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Oneida - Beat Me To The Punch (Official Video)
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Sky Cries Mary
🎙️~ Moonbathing
Album: Moonbathing On Sleeping Leaves
{1997} band from: Seattle, Washington 🇺🇸
No copyright infringememts Were intended.
To copyright holder: Please contact me directly with any desire To have your material removed from my blog
Tank's
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Echo & the Bunnymen #echoandthebunnymen #ianmcculloch #porcupine #heavenuphere #oceanrain #postpunk #rockalternativo #newwave #neopsichedelia #liverpool #bogysrecordstore #bogys50s #vinyl #vinylcollection #vinile #records #caserta (presso Bogys Record Store) https://www.instagram.com/p/B413NWJo-DO/?igshid=7ejj56gdn3h3
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VV, "Verso": recensione e streaming del nuovo ep
VV, “Verso”: recensione e streaming del nuovo ep
E’ uscito VƎRSO (Maciste Dischi/Pulp Music/Sony Music Italy – Epic Records Italy), il primo ep di VV. VV, da poco arrivata sulla scena musicale italiana, si fa notare fin da subito per la sua scrittura intima e brillante, dove il lo-fi da cameretta incontra la neopsichedelia e il dream pop. Prima di pubblicare il suo primo singolo ufficiale, rilascia 7 brani, scritti e prodotti da lei stessa…
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vuoi guadagnare 10 mila euro al giorno? o di musica non è bello campare e riflessioni affini.
Dettaglio della copertina di Winds of Change disegnata da Robert Crumb, 1981. Le nuove tecnologie per l’ascolto e la diffusione musicale sono ricche e complesse, ma non abbastanza per non ritrovarsi i Maneskin sopra una playlist alla ricerca “indie rock italiano”. Non è un caso isolato. C’è qualcosa che non torna negli algoritmi di Spotify o di Youtube, così spesso ci si trova a non saper descrivere la strana malinconia che si prova nel vedere i nostri gusti non sempre indirizzati al meglio ma al più noto e sapere che nelle chiacchiere da pub saremo sempre sul pezzo ma ancora una volta a discapito di quella visibilità che i più neanche riescono a immaginare - a meno di non essere “sponsorizzati” come i Maneskin appunto, o parecchio fortunati. La società dei consumi sta avendo enormi trasformazioni per quanto riguarda la fruizione di contenuti musicali ma riscontra ancora enormi deficit sul piano contenutistico. La cultura sta cambiando, senza aspettare che qualcuno, e sicuramente non la critica spesso corrompibile delle passate generazioni, stabilisca i limiti di ciò che è possibile. Osservare questo fenomeno, specialmente per una persona idealista e anarchica come me, è allo stesso tempo un’esperienza agrodolce e mozzafiato.
Quando suonacchiavo ai tempi del liceo nessuno poteva accedere alla mole di musica disponibile oggi, neanche se apparteneva all’oscura setta dei giornalisti e dei lettori di magazine musicali, forse una delle fucine di intaccati più prolifiche che il mondo ricordi, piena di collezionisti e di mitomani che aspetta(va)no anche mesi per accaparrarsi un demo in cassetta di un gruppo norvegese morto nel tempo di consegna del pacco. Allora non esistevano generi come il “sadcore” o espressioni come “cantautorato folkatronico” per descrivere il complesso groviglio di ascolti adolescenziali che già allora qualcuno avrebbe potuto chiamare così ma, non avvisandone la benché minima utilità sociale, si limitava a chiamare rock o giù di lì. In un contesto simile si poteva inserire una cover in una scaletta di pezzi propri, oppure sgraffignare una sequenza di accordi, avendo una buona dose di possibilità che nessuno o quasi se ne accorgesse. Ne sa qualcosa Tiziano Ferro, tra gli ultimi a usare questa “possibilità”: nel 2OOO sgraffignò Did You Ever Think di R. Kelly e la trasformò in Xdono - anche se ora polemizza contro lo streaming perché ucciderebbe “l’originalità della musica” (sua o di R. Kelly non c’è dato sapere). Ma ne sapevano qualcosa pure i Nirvana, che presero un pezzo dei The Damned e lo trasformarono in Come As You Are. (Lo facemmo anche con il mio gruppo, riscontrando un certo successo in ambito liceale con una cover mai palesata di Judith degli A Perfect Circle ma, sebbene riscuotesse più successo di un qualunque nostro inedito, grazie al giusto mix di strizza e dignità, non provammo mai a monetizzare la cosa.)
Come cambiano i tempi. Oggi gruppi senza genere come Oneohtrix Point Never e generi senza gruppi come lo “shitgaze” sono diventati alla portata di tutti, siti e sitarelli sono pieni di materiale di ogni tipo. Basta "shazammare" per svelare una cover di un gruppo polacco di trent'anni fa e curiosare su Last.fm per scoprire venti gruppi affini. Molti autorevoli giornali hanno pensato di abolire l’obbligo di specificare un genere ufficiale di appartenenza sostituendolo con simpatiche cazzate come “Texas Power” o “Musica di Protesta per Disastri Imminenti”. Non vogliono dire un bel nulla ma si vede basta per spacciarsi per giovani o credersi degli influencer. Quando parlo con quelli che giovani lo sono sul serio però resto sbalordito da quanto sono informati e all’avanguardia su realtà che alla loro età io non avrei mai raggiunto. Di quanto, grazie a internet, sono in grado di crearsi una discografia che parte dagli Abba e arriva ai Throbbing Gristle, passando per Mac DeMarco, Ed Sheeran, Beatles e Fat White Family senza passare dalle stronzate della stampa specializzata. Sostenendosi e istruendosi a vicenda con una velocità e un’efficacia che la distribuzione culturale convenzionale dei grandi non è mai riuscita a sfiorare. Anche sui banchi di scuola , lo vedo dove lavoro, fa a suo modo notizia il nascere di acerbe realtà già inserite in questo nuovo modo di concepire la musica e tentare di crearne di nuova in prima persona. Laddove l’etimo usato, “nuova”, nasce tanto dalla passione degli allievi quanto dall’essersi resi conto, direi il più delle volte in modo inconsapevole, che sebbene gli adolescenti come loro abbiano un sacco di problemi sulla consecutio temporum della storia della musica che i i loro genitori non hanno mai avuto, nonostante le vistose lacune con cui vivono il proprio presente dettate dalla quantità di contenuti da cui sono sommersi ogni santo giorno, non hanno alcun problema a miscelare generi e gruppi attuali ad altri retrò, sonorità indie (pure) di culto ad altre sfacciatamente pop. C’è Giulia, chitarra dei Before Disaster, che condivide Talking Heads, Maroon 5 e Backhouse Mike. C’è Amedeo, batterista dei Fulcro, che di recente sembra ascoltare solo neopsichedelia e madrigali. Tutto come fosse normalissimo. Riversando poi la loro varia e sgangherata conoscenza in ciò che suonano, alla faccia del ridicolo sadismo da duri e puri con cui hanno vissuto molti miei coetanei.
E’ una bella cosa, naturalmente. Lo è ancora di più perché dimostra che il sapere musicale è cambiato in lungo e in largo e non sempre unidirezionalmente verso le porcherie, le ruffianate e il talent(o) televisivo. Ma non c’è rosa senza spine. In particolare le novità hanno portato al proliferare di una “nuova” categoria di esperti - o music coatch dome qualcuno si definisce. Michele Maraglino, Fabrizio Galassi, Pier Andrea Canei, Michele Boroni, Marco Sensini, ce ne sono a bizzeffe, tutti con il loro spazio in rete. Ma sarebbe poco lungimirante parlare di new technologies senza partire dal presupposto che, proprio essendo tali, ovvero “recenti” e a che fare con tecniche programmate da altri, chi se ne occupa spesso tira a improvvisare. Promuovendo anche cagate (come Hook’d) nella speranza di prenderci (”Quando sarà il fenomeno social pop dell’anno sentiremo dire: ‘Dai, Hookdamelo’” si leggeva tre anni fa, ma nulla si è mai concretizzato grazie a dio). Nonostante si tratti pure di addetti ai lavori, le persone che si propongono per consigliare, spiegare o suggerire, si limitano spesso a un’allegra e scoppiettante sagra dell’ovvio indirizzata agli emergenti. Se Spotify stabilisce che 25O è la quota base di seguaci per essere calcolati vagamente di striscio, il nostro sagace “esperto” di turno farà 5 minuti di video per consigliarvi di raggiungere almeno 25O followers. Se Youtube consiglia i featuring per aumentare il traffico tra un v-log e l’altro, lo scaltrissimo “esperto” consiglierà di aprirsi alle collaborazioni. Facebook fa fare le dirette e il temerario “esperto” vi darà dieci buoni motivi per fare una diretta. E grazie al cazzo ve lo aggiungo io, senza essere un esperto. I ragazzi delle nuove generazioni saranno anche al passo coi tempi, ma mi auguro per loro che non siano totalmente rincretiniti. Che arrivino da soli a capire che se una diretta la fanno i Green Day non sarà proprio uguale uguale alla loro. Che importunare parenti e amici per raggiungere un qualunque quorum o smettere di incidere dischi perché tanto oramai è tutto in streaming, non renderà la strada tutta in discesa. Gli algoritmi di Youtube ci metteranno sempre un Harry Styles tra i suggeriti dopo un video di - che so - Morrissey e Spotify ci inserirà sempre i Maneskin dove sarà possibile infilarceli. A dare questo genere di dritte, oltre a passare come mediocri imbonitori o insicuri che provano a darsi una spiegazione logica in un mondo che la logica l’ha persa da tempo, se non si sta attenti, si finisce per farle indossare a chi le sente come un credo popolare, come una corazza avvolta attorno a quello che dovrebbe essere il vero e unico obbiettivo: sfornare canzoni coi controcazzi. Ai miei tempi il “buon consiglio” che andava per la maggiore era quello di suonare sempre e ovunque. Conosco gente coi valori dei trigliceridi a mille a furia di mangiare le pizze margherita con cui venivano pagati. Col tempo la cosa si è ridimensionata e, salvo casi isolati, chiunque ha capito che a fare 3OO date l’anno (specie se sempre nei soliti posti) più che finire per saturare l’umana sopportazione altrui difficilmente si ottiene altro. Però per i giovani è facile credere a tutto. Non è colpa loro. Ma quella è una regola incisa nella pietra, che non cambierà mai: senza carne sul fuoco potete bruciare tutta la legna che vi pare, sempre di fame morirete.
#maneskin#playlist#musica#spotify#youtube#demo#cassetta#mixtape#sadcore#folkatronica#rock#cover#tiziano ferro#plagio#r. kelly#nirvana#a perferct circle#oneohtrix point never#abba#throbbing gristle#mac demarco#ed sheeran#fat white family#beatles#rancid#system of a down#indie#pop#talking heads#backhouse mike
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Si scoppia o si improvvisa?
Qualche giorno fa sono stata a Ponte a Egola. Un bel posto con un nome che inevitabilmente ti fa pensare ad un signore degli anelli post industriale. Seguivo una band di amici che dovevano provare dei nuovi pezzi e avevano prenotato una sala in “un posto che ti piacerà sicuramente”. Effettivamente Ponte a Egola mi piace. In particolare il posto dove avrebbero dovuto fare quelle prove.
Cortile immenso di una fabbrica abbandonata da 10 anni e più, e nel mezzo un camioncino da rimorchio rosso Valentino con sopra ferraglie erbacce e altre cose che non riuscivo ad identificare. Secondo me quelle sono due bottiglie con del piscio. Lo vedi? È troppo giallo per essere fanta, spuma, olio. Secondo me è piscio, ed è bellissimo.
Fosse piscio o meno Giovanni (il bassista della band) era fermamente convinto ed entusiasta di mostrarmi quelle bottiglie, era felice di vedere quel posto che frequentava da mesi ormai, gli brillavano gli occhi perché “è molto post punk tutto questo abbandono”. E a noi che siamo un po’ out il post punk piace perché è sempre una forma di futuro fatta di una sottile nostalgia incazzata per quel fermento mai vissuto.
La sala prove è in cima ad una scala coperta da un black carpet polveroso. La luce è fuxia, il caldo assassino, il puzzo di fumo forte. Si ma dentro c’è l’aria condizionata dice Marco mentre io stavo facendo una mezza smorfia per l’afa sopportata e non richiesta. Ah menomale, esulta il mio cervello. La sala prove è un cubicolo elegante, con diversi poster di concerti appesi tra il 2003 e il 2016.
Locandine che ammiccano alla psichedelica di rick griffin e a scene di quella quotidianità semplice innalzata a ribellione un po’ stanca, serate punk a sfondo anti religioso (ai super vixen piaceva la blasfemia di sicuro), disegni che inneggiano alla fuga di cervelli, necessità di sradicare un ordine dentro un ordine che si rifiuta con l’estetica ma si accetta con l’auto promozione visuale, luci soffuse e divanetti etnici, roba da musici psichedelici, familiare e comoda.
Come quella volta che a Viareggio ho frequentato il Gob e mi sembrava di vivere in una particella pazza della Liverpool fine 70 descritta da Julian Cope tra hippies, consumatori di acidi, gente che ti dice di trovare te stesso e che scapoccia inconsapevole sotto un rombo di big muffs e mantra come “io influenzo te, tu influenzi me, e creiamo qualcosa capito?”, “con la musica non si vive io non so cosa fare nella vita ma sono felice”, “sto gruppo spacca, li ho sentiti al beaches brew”.
Mi siedo mentre i ragazzi montano la strumentazione. Spio Andrea. e la sua drum machine akai. Son gasata. Mi piace il genere che fanno e sono curiosa di assistere alla creazione dei pezzi nuovi, in italiano sta volta, dice Marco così si fanno i soldi come Calcutta con quel cazzo di paracetamolo. Lascio i ragazzi alle loro prove e mi metto a leggere delle riviste. Blow Up. L’ho visto anche a Pistoia una sera, in un pub in cui non te l’aspetteresti mai e che aveva in esposizione anche delle riviste di pesca sportiva, accanto a Blow Up ovviamente.
A volte mi perdo nei pensieri e mi sembra che ci sia una linea di unione musicale sotterranea che si estende orizzontalmente per tutta la Toscana, una specie di linea neo-gotica che riunisce la generazione di millennials sfigati come me a cavallo tra due mondi, e che inevitabilmente cercano di trovare nuovi linguaggi per capire e per capirsi. C’è chi parla con la grafica, chi con il noise, chi con l’hardcore, chi con la musica sperimentale chi col fumetto, chi con il free jazz, chi con la neopsichedelia. È un’urgenza, il ritorno di un’urgenza di una generazione sembra dire “perché a me? Ora?” Si parte da Pisa, Viareggio, Massa, si va a pontedera, si passa per ponte a Egola, si arriva a prato e a Pistoia, si tocca blandamente anche Empoli e poi si scoppia dentro Firenze che sembra ancora vivere di quel manierismo anni 80 pettinato alla fiumani, come afferma spesso un mio amico. Si scoppia tutti. Ma si combatte per un’identità che piange il passato e grida futuro. E mentre io scoppiavo dal mal di testa in sala prove perché non avevo l’acqua e Marco aveva iniziato a fare i droni con la chitarra a volumi improponibili, Andrea dice:” ma sei sicuro di quello che fai?” Fossi stato sempre sicuro, ribatte Marco, a quest ora mi sarei già ammazzato. Mentre riflettevo sulla genialità di tale risposta ho guardato l’ambiente intorno a me e mi sono detta che ogni cosa artistica (musicale in questo caso) che nasce nel presente ha una sua dignità perché volenti o nolenti è figlia del suo tempo. E siamo tutti figli del nostro tempo e l’arte più spontanea lo sa bene. Anche tutte le manifestazioni che possono puzzare di nostalgia canaglia, cattivo gusto, retorismo da cover band, sono degne di considerazione perché sono qui, ci sono. Tutto quello che vedi è contemporaneo (immaginatevelo con un tono alla “Simba un giorno tutto questo sarà tuo”, rende meglio, c’è una voice of authority). Tutto è contemporaneo o meglio, all art has been contemporary, come cita la scritta su un grande museo torinese. I gusti son gusti, l’innovazione anche e ha una sua riconoscibilità critica grazie a Dio, ma se si vuol capire dove si sta, guardiamoci intorno. Aveva ragione Reynolds quando parlava di Retromania, c’è ancora ma si sta cristallizzando, i Retromanici crescono e alcuni invecchiano. Il nuovo in musica avanza, c’è eccome, lontano dalle province ma c’è e le province lo sentono, lo vogliono. È dirompente grazie a Dio ed è lo specchio dicotomico di un mondo (italiano in particolare) che vive di contraddizioni estetiche, politiche, lavorative, economiche e comportamentali. Siamo in un epoca di microcosmi infiniti dove esiste l’individualismo e non l’individualità? Non so che risposta dare ma sicuramente la band mi ha dato lo strumento migliore: ragazzi si improvvisa, te vai alla batteria, tieni un groove, te non suonare sempre, io canto, vediamo cosa esce. E di roba bella ne è uscita eccome in quelle prove, se si mette da parte l’ansia di produzione immediata. Si prendono in prestito categorie di pensiero nuove per capire dove diavolo andare. Poi son cazzi comunque però può essere una soluzione fare ora, nel momento presente, con un po’ di mono no aware tra un drone e l’altro.
#music#punk#undergound#band#florence#live#scene#racconti#scene musicali#musica#storie#stories#postpunk#shoegaze
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Robyn Hitchcock nasce a Londra il 3 marzo 1953. Già leader negli anni ’70 dei Soft Boys, debutta discograficamente in proprio nel 1981 con il singolo “The man who invented himself”, primo... via Rockol Music News
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Vento Solare by Omid Jazi TOOTING BEC, (Nexus Edizioni) 2015: "Questo disco non si lascia solo ascoltare, ma cerca corpi da attraversare, menti da incuriosire" (Giuseppe Flavio Pagano, Il Fatto Quotidiano). "Tra energia mistica e realtà" (Dafne D’Angelo, Tuttorock). "La forza delle sue visioni, che ci vengono regalate in un ristretto spazio temporale, è davvero inaspettata e surreale" (Mariateresa Pazienza, Casa di Ringhiera). "Omid Jazi: l’equilibrio tra impulsività e riflessione" (Antonio Altini, Oca Nera Rock). "Omid Jazi è un polistrumentista modenese che negli anni ha imbracciato qualsiasi strumento in modo magistrale e ha ottenuto notevoli risultati" (Angelo Barraco, L’osservatore d’Italia). "Tooting Bec è la conferma di quanto Omid Jazi sia un profondo conoscitore della musica, un fine artigiano del settore, un instancabile ricercatore del suono. Paradossalmente (?) uno dei pochissimi lavori italiani interessanti e fatti con l’anima del 2015 è stato assemblato oltre Manica" (Patrick Poini, Paper Cuts). "Uno spiccato intimismo e un intreccio strumentale formidabile che eleva il coinvolgimento emotivo. Omid Jazi conferma il suo talento nel dare la giusta pennellata di colore alle parole, ricercando nuove sfumature per esprimere quello che vuole comunicare. Una caratteristica che rende vivido l’ascolto" (Nicola Orlandino, Sonofmarketing). "Tooting Bec, un bel dieci tracce di pop-rock psichedelico, poetica metafisica immersa nell’indie che nasconde una certa qualità sognante, arte out-borders e con un uso della parola intimista e tirata sull’esistenzialismo, comunque una classe estetica perfettamente non in linea con le mode e che prima o poi si rifarà su tanta disattenzione massificata" (Max Sannella, Il Cibicida). "Viaggio tra le stelle che illuminano dimensioni parallele, che disegnano pensieri alternativi, ma alternativi sul serio, e se il precedente “Onde Alfa” raccontava storie in bilico tra il sonno e il sogno, qui le questioni si fanno più grandi e abbracciano l’essenza dell’uomo e dei suoi perché. Una sorta di energia mistica si sposa a suggestioni fantascientifiche, il suono si dilata psichedelico e accompagna perfettamente la mia peregrinazione interstellare" (Margherita Di Fiore, Rockit). "Tutti i brani sono caratterizzati da testi estremamente originali e coinvolgenti, chiaramente ispirati da molte tematiche affini a quelle trattate dalle nostre pubblicazioni e metabolizzati nel calderone emotivo di Omid, restituendo una suggestiva e intrigante alchimia di immagini e sensazioni" (Tom Bosco, Nexus Edizioni).
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Oneida - I Wanna Hold Your Electric Hand (Official Video)
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Best song ever #sottoprescrizionedeldotthuxley #sottoprescrizione #verdena #verdenarealfan #neopsichedelia #canzonilunghe #grunge Puoi ridere con me, rimani solo un po' Vivi nell'aria, tu così fai Vivi nell'aria, tu così fai Vivi nell'aria, vivi nell'aria
#verdena#sottoprescrizionedeldotthuxley#grunge#verdenarealfan#neopsichedelia#sottoprescrizione#canzonilunghe
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Aspect Ratio, "Crash by Crash": recensione e streaming
Aspect Ratio, “Crash by Crash”: recensione e streaming
Nuovo album per Aspect Ratio, il progetto solista di Alessandro Graciotti. Il disco si intitola Crash by crash. Così il comunicato stampa: “La sperimentazione sonora del progetto si fonde consciamente con una combinazione di vari generi tra cui techno, neopsichedelia, drone e musica ambient. Il processo è diretto da un’unica linea guida: la fusione tra ritmi post-africani e random pattern astratti
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The Legendary Pink Dots - The Seer
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Prince & The Revolution - Raspberry Beret (Official Music Video)
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The Church - Reptile
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Prince - Kiss (Live At Paisley Park, 1999)
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Steven Wilson - Pariah ft. Ninet Tayeb
Giorno 10 - Una canzone che ti rende triste
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