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“La scrittura è la mia maledizione”: intervista a Philippe Vilain, il romanziere che conosce l’arte di amare
In Italia è premiato e decorato, accademicamente riconosciuto. Malauguratamente, non è altrettanto diffuso tra le masse, evidentemente più interessate, quando si tratta di autori stranieri, ai soliti americani o alle loro americanate. Si sa che la letteratura francese, come l’italiana, almeno quando di rilievo, è più complessa e raffinata. Quella d’oltralpe, in particolare, ha la tendenza a essere sempre squisita. Persino una canaglia come Houellebecq, quando descrive scene di sesso decisamente sopra le righe, o quando sparla e ingiuria, è talmente elegante da farsi perdonare all’istante.
Nel nostro paese, la frequentazione degli autori francesi è piuttosto scarsa, se si esclude l’autore di Sottomissione. Eppure, esistono altri scrittori, fatta eccezione per i grandi classici ottocenteschi sui quali i nostri vicini di casa sono imbattibili, che meriterebbero una maggiore attenzione. Uno di questi è certamente Philippe Vilain, che a noi è giunto per alcune traduzioni di suoi romanzi e ben poco per quel che concerne l’attività di teorico della letteratura. La sua peculiarità è l’indagine sui rapporti amorosi, come si può ben leggere in quello che è forse il suo testo più noto, Non il suo tipo, da cui è stato tratto anche un film tanto grazioso quanto tristemente realista. Non ci sono sue nuove pubblicazioni, qui da noi, già da qualche anno, ma abbiamo comunque ritenuto fosse necessario per il lettore fare conoscenza con questo interessantissimo autore.
Signor Vilain, lei è poco noto qui in Italia. Ci piacerebbe, pertanto, sapere qualcosa di più della sua attività di scrittore. Quando ha iniziato a scrivere e cosa l’ha indotta a farlo?
Mi ritengo già fortunato d’essere tradotto da un editore italiano, Gianni Gremese, che mi è fedele ormai da quasi dieci anni e che ha già pubblicato cinque dei miei romanzi: Falso padre, Quadernetto sulla timidezza, Non il suo tipo, La moglie infedele. Inoltre, è in uscita ad aprile 2018 il mio ultimo romanzo La ragazza dalla macchina rossa. Queste traduzioni mi sono già valse numerosi riconoscimenti nel vostro Paese. In particolare, a palazzo Farnese a Roma, in presenza dell’ambasciatore francese Alain Le Roy, all’Istituto Francese di Napoli, ma anche nelle università e centri culturali di Palermo, Napoli e Torino. Ho ugualmente avuto la fortuna di ottenere il premio Scrivere per amore, nel 2012, a Verona, dove il Presidente era Vittorio Sgarbi. Allo stesso modo, vi sono state diverse menzioni, tra cui la prima pagina della rivista Grazia Italia – cosa che non mi è mai capitata in Francia. Inoltre, esistono numerosi lavori universitari riguardanti la mia opera. Alcuni universitari italiani hanno scritto degli studi molto interessanti sui miei testi, come Alessandro Madonia ed Emilia Surmonte, la quale ha anche in progetto di iniziare un saggio specialistico. Per non parlare dell’adattamento cinematografico di Non il suo tipo, che in italiano è stato reso con il titolo di Sarà il mio tipo? e altri discorsi sull’amore. Questo film ha avuto un buon successo in Italia. E, per questo, mi sento già abbastanza soddisfatto. Non potrei fare di più per essere conosciuto nel vostro Paese. In una società dello spettacolo quale la nostra, che promuove prima di tutto una letteratura di intrattenimento, il riconoscimento per la letteratura di pregio è difficile e trova riscontro unicamente nelle sfere intellettuali, dunque in un ambito ristretto. Sono rari gli scrittori letterati conosciuti internazionalmente. Se nella grande industria culturale dell’intrattenimento i libri continuano a essere venduti, la letteratura alta si legge sempre meno. Tra le migliaia di scrittori pubblicati in Francia ogni anno, pochissimi si fanno notare nel proprio Paese, e ancora meno all’estero. D’altro canto, il più delle volte, gli scrittori conosciuti al di là dei propri confini non sono per forza quelli letterariamente migliori. Sono riconosciuti perché i loro romanzi, giustamente, obbediscono a degli standard narrativi e a un formato commerciale – trama divertente e alla moda – traducibili per il grande pubblico. Di conseguenza, la notorietà è relativa e l’importante non è, di per sé, essere famosi, ma conosciuti per delle buone ragioni, giustificate da competenze letterarie e dalla qualità dell’opera. Quello che conta non è la notorietà ma la legittimità, che permette di essere identificato simbolicamente come uno scrittore autentico: molti scrittori noti, che vendono, non possiedono questa legittimità. I miei romanzi che intellettualizzano l’amore non sono senza dubbio sufficientemente commerciali per piacere al grande pubblico, ma mi hanno dato questa legittimità nell’ambito universitario e intellettuale, quale la pubblicazione di Philippe Vilain ou la dialectique des genres (Philippe Vilain o la dialettica dei generi) che è dedicata alla mia opera. Un’altra è in preparazione. Numerosi studi universitari sono stati pubblicati e altri sono in corso di pubblicazione. Che il mio lavoro sia riconosciuto negli ambiti intellettuali mi dà una grande soddisfazione. È la critica universitaria a conferire legittimità simbolica a uno scrittore.
Per presentarmi rapidamente, dunque, direi che ho voluto scrivere dall’età di 18 anni e ho dedicato la mia vita alla letteratura, seguendo studi di Lettere Moderne all’università della Sorbona, dove ho ottenuto un dottorato in letteratura, poi un assegno di ricerca post-dottorato che mi ha permesso di scrivere un saggio sull’opera di Fernando Pessoa. Ho avuto la fortuna di pubblicare il mio primo romanzo quando ero abbastanza giovane, a 28 anni, da dottorando. Ormai, ho pubblicato 10 romanzi, in parte con le Edizioni Gallimard (L’étreinte, La dernière année, Le renoncement e L’été à Dresde), in parte con le edizioni Grasset (Paris l’après-midi, Faux père, Pas son genre, La Femme infidèle, Une idée de l’enfer, La fille à la voiture rouge). Tutti i miei libri hanno la particolarità di essere scritti in prima persona e di analizzare l’amore, la coppia, i sentimenti e le intermittenze del cuore. L’amore è un tema magnifico, profondo e ricco, che interroga le nostre scelte essenziali (politiche e sociali) come il senso stesso della nostra esistenza. Parallelamente ai romanzi non ho interrotto la ricerca specialistica, visto che tengo spesso delle conferenze e scrivo dei saggi teorici sulla letteratura contemporanea (L’autofiction en théorie, La littérature sans idéal, Défense de Narcisse, Dans le séjour des corps, Essai sur Marguerite Duras). La mia attività di romanziere non si discosta da una riflessione teorica e critica.
Perché ho voluto scrivere? Francamente, non lo so. La passione per la scrittura resta qualcosa di misterioso, nel senso religioso del termine, come per l’arte in generale. Cosa ci spinge a creare un’opera, a inventare delle storie, a passare del tempo a scrivere, malgrado non ci sia stato chiesto? Scrivere non è un’attività normale. Certamente potrei fornire delle ragioni obiettive – la mia timidezza in gioventù, il desiderio di esprimermi, il gusto per la letteratura – che mi hanno spinto a scrivere, ma queste ragioni risulterebbero insufficienti e, in ultimo, non sarebbero necessariamente interessanti. Non tutti gli scrittori hanno delle valide ragioni per scrivere, ma di queste stesse ragioni, gli scrittori non hanno sempre coscienza. E non sempre si sforzano di capirle. Quasi tutti vogliono scrivere o hanno bisogno di esprimersi, attraverso la scrittura, in un determinato momento della propria esistenza, ma la differenza tra uno scrittore comune e uno autentico, che dedica la maggior parte del suo tempo alla scrittura e allo studio della letteratura, è che il primo ha semplicemente bisogno di scrivere, mentre il secondo, l’autentico, ne ha la necessità. E, credetemi, c’è una differenza notevole! Il primo concede del tempo alla scrittura, nel quadro generale della sua vita e percepisce la letteratura come un divertimento culturale, un mezzo, talvolta lucrativo, per accedere a uno status valorizzante, mentre il secondo si sacrifica alla scrittura. Molto presto mi sono reso conto che non avrei potuto fare altrimenti e che la scrittura sarebbe diventata la mia maledizione.
I suoi romanzi sembrano improntati a un’analisi delle dinamiche sociali odierne, quali i rapporti tra i sessi e le diverse classi sociali. Penso, per esempio, alla relazione tra il professore di Filosofia e la parrucchiera in Non il suo tipo, oppure a La moglie infedele, laddove il marito riconosce di essere stato scelto più per la sua posizione sociale che per la passione che ispira nella protagonista. Condivide questa analisi?
L’amore, o più precisamente le scelte amorose sono un soggetto che mi dà da pensare. Sono affascinato da quelli che sono i rapporti amorosi: chi scegliamo quando amiamo e, al contrario, chi ci sceglie, da chi siamo amati? L’incontro avviene per caso o per la provvidenza (l’incontro con il Principe Azzurro), o per determinati aspetti che ci inducono a scegliere – come a essere scelti da – tali persone piuttosto che altre? La differenza sociale, e quindi culturale, esposta nel mio romanzo Pas son genre (Non il suo tipo), tra un professore di Filosofia e una parrucchiera, disturba perché ci pone di fronte a una realtà sociale che nessuno vuole vedere, inammissibile, intollerabile, ovvero che l’amore è socialmente conformista e convenzionale (il matrimonio, trionfo dell’amore, è un “contratto sociale”). Ciò che la parrucchiera ama nel professore di Filosofia è, in fondo, prima che la sua personalità, una rappresentazione sociale, il fatto che lui sia, ai suoi occhi, tutto quello che lei non è: un intellettuale parigino di una classe sociale, culturale, economica superiore alla sua. Ciò che attira il filosofo, oltre il suo aspetto esteriore, è il fatto che lei lo porti al di là del suo ambito sociale e culturale. In teoria, noi tutti abbiamo voglia di credere che il sentimento amoroso sia puro, e la nostra buona coscienza ci incita a sperare che l’amore permetta tutto, la mescolanza culturale come l’eterogamia sociale, che tutti possano amare chiunque, ma la realtà è sfortunatamente più complessa, e anche più crudele. Non si tratta tanto di un’opinione, quanto piuttosto di un’osservazione, di una constatazione indispettita, nata tanto dall’indagine, quanto dalla lettura di studi sociologici sulla scelta del coniuge: sappiamo bene che questo tipo di eterogamia non è possibile che a certe condizioni. Senza dubbio, ed è il proposito del narratore di Pas son genre, nessun sentimento è più viziato e segregativo, più corrotto ed esclusivo del sentimento amoroso, e l’amore, sotto una superficie virtuosa e morale, ci condanna spesso ad amarci solo tra eletti di una medesima casta sociale, dello stesso ambiente, dello stesso rango, a non sposare che delle persone del nostro status. Così funziona la riproduzione sociale e, se l’amore non è mai perfettamente gratuito, forse non è che una relazione commerciale, tariffata, che non si dice, che si preferisce negare, e che la storia del matrimonio, con le sue doti, i suoi interessi familiari, come tutta la contrattualizzazione dei sentimenti (PACS), confermano. Ecco perché l’amore ha un prezzo e gli amanti si vendono senza saperlo. Nessuno ama constatare che la scelta di un partner è un modo di definire il proprio valore, di prezzare sé stessi – scelta che potrebbe riassumersi con questa formula di una violenza terribile: “Dimmi chi ami, ti dirò quanto vali!” .
Quali sono stati gli autori francesi che hanno contribuito maggiormente alla sua formazione?
È sempre difficile valutare fino a che punto un’opera abbia influito su un’altra; le influenze sono spesso inconsce, tuttavia, penso che diversi scrittori siano stati importanti nel mio percorso letterario: Marguerite Duras, Benjamin Constant, Marcel Proust, ma anche Albert Camus, Sartre e Simone de Beauvoir. Mi sono nutrito del pensiero esistenzialista.
In particolare, leggendo La moglie infedele, si percepisce un suo legame molto stretto con l’Italia. Ha avuto modo di visitarla in diverse occasioni? Le è mai capitato di leggere gli scrittori italiani? Conosce la nostra letteratura? Se sì, quale opinione ne ha?
L’Italia è un Paese che conosco bene, dove vengo regolarmente da più di vent’anni, e di cui amo la cultura. Ho vissuto a Torino per qualche tempo, una città discreta e malinconica che possiede un fascino folle, romantico, lontano dai cliché della città industriale che circolano su di essa. Mi è piaciuta molto Venezia, fuori dal tempo. Ho dei bei ricordi a Milano, a Firenze e anche a Verona, che sono dei veri e propri gioielli. Roma, quella della dolce vita, e la magnifica Palermo mi piacciono enormemente. Ma è di Napoli che sono innamorato. Ho avuto un vero e proprio colpo di fulmine per Napoli la prima volta che mi ci sono ritrovato, nel luglio del 1994, a piazza Dante. Mi è parso di conoscerla da sempre, di averla già percorsa nei miei sogni e, misteriosamente, mi ci sono sentito immediatamente come a casa. Questo sentimento non è d’altronde mai cessato; ancor oggi, più che nella stessa Parigi, è a Napoli che mi sento a casa. Mi sento napoletano nel cuore. Così come Stendhal voleva che si scrivesse sulla sua tomba che lui era milanese, mi piacerebbe che sulla mia venisse scritto che ero napoletano. Venezia, Torino (Falso padre), Capri e Napoli appaiono in molti dei miei romanzi, in particolare in La moglie infedele che in un primo momento volevo intitolare Capri Souvenirs, dal nome di una boutique che si affaccia sul porto. Non sono solamente dei ricordi per me, sono dei legami familiari. Ho iniziato a prendere appunti per un libro su Napoli. Non conosco bene la letteratura italiana contemporanea. Il primo romanzo di Elena Ferrante, L’amore molesto, così come la sua ambiziosa trilogia napoletana, mi hanno interessato. Così anche i libri di Erri de Luca. Ho il ricordo di una lettura incantevole di Il giorno prima della felicità e di In nome della madre. L’ho conosciuto durante una conferenza all’Istituto Francese di Napoli, qualche anno fa. A lui, il napoletano esiliato, il figlio di Montedidio, avevo detto quanto ero innamorato della sua città, Napoli, una città meravigliosa, straordinaria; mi aveva risposto, con un’aria maliziosa, arricciando i baffi: “Non ditelo ai napoletani, per carità, rischierebbero di credervi!”. Mi piacciono, inoltre, Pavese, Moravia, Elsa Morante e il magnifico poeta Ungaretti. Recitavo spesso, tra me e me, uno dei suoi versi, quando ero studente: “Chi sono io? Se non un grande sogno oscuro”.
Al di là dei nomi storici di maggior rilievo, quali Balzac, Zola, Guy de Maupassant, Camus, Sartre, qui in Italia conosciamo la letteratura francese attuale soprattutto per il successo mondiale che ha avuto Michel Houellebecq. Vorrei chiederle la sua opinione su questo autore.
La letteratura francese contemporanea continua a produrre delle opere interessanti, come quelle di Patrick Modiano, Annie Ernaux o Michel Houellebecq, che coniuga lo studio dei costumi realisti (Estensione del dominio della lotta, La possibilità di un’isola, Piattaforma. Nel centro del mondo), quello socio-filosofico (Particelle elementari, La carta e il territorio) e la sua capacità profetica (Sottomissione). L’opera di Houellebecq somiglia a una nuova commedia umana e fa dell’autore di Présence humaine il nostro Balzac post-moderno.
Legge molto? Si limita alla letteratura francese o ci sono altri paesi di cui ama particolarmente la produzione letteraria? Eventualmente, può farci il nome di qualche autore straniero che ha apprezzato?
Ho letto molto ma sono meno curioso rispetto a prima, meno avido di lettura, non leggo più come un tempo. Il piacere non è più lo stesso, non risiede più nel divertimento, ma è soprattutto un piacere intellettuale. Il libro il cui fine è quello di intrattenermi non mi interessa. C’è stato un periodo nel quale leggevo molti autori americani, soprattutto quelli della generazione perduta. Ho adorato Hemingway, Carver e Steinbeck. In un altro periodo, leggevo la letteratura portoghese, e resto tuttora un grande ammiratore di Fernando Pessoa, sul quale ho scritto un saggio. Amo anche la letteratura russa, Dostoevskij e Cechov.
Crede che la trasposizione cinematografica di un suo testo, come nel caso di Non il suo tipo, abbia contribuito al successo della sua opera? Qual è la sua opinione in merito a quella trasposizione?
Non credo, perché il romanzo è uscito molto prima – 3 anni prima – dell’adattamento cinematografico. Diciamo che il film ha permesso di dare un chiarimento importante sul mio lavoro e sull’edizione tascabile. Ma gli spettatori non sono per forza attenti al fatto che il film sia un adattamento del mio romanzo, anche se viene menzionato sullo schermo in modo palese all’inizio del film, e anche se compaio in un cameo. Non è raro, comunque, che incontri delle persone che mi dicono di aver visto il film senza sapere che fossi io l’autore del libro.
Il film è una versione di tutto riguardo, molto fedele al mio romanzo, che racconta la stessa storia, ma da un punto di vista differente: il regista, Lucas Belvaux, la narra da un punto di vista abbastanza neutro – anche se si è piuttosto orientato verso la parrucchiera –, mentre io racconto la storia dal punto di vista del professore di Filosofia. La differenza di prospettiva cambia molte cose.
Quali sono i pregi e i difetti della letteratura francese attuale?
La discussione sarebbe troppo lunga e rimando coloro i quali fossero interessati alla letteratura francese contemporanea al mio saggio, La littérature sans idéal. Diciamo, in sostanza, che la letteratura contemporanea tende a obbedire alle leggi del mercato, che si adatta alla domanda, offrendo e promuovendo prima di tutto una letteratura d’intrattenimento, che risponde a dei temi standardizzati (rende note le vite delle celebrità e alcuni avvenimenti storici). È diventata una letteratura basata sul soggetto, ai danni di una letteratura di stile. La scrittura propriamente detta perde sempre più importanza. Al giorno d’oggi, saper scrivere non è più una necessità per diventare scrittore, ma è sufficiente trovare una buon soggetto, che sia sensazionale e di cui i media possano occuparsi.
Intervista a cura di Matteo Fais
Traduzione dal francese di Matteo Matta
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Entretien avec Philippe Vilain
Monsieur Vilain, vous n’êtes pas très connu en Italie. Nous voudrions vous connaître davantage? Quand avez-vous débuté en littérature? Pour quelle raison?
Vous savez, j’estime déjà ma chance d’être traduit par un éditeur italien, Gianni Gremese, qui m’est fidèle depuis près de dix années maintenant et qui a déjà traduit cinq de mes romans: Falso padre, Quadernetto sulla timidezza, Non il suo tipo, La moglie infedele ont été publiés, en attendant la parution en avril 2018 de mon dernier roman La ragazza dalla macchina rossa. Ces traductions m’ont déjà valu de nombreuses sollicitations dans votre pays, notamment au palais Farnese de Rome en présence de l’ambassadeur de France Alain Le Roy, à l’institut français de Naples comme dans les universités et les centres culturels de Palerme, Naples et Turin. J’ai également eu la chance d’obtenir le prix Scrivere per amore en 2012, à Vérone, dont le président était Vittorio Sgarbi, ainsi qu’une presse exceptionnelle, dont une double page dans le magazine Grazia Italia –ce qui ne m’est jamais arrivé en France), et de nombreux travaux universitaires qui s’écrivent sur mon œuvre. Des universitaires italiens ont écrit des études très intéressantes sur mes textes, comme Alessandro Madonia et Emilia Surmonte qui a même le projet d’entreprendre un essai sur mes textes. Et je ne parle même pas de l’adaptation cinématographique de Non il suo tipo en Italie, devenue un film : Sarà il mio tipo? E altri discorsi sull’amore – ce film a connu un beau succès ici. C’est la raison pour laquelle je m’estime déjà heureux. Je ne peux pas faire beaucoup mieux pour être connu en Italie.
Dans notre société du spectacle, qui promeut avant tout la littérature de divertissement, la reconnaissance de la littérature exigeante est difficile, et se réalise dans les sphères intellectuelles, donc forcément confidentielles. Rares sont les écrivains littéraires à être internationalement connus. Si, dans la grande industrie culturelle de divertissement, les livres continuent de se vendre, la littérature littéraire, elle, se lit de moins en moins. Sur les milliers d’écrivains publiés en France chaque année, très peu se distinguent en réalité dans leur pays, et encore moins à l’étranger. Par ailleurs, le plus souvent, les écrivains connus en dehors de leurs frontières ne sont pas forcément les plus littérairement exigeants ; ils sont reconnus parce que leurs romans, justement, obéissent à des standards narratifs et à un formatage marchand –sujet divertissant et à la mode- traduisible pour le plus grand nombre. Par conséquent, la notoriété est relative, et l’important n’est pas, en soi, d’être connu mais d’être connu pour de bonnes raisons, justifiées par des compétences littéraires et la qualité d’une oeuvre. Ce qui compte ce n’est pas la notoriété, mais la légitimité, qui permet d’être identifié symboliquement comme un écrivain authentique : nombre d’écrivains connus, qui vendent beaucoup de livres, ne possèdent pas cette légitimité. Mes romans intellectualisant l’amour ne sont pas sans doute assez commerciaux pour plaire au plus grand nombre, mais ils m’ont donné cette légitimité dans la sphère universitaire et intellectuelle : un ouvrage Philippe Vilain ou la dialectique des genres a été consacré à mon œuvre. Un autre est en préparation. De nombreuses études universitaires ont été publiées et d’autres sont en cours. Que mon œuvre soit reconnue dans les sphères intellectuelles me donne une grande satisfaction. C’est la critique universitaire –de compréhension- qui donne la légitimité symbolique à un écrivain.
Pour me présenter rapidement, donc, je dirais que j’ai voulu écrire depuis l’âge de 18 ans et que j’ai consacré ma vie à la littérature en faisant des études de lettres modernes à l’université de la Sorbonne où j’ai obtenu un doctorat de littérature, puis une bourse d’études post-doctorales qui m’a permis d’écrire un essai sur l’œuvre de Fernando Pessoa. J’ai eu la chance de publier mon premier roman assez jeune, à 28 ans, alors que j’étais jeune doctorant. Désormais, j’ai publié 10 romans, en partie aux éditions Gallimard (L’étreinte, La dernière année, Le renoncement et L’été à Dresde), en partie aux éditions Grasset (Paris l’après-midi, Faux père, Pas son genre, La Femme infidèle, Une idée de l’enfer, La fille à la voiture rouge). Tous mes romans ont la particularité d’être écrits à la première personne et d’analyser l’amour, le couple, les sentiments et les intermittences du cœur. L’amour est un sujet magnifique, profond et riche, qui interroge nos choix essentiels (politiques et sociaux) comme le sens même de notre existence. Parallèlement aux romans, je n’ai pas rompu avec la recherche universitaire puisque je fais souvent des conférences et j’écris des essais théoriques sur la littérature contemporaine (L’autofiction en théorie, La littérature sans idéal, Défense de Narcisse, Dans le séjour des corps. Essai sur Marguerite Duras). Mon activité de romancier ne se sépare pas d’une réflexion théorique et critique.
Pourquoi ai-je voulu écrire ? Franchement, je ne le sais pas. Cela reste quelque chose de mystérieux la passion, au sens religieux du terme, pour l’écriture, ou pour un art en général. Qu’est-ce qui nous pousse à créer une oeuvre, à inventer des histoires, à passer du temps à écrire, alors que personne ne nous demande rien ? Ecrire n’est pas une activité normale. Bien sur je pourrais vous donner des raisons objectives –ma timidité de jeunesse, le désir de m’exprimer, le goût pour la littérature- qui m’ont poussé à écrire, mais ces raisons demeureraient insuffisantes et finalement, elles ne seraient pas forcément intéressantes. Non seulement tous les écrivains ont de bonnes et mauvaises raisons d’écrire, mais ces raisons, les écrivains n’en ont pas toujours conscience. Ils n’ont pas toujours fait, ou voulu faire, le travail, pour découvrir ces raisons. A peu près tout le monde veut écrire ou à besoin de s’exprimer par l’écriture à un moment donné de son existence, mais la différence entre un écrivain, comme il en nait chaque jour, et un écrivain authentique, qui consacre la plupart de son temps à l’écriture et à l’étude de la littérature, c’est que le premier a simplement besoin d’écrire, et que le second, l’authentique, lui, en a la nécessité. Et, croyez-moi, cela fait une sacrée différence ! Le premier concède du temps à l’écriture dans son cadre de vie, et perçoit la littérature comme un divertissement culturel, un moyen, parfois lucratif d’accéder à un statut social valorisant, tandis que le second se sacrifie à l’écriture. Très tôt je me suis rendu compte que je ne pourrais pas faire autrement que d’écrire et que l’écriture deviendrait ma malédiction.
Vos romans portent l’empreinte des dynamiques sociales contemporaines (rapports entre les sexes et entre les différences classes sociales): il suffit de penser, par exemple, à la relation entre le professeur de philosophie et la coiffeuse dans Pas son genre, ou à La Femme infidèle, dont le mari comprend avoir été choisi pour son statut social que pour la passion qu’il a suscité. Partagez-vous cette analyse?
L’amour, plus particulièrement le choix amoureux est un sujet qui m’interroge. Je suis fasciné par les rencontres amoureuses : qui choisissons-nous quand nous aimons, et, à l’inverse, qui nous choisit, par qui sommes-nous aimés ? La rencontre procède-t-elle du hasard ou de la providence (la rencontre du Prince charmant) ou de déterminations qui nous induisent à choisir –comme à être choisi par- telles personnes plutôt que telles autres ? La différence sociale, et donc culturelle, exposée dans mon roman Pas son genre (Non il suo tipo), entre un professeur de philosophie et une coiffeuse dérange en ce qu’elle nous place face à une réalité sociale que personne ne veut voir et cette vérité, inadmissible, intolérable, que l’amour n’est pas la transcendance que nous croyons, que l’amour est socialement conformiste et conventionnel (le mariage, sacre de l’amour, est un « contrat social »). Ce que la coiffeuse aime dans le professeur de philosophie, c’est, au fond, avant sa personnalité une représentation sociale, le fait qu’il soit, à ses yeux, tout ce qu’elle n’est pas : un intellectuel parisien d’une classe sociale, culturelle, économique supérieure à la sienne. Ce qui attire le philosophe, hormis sa plastique, c’est le fait qu’elle le dépayse socialement et culturellement.
En théorie, nous avons tous envie de croire que le sentiment amoureux est pur, et notre bonne conscience nous incite à espérer que l’amour permet tout, la mixité culturelle comme l’hétérogamie sociale, que tout le monde peut aimer tout le monde, mais la réalité est malheureusement plus complexe, et plus cruelle aussi. Il s’agit moins là d’une opinion que du fruit d’une observation, d’un constat dépité, né autant d’observations que de lectures d’études sociologiques sur le choix du conjoint : nous savons bien que ce type d’hétérogamie n’est possible qu’à certaines conditions. Sans doute, et c’est le propos du narrateur de Pas son genre, aucun sentiment n’est-il plus vicié et ségrégatif, plus corrompu et clanique que le sentiment amoureux, et l’amour, sous ses dehors vertueux, moraux, nous condamne-t-il le plus souvent à n’aimer qu’entre élus d’une même caste sociale, d’un même milieu, d’un même rang, à n’épouser que des personnes de notre genre. Ainsi va la reproduction sociale, et, si l’amour n’est jamais tout-à-fait gratuit, il n’est peut-être qu’un rapport marchand, tarifé, qui ne se dit pas, que l’on préfère nier, et que l’histoire du mariage, avec ses dots, ses intérêts familiaux, comme toute contractualisation de sentiments (Pacs), confirment. C’est pourquoi l’amour a un prix, et les amoureux se vendent sans le savoir. Personne n’aime voir que choisir un partenaire est une manière de définir sa propre valeur, de s’estimer soi-même – choix qui pourrait se résumer par cette formule d’une violence effroyable: «Dis-moi qui tu aimes, je te dirais que ce que tu vaux ! ».
Quels ont été les auteurs français qui ont le plus contribué à votre formation?
Il est toujours difficile d’évaluer à quel point une œuvre a influencé une autre, les influences étant bien souvent inconscientes, toutefois, je pense que plusieurs écrivains ont été importants dans ma trajectoire d’écrivain: Marguerite Duras, Benjamin Constant, Marcel Proust, mais aussi Albert Camus, Sartre et Simone de Beauvoir. Je me suis beaucoup nourri de la pensée existentialiste.
La lecture de La femme infidèle évoque votre lien étroit avec l’Italie. Avez-vous eu la possibilité de visiter ce pays? Avez-vous lu des écrivains italiens, et connaissez-vous notre littérature? Quelle opinion en avez-vous?
L’Italie est un pays que je connais bien, où je viens régulièrement depuis plus de vingt ans, et dont la culture me plait. J’ai vécu à Turin quelques temps, une ville discrète et mélancolique qui possède un charme fou, romantique, loin des clichés de la ville industrielle qui sont véhiculés sur elle. J’ai adoré Venise, hors du temps. J’ai de bons souvenirs à Milan, à Florence et à Vérone aussi, qui sont de véritables joyaux. Rome de la dolce vita et la magnifique Palerme me plaisent énormément. Mais c’est de Naples que je suis amoureux. J’ai eu un véritable coup de foudre pour Naples la première fois que je m’y suis retrouvé, en juillet 1994, piazza Dante. Il m’a semblé que je connaissais cette ville depuis longtemps, que je l’avais déjà traversée dans mes rêves, et, mystérieusement, je m’y suis tout de suite senti chez moi. Ce sentiment n’a, d’ailleurs, jamais cessé ; aujourd’hui encore, plus qu’à Paris même, c’est à Naples que je me sens le plus chez moi. Je me sens Napolitain de cœur. Comme Stendhal voulait que l’on écrive sur sa tombe qu’il était Milanais, j’aimerais qu’on écrive sur la mienne que j’étais Napolitain.
Venise, Turin (Falso padre), Capri et Naples apparaissent dans plusieurs de mes romans, notamment dans La moglie infedele, que je voulais intituler au début : Capri souvenirs, du nom d’une boutique donnant sur le port de Capri. Ce ne sont pas seulement des lieux de mémoire pour moi, ce sont des lieux familiers. J’ai déjà commencé de prendre des notes pour un livre sur Naples.
Je connais mal la littérature italienne contemporaine. Le premier roman d’Elena Ferrante, L’amore molesto (L’amour harcelant), comme son ambitieuse trilogie napolitaine m’ont intéressé. Les livres d’Erri de Luca également. J’ai le souvenir d’une lecture enchantée d’Un jour avant le bonheur et d’Au nom de la mère. J’ai fait sa connaissance lors d’une conférence à l’institut français de Naples, il y a quelques années. A lui, le Napolitain exilé, le fils de Montedidio, j’avais dit combien j’étais amoureux de sa ville, Naples, une ville merveilleuse, extraordinaire ; et il m’avait répondu avec un air malicieux, toute moustache remontée : «Ne le dites surtout pas aux Napolitains, ils risqueraient de le croire ! ».
Sinon, j’aime beaucoup Pavese, Moravia, Elsa Morante, et le magnifique poète Ungaretti. Je me récitais un de ses vers lorsque j’étais étudiant: «Chi sono io? Se non un grande sogno oscuro[…]».
En dehors des grands noms de l’histoire de la littérature française, Balzac, Zola, Maupassant, en Italie, nous connaissons la littérature contemporaine française surtout à travers le succès mondial de Michel Houellebecq. Je voudrais vous demander votre opinion sur cet auteur.
La littérature française contemporaine continue de produire des œuvres intéressantes, comme celles de Patrick Modiano, Annie Ernaux ou Michel Houellebecq, en effet, qui, en ce qu’elle conjugue l’étude de mœurs réalistes (Extension du domaine de la lutte, La possibilité d’une île, Plateforme), l’étude socio-philosophique (Particules élémentaires, La Carte et le Territoire) et sa capacité prophétique (Soumission), s’apparente à une nouvelle comédie humaine et fait de l’auteur de Présence humaine notre Balzac post-moderne.
Lisez-vous beaucoup? Préférez-vous la littérature française ou bien, il y a des littératures étrangères dont vous appréciez la production? Pouvez-vous donner le nom d’auteurs étrangers que vous appréciez?
J’ai beaucoup lu mais je suis moins curieux qu’autrefois, moins avide de lecture, je ne lis pas du tout de la même façon qu’autrefois. Le plaisir n’est plus de même nature, il n’est plus dans le divertissement mais il est surtout intellectuel. Il livre dont le but est de me divertir ne m’intéresse pas. J’ai eu une période où je lisais beaucoup d’écrivains américains, ceux de la génération perdue surtout. J’ai adoré Hemingway, Carver et Steinbeck. A une autre période, je lisais la littérature portugaise, et je reste un grand admirateur de Fernando Pessoa, sur lequel j’ai écrit un essai. J’aime la littérature russe aussi, Dostoïevski et Tchekhov.
D’après vous, l’adaptation cinématographique de Pas son genre a-t-elle contribué au succès de votre œuvre? Que pensez-vous de cette adaptation?
Je ne crois pas, car le roman est sorti bien avant -trois ans- avant l’adaptation cinématographique. Disons que le film a permis de donner un éclairage important sur mon travail et sur l’édition de poche. Mais les spectateurs ne sont pas forcément attentifs au fait que le film soit une adaptation de mon roman, même si la mention figure sur l’écran de manière très visible au début du film, et même si je fais une apparition dans le film. Il n’est pas rare d’ailleurs que des personnes que je rencontre me disent avoir vu le film sans savoir que c’était moi qui en étais l’auteur. Le film est une adaptation remarquable, très fidèle de mon roman, qui raconte la même histoire, mais d’un point de vue différent : le réalisateur, Lucas Belvaux raconte l’histoire depuis un point de vue assez neutre –même s’il est plutôt orienté vers la coiffeuse- et moi je raconte l’histoire depuis le professeur de philosophie. La différence de point de vue change beaucoup de choses.
Quelles sont les valeurs et les défauts de la littérature française contemporaine?
Ce serait là engager une discussion trop longue et je renvoie ceux qui sont intéressés par la littérature française contemporaine à mon essai, La littérature sans idéal. Disons, en substance, que la littérature contemporaine a tendance à obéir aux lois du marché, qu’elle s’adapte à la demande en offrant et en promotionnant avant tout une littérature divertissante, répondant à des sujets standardisés (elle vulgarise des vies de célébrités et des événements historiques). Elle est devenue une littérature du sujet au détriment d’une littérature de style. L’écriture proprement dite prend de moins en moins d’importance. Savoir écrire n’est plus une nécessité pour devenir écrivain aujourd’hui, il suffit de trouver un bon sujet, sensationnel, dont les médias pourront s’emparer.
L'articolo “La scrittura è la mia maledizione”: intervista a Philippe Vilain, il romanziere che conosce l’arte di amare proviene da Pangea.
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