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Crimine e Pregiudizio di Oscar Andena: Il primo giorno di una vecchia vita. Recensione di Alessandria today
Una metamorfosi tra passato e presente, da campo di battaglia ad aula di tribunale
Una metamorfosi tra passato e presente, da campo di battaglia ad aula di tribunale Oscar Andena firma un thriller unico e provocatorio, “Crimine e Pregiudizio: Il primo giorno di una vecchia vita”, che intreccia azione, dramma e temi di grande attualità. Ambientato in un’Italia dominata dal nepotismo e dal rapporto mafia-politica, il romanzo esplora il coraggio di chi sfida i pregiudizi per…
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Le parole sono importanti (cit.)
Secondo Installment
La frase detta così è da sinistri, cioè non vuol dire nulla: valori “assoluti” di per se le parole come gli atti non hanno. Importante delle parole è comprenderne e condividerne il SIGNIFICATO (da signum fero: porto un segnale, un emblema). Qui si va a cercare radici e significati autentici, non quelli cangianti della narrativa corrente manipolati dalla neoligua imposta alle masse.
MATRIMONIO: in tempi d'attacco al divorzio a mezzo spot Esselunga (a che livelli sono scesi i sapientoni preoccupatoni), andiamo a Wikipedia refugium ignorantorum standardorum:
"Il termine deriva dal latino matrimonium, unione di due parole latine, mater ("madre", "genitrice") e munus ("compito", "dovere"); il matrimonium era, nel diritto romano, un "compito della madre". Un DOVERE, un vincolo.
Il Consensus su tale significato è diffuso, è la vulgata da inzegnandi medi, persino Accademia della Crusca. Però però, qualche sospetto ai più curiosi cultori del latinourm viene: è monium non munus, e poi munus stesso non è dovere ma compenso - come in res-munero. Puzza di piccola truffetta sul senso, da desiderio forzato nella realtà come avviene di frequente in queste epoche ignoranti. Ci arriviamo.
Partiamo dall'inizio, senza confutare la Crusca facciamo detonare la bomba: non si scappa dal fatto che in "matrimonio" di SOGGETTI ce n'è SOLO UNO: MATER. Significa che il matrimonio NON è un uomo e 'na donna, tantomeno un dante e un prendente omnigender: "quel che conta è solo l'ammore" c'entra un caxxo (per stare in tema). Il significato (logos: sia parola che concetto) della parola matrimonio parte e finisce con LA MADRE, cioè la donna che porta in sé e mette al mondo un bambino, punto e a capo.
Ciò stabilito e scusate se è poco, veniamo al secondo componente, il "monium". Spoiler: significa l'opposto della vulgata diffusa. Il suffisso indica etimologicamente il compimento di una azione: come in Patrimonio, Testimonio, Mercimonio etc., significa "relativo a", ciò che Pater, Teste, Merce - o MATER - detiene e caratterizza: IL SUO.
Mater Monium quindi è ciò che appartiene a e caratterizza la madre. Conferma che il soggetto del matrimonio è la madre ed è senso sottilmente ma radicalmente opposto a quello di "compito, dovere" inferito ex post perché "je tornava". Al contrario si tratta più di un credito, di una garanzia o come si dice oggi, di un Diritto. Vantato ed esatto - nel senso di "esigiuto" - dalla Mater nei confronti del marito davanti a tutta la comunità, per il fatto stesso di mettere al mondo la prole.
Se ne deduce, sul lato mondano esser corretto che il Matrimonio sia il giornochiubbello suo di lei e basta (acquisisce diritti, potenzialmente); sul piano sostanziale si ricava che un matrimonio senza madre - con Genitori 1 e 2 - è peggio di un ossimoro: è un nonsense, un gioco o una TRUFFA. Trovategli un altro nome: suggerisco amoronio.
Potenti i significati eh?
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Testimony of N aka N No Tame Ni
L'amore incondizionato
Ci saranno spoiler!
Colpa mia.
Vostro Onore sono colpevole di aver pensato che questa serie fosse un thriller investigativo fatto di indagini, prove, caccia al colpevole e poliziotti ovunque. Pensavo che avrei visto la polizia interrogare i sospettati, indagare i moventi, seguire piste ecc ecc ed invece... niente di tutto questo. Motivo per il quale, arrivata in fondo alla visione, sono rimasta "delusa" dall'andazzo generale del drama. Per colpa mia, ripeto. Sono stata fuorviata dalla lettura di "poliziotto" nella trama su mydramalist e questo mi ha portata fuori strada.
Ma andiamo con ordine.
La serie parla effettivamente di crimini e misteri:
"La studentessa universitaria Sugishita Nozomi, assieme a Naruse Shinji, Ando Nozomi e Nishizaki Masato finiscono per imbattersi nella scena dell'omicidio della famiglia Noguchi, a causa di un piano da loro ideato. Nishizaki viene arrestato sulla scena e condannato a 10 anni di prigione per la sua confessione volontaria.
10 anni dopo, Takano Shigeru, un ex agente di polizia che nutre dubbi sul verdetto di questo caso, inizia a cercare la verità sul caso. È convinto che tutto sia iniziato a seguito di un incidente causato da Nozomi e Naruse su un'isola nel Mare Interno di Seto nell'estate di 15 anni fa.
"Hanno commesso un crimine in quel momento ed era per il bene di N." [mydramalist]
Tuttavia contro ogni mia previsione, la serie si concentra sull'emotività e sull'introspezione piuttosto che sulla risoluzione del caso. Non ci sono ricerca di prove, visionamenti di telecamere o tutto ciò che di solito vediamo in un drama di ricerca della verità, poiché Testimony Of N decide di narrare le vicende concentrandosi sui personaggi, sulle loro psicologie e traumi. La logica narrativa viene dunque piegata al simbolismo, alle emozioni, con le azioni dei personaggi che risultano esagerate fino a diventare quasi poetiche.
Protagonista principale non è tanto l'omicidio, l'azione di morte e chi sia stato ma sono i temi a farla da padrone: dalle varie sfumature dell'amore, agli obbiettivi per il futuro. E ancora, il senso di colpa, il tema dell'abbandono e della redenzione, per dirne alcune.
Ne è un esempio lampante la storia tra i due lead protagonisti, dove la ragazza protagonista decide di coprire il crimine dell'altro, gesto di una simbologia così grande che si parla di " un amore dove si condivide il peccato." Il loro legame è così forte che si proteggeranno a prescindere da qualsiasi crimine uno dei due possa compiere.
E se da una parte tutto ciò è bellissimo, dall'altra , da un punto di vista logico e narrativo, tutto questo sentimento un po' mi decade quando scopri che in realtà lui non ha commesso alcun crimine. Certo, rimane l'azione di lei nel proteggere il ragazzo che gli piace a prescindere da tutto. L' amore incondizionato appunto. Ma d'altra parte, mi sento derubata sulla trama poiché non esiste nessuna motivazione iniziale, nessuna azione criminosa compiuta dal lead.
Ovviamente, è il gesto che conta. Questo è quello che la serie ci sta dicendo. E ripeto, è molto bello. Poetico. Ma onestamente mi sono sentita un po' presa in giro.
Un esempio simile lo si più trovare nel finale con Nishizaki che si offre come volontario nell' assassino della coppia, nonostante sia innocente, poiché da bambino non ha salvato sua madre dall'incendio in cui è morta. Siccome non ha pagato per quel "peccato" eri un bambino figliolo!!! si prende l'incarico di colpevolezza per questo assassinio. Per espiare i suoi crimini verso la madre, dice. Tutto molto bello. Molto poetico.
Ma 1) eri un bambino abusato da tua madre che nelle belle giornate ti usava come posacenere e 2) sono due crimini diversi con contesti e protagonisti diversi.
Questa scelta narrativa da una parte mi è piaciuta poiché offre una visione diversa, emotiva e poetica della storia mostrando come anche una serie così possa esser raccontata in modo differente dal solito. Dall'altra però, non ha soddisfatto la parte investigativa che c'è in me. Quella che non vedeva l'ora di mettere insieme pezzi e prove per scoprire assieme alla polizia il colpevole. Nonché quella che ama la logica narrativa ed il cinismo della ragione.
Testimony offre poi uno sguardo intenso e approfondito dei suoi personaggi, gran parte con traumi e abusi infantili che si riflettono poi nelle loro vite da adulti e questo mi è piaciuto molto. Il fatto che ciò che hanno subito da piccoli si ripercuota emotivamente su loro da adulti è una cosa che ho trovato affasciante.
Onestamente, non ho mai trovato così tanti characters con un infanzia così difficile come in questa serie, dando la palma d'oro alla protagonista femminile. Chiariamoci, non è che gli altri se la passassero meglio... ma vederla piangere nel finale assieme alla madre, mentre finalmente lascia uscire fuori tutto il dolore e la paura di morire, sapendo la sua storia e quando sia stata dura per lei arrivare fino a qui, ha commosso pure me.
La serie fa infatti un lavoro encomiabile nel tratteggiare i suoi personaggi, grazie anche alla divisione della storia in 3 linee temporali diverse che ripercorrono la vita di questi ragazzi, mostrandoci come e perché siano così psicologicamente strutturati e perché abbiano fatto quello che hanno fatto. Così facendo lo spettatore può empatizzare per loro, comprenderli e sentirli molto più vicini.
La decisione di strutturare la storia in tre linee che coprono anni mi ha un po' destabilizzata all'inizio: capire in che periodo di vita dei ragazzi fossimo e tenere le fila delle vicende non è stato facilissimo ma dopo un po' ci ho preso la mano ed è diventato sempre più facile. Anche se ciò presuppone un attenzione costante da parte dello spettatore.
La serie ha inoltre due grandi colpi di scena. E se sul primo possono esserci degli indizi, il secondo è totalmente inaspettato. Sfido chiunque ad arrivare alla fine e sgamare il colpone nascosto! XD
Concludendo: pur non essendo nella mia lista dei drama preferiti, Testimony of N è un bel drama. Ed è fatto bene. Profondo, tragico ed introspettivo con buonissimi colpi di scena, la serie regala allo spettatore che cerca un drama più riflessivo, ottime ore di visione con personaggi intriganti ed interessanti. Visione da evitare invece se come me cercate un drama più legato a canoni d'investigativo e poliziesco, che ruota sulla ricerca della verità.
Voto: 7.8
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Affermare che la morte dei bambini sia stata strumentalizzata e che sopra ci sia stata fatta una costruzione mediatica finalizzata a mobilitare le masse non è la stessa cosa che negare le vittime.
Ma neanche le immagini bastano, ci vogliono i numeri. Dati che miracolosamente emergono pochi minuti dopo un bombardamento (mentre in Ucraina impiegano settimane prima di stabilire quante sono state le vittime di un razzo russo) in un miracolo di efficienza statistica del ministero della sanità di Hamas che tutti prendono come oro colato, nonostante le varie gaffe di esimi testate che (credendo sempre all’agenzia stampa di Hamas) imputano ad Israele attacchi che subito dopo si rivelano essere stati incidenti di razzi difettosi di Hamas. Ma guai a dirlo. Se lo fai, puntuale ti arriva la critica: allora neghi le bombe di Israele? Allora neghi la distruzione? No, ribadiamo: le due cose non si escludono, ma sostenere che i numeri non siano affidabili non significa che non ci siano state vittime civili.
Nel frattempo però, il ferreo propal ha imparato a sfruttare pienamente ogni frammento della costruzione mediatica: ha a disposizione dati gonfiati, le immagini di Pallywood, e lo sdoganamento del termine “genocidio”.
Scopriamo così che “genocidio” non dipende (come stoltamente credevamo) da premeditazione, organizzazione e sistematicità nello sterminare un intero popolo, dipende dai numeri, nella fattispecie di quelli dei bambini morti. La qual cosa ci ricorda il famoso “genocidio” perpetrato dagli ucraini in Donbas – da tutti preso per oro colato senza che nessuno si prendesse la briga di andare a verificare che in 8 anni di guerra, i bambini morti in Donbas erano stati in tutto 152, di cui solo 6 tra il 2016 e il 2021 e che quei bambini erano vittime di entrambe le fazioni, e la maggior parte era morta a causa delle mine nelle autoproclamate repubbliche indipendenti.
Ma no, come allora, ormai si era creata la narrativa. A Gaza abbiamo i 35.000 morti dichiarati dall’onnisciente ministero della sanità di Hamas che riesce a calcolare morti con un’efficienza e celerità fantascientifiche, e che comunque non distingue tra militanti, civili morti per i bombardamenti e ci infila dentro pure le morti naturali. Allora neghi che ci siano stati i morti? No, sostenere che i dati sono farlocchi non significa negare la tragicità di una guerra. Ma sono 35.000, è un genocidio! Chiedi dove comincia la linea del genocidio? Se è un fatto numerico, da che numero parte?
A quel punto abbiamo gli agit-prop in azione ai 4 angoli del pianeta, mobilitati per silenziare chiunque sostenga che non si tratta di genocidio ma di azione di guerra. Sui 35.000 morti, di cui 13.000 bambini trovano ragione di occupare le università per far sospendere le relazioni con Israele in nome di un “genocidio” interamente costruito sui numeri dei bambini morti.
Poi esce fuori che quei dati non erano corretti, la cifra viene improvvisamente ridimensionata. L’architettura costruita intorno al “genocidio” basato sui numeri, crolla. Se lo fai notare, vieni trollato. Il narcisista morale di turno, unico depositario della moralità salva bambini e sanguisuga del pietismo universale emette la sua sentenza: sei un cinico, ma non ti vergogni?
Improvvisamente, per il propal, i numeri non sono più importanti. 8,000, 13,000, che differenza fa? Non sono sempre troppi? Guai a ribattere che il punto è che anche un solo bambino morto è uno di troppo e che noi lo sosteniamo da sempre: che non esiste differenza tra i bambini morti israeliani e quelli palestinesi. Ma qui invece c’è chi da mesi insiste che la differenza la fanno i numeri. Infatti, fino a un giorno fa, erano i numeri a dirci che c’era il genocidio perché erano morti più bambini palestinesi di quelli israeliani.
Allora, questi numeri contano o no?
Ecco che ora i propal si fanno fantasiosi. In un commento, a difesa dell’uso del termine “genocidio” mi viene scritto, testualmente, che “un paese civile, se attaccato, non risponde massacrando i civili”.
Scopriamo così che per il propal giurista de noantri la definizione di “genocidio” adesso non è più questione di numeri, ma è relativa a chi compie le uccisioni. Se ad ammazzare è un paese è civile, si tratterà certamente di “genocidio”, se invece sono i terroristi ad ammazzare, possono tranquillamente farlo, tanto sono terroristi e si sa che ammazzano. Moralmente è più colpevole il primo, che certamente è un genocida.
D’altra parte, si tratta della stessa logica per cui Hamas (a seconda della convenienza) un giorno è il “governo democraticamente eletto di Gaza”, un altro “in fondo sono terroristi e non possiamo usare lo stesso metro di giudizio” e un altro ancora “combattenti della resistenza armata perché Israele gli ha rubato la terra”. Una cosa che come logica circense non fa una grinza.
In questo gioco perverso, abbiamo assistito ad una serie di opportunismi ed occultamenti. L’attacco di Hamas ha occultato la ferrea opposizione popolare contro Netanyahu e posto fine all’ondata di manifestazioni; la rappresaglia israeliana ha occultato la brutalità della strage perpetrata da Hamas; ora la sontuosa costruzione mediatica, creata ad arte per mobilitare l’opinione pubblica mondiale contro Israele, sta occultando le scelte del Likud.
Perché sì, cari propal, nel gioco degli occultamenti, a volte le cose si ritorcono contro. Allora a chi mi dice: “perché non critichi mai Israele”, rispondo: se vogliamo che si critichino le strategie di Netanyahu, occorre fare piazza pulita del termine “genocidio”, di slogan come “dal fiume al mare”, dello sputare “sionista” come se fosse un insulto e del continuare con il disco incantato del “furto della terra”. Questo perché ciascuna di queste posizioni cela che al fondo di tutto non riteniate che Israele abbia il diritto di esistere. Contro questo pensiero che, a mio parere è sostanzialmente genocida (mirando effettivamente alla scomparsa di un popolo), anche quelli che possono essere eventuali crimini di Netanyahu, ne escono sminuiti, perfino quello di essere (come Hamas) contrario alla soluzione dei 2 stati.
Quando è in atto un’operazione mediatica di proporzioni mondiali, che mira a mobilitare le masse contro un paese, e che prende di mira gli ebrei a livello globale, siamo davanti a qualcosa di ben più grave delle discutibili operazioni sul campo dell’IDF.
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Francesca Serio
Francesca Serio è stata la prima donna, nella Sicilia degli anni ’50, a rompere l’omertà mafiosa, denunciando gli autori e i complici dell’omicidio del figlio, il sindacalista socialista Salvatore Carnevale.
Nata a Galati Mamertino, in provincia di Messina il 13 agosto 1903, dopo la prematura morte del marito si era trasferita a Sciara, in provincia di Palermo, dove lavorava nei campi per crescere il suo unico figlio.
Questi, negli anni, era diventato segretario del Partito Socialista e, da dirigente sindacale, aveva vissuto intensamente l’ultima fase delle lotte contadine, battendosi per la riforma agraria e scontrandosi con mafiosi e proprietari terrieri, come i Notarbartolo, padroni di Sciara.
Tra le varie battaglie intraprese c’era stata, nel 1951, l’occupazione di alcuni terreni incolti da parte di trecento contadini. Per questa azione, venne arrestato. Uscito dal carcere, si era trasferito in Toscana, dove rimase a lavorare per due anni. Tornato in Sicilia nel 1954, venne assunto per i lavori di costruzione del doppio binario ferroviario che, per i materiali, sfruttavano una cava di proprietà dei Notarbartolo. L’uomo aveva organizzato gli operai, chiedendo l’applicazione della giornata lavorativa di otto ore contro le undici in cui erano impiegati e si fece parecchi nemici negli alti vertici. Provarono a corromperlo, a minacciarlo, ma restava fermo sulle sue posizioni e la mattina del 16 maggio 1955, mentre si recava a lavorare, venne assassinato.
Francesca Serio, dopo la morte del figlio ne ha raccolto l’eredità, accusando i mafiosi e denunciando la complice passività delle forze dell’ordine e della magistratura.
Ha partecipato a manifestazioni pubbliche, accanto a Sandro Pertini, che l’aveva assistita e ad altri dirigenti del Partito socialista. Una grande campagna di sensibilizzazione venne portata anche dal quotidiano Avanti!.
Per i militanti di sinistra è stata mamma Carnevale, la donna che aveva accusato i mafiosi di Sciara.
Ha partecipato ai processi, celebrati per legittima suspicione fuori dalla Sicilia, il primo a Santa Maria Capua Vetere, il secondo a Napoli, costituendosi parte civile, ha visto gli imputati condannati in primo grado all’ergastolo e poi assolti in appello per insufficienza di prove.
Dopo l’assoluzione, aveva preso a celebrare nella sua casa poverissima, un suo processo civile e politico, in nome di una giustizia che non combaciava con la legge.
Per anni è stata un’icona antimafia e la sua storia ha ispirato Carlo Levi, che l’ha intervistata nel suo libro Le parole sono pietre (vincitore del Premio Viareggio per la Narrativa nel 1956), in cui ha descritto il suo dolore straziante e la sua determinazione a continuare la lotta del figlio.
Altri libri sono stati scritti sulla vicenda di questa madre che ha osato sfidare tutto e tutti invece di soccombere nel dolore.
È morta, quasi dimenticata, il 16 luglio 1992, aveva 89 anni.
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Quadro.
Peccato che spesso non lo è.
Che non rispecchia una ratio di 1:1 tra i lati, intendo.
In pittura, in fotografia.
In pittura un quadro non è quasi mai quadrato; in fotografia sovente non lo è, salvo cultori del genere (non solo possessori di gloriose tedesche a pozzetto).
Eppure l'etimologia latina (quadrus, quatuor) suggerisce geometria.
Ma - lo sapete - è mobile anche la lingua, non solo la verdiana donna.
E così in nautica le vele "quadre" sono rettangolari e trapezioidali.
Al trapezio la fotografia non è ancora approdata, a qualsivoglia altra ratio - purché regolarmente scandita - invece sì.
E tutto per amor d'espressione.
Sì, d'espressione.
Una linguistica, narrativa espressione che soggioga la geometria quale ancella.
Rendendola funzionale al racconto, eccioè.
Ma anche non al racconto, accade.
Alla pesistica distribuzione, intendo.
Già, pesistica distribuzione.
Non è cosa da palestra.
Attiene all'astrazione.
Alla facoltà di realizzare un'opera in sé graficamente conchiusa senza preoccupazione del letterale contenuto.
Ma succede che entrambe le istanze - documentazione, astrazione - coesistano.
Così in Gianni Maffi, Luigi Franco Malizia.
Gianni si serve del 3 X 2.
No, non è una offerta di supermercato.
E' l'aver fatto coincidere formato ed intenzione.
Contenuto ed interazione.
Disegno e racconto.
Notevole essere riuscito a serbare una composizione di efficace equilibrio all'interno di una azione non controllabile.
Sì, perché il barcaiolo va dove vuole lui, non è mica agli ordini di Gianni.
Eppure tutta quella roba in acqua ed in terra in sé rappresenta una mirabile orchestrazione dell'esistente, nel senso che Gianni non poteva spostare gru o pali, nondimeno ha saputo conferire un assai convincente equilibrio tra le parti.
Anche Luigi Franco mirabilmente orchestra l'esistente.
La sua cura linguistica del contenuto è ravvisabile dal formato cercato e trovato.
Un quadrotto tra l' 1 : 1 ed il 5 : 4, Luigi Franco ha scelto.
Perché a Luigi Franco interessa sia il rigore che il vigore.
Sì, rigore e vigore.
Potenza concentrata e non scomposta.
Irradiata da quella gomma che ha per ombra un casco integrale preso a prestito dai Flintstones (sì, i cartoons ed il film).
Una rattenuta esplosione che si nutre di toni, oltre che di forme.
Ha dello scrigno intimità, pur non abdicando a spiegato canto.
Ancora una volta, la polisemanticità della Fotografia.
Avevamo principiato con la polisemanticità di un lemma ("quadro"), ora siamo alla pari facoltà espressa dai fotografi, quando sono bravi.
Concepire più pensieri, e saperli esternare con robusta e lirica coesione.
All rights reserved
Claudio Trezzani
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George Orwell, tra allegoria e distropia
Lo scrittore che diede una svolta alla fantascienza del Novecento… George Orwell nacque in India il 25 giugno 1903 con il nome di Eric Arthur Blair, a Motihari, nel Bengala, da una famiglia di origine scozzese. Il padre, angloindiano, era funzionario dell'Indian Civil Service, l'amministrazione britannica in India e faceva patrte di a quella borghesia dei sahib che lo scrittore stesso definì ironicamente come una "nobiltà senza terra", per le pretese di raffinatezza e decoro che contrastavano con gli scarsi mezzi finanziari. Tornato in patria nel 1907 con la madre e le due sorelle, lo scrittore visse nel Sussex, dove si iscrisse alla Saint Cyprian School, ma ne uscì con un opprimente complesso d'inferiorità, dovuto alle sofferenze ed alle umiliazioni che era stato costretto a subire per tutti i sei anni di studio, come racconterà nel saggio autobiografico Such, Such were the Joys del 1947. Rivelatosi uno studente precoce e brillante, Orwell vinse una Borsa di Studio per la famosa Public School di Eton, che frequentò per quattro anni, e dove ha per insegnante Aldous Huxley, narratore che, con le sue Utopie alla rovescia, ebbe una grande influenza sul futuro scrittore. George non proseguì gli studi ad Oxford o Cambridge ma, spinto da un profondo impulso all'azione, e probabilmente anche dalla decisione di seguire le orme paterne, si arruolò nel 1922 nella Indian Imperial Police, prestando servizio per cinque anni in Birmania poi, diviso tra il disgusto per l'arroganza imperialista e la funzione repressiva che il suo ruolo gli imponeva, si dimise nel 1928. Rientrato in Europa, il desiderio di conoscere le condizioni di vita delle classi subalterne lo spinse a umili mestieri nei quartieri più poveri di Parigi e di Londra, dove sopravvisse grazie alla carità dell'Esercito della Salvezza e sobbarcandosi lavori umili e miseri, come disse nel romanzo-resoconto Miseria a Parigi e Londra. Tornato in Inghilterra Orwell alternò all'attività di romanziere quella di insegnante in scuole private, di commesso di libreria e di recensore di romanzi per il New English Weekly e, scoppiata la Guerra Civile Spagnola, vi prese combattendo tre le file del Partito Obrero de Unificacción Marxista. L'esperienza spagnola e la disillusione procuratagli dai dissensi interni della Sinistra lo spinsero a pubblicare un diario-reportage ricco di pagine drammatiche e polemiche, Omaggio alla Catalogna, nel 1938, acclamato come il suo lavoro migliore. Durante la Seconda Guerra Mondiale curò per la BBC una serie di trasmissioni propagandistiche dirette all'India, quindi divenne direttore del settimanale di Sinistra "The Tribune" ed infine corrispondente di guerra dalla Francia, Germania e Austria, per conto dell'Observer. Nel 1945 pubblico il primo dei suoi due romanzi utopici La fattoria degli animali che, coniugando il romanzo con la favola animale e la lezione satirica, è un unicum della narrativa orwelliana e nel 1948 esce 1984, utopia che prefigura un mondo dominato da due superstati in guerra tra loro, scientificamente organizzati all'interno in modo da controllare ogni pensiero ed azione dei propri sudditi. Orwell scrisse anche molta saggistica, che spaziò dalla critica letteraria ad argomenti sociologici, sino al pericolo dell'invasione della Letteratura da parte della Politica fino alla scomparsa, avvenuta il 21 gennaio 1950 in un ospedale di Londra. Read the full article
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Ho iniziato "Trigun Stampede", un anime Shounen basata sul manga omonimo, (una categoria di manga indirizzati principalmente a un pubblico maschile, a partire dall'età scolare fino alla maggiore età), anche commedia, azione, drammatico, Sci-fi.
Narra le vicissitudini del protagonista, caratterizzato dal suo caratteristico capotto rosso acceso, i capelli a spazzola biondi appuntiti, e un'arma da fuoco di grande calibro; la sua pesantissima pistola personalizzata. Il suo nome è Vash the Stampede; ha una taglia sulla propria testa che ammonta a 60 milioni di doppi dollari, cosa che fa molto gola ai cacciatori di taglie dell'intero paese. All'inizio dell'anime ci vengono raccontate le voci di corridoio che i vari personaggi si scambiano per cercare di scovare il famigerato pistolero skillato ed estremamente pericoloso; si dice proprio all'inizio della narrativa che si sia accollato il fatto di avere messo allo sbaraglio un'intera città, mettendola sottosopra, e devastando tutto, interamente da solo.
L'ironia che fa da sfondo all'intero anime è che nessuno sa esattamente con precisione chi è questo Vash the Stampede, e la maggior parte delle volte lo si vede camminare per strada in tranquillità in mezzo ai cittadini e all'interno dei saloon, e proprio perché nessuno direbbe che è lui il vero pistolero, e in aggiunta il fatto che il suo atteggiamento è spesso infantile e buffo, le persone spesso litigano tra di loro e si attribuiscono erroneamente la nomina del biondo alto di statura, cosa che induce a combattersi a vicenda e litigare, mentre il vero Vash spesso in atteggiamento da fuggiasco, riesce a cavarsela in questi episodi tra pistoleri e bande armate. Quando meno se lo si aspetta, il vero protagonista riesce a risolvere la situazione in maniera eccelsa e senza sparare un solo colpo a persone innocenti. Tutti sono spesso increduli e irritati dalla presenza dello sciocco biondo che ""fortunosamente"" riesce a svignarsela e a far tornare la situazione alla normalità, e in questo modo mantiene nell'anonimato la sua vera identità.
La verità è che è sempre stato in cerca dell'armonia e dell'amore, il suo essere pericoloso deriva soltanto dal fatto che debba difendersi dalle dicerie che lo riguardano...
Non c'è da aggiungere che è anche molto bravo a fare breccia nel cuore delle ragazze...
Fine.
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Il blog consiglia "Città di sogni" di Don Winslow, Harper Collins. Da non perdere!
“Superbo. Questa è narrativa con mordente.” — Stephen King “Le pagine dei suoi romanzi sembrano girarsi da sole.” — USA Today “Winslow ha scritto una saga crime intima e allo stesso tempo epica. A metà strada tra Mystic River e Il padrino.” — Sydney Morning Herald “Magnifico. Winslow tratteggia meravigliosamente i suoi personaggi e realizza delle scene di azione estremamente vivide. Questa…
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L’Ultima Rivelazione di Fernando Gamboa: l’avventura epica di Ulises Vidal continua. Recensione di Alessandria today
Fernando Gamboa ci trascina in una nuova esplorazione mozzafiato tra azione, mistero e scoperte straordinarie
Fernando Gamboa ci trascina in una nuova esplorazione mozzafiato tra azione, mistero e scoperte straordinarie La saga di Ulises Vidal, che ha conquistato oltre 800.000 lettori in tutto il mondo, torna con il suo terzo capitolo: “L’Ultima Rivelazione”, un romanzo che promette di essere l’avventura più avvincente e sorprendente della serie. Dopo gli eventi narrati in “L’Ultima Cripta” e “L’Ultima…
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🤵🏻IL MAGGIORDOMO ETEROCURIOSO 🫣 . 📌La grande villa è infestata dal tramonto all’alba da grida, ansimi e orgasmi, poi tutto tace. 🤫Nessuno suona al campanello, 🔔nel giardino non ci sono automobili. 🚗Non si sa come facciano ad arrivare gli ospiti ma sono molti e non solo donne. 👨🏼🤝👨🏻👩🏽🤝👩🏼👫🏼Nicolae, il maggiordomo particolarmente curioso,🤵🏻resta in ascolto tutte le notti, 👂🏻finche non decide di entrare in azione. 🏃🏻 . . 📚Capitolo 1️⃣ - Li sento ansimare forte dal piano di sotto. 👄Ogni notte è sempre la stessa storia. 🌃Scopano senza sosta e poi, quando appaiono le prime luci, tutto tace. 🌅 Il mio padrone si concede alla sua passione più sfrenata. ❤️🔥Da’ sfogo ad ogni istinto sessuale e a qualsivoglia perversione. 😏 . . ✅ Disponibile su AMAZON e KINDLE UNLIMITED in formato eBook e cartaceo ~ Link in BIO . .
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Convinzioni illusorie
La verità è che io mi sono creato delle convinzioni. E uniformo certi miei comportamenti in base a esse. Una di dette convinzioni è: in un film d’azione deve esserci azione, possibilmente fin dall’inizio. Non pretendo accadano sconquassi ogni tre secondi. Però un po’ di ritmo sarebbe richiesto, ecco. Non mi sembra sia chiedere l’impossibile oppure l’improbabile. The contractor, pellicola di quest’anno, è stata spacciata per film d’azione. La cadenza narrativa, però, è fiacca. Succede qualcosa - nulla di trascendentale: una sparatoria - dopo ben 43 minuti. Per vedere le cose muoversi nuovamente, tocca aspettare fino al minuto numero 61 A me sinceramente sembra pochino, su un’ora e 43 di pellicola. La storia non è che sia granché: un militare viene congedato da un nuovo comandante stronzo; siccome lui e la sua famiglia sono privi di soldi, accetta di finire in un’agenzia di mercenari. Gli affidano subito una missione. Una di quelle che all’inizio sembrano una cosa poi si rivelano essere ben altro. Inutile vada avanti. Si può ben immaginare dove andrei a parare. A me spiace, perché la presenza di Chris Pine (il nuovo comandante cinematografico dell’Enterprise) e Kiefer Sutherland potevano preludere a qualcosa di decente. Invece non preludono a un cazzo.
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NO, NON BASTERÀ LA TUA BISTECCA DI SEITAN A SALVARE IL PIANETA. IL VERO PROBLEMA SONO I RICCHI. Due anni fa Vox pubblicava un articolo intitolato Lavoro nel movimento ambientalista e non mi interessa se fai la raccolta differenziata. L’autrice, Mary Annaïse Heglar, scriveva che non appena le capitava di menzionare il suo lavoro in una conversazione, le persone iniziavano a confessarle i propri o gli altrui “peccati ambientali”, mostrando di avere poca consapevolezza della gravità della crisi climatica. Il modo in cui i mass media affrontano il tema ci spinge infatti a credere che se solo fossimo in grado di fare piccole scelte sostenibili nel quotidiano, come mangiare vegano o smetterla di usare plastica monouso, riusciremmo a salvare il Pianeta. Questo tipo di narrativa sull’emergenza climatica riduce l’ambientalismo da lotta politica a una semplice scelta individuale, dividendo così il mondo in virtuosi e no. A sbagliare è sempre il consumatore. Ogni sua scelta quotidiana si inserisce infatti in un sistema talmente complesso che, anche quando fatta con le migliori intenzioni, finirà comunque per generare un impatto negativo sull’ambiente. Heglar a questo proposito parla di un meccanismo di victim blaming che conduce alla “apatia climatica”: continuando a sentirci accusati per l’insostenibilità ambientale di ogni nostra azione, saremo portati a convincerci sempre di più che ogni sforzo è inutile. La narrazione mediatica dell’emergenza climatica finisce per concentrare l’attenzione sulla nostra impronta ambientale individuale, tralasciando spesso le responsabilità del capitalismo in quanto sistema di produzione basato sullo sfruttamento delle risorse più convenienti. Il Carbon Major Report 2017 ha evidenziato però come cento aziende, per lo più nel settore dei combustibili fossili, siano responsabili da sole del 71% delle emissioni inquinanti a livello globale. Questo studio dimostra che i responsabili del collasso ecologico sono un gruppo molto limitato di persone e che la “colpa climatica” non è distribuita in modo equo tra tutti gli esseri umani. A questo proposito l’Oxfam report del 2015, pubblicato in occasione degli accordi di Parigi sul clima, ha mostrato che il 10% più ricco della popolazione del Pianeta produce il 50% delle emissioni inquinanti mentre il 50% più povero produce solo il 10% delle emissioni inquinanti. Tuttavia sono i Paesi più poveri a subire in misura maggiore le conseguenze del collasso climatico globale, con una sequenzialità per cui disuguaglianze climatiche ed economiche coincidono. Non solo a livello globale il nord del mondo è responsabile più del sud per l’emergenza climatica, ma anche nei Paesi avanzati la responsabilità delle grandi aziende energetiche non può essere mitigata dalla retorica dei piccoli gesti quotidiani. Bisogna quindi considerare che esiste una responsabilità di classe per la crisi climatica. Da questa considerazione è partito Matt Huber per uno studio intitolato Ecological politics for the working class in cui si analizzano i vari tipi di ambientalismo che si sono succeduti nel corso degli ultimi decenni con l’obiettivo di metterne in luce il principale limite, cioè quello di non essere movimenti di massa, ma anzi di escludere e colpevolizzare la classe lavoratrice. I lavoratori e le lavoratrici delle classi sociali medio-basse rappresentano infatti la fascia più numerosa di consumatori, e spesso sono l’esempio di stili di vita che poggiano su benefit inquinanti e abitudini poco ecologiche. (...) Riconoscere la natura sistemica dell’emergenza climatica non significa arrendersi come individui. Le scelte di vita sostenibili sono utili per creare maggiore sensibilità nelle aziende da cui acquistiamo e per la nostra salute. Come evidenzia infatti il professor Grammenos Mastrojeni nel libro Effetti farfalla, il nostro stile di vita individuale può innescare degli effetti farfalla e quindi produrre conseguenze positive per il Pianeta. Inoltre le decisioni più giuste per il clima sono anche quelle più positive per il nostro benessere psicofisico, a riconferma di come in natura il benessere di ogni specie sia collegato a quello dell’ecosistema che abita. Tuttavia, nessuna trasformazione sistemica può basarsi solo sulla scala individuale. Heglar nel suo articolo spiegava bene che “la cosa peggiore che puoi fare per il clima è non fare nulla. Bisogna allargare la nostra idea di azioni personali comprendendo tra queste anche la lotta politica”. L’impegno ambientalista deve essere quindi un impegno politico intersezionale che metta in luce le responsabilità dell’intero sistema produttivo e della classe dirigente che ne sostiene le ingiustizie ambientali, sociali ed economiche. Marx diceva che “il capitale non considera la salute e la durata di vita dei lavoratori, a meno che la società non lo costringa a farlo”. Attualmente il movimento per la giustizia climatica è guidato dalle nuovi generazioni ed è contemporaneamente impegnato su più fronti, che vanno dell’antirazzismo alla lotta per la libera affermazione del genere. Un ecosistema migliore in cui vivere non può essere ristabilito senza una decolonizzazione e messa in discussione del sistema capitalista ormai diffuso a livello globale, con l’eliminazione di tutte le disuguaglianze sociali ed economiche, per raggiungere un futuro “giusto” dal punto di vista climatico e culturale. Alla domanda “che cosa posso fare per il clima?” bisognerebbe quindi prima di tutto rispondere che occorre informarsi, sensibilizzare gli altri, organizzarsi in un movimento politico ed agire tramite tutti gli strumenti della lotta politica, dal voto alla pressione tramite scioperi e proteste. Ma mai muovendosi da soli. DI MARIKA MORESCHI
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La Fotografia Sociale ed Umanistica
di Renzo Saviolo: --
Cameron, Nadar, Riis, Hine, Sander, Lange, Evans, Cartier Bresson, Shaan, Frank, Arbus, Avedon, Jeffries.
Gruppi variamente impegnati con un fondamento comune.
Fattoria, Vita, Foto Legue, Magnum, PIC, Famiglia dell'uomo, Foto stampa.
Questi nomi non vogliono rappresentare una gerarchia di valori al livello più alto, ma semplicemente quelle figure e istituzioni che meglio si prestano a rappresentare l’oggetto della nostra indagine.
Nel 1839 giunse a compimento il mezzo che sarebbe diventato il linguaggio visuale dell’età industriale.
I due principali elementi, la camera oscura per quanto riguarda l’ottica e l’annerimento dei sali d’argento, per l’alchimia più che per la chimica, erano note da tempo.
La fotografia fu, al tempo della rivoluzione industriale, quella che accompagnò l’età dell’energia nelle sue varie forme quali il vapore, l’elettricità e il motore a scoppio, giungendo ad un uso dell’immagine che aveva ristretto il mondo e, come l’oggi dimostra, perchè lo sviluppo della tecnica lo ha permesso, diventato alla portata di tutti.
La fotografia contemporanea porta la comunicazione dell’immagine e il suo uso al punto che le trasformazioni digitali hanno reso la visualità così inflazionata da poter parlare di morte dell’immagine, poichè la quantità sembra aver ucciso la qualità e riempito il mondo in modo tale da rendere tutto rumore di fondo.
Nei suoi vari aspetti questo faceva dell’immagine fotografica un certificato di realtà che ben presto fu percorso in ogni direzione, dato che si prestava, man mano che lo sviluppo tecnico lo consentiva, a soddisfare esigenze documentaristiche, artistiche, sperimentali le più diverse.
Ben presto fiorirono tutte le applicazioni possibili nei diversi generi, man mano che l’evoluzione apriva nuovi settori e rendeva in grado di affrontare tematiche diverse, allargando il linguaggio capace di parlarci di ogni aspetto del mondo.
Fin qui si era sempre parlato di immagini singole che potevano racchiudere in sè un aspetto compiuto; mettendo più immagini in sequenza sullo stesso argomento e mostrandone momenti diversi, si sarebbe raggiunta la dinamica di un fatto temporale, sia pur limitato ad una sintesi dei suoi momenti salienti.
Questi nuovi confini erano le basi per lo sviluppo futuro di cinema e televisione. Si poteva ora non mostrare staticamente il mondo, ma farlo seguire nel suo farsi.
Il nuovo permetteva possibilità che la visione non aveva mai conosciuto, se l’età industriale non avesse consentito l’uso della macchina nel campo della visione, come era avvenuto in tutti gli altri settori. La conquista del tempo instaura un rapporto singolare fra oggetto di cui si ferma per un istante il divenire, mantenendolo fisicamente presente e immobile.
Nasce così quello che nel primo caso fu denominato “Documentario fotografico” che aveva il suo corrispettivo nel cinema nel “documentario”. Successivante il “Reportage” sarà la nuova frontiera, oggi spostata su “Phototelling” e “Storytelling”. Dobbiamo ricordare che tuttavia il mezzo linguistico è sostanzialmente simile, per non dire lo stesso, di quello usato nel fotormanzo che, a sua volta, fatto salvo il movimento, è quello del fumetto. Si può ora operare quella sintesi narrativa per immagini che aprirà la pagina più ricca, gloriosa e legata all’essenza del processo fotografico che è il reportage sui settimanali illustrati.
Sarà particolarmente efficace la successione delle foto, frutto di azione sul campo o scelte a posteriori. Offre uno strumento che ha dato lo sviluppo più potente della fotografia. Tutto si gioca sul fattore tempo e sulla capacità di organizzarlo.
Un esempio d’uso della temporalità sarà quello di Bresson la cui analisi ci offre un utile strumento.
Il topico “momento decisivo” è l’esempio più singolare di quell’attimo in cui l’azione si porta al suo sviluppo estremo e diventa l’aspetto centrale, basato sulla fotografia di soggetti nel quale i movimenti delle varie forme raggiungono in una frazione di secondo il classico equilibrio a cui la sua opera ci ha abituato.
Il massimo di ciò che storicamente è stato prodotto appartiene al genere del reportage sui temi sociale e umanistico. Differenze utili soltanto per meglio comprendere i limiti entro i quali le varie personalità, più che i vari generi, operano. Ricordando che le categorie servono soltanto a meglio chiarire dove, come e perché tale autore si caratterizza, definito da scelta del soggetto, modalità operative e, in una parola, stile.
L’occasione di queste note è data dalla notizia di una mostra di Robert Frank, fotografo tanto grande quanto misconosciuto dal pubblico americano, per la profondità della sua critica della società e del mondo. Si verifica per lui quella intolleranza ideologica verso atteggiamenti culturali diversi dalle linee dominanti.
Parlare di Frank ci consente di tentare un approccio verso autori che si sono posti sempre con assoluta libertà di giudizio, sensibilità per il mondo degli esclusi ed in sostanza per quella che si definisce “alienazione”. Frank è una punta di diamante, ma le sistematiche categorie di sociale e umanistico sembrano incapaci di cogliere in una definizione coerente tutte le diverse accezioni di certi autori.
Julia Margaret Cameron, Portrait of John Herschel, April 1867
Il problema si presenta col nome della più grande ritrattista dell’800 e forse di ogni tempo, J.M. Cameron. La sua opera: ritratti di grandi personalità scientifiche, letterarie, artistiche a mezzo busto e, da quando ha potuto usare obiettivi che permettevano la vicinanza al soggetto, primi piani di grande espressività e di affascinanti volti femminili che non erano altro che le cameriere di servizio nella sua casa. Le categorie indicate non bastano per definire la dignità e il carattere di personaggi, per cui si può parlare di forme encomiastiche. Non si tratta di una critica sociale, si è nobilitata la realtà con una trasfigurazione, il suo aspetto più creativo.
Nadar, Portrait de Sarah Bernhardt, 1865
Questo invece non è nell’altro grande protagonista del ritratto dell’800, Nadar, che nelle sue mezze figure ci dà I maggiori esponenti del mondo parigino come immobili nature morte più che con caratteri pulsanti vitalità.
Jacob Riis, Boy working in sweatshop, ca.1880
Jacob Riis è invece il vero iniziatore della fotografia sociale. Giornalista del Time, comprende che la parola non basta più per raccontare il reale, ma che si può, anzi si deve mostrarlo. Ed ecco allora nascere un grande fotografo, ammirevole nella sua capacità di cogliere l’essenza del soggetto, ciò dimostra che non è la tecnica e la bella immagine a risolvere i problemi ma la capacità di capire, l’empatia per il soggetto e la sensibilità per trasformare il tutto in figura.
Lewis Hine, Children working in a cotton mill in Macon, Georgia, in January 1909
Similmente Hine può adoperare mezzi piò evoluti, Il suo mondo dei bambini al lavoro e nell’innalzarsi dell’Empire State segnano con potenza l’evidenza di risultati che fanno storia.
August Sander, Konditor, Köln 1928
Allo stesso modo Sander negli “uomini del XX secolo” mostra l’ambizione di illustrare con un potente affresco i volti ed i caratteri dell’umanità del tempo. Mostrare il vero è sempre rischioso, infatti I nazisti, che volevano il guerriero trionfante, non potevano tollerare l’illustrazione di quella umanità dolente e distrussero parte dell’archivio. Sander è ascrivibile al sociale, poichè I volti e gli atteggiamenti mostrano i viventi di quel mondo come un prodotto dell’ambiente più che la caratterizzazione individuale del soggetto, tipica del ritratto.
Dorothea Lange, Migrant Mother (Florence Thompson) 1936
Quanto le categorizzazioni siano intercambiabili lo dimostrano le figure umane della Lange nella loro capacità di evocare un patetismo che non può non essere nominato come umanistico. Nella caratterizzazione di questi personaggi non si può escludere la dimostrazione del problema sociale.
Walker Evans, Bud Fields and his family at their home, Hale County, Alabama 1936
Walker Evans è figura più facilmente classificabile. Le sue scene stradali ne fanno il più rappresentativo degli ambienti americani.
Henri Cartier Bresson, Coco Chanel, Paris 1964
Cartier Bresson non può non esser nominato benchè le sue immagini trascendano ogni limite di categoria, rispondendo a criteri più estetici che politici, ponendosi come maggior interprete della “street photography”, definizione ineccepibile. non potendosi negare che Bresson trovi nella strada il proprio teatro. Altro è il suo reale interesse: la trasformazione dell’accidentale in assoluto attraverso l’astrazione geometrica. Altro ancora può invece dirsi dei ritratti, cui si dedica alla fine dei grandi viaggi. La caratterizzazione con la quale rende l’essere della persona al di là dei formalismi perfetti ne fanno il capostipite della categoria del “ritratto ambientato”, dato che l’individuo è sempre inserito nel suo ambiente, con tagli piuttosto larghi che articolano lo spazio della scena.
Ben Shahn, Blind street musician, West Memphis, Arkansas, 1935
Ben Shahn, il grande pittore americano, diventa anche un grande fotografo per merito di Walker Evans e sarà strettamente bressoniano, cosa certamente non facile, con tagli fortissimi in primi piani di grande intensità espressiva.
Robert Frank, Trolley, New-Orleans 1958
Venendo ancora a Frank, la desolazione, il vuoto, la luce spettrale, il senso di latente angoscia che permeano le sue immagini ne fanno un autore tanto grande quanto difficile
Diane Arbus, Identical twins, Roselle, NJ 1967
Di tutt’altra materia è fatta l’angoscia di Diane Arbus, che trova nella mostruosità del mondo esseri singolari che rappresentano più I problemi personali suoi piuttosto che della società o degli individui.
Richard Avedon, Bee man, 1988
Il caso di Avedon è singolare. Autore grandissimo nella fotografia di moda, i cui soggetti abituali sono bellezza, lusso, ricchezza, dei quali possiede tutte le chiavi, sentirà il bisogno, quasi a compensazione, di trovare in se stesso un’altra anima e la sua capacità di esplorare altre dimensioni in senso opposto, toccandoi temi che sarebbero i più lontani dai suoi abituali, quali le donne bruciate dal napalm a Saigon, la morte del padre, il grande affresco dell’ “American West”, in cui la teatralità dei personaggi è di un’umanità dolente e rassegnata sotto gli orpelli che la caratterizzano. Ovvio che l’ottimismo americano non volesse riconoscersi in tale dimensione, che resta una pietra miliare unificando i due generi. È un fenomeno recente, ma si pone da subito a fianco dei maggiori esempi che la storia ci ha consegnato.
Lee Jeffries, da Homeless, 2008
Si tratta di un nome affacciatosi alla ribalta al massimo livello, allargando la raccolta di capolavori di un nuovo fotografo, Lee Jeffries. Con i suoi “Homeless” ha rifondato il livello della fotografia umanistica. Le sue maschere, simili a interpretazioni teatrali del tragico, ossessivamente presenti, al limite dell’ecccesso, rappresentano certamente un ambito di carattere sociale, riaffermando che la dignità umana non dovrebbe mai essere messa in dicussione. Ma questa denuncia non può neppure essere taciuta.
Quale società vi è dietro questi volti? Quale percorso ne ha modellato la storia? Ma altresì le espressioni che alterano questi volti trovano una dimensione perfino artistica nel loro eccesso. Sollevano il problema dell’estetizzazione della rovina, ma la questione è già stata risolta da Salgado e da Nachtwey.
La fotografia sociale scriverà le sue pagine più gloriose con una serie di istituzioni che hanno usato la fotografia come strumento di conoscenza non solo individuale, caratterizzate da un atteggiamento di empatia nei riguardi dell’umanità ed un’attenzione positiva verso la sofferenza, ovunque si manifesti.
L’elenco rappresenta una scelta di istituzioni molto diverse, ma che hanno nelle forme più profonde un atteggiamento che vede nell’uomo la dignità ed il diritto così spesso negati.
Ciò che colpisce in questi enti è la loro varietà.
Per il “Farm” si tratta infatti di un organismo governativo, quindi di una rivista illustrata settimanale, di un’associazione privata ideologicamente orientata, di un’agenzia fotografica giornalistica, di una Fondazione-Museo alla memoria, di una mostra fotografica, di un concorso fotografico mondiale.
Il tratto comune, che tranne l’agenzia Magnum francese e il Press Photo olandese sono tutte iniziative americane a testimonianza del fatto che il dinamismo, la vitalità americana si è impossessata della fotografia fin dal suo apparire, diventando in pochi anni, come dimostrato dalla produzione industriale dei materiali usati per la fotografia, facendone ciò che in poco tempo sarebbe diventata la tecnica e l’estetica visuale della modernità.
Sopra ogni altro fenomeno apparso nel mondo della fotografia svetta la Farm Security Administration. Chi potrebbe uguagliare con l’organizzazione sociale del progressismo Roosveltiano comprendente i nomi più illustri dell’epoca, con una produzione di migliaia di immagini, una sorta di “mission”, ambientale e sociale insieme, la più ampia iniziativa di ogni tempo. A sostegno ecco nascere LIFE, il prototipo di ogni rivista, che con la tiraltura di milioni di copi ne faranno un modello inarrivabile, radunando la crema del fotogiornalisnmo mondiale.
La Photo Legue è la più progressista raccolta di fotografi che vedono nel mezzo uno scopo non puramente estetico, ma la documentazione e la denuncia dello stato delle cose, in una generale aspirazione al progresso e all’uguaglianza.
Il Magnum vuole riscattare il lavoro del fotografo dalla schiavitù della committenza, restituendo potere agli autori, altrimenti asserviti al mercato, divenendo per qualità e prestigio la prima agenzia al mondo.
L’International Center, viene fondato dal fratello di Capa in memoria dei caduti sul campo, veri martiri della missione del “mostrare”, insieme alla scuola, al museo ed alle mostre.
Family of Man è probabilmente la più grande e bella mostra di tutta la storia della fotografia. Non è una mostra, è un’opera d’arte in forma di mostra, creata da Steichen, direttore del Dipartimento di fotografis del MOMA, composta da 500 immagini di auori diversi che mostrano la vita umana in tutti I suoi atteggiamenti nei diversi paesi e culture.
Infine il Press Photo, il piò grande concorso mondiale che mostra ogni anno la situazione del fotogiornalismo, le tendenze, I temi e lo stile dominante, fornendo un attendinile quadro dell’attualità.
Da quanto esaminato si conferma il ruolo primario della fotografia quale strumento di conoscenza, comunicazione e creazione anche artistica, vero mezzo tipico dell’età industriale, dotato di una travolgente capacità innovativa, come dimostrato dalla rivoluzione digitale che ha rovesciato ogni cosa con tempi che rendono l’aggiornamento sempre più impegnativo e necessario.
Tutto cambia e non si può non inseguire la vita di un mondo che non è più il nostro anno dopo anno. Ma che deve diventarlo.
Bisogna racogliere la sfida e trovare un determinato coraggio. Altro modo non c’è.
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L'eroe Mussolini e gli immigrati assassini: i fascio-fumetti invadono le scuole
La propaganda nera arriva dalla Germania sotto forma di vignette, graphic novel, opuscoli e libri animati pubblicati dalla galassia degli editori d'ultradestra: amministrazioni e assessori soprattutto di FdI li donano a istituti e biblioteche
C'E' LA CARICA dei tagliatori di teste al grido di “hail!”, che sostituisce, rievocandolo, il saluto hitleriano “heil”. C’è l’immigrato assassino che brandisce un machete insanguinato: lo stesso sangue grondante da un coltello impugnato dal solito uomo di colore che, nella narrazione fumettistica, rappresenta il male della società. C’è Mussolini raccontato come un eroe e c’è la ricostruzione fantasiosa e apologetica - in chiave martire-valoroso -, dell’uccisione a Dongo di Alessandro Pavolini, ultimo segretario del Partito fascista e comandante delle famigerate Brigate Nere. Sospesi tra realtà e finzione. Pieni di slogan e santini propagandistici, rimandi nostalgici, simboli del neofascismo e del neonazismo (rappresentati quasi sempre da personaggi “veri”, realmente esistiti e entrati nel pantheon dei camerati). Sono i fumetti dell’estrema destra. Scie, vignette, graphic novel, opuscoli, libri “animati”. Pubblicati da case editrici vicine, o collegate, in alcuni casi diretta emanazione di movimenti politici della galassia nera. Alcuni dei quali già sotto inchiesta e attualmente alla sbarra.
Controcultura nera
Un’operazione di “controcultura” in risposta al racconto mainstream. Che si snoda soprattutto tra Italia e Germania, ed è rivolta – ovviamente - alla platea dei giovani. Giovani delle scuole, anche. A cui – grazie all’iniziativa di amministrazioni comunali, sindaci, assessori, deputati – questi fumetti vengono regalati. L’elenco degli ultimi casi italiani ci porta a Ascoli Piceno. Su input del sindaco di FdI Marco Fioravanti, per il Giorno del Ricordo 2021, il Comune ha comprato e donato agli studenti della provincia il libro “Foiba Rossa. Storia di un’italiana”, dedicato a Norma Cossetto. Il volume è pubblicato da Ferrogallico, casa editrice di fumetti legata a doppio filo all’estrema destra: tra i soci fondatori (2017) figurano due esponenti di Forza Nuova (Marco Carucci, ex portavoce milanese, e Alfredo Durantini), e il cantautore “non conforme” Skoll, nome d’arte di Federico Goglio. A distribuire i volumi di Ferrogallico oggi è Altaforte, la casa editrice del dirigente-picchiatore di CasaPound Francesco Polacchi, pregiudicato per violenze come alcuni dei suoi autori, e anche proprietario del marchio di moda Pivert, nonché editore del Primato Nazionale, la testata (carta e on line) dei “fascisti del terzo millennio”. Sulle pagine del periodico di CPI trovano spazio pure i fumetti. Un esempio: la lenzuolata intitolata “Il paese normale, fatti e cronache di ordinaria integrazione”. Un collage di notizie di crimini commessi da immigrati ruota intorno al disegno di un coltello stretto in una mano dalla pelle scura.
Soldi pubblici e casse fasciste
Torniamo a Ferrogallico e al caso Ascoli Piceno. La stessa scelta di parlare del Giorno del Ricordo attraverso il fumetto su Norma Cossetto è stata assunta anche da altre amministrazioni: due anni fa, tra le prime, l’assessore all’Istruzione della Regione Veneto Elena Donazzan, di FdI, poi esibitasi in Faccetta nera ospite di una trasmissione radiofonica. Seguirono Regione Piemonte, Pavia - sempre su proposta di una consigliera del partito di Giorgia Meloni, Paola Chiesa, che distribuì personalmente il libro - , ed altri Comuni. Il tutto, tra prevedibili e incandescenti polemiche. Anche perché si tratta di soldi pubblici che finiscono dritti nelle casse di case editrici collegate a gruppi e movimenti dichiaratamente fascisti. Andiamo avanti. Sorvolando sul fumetto (sempre targato Ferrogallico) dedicato alla vita di Nino Benvenuti, esule istriano, si può ricordare un altro caso: due anni fa l’amministrazione di Verona decide di regalare alle scuole e alle biblioteche comunali il libro a fumetti pubblicato nel 2017 (l’editore è sempre lo stesso) che racconta la storia di Sergio Ramelli, giovane membro del Fronte della Gioventù ucciso nel 1975 a Milano da militanti di Avanguardia Operaia, e diventato, da allora, uno dei simboli del neofascismo.
"Immigrato criminale"
Come funziona la propaganda del fumetto nero? Da dove nasce? Chi c’è dietro questa editoria che punta su leggerezza e immediatezza per veicolare messaggi nostalgici e revisionisti? Alla base dell’ombra lunga, che trova il suo terminale nei politici che ricoprono ruoli decisionali nelle istituzioni (Ferrogallico è stata sdoganata con incontri convocati in Camera e Senato da politici di FdI e Lega), c’è una strategia di diffusione mirata a entrare in contatto coi più giovani. Che utilizza stile e modalità narrative particolari. Come spiega Emilio Cirri ne “Lo spazio bianco – nel cuore del fumetto”, queste opere “sono accomunate da alcuni elementi ricorrenti. Da una parte abbiamo la forma artistica e narrativa. Si usa uno stile realistico per dare al contenuto un effetto ‘storicamente corretto’. Uno stile spesso rigido e sgraziato, minato da errori di anatomie e prospettive, più attento a creare immagini da usare per la propaganda”. In molti fumetti spiccano immagini di stupri e uccisioni “per creare un macabro effetto shock”. Nei dialoghi nelle vignette – spiega sempre Emilio Cirri - c’è una “prosa pomposa e retorica allo sfinimento, con dialoghi lapidari utili solo per trasmettere una tesi preformata e una definizione macchiettistica dei personaggi, sia quelli ‘buoni’ sia quelli ‘cattivi’”. Altri esempi. Graficamente, diciamo, border line. La copertina di ‘Adam – una storia di immigrazione’. E’ la graphic novel del giornalista Francesco Borgonuovo uscita sempre per Ferrogallico. Suona come un inno splatter alla tesi sovranista immigrato uguale criminale. Qui non è tanto importante ricordare che l’autore è ospite abituale a eventi e convegni organizzati da gruppi neofascisti e anche di ispirazione neonazista (vedi Lealtà Azione). Più interessante è interpretare la presentazione che Ferrogallico propone dei propri fumetti. “Ostinati e contrari”. Con un presunto obiettivo: portare alla luce “storie taciute su cui grava il velo di silenzio del conformismo culturale e del politicamente corretto”.
Quelle che avete appena letto sono le classiche parole d’ordine esibite dalla narrazione neofascista in questo mezzo secolo di storia: dagli anni ’70 ad oggi. Sono anche gli slogan che rimandano a quello che oggi si può considerare un laboratorio privilegiato della fumettistica di estrema destra. La Germania. E’ da lì che rimbalza, in Italia, il fenomeno. Per raccontare la mappa tedesca delle strisce apologetiche e revisioniste, delle graphic novel inneggianti alle SS e quelle che affondano nella propaganda omofoba e anti-immigrati, conviene partire da Hydra Comics. Che è diventato un caso politico. Andiamo con ordine. Ai lettori e agli appassionati della Marvel il nome Hydra non suonerà affatto nuovo: è la denominazione di una fittizia organizzazione terroristico-sovversiva, nata come società segreta, che compare nei fumetti americani Marvel Comics nel 1965. Gli spietati agenti di Hydra puntavano a istituire un nuovo ordine mondiale di stampo nazionalsocialista. Il loro motto? “Taglia una testa, altre due penderanno il suo posto”.
Sassonia ultranazionalista
Dresda, Sassonia. Un luogo a caso? No. E’ nel capoluogo del Land divenuto tristemente celebre negli ultimi anni per la nascita e l’attività violenta di gruppi di estrema destra e neonazisti che nasce Hydra Comics. Il fondatore è Michael Schafer, ex politico della Cdu poi passato a NPD e per anni dirigente dei Junge Nationaldemokraten (JN). Chi finanzia la creazione di Hydra? I destrissimi Movimento Identitario (Identitäre Bewegung) e Ein Prozent. Islamofobici, nemici dell’immigrazione e del multiculturalismo, oppositori dei diritti Lgbt. Parliamo di movimenti che non rifiutano angolazioni nostalgiche e neonaziste. Come Pegida, anche questa made in Sassonia. Nell’opera di proselitismo mediatico di queste formazioni, in particolar modo tra i giovani, oltre a cortei, presidi, manifestazioni no-vax, giocano un loro ruolo anche i fumetti.
Venticinque febbraio scorso: il caso Hydra balza alle cronache. Sulla pagina Fb di Comixene, importante rivista tedesca dedicata al fumetto, il direttore in persona fa, di fatto, da cassa di risonanza alla nascita di Hydra: prendendo formalmente le distanze dalla pubblicazione su un numero di Comixene della notizia del lancio della casa editrice nera, e invitando a indagare sulle sue origini segrete, nella pratica le offre un graditissimo spot. Comixene – come racconta sempre “Lo Spazio bianco – il cuore nel fumetto” - viene travolto da critiche durissime. Per altro: chi siano e cosa pubblichino quelli di Hydra Comics è già noto. Strisce e vignette con riferimenti ai “veri patrioti”, simbologia delle “squadre di salvaguardia” (SS) naziste, agenti segreti al servizio del popolo. Gli eroi Marvel Capitan America e Superman decontestualizzati. “Siamo aperti a tutti quegli autori che nel panorama odierno non trovano un posto in cui pubblicare” – spiega Hydra. “Opere non conformi, anche provenienti dall’estero” in difesa di quei lettori e quegli artisti che si sentono “limitati da un settore in cui l’ideologia viene prima del talento”. Intorno al progetto editoriale Hydra e alla sua lotta alla “dittatura del buonismo” si muovono artisti tedeschi della scena dell’estrema destra: il writer Wolf PM (che usa caratteri calligrafici di epoca nazista) e Remata’Clan dalla Turingia.
Asse Roma-Berlino-Tokyo
In Germania – dopo una lunga scia di violenze, molte delle quali avvenute proprio in Sassonia, e dopo la strage terroristica di Hanau del 21 febbraio 2020 – si è riaperto il dibattito sull’estremismo di destra. I servizi segreti hanno messo sotto sorveglianza AfD perché considerato un movimento pericoloso per la democrazia. AfD. Hydra. Link che si riattivano. Ci sono fumetti, in Germania, partoriti e pubblicizzati dagli stessi partiti. Tra il 2017 e il 2018 sulla pagina della sezione AfD di Berlino sono stati pubblicati sette racconti intitolati “Emilia and friends”. L’autore? Il caposezione Georg Pazderski. Protagonista dei racconti è, appunto, Emilia, una ragazza dalle sembianze di uccello, sostenitrice di AfD che difende le posizioni più estreme del partito contro una società fatta di crimini. A chi è ispirato, per la sua striscia ultranazionalista, Pazderski? Agli omologhi austriaci dell’FPÖ (Freiheitliche Partei Österreichs), partito di estrema destra austriaco il cui leader, Heinz Christian Strache, in questi anni è stato protagonista, a sua volta, di numerose vignette che lo immortalavano come un supereroe in lotta contro i mali della società liberale e globalista. Intorno a super Strache, un florilegio di riferimenti, diretti e indiretti, al nazismo e alle rune che ne hanno caratterizzato la deriva esoterica. L’elenco dei fumetti tedeschi finiti sotta accusa è lungo e fornito. Si è molto parlato, tra gli altri, di Der Vigilant. L’eroe qui – in un paradosso perfetto - è un vendicatore solitario che protegge il popolo da un partito dittatoriale ecologista. L’editore che ha dato alle stampe il fumetto si chiama Eric Zonfeld (Zonfeld-Comics). E’ noto per la pubblicazione di romanzi giovanili xenofobi, razzisti e attraversati da continui richiami al nazismo. Libri il cui contenuto – vari esposti sono finiti sul tavolo Tribunale di Colonia - “stimola l’odio razziale, glorifica o minimizza le idee del Nazionalsocialismo, glorifica i membri delle SS e discrimina gli omosessuali”. Il bisogno continuo di additare un nemico da combattere e annientare; la mitizzazione dei regimi e della razza; l'avversione verso gli "invasori” colpevoli di rovinarla. Dalla Germania all’Italia, sotto traccia, lavora la fabbrica del fumetto. L’ultimo prodotto Hydra Comics è dedicato all’artista giapponese Yukio Mishima, ultranazionalista adottato come feticcio dalle destre europee. Chi ha realizzato la nuova striscia? Semplice: Ferrogallico, l’etichetta editoriale dei fascisti di Forza Nuova distribuita dai fascisti di Altaforte-CasaPound. Siamo in tempo di pace, ma nella graphic novel si rinsalda l’asse Roma-Berlino-Tokyo.
di Paolo Berizzi - la Repubblica
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