#nulla contro di lui anzi
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sigh...
#nulla contro di lui anzi#attore fantastico#ma non ce lo vedo manco a morire come edmond#mi spiace ma ha la faccia di chi sa cos'è un computer#e dico ciò come fan del libro#adesso non riuscirò a smettere di pensarci#ho bisogno che mi sedino#la rai e i francesi mi devono sopprimere perché se no non riuscirò mai più a smettere di dire il quanto mi faccia cagare al cazzo sta cosa#l'ultima speranza è che alla fine (nonostante i casting) lo show sia buono (omiammazzo)#ma sono speranzosa#da qui in poi si può solo peggiorare#the count of monte cristo
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kvara si rende conto che forse la rivalità che sente per davide non è esattamente platonica. enjoy!
Lui non era mai stato un tipo molto aperto, anzi, fin da piccolo era stato un ragazzo di poche parole, che faticava a fare amicizia con gli altri. Impacciato, taciturno, goffo.
Khvicha non aveva molti posti nel mondo da chiamare casa. Certo, c'era la sua terra natale, ma ormai la Georgia si trovava a migliaia di kilometri si distanza da lui. E quella grande e strana città nella quale ora viveva, dove tutti lo trattavano come un dio, dove inneggiavano il suo nome e dove avevano esposto foto, bandiere e murales con la sua faccia e quelle dei suoi compagni, non poteva certo essere considerata davvero casa, o perlomeno non ancora. Si sentiva più come un re nel suo palazzo dorato pieno delle sue chincaglierie: bello, anche divertente viverci, ma gli mancava quel calore, quella familiarità che solo un posto che veramente si considera casa potrebbe dare.
Ma il campo. Il campo da calcio era tutta un'altra storia.
Forse era lì, solo lì, che si sentiva veramente nel luogo dove poteva essere completamente libero. Senza paranoie, senza pensieri. Gli bastava avere un pallone tra i piedi e nient'altro per tornare a respirare con leggerezza. Per tornare a sentirsi di nuovo vivo.
E non c'era momento in cui si sentiva più vivo che durante i big match, quelli contro le altre grandi squadre, quelli che contavano davvero, quelli dove giocano i fuoriclasse che ti spingono a dare il meglio di te per non esserne da meno, che ti fanno sudare ogni centimetro conquistato, ogni pallone, l'adrenalina alle stelle.
Era da poco più di un anno al Napoli, eppure già si era scontrato con alcune delle più grandi squadre europee, contro diversi calciatori che gli avevano dato filo da torcere e che gli avevano regalato la soddisfazione di un vero duello.
Eppure.
Eppure c'era qualcosa di diverso con quel Calabria.
Dal primo momento in cui si erano ritrovati faccia a faccia, con lo sguardo intenso dell'altro completamente concentrato su di lui, Khvicha era stato investito da una scarica di adrenalina diversa dalle altre. Era come se Calabria fosse il suo doppio, anticipava quasi ogni sua mossa, gli era costantemente col fiato sul collo. Khvicha era suo, e non se lo sarebbe fatto scappare per nulla al mondo.
Anche questo primo scontro di stagione non era stato diverso. Khvicha avrebbe mentito se non avesse ammesso di aver aspettato con ansia proprio il momento in cui lui e Calabria si sarebbero di nuovo ritrovati sullo stesso campo.
Alla fine però, questa volta, nessuno dei due aveva davvero vinto. Un pareggio, forse evitabile, forse no, ma comunque un pareggio. La frustrazione gli bruciava dentro. Aveva deluso i loro tifosi, per giunta in casa, e se solo quella palla fosse entrata in porta all'ultimo momento, allora –
«Hey, great match!»
Khvicha si girò verso Calabria. Gli si stava avvicinando ancora col fiatone, ma con un sorriso compiaciuto sulle labbra. Inspiegabilmente, il suo primo, irrazionale pensiero fu che gli mancava vederlo coi suoi vecchi capelli ricci.
Scosse la testa. «Yeah, you've been very good, man» gli rispose, ricambiando il sorriso.
Questa volta Calabria rise di gusto. «You're pretty good yourself!» disse, per poi avvicinarglisi ancora di più, a braccia aperte. E per quanto solitamente lui non fosse il tipo da contatto fisico ravvicinato con persone che conosceva poco, aprì a sua volta le braccia e ricambiò l'abbraccio senza un attimo di esitazione. Poteva giurare di sentire Calabria sorridere mentre gli stringeva un braccio intorno alle spalle, la mano che si alzava ad accarezzargli la testa.
Una calda sensazione che proveniva da qualche parte nella sua pancia gli risalì fino al petto. Cercò di ignorarla, focalizzandosi solo sul calore dell'abbraccio dell'altro. Respirò a fondo l'odore di sudore dell'altro per calmarsi. Sudore, erba falciata, terreno umido: quelli erano gli odori del campo, odori di casa, che non mancavano mai di farlo stare meglio. Calabria sapeva di tutti questi messi insieme, e di un altro odore che non riusciva a classificare ma che doveva essere semplicemente lui. Era un buon odore, pensò.
Quando si separarono – e oddio, quanto tempo era passato? Gli era sembrata passata un'eternità, ma dovevano essere stati solo pochi secondi – Calabria gli stava ancora sorridendo, tutto denti. Khvicha notò che quando sorrideva gli si formavano delle rughe di espressione intorno agli occhi. Perché le trovava adorabili?
Dopo un attimo di quella che per un momento gli era sembrata esitazione – doveva essere un abbaglio, esitazione per cosa? – Calabria si allontanò, salutandolo con una mano. «To the next match!» urlò, prima di raggiungere i suoi compagni.
Khvicha restituì il saluto, anche se ormai non gli stava più prestando attenzione. Al prossimo match, di nuovo. Sarebbero passati mesi prima di riscontrarsi. Non era una novità.
E allora perché il cuore gli si era stretto in petto a sentire quelle parole?
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Khvicha non aveva idea del perché, ma quell'abbraccio era stato ripreso da praticamente tutti gli account sportivi italiani.
Cioè, era solo un abbraccio. Un sacco di avversari si salutano alla fine di una partita, no? Però tutti sembravano voler elevare quel momento a picco massimo della sportività tra due avversari, per qualche strana ragione. Forse era proprio perché la rivalità tra lui e Calabria era ormai nota, e quell'abbraccio a qualcuno poteva essere sembrato strano per quello. Sbuffò. Per certe persone era davvero difficile distinguere la rivalità sul campo dalla vita vera. Lui era esattamente l'opposto, e una rivalità così sentita non poteva portargli altro che avere maggior ammirazione del suo avversario, e quell'abbraccio non ne era stato che la naturale conseguenza. Semplice rispetto reciproco. Nulla di più.
Il fatto che si fosse andato a cercare e salvare tutte le angolazioni possibili in cui i giornalisti avevano scattato quel momento era un altro discorso. Era un bel ricordo da mantenere, ecco tutto.
Fu proprio mentra scollava il feed di Instagram che si accorse che Calabria aveva messo una nuova storia. Toccò l'icona rotonda colorata senza neanche pensarci su e si ritrovò davanti la foto di loro due che si abbracciavano, con la caption Respect.
Di nuovo quella sensazione di calore in fondo allo stomaco. E stava pure sorridendo come un deficiente.
Mise un cuore alla storia e gli mandò un messaggio.
Respect to you too, brother
It was a fun match
Chiuse Instagram e bloccò lo schermo del telefono. Aspettò la bellezza di dieci secondi netti prima di sbloccarlo di nuovo per controllare se ci fosse un messaggio di risposta. Ma che cazzo gli stava prendendo.
Stava per ribloccare il telefonino e andarlo a chiudere a chiave in un cassetto per non toccarlo mai più, quando il suono di una notifica echeggiò per la stanza. Erano due messaggi di Calabria.
Li aprì subito.
It's always fun to play against you! 😉
I wish we could do it more often... ☹
Oh. Quindi anche a Calabria mancava scontrarsi con lui. Sentì il cuore iniziare a battere più forte.
Me too
Si fermò un secondo, poi aggiunse un altro messaggio:
I really like how we fit together on the field
Ecco, l'aveva inviato. Oddio, sperava di non essere andato troppo oltre con quel commento. E se avesse frainteso? Se gli avesse dato fastidio? Se –
Oh you bet we fit well together 😉
Khvicha dovette ripetersi più volte che stavano parlando solo ed esclusivamente dei loro scontri sul campo di calcio. Nient'altro.
Uno scontro sul campo particolarmente allusivo.
Cazzo cazzo cazzo.
Il suono di una nuova notifica gli evitò un crollo mentale imminente riportandolo alla realtà.
How about we see each other for a rematch next time we both have a free day? I could come to Napoli or you could come to Milano
What do you think? 😁
Khvicha rilesse quelle parole.
Cosa ne pensava? Pensava che forse, forse, quello che provava per Calabria non era solo ammirazione da avversario e che forse aveva un principio di infatuamento...
(Ripensò ai suoi occhi azzurri, ai suoi capelli ricci, al suo sorriso che gli arrivava fino agli occhi: forse il forse era un eufemismo)
...e forse questo suo infatuamento era ricambiato.
I would like that very much, Cala
La risposta arrivò dopo qualche istante.
❤
And please, call me Davide 😉
Khvicha sorrise. Forse poteva anche trovarsi a migliaia di kilometri da casa sua, ma chi lo diceva che non se ne poteva costruire una nuova dalle fondamenta?
Thank you, Davide
#kvalabria#DOVEVO scrivere qualcosa su sti due dopo i recenti risvolti#risorgo dopo millemila anni apposta per loro <3#non so perché ma davide me lo immagino un tipo molto flirty che usa un sacco le emoji asahdksdsf
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Cosa ne sarà di Julian Assange? In queste ore l’Alta corte di Londra sta decidendo e potrebbe anche accogliere richiesta di estradizione avanzata dagli Stati Uniti. In questo caso potrebbe essere condannato a 175 anni di carcere, accusato di aver sottratto documenti attinenti alla sicurezza nazionale e di aver messo in pericolo la vita di migliaia di soldati impegnati in Afghanistan e in Iraq. Tesi smentita persino dal relatore Onu sulle torture e i diritti umani, Nils Melzer, nel suo Storia di una persecuzione. Mai come in queste ore bisogna continuare a vigilare e a tenere accesi i riflettori. La vera accusa contro Assange riguarda la sua attività di giornalista che ha rivelato i trucchi e le bugie usate dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna per provocare guerre, torture, commercio delle armi. Lo hanno accusato di essere una spia, ma di questo non c’è traccia nei capi di imputazione, allo stesso modo sono naufragate le accuse “prefabbricate” di stupro e violenza sessuale. Sono persino arrivati negare la sua attività pubblicistica. Peccato che Assange abbia ottenuto tale riconoscimento anche dalla Federazione mondiale dei giornalisti, dal sindacato europeo, da oltre 20 associazioni europee, dall’Ordine e dalla Federazione della stampa, dalla associazione Articolo 21. Peccato che persino i giornali che lo hanno attaccato si siano recati in ginocchio a supplicare di avere documenti da lui rintracciati. Peccato che la stessa Corte europea abbia sancito che un giornalista abbia il diritto, anzi il dovere, di pubblicare qualsiasi notizia, comunque ottenuta, che abbia i requisiti del pubblico interesse e della rilevanza sociale. Sfidiamo chiunque a dimostrate che i documenti rivelati non avessero questi requisiti. Quelle contro Assange sono accuse politiche. Vogliono colpirne per diffidarne cento, per ammonire preventivamente chiunque avesse voglia di cimentarsi con il giornalismo di inchiesta e di ficcare il naso nelle guerre, nel commercio delle armi, nei rapporti indicibili tra gruppi terroristici e Stati. Provate a pensare cosa potrebbe saltare fuori da una indagine, simile a quelle condotte da Assange, applicata ai conflitti in atto, in Ucraina, nella striscia di Gaza, nello Yemen, nella repubblica democratica del Congo, in Birmania… Non vogliono “oscurare” solo Assange, ma vogliono soffocare quello che resta del giornalismo di inchiesta, diventato il vero nemico dei regimi, delle oligarchie delle mafie, di quanti hanno bisogno del buio per rubare e uccidere. Vogliono colpire anche il diritto dei cittadini ad essere informati perché quello che Assange ha rivelato ha clamorosamente ha confermato le ragioni di quei milioni di donne e di uomini che, in tutto il mondo, avevano protestato contestando proprio menzogne, bugie, dossier prefabbricati, finti arsenali. Forse questo è il vero motivo di tanto accanimento. Vogliono punire Assange per punire chi ancora si oppone e a guerre e terrore. Per questo abbiamo il dovere di continuare a vigliare, per impedire che i giudici di Londra possano decidere all’improvviso e spedirlo, seduta stante, negli Stati Uniti. Non sarebbe la sua sconfitta, ma la nostra sconfitta, anche di quei giornalisti che, senza nulla sapere e nulla leggere, continuano a sparare alle sue spalle.
Beppe Giulietti –via: il fatto quotidiano
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La realtà
Volevo fare una passeggiata ma mi hanno interrotta. La vicina ha cominciato a parlare e parlare e parlare, poi è arrivata l'amica ottantenne della nostra condomina più anziana e anche lei a parlare parlare di come si sia cresciuta quattro nipoti contemporaneamente e da sola, di come ora a ottant'anni non abbia nemmeno un dolorino, anzi, nemmeno mezzo...e io ci credo perché la vedo nell'orto, da casa dei miei genitori, dalla mattina alla sera, piegata in due come un portafoglio; non s'inginocchia lei, non si tocca la schiena, non fa pause. Lavora. Piegata in due. L'unica cosa è la sera, una grande solitudine e malinconia, ha detto, perché sono sola; per questo cerco di stare in casa il meno possibile. È già abbronzata, ha già raccolto i "bruscandoli" e li stava portando alla sua amica (sta chiusa in casa tutto il giorno, poverina, ed è un anno più giovane di me, ha detto). Ci ha parlato dei figli, delle gare di sci, del vischio e dell'uomo che glielo regala. Volevo passeggiare mezz'ora prima di andare a prende mia madre, avevo voglia di vedere il mio nuovo amico un cagnolino solo, sempre seduto sotto il portico della casa nuova. È bianco e nero; quando passo mi fissa un istante da lontano e poi balzella fino alla recinzione guardandomi attraverso tutto quel pelo che gli copre gli occhi. Mi guarda solo un istante e poi sbatte la schiena contro la rete per farsi accarezzare. Si gode le coccole e si gira come sul girarrosto; un po' sulla schiena, un po' di fianco un po' sulla testa. Ha il pelo sporco e non gli tolgono mai la pettorina da guinzaglio, mi dispiace tanto ma sono felice venga in contro al piacere di una carezza. L'ottantenne è sola, il cane è solo, anche il condomino qui affianco è solo. La moglie l' ha lasciato, all'improvviso dopo trent'anni. Era bella, bionda, elegante, leggiadra, lunatica e un po' antipatica; non la vedevo da tempo ma credevo fosse colpa del lavoro e di questi cazzo di uffici dai quali ci facciamo fagocitare e invece se n'è andata con un altro. Ci ha lasciati un po' tutti, in realtà, perché un condominio di sei unità è come una famiglia allargata. Lei era "la bella", quella da senso d'inferiorità perché con il marito, le figlie, il nipote, il lavoro, la palestra, le lavatrici sempre a girare e i capelli da asciugare, era comunque perfetta: lavava le scale, puliva ogni giorno la terrazza, lavava la macchina e ora più nulla di tutto questo. Chi se ne va è come se morisse, se ne parla al passato. Invece è viva e vegeta e ora starà di sicuro meglio, finalmente, si godrà la vita, un nuovo amore e la primavera che arriccia i pensieri. Lui, invece, è qui affianco, dimagrito, lo sguardo un po' spento. Vedovo. È sola l'ottantenne alla sera, è solo il cane tutto il giorno, è solo F. qui affianco, forse che la solitudine mi stia parlando? Non so. Ci sarà sicuramente qualcosa da capire. Ho delle amiche che scrivono poesie, a volte le capisco e a volte no, ma c'è chi dice che la poesia non si debba per forza capire, può essere anche solo un ritmo, un disegno, un colore...una volta anche io la pensavo così ora no. Preferisco capire o, perlomeno, sentire qualcosa. Le amiche oggi hanno presentato due libri, eravamo in tanti: dal soffitto della libreria scendevano testi dondolando su cartellini chiari, guardavamo tutti all'insù, era strano, sembravamo proprio esseri umani che leggono delle idee, che assaporano visioni. Bello. Gente. Parole scritte e parlate, sguardi, baci, rincorse di mani a sentire la carne con la carne, toccare. Ho bevuto un rosé, sorriso a sconosciuti, rivisto conosciuti che non vedevo da tempo. Mamma ha comprato un tailleur color inchiostro, io due libri. Mi hanno riportata a casa presto, le stelle erano appuntite, in salotto mi aspettavano cose da leggere e invece sto scrivendo. Ieri notte ho sognato te, ho sognato che dormivamo abbracciate strette, talmente strette che non c'era spazio fra noi, tutto combaciava. Eravamo una. Il sogno è la realtà, basta saperla vedere.
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Gli ambidestri
Peggio del governo Meloni che fa cassa sui poveri ci sono solo il Pd e le sue proiezioni editorial-giornalistiche, che difendono il Reddito di cittadinanza e il salario minimo solo perché il governo Meloni non li vuole. Ma fino all’altroieri li attaccavano solo perché erano bandiere “grilline”. Nel 2018-’19 il Conte-1 varò il Rdc coi voti favorevoli di M5S e Lega e quelli contrari di FI, di FdI e pure del Pd, che lo osteggiava con gli stessi argomenti oggi usati da Meloni&C. senza neppure pagare i diritti Siae. Zingaretti tuonava contro “la pagliacciata del Reddito di cittadinanza che nessuno sa cos’è”. Boccia lo definiva “una grande sciocchezza che aumenterà solo il lavoro nero. Il tema vero è come creare lavoro”. E la Camusso: “No al Reddito di cittadinanza! Quelle risorse vengano usate per trovare lavoro”. Oggi i destronzi hanno buon gioco a rinfacciare al Pd di aver detto prima di loro le stesse cose. E la risposta non può essere che allora comandava Renzi e ora c’è la Schlein: perché Renzi la guerra ai poveri la faceva allora come oggi; e soprattutto perché Zinga, Boccia e Camusso ora stanno con la Schlein. Basterebbero tre paroline: “Ci siamo sbagliati”. Che andrebbero stampate a caratteri di scatola su Repubblica, che all’epoca dipingeva il Conte-1 – il governo che più ha dato ai bisognosi in trent’anni – come una robaccia di estrema destra. Rep titolava: “Un terzo degli italiani guadagna quanto il Rdc”, che dunque andava abbassato per non far concorrenza reale ai salari da fame. E l’Espresso di Damilano: “Per gli elettori del Pd il Rdc è peggio del condono fiscale”. Ancora il 20 luglio 2022, quando Draghi attaccò i 5Stelle sul Rdc in Senato, il Pd gli votò la fiducia da solo e Rep lo santificò. Facevano così su tutto. La blocca-prescrizione Rep la chiedeva da un quarto di secolo, ma siccome la fece Bonafede diventò un obbrobrio che “calpesta i fondamenti di uno Stato di diritto”, “giustizialismo”, “barbarie”, “Inquisizione” (Cappellini, noto giureconsulto). Il Recovery quando lo lanciò Conte era una ciofeca: “È isolato in Europa”, “Non lo otterrà mai”, “Meglio i 36 miliardi del Mes”. Poi ne arrivarono 209 e tutti fischiettavano. Ora accusano Conte di non aver battuto i pugni sul tavolo per ottenere meno soldi. Il salario minimo, siccome lo proponeva il M5S e non piaceva ai sindacati, era odiato dal Pd e da Rep: grandi peana al Pnrr di Draghi che l’aveva levato dal Pnrr di Conte. Ora tifano salario minimo e rintuzzano ogni giorno gli argomenti contrari del governo, che però sono gli stessi che usavano loro. La Meloni non deve inventarsi nulla: le basta copiare gli avversari. Che, come diceva Lenin dei capitalisti, le hanno venduto la corda a cui impiccarli. Anzi, gliel’hanno regalata.
Marco Travaglio
Travaglio è implacabile perché conserva gli articoli degli altri giornali. Lui è la memoria giornalistico/politica del nostro paese, e la memoria è sempre pericolosa.
Rimarco la definizione "destronzi": 👏.
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TOUCH ME...
Le sfioro il cuIone e, nonostante la montagna di anni che mi porto sulle spalle, la cosa non passa inosservata ai piani bassi.
Abbiamo passato una vita insieme. La verità è che mi auguro di poterle toccare il sedere anche nel corso della prossima.
Lei sorride compiaciuta, malgrado questo mio gesto da teenager in calore sia di cattivo gusto, soprattutto in pubblico.
I nostri figli sono diventati genitori, e i loro figli - i nostri nipoti - sono già alle prese con i primi amori, corrisposti e non, come da copione.
Non sento più come una volta. Sessant'anni fa il rumore prodotto dalle onde contro gli scogli era la mia sveglia mattutina. Oggi, se voglio fare due chiacchiere con gli amici, devo infilarmi uno stupido aggeggio nell'orecchio, una specie di alveare impiantato nel cervello.
Con lei è diverso.
Ci parliamo con gli occhi, noi due.
Basta uno sguardo ed è già tutto chiaro, poche parole, solo quando è necessario. Praticamente mai.
Dopo cinquant'anni di matrimonio, almeno un milione di sacchi di immondizia gettati nei cassonetti e altrettanti rimproveri per non aver fatto ciò che dovevo, o per averlo fatto in modo sbagliato, siamo ancora qui, nel pub di un paesino di provincia a bere birra, mentre il sabato pomeriggio sfuma lentamente nella sera.
Parlano di qualche mese.
Tre, forse addirittura sei. Probabilmente quattro. So che non dovrei prendermela troppo, in fondo ho vissuto a sufficienza.
Ci sono migliaia di bambini che muoiono ogni giorno, proprio ora, in questo preciso istante. Se potessi regalare a ciascuno di loro un po' dei miei anni passati, beh, me ne andrei via più tranquillo.
Ma non è così che funziona.
Perché non esiste alcun contratto dove sta scritto che la vita è una questione di numeri. Non esiste alcun contratto, in verità.
Lei non lo sa ancora. Non ho il coraggio di dirglielo.
Come si reagisce alla notizia che il tizio con cui dormi da più di mezzo secolo, tra qualche mese sarà solo un cuscino vuoto? Non lo so.
Ho paura. Non solo per me, anzi, soprattutto per lei.
La verità è che non siamo fatti per morire.
Lo so che sembra un ragionamento infantile, ma vi posso assicurare che le cose stanno proprio così.
Ogni giorno vivi la vita ai cento all'ora con una voglia matta di alzare il piede dall'acceleratore. Poi, senza alcun preavviso, si accende la spia rossa e sei costretto a fermarti per fare rifornimento. Quando sali di nuovo in macchina e giri la chiave, però, non accade nulla. Il motore non ruggisce più. È morto.
Ma com'è possibile? ti chiedi. Stavo viaggiando alla velocità della luce fino a un attimo fa. Avevo dei progetti, degli assi nella manica da giocare al momento giusto, e ora mi ritrovo con le mutande calate all'altezza delle ginocchia in attesa di essere punito per chissà quale colpa.
Credetemi: anche a ottant'anni si fanno progetti. E uno di quelli più ricorrenti, ironia della sorte, è quello di non morire.
Comico, no?
«Ci facciamo un altro giro?» mi fa lei.
La osservo e sorrido. È bellissima. Con il vestito a pois e gli occhiali in tinta.
«Perché no!» esclamo. «In fondo...» Lascio la frase a metà e lei aggrotta le sopracciglia.
Forse ha capito.
Forse no.
Forse... chissà.
Faccio segno al barista di portarne altre due.
Lui annuisce.
- Hai ancora un gran bel cuIo - le dico aggiustandomi il berretto.
Lei sorride.
Una carezza sulla guancia.
Chiudo gli occhi e mi preparo al prossimo giro.
Di Birra.
Di Vita.
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Ogni giorno pubblico sulla pagina un racconto breve ispirato da un'immagine. Unisciti a noi!
(Illustrazioni by Pete McKee)
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Che bello cercare di spiegare alla popolazione di Twitter che non sono le donne a doversi tutelare dagli stupratori ma sono gli uomini a dover cambiare assetto. E guai a citare i genitori che probabilmente hanno regalato delle mancanze nel sistema di cura di questi ragazzi/uomini che compiono gesti atroci. Mai che un genitore sia colpevole di qualcosa, sono sempre perfetti, poi se il figlio ha +18anni tutto si annulla ed è responsabile unicamente lui dei suoi comportamenti (sarebbe così facile se fosse così).
Ma poi che, non sai che se lasci la porta aperta e i ladri ti entrano in casa è un po' anche colpa tua? Cioè dove vuoi andare a vivere la tua vita libera se un uomo non è in grado di controllare le proprie pulsioni? Cioè sei tu donna infima che devi tutelarti, non io uomo potente, dominatore della specie che devo imparare a rispettare i limiti intrapersonali e accettare il rifiuto. Va contro le leggi della virilità.
Oppure non sapete che esistono anche menti deviate? Perversi? Il male esiste a meno che tu non viva in una società utopica. Cioè pazzesco, nuovo premio Nobel. Ci sono persoane che mettono in atto comportamenti disadattivi e lesivi nei confronti di altri, ma non è normale che siano messi in atto da un genere verso l'altro con un trend come il nostro. Questo continuo tentativo di depersonalizare il carnefice non fa altro che togliergli colpe e giustificarlo, annoverarlo come deviato e amen, non si può fare nulla. Sei tu, donna, che devi tutelarti perché gli uomini sono deviati, ed è così per conformazione cranica e per motivi biologici non perché abbia dei traumi irrisolti o perché non ha appreso il processo di cura. È solo deviato. Facile, no? Loro continuano ad abusarci ed infliggere traumi, ma non è colpa di nessuno. Anzi sì, è colpa della donna incapace di anticipare i comportamenti deviati e incapace di tutelarsi.
Per quanto dovrò sentire ancora questi discorsi? Per quanto le donne vittime di violenza da parte di uomini saranno incolpate di non averci pensato, di non essersi tutelate? Perché questi discorsi vengono fatti anche da altre donne e soprattutto perché le persone non capiscono la causalità dei questa relazione?
Sono davvero stanca, davvero davvero, perché è sempre colpa nostra?
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Nessuno tocchi l'attaché
Le sedi diplomatiche non si toccano. E' una conquista di civiltè, non conta quel che ci faceva il pasdaran gestore di morte spedito d'uopo alle sue 72 vergini.
RESTIAMO UMANI e condanniamo le bestie che osano far questo.
Tanto tocca sentir dire da chi invece non gli è venuto nulla da dire quando quelli che l'Olocausto non esiste ma il genocidio de Gazza si, smembrarono neonati nelle nursery, stuprarono ragazzine, rapirono civili e filmarono tutto in diretta per parenti e amici giubilanti.
Anzi, qualcosa da dire l'hanno avuta: ve la siete cercata e provocata, ebrei adunchi plutocrati usurai colonialishti. Pacata considerazione razionale davero. "Tra gli ebrei nemmeno i bambini sono innocenti" - cit. troione inchiavabile persino da arabi in piazza a Milano.
Senza vergogna.
nb.: questo non è benaltrismo, non è tifo per o contro. All'opposto, è ricordare ai tifosi da salotto, quelli che finalmente (!!!) si può parlar male di Israele (già lo faceva tuo nonno e tuo padre, caro Mona Odifreddi), che à la guerre comme à la guerre o, per i più piccini: chi la fa l'aspetti.
Nessuno può far la verginella, soprattutto chi li pesti per primo 'sti merdoni. Vale anche per Putain preso con le braghe calate dall'Isis "armata dagli ucragni e finanziata dalla Cia", carramba che sorpresona, lui che non arma mai nessuno dal Caucaso alla Crimea passando per la Siria; idem vale per il suo contraltare Proxy Zelenskji.
Prima legge dell'Universo: azione e reazione, ogni cosa che si fa ha conseguenze (cit. The Merovingian): vale per tutti, non è così complicato da capire.
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Un anno.
Un anno e cinque mesi.
Non avresti mai pensato di riuscire ad arrivare ad un anno di relazione.Riuscire ad affrontare cose più grandi di te.
Riuscire ad entrare in una relazione per te era difficile, ma sei riuscita ad entrare in una nuova famiglia, a convivere, a badare due bimbi che ormai appena ti vedono ti chiamano “zia Len”. E se non ti chiamano così ci rimani male, pensi che non ti vorrebbero più come zia, ma invece è solo frutto della tua immaginazione. E sai benissimo che non ti chiami così, ma il modo in cui lo dicono che ti fa sorridere che ti piace tanto. Sei riuscita ad andartene da quel tuo mondo tossico. Ad allontanarti dalla persona più tossica che esista nella tua vita. Ti ha fatto male, ti ha ferita, insultato, allontanato, ma più di tutte, ti ha delusa come madre. E dopo mesi hai messo tutto da parte, ti sei fatta piccolina ma tanto forte e l’hai perdonata. E ti sei detta di averla perdonata, ma non dimentichi nulla, non dimentichi le parole che ti ha urlato o il modo in cui ti ha cacciato di casa, non dimentichi come ti ha trattato. Un mese dopo averla perdonata, ti ha rinfacciato le stesse identiche parole di mesi passati, anzi addirittura ha elogiato in alto un ragazzo con cui ti “frequentavi”, all’epoca non era buono, adesso lo è perché trova il tuo attuale fidanzato “ignorante”, lui non mi renderà felice. Per lei la felicità sarà sempre una persona con i soldi, nient’altro. Aspetta da una vita l’uomo della sua vita, ma intanto cambia e scambia, fa affezionare, fa la dolce e poi quando si stanca che vuole altro o vorrebbe una persona con i soldi che la mantenesse, va via.Hai finalmente affrontato la paura dei pullman e dei treni, hai scoperto che ti piace viaggiare con il treno. Hai scoperto il mondo del lavoro, ti ci sei buttata. Hai affrontato sfide che neanche tu immaginavi. Hai affrontato la sfida più grande, prendersi un negozio di toelettatura in gestione, e preoccuparsi di tutto da sola. L’hai affrontato per un mese, ma in quel mese ti sei subita critiche, delusioni, fraintendimenti, e per di più pensavano che fossi un robot e non una persona umana. Hai mollato, e non te ne sei mai pentita. Hai preso la decisione di mollare il tuo primo lavoro. Avendo tua madre contro a questa decisone, ma per te non è stata una novità. Non te ne sei mai pentita perché tu credi o credevi in questo lavoro.Hai messo da parte tutto e hai scelto per la seconda volta, la tua salute mentale.Hai affrontato, finalmente, la paura di indossare gli occhiali. Grazie ad una dottoressa che ti ha saputo visitare, ha saputo metterti a tuo agio, e ti ha confermato che gli occhiali che avevi, avevano sbagliato a farli. Adesso porti gli occhiali e ne vai fiera. Ne vai fiera perché, perché si, ci vedi, e anche molto bene, hai una montatura che hai sempre sognato. Adesso se non indossi gli occhiali, ti sembra tutto così strano. Hai trovato un altro lavoro, ti ci sei trovata subito bene, hai fatto amicizia, erano così simpatiche le persone lì dentro vero? O era solo apparenza? Ti hanno licenziata dopo due settimane. Ebbene sì, nella vita ti puoi licenziare e ti possono licenziare.Ti hanno licenziata perché, ti avevano promesso che ti avrebbero formata in questo lavoro, stava andando bene, o stava andando bene solo nella tua testa? Erano così gentili vero, poi un giorno che ti prendi la febbre e non ti presenti a lavoro, ti mandano un messaggio dicendo che oltre Te, il pomeriggio avevano fatto venire un’altra ragazza.Questa ragazza faceva già parte di questo mondo, aveva già lavorato, questa ragazza è più formata di te, sarà più brava di te? Ci sei rimasta male che ti hanno licenziata o che ti hanno dato la notizia tramite un messaggio, in un giorno in cui non eri a lavoro? Ti avevano promesso che ti avrebbero aiutata a trovare casa nei dintorni, che la “signora” ti sarebbe venuta in contro in un qualsiasi tuo problema, e poi? Poi boom, come se tutto quello che era successo in quei dieci giorni, fosse stato solo un sogno.Ci sei rimasta tanto male, hai pianto.Ci sei rimasta male più qui, che quando ti sei licenziata nell’altro.Ci sei rimasta così male, che credi che questo lavoro non faccia per te.Per non finire ti hanno diagnosticato un qualcosa a cui non vuoi credere.
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Sabato scorso sono andato al cinema a vedere finalmente “Beau ha paura”. Alla fine dei titoli di coda, stavo ancora seduto alla poltrona sconvolto, atterrito, stordito. Sedotto. Questo film è meraviglioso. Ari Aster si conferma uno dei migliori registi odierni. La trama è semplice: Beau e un uomo che vive da solo, seguito da uno psicologo, e che un giorno deve andare a trovare sua madre che vive lontano da lui. Tutto qui. Un film che parla di ansie. Di relazioni malate coi propri genitori. Di paura di vivere, di scegliere, di ignavia, di incapacità di prendere decisioni. Del dover sempre cercare la guida ed il consiglio degli altri. Di società, di cattiveria, di ignoranza. Di sessualità, della paura di questa. Di sogni, di desideri, di futuri alternativi. Di tutto questo e di molto ancora...e Aster scegliere il genere perfetto per girare un tale calderone di emozioni. Ho letto in giro recensioni che classificano questo film come “commedia”, altri come “horro”: no. No, sbagliano... è sia questo, sia ben altro. Il genere corretto è “Grottesco”.
Beau ha paura sono tre ore di film di genere Grottesco, dove la tua mente viene messa ora a dura prova, ora viene sedotta. Con questo film io ho riso un sacco, mi sono commosso, sono rimasto sconvolto, mi ha disgustato, ho sofferto, ho sorriso, e tutte queste emozioni sono state perennemente amalgamate con la costante confusione e infinita voglia di scoprire, di capire! Perché Beau ha paura non è un film per niente lineare, e nemmeno chiaro. Né vuole esserlo! Non aspettatevi di vedere qualcosa di comprensibile, dovete guardarlo col cuore, non solo con la mente. Siamo davanti agli orologi molli di Dalì, non aspettatevi forme realistiche! Questo film non lo controlli, non puoi prevedere cosa avverrà dopo. Ti schiaccia contro la sedia, ti domina, ti butta davanti agli occhi un susseguirsi di situazioni assurde, pazze, paradossali, a volte persino oniriche, e tu non puoi fare nulla se non subirlo. Perchè l’arte non la controlli, non ti aspetti di capirla: l’arte la subisci! Esattamente come questo film. Un’odissea di tre ore che una volta finita io ne avrei guardate altre dieci! Fotografia pazzesca, una musica ottima e sempre sul pezzo, un montaggio maniacale, e come muove la telecamera Aster la muovono davvero in pochi. Una meraviglia per gli occhi, che alla fine ti lascia più confuso di prima, con mille interrogativi e altrettante risposte. Ci sarà almeno un singolo momento nel quale ti immedesimerai -o quantomeno comprenderai- Beau. Un Joaquin Phoenix STUPENDO, forse nel suo ruolo della vita, chissà. Io non lo so se questo film diventerà un capolavoro o meno, ma ci siamo vicini..l’aria è quella (e se persino Scorsese se ne é accorto, mi sa che non si parla di pizza e fichi). Fatevi un favore, andate al cinema, correte a vederlo! Se volete vivere una vera e propria ESPERIENZA, andate! Perché di film del genere se ne vedono sempre meno, e sempre meno registi hanno il coraggio di andare contro alle leggi commerciali, così come sempre meno produttori hanno voglia di investire in tali progetti (un enorme grazie alla A24 che ha dato fiducia a questo regista!). Non abbiate paura di non capirci niente, non abbiate paura di sentirvi spaesati, il film VUOLE fare questo! Viaggiate con Beau in questa odissea psicologica e onirica, fatta di ansie e paure, le stesse che abbiamo tutti noi! Questo film non vuole piacervi. Anzi spesso vuole spingervi via. E’ un film divisivo ed è del tutto giusto non apprezzarlo. Ma rimane una esperienza che, secondo me, va vissuta. Questo, per me, è il grande Cinema. Fatto di emozioni. Signore e signori, Ari Aster. “Beau ha paura” (2023).
#Ari Aster#movies#film#Beau is afraid#meraviglioso#pensieri#me#parole#compagnia#noia#riflessioni#repulsione
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Già mi sento meglio . Lo capisco perché sono più obiettiva e meno in balia della mia emotività . Più razionale più concentrata e questo è perfetto. Tra qualche giorno , quando la ferita emotiva sarà abbastanza chiusa sarò in grado anche di stare in sua presenza senza che significhi nulla. A quel punto potrò anche tentare un dialogo visto che lavoriamo insieme e lui mi serve in qualche modo. Senza dimenticare il pezzo di merda che è. Anzi , sarebbe fantastico poterlo usare contro la sua persona un giorno e mano a mano togliergli metri da sotto il suo campo . Sarebbe perfetto . La migliore vendetta : che diventi il mio secondo!
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"Abbiamo vissuto in una roulotte in cinque, fino a 14 anni. Avevamo un letto singolo per tre fratelli: a turno due di noi dormivano due notti sul pavimento, poi finalmente uno poteva dormire una notte nel letto. E così via per 14 anni".
Quella di Caleb Martin, del fratello gemello Cody (giocatore di Charlotte), e dell'altro fratello Raheem, è stata un'infanzia terribile. Cresciuti senza padre, devono tutto alla giovanissima madre che li ha cresciuti da sola lavorando ogni giorno dalle 2 di notte alle 4 del pomeriggio.
"Nostra madre molto spesso non cenava dicendo che non aveva fame. Abbiamo capito in seguito che era una scusa per dare più cibo a noi. Della mia infanzia ricordo le formiche nei barattoli di zucchero, gli scarafaggi in bagno, e le croci bianche date alle fiamme davanti alla nostra roulotte dal Ku Klux Klan che ci aveva presi di mira in quanto figli neri con una madre bianca. Ma grazie a nostra madre non davamo molto peso a queste cose e trascorrevamo i pomeriggi a giocare a basket: il nostro canestro era una lastra di latta recuperata da un vecchio secchio, a 13 anni abbiamo iniziato a giocare a basket così".
Questa è la storia del giocatore che stanotte ha dominato una gara 7 di finale di conference, e ha trascinato Miami alle Finals. Un canestro ricavato da un secchio, e una madre che li ha protetti da una vita infame, sono stati gli appigli a cui aggrapparsi per costruirsi un riscatto nella vita che nel suo caso ha significato costruirsi una carriera da giocatore di basket. Passando da un ottimo liceo, poi dal college ed infine approdando in NBA seppur dalla porta secondaria in quanto non scelto da nessuna squadra al draft.
Un percorso cestistico per nulla facile. Anzi. Due anni fa, dopo esser stato tagliato da Charlotte, è tornato a casa dalla madre. Una casa nuova, bella e accogliente che le ha regalato spendendo tutti i soldi del suo primo anno di guadagni in NBA. Si è rifugiato dalla persona più importante della sua vita perchè psicologicamente quel momento è stato per lui devastante: vedeva ormai terminata la sua carriera in NBA.
E in quel momento è arrivata un'altra persona a dargli un prezioso aiuto.
Caleb è un grande amico del rapper americano "J. Cole" il quale nel 2010 scrisse una canzone dedicando una strofa a Caron Butler: dal 2002 al 2016 per 14 stagioni ottimo giocatore NBA. Il caso vuole che dal 2020 Caron Butler sia l'assistente di Spoelstra sulla panchina degli Heat.
Nell'estate del 2021 J. Cole telefona a Caron per pregarlo di fare un provino al suo amico Caleb. Caleb era nella lista dei giocatori senza contratto che Miami avrebbe voluto visionare, ma Caron Butler ha raccontato che la telefonata di J. Cole l'ha talmente colpito che 3 giorni dopo Caleb Martin è stato convocato in Florida per un provino.
In quel provino Caleb ha convinto tutti: coach Spoelstra e Pat Riley compresi.
C'è qualcosa che va oltre i 26 punti e 10 rimbalzi col 70% al tiro di questa notte, o i 19.5 punti di media nell'intera serie contro Boston, o gli straordinari playoff che sta disputando Caleb Martin. Quel qualcosa è rappresentato dal suo vissuto e da ciò che l'ha formato come persona prima ancora che come giocatore.
Dietro al fenomeno Jimmy Butler, c'è un combattente nato come uomo copertina dell'impresa dei Miami Heat.
C'è un atleta che eleva le sue prestazioni dalla regular season ai playoff, quando oltre al talento servono carattere e attributi per fare la differenza.
C'è un ragazzo che questa notte, dopo aver trionfato sul parquet di Boston, è uscito dal campo, ha preso il cellulare, ha chiamato la madre e le ha detto semplicemente "grazie".
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Le polemiche quando accadono delle tragedie come queste sono giustificate ma per me solo in parte.
I giovani fannulloni, tutti quelli che hanno passato i 50 anni e dico tutti (me compreso), in questi anni siamo stati addormentati dai mass media che intervistavano sociologi in servizio permanente i quali ci spiegavano che i giovani non avevano più voglia di fare nulla, solo tablet e smartphone, addirittura una ex ministro della Repubblica li apostrofò con il termine inglese "choosy" naturalmente nessuno sapeva cosa cazzo volesse dire ma tutti fummo prontissimi (una volta che capito l'aggettivo) a puntare il ditino contro i giovani.
In parte è vero, forse la voglia manca ma quando succede qualcosa chi è pronto e parte lancia in resta? Chi è andato a spostare le macerie nei terremoti di Umbria e Marche? Chi è andato a raccogliere i frammenti delle pitture di Giotto quando crollò la Basilica di Assisi? Chi è adesso nel fango a lavorare, portando un sorriso e cantando Romagna Mia a chi ha perso tutto? Forse come al solito non abbiamo capito nulla a cominciare dagli emeriti sociologi che abbondano nei salotti tv.
Il percettori del Reddito di Cittadinanza, nella marea di persone che stanno sbadilando fango si presume che ci sia anche qualcuno che percepisce tale reddito, non credete? Oppure avete dati alla mano che smentiscono questo e che confermano stare tutti sul divano, nessuno escluso.
Dalle formazione di calcio, ai problemi delle mancate prestazioni della Ferrari, al vaccino, alle strategie di guerra alla situazione idrica, c'è gente che sa tutto ma proprio tutto. Ma come cacchio fate? Beati voi, io continuo a sbagliare le chiavi di casa.
La politica, leggo che Bonaccini si dovrebbe dimettere per la storia della mancata gestione dei fondi destinati alle opere di risanamento idraulico... ma forse io guarderei il fatto da un'altra angolazione, perché lui si deve dimettere? Ma saremo noi a chiedere le sue dimissioni, ma siamo noi che abbiamo il potere di chiedere anzi pretendere che un politico faccia gli interessi della comunità e se non li fa si chiede le dimissioni una volta provate le sue inefficienze dopo si va alle urne, si vota e poi si cambiano le cose. Non come oggi che alle elezioni rimaniamo a casa perché siamo in gita, è troppo caldo, è troppo freddo, non conta nulla, devo dare l'acqua ai fiori etc etc. Valà che andare a votare conta è che ci hanno fatto credere che non conti nulla così resta tutto com'è.
Perché non proviamo a guardare i fatti come sono, a fronte di un disastro come questo io vedo una partecipazione straordinaria, strutture alberghiere che offrono camere gratis agli sfollati, ristoratori che offrono sempre gratis dei pasti caldi a chi non ha più di che prepararli, persone normali che hanno messo a disposizione le loro camere o case per solidarietà, ieri ad Ischia è comparso uno striscione solidale all'Emilia Romagna, isola che è stata colpita come noi, cominciamo a guardare queste cose e non sempre erigersi a giudici di non si sa quale causa.
L'unica cosa negativa è che il Boss non abbia detto nulla, neanche dopo... che andasse a Portofino a fare in culo.
State benone.
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"Spiando" Twitter Italia sembra che quasi tutti siano felici delle dimissioni di Binotto, oppure si stanno rendendo conto solo ora a cose fatte di aver perso uno dei migliori ingegneri del paddock dopo mesi e mesi di #binottoout.
E poi ci sono in assoluto i miei prefe: i leclerchini assatanati che quando girava la voce di Vasseur TP hanno esultato manco avessero vinto alla lotteria della vita solo per il legame che ha con Charles.
Per non parlare di Novella 20... Ehm... Della Gazzetta e altri media (tipo Sky, Vanzini in primis, ma non solo la redazione di Sky) che continuano, imperterriti, a fomentare una certa narrazione contro Carlos "spingendo" proprio su quelle tesi complottistiche tanto care a quella parte che si considera "ferrarista" ma che poi insulta un proprio pilota un giorno sì e l'altro pure. La cosa che più mi dà fastidio di quest'ultimi e proprio la loro totale incapacità di leggere le interviste di Carlos e comprenderne il contenuto. Ti giuro, non so come facciano a leggere "X" e comprendere "Y" e distorcere completamente ogni singola virgola di quello che dice Carlos, davvero, ogni volta rimango sconcertata da come cercano di rivolgere le cose a loro favore. Certe volte penso che si meriterebbero che Charles corresse da solo, senza nessun compagno di squadra ad aiutarlo, così avrebbero quello che tanto desiderano e non potrebbero incolpare nessun' altro se non sé stessi.
Scusa per lo sfogo, ma a quanto pare nemmeno durante la pausa invernale possiamo avere un po' di tregua; anzi, con le dimissioni di Binotto penso che le cose potranno andare solo che peggio dato che ai vertici c'è Elkann. In ogni modo spero vivamente, per la Ferrari, per Carlos e per Charles di sbagliarmi su tutta la linea.
OH ECCOMI 28373727 tentativi di risposta dopo
Guarda, lo ammetto, provo un certo senso di perversa soddisfazione nel vedere le stesse persone che da MESI urlano e sbraitano insulti e chiamano il #binottoout fare dietrofront con la coda tra le gambe perché si rendono finalmente conto cosa cazzo stia succedendo <3 si ok siamo tutti rovinati tanto vale apprezzare le piccole gioie della vita
Ti giuro i leclerchini favolosi. Da quando sono partite le voci su Vasseur gli unici post a favore che ho visto sono fotine caruccine di lui e Charles o citazioni in cui lo elogia....... assolutamente NULLA sulla sua carriera da TP o come stia andando il team che sta dirigendo (dal 2019 ormai! lo stesso numero di anni di Binotto! le coincidenze.....) o come si trovino i piloti che lavorano con lui. Assolutamente nessun commento su come abbia trattato il nostro Giovinazzi dalla FDA né niente sullo strano caso di Bottas e Zhou che da Silverstone in poi (TREDICI GARE) siano riusciti a portare a casa solo 4 (QUATTRO) punti totali per il mondiale nonostante la macchina niente male! Ma vabbe basta che sia amiketto di Charles no? Alla fine è lo stesso motivo per cui Binotto era tanto amato fino a Monaco...
La Gazzetta del Calcio con la caduta di stile nella risposta ad Alesi si è un po' dimostrata per quello che è, confermando la definizione di carta straccia <3
Guarda, Skysport è una testata/tv così imbarazzante, impreparata, incommentabile sotto ogni punto di vista che ormai i fritti misti che si inventano manco mi stupiscono più. Vedere gente (pure qua) che cerca di avvalorare le proprie narrazioni ripetendo cose dette da Vanzini mi mette i BRIVIDI. Quasi come vedere gente chiamare Charles "predestinato" in maniera non ironica. Ancora non ho digerito la faccia tosta con cui hanno passato mesi a piangere lacrime di coccodrillo per Seb che si ritira dopo tutta al cattiveria che gli hanno sputato addosso per ANNI. Figurati se mi stupisce il riciclaggio di tutto quello schifo contro Carlos.
Boh sì è veramente un atteggiamento strano, mai visto questo soprattutto perché appunto ripetono quello che hanno fatto a Seb, teorie del complotto incluse. Saranno contenti solo quando Charles sarà il primo pilota della storia a guidare due macchine contemporaneamente.
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Selvatica - 4. Lijepa djevojka
Ante fece sedere Corinna in macchina e chiuse la portiera. In un primo momento, quando l'aveva vista gettare l'acqua addosso all'uomo che le sedeva accanto, aveva pensato che fosse pazza. Poi però l'aveva guardata negli occhi e qualcosa dentro di lui si era spezzato. Nel suo sguardo c'era indignazione e ribrezzo. Quell'uomo l'aveva toccata senza il suo permesso, l'aveva fatta sentire un oggetto.
L'aveva presa per mano e portata via prima di combinare un casino. Non era un fatto insolito per quel tipo di gente uscire con belle ragazze giovani che pagavano per farsi accompagnare, nella sua vita da calciatore ne aveva viste davvero di tutti i colori. Ma non riusciva a capire cosa avesse potuto far fraintendere quell'uomo. Corinna non era vestita in modo provocante, né si era comportata come se la sua presenza dovesse allietare la cena. Anzi, era stata molto riservata. Per di più aveva visto come l'uomo l'aveva guardata appena arrivati. Le sorrise, aveva l'aria pensierosa.
«Dove vivi? Imposto il navigatore.»
«Faccio io.»
Lei si sporse verso il cruscotto, muovendo le dita sulla tastiera touch. Sentiva uno strano dispiacere per quella ragazza. Aveva detto che era stata importunata da due uomini prima di incontrare lui e poi quell'ulteriore fatto spiacevole. Però rimaneva fiera. Non era crollata in pianti isterici, né si era messa a tremare tutta, in cerca di un sostegno da parte sua. Aveva tirato fuori gli artigli, proprio come una gattina selvatica.
Gli prudevano le mani dalla voglia di tornare dentro e spaccare la faccia a quell'idiota.
«Come ti senti?» le chiese, quando lei tornò a poggiare la schiena contro il sedile.
«Sto bene. Però mi sento in colpa per quello che ti ho fatto.»
Ante scosse la testa. Provò lo strano impulso di accarezzarla. «Non preoccuparti, non è un problema così grave.»
«Ma adesso hai perso il contratto. Per colpa mia.»
Il cellulare vibrò nella tasca. Lo tirò fuori e lo spense senza neanche guardare. «Corinna, per favore basta.»
«E non hai neanche cenato.»
Ante si girò a guardarla. «Hai fame?» L'avrebbe portata a cena fuori più che volentieri.
Un sorriso delicato le spuntò sulle labbra. «No. Mi si è chiuso lo stomaco, ma...»
«Per favore non dirmi che ti senti in colpa. Non lo reggerei. Ti faccio scendere dalla macchina.»
Corinna rise e lui la guardò di sottecchi. Aveva una bella risata.
«Va bene, non dico più nulla.»
«No, per favore, non far sprofondare questa macchina nel silenzio. Dimmi qualcosa, quello che vuoi.»
«Ok, allora... da quanto tempo sei in Italia?»
«Sono al Milan da un anno, ma ero già stato in Italia, alla Fiorentina e al Verona. Tu non segui il calcio?» Sentiva lo sguardo di lei addosso, ma continuò a guardare la strada.
«No.»
Lo immaginava. «E che fai oltre ad andare in giro per musei?»
Corinna sorrise ancora. Lui la vide con la coda dell'occhio. Si stava sentendo bene con lei. Era rilassato, nonostante la serataccia. E poi lei era distante, nel suo mondo e lui aveva voglia di sapere dove fosse. Per un attimo gli passò per la mente di chiederle di più su quello che le era accaduto. Di sicuro era lì con la testa.
«Chi ti dice che vado in giro per musei?»
Lui si voltò. Sorrideva e lo fissava. «Non lo so, visto che studi storia dell'arte...»
«Già. Mi piace tantissimo andare ai musei.»
Ante sorrise, ma subito tornò serio sentendo il navigatore che segnalava l'arrivo. «Siamo arrivati?» Non potevano già essere arrivati.
«Sì. È proprio qui.»
Corinna girò il corpo verso di lui quando accostò. «Non so davvero come ringraziarti per quello che hai fatto per me, stasera.»
Si sporse e lo abbracciò. Lui rimase sorpreso. La abbracciò a sua volta, sentendo le note delicate del suo odore, toccando la morbidezza dei suoi riccioli sulla schiena.
«Mi raccomando, cerca di stare lontana dai guai.»
Accennò un sorriso. Ante non voleva che andasse via. «Ciao Ante.»
«Ciao Corinna.»
Lei aprì lo sportello. «A proposito, qual è il tuo cognome?»
«Rebić.»
«Ciao Ante Rebić, stammi bene.»
«Ciao, lijepa djevoika.»
Lei aggrottò la fronte e sorrise prima di chiudere lo sportello. Sapeva che non avrebbe mai capito quello che le aveva appena detto. Solo la verità, era una "ragazza bellissima". Aspettò che entrasse nel portone prima di ripartire. Ante era circondato da ragazze belle, tutti i suoi amici e compagni avevano fidanzate super sexy, conoscevano ragazze dal fisico prorompente e la testa vuota come zucche. Corinna era bella in maniera selvaggia, con quella chioma di capelli indomiti e il viso pulito.
Corinna, che se ne era andata via senza neanche lasciargli il suo numero. Proprio nel momento in cui avrebbe voluto restare ancora un po' con lei.
Ante sorrise, sapeva dove abitava e dove lavorava. Poteva bastare.
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Oggi sarebbero passati due anni dalla tua inaugurazione e pensandoci, quante emozioni mi travolgono. Sei andata contro tutto e tutti per inseguire il tuo sogno. Io, come sempre, ero la prima ad avere paura, ma non perché non credessi in te, anzi, sono sempre stata orgogliosa di quanto tu fossi capace, soprattutto nel lavoro al pubblico, sempre stata una grande lavoratrice. La mia paura veniva solo dal fatto che temevo tu potessi stancarti troppo, che non trovassi più tempo per te stessa, senza rendermi conto che anche nei momenti in cui dedicavi tempo al lavoro, lo stavi in realtà mettendo al servizio del tuo sogno.
Non c’è stato nulla di più bello di vederti quel giorno, con il sorriso e la luce negli occhi, mentre io e Sabrina facevamo i cartellini dei prezzi e tu, con emozione ma anche con una determinazione incredibile, insieme a Luca, Lorenzo e nonna sistemavi il negozio per renderlo perfetto. Quella giornata è stata speciale, è arrivata tanta gente e alla fine, eravamo stanchissimi ma il nostro cuore era colmo di orgoglio.
Abbiamo passato più di un anno insieme in quel negozio, noi tre: io, te e Luca, tra discussioni e, soprattutto, tantissime risate. La musica a palla alle 5.30 del mattino mentre sistemavamo la merce e noi che cantavamo e ballavamo come delle pazze. Mi tornano in mente i nostri “balli del richiamo al sole” quando pioveva e speravamo che il maltempo andasse via per portare più gente, come nei giorni normali. E poi, gli scherzi di Tommaso che cercavano di farti spaventare, come quella volta della finta rapina: lui incappucciato e tu che ti bloccavi, paralizzata dal terrore. Non posso dimenticarmi i grattini e i massaggini che Franci ci faceva a metà mattina, nel momento di calma, per fare due chiacchiere o una merenda insieme, le prese in giro a Andrea per i suoi TikTok ma che poi sotto sotto ci piaceva guardare.
Sono così tanti i momenti belli che abbiamo vissuto lì dentro che ora sul momento non posso elencarli tutti.. Noi sappiamo, chi ci ha vissuto sa. Ma c'è una cosa che non dimenticherò mai: l'amore e la passione che metteva in ogni angolo di quel negozio, la dedizione con cui ha costruito qualcosa che non era solo un lavoro, ma un pezzo del suo cuore. I legami profondi che abbiamo creato con i nostri clienti, che alla fine non erano più semplici clienti, ma veri e propri amici a cui volevamo bene, con cui abbiamo condiviso sogni, risate e tante emozioni..
Manca tutto questo, manchi tu ♥️
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