#non so di chi sia questa frase
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Non rimpicciolirti per entrare in un cuore che non è abbastanza grande per contenerti.
#love#stringimilamanoepoipartiamo#amore#lovely#tired#solitudine#amare#amore a distanza#non so di chi sia questa frase#amore incondizionato#cuire#heart#broken heart#cuore piccolo#darsi valore#amarsi#delusione#cit.#citazione#frase del giorno
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Ciao, grazie del tuo consiglio non mi aspettavo che rispondevi così. Mi hanno sempre detto che non so fare niente e adesso sono qui non so com'è andare avanti penso ancora al passato ( mi madre mi ha detto di avere residenza nella vita ha detto di diventare ma non ci riesco). I professori mi prendevano in giro dicendo che non sarò niente da grande e anche al lavoro dicono che sono stupida e non so parlare o sono lenta nel capire o non sono sveglia. Ho troppi problemi e vorrei cambiare ma sono svogliata o triste e non so come cambiare . non dico tutto preferisco scrivere in privato se è posisbile?
Vorrei cambiare tante cose sto cercando di cambiare ma non so da dove inizare
Comincia col prenderti del tempo per stare con te stessa e capire te stessa. Non sei la persona che vedono gli altri, quelli che non ti conoscono davvero. E forse anche tu hai smesso di conoscerti ed ascoltarti per ascoltare gli altri... per questo ora tutto sembra difficile e non sai cosa fare: è normale. Non sentirti in colpa, hai fatto ciò che hai potuto per andare avanti e sopravvivere. Abbiamo bisogno di conferme, di supporto, ma spesso gli altri non vedono noi, vedono rilessi di loro stessi e delle loro paure ed ansie. E questo non ci è di aiuto.
Non sono una psicologa, e non so se davvero posso aiutarti in questo senso: sto lavorando su me stessa in prima persona, quello che posso offrire (come faccio su questo blog @loveyourlovelysoul) è solo un po' di supporto e condividere quello che sto imparando. Però, se lo ritieni opportuno, invece di un tutor, prova a parlare con qualcuno che ne capisce di psicologia. Potrebbe davvero aiutarti a risolvere un po' di problemi interni e ritrovare la tua strada. E la voglia di andare avanti, dopo aver capito cos'è davvero che ti blocca nel passato e non ti fa stare nel presente, dove sei ora. Forse la paura di non essere abbastanza, come dicevamo? E di non farcela? A volte ci chiudiamo e risultiamo "lenti" agli occhi degli altri, ma sono solo le nostre paure come ti dicevo prima, che prendono il sopravvento. E non sempre è facile riconoscerle e controllarle. E sono paure... ci vuole tanta determinazione e coraggio per affrontarle, perché si presentano nei modi più impensabili. Per questo ti consiglio di parlarne con qualcuno che ne sa: avere una guida e non farlo da soli è molto importante; stare soli potrebbe isolarci ancora di più e far peggiorare tutto. Non fraintendermi, tu sei più forte di quello che credi, e si vede dalla tua voglia di voler voltare pagina e ricominciare nonostante ci sia questa paura di non essere "abbastanza" o "come ti vogliono gli altri" (non devi esserlo, devi essere solo te stessa, sei già perfetta così e non è una frase fatta... devi "solo" ritrovarti e crederci). Ma non per questo devi affrontare tutto da sola. E non sei svogliata, secondo me, assolutamente: sei solo bloccata da come ti hanno vista gli altri e come continuano a vederti (credo che ora sia solo l'esperienza del passato coi tuoi professori che ti blocca e si sia riproponendo a lavoro nelle definizioni dei tuoi colleghi/capi). E dalle aspettative che gli altri hanno in te. Il non sapere cosa fare perché vorresti fare di più (magari per fare felice tua mamma) ma non ci riesci (perché gli altri ti hanno detto e dicono quelle cose non vere), ti sta bloccando in un posto da cui non sai più muoverti. Ed è normale, chi non si sentirebbe così nei tuoi panni? Per questo ti dico di ritrovare te stessa, quella che sei tu secondo la tua opinione e non le aspettative o ciò che vedono gli altri. Solo da lì puoi ricominciare a camminare verso la direzione che davvero vuoi seguire tu (non gli altri). Solo da te stessa. Con coraggio, tenedo le tue paure per mano (soprattutto abbracciando e consolando le versioni più giovani di te, quella che andava a scuola e affrontava quei professori che non so come definire tali ma vabbè e magari anche quella piccola che stava a casa e doveva fare certe cose per sentirsi apprezzata e vista... ?). Piano piano diventerai quello che vuoi, prenderai il tuo posto da protagonista nella tua vita con orgoglio, ma prima devi capire cos'è quello che vuoi tu e qual è il tuo vero posto.
Non arrenderti e davvero datti tempo. Ce ne vuole tantissimo, come di pazienza. E cerca di volerti bene e perdonarti, soprattutti nei giorni più difficili. Stai facendo e hai sempre fatto del tuo meglio, devi esserne fiera.
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In un villaggio viveva un vecchio molto povero, ma perfino i re erano gelosi di lui perché aveva un bellissimo cavallo bianco; non si era mai visto un cavallo di una simile bellezza, una forza, una maestosità… i re offrivano prezzi favolosi per quel cavallo, ma l’uomo diceva a tutti: “Questo cavallo non è un animale per me, è come una persona. E come si può vendere una persona, un amico?”. L’uomo era povero, la tentazione era forte, ma non volle mai vendere quel cavallo.
Un mattino scoprì che il cavallo non era più nella stalla. L’intero villaggio accorse e tutti dissero: “Vecchio sciocco! Lo sapevamo che un giorno o l’altro ti avrebbero rubato il cavallo. Sarebbe stato molto meglio venderlo. Potevi ottenere il prezzo che volevi. E adesso il cavallo non c’è più, che disgrazia!”.
Il vecchio disse: “Non correte troppo! Dite semplicemente che il cavallo non è più nella stalla. Il fatto è tutto qui: il resto è solo giudizio. Se sia una disgrazia o meno non lo so, perché questo è solo un frammento. Chissà cosa succederà in seguito?”. Ma la gente rideva, avevano sempre saputo che era un po’ matto.
Dopo quindici giorni, una notte, all’improvviso il cavallo ritornò. Non era stato rubato, era semplicemente fuggito, era andato nelle praterie. Ora non solo era ritornato, ma aveva portato con sé una dozzina di cavalli selvaggi.
La gente di nuovo accorse e disse: “Vecchio, avevi ragione tu! Quella non era una disgrazia. In effetti si è rivelata una fortuna”.
Il vecchio disse: “Di nuovo state correndo troppo. Dite semplicemente che il cavallo è tornato, portando con sé una dozzina di altri cavalli… chissà se è una fortuna oppure no? È solo un frammento. Fino a quando non si conosce tutta la storia, come si fa a dirlo? Voi leggete solo una parola in un’intera frase: come potete giudicare tutto il libro?”.
Questa volta la gente non poteva dire nulla, magari il vecchio aveva ragione di nuovo. Non parlavano, ma nell’intimo sapevano bene che il vecchio aveva torto: dodici bellissimi cavalli, bastava domarli e poi si potevano vendere per una bella somma.
Il vecchio aveva un unico figlio, un giovane che iniziò a domare i cavalli selvaggi. E dopo una sola settimana, cadde da cavallo e si ruppe le gambe. Di nuovo la gente accorse, dicendo: “Hai dimostrato un’altra volta di avere ragione! Non era una fortuna, ma una disgrazia. Il tuo unico figlio ha perso l’uso delle gambe, ed era l’unico sostegno della tua vecchiaia. Ora sei più povero che mai”.
Il vecchio disse: “Sempre a dare giudizi, è un’ossessione. Non correte troppo. Dite solo che mio figlio si è rotto le gambe. Chissà se è una disgrazia o una fortuna?… non lo sa nessuno. È ancora un frammento, non ne sappiamo mai di più…”.
Accadde che qualche settimana dopo il paese entrò in guerra, e tutti i giovani del villaggio furono reclutati a forza. Solo il figlio del vecchio fu lasciato a casa perché era uno storpio. La gente piangeva e si lamentava, da ogni casa tutti i giovani erano stati arruolati a forza, e tutti sapevano che la maggior parte non sarebbe mai più tornata, perché era una guerra persa in partenza, i nemici erano troppo potenti.
Di nuovo, gli abitanti del villaggio andarono dal vecchio e gli dissero: “Avevi ragione, vecchio: la tua è stata una fortuna. Forse tuo figlio rimarrà uno storpio, ma almeno è ancora con te. I nostri figli se ne sono andati, per sempre. Almeno lui è ancora vivo, a poco a poco ricomincerà a camminare, magari solo zoppicando un po’…”.
Il vecchio, di nuovo, disse: “Continuate sempre a giudicare. Dite solo che i vostri figli sono stati obbligati a partire per la guerra, e mio figlio no. Chi lo sa… se è una fortuna o una disgrazia. Nessuno lo può sapere veramente. Solo dio lo sa, solo la totalità lo può sapere”.
Non giudicare, altrimenti non sarai mai unito alla totalità.
Sarai ossessionato dai frammenti, vorrai trarre delle conclusioni basandoti solo su dei particolari.
Una volta che hai espresso un giudizio, hai smesso di crescere.
Di fatto, il viaggio non finisce mai.
Un sentiero finisce, e ne inizia un altro.
Una porta si chiude, e un’altra se ne apre…
Tratto da un racconto di Osho
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arrivi e so che te ne andrai come hai sempre fatto, e so che le cose andranno come sono sempre andate, che non cambierà mai niente finché non toglieremo di mezzo l'instabilità che ci accomuna e ci unisce e ci separa contemporaneamente. e so che andrà male, che falliremo un'altra volta nel tentativo di costruire qualcosa, ma so anche che per me ne varrà sempre la pena. ne varrai sempre la pena, per questo tutto il dolore che ogni nostra separazione mi ha causato non andrà sprecato, così come non andrà sprecato il bene che mi hai fatto. so che ti amerò per sempre, e non sarà mai quell'amore che provavo all'inizio, non sarà mai più lo stesso, ma forse questo nuovo tipo di amore è anche più bello, perché è quello che niente e nessuno potrà portarmi via, che non importa quante altre persone amerò, perché nessuna persona al mondo avrà la stessa importanza che hai tu, non per me. nessuna persona sarà mai paragonabile a te. anche se non funzioniamo, anche se non sappiamo tenerci, anche se le nostre strade si dividono, alla fine si ritroveranno sempre, e ogni volta non sarà mai l'ultima, e ogni giorno in cui non sarai al mio fianco un suono, una canzone, un colore, una frase, un odore o un oggetto mi riporterà da te e mi farà rivivere le emozioni che abbiamo vissuto insieme attraverso il ricordo. e ogni volta che sentirò il tuo nome mi girerò nella speranza di vederti, e ogni volta che andrò in posti in cui siamo stati insieme ti cercherò, e spererò di incontrarti ogni volta che uscirò di casa, e terrò le braccia aperte per essere pronta ad accoglierti qualora dovessi tornare, e non ti chiuderò mai in faccia la porta del mio cuore a meno che tu non vi sia dentro, e non ti chiamerò mai ma ti penserò sempre, e mi chiederò come stai e se mi pensi, riguarderò le nostre foto con il sorriso stampato in faccia, e continuerò ad amarti anche quando non lo meriti, anche quando ti odio. ti darò sempre la possibilità di rientrare nella mia vita perché solo tu riesci a renderla un po' meno vuota, a rendermi un po' meno vuota. ti dedicherò ogni canzone d'amore che ascolterò, comprese quelle tristi, e continuerò ad aggrapparmi a pezzi sparsi di ricordi di noi, di quelle volte in cui siamo stati bene, ma anche di quelle in cui siamo stati male, mi aggrapperò al ricordo del tuo pollice che asciuga delicatamente le mie lacrime, mi aggrapperò a te con tutte le mie forze. e ti amerò anche quando mi prenderai di nuovo a pugni il cuore, anche quando mi farai piangere, anche quando mi farai sentire come se non fossi abbastanza, anche quando mi farai a pezzi, io ti amerò. ti amerò senza pretese, senza chiedere nulla in cambio, senza aspettative. ti amerò perché il tuo cartone preferito è Dragon trainer e questo mi fa capire di che pasta è fatto il tuo cuore, un cuore morbido e sensibile, che crede nell'amicizia e nell'amore incondizionato, il cuore di chi rischierebbe la propria vita per salvare le persone che ama, quel tipo di cuore che di questi tempi è raro, perché è raro trovare qualcuno che, se ti ama davvero, non ti volterà mai le spalle di fronte a nulla, un cuore che va protetto ad ogni costo. forse questa è solo una mia interpretazione e il tuo cuore, in realtà, non è niente di tutto questo. forse porti nel petto un cuore cattivo mascherato da buono, ma io ti amerò ugualmente. e anche quando cercherò un pretesto per odiarti e lo troverò, lo userò per amarti ancora di più. e quando finalmente ti odierò davvero, nello stesso tempo ti amerò ugualmente
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Ah, L’Amore! Tanto amato e tanto odiato. Ho 16 anni, sinceramente non so cosa significa essere amati, ma so cosa vuol dire amare. Per me l’amore è qualcuno che quando è in giro ti compra qualcosa dicendo “ho pensato a te“. L’Amore è mio padre che nonostante le difficoltà fa di tutto per me e la mia famiglia. L’amore è la lettura un miliardo di storie che ti coinvolgono in una avventura unica e irripetibile. L’amore è guardare le stelle e pensare che ne esiste una per ognuno di noi abbastanza lontana per impedire ai nostri dolori di offuscarla. L’amore sono i protagonisti dei miei libri preferiti, che nonostante tutto trovano sempre un modo per amarsi. Ma soprattutto per me l’amore sono io, che nonostante le delusioni continue non smetto mai di amare, perché dopo tutto continuo ad avere un grande bene per le mie vecchie relazioni. Se dovessi dire cosa rappresenta l’amore senza dubbio risponderei così.
Per esperienza passata posso dire che l’amore è libertà, senza oppressione, ma sempre con un pizzico di gelosia.Non esiste amore,se ti vieta la gioia, la vita e la libertà. Sono dell’idea che l’amore ossessiona, invade la mente e il cuore ; ognuno di noi cerca un amore passionale che ci stravolge l’anima, e senza ossessione a parer mio non si può amare al 100%, mi spiego meglio: Amare significa lasciare la persona per cui proviamo questi sentimenti libera, tuttavia se noi non abbiamo un pizzico di ossessione, questa persona non può invadere ogni cellula del nostro corpo. Amare vuol dire impazzire all’idea di perdere chi amiamo, non dormire la notte dopo un litigio, provare nonostante tutto a risolvere.
Sono dell’idea che ci siano centinaia di modi diversi per amare, ma come disse una mia vecchia conoscenza “Io ti amo, ma non nella mia concezione d’amore”, sarò onesta, questa frase mi ha tormentato le giornate, settimane e settimane a rimuginarci su, però alla fine ho capito che esistono due tipi di persone, chi ama e chi viene amato. Chi ama vive la relazione con passione, con dedizione assoluta e con romanticismo. Chi è amato, si limita ad essere idolatrato. Non dico che amare sia brutto, non fraintendetemi, ma la verità è che si soffre moltissimo.
Non possiamo amare se non siamo pronti a soffrire. L’amore è 50% anche dolore, non scordiamolo mai.
Però sono dell’idea che non ci sia cosa più bella di essere innamorati, con le farfalle nello stomaco e la testa tra le nuvole, ma se vogliamo amare dobbiamo essere pronti anche al lato doloroso dell’amore, cioè la sofferenza che ci porta la perdita della persona amata, perché ci vuole un coraggio immenso per amare ed essere pronti anche all’effetto collaterale.
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Ho finito L'Amica Geniale.
Mi ha dato tanto e mi ha fatto soffrire altrettanto.
Mi sono messa a cercare qui sopra citazioni che potessero rendere giustizia a quello che mi ha fatto provare ma non ne ho trovate.
Elena Ferrante ha il "genio" di scrivere cose in maniera molto banale ma diretta, tagliente, ti incolla al testo come se fosse una serie tv ed è questo che sicuramente le ha regalato il successo meritato. Non a caso, sono proprio di questo tipo le citazioni che si trovano facilmente qui su Tumblr.
Ma per chi è campano o del sud, è diverso.
Di nuovo, il successo internazionale non ha reso giustizia alla crudezza dei fatti raccontati. Così come con Gomorra, quasi sicuramente agli occhi degli anglofoni la verità delle parole si mescola con la fantasia e non hanno percezione di quanto la crudezza raccontata sia vera, palpabile, reale, quotidiana nel perimetro in cui i fatti sono raccontati.
Mi ricordai di Antonio, di Pasquale, di Enzo, arrangiamento quattro soldi fin da ragazzini per sopravvivere. Gli ingegnieri, gli architetti, gli avvocati, le banche erano altra cosa, ma i loro soldi venivano, pur tra mille filtri, dallo stesso malaffare, dallo stesso scempio, qualche briciola s'era mutata persino in mancia per mio padre e aveva contribuito a farmi studiare. Qual era dunque la soglia oltre la quale i soldi cattivi diventano buoni e viceversa? [Storia di chi fugge e di chi resta - cap. 106]
Tra i milioni di lettori, chi si è mai soffermato su questa frase? Quanta consistenza perde una frase del genere agli occhi non ha idea di cosa accade nella terra dove il malaffare è routine? A parte la potenza dell'ultima, tutto il resto scivola nella narrazione eppure racconta di come, in quella terra, siamo tutti indissolubilmente in mezzo allo stesso malaffare pur non avendo mai avuto problemi con la giustizia e pur conducendo una vita normale. Letteralmente. Così come è scritto.
Come una volta disse saggiamente Maura Gancitano dei Tlon, il malaffare è insito persino nel settore dei supermercati, "e allora che fai non vai a fare la spesa?", aveva giustamente aggiunto.
Lo so che è l'intero mondo a girare così. Ma il trauma di essere nata in un luogo del genere è di credere che esistamo posti con una netta separazione tra i soldi puliti e quelli sporchi e allontanarti dalla tua zona ti fa sentire più tranquilla.
L'eco di questi romanzi ha risuonato in me forte e chiaro in moltissimi punti; quelli del periodo rosso vissuto in Italia, pur raccontando di una verità storica, non mi ha risuonato allo stesso modo. Per cui non riesco ad immaginare quanto possano risuonare quegli stessi punti in un napoletano, né posso immaginare quanto si siano persi milioni di lettori esteri che non hanno lo stesso vissuto alle spalle.
È stato un trauma. Ma è un trauma che va vissuto.
#Elena Ferrante#L'Amica Geniale#pensieri#letture#letteratura italiana#Napoli#camorra#pensieri diurni#leggere
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Il Caregiver
Questa mattina sono andato da mia madre, come tutte le mattine, ma con un impegno in più.
Infatti oggi comincia il servizio di assistenza a domicilio per mia madre, la struttura a cui mi sono rivolto le ha assegnato un'assistente. Si chiama Dolores.
"Buongiorno soy Dolores" - così ha esordito qualche giorno fa l'assistente al telefono con me.
"Buenos días" - le ho risposto per darmi un tono
"Lei è il señor Tomasseli?
"So' Rino" - ma come cacchio le parlo?
"Sorino? Lei è el señor Sorino?"
"No Sorino, solo Rino. Il mio nome".
"Ah, Solarino... me scussi, ma che nome è?"
"Maggnente, sono uno che tira sole e quindi Solarino è i mio soprannome"
Nulla da fare, la deficienza telefonica mi aveva preso, ora come potevo rimediare?
Nel frattempo Dolores gira dei fogli, si sentono chiaramente al telefono, probabilmente sta cercando i dati di chi ha compilato la domanda, ed ecco che trova ciò che cercava "Ah, lei se chiama Rino Tomasseli"
"Si" - le rispondo divertito di come chi parla lo spagnolo raddoppia alcune consonanti eludendone altre.
Arriviamo a questa mattina. Dolores è puntualissima, bella truccata e pimpante come lo sono le persone che debbono sostenere persone anziane e in fase discendente.
Entra in casa e saluta entrambi con un sorriso rassicurante, le presento mia madre e le faccio vedere la casa.
In soggiorno il televisore è sintonizzato sulla Santa Messa, in camera da letto l'altro televisore idem.
"Doppia Messa, como mai due televissori acessi?"
"Effetto stereo"- le rispondo.
"Como?!"
"Si, ascolti... non sente la stereofonia del prete che dice <Prese il pane>, non sente la potenza della frase raddoppiata?"
"No" - mi guarda stranita.
Credo che l'ironia non sia in questo momento cosa buona e giusta.
Così Gesùrino prese l'ironia, la piegò la pose in un cassetto e disse <Pendete e andate senza sorrisi, non ve li meritate>.
Tornando in soggiorno, dove c'è mia madre, Dolores mi chiede: "Mi potrebbe firmare questi due moduli, è lei il caregiver, vero?"
"No, lui è mio figlio" - interviene secca mia madre, poi guardando me - "Tu sei mio figlio non o' carabbinier"
"Ma no mamma caregiver, ovvero quello che si occupa di te"
Le brillano gli occhi, si sente protetta e poi guarda Dolores, conosco quello sguardo di chi comincerà a raccontare aneddoti sulla mia vita di quando ero piccino. La fermo a tempo.
"Beh"- dandomi un tono da attore consumato che sta per uscire dalla scena sul palcoscenico di un teatro - "Io devo andare, mamma sei in buone mani - poi rivolgendomi a Dolores le stringo una mano - "Grazie, grazie mille dell'aiuto che mi darà".
Il sorriso di Dolores mi conforta.
Sono in auto, scommetto che il sorriso di Dolores sarà diventato una risata. Già mi sembra di sentire mia madre raccontare i "famosi aneddoti" di un piccolo Rino che ancora, illuso, si permetteva di vivere d'istinti e d'istanti (frase da boomer lo so).
Come quando mia madre, a un cambio del pannolino, si divertiva a "rubarmi il pisello" come si fa con il naso dei bambini, solo che io per assicurarmi che non lo avesse preso davvero le pisciai in volto.
O quella volta che entrai in una cabina al mare, credendo che fosse la nostra per cambiarmi il costumino pieno di sabbia, invece era di un'altra famiglia. La ragazza, penso allora ventenne, che stava dentro (nuda) non si scompose più di tanto, avevo cinque anni più o meno, e mi disse "ma tu bel bambino da dove sbuchi?". Sorrise.
Io no, rimasi pietrificato guardando una micia. Non sapevo che dei micini vivessero proprio lì nei costumi delle donne. Uscii dalla cabina rosso in volto, con una paresi facciale e la
Voglia di remare
Fare il bagno al largo
Per vedere da lontano gli ombrelloni, -oni, -oni
Da allora nessuna donna mi ha più sorriso se entravo per sbaglio in una cabina o uno spogliatoio dove ci stava una di loro. Va beh, forse quando ci provai ero troppo avanzato con l'età. Credo di averne avuto venti o venticinque in più, di anni intendo.
Oppure le racconterà di quando, la sera di una Vigilia di Natale con cenone ben disposto sulla tavola e ospiti pronti al pasto, stando in piedi sulla sedia all'urlo "Sono la tigre di Mompracem!", persi l'equilibrio e arrivai preciso con la faccia nell'insalatiera che conteneva chili di insalata russa.
Ecco perché crescendo sono traumatizzato dalle patate femminili e le insalate russe.
Però mi piace cucinare.
E mangiare.
Grazie mamma per avermi fatto empatico e rispettoso degli altri, ma anche molto meno andava bene. Per dire.
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IL PIACERE PROIBITO
Vite che non sbocciano, che non ingranano, adulti mai nati, fermi, bloccati dentro scomodi grembi.
La patologia più grave, che per la scienza non è incasellata tra le patologie, è quella dei MAI NATI.
Ci sei, sei qui, cammini, guadagni, parli, fai sesso, viaggi, acquisti eppure non sei tu.
Non è la tua vita.
La vita è altrove.
Le cose accadono ma non a te.
La gente svolta, cambia, evolve, e tu sei fermo, come nel gioco dell’oca “fermo un altro giro”, e sto giro conta 40,50, 60 anni.
Sensazione di vivere espropriati da se stessi, 007 senza licenza di vivere.
Senza licenza per vivere ciò che piace davvero, perché il resto viene facile.
Il piacere è proibito, ciò che ami e desideri davvero, non osi nemmeno pensarlo ad alta voce e nemmeno dentro te.
E sapete quando il piacere diviene come la mela per Adamo ed Eva?
Quando si è mantenuta fede al patto depressivo familiare, quando stare bene è un fottuto reato, quando ci si è dovuti spegnere il fuoco da soli per non far sentire spenti quegli altri, quando la madre era invidiosa, troppo egocentrica, un seno cattivo direbbe la psicanalisi.
Il piacere di esserci e di Osare, di ardere, fare casino, essere eccessivi, essere creativi, sboccati, sopra le regole, affamati, voraci di vita.
Ma il piacere è soprattutto muovere il passo verso dove punta il cuore; il mai nato, lo vede! E va.. da un’altra parte.
E non è paura.
Non è sabotaggio, è per antico divieto materno.
È per sacro sigillo di stantìa fedeltà.
E dove è andata a finire tutta questa spinta? Repressa, dentro, sotterrata.
Come un sepolto vivo che ha giusto un foro per l’aria.
Si avverte violento il desiderio di rivalsa, di mordere la vita, di prenderla a calci in culo, di far vedere a tutti chi sei, ma ormai il tuo fuoco è spento, e sei così devastato dentro che non hai la forza per andare contro quell’invisibile mano che continua, giorno, dopo giorno, dopo giorno, a versarci acqua.
Quella mano è la tua, e con una mano vorresti accenderti e con l’altra, sei un pompiere.
Quella vita non nata, paralizzata dentro un gelido sepolcro, da cui spunta qualche foglia, ma non il tuo fiore, è la tua, la tua vita incatenata ad un antico tradimento, forse prima che nascessi, prima di emettere il primo respiro, eri già consapevole che sarebbe andata così.
E credo, niente per l’essere umano sia più tragico di questa frase, non per nulla tratta dalla canzone “Hurt” :
You are someone else, i am still right here e cioè vedere che i fiori sbocciano, crescono, fanno frutti e tu sei lì che non muovi un passo.
C’è tutto quel che ti serve per germogliare, ma tu in qualche modo senti che non lo puoi fare, che ti è vietato, che i piaceri e le gioie della primavera sono vietate, che il pullulare degli amoretti estivi puoi guardarlo da una cartolina, che le rondini svolazzano e tu sei estraneo a quella primitiva contentezza.
Ci sono figli che Dio non sa aiutare per quanto incastrati nelle loro angosce antiche, figli incasinati, figli disperati, che respirano flebili, accucciati nel fondo di un congelatore come una busta di surgelati.
Non so se questi figli vedranno mai la luce.
Forse non basta una vita, forse ce ne vogliono due, tre o chissà quante.
E non fatevi ingannare: non basta la volontà o il senso di responsabilità e non è vero che è tutto nella testa.
Anzi.
È una briglia marchiata nel DNA, è una paralisi dell’essere, che senza le giuste mani, rimane inoperabile.
YOU ARE SOMEONE ELSE
I AM STILL RIGHT HERE,
Cantavano i nine inch nails, ma molto meglio resa dall’immenso Johnny Cash, vero campione del soffrire e dell’autodistruzione, da buon pesci qual’era, salvato in estremis da June Carter, sua devota moglie cancerina.
È vero e lo credo che queste vite mai nate possano trovare la loro primavera grazie a un’ostetrica dell’anima.
Non ci si toglie dal ghiaccio infernale a mani nude, quando già si è privi degli strumenti per camminare.
Ci vuole Virgilio, ci vuole June, ci vuole un amore che ti strappi da quel grembo di eterna cova.
Che tutti i mai nati possano trovarne uno, non importa sotto quale forma, sotto quale veste, che si manifesti a voi, che sappiate riconoscerlo, e lasciatevi trarre in salvo.
Qualcuno nasce da solo, qualcuno no.
ClaudiaCrispolti
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Inochi no tabekata (Come mangiare una vita)
Volume 2
Capitolo #0/ La soluzione alla perdita e all’accumulo è sconosciuta
not a piece of cake
Non riesco a pensare alla tristezza di non poter provare compassione
Il percorso che sto seguendo, però, non sta andando liscio
Dopotutto, è solo una strada senza sentiero, giusto?
—‘Lavoro #1’ S
Cap. Precedente: Volume 1, Cap. 3-5
#0-1_otogiri_tobi/ non so chi tu sia
Come al solito, l’insegnante con gli occhiali dalla montatura nera richiamava gli studenti davanti al cancello della scuola. Gli abiti che indossava l’insegnante erano sempre abiti estremamente attillati.
“Asamiyaaa”
Questa mattina è stato rimproverato un compagno di classe di Otogiri Tobi.
“La tua frangia è troppo lunga. Tagliala. Non fa bene ai tuoi occhi. È per questo che anche la mia vista, quella di un insegnante, è peggiorata”
“Quindi anche lei, professor Yagi, aveva la frangia lunga in passato?”
“Chi sarebbe questo Yagi? Vabbè. L’ho tenuta lunga. Non ho sempre tenuto questa acconciatura. Però è ovvio”
“Professor Yagi, sta dicendo che ha infranto le regole della scuola?”
“Intanto non chiamarmi Yagi, ma Yagarashima! E poi la scuola che frequentava il tuo insegnante si trovava in una zona rurale con circa una trentina di studenti e non c’erano regole scolastiche……”
“La prossima volta la taglierooò”
“Tagliatela assolutamente, Asamiya! Soprattutto perché ti peggiora la vista!”
Mentre Asamiya passava oltre, il professor Yagarashima, che indossava occhiali dalla montatura nera, notò immediatamente un altro studente.
“Oi, Takagiii. Sembri pallido, stai bene?”
“Ho la pressurizzazione bassa”
“Cos’è la pressurizzazione bassa? Volevi dire che hai la pressione bassa”
“Professor Yagi, ‘giornooo”
Quando un’altra studentessa passò e lo salutò, il professor Yagarashima saltò con tale forza che i suoi occhiali scivolarono via.
“Senti, Miyoshiii! Non si dice ‘giorno, ma buongiorno!”
Tobi non se n’era mai accorto fino a ora, ma sembrava che il professor Yagarashima fosse piuttosto apprezzato dagli studenti. Per dirla con parole buone, era molto amato.
“Buongiorno a lei”
Quando Tobi passò e lo salutò, il professor Yagarashima disse “Oh” e sorrise.
“Buongiorno, Otogiri!”
Sembrava estremamente felice, o meglio, sembrava che stesse sorridendo sinceramente. Colto di sorpresa, Tobi non poté fare a meno di inchinarsi.
Lo zaino che Tobi portava con sé fece, heh, e rise.
“Immagino non sia un tipo cattivo”
“……Non pensavo mica fosse una cattiva persona, lo sai, vero?”
Tobi rispose sussurrando, e Baku rispose “Ah, è così?” sembrando non gradirlo.
“Aaah, perooò—”
Era arrogante. Anche se era uno zaino.
“Non avere fame, dannazione”
“Non l’hai già detta molte volte stamattina, sta roba?”
Tobi doveva tenere la voce bassa in modo che gli altri studenti, diretti all’edificio scolastico, non lo sentissero.
“Lo dirò ancora e ancora!”
A Baku non importava. Solo Tobi poteva sentire la voce dello zaino.
O almeno così pensava. La realtà era diversa.
Però, per la maggior parte delle persone, Baku non parlava né si muoveva da solo. Era solo uno zaino.
“Tobi, tu ogni giorno fai colazione, pranzo e cena. Se non mangio qualcosa, anche a me viene fame. Me ne sono finalmente reso conto di recente”
“Avrei voluto non lo avessimo mai notato……”
Tobi sospirò e si strofinò la pancia. Aveva fatto una colazione adeguata presso la struttura. Oggi aveva preso anche una seconda porzione di riso bianco, era raro per lui. Tuttavia, non si sentiva ancora sazio.
“Hmmm……”
Baku gemette e si rigirò. Si chiese se le persone intorno a lui fossero preoccupate. Per Tobi era lo stesso.
C’era qualcosa di piatto e simile a un geco attaccato alla spalla di uno studente che camminava un po’ davanti a lui. Una studentessa più avanti aveva qualcosa di simile a un bonzo peloso che le pendeva dai capelli, girando su se stesso.
“Heeey, Tobi—”
“No”
Tobi disse a Baku in un tono piatto prima che potesse finire la frase.
“Andiamo. Non ho ancora detto nulla”
Baku sembrava insoddisfatto, ma era un no. Era sicuro di non volerlo fare.
Tobi poteva prevedere cosa stava pensando Baku. Posso mangiare quel geco troppo piatto e quel bonzo roteante? Questo era ciò che Baku stava per chiedere a Tobi.
Glielo avrebbe concesso* se quelli fossero stati animaletti misteriosi che somigliavano a un geco e a un bonzo, e se Baku avesse insistito, non lo avrebbe fermato. Tuttavia, no. Quelle robe strane non erano rettili o tipi rasati.
*Espresso con un modo di dire che può essere tradotto letteralmente come "Fare cento passi"
Zingai.
Era così che venivano chiamati.
Tobi sospirò di nuovo e abbassò lo sguardo, cercando di tenere gli Zingai fuori dal suo campo visivo. Cosa succede se si mangia uno Zingai? Non conosci Baku? Non è possibile che tu non lo conosca. Dovresti saperlo.
Perché Baku li aveva mangiati.
In realtà, aveva mangiato gli Zingai di dei suoi compagni di classe.
Kon Chiami. E Masaki Shuuji, detto Masamune. Baku aveva mangiato gli Zingai di due persone. Cosa era successo di conseguenza?
“Anche per me eh. Nemmeno io credo che prenderei qualcosa e la mangerei indiscriminatamente……”
Baku borbottò giustificandosi.
“Però, sai……non ce ne sono un po’ tanti? Hm? È colpa della mia immaginazioneee?”
Tobi lo ignorò. Però, la pensava allo stesso modo. Erano certamente tanti.
C’erano parecchie persone che avevano uno Zingai con sé già prima. Anche se non li aveva mai contati con precisione, se c’erano cento studenti delle scuole elementari o medie, alcuni di loro sarebbero stati accompagnati da uno Zingai. Quelle poche persone non sembravano essere consapevoli dei propri Zingai, ma probabilmente rappresentavano comunque circa il due o tre percento. Se era così, andava bene avere uno, due o anche più persone del genere in classe.
Per Tobi vedere gli Zingai era normale. Quindi non si sarebbe sorpreso se ci fossero stati alcuni Zingai in classe.
Anche dopo essere entrato alle scuole medie, non lo ha mai trovato particolarmente strano. Probabilmente esisteva questo livello di Zingai. Sembrava fosse naturale.
Sembrava ce ne fossero molti.
Non l'aveva mai pensata in questo modo.
Tobi si fermò poco poco prima di varcare la porta d'ingresso. Uno Zingai piatto, simile a un geco, era aggrappato alla schiena di una studentessa che si stava cambiando le scarpe nell'armadietto delle scarpe davanti a lei sulla sinistra. Tobi riprese subito a camminare.
“Che succede?”
Chiese Baku. Tobi finse di essere calmo senza rispondere. Interiormente, era un po’ sconvolto. Voleva controllare lo Zingai che aveva appena visto. Però, era andato troppo avanti. Non riusciva a vederlo da lì.
Era un sottile Zingai simile a un geco. Pensava fosse grande circa cinque centimetri ed era biancastro. Forse, era di un giallastro color bianco latte.
Quello Zingai era attaccato alla schiena di una studentessa. Quello era l'armadietto delle scarpe degli studenti del terzo anno. Era una studentessa del terzo anno.
Tobi non aveva già visto uno Zingai che somigliava a quel geco piatto?
Il colore e la forma sarebbero potuti essere più o meno diversi. Non ricordava bene, ma c'era uno Zingai simile a un geco troppo piatto aggrappato alla spalla di uno studente.
Impossibile, pensò.
Era solo un caso.
Per una coincidenza, gli Zingai di quei due erano simili. Era sicuro fosse tutto qui.
Asamiya finì di mettersi le scarpe da interno e stava per lasciare l'armadietto delle scarpe.
“Buongiorno”
Quando Tobi lo chiamò, Asamiya fece “Eh” e per un momento rimase confuso. Poi si voltò con grande forza e si sistemò la sua lunga frangia.
“……Buongiorno, Otogiri”
Gli occhi di Asamiya si spalancarono. Sembrava si fosse sorpreso.
“Prima—”
Tobi tirò fuori le scarpe da interno dall’armadietto delle scarpe.
“Asamiya, sei stato fermato. Dal Professor Yagarashima intendo”
“Aah……Beh. Sì. Come al solito”
“Ti si peggiorerà la vista?”
“Questa cosa. Ogni volta, lo dice”
“Capisco”
Tobi si mise le scarpe da interno e mise le scarpe da esterno nell’armadietto delle scarpe. Quando se ne andò dall’armadietto delle scarpe nell’atrio, si sentì un po’ instabile.
“Dov’è, quella tipa, Oryuu?”
Baku disse tranquillamente. Per lui aveva senso.
Ryuuko sarebbe dovuta essere lì. Così pensava Tobi. Ovviamente, non se lo aspettava. Riguardo quella Ryuuko. C’era la possibilità che si stesse nascondendo dietro uno degli armadietti delle scarpe e che saltasse fuori all’improvviso, quindi se non era preparato, sarebbe stato nei guai. Sarebbe potuto rimanere sorpreso come Asamiya prima.
Ora che ci pensava, come mai Asamiya era così sorpreso?
Asamiya era accanto a Tobi, in un qualche modo camminavano spalla a spalla.
Quando Tobi provò a chiamare Asamiya, Asamiya iniziò a dire “Tu, Otogiri” e le loro voci si sovrapposero leggermente.
“Ah……ehm, non importa, Otogiri. Parla prima tu”
“No”
Tobi scosse la testa. Non era comunque un grosso problema.
“Quindi, io cosa?”
“……Sì. Tu, Otogiri, come posso dirlo……Sei questo tipo di personaggio? Non so come dirlo. Tipo friendly?”
“Friendly?”
Tobi aggrottò le sopracciglia. Aveva capito cosa voleva dire. Però, non era una parola che si usava spesso.
“Te lo avevano mai detto?”
“Credo di no”
Asamiya ridacchiò. Non era che si arrabbiò perché lo stavano deridendo. Tuttavia, non si sentì molto bene. L’umore di Tobi sembrava trasparire molto dal suo volto, Asamiya fece “Sono stato cattivo” e si scusò. Anche se mentre lo diceva, continuò un po’ a sorridere.
“Va bene, però……”
Tobi era stranamente scontroso a suo malgrado. Eppure, non credeva di essere arrabbiato. Anche se non era arrabbiato, si sentiva scontroso. Era una strana situazione. Era incoerente.
Era davvero strano.
Tobi si guardò alle sue spalle. Alla fine di quel corridoio c’era un’infermeria. Come mai Tobi si era voltato? In quel momento non lo sapeva nemmeno lui. Però, qualcosa ancora lo preoccupava. Mentre camminava, si guardò di nuovo alle spalle. Le sue gambe si fermarono.
Qualcuno stava guardando Tobi.
Non indossava l’uniforme. A giudicare dai vestiti, non era uno studente.
Era un insegnante? Non credeva.
Nel corridoio che portava all’infermeria c’era un uomo, da solo.
Quel fisico doveva essere maschile. Era piuttosto grande. Indossava un cappello senza tesa e una maschera. Era una maschera bizzarra. Aveva un disegno che rimembrava una bocca coi denti scoperti. Anche gli occhi erano peculiari. Gli occhi di quell’uomo stavano chiaramente guardando Tobi. Eppure, era come se non vedesse nulla. Era lì, ma era anche da nessuna parte. Anche se erano veri, i suoi occhi sembravano finti.
“Otogiri?”
Quando Asamiya lo chiamò, Tobi fece, Aah, e diede una risposta vaga. Guardò Asamiya e distolse lo sguardo dall’uomo per circa un secondo.
Quando si guardò indietro, era già sparito.
“Tobi……”
Baku si agitò nella sua forma da zaino. Voleva dire una cosa. Però, non poteva parlare con Baku qui. Asamiya era con lui.
Tobi ricominciò a camminare e Asamiya lo inseguì. Sembrava sospettoso, ma non chiese nulla. Tobi ne era grato. Non sarebbe stato in grado di rispondere se gli avesse chiesto qualcosa.
Chi era quell’uomo? Non era un bambino. Era un adulto. Era affiliato alla scuola? Per questo era strano. Se un gigante del genere si fosse aggirato per la scuola, la gente si sarebbe sicuramente insospettita. Perché non c’era scalpore? Era come se nessuno l'avesse notato. Tobi era l’unico a vedere quell’uomo? Era possibile?
Non era un’illusione ottica. Tobi aveva sicuramente visto quell’uomo. Lo ricordava vividamente. Anche se lo aveva visto solo una volta, lo ricordava dettagliatamente.
Quell’uomo indossava un giubbotto di colore di colore scuro che sembrava una giacca da aviatore. Le sue mani erano spropositatamente grandi. Indossava degli stivali.
Però, Tobi le aveva viste le grandi mani di quell’uomo? Indossava davvero degli stivali anche se era all’interno dell’edificio scolastico?
Tuttavia, lo ricordava.
Forse, non era la prima volta.
Forse, lo aveva già visto, un giorno, da qualche parte.
Forse Tobi conosceva quell’uomo.
Cap. Successivo: Cap. 0-2
#inochi no tabekata#light novel#manga#anime and manga#anime#tobi otogiri#e ve utaite#e ve#italiano#traduzione italiana
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most beloved person on my dash
sono al secondo anno di giuri e i miei voti stanno volando in uno strapiombo, non è che avresti qualche consiglio/metodo di studio da consigliarmi?? sono alla disperazione...
grazie di cuore in anticipo 🫶
amikett intanto un abbraccione <3<3 spero che riesca a uscire da questo periodo difficile
non so quanto possano esserti utili i miei 2 cents ma proviamoci sotto SEGUIMI
purtroppo il metodo di studio è personale: ormai è una frase fatta à la “non ci sono più le mezze stagioni”, ma ciò non la rende meno vera, perché si tratta di un modo di organizzare il proprio studio che tendenzialmente si consolida, anche evolvendo quando necessario, nel corso di anni. per esempio a me non è MAI piaciuto ripetere (e infatti lo facevo solo quando strettamente necessario), mentre ho sempre preferito scrivere e riscrivere le cose - eppure gli esami orali (e, prima ancora, le interrogazioni) sono sempre andati bene. voilà
detto ciò ti consiglierei di organizzare lo studio in maniera più sistematica possibile e di andare per gradi, tipo così: lettura 1 + sottolineatura senza sforzarti di immagazzinare tutto; lettura 2 + ulteriore sottolineatura dove ti segni le cose importanti; se necessario lettura 3 dove ti segni le cose veramente fondamentali. e via dicendo, nessuno ti vieta di arrivare alla lettura 12. nel mentre, appunti a margine, post it riassuntivi ecc possono aiutare. finora siamo rimasti alla fonte-libro. stessa procedura con eventuali appunti (eventualmente sbobinati - anche l’attività di riscrittura può aiutare ad apprendere i concetti) e slide.
qui poi si crea un bivio perché c’è chi in questa fase ne sa abbastanza da mettersi a ripetere: non so come si proceda da lì. io non ripetevo quasi mai ma preferivo farmi delle mie schede che riassumessero temi/questioni importanti. alle volte facevo anche degli schemini che contenessero, per parole chiave, tutto il capitolo/argomento (a seconda), integrando, in questa fase grafomane, con quanto recepito da appunti, slide e materiali.
se noti, non ho fatto riassunti: il riassunto del libro non mi sembra fondamentale; qualora lo fosse, perché magari si tratta di un manualone, farei una lettura del libro, il riassunto durante la rilettura e poi ripartirei dalla lettura 1 del riassunto + sottolineatura e via così. passare dal libro è super importante comunque
a questo punto dovresti avere un bel malloppo di appunti/schemi/approfondimenti essenziali sia per la loro importanza, sia perché distillano i contenuti principali di tutto quello che hai studiato: poi chiaro, se vuoi la spiegazione te la vai a recuperare sul manuale, ma in teoria tutta questa stratificazione di fasi di lettura, annotazione e rielaborazione dovrebbe aver funzionato
importantissimo in tutto ciò darsi delle tempistiche giuste e proporzionate, scandendo la quantità di lavoro da fare giorno per giorno. questa è bella: siccome c’è sempre dell’auto-sabotaggio, [lo faccio ancora] quando ho tanto lavoro da fare preferisco farmi un programma che giorno per giorno risulta troppo ambizioso, ma con uno scarto strategico rispetto alla deadline. tipo (numeri a caso ma per dire): devo leggere 300 pagine > mi do tre giorni > se lo faccio tanto meglio, ma ad ogni modo devo averlo fatto entro 5 giorni, che sarebbe magari più realistico. così da non abbattermi se non riesco a stare nei tre giorni, ma rimanendo tassativamente nei 5. e se invece riesco, posso procedere con le prossime fasi del lavoro ed essere anche un po’ in anticipo sulla tabella di marcia. ma questo è solo un trick mentale per allontanare lo sconforto eh, mica un miracolo
io sono arrivata alla fine dei miei studi con questo metodo, che però è strettamente il mio e può essere che non funzioni con altri. spero che anche solo qualche spunto possa tornarti utile, purtroppo il segreto della svolta miracolosa non c’è
ancora un abbraccione, e tante buone cose <3 <3
#lo so che pare tutto molto stratificato e pesante. lo è#ma è il modo in cui mi sono abituata a lavorare e anche se ora mi muovo diversamente applico comunque un’evoluzione logica di questo metodo
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Non so niente, non capisco niente e non mi ricordo niente
Non mi ricordo perché stavo male,ho ritrovato una canzone che ascoltavo in uno dei miei periodi brutti, e stavo provando a parlarne con un mio amico, volevo raccontargli di cosa mi passava per la testa: perché stavo male, quanto è durato, chi avevo con me, eccetera eccetera... Non mi ricordo niente, mi ricordo solo le sensazioni fisiche della tristezza che provavo, mi ricordo che mi facevo male, che avevo due amici e che non parlavo più con nessuno, a casa o a scuola, non ero da nessuna parte con la testa, facevo solo assenze e se ero presente a scuola non c'ero effettivamente con la testa. non mi ricordo i pianti, le grida, le litigate, le sgridate, le conversazioni, i momenti, le serie che ho guardato e soprattutto non mi ricordo perché stavo male, non mi ricordo cosa odiavo, cosa amavo, cosa non sopportavo, non mi ricordo niente niente niente
Mi sembra che il mio dolore non sia stato vero, non mi ricordo nient'altro se non questi piccoli dettagli, odiavo me stessa e la mia vita con tutto il mio cuore e la mia testa, ma non so che cazzo sia successo effettivamente, perché stavo così? non era successo niente nella mia vita in quel periodo, un'onda di negatività mi ha travolta a io sono rimasta sotto a tutto. C'è una frase di Dostoevskij che dice "In realtà le persone hanno bisogno di toccare il fondo per cambiare" io so di averlo toccato e so di star scavando sempre più giù ogni giorno, perché non cambio? forse non l'ho toccato veramente? Quanto devo scendere ancora? Se è così, cioè che non ho toccato ancora il fondo, vuol dire forse che non sto veramente male? che non ho diritto diritto di stare male perché c'è di peggio?
Ho sempre pensato di dover scappare da questa città, dalla mia famiglia,dai miei problemi, dalla mia vita, spesso anche dai miei amici, da tutto proprio, l'unica cosa da cui devo scappare è la mia testa, sono io che rovino tutto della mia vita, sono io che rovino tutto della vita in generale. sono stanca, esausta, di essere così, non so se è colpa mia o se ho bisogno di aiuto perché questa onda di tristezza in realtà non sia vera e propria depressione. Forse sono solo negativa, forse sono solo io che non vado d'accordo con la felicità, si forse è questo, io la felicità in realtà non la voglio.
#tumblr#fanculo#fanculo tutti#tumblr italia#blog italiani#blog italiano#il mondo non fa schifo#faccio schifo#non ce la faccio più#non ce la posso fare#odio me stessa#ma che cazzo#non so come sto#ricordi#non mi ricordo#non capisco#non so niente#non so vivere#non sono abbastanza#non so che fare#non so perché#lalalala#che palle#mi sono rotta#mi sparo#rido#adoro mettere i tag mi fanno schiattare
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La storia di Maldini Paolo è quella di un hombre (troppo) vertical.
Lo é sempre stato e lo capisco bene, anche col tifo organizzato quando giocava. Va ben che il Milanista non è un interista qualunque, ma non è un caso che le tifoserie organizzate non siano insorte di fronte all'abuso di potere sulla bandiera, alla mancanza di rispetto a una impersonificazione della storia del club (cit. Ancellotti) da parte del Padrone.
Bandiera si, storia impersonificata anche, ma fingersi capo popolazzo non è per lui: quella teatralità anema e core un po' chiagni e fotti già presente a latitudini pur sempre adriatiche ma più basse, alla Valentino per capirci, è lontana dalla sua matrice nordestina austrunghera profonda.
Solo, non si può mai essere Vertical al 100% davanti a chi ti paga e ci rischia i suoi soldi, sia esso americano o anche solo un De Laurentiis qualunque. Un manager, anche se di grande successo, fa un errore terribile se si crede imprenditore. Rivendicare deleghe non significa essere libero da controlli, anzi. My two cents su questa triste storia, e promemoria.
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L’appello di Cathy La Torre a Giorgia Meloni:
«Diventiamo tutti immuni al patriarcato, approvi una legge per l’educazione affettiva»
Io sono una donna emancipata».
«Io non chiedo il permesso a nessuno».
«Io sono cresciuta tra le donne, il patriarcato non so cosa sia».
Per tanti anni ho pensato così, che questa fosse la mia verità. In fondo il mio curriculum parlava da solo: lesbica, attivista per i diritti e l’eguaglianza di genere, al punto da essere definita una ‘nazifemminista’ (e già associare il femminismo al nazismo non è folle?).
Non ho forse tutte le carte in regola per avere milioni di anticorpi contro il patriarcato?
E invece non è così.
Il patriarcato è una malattia che nessuno di noi vuole ammettere di avere.
E invece è praticamente ovunque, persino nella ‘casa del Mulino Bianco’ e fra i cosiddetti ‘ bravi ragazzi’.
Il patriarcato è vivo e protetto meticolosamente, pervicacemente, silenziosamente anche da chi oggi grida di essere diverso, di essere non colpevole.
Tra queste ci siamo anche noi donne.
Tra queste ci siamo anche io e Lei, e così togliamo questo gigante dalla stanza, signor Presidente, anche io sono stata ammalata di patriarcato e per curarmene ho dovuto prima di tutto riconoscerlo.
Anche io, come Lei, sono cresciuta in un matriarcato.
Mia madre è americana, parla 3 lingue, ha studiato in uno dei migliori college ma quando si trasferì in Sicilia si rese conto che lì contavano poco. Quello che contava era che fosse la perfetta donna di casa. Per questo ogni mattina si svegliava alle 6 e tirava su le tapparelle delle finestre: per far vedere al paese che lei, come ogni brava donna, si alzava prima per far trovare al marito la colazione pronta e la casa linda. Mia madre però dopo l’operazione tapparelle tornava a dormire e la colazione non la preparava a nessuno. Col senno di poi mi ha insegnato a fregare il patriarcato senza neanche rendersene conto.
Ma anche questo non è bastato, purtroppo, a proteggermi da reazioni inconsapevoli basate sull’essere cresciuta in una società maschilista e patriarcale.
Quella che lei, signor presidente del Consiglio Giorgia Meloni, finge di non vedere. Ogni giorno decine e decine di ragazze e donne mi chiedono se sia normale che il partner controlli il loro telefono.
Se sia normale che gli impedisca di uscire con determinate persone.
Se sia normale che distrugga la sua autostima.
Se sia normale che insista per avere rapporti sessuali.
Altre donne mi dicono, invece, che sono loro a ritenere “normale” controllare i propri partner.
Insomma, confondere comportamenti amorosi con reati, non riconoscere che quello non è amore o parte dell’amore, ma violazione (anche di norme e leggi) è già di per sé avere la gigantesca prova che non solo il patriarcato esiste, ma colpisce proprio tutti e tutte.
Un esempio?
Quando una donna viene uccisa, di femminicidio, che Lei chiama barbarie, ma invece si chiama femminicidio perché le parole non solo sono importanti ma solo lo specchio delle nostre convinzioni; quante volte si dice «eh però guarda in che situazione si era ficcata?».
Com’era la Sua frase Signor Presidente del Consiglio?
«Occhi aperti e testa sulle spalle», non è forse dire che dobbiamo essere più attente perché spetta anche a noi la responsabilità di evitare di essere stuprate, violate o ammazzate?
Quindi le 106 vittime di femminicidio forse non avevano abbastanza testa sulle spalle?
E se anche Lei fosse del tutto immune dal patriarcato, perché vaccinata fin da piccola con i migliori anticorpi, il suo partito Fratelli d’Italia (a proposito mi sono sempre domandata ma perché non si chiama Fratelli e Sorelle d’Italia, forse le sorelle si sono perse per strada?), si è rifiutato di aderire alla Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne per «ribadire la preoccupazione sulle tematiche legate al gender».
Allora Le faccio una proposta, visto che Lei il patriarcato non lo ha vissuto, né è immune, lasci che anche milioni di ragazze e ragazzi crescano come lei immuni da questo male: approvi in fretta una legge che già a partire dalle scuole primarie insegni l’educazione sentimentale ed affettiva, a riconoscere cosa sono gli stereotipi legati al genere, e i ruoli di genere che vorrebbero i maschi a far certe professioni, sport, ad avere certe ambizioni e le femmine no; visto che il 54% delle studentesse è incuriosita dalle cosiddette materie Stem (Scienza, tecnologia, ingegneristica, matematica) ma le reputa ancora poco adatte al femminile.
Insomma, Lei che ha il potere di farlo, si smarchi da questa logica del no, io non ho la “malattia” del patriarcato e faccia qualcosa di concreto, reale, efficace, affinché questo male venga veramente estirpato.
Perché sa qual è la diseguaglianza più radicata, bestiale, inaccettabile fra donne e uomini? Il peso della paura così iniquamente distribuito: gli uomini non si preoccupano di come si vestono per uscire da casa perché hanno paura che una donna potrebbe stuprarli.
Gli uomini non hanno paura del lupo cattivo.
Gli uomini non hanno paura che uno di loro ogni 3 giorni scompaia perché ammazzato da una donna.
Gli uomini non hanno paura che domani possa toccare a loro.
E se questo avviene non è solo e soltanto colpa degli uomini, ma si chiama patriarcato e si alimenta, come una muffa, di quello che donne e uomini producono.
In Fede, Cathy La Torre
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Hey ciao ho scritto questa storia e volevo condividertela, spero ti possa piacere. Ogni tanto racconto la storia mia e di una ragazza e mi chiedono sempre “Come si chiamava?” e io rispondo “Si chiama Giulia” ponendo particolare attenzione sul tempo verbale, perché non è cessata di esistere nel tempo passato, ma esiste tutt’ora e anche se non vivrà per sempre, come tutti noi alla fine, lei esiste ed esisterà sempre nei miei ricordi.
Quei ricordi così belli quanto nostalgici.
Lei è la classica ragazza che parlava talmente poco che quasi non ti accorgevi della sua esistenza, ed io ammetto di non averla mai apprezzata fino a quando, un giorno, ci incontrammo entrambi per strada, scappando dai nostri problemi andando ad affrontarne di nuovi. Quel giorno andammo a scuola guida insieme, andammo in una paninoteca e scoprii come lei ha l’abitudine di fare le foto ad ogni cosa, dai tramonti ai panini.
Poi fu il suo compleanno, le scrissi una poesia, una dedica per esserci stata nei miei momenti cupi e un inno di incoraggiamento, perché lei potrà deludere tutti, ma mai me, non mi deluderà mai, sarò sempre in prima fila per lei, a farle il tifo e ad applaudirla per ogni singolo passo avanti che fa, perché sei lei va avanti è come se andassi avanti anche io.
Eppure non eravamo fidanzati, eravamo amici di classe, ma io mi sentivo veramente bene con lei e non volevo che lei si sentisse mai sola, perché era stata sola già per troppo tempo.
Sabato 15 Gennaio 2022, ore 7:40
Il giorno prima Giulia non si presenta a scuola guida per una semplice febbre, una cosa normalissima. Eppure dentro sentivo come se avessi il bisogno di starle accanto, starle vicino per far star bene me, prendermi finalmente cura di qualcuno. Quella mattina mi alzai dal letto con uno scopo, farla sorridere.
Scrissi su un foglio una lettera di cui non ricordo le parole ma so che furono le parole più dolci del mondo poiché uscite dal cuore, incontaminato da altri pensieri. Scesi a piedi con questa lettera, presi dei cornetti da una pasticceria, e arrivai sotto il palazzo di casa sua. Arrivò quello che io chiamo Virgilio ovvero il custode del suo palazzo perché così come Virgilio portò Dante fino ai cancelli del Paradiso, quel gentile custode, mi portò fuori la porta della casa di Giulia. Ricordo solo 1 frase di ciò che pensai fuori a quella porta “Cosa diavolo sto facendo?”. Sapete, in quel momento avevo un dualismo interno fra la parte che voleva scappare per la paura delle conseguenze e la parte che nonostante la paura voleva andare avanti, vinse la seconda. Mi aprì la madre, signora educata e gentile, d’altronde solo un angelo poteva concepire un angelo. La signora mi guardò incredula, non si sa aspettava sicuramente me, e dall’altra parte della casa, nella sua camera da letto, una voce diceva “Mamma chi è alla porta?” La madre la invitò ad alzarsi dal letto per farle vedere coi suoi occhi.
Ricordo ancora come i passi di Giulia davano ritmo ai battiti del mio cuore che in quel momento parve che stava per esplodere. Io guardo Giulia e Giulia guarda me.
Ricordo lo scopo della missione, strapparle un sorriso, e allora le dissi: Sapevo che stavi male, per questo ti ho portato la colazione.
Lei sfoggiò uno dei sorrisi più belli che io abbia mai visto, e io in quel piccolo pigiama, in quella ragazza, in Giulia, io ci ho visto l’intero universo, ci ho visto lo scopo della vita, ho visto e scoperto cosa sia l’amore.
Facemmo una colazione come le altre, ma fu la più bella colazione mai avuta perché la feci con lei, lei rendeva speciale ogni singola cosa.
Ogni singolo giorno, ogni singola ora, ogni singolo minuto, era speciale quando lo trascorrevo con lei.
Dopo la colazione ci salutammo in maniera diversa, ci abbracciammo. Lei non abbracciava mai nessuno, eppure abbracciò me, come se lei fosse al sicuro tra le mie braccia, anche se devo ammettere che in quell’abbraccio ero io a sentirmi protetto, mi sentivo finalmente in un posto da chiamare Casa. Col passare del tempo le diedi un soprannome “Giuly” e voi mi direte “perché questo soprannome?”. La risposta è semplice: Essendo io nato ad Agosto il mese prima del mio compleanno è Luglio, e in inglese Luglio si scrive July, per questo esatto motivo la chiamavo Giuly, perché così come Luglio viene prima di Agosto, lei veniva prima di ogni singola cosa, prima addirittura di me stesso. Lunedì 14 Marzo 2023 11:50 In me cresce giorno dopo giorno il desiderio di dirle ciò che provo, che sono pronto per essere di più di semplici amici, che sei lei fosse ciò che si trova nel resto della mia vita, allora desidererei che il resto della mia vita iniziasse il più presto possibile. Alla fine di educazione fisica, nella palestra della scuola, la guardo negli occhi, in quegli occhi marroni nel quale io ci vedevo il cielo, e riesco finalmente a togliermi questo peso dalle spalle.
Io dico a Giulia: Ti amo
Giulia dice a me: Ti amo anche io
E vissero per sempre felici e contenti
Ma questa non è una favola, lei non disse mai quelle parole. Mi disse che non provava le stesse cose e che dovevamo rimanere solo amici. Appena sentii quelle parole non mi cadde nemmeno una singola lacrima. Aspettai che lei abbandonasse la palestra, aspettai che lei si distanziasse il più possibile per non farmi sentire. Caddi in ginocchio con le lacrime che cadevano dal mio viso come gocce di pioggia durante il temporale. Colpii così tante volte e così forte il pavimento che le nocche mi iniziarono a sanguinare, e ogni singolo colpo era accompagnato da una domanda urlata “Perché?”.
Questa scena andò avanti fino al suono della campanella, solo allora mi alzai e andai di nuovo in classe. Entrai con il volto coperto da uno scaldacollo, si intravedevano solo gli occhi, quegli occhi che continuavano a cercare Giulia, ma ogni volta che la trovavano la vista si offuscava, venivano trasmessi tutti quei momenti, tutte le risate, tutte le volte che siamo stati insieme, tutti quei momenti in cui sono stato veramente bene.
Giorno dopo giorno parliamo sempre di meno, fino ad allontanarci definitivamente. Io non riuscivo a stare senza Giulia, lei invece pensava che allontanandosi mi avrebbe fatto star meglio, voleva che la dimenticassi. Voleva che dimenticassi come si scrivono le poesie d’amore, voleva che non l’amassi più.
È passato un anno dall’ultima volta che ci siamo parlati, e io custodisco ancora quei ricordi così belli quanto nostalgici, perché quei ricordi, quei minuscoli lassi di tempo, sono la mia ispirazione per le poesie d’amore, perché in quei ricordi ci sta ancora una parte di me che la ama ancora, ci sta una parte che spera che Giulia ci abbia amato almeno un po’.
❤️
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Effettivamente.
Parto con la foto della situazione neve in questo momenti, dio pupazzo di neve. Dopo una notte in bianco e passata a smanettare col nuovo giocattolino (midi controller per chi avesse perso il post precedente) ad un certo punto sono crollato verso le 9:30 ed era tutto normale, mi sveglio e trovo questa merda bianca che cade; lo sapevo che quest'anno sarebbe stato una merda e il buongiorno si vede dal mattino, semplicemente perché è bisestile, il 2020 vi dice qualcosa?
Ma passiamo a qualcosa decisamente più importante, anche per non pensarci. Ho scambiato un pò di audio con Spock, effettivamente non ha torto, la faccio breve, "vista la situazione (lavorativa, affettiva e musicale) non sarebbe male farti un periodo a CT, anche per rigenerarti un pò", questa la frase chiave del suo discorso da scienziato che ragiona con logica. Mi ha convinto. Sarà anche la situazione, come sottolinea lui, che mi sta facendo scivolare nella follia e siccome non ne esco, trovo il suo consiglio più che valido. Catania nonostante sia una bella città col mare, la montagna (che poi è un vulcano), la cultura che nonostante il degrado comunque c'è, lui mi sottolinea che di persone come me ne trovo sicuramente più che qua (dove non ne ho trovate, per dire), e altre cose positive nel marasma delle cose negative, che ci sono inutile negarlo, un pò come ovunque. Tutto questo perché gli ho detto che la cosa che mi manca di più in assoluto, oltre a loro come persone anche sua moglie (che è comunque una cara amica di vecchia data), quindi la cosa che mi manca è il mare, il rumore del mare, immergermi nell'immensità blu che ti avvolge, poi lo dico a lui che è oceanografo figuriamoci. Non è la prima volta che mi consiglia di farlo, ma si vede che i tempi sono maturi e prima che cada e picchi la testa fortissimo contro il gelo di questo posto, vado. Che poi un lavoro, in nero, lo trovo sempre, che cazzo è la mia città e ho centinaia di conoscenze. Per la musica basterà essere in loco che qualcuno con cui suonare salta sempre fuori. Tutto qua. Oggi il programmino prevede l'ennesima mescolata delle cose nello studio, per prima cosa per fare spazio sul tavolo al nuovo giocattolino e poi perché voglio provare a montare la batteria, giusto per fare qualcosa visto che spesso sono completamente solo a casa e posso fare tutto il casino che voglio 😁. Lo so che ho detto che per un periodo XY partirò, ma non parto mica domani.
Concludo come al solito con qualcosa di musicale, oggi un album che ho consumato e che mi ricorda un bel periodo catanese.
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Relazione toxic
Sono seduta in un bagno, e ho messo la mia playlist.
E sto notando che non sono più me stessa da un po’.
Oggi mia zia mi vede e rimane con una faccia un po’ perplessa.
Mi scrisse mia zia sta sera..
Ma non vorrei far preoccupare nessuno, mi sento come se fossi sola .. mi sento come una sigaretta spenta in acqua . Che è una frase che citava il mio ex ragazzo ma sto provando a dimenticare quello che mi ha fatto passare .. ma non ci riesco .. mi sento debole, il cuore che batte a mille.
Mi sento come se sto crollando.
Mia madre disse a papà di non lasciarmi a casa da sola, ha paura che mi potrei fare del male .. pensa che mi potrei suicidare ..
Ma non sono così stupida , non arriverei mai a questi livelli .. se anche ho molti pensieri negativi. Che vorrei prendere una lametta e tagliarmi le vene..ma so che non risolverei nulla,in questo modo farei vincere lui.
Devo essere forte e reagire . La mia paura che ora che gli sarà arrivata la denuncia..che mi potrebbe contattare e minacciarmi o insultarmi ..
ancora sogno quando lui mi prendeva per la gola e mi stringeva forte e mi dava della puttana . Che se era così lui,era per colpa mia ..e certe volte penso veramente che fosse colpa mia . Che ogni cosa che tocco la distruggo .
Vorrei prendere in mano la situazione e finire tutta questa storia prima possibile. Sto crollando sempre di più .
Ogni volta che mi guardo allo specchio mi vergogno .. mi faccio così schifo con questi lividi .. e so che ora non mi potrò più fidare di nessuno . Che ho sofferto abbastanza “ Abbandono , stupro, violenza fisica e psicologica.” Sto impazzendo. Vorrei solo essere felice . Non chiedo molto . Ma vedo che ogni volta che ci provo mi succede sempre qualcosa di brutto,strano eh!
COME MI SENTO?
Mi sento male ogni notte, provo a non pensarci . Ma non riesco a dimenticare quello che mi ha fatto..quando io ho provato a dargli tutto il mio cuore,so di aver sbagliato.. ma questo non giustifica che mi doveva mettere le mani addosso,che mi doveva massacrare di botte ,tra schiaffi ,cazzotti ,strangolarmi ,puntare un coltello contro . Avevo così paura .. ma dovevo dire che lo amavo e che non avevo paura .. sennò mi avrebbe fatto del male.
Cazzo ma di chi mi ero innamorata?
Perché mi trovo sempre nella strada sbagliata ? Vorrei trovare il mio cammino giusto ! Vorrei essere amata come merito ma sembra che non mi merito il bene in questa vita .mi sembro mia madre biologica ..che faceva sempre scelte sbagliate, che arrivó al punto di farsi di coca e alcol e alla fine che fu uccisa dal compagno.
Voglio avere una vita degna.
Il problema che sto scrivendo ogni cosa che penso .vorrei fermarmi e dirmi cosa cazzo sto dicendo . Ora sto pensando di prendermi una sigaretta per calmarmi .. e riflettere a mente lucida . Nonostante che mi sono bloccata con il cuore,Con la mente ,che piano piano stanno riaffiorando tutti i miei ricordi,sia belli e brutti.
Ora sento che mi viene da vomitare. (Forse questo è lo stress che sto accumulando)..Prima avevo iniziato a non mangiare, ero arrivata in Italia che non mangiavo da 3 giorni,prima che non riuscissi a essere liberata dalla mia famiglia essendo che lui mi aveva tenuta sotto sequestro. Che non avevo modo di uscirne via da quella situazione. Che imbranata ,non mi sarei dovuta fidare ..sarebbe potuta andare peggio e rischiare di morire.
Alla fine vedo quante ragazze hanno subito violenza psicologica,fisica e sessuale.
Devo aprire bene gli occhi,perché la prossima volta non ci potrebbe essere il modo di salvarmi e parlane come lo sto facendo ora .
Parlatene sempre di quello che vi succede prima che sia troppo tardi.
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