivia Salvadori & Sandro Mussida, Boosta, Roberto Angelini, il GnuQuartet e la Artale Afro Percussion Band. La collaborazione con i Mokadelic sfocia nella scrittura e nella realizzazione della colonna sonora del film di Gabriele Salvatores Come dio comanda tratto dall’omonimo libro di Niccolò Ammaniti. È il preludio a un nuovo disco, Solo un uomo, pubblicato nel maggio 2009, cui è seguito il tour omonimo che ha registrato oltre cinquanta date. Sempre nel 2009 realizza con l’ong Medici con l’Africa CUAMM il documentario Parole che fanno bene, sulla loro attività sanitaria in Uganda, che verrà proiettato nelle facoltà universitarie delle città toccate dal lungo tour di Solo un uomo. Il 30 agosto 2010, organizza al Casale sul Treja, a Mazzano Romano, Parole di Lulù, la festa di compleanno per la figlia Olivia, scomparsa a seguito di una forma acuta di meningite. La giornata, inizialmente pensata per un piccolo gruppo di amici, col passare delle settimane è diventato un grande concerto a cui hanno preso parte oltre cinquanta musicisti e circa ventimila persone. Durante le dodici ore del concerto, attraverso offerte libere e l’acquisto di magliette, vengono raccolti i fondi a favore di Medici con l’Africa CUAMM per la costruzione del reparto pediatrico dell’ospedale di Chiulo in Angola. A novembre 2010 viene pubblicato il singolo Parole parole cantata da Niccolò Fabi con Mina. I proventi dalla vendita della canzone sono ugualmente devoluti per l’ospedale di Chiulo, la cui Ala Pediatrica sarà inaugurata il 4 giugno 2011. Aprile, Maggio e Giugno 2011 sono i mesi del SoloTour, un’esperienza nuova che porta Niccolò nei teatri di tutta Italia con uno spettacolo durante il quale, per la prima volta nella sua carriera, è stato unico interprete ed esecutore. Collabora con l’amico Daniele Silvestri al brano Sornione contenuto nel disco S.C.OT.C.H. L’anno si chiude con una nuova collaborazione cinematografica, scrive infatti con I Mokadelic Il Silenzio, brano originale inserito all’interno della colonna sonora di Pulce non c’è, opera prima del regista Giuseppe Bonito, tratta dall’omonimo libro di Gaia Rayneri, pubblicato per Einaudi. Il 2012 inizia all’insegna della creatività e Niccolò si dedica completamente alla scrittura di Ecco, settimo disco della sua carriera, che verrà pubblicato il 9 ottobre 2012. Il disco è stato anticipato dal brano Una buona idea, che il 4 settembre è stato presentato al pubblico, direttamente dal canale youtube di Niccolò, in un’esclusiva versione live, registrata presso Angelo Mai Altrove di Roma. Ecco è un disco che da subito riceve riscontri positivi sia dalla critica che dal pubblico. Conquista il primo posto nella classifica di I-tunes e il 3 posto nella classifica generale FIMI. Il 2013 vede Niccolò impegnato in un lungo tour che raccoglierà sold out in tutti i migliori teatri Italiani e con più di 30 tappe estive nelle migliori location italiane. Un anno molto importante che si conclude con l’assegnazione della Targa Tenco come miglior disco in assoluto e con il Capodanno Romano presso il Circo Massimo. Nel 2014 inizia la collaborazione con Daniele Silvstri e Max Gazzè per il progetto Fabi Silvestri Gazzè che lo vedrà pubblicare un disco Il Padrone della Festa (Sony/Universal) e un cofanetto contenente CD Live, DVD Live e contenuti extra, Il Padrone della Festa Live (Universal/Sony). Settembre 2014 lo vede impegnato in un tour europeo che tocca Londra, Berlino, Parigi, Colonia, Bruxelles, Lussemburgo, Valencia, Madrid, Barcellona. Novembre e Dicembre 2014 sono i mesi del tour italiano nei palazzetti dello sport, che colleziona tutti sold out. Uno spettacolo divertente e originale che mette in mostra caratteristiche di Niccolò nuove per il grande pubblico. A marzo e aprile 2015 decide di organizzare in autonomia un tour segreto, in solitaria, che gli permette di suonare in piccoli locali italiani che da sempre investono nella musica, facendogli cosi conoscere realtà sotterranee. Il 22 maggio 2015 torna con Silvestri e Gazzè per il penultimo appuntamento live del progetto. Calcano il prestigioso palco dell’Arena di Verona. Il 31 luglio 2015 la grande festa di chiusura a Roma sul palco di Rock in Roma. Nell’estate del 2015 riprende la collaborazione con il GnuQuartet strutturando un tour acustico che tocca alcune tra le rassegne più belle in Italia, tra cui Lunaria, Ravello Festival, Musicultura, ma anche nuovi festival come Indiegeno Fest a Tindari, in Sicilia. Con il geologo Mario Tozzi crea lo spettacolo Musica Sostenibile, che vede il suo debutto in occasione del trentennale della strage di Stava. Brani musicali d’autore, considerazioni sui testi e sulla musica, commenti scientifici e riflessioni sono il nucleo di una commistione di generi e discipline che trova una sintesi in uno spettacolo che è indirizzato alla comprensione e alla divulgazione di tematiche spesso dimenticate. Tra novembre 2015 e febbraio 2016 Niccolò scrive, suona e registra il suo nuovo progetto discografico “Una somma di piccole cose” uscito ad aprile 2016 per Universal Music. Da maggio a luglio 2016 si esibisce nei teatri italiani e in prestigiose location all’aperto presentando live i brani di “Una somma di piccole cose”, disco con cui il cantautore romano vince la Targa Tenco 2016, come miglior album dell’anno. Ad ottobre Niccolò Fabi affronta per la prima volta nella sua carriera da solista il suo primo tour europeo ottenendo un grandissimo successo di pubblico e attualmente sta proseguendo il viaggio iniziato a maggio 2016 che lo vede in tour nei teatri delle principali città italiane, accompagnato dal cantautore Alberto Bianco e la sua band, composta dai musicisti e polistrumentisti Damir Nefat, Filippo Cornaglia e Matteo Giai.
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Australians and New Zealanders will be celebrating ANZAC Day today, a national holiday which commemorates all Australians and New Zealanders who served and died in wars and conflicts, with a particular focus on the landing of the ANZACs at Gallipoli, Turkey on April 25 1915. Coincidentally, April 25 is also significant in the Italian calendar as it marks the Festa Della Liberazione (Liberation Day), also known as Anniversario della Resistenza (Anniversary of the Resistance), an Italian national holiday. Italian Liberation Day commemorates the end of the Italian Civil War, the partisans who fought in the Resistance, and the end of Nazi occupation of the country during WW2. In most Italian cities, the day will include marches and parades. Most of the Partisans and Italian veterans of WW2 are now deceased: very few Italians would have first hand memories of this era.
One of the more accessible documents from the partigiani era of the 1940s is the well-known song, Bella Ciao, which has been adopted by resistance movements throughout the world since then. The original Partisan version is included here. Open this clip: you can find the lyrics in English and Italian at the end of this post.
Many Italian versions, including this modern rendition by the Modena City Ramblers, have appeared over the years, while international adaptations include punk, psychedelic and folk versions in many languages. A Kurdish version was revived after an ISIS attack in 2014, and the Anarchist movement has also appropriated the song. Popular folk songs are often derivative and evolutionary: the history of Bella Ciao makes a fascinating study in itself. There are two threads to follow here. The original version of this song dates back to the 1850s: the first written version appeared in 1906 which was sung by women workers in the risaie, or rice paddies of Northern Italy. The lyrics concern the harsh working conditions of the Mondine. The fascinating rice workers version can be heard here, sung by Giovanna Daffini, recorded in 1962.¹
”The Mondine or Mondariso were female seasonal workers employed in Northern Italy’s rice fields, especially in Lombardia, Piedmont, Emilia Romagna and Veneto. Their task was to remove weeds that could stunt the growth of rice plants. Working conditions were extremely hard, as the job was carried out by spending the whole day bent over, often bare-foot, with legs immersed in water; malaria was not uncommon, as mosquitoes were widespread. Moreover shifts were long and women were paid significantly less than men. For these reasons since early in the 20th century, mondine started to organise themselves to fight for some basic rights, in particular to limit shifts to 8 hours a day.’
From Mondine di Bentivoglio . “Il capo in piedi col suo bastone, E noi curve a lavorar”. The boss stands with his stick and we bend down to work. Line from the Mondine version of Bella Ciao.
The other thread concerns the euphony of the song itself. The much older women’s version, a slower folkloric piece, reflects the plight of the women rice field weeders in their struggle for better working conditions. The 1940s partisan version became more masculine and heroic, despite the sombre sentiments expressed in the lyrics. Most of the modern versions sound Russian, revolutionary, or defiant. Slower versions suggest Yiddish as well as gypsy roots, which may indicate the melodic path of this song during the 19th century. I’ve selected two more versions which reflect these latter impressions. They can be heard here and here.
An Italian partisan in Florence, 14 August 1944. Signore Prigile, an Italian partisan in Florence. Tanner (Capt), War Office official photographer.This photograph TR 2282 is from the collections of the Imperial War Museums and is available for use, with recognition.
The partigiani make fitting heroes for Liberation Day: no one would deny that their struggle was courageous and honourable. However, one might question the level of mytholgising when it comes to patriotic days such as Liberation Day. The day was initiated by Alcide De Gasperi, the Prime Minister of Italy between 1945 to 1953. It could be seen as a very astute political move to create a national holiday centred around liberation.² It signified a break with Italy’s fascist past, an era spanning 25 years, as well as assisting the new Italian government establish a stable democracy.
Parallels may be drawn between the idealisation of the Italian Partisans and the Australian and New Zealand soldiers of World War 1. The stories and the images of those struggles are often used to boost a sense of national identity and patriotism in both countries.
Anzac soldier at sunset, Invergargill, New Zealand
See also my previous posts on April 25, Anzac Day.
Anzac Day 2014. Commemorating Slaughter with a Biscuit
Anzac Day 2015. That Man in the Picture
Anzac Day 2016. My Mantelpiece Shrine
Notes
¹ Giovanna Daffini (22 April 1914 – 7 July 1969) was an Italian singer associated with the Nuovo Canzoniere Italiano movement. Born in the province of Mantua, she started associating with travelling musicians from an early age. During the rice-growing season she worked in the rice-growing districts of Novara and Vercelli where she learnt the folk-songs that afterwards made her famous. In 1962 she recorded the song “Alla mattina appena alzata”, a version of Bella Ciao, for the musicologists Gianni Bosio and Roberto Leydi.
² http://www.informatore.eu/articolo.php?title=il-25-aprile-da-pia-illusione-a-volgare-a-menzogna
In the 1960s, the tune, with new lyrics, became a revered song of the Lotta Femminista, the Italian Feminist struggle.
Lyrics.
Partisan Version in Italian and English
Una mattina mi son alzato O bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao Una mattina mi son svegliato Eo ho trovato l’invasor
One morning I woke up O bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao One morning I woke up And I found the invader
O partigiano porta mi via O bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao O partigiano porta mi via Che mi sento di morir
Oh partisan, carry me away, O bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao Oh partisan, carry me away, For I feel I’m dying
E se io muoio da partigiano O bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao E se io muoio da partigiano Tu mi devi seppellir
And if I die as a partisan O bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao And if I die as a partisan You have to bury me
Mi seppellire lassù in montagna O bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao Mi seppellire lassù in montagna Sotto l’ombra di un bel fiore
But bury me up in the mountain O bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao, But bury me up in the mountain Under the shadow of a beautiful flower
E le genti che passeranno O bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao E le genti che passeranno Mi diranno: “Che bel fior”
And the people who will pass by O bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao, And the people who will pass by Will say to me: “what a beautiful flower”
È questo il fiore del partigiano O bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao È questo il fiore del partigiano Morto per la libertà
This is the flower of the partisan O bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao This is the flower of the partisan Who died for freedom
Bella Ciao, Versione Delle Mondine. In Italiano
Alla mattina appena alzata, O bella ciao bella ciao bella ciao, ciao,ciao
Alla mattina appena alzata, In risaia mi tocca andar
E fra gli insetti e le zanzare, O bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao
E fra gli insetti e le zanzare, Un dur lavoro mi tocca far
Il capo in piedi col suo bastone, O bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao
Il capo in piedi col suo bastone, E noi curve a lavorar
O mamma mia o che tormento
O bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao
O mamma mia o che tormento
Io t’invoco ogni doman
Ma verrà un giorno che tutte quante
O bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao
Ma verrà un giorno che tutte quante
Lavoreremo in libertà.
Mondine Version in English.
In the morning, just arisen, Oh beautiful ciao……
In the morning, just arisen, In the rice field I’m going to go.
Amongst the insects and the mosquitos, oh bella ciao….
Amongst the insects and the mosquitos. I have hard work yo do.
The boss is standing with his stick, oh bella ciao….
The boss is standing with his stick and we bend down to work.
Oh my mother what torment, oh bella ciao….
Oh my mother, what torment, that I call you every day
But the day will come, o bella ciao..
But the day will come, when we will work in freedom.
April 25, Resistance and Bella Ciao. A Musical Journey Australians and New Zealanders will be celebrating ANZAC Day today, a national holiday which commemorates all Australians and New Zealanders who served and died in wars and conflicts, with a particular focus on the landing of the ANZACs at Gallipoli, Turkey on April 25 1915.
#Anniversario della Resistenza#ANZAc day#australian War Veterans#Bella Ciao#Fascism#Festa della Liberazione#folk music#Giovanna Daffini#Italian civil war#Italian culture#Italian history#Italy#Le Mondine#Liberation Day#Modena City Ramblers#music#nationalism#partigiani italiani#partisan#patriotism#protest#resistance#war#Yiddish music
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Giovanna Marini
https://www.unadonnalgiorno.it/giovanna-marini/
Giovanna Marini, cantautrice e ricercatrice etnomusicale e folklorista italiana, è una colonna portante della nostra tradizione musicale popolare.
Nata col nome di Giovanna Salviucci, il 19 gennaio 1937 a Roma in una famiglia di musicisti, ha conservato per le sue produzioni artistiche il cognome del marito, anche dopo che ebbero divorziato.
Nel 1959 si è diplomata in chitarra classica al conservatorio di Santa Cecilia a Roma e si è perfezionata con il grande Andrés Segovia.
All’inizio degli anni sessanta ha cominciato a frequentare intellettuali come Pier Paolo Pasolini, Italo Calvino e il gruppo del Nuovo Canzoniere Italiano, impegnati nella ricerca della musica popolare e di protesta, quella dei contadini, dei pastori, degli operai.
Appassionata di canto sociale che definisce come storia orale cantata, ossia registrazione popolare degli avvenimenti storici mediante lo strumento privilegiato della canzone di composizione anonima e di circolazione orale.
Nel 1964, con il Nuovo Canzoniere Italiano, con cui ha avuto una decennale collaborazione, ha preso parte al Festival dei Due Mondi di Spoleto, con lo spettacolo Bella Ciao, rimasto nella storia per il grande scandalo suscitato, seguito da denunce e interrogazioni parlamentari. I responsabili dello spettacolo furono, infatti, denunciati per oltraggio alle forze armate per l’esecuzione della versione integrale del canto della Prima Guerra Mondiale O Gorizia, tu sei maledetta.
Dopo una breve parentesi a Boston con il marito (Pino Marini, fisico nucleare) in cui era scaturita la ballata Vi parlo dell’America, ha iniziato l’attività solista, proponendo recital in cui alternava ballate e brani propri, con l’esecuzione di canti tradizionali rielaborati.
Nel 1974 ha contribuito a fondare la Scuola di Musica Popolare del Testaccio, di cui è presidente onoraria.
Due anni dopo, ha creato il Quartetto Vocale, formazione musicalmente duttile, con cui approfondisce le enormi possibilità espressive della voce femminile scrivendo varie cantate, celebre quella in morte di Pier Paolo Pasolini. Si tratta di cicli di brani polifonici inframmezzati da narrazioni declamate, recitate, dall’autrice che si accompagna alla chitarra, evocando nei modi e nella sostanza, la figura della cantastorie. Incentrate su tematiche della contemporaneità, le cantate risultano accessibili a un largo pubblico nonostante siano molto complesse dal punto di vista formale.
Gli spettacoli e iniziative a cui ha preso parte hanno fatto la storia del recupero delle tradizioni popolari italiane, come Ci ragiono e canto (1965), nel quale è stata assistente musicale con Dario Fo.
Dalla fine degli anni Settanta, è stata sovente in Francia dove, oltre a esibirsi, è stata compositrice di numerose musiche di scena per il teatro con enorme successo di critica e di pubblico.
La sua produzione, negli anni, si è diversificata, ha anche insegnato tecniche delle vocalità contadine alla scuola del Testaccio (dall’anno della fondazione a oggi) e all’Università Paris VIII-Saint Denis (dal 1991 al 2000).
Nella sua inarrestabile ricerca, ha girato tutto il paese raccogliendo una massa sterminata di canti popolari in lingua italiana e nei vari dialetti e lingue regionali.
È la colonna portante dell’Istituto Ernesto De Martino, nel quale raccoglie l’enorme quantità di canti da lei scoperti e catalogati, e per i quali è arrivata a creare persino uno speciale sistema di notazione musicale. La sua è una vera opera di trascrizione della memoria.
Per il bicentenario della Rivoluzione francese, nel 1989, ha musicato la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.
Nella sua lunga carriera, ha sempre abbinato la musica e la ricerca alla narrazione politica e sociale.
Nel 2002, assieme a Francesco De Gregori, ha inciso l’album Il fischio del vapore, con un successo di vendite senza precedenti che l’ha consacrata al successo del grande pubblico, dopo quarant’anni di inarrestabile attività.
Moltissime sono state le sue partecipazioni a festival internazionali.
Negli anni ha scritto molta musica per teatro e per il cinema. Nel 2016 la sua musica ha fatto da colonna sonora al documentario Un paese di Calabria incentrato sulla storia del comune di Riace.
Nel 2019 il documentario A sud della musica – La voce libera di Giovanna Marini, ha subito un incomprensibile episodio di censura ed è stato cancellato dalla programmazione del cinema dove doveva essere proiettato. Ne è seguito un tam-tam sui social network e il film è stato proiettato nelle settimane seguenti in altri cinema di Genova.
Considerata una cantante popolare, passionaria del canto politico, la sua produzione rivela comunque la sua fortissima impronta personale, frutto di una musicalità maturata attraverso percorsi artistici diversi fra di loro e, per molti aspetti, irripetibili.
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“E alla luce dei lampi fuggono facce bianche atterrite e unte di petrolio”. Juan Rodolfo Wilcock, lo scrittore che fece di tutto per distruggersi
E raccolsi la sfida. La sfida era dello scrittore con un tavolo pieno di libri, si capiva che era un giornalista. Vidi sul tavolo una matassa di carta ma distinsi La nube purpurea, un sottile presagio dall’Ottocento sulla fine del mondo, e dissi al giornalista che conoscevo il traduttore, Juan Rodolfo Wilcock. Perché non scriverne, disse il compagno indiavolato?
*
Wilcock nasce nel 1919 in Argentina dal consueto sangue misto anglofrancese ed emigra per necessità (pur avendo già lavorato e in patria e a Londra). Se ne va in Italia a 28 anni suonati. Per maturare questa scelta ha già visto il vecchio continente in diverse occasioni, prima da fanciullo poi da giovanotto con la fedifraga Ocampo e il vero e unico latin lover, Bioy Casares. Che bello doveva essere vederli assieme. Con Wilcock a fare da reggicandele…
*
Wilcock è un autore che ti possiede con la forza di una premonizione. Leggete questo frammento dal suo Avviso ai saggi:
Presto, finché la lingua esiste: su colonne di porfido il cielo trema, porfido verde con vene di malachite incrostato di fave di madreperla e un filo d’oro che traccia d’alto in basso corsivamente l’identica Parola.
Il mondo è pieno di figli di nessuno. Tremano le colonne, dai cespugli emergono bestie con tre o più teste, bestie nuove; le stelle cadono come gocce di pioggia, sciiti e mongoli muovono eserciti e alla luce dei lampi fuggono facce bianche atterrite e unte di petrolio.
Nascondete questo rotolo nelle grotte
Ora capite perché Einaudi lo stampò nella bianca e perché i suoi versi spagnoli furono messi in circolo da Guanda nel 1963?
*
In alternativa, sentirlo in questa conversazione Rai, ‘sentirlo’ perché la qualità video è infima. Vi discute la sua opera forse oggi meglio nota, La sinagoga degli iconoclasti che è l’antistoria del progresso scientifico, vera per tre quarti e falsa quel tanto che basta.
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Difficile parlare in teoria di quel che si ama. Se uno ama Wilcock ma non sa nulla della sua vita tranne che era omosessuale (capirai) e che i suoi primi libri se li stampò privatamente in Argentina dopo aver fatto discreti soldini coi suoi primi lavori come ingegnere meccanico che costruiva ferrovie transandine, ne sappiamo meno di prima. Le opere di questo poeta in terra machista si intitolano Passeggiata sentimentale e Musa minore maltratta e ancora, per chi non ne avesse abbastanza, Saggi di poesia lirica.
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Quanto al resto è presto detto. Fece di tutto per distruggersi in Italia. Si fece riprendere da Pasolini nelle vesti di sacerdote ebreo e questo un paese bigotto non te lo perdonerà mai. Poi si mise contro Moravia e la sua cricca quando l’industria culturale stava sbocciando e suggerì a Vassalli giovane che amore e amicizia vanno e vengono mentre solo l’odio permane, avvicinandoti agli altri.
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Detto da uno come Wilcock che lanciava epigrammi oltre poesie, l’aneddoto che coinvolge Vassalli acquista lustro e nitore.
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Un programma di Wilcock. “Appena si sente parlare di impegno morale, mettersi a letto”.
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E in effetti è giusto così, che se ne sia andato il 17 marzo 1978 mentre i giornali tiravano fuori le trombe per parlare di Moro. Sequestrano Moro lo statista e muore lo scrittore antisociale, che simpatica coincidenza.
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Se volete fare una passeggiata nel catalogo Adelphi, vi leggete in un paio di pomeriggi Fatti inquietanti per vedere Wilcock con taglio giornalistico in un’Italia accelerata da autostrade e progresso dove nessuno capiva più niente ma si facevano indagini sociologiche a strapotere mentre c’era lui, Wilcock, a tracciare biografie di prostitute di alto e basso bordo. Con occhio attento. Con compassionevole cinismo distaccato.
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O ancora, passare a Lo stereoscopio dei solitari per smettere di credere a tutto e poi Il reato di scrivere per assaporare due righe di lui giornalista aulico. Se non si vuol smettere di sognare, infine, c’è Il libro dei mostri.
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Va sempre così alla fine. Ti opponi al sistema e lui ti ingloba. Così fu per Wilcock che ebbe l’audacia di aiutare Calasso giovane nelle traduzioni – William Carlos Williams, La nube purpurea appunto e poi Marlowe, oh Marlowe.
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Come fu decisiva la lettura di Marlowe. Fin dal nome del traduttore, Wilcock. Una cosa che ti colpisce quando sei ancora abituato ai ‘referti’ letterari del liceo. E poi quelle voci del Cinquecento rimesse a nuovo, tirate a lucido, un bestemmiare giocoso e lui Wilcock che ti fa sentire il rombo del poeta giovane vissuto prima di Shakespeare. E quella nota in calce che diceva che Marlowe “sembra morisse in circostanze ignote assassinato in una taverna mentre era impegnato al servizio della corona spiando contro i Francesi”. La cosa mi piacque tanto che pensai di regalare il libro donatomi a sua volta da un professore. Aggiunsi una dedica a quella che c’era già e poi la cancellai. Passioni di ordinaria follia giovanile. Il Teatro di Marlowe Adelphi è rimasto da allora sano e salvo in bottega.
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Insomma Wilcock si consegnò legato mani e piedi a Calasso e da allora non si sa più nulla. Non se ne può sapere altro, eccezion fatta per le ricerche dei tessuti che vanno troppo a fondo e sono condannate a rimanere scollegate. Poi ci sono queste simpatiche commemorazioni a base locale, da etnografia poetica laziale. Poca cosa.
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Certo abbiamo salde in mano le sue versioni dal Finnegans Wake e le poesie di Beckett. Ma ci bastano? Quanto ancora vorremmo sapere? Temo di no. Per quello ci va buon senso e dedizione extraconiugale, extraletteraria.
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Per chi si interessa di poesia, infine, e non delle prose brevi di Wilcock di cui vi ho detto prima, suggerisco questi brani da Luoghi comuni del 1961:
Ali turchine
A chi giova il piacere dei sensi? All’intelletto, Che d’altronde sopporta dolori e infermità Indipendentemente dalla sua capacità Di godimento proprio; perché non è perfetto E sfoggia carne e peli come gli altri animali, Senza mai liberarsi dagli ingombri carnali, Senza essere del tutto lieto e neppure del tutto abbietto; Lui che sognò di volare sul mare senza confine Con dietro le spalle un paio d’ali turchine…
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Sensi
Nonostante i trionfi della scienza applicata Gli strumenti migliori per osservare l’universo Sono ancora la penetrante lampada del verso, La musica, la voce di una gola privilegiata, Oppure nella penombra delle candele sparse Il pulpito cosmatesco di diorite incrostata; Qualsiasi luce indicante dove un pensiero arse, Semplici torce o splendidi lampadari, Monasteri carpatici tra i boschi secolari, Rune d’Islanda con princìpi bruschi, Falli d’ambra nella foresta, sarcofaghi etruschi. Alla luce di questi lumi l’uomo si muove più sicuro, Vede i tramonti, vede le rive del mare, E pronuncia parole il cui senso oscuro Gli si comincia alfine a rivelare.
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Certo se vogliamo andare sul sicuro c’è il suo canzoniere italiano. Gli mise proprio questo titolo Italienisches Liederbuch ma nonostante tutto il riferimento non è Petrarca quanto invece Michelangelo che appare nella mise-en-abyme della copertina con questa citazione: “Chi mi difenderà dal tuo bel volto?”.
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E allora leggiamolo questo canzoniere supposto omoerotico. È comunque di una tempra virile che nel 1974, a 56 anni e rotti, non teme di finire a stampa così:
Fatti vedere nella tua nudità, il mondo ha questo bisogno di bellezza per diradare i pensieri cattivi che sono sempre dei pensieri vestiti, rendi visibile la sublimità senza badare se desta scalpore: non cadrà il firmamento quando cadranno le tue mutande e la tua camicetta, soltanto nei paesi freddi gli dèi portavano questi indumenti. Poi, in questo Olimpo da te scelto a dimora con tutt’e nove i colli dell’Urbe ai piedi verrà eretto un palazzo pieno di specchi e in ogni specchio una tua immagine riflessa, e lì terranno le cerimonie di Stato, i congressi, gli esami di maturità, alla presenza della verità nuda.
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Chiaro che la poesia ci piace e ci accende ma rischia di diventare una delibazione ad uso interno dei cenacoli poetici. Mentre la prosa richiede immediatamente il consenso del lettore. Per questo anche se la poesia di Wilcock mi parla nel tempo, non riesco a cancellare quel pomeriggio milanese quando mi trovavo ad attendere cose assurde in un atrio elegante e nel frattempo leggevo la penna elegante di Wilcock…
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E poi, amarlo a ritroso fin da quando aveva 26 anni e diceva in spagnolo:
Se questo istante fosse l’eternità immutabile, sempre, sempre davanti a me il tuo corpo così bello,
come lontane musiche che salgono esaltate tra luci cangianti e vapori iridati!
Voglio chinare la fronte e baciarti le mani mentre dietro ai tuoi occhi passa un giardino incredibile,
un luogo voluttuoso dove il pensiero si immerge nelle acque dolcissime e in un sogno.
E accostarmi alle tue labbra, e conoscere la morte, uno spazio di angeli, l’oblio.
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Meglio fermarsi alle ipotesi su Wilcock. Come passò dalla lingua spagnola a quella italiana? Lui se lo disse così andando a capo in spagnolo: “L’esiliato trova quella parola sola/ e per un attimo ridiventa/ in questo esilio che ti tormenta/ il poeta che non sei più”. Meglio continuare ad amarlo in via ipotetica.
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Spulciando sui siti internet arcaici della Campo e su quello ufficioso di Wilcock si raccolgono le margherite delle sue interviste giornalistiche: “Per me l’inglese è un po’ troppo folcloristico, ormai; che dire poi dell’inglese degli Stati Uniti, quando prende il volo per conto suo e si appiattisce in centoventicinque parole. È come se a un giocatore di scacchi gli dicessero: ‘Qui si gioca a modo nostro, con un solo cavallo e senza torri’. Beckett, forse non se ne accorge, ma scrive quasi in latino; il suo poema Sans, del ’70, va più indietro nel tempo, sembra sumero, anzi pittografico”.
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Da una lettera di Wilcock a Miguel Murmis del 23 giugno 1952 riscoperta da uno dei vari tesisti: “La convinzione che ho sperimentato fu di non potere cadere mai, perché ero artista fino a tal punto (bravo o meno, in questo caso non cambia nulla) che la mia chiarezza sarebbe emersa da qualsiasi lordura”.
Andrea Bianchi
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“Che poeta che sono. Senza preoccupazioni e felice”: amanti di Roberto Bolaño, accorrete! Ecco un canzoniere coi fiocchi (altro che quella noia di Neruda!)
Com’è giusto che sia, la lingua italiana che ha insegnato all’Europa a dire l’amore, la passione e la creazione femminile della vita – la poesia insomma – ora subisce una punizione per aver portato troppo avanti i suoi poeti.
La punizione è questa: da noi si legge meno poesia che altrove, non si spiega altrimenti perché gli inglesi dispongano già del quadernone poetico del nuovo cileno, altro che Neruda e le sue scariche di noia (“corpo di donna, bianche colline”) ma proprio Roberto Bolaño.
Del cileno abbiamo in italiano solo un paio di libri tradotti dalla Carmignani per l’editore Sur: Tre (con tanto di prefazione firmata Andrés Neuman, pupillo spagnolo di Bolaño) e Cani romantici. Urge una spiegazione su com’è diviso il quadernone: Università sconosciuta si riparte in tre parti. La terza, quella con l’uomo maturo, è stata già documentata su questo giornale. Qui sotto potete fare un altro assaggio molto corroborante, a metà tra prosa e verso: poesia che innesca la prosa.
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Meglio imparare a leggere che imparare a morire
Molto meglio / e molto più importante / l’alfabetizzazione / che l’arduo tirocinio / alla Morte / Sarà con te per tutta la vita / e ti darà in proporzione / la felicità /e una certa sfortuna (o due) / Apprendere a morire / D’altro canto / imparare a guardare / In faccia la morte nel suo mantello / Ti servirà solo per poco nel / breve momento / di verità e disgusto / e poi mai più.
Epilogo e morale. Morire è più importante che leggere, ma dura di meno. Potremmo dire che vivere è lo stesso che morire giorno per giorno. O – in via obliqua – che leggere significa imparare a morire. Per concludere, qui come in tante altre cose l’esempio continua a essere Stevenson. Leggere è imparare a morire tanto quanto imparare a essere felici, a essere coraggiosi.
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Se Bolaño vi sembra un visionario, allora potete rimangiarvi le parole e vedere che combinava tra i venti e i trent’anni, aveva appena lasciato Città del Messico con un carissimo amico, Bruno Montané, per trasferirsi a Barcellona e di lì, pensava, a Parigi e poi definitivamente in… Svezia. Questo progetto delirante non andò in porto e il nostro si fermò a Barcellona.
Si insinuò nella città, fece il guardiano di campeggio in Costa Brava e patì molto il trasferimento dell’amico Montané a Berlino: la vicenda è stata documentata pochi anni fa da El pais (qui).
Il bello è che Bolaño privato è di una volgarità umoristica che non teme paragoni. Ecco come dà il suo viatico all’amico che se ne va nella godereccia Berlino ovest degli anni Ottanta: “Orrore, non distinguo destra da sinistra, questo non va bene, d’accordo che troverai molte topoline a Berlino, tutte carine e dolci con le loro gambe, i loro clitoridi e punti g, ti manderanno tutte al tappeto o con la testa o col cuore, a meno che con te non si mettano a praticare il feticismo, le gambe avvolte da nylon nero, un po’ in carne e in calore. E poi magari ne troverai di giovani e ben messe col balcone! Altro che quelle che trovavi qui in riva al mare, quelle false cacciatrici che non ti filavano mai, tutte poetiche e tu manco capivi i loro segnali, ah ah, e dovevi sempre offrire da bere alle ragazze di Barcellona per aver qualcosa”.
Che dichiarazione di poetica! Vale più delle stratificazioni a tre di Piccolo sulla natura del mascolo italiano: solite minchionerie.
Un altro breve trattato di estetica si trova in una lettera di quel giro d’anni al solito Montanè: “Che qualità ricerchiamo nei libri di poesia? Certamente non la trasparenza lungo la quale permane una vita senza convulsioni; né tantomeno i problemi personali, da letterina all’amico, del poeta. Quindi cerchiamo la trasparenza come segno nel vuoto – la trasparenza come segnale dentro la trasparenza medesima. Di conseguenza io riesco a vedere che in Purgatorio Zurita ritaglia le sue silhouette sul fondo del poema: i suoi problemi, la sua via crucis è roba pop, si raccoglie in una riconversione universale che parla a tutti noi coi nostri guai (la voce di una donna, i suoi seni caldi, il suo destino…) e i terrori del poeta sono i terrori che appartengono a tutti”.
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Le poesie della prima parte del quadernone, Romanzo di neve, sono tutte viscerali, come potete immaginare. Ne traduco le più vigorose. Sono un grido e una speranza: di poeti non ne nasce uno ogni cento anni (cazzata di Moravia davanti al feretro di Pasolini) ma ogni volta che nella notte della città gli orgasmi si richiamano come campane.
Andrea Bianchi
*** Bambini alla Dickens
Tu ammiri il poeta coi nervi d’acciaio – giusto? Giusto – allo stesso modo ammiri L’operaio dai turni massacranti e il negoziante Che si addormenta all’alba mentre conta le monete grosse E poi le ragazze di venticinque anni che trombano tutta la Notte e che l’indomani danno tre o quattro esami All’università È duro comprendere quanto sopra – voglio dire Che è un po’ come vedere in camera propria degli animali selvaggi che Si insediano come fossero gufi o bambini usciti dalla mente di Dickens – come le lucertoline di sesso indefinito
Dipinti da Moreau – come avere il sole e il suo doppio in camera Il rintocco dei passi che può arrivare in ogni momento Come una scultura di gesso un po’ sporca – gli occhi all’insù Del santo in estasi di godimento mentre galoppa il suo cavallo Verso il Drago
* Non comporre discorsi ma poesie Scrivi preghiere che poi sussurrerai – Prima di scrivere queste poesie Starai già pensando che non le scriverai
* Le chiesi se era ancora lì. Disse che sarebbe arrivata. Nevica ancora, la avviso. I suoi libri sparpagliati. Senza alcuna utilità per far l’amore. Sei mesi che una ragazza non saliva quassù. Enfatica e categorica, lei dal telefono mi dice Di una mosca che batte dall’altro lato della finestra. Come stesse sputacchiando sullo specchio, aggiungo io. Che poeta che sono. Senza preoccupazioni e felice
* Non può succedere nulla di male – Victoria e io Auguro ogni bene a chi ha ricevuto qualche talento oscuro E manco un po’ di fortuna – gente così l’ho vista spesso Risvegliarsi sul bagnasciuga e accendersi una sigaretta Come fossero gli unici al mondo a voler Qualcuno che li allisci con morbide carezze – Auguro ogni bene A questi proletari nomadi Che mettono il loro cuore davanti a tutto
* Uniti in tutto o quasi ma soprattutto Nel dolore nel silenzio delle Vite disperse che poi il dolore va subito a occupare Come la marea che scivola verso i nostri Cuori leali verso i nostri sguardi poco leali Verso le opinioni folli che lei e io prendiamo e che nessuno Comprende più o meno come noi che non le capiamo Il massacro che ci circonda e noi restiamo tenaci A spartirci il nostro dolore e in realtà lo moltiplichiamo Come se la città dove viviamo fosse Una sala d’ospedale infinita
Roberto Bolaño
*la traduzione è di Andrea Bianchi che ringrazia la metà migliore del genere umano
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Un poeta alla corte di Rudolf Steiner. La vita teosofica di Morgenstern
Sorprendente. Quasi del tutto ignoto al mondo culturale italiano non specialistico, Christian Morgenstern, basta piluccare la pagina Wikipedia in lingua inglese, è autore “di una poesia immensamente popolare”. Addirittura? Pare proprio di sì, se è vero che Paul Hindemith, il grande compositore tedesco, dedica alla memoria di Morgenstern la Lustige Sinfonietta, nel 1916 – il poeta muore, dopo un soggiorno a Bolzano e a Merano, il 3 marzo del 1914 – e Friedrich Gulda, il grande musicista austriaco, musica alcune poesie di Morgenstern nel 1967, i Sieben Galgenlieder. A sorprendere, anzi tutto, è l’opera aforistica, intinta nella ferina intuizione, di Morgenstern. Esempi: “Scrissi ciò sul punto dove l’uomo coincide con Dio, dove egli smette di potersi sentire un essere speciale”; “Io posseggo lo sguardo che tramuta”; “Immaginati un tappeto fatto di acqua. E la storia dell’uomo come il ricamo di questo tappeto”; “Il Dio, che noi siamo, è muto”. La gioia lirica, sintetica, abbeverata di Nietzsche – e piena di affinità, letta a posteriori, con i magnetici diari di Franz Kafka – contraddistinguono Morgenstern, artista dilaniato dal male, ma dall’energia culturale polimorfica, pare sbalzare dalla Montagna incantata di Thomas Mann.
Christian Morgenstern (1871-1914)
Collaboratore per le edizioni di Bruno Cassirer, dopo aver conosciuto Henrik Ibsen in Norvegia, nel 1899, diventa il traduttore del geniale drammaturgo. Di fatto, Morgenstern importa la letteratura scandinava in Germania: traduce August Strindberg, il Premio Nobel Bjornstjerne Bjornson e Knut Hamsun. Affiliato agli scrittori estremi, scopre, prima di altri, il talento di Robert Walser. L’incontro che cambia la vita di Morgenstern, tuttavia, accade nel 1909, a Berlino. Durante una conferenza, il poeta scopre in Rudolf Steiner un maestro e diviene membro della Società Teosofica tedesca. “Il tuo spirito di sole/ noi bui vagabondi rischiari” è scritto nella dedica, Al Dr. Rudolf Steiner, che apre le Neue Gedichte, dal titolo Trovammo un cammino. Steiner – sponsorizzato per l’assegnazione del Premio Nobel per la pace da Morgenstern, nel 1912 – fa di Morgenstern il fulcro dell’euritmia, la pratica esoterica e ‘ginnica’ della teosofia. Secondo la testimonianza di Erna van Deventer, infatti, nel 1913, a Lipsia, “Rudolf Steiner parlò delle poesie di Christian Morgenstern, sottolineando come queste sarebbero state particolarmente adatte all’euritmia, perché vi si diffondeva una vera e propria immaginazione soprasensibile in parole terrestri”. Ora l’opera di Morgenstern, di austera bellezza, grave di simboli (“Il Dio che concentrò in sé/ tanta potenza da miriadi di stelle:/ non è un dio che né la miseria né l’orrore umano/ possano fermare”), latitante in Italia – citiamo il passaggio per Guanda, nel 1990, come Fatti lunari e i Canti grotteschi editi da Einaudi nel 1966 – torna in grande stile nella neonata collana di Campanotto Editore, ‘Cultura e arte del mondo di lingua tedesca’. Il canzoniere di Morgenstern è edito come Christian Morgenstern. Aforismi e liriche nel segno dell’antroposofia di Rudolf Steiner (pp.238, euro 25,00), per la cura di Luca Renzi, professore di Letteratura tedesca all’Università di Urbino, con la collaborazione di Emanuela Ferragamo e un saggio conclusivo di Luca Cesari su Rudolf Steiner e l’estetica. Un piccolo avvenimento culturale, cullato da una piccola casa editrice. Abbiamo intervistato il curatore e la sua collaboratrice.
Intanto, perché tradurre Christian Morgenstern, un autore affatto particolare quanto quasi del tutto sconosciuto al mondo editoriale italiano?
“Christian Morgenstern è per l’intensità delle sue frequentazioni liriche e filosofiche e per la sofferta ricerca speculativa una figura di grande rilevanza nel panorama della Fine del Secolo tedescofona e lo è non solo in virtù dell’umorismo svagato e a tratti assurdo della sua creazione più conosciuta – quei Canti Patibolari editi anche in Italia – quanto anche in virtù dell’elaborazione di un personale cammino esistenziale che offre ancora oggi spunti interessanti. E non solo al titolato professore, che anzi Morgenstern continuamente dileggia. La poesia di questo autore si intende infatti come rappresentazione esemplare di una vita”.
Morgenstern traduttore di Hamsun, di Ibsen, di Strindberg, sostenitore di Robert Walser, tentato, forse, da scrittori ‘eccentrici’, eccendenti. Come influisce l’attività editoriale di Morgenstern nella sua personale opera creativa?
“L’attività editoriale è senz’altro centrale non solo nell’elaborazione degli influssi poetici, quanto anche e soprattutto nel delineare una personale poetica che, in Morgenstern, passa attraverso la rielaborazione di letture frenetiche e sregolate. La traduzione dei grandi autori scandinavi lascia tracce interessanti non solo nella lingua – è stato sottolineato l’influsso di Ibsen nell’aforistica dell’autore –, quanto anche nella visione del mondo e nella riflessione drammaturgica, che riveste una parte importante (e a volte dimenticata) della produzione dell’autore”.
L’incontro con Rudolf Steiner e la ‘teosofia’ pare essenziale nel percorso lirico di Morgenstern. Come è possibile che un pensiero esistenziale, filosofico penetri con forza in un ‘canzoniere’? In che modo la teosofia dà impronta all’opera di Morgenstern?
“Nella sua introduzione alla raccolta antroposofica del poeta David Marc Hoffmann sottolinea giustamente la reciprocità del rapporto di Morgenstern con il pensiero e l’opera di Rudolf Steiner. L’antroposofia giunge infatti come ultimo anello di un percorso esistenziale nel quale non è tanto in gioco l’esattezza speculativa di una teoria, quanto la coerenza di un’interiore maturazione spirituale. Non si tratta tanto dunque di uno ‘sfondamento’ del pensiero steineriano in Morgenstern, quanto semmai di un ‘esondare’ del poeta nel tracciato dell’antroposofia. Questa svolta mistica si rivela fondamentale per l’elaborazione di una lingua che cerca di comunicare l’indicibile della realtà spirituale con l’entusiasmo di chi intende educare se stesso e gli altri al nuovo cammino”.
Potete riassumerci il pensiero – che pare abissale, leggendo le suggestioni aforistiche con cui si apre il volume da lei curato – di Morgenstern?
“A partire dall’incontro con la filosofia nicciana Morgenstern procede alla decostruzione di un Dio borghese e pantofolaio che, dichiarato ufficialmente morto, lascia la sua ombra nella lingua. La decostruzione della lingua e la riflessione sulla parola sono pertanto momenti centrali di una nuova consapevolezza del divino, ora individuato nella comunione di Dio e individuo”.
Quasi subito, in merito all’opera lirica di Morgenstern, fate riferimento a ‘poeti come Paul Celan, Georg Trakl o Georg Heym’. Che cosa significa? Quali tensioni liriche animano il lavoro di Morgenstern?
“Morgenstern fu un autore particolarmente apprezzato dal Dadaismo in virtù dello sperimentalismo a volte sregolato della sua lingua – il suo umorismo è tuttavia venato da una profonda melanconia e da una certa sferzante durezza, che deriva da una certa consuetudine alla prospettiva della propria morte. Ecco, la riflessione sulla morte che passa attraverso la lingua, il gioco linguistico (Celan), ma anche nella meticolosa descrizione esistenziale (Trakl) fino ai meandri oscuri della lingua e della mente fanno immediatamente pensare ai tre autori suddetti, anche se in Morgenstern tutto appare velato da luce più soave. Nel tradurre Morgenstern ci siamo spesso imbattuti in meandri lingusitici che ci hanno fatto pensare a quell’unica, magica, lirica di Celan che è Weggebeizt, che giunge per mezzo della sperimentazione ultima alla non-poèsi, il Genicht celaniano, appunto, che è anche heidegerriano in ultima analisi (Tief in der Zeitenschrunde, al fondo del crepaccio dei tempi)”.
Di fatto, Morgenstern è una vera scoperta per il panorama – un poco stretto – dell’editoria italiana. A vostro avviso, come mai? È un fattore intrinseco alla disattenzione di certa cultura italiana oppure sottolinea la difficoltà, l’asperità della lirica di Morgenstern agli occhi di un lettore italiano?
“La lirica di Morgenstern presenta sicuramente difficoltà legate all’uso personalissimo della lingua. Questo vale sia per gli equilibrismi della poesia umoristica, quanto per la poesia ‘speculativa’ che è variegata negli umori e nelle atmosfere. C’è però sempre una certa leggerezza nell’espressione poetica di Morgenstern che a mio avviso è così difficile da rendere… Del resto Morgenstern sognava per sé un monumento zuccherino che si sarebbe sciolto nel mare. Un poeta che desidera diluirsi in soluzione salina riserva sempre sorprese – no?”.
Giovanni Zimisce
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