#narrativa ambientata a Londra
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pier-carlo-universe · 1 month ago
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“La Volpe di Londra” di Laura Usai: un avvincente noir tra mistero e pericolo nei vicoli dell’East End. Recensione di Alessandria today
Un romanzo che immerge il lettore in una Londra cupa e affascinante, tra corruzione, povertà e una protagonista che sfida il destino per la giustizia.
Un romanzo che immerge il lettore in una Londra cupa e affascinante, tra corruzione, povertà e una protagonista che sfida il destino per la giustizia. “La Volpe di Londra” di Laura Usai è una storia di coraggio, intrighi e legami inaspettati. La trama: un patto pericoloso e una missione impossibile Volpe, la protagonista, opera come investigatrice per conto di un misterioso Circolo a…
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lizzieilibri · 3 years ago
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2-12-2021
Ciao a tutti Lizziers!
🔎Continuiamo con la rubrica #Lizzieconsiglia #ilmercoledìdeigialli
🔎Oggi è il mercoledì dedicato ai gialli. Vi voglio consigliare “Il primo caso di Agatha Raisin di M. C. Beaton” l’ho ascoltato su Storytel mentre guido per andare al lavoro, è uno dei momenti che sono riuscita a ritagliarmi nelle mie giornate impegnate per la lettura.
📖Marion Gibson, nata McChesney è stata una scrittrice britannica di romanzi sia rosa che gialli, fin dal 1979.
Scrisse moltissimi romanzi storici di successo usando il suo nome da nubile Marion Chesney; tra questi le serie "Travelling Matchmaker" e "Daughters of Mannerling". Con lo pseudonimo di M. C. Beaton firmò numerosi gialli popolari, in particolare le saghe thriller di Agatha Raisin e Hamish Macbeth. Utilizzò anche parecchi pseudonimi: Ann Fairfax, Jennie Tremaine, Helen Crampton, Charlotte Ward, e Sarah Chester.
Tra i libri pubblicati come Marion Chesney c'è la serie gialla ambientata in Epoca edoardiana con protagonisti Lady Rose Summer, un'affascinante debuttante con un forte spirito d'indipendenza, e il capitano Harry Cathcart, un nobile decaduto.
📖Agatha Raisin è un'agente di pubbliche relazioni di mezza età, frustrata ma interessante, trasferitasi da Londra a Carsely, nei Cotswolds, dopo aver venduto la sua società di PR di Mayfair per un precoce pensionamento. Si trova a risolvere omicidi in ogni sua avventura.
Nasce in un cadente palazzo di Birmingham, da genitori disoccupati e alcolisti che sopravvivono grazie a contributi statali e occasionali furtarelli. In una indimenticabile gita di una settimana nei Cotswolds, si innamora di quei posti che rimarranno sempre per lei un sogno da realizzare, acquistando un piccolo cottage per viverci.
Agatha studia alla scuola pubblica, successivamente inizia a lavorare in un biscottificio e quando ha risparmiato abbastanza denaro scappa a Londra. Qui frequenta un corso serale per diventare segretaria, in seguito al quale inizia a lavorare in un'agenzia di pubbliche relazioni, un campo che non abbandonerà più e nel quale raggiungerà il successo aprendo una sua propria società, che dirigerà fino all'età della pensione.
🔎Questo è il primo libro della saga, anche se è uscito dopo molti altri libri in realtà è un prequel della storia di Agatha, io consiglio di leggerlo prima così si inizia a conoscere la nostra Mrs Marple di Carsely dagli albori della sua carriera, altri consigliano di leggerlo dopo alcune delle sue storie così da comprenderlo meglio, quindi immagino che la scelta sia tutta vostra.
Incontriamo la nostra Agatha a 26 anni, lavora come assistente in un agenzia di PR e il suo ruolo è abbastanza umiliante e scomodo, quando viene mandata a svolgere un compito molto imbarazzante (è uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo) deve licenziare un loro cliente importante, perché è stato accusato di omicidio.
Il loro incontro prende però una piega inattesa, Agatha si ritrova dalla sera alla mattina a dare le dimissioni con una sua agenzia di PR, un ufficio e fondi illimitati, ecco l’inizio della sua carriera di PR e della sua passione per le investigazioni.
Una storia leggera e godibile, che ci servirà per iniziare a conoscere o approfondire la conoscenza di Agatha Raisin, in base a quando decidiamo di leggerlo.
📖 “Nei pressi di World’s End si fermò di colpo davanti a un negozio che esponeva in vetrina alcuni dipinti. Quello che catturò il suo sguardo raffigurava un cottage con il tetto di paglia dei Cotswolds e alti cespugli di malvone sul cancello.”
❓E voi cosa ne pensate dei Gialli? Vi piacciono oppure no? Avete letto qualche libro del genere? Conoscete Agatha Raisin? Vi aspetto nei commenti.
⬇️ Vi leggo ☺️
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Titolo: Il primo caso di Agatha Raisin
Autore: M. C. Beaton
Editore: Astoria Edizioni
Serie: Saga di 30 libri 
Data pubblicazione: giugno 2016
Genere: Narrativa
Pagine: 96
Formato: digitale (euro 1,99) cartaceo (euro 8,00)
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danilobilli · 3 years ago
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Ecco il mio nuovo romanzo
E' uscito in data 2 novembre 2021 il mio libro di narrativa "Qualcosa è cambiato" che fa seguito ad altri miei lavori che trasudano bolognesità. Per leggere o scaricare gratuitamente il libro cliccare qui: http://megaphono.it/PDF_Billi/Qualcosa%20é%20cambiato.pdf
Sinossi:
La trama del libro è ambientata a Bologna. Danilo continua a raccontare un periodo della sua vita, inframmezzata tra il lavoro in radio, il giornale, la passione per il Bologna, le sue vicissitudini ultras e l’amore per la sua ragazza Jenny, ritornata da Londra,Ma le cose tra lui e Jenny sono cambiate, la ragazza è tornata in Italia con le idee ben chiare, vuole a tutti i costi affermarsi come fotografa e ci riesce anche a costo di fare nuove conoscenze e ricevere aiuti da altre persone.E così le cose cambiano... 
Per visionare le altre mie pubblicazioni collegarsi qui:
http://megaphono.it/danilobilli.html
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tomhardyitalia · 7 years ago
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n32 di GIOIA 10/08/2017 intervista a Tom Hardy: Vi sembro un duro? https://www.pressreader.com/italy/gioia/textview Tom Hardy. Vi sembro un duro? Sì, verrebbe da rispondere vedendolo al cinema con la divisa da pilota della Royal air force nel kolossal Dunkirk (e prima nei panni del cattivo in The Revenant e ne Il cavaliere oscuro). Ma poi si legge la lettera d’addio al suo cane Woodstock, che ha sc GIOIA10 Aug 2017 Ha la fama di essere un duro, e in effetti quando te lo trovi davanti, con quelle braccia muscolose, la camicia che lascia intravedere i tatuaggi e la mandibola pronunciata, ti mette un po’ soggezio ne. Poi, come per magia, sorride e gli occhi gli si illuminano. E il ghiaccio è rotto. Tom Hardy è così: al cinema gli piace fare il cattivo, come in The revenant, dove è stato lo spietato antagonista di Leonardo DiCaprio in odore di Oscar; sdoppiarsi, come nel thriller Legend; mettere su una montagna di muscoli per diventare Bane, l’arcinemico di Batman in Il cavaliere oscuro - Il ritorno. Ma è lo stesso Tom Hardy che poi, nella vita, si tatua le scritte (in italiano) “padre fiero” sul torace e “figlio mio bello” sul bicipite. E dedica al suo cane Woodstock – che lui stesso aveva salvato da cucciolo in autostrada ed è poi scomparso a sei anni per una malattia nel giugno 2017 – la più commovente e tenera delle lettere d’addio, condivisa in Rete come estremo atto d’amore per il suo «angelo, il miglior amico di sempre». Dal 31 agosto lo rivedremo al cinema, alla sua terza prova con il regista Christopher Nolan: dopo Inception e Il cavaliere oscuro è uno dei protagonisti di Dunkirk, il kolossal bellico – già campione d’incassi al botteghino negli Stati Uniti – ambientato nel 1940, che racconta l’evacuazione della città di Dunkerque, in Francia. Si è detto che Dunkirk sia un progetto che le è personalmente caro. Dove l’ha sentito? ( Sorride, ndr). Voci di corridoio… Be’, in effetti devo ammettere che è vero. E poi, la mia è la generazione che ha ascoltato i racconti dei nonni sulla guerra fin da quando eravamo bambini. Questo film mi ha coinvolto molto ed emozionato tantissimo: spero davvero che piaccia e che diffonda un grande messaggio di memoria collettiva tra il pubblico. È una storia epica e al tempo stesso una grande avventura. Una di quelle vicende che ti prendono, ti tirano dentro e non riesci a uscirne fino a che non si accendono le luci in sala e il film è finito. Si lascia coinvolgere dalla passione nel suo lavoro? Non potrei vivere senza: che vita sarebbe? Lei ha lavorato insieme al regista Christopher Nolan diverse volte. Sì, mi trovo bene con lui, perché affronta tutti i suoi progetti con la stessa mia dedizione, che potremmo anche chiamare irresistibile ossessione. Nel caso di Dunkirk, per raccontare la vicenda Chris ha approfondito così tanto le sue ricerche sugli Anni 40 e ci si è immerso al punto tale che mi pareva di recitare in teatro invece che su un set. Ha scelto un approccio molto particolare, come è nel suo stile: ha voluto raccontare la vicenda da diverse prospettive, cioè dal cielo, dalla terra e dal mare. Io nella storia interpreto Farrier, un pilota della Royal air force, e dunque sono uno dei protagonisti della linea narrativa dedicata all’aria. «Nei personaggi metto sempre una parte di me. È come se i diversi uomini a cui presto il volto di film in film diventassero un’estensione della mia persona» Sta lavorando senza tregua in questo periodo. È anche la star di Taboo, la serie tv della Bbc ambientata nel 1814 in cui interpreta James Delaney, un avventuriero inglese che torna in patria per il funerale del padre e si ritrova a dover difendere la propria eredità ( in Italia in onda su Sky Atlantic, ndr). È un’altra vicenda avventurosa in cui ho creduto fin dal principio, avendo contribuito a crearla dal nulla. Ci ha lavorato molto con suo padre ( lo scrittore, commediografo e comico Edward “Chips” Hard; Tom ha studiato fin da giovanissimo recitazione in diverse scuole di arte drammatica a Londra, dove è nato, ndr). Confesso che adoro lavorare con lui. L’idea del protagonista Delaney è venuta a me e mi ha subito affascinato: spesso le idee nascono all’improvviso, ma mi manca il “contorno”, non so dar loro una direzione. Come in questo caso: amavo questo personaggio, ma non avevo una storia per lui. E allora è arrivato papà ad aiutarmi ( ride, ndr). Dal momento che lo ha creato personalmente, lei avrà sicuramente molte cose in comune con il personaggio che interpreta. Io lo vedo come la metafora di un cambiamento, e in effetti pure a me piace evolvere. Delaney come me ha lati oscuri e altri più luminosi, conosce la felicità ma anche la sofferenza e dunque è capace di inoltrarsi nella sua parte più dark. È complesso, e proprio per questo interessante ( Tom ha sofferto di dipendenza da alcol e droga, da cui è uscito completamente nel 2003 anche grazie al rehab: ha ammesso di aver toccato il fondo, al punto tale da ritenersi fortunato per non essere essere finito male, ndr). Della serie tv è stato anche produttore: pensa di ripetere l’esperienza? Devo confessare che mi ha divertito molto questo tipo di lavoro, forse perché mi piacciono le sfide e amo sondare i miei limiti, ma non medito certo di cambiare professione. Tv e cinema: in quale ambito preferisce lavorare? Amo la tv tanto quanto il teatro e la radio, ma mi piace anche il set. Il vero problema sa qual è? Amo recitare. A volte mi sento come un pesce rosso in un vaso di vetro. Lo sa, i pesci crescono, le loro dimensioni aumentano e quindi a un certo punto per non soffocare hanno bisogno di una vasca più grande dove nuotare. È per lo stesso motivo che ama “esplorare” ruoli diversi? È stato memorabile in Mad Max: Fury Road del 2015: la vedremo ancora nei panni dell’ex poliziotto Max Rockatansky, il ruolo in cui è subentrato a Mel Gibson? Ho firmato per fare tre capitoli della saga, si tratta solo di sapere quando saranno realizzati. Tutti quelli che sono coinvolti nel progetto sono stati superimpegnati, ma sono convinto che ci ritroveremo presto. Ormai ho capito che le cose devono accadere quando è il momento giusto. Adesso che ha raggiunto il grande successo e tutti gli occhi sono puntati su di lei, si sente mai sotto pressione? Tutto può creare un certo grado di stress. Capita quando si hanno delle responsabilità, ma è normale, è la vita. Ogni volta che si investe in prima persona in qualcosa, può essere un film ma anche, per esempio, una relazione, si rischia. E io ho spesso la sensazione che sia colpa mia se qualcosa va male. Cosa caratterizza maggiormente il suo modo di recitare? Nel personaggio che interpreto metto sempre una parte di me stesso, è come se i diversi uomini a cui presto il mio volto, di film in film, diventassero un’estensione della mia persona, perché ci tengo siano il più veri possibile. E a volte mi sento come un testimone dell’evoluzione della storia. Di lei si dice che sia una persona che intimidisce, lo sa? Anche questo è evidentemente parte di quello che sono, è qualcosa che gli altri notano in me e non posso farci nulla. Se solo ci penso mi pare orribile, ma è il gioco dell’esistenza, con cui tutti dobbiamo confrontarci. Lei dà l’idea di essere una persona a cui piace analizzare la natura umana, e farlo in profondità. Mi interessa approfondire la diversità, le sfumature di un determinato comportamento, come le persone differiscano l’una dall’altra. Come si vede in futuro? Resto aperto a tutte le possibilità che mi si presenteranno, ma di certo voglio imparare, migliorare. È come suonare il violoncello: più ci si esercita, più si diventa bravi. Lei dice di essere un duro, ma con sua moglie, l’attrice Charlotte Riley ( che l’ha reso papà nel 2015, ndr) è sempre tenerissimo. E poi con il dolore per la morte del suo cane ha commosso il mondo intero. Confessa di essere anche dolce, quindi? Quello è un altro dei lati più “oscuri” della mia personalità! ( Ride, ndr). G
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pangeanews · 5 years ago
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“Mi ha emozionato sfiorare il taccuino di Jane Austen, amo Anna Karenina, ma la scienza, per uno scrittore, è indispensabile”: parla Ian McEwan
Girano le pal(l)e come eliche di elicottero, mi alzo in volo e sbircio nell’isola di mago Merlino, pardon, in UK, dove attorno al calderone mediatico si radunano bravi scrittori che parlano netto dei problemi attuali: le macchine che ci rubano il lavoro e… la compagna, come racconta McEwan nell’ultimo Machines like me (in Italia stampa Einaudi, con il titolo: “Macchine come me”). Ora, per non spaventare nessuno, diciamo subito che McEwan era ed è contrario all’uscita da UE, ma ciononostante è dinamico e spiazzante come un anarchico controcorrente (leggete qui).
Come dovrebbe essere qualunque scrittore di romanzi. Ce ne fossero in giro anche in Italia; magari si sono semplicemente ritirati attorno al loro camino di provincia. In ogni caso, McEwan va fatto conoscere meglio nella sua attività di parlatore: ecco perché vi traduco due interviste su temi importanti – la memoria degli scrittori conservata nei loro archivi e poi ad ampio raggio le sue visioni accurate sulla storia e la guerra mondiali, le quali reggono il suo romanzo più toccante, Espiazione.
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La prima intervista è del 2004. McEwan l’ha rilasciata dopo aver venduto il suo archivio personale all’università del Texas, all’Harry Hansom Center. In quella cattedrale nel deserto protomessicano, un cubo alla Kubrick che è in realtà relitto europeo, si trova un po’ di tutto: manoscritti di Joyce e lettere di Pound, insieme a note e appunti dei più recenti Burgess e Amis). Lo scrittore riflette sugli archivi, un tema importante anche alla luce delle recenti rivelazioni su Kafka. E poi si sente la solita pressione della scienza sulla contemporaneità, e come il romanziere la attutisce con la sua introspezione, la sua umana empatia.
La seconda intervista è del 2002 e ruota attorno a Espiazione, il romanzo del 2001 che ha fatto epoca e dal quale è venuto fuori un film appassionante. L’opera di trasposizione su schermo non era facile perché il romanzo ha il ritmo di Walter Scott e la concentrazione nella mente femminile di una Austen: però il risultato è stato un film mosso e meravigliosamente moderno. Oltre al ragionamento sul libro capolavoro, nell’intervista si cerca di capire il terrorismo del 2001: i mezzi usati dallo scrittore sono ripescati nel vasto arsenale della storia, del senso comune e della tradizione inglesi.
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Poi le cose sono andate malamente, UK è andata in guerra contro l’Iran e McEwan ha scritto Sabato per spiegare i deliri delle masse. Una buona prova di cui si sente analoga e urgente necessità oggi, per spiegare cosa è frullato nella testa degli inglesi al referendum Brexit: peccato che McEwan ora si esponga di meno, in confronto a come si impegnava un tempo, quando il 12 settembre era capace di dare fuori un articolo su Guardian pensato bene, in meno di un giorno dall’accaduto, e scritto con cura.
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Al di là della politica, l’opera. Su Espiazione leggete una buona intervista italiana qui. Ma queste sono interviste per pubblico italiano e hanno un deficit: manca il good talk inglese che fa letteratura, società senza mai essere totalizzante e moscio come la chiacchiera elevata dei francesi, perché il talk è robusto, è quello degli inglesi che vedete uscire di corsa dagli uffici nel pomeriggio, ben contenti di andare dal lattaio a fare provviste, poi di corsa a comprare il miele.
Un popolo semplice, tutto sommato, dal quale vengono fuori quegli scrittori che magari non saranno conservatori ma rimangono decisamente nobili per parlare a platee universali, diverse. Né le previsioni di complotti finanziari,  né il disordine e la paura verso il vicino, né la visione della rovina ci impediscono di cogliere la bellezza di chi, come McEwan, sa parlare a nome del suo popolo, di UK e delle sue differenze culturali rispetto al resto del mondo. Anche così riusciamo a capire perché Espiazione agiti i cuori dei lettori pur essendo romanzo storico; questo si chiama tradizione, si chiama carattere nazionale. Resiste.
Andrea Bianchi
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Il tuo archivio depositato all’università del Texas ci insegnerà cose che non sappiamo ancora?
Certamente, per prima cosa le bozze legate a ciascuna opera mostreranno al lettore interessato come le idee si siano evolute fino alla loro forma finale. Lo scrittore tende a scordare rapidamente i percorsi che ha abbandonato lungo la via. A volte il sentiero verso un romanzo compiuto prende svolte sorprendenti: raramente si può parlare di vero sviluppo. Per esempio il mio romanzo Espiazione cominciava come una storia di fantascienza ambientata due o tre secoli avanti nel futuro. Del resto, c’è una buona parte di materiale autobiografico nell’archivio ora in Texas. Non sono quel genere di scrittore che fa uso istantaneo dei suoi fatti privati e li trascrive immediatamente con l’invenzione. Updike è l’esempio sommo, qui. La mia invenzione consiste nel prendere in prestito l’esempio di quello scrittore famoso, operando soltanto un deragliamento psichico dalla mia vita. Penso che l’archivio mostrerà questi tenui collegamenti.
Hai mai usato gli archivi mentre facevi ricerca durante i tuoi lavori?
Sì, per il film televisivo The imitation game usai l’Imperial War Museum di Londra, che è la stessa fonte per Espiazione, mi sono basato completamente su fogli e giornali inediti di soldati in ritirata a Dunkirk. E ho tratto le linee basilari da svariate lettere private scritte da infermiere che lavoravano con quei soldati feriti durante la ritirata.
Qual è il valore degli archivi?
Recentemente ho ricevuto la medaglia Bodleian a Oxford e dopo averla accettata mi sono stati mostrati alcuni pezzi dei loro estesi archivi storici. Mi ha mosso qui nel profondo, tenere in mano il taccuino di Jane Austen diciassettenne e poi sfogliare le pagine della prima bozza della Metamorfosi di Kafka. Un archivio ti porta dritto al cuore della creazione letteraria, agevola quella connessione emotiva che chiunque ami la letteratura saprà comprendere. Dietro queste motivazioni certamente il lavoro critico e biografico sugli scrittori dipende completamente dalle risorse di archivi di rango come la collezione di Ransom Centre.
Dicci di questo momento speciale per la narrativa d’invenzione inglese, come ne spieghi la fioritura?
Bene, immaginando tu abbia ragione: in parte, immagino, l’immigrazione interna da tutti gli angoli del vecchio impero ha aiutato a rinvigorire il linguaggio. In parte c’è anche una più giovane generazione che viaggia in lungo e in largo e assorbe tutti gli influssi culturali ed è stata abile a spezzare il provincialismo moribondo delle generazioni precedenti. Poi, negli ultimi trent’anni gli scrittori britannici sono stati in grado di utilizzare l’estetica moderna e postmoderna senza farsene intrappolare, come invece è accaduto sul continente europeo. In altre parole, le virtù ottocentesche e inventive di storie, insieme alla creazione di personaggi plausibili, sono rimaste il caposaldo.
In Espiazione racconti dalla prospettiva di Briony: come sei stato in grado di ritrarre con maestria le emozioni femminili e, di più, nelle varie fasi della sua vita?
A parte la conoscenza abbastanza buona di un certo numero di donne e ragazze di tutte le età, penso valga la pena ricordare che entrare nella testa degli altri è una delle pratiche routinarie dei romanzieri. Le menti degli altri uomini sono semplicemente tanto vicine o remote rispetto a me quanto le menti femminili.
Talvolta la cultura vuole passare il messaggio che umanesimo e scienza sono opposti, ma i tuoi romanzi portano i protagonisti in regni scientifici. Come commenti la situazione, che indirizzo le hai dato nei tuoi romanzi?
Le università sono tenute a rispondere di questa divisione che persiste, abbiamo tutti bisogno di un’istruzione integrale, i due lati hanno molto da imparare l’uno dall’altro. Chi sta con me dal lato umanistico non trova molto di esaltante, soprattutto nelle scienze biologiche; né troviamo molto che possa rinforzare la nostra comprensione della natura umana, parte integrale dello studio nelle arti creative. Noi liberali-artistici-so-tutto-e-nulla necessitiamo di un buono scavo nella matematica e nella fisica per capire cosa sia la vera difficoltà intellettuale. Da parte loro, gli scienziati hanno bisogno di appoggiarsi alle linee abbozzate dal patrimonio artistico, favoloso e meraviglioso – quel che è stato immaginato sulla nostra condizione durante i secoli è una risorsa vitale. E poi la scienza ha bisogno di coltivare e onorare la sua propria tradizione scientifica di forma letteraria, da Leonardo a Francesco Bacone a E.O. Wilson e Steven Weinberg, gli scienziati hanno scritto in modo squisito sul mondo. E poi, ancora, gli scienziati giovani necessitano di imparare a comunicare chiaramente e studiare una materia a impronta saggistica come la storia o l’inglese sarebbe un allenamento utilissimo per ordinare e articolare le idee.
C’è un personaggio letterario col quale ti senti imparentato?
Sono attratto da Levin in Anna Karenina, dal suo amore per gli spazi aperti, per la discussione scottante, e la vita domestica ne è una parte. La sua capacità di essere felici e il modo in cui segue e traccia i suoi passaggi emotivi – questi i tratti che ammiro.
***
Vorrei parlare del tuo contributo alla comprensione dell’11 settembre e del tuo romanzo Espiazione.
Sai, considero gli eventi dell’11 settembre abbastanza anomali. Lo shock l’ha sentito ognuno. È stato un incidente diretto anche per me perché caso vuole che sia sposato con una editor di Guardian. Ho chiamato in redazione per dire “Fuori dal comune, come l’affronti?” e lei disse “Scrivi qualcosa per noi”. Tutta la sala delle news era in ebollizione e istintivamente disse “Certo che no” e questo mi diede tempo per riflettere. Poi pensai “Bene, ora non sto scrivendo romanzi, l’unica cosa che ho in testa è questo fatto, risponderò alla nuova sfida”. Mi sedetti quel giorno stesso per scrivere un pezzo, come fecero molti altri colleghi, avevo una traccia molto specifica – come reagisce chi guarda questa novità in televisione? In un senso preciso, è più facile per il romanziere andare a caccia di punti di raccordo, di incroci tra pensiero e sentimento. Questo avvenimento pareva produrre un’esplosione troppo grande di pensieri sconnessi su tutte le conseguenze che sarebbero arrivate, eppure era ancora troppo presto. Eravamo intrappolati nell’evento che ancora non si era dispiegato del tutto e sapere quale fosse l’entità dannosa ed emotiva doveva ancora stupirci – il livello di tragedia umana.
Siamo d’accordo che un romanzo in grado di rappresentare le emozioni non è per forza del genere emotivo che fa versare lacrime. Eppure, con l’articolo sull’11 settembre e con Espiazione, che ha vinto il Booker, ti avvicini a quel genere di scossa che danno gli scrittori americani.
Ecco una buona ragione per cui agli scrittori americani è chiusa la partecipazione del Booker – Roth l’avrebbe vinto almeno quattro volte. Con Jane Austen continuo a credere che tutta la vita umana la si può esaminare da pochissime relazioni in un villaggio, questa visuale regge ancora.
Oltre alla rievocazione realistica delle lettere scritte dai soldati alle fidanzate, dove si parla di cose molto concrete come il cottage dove vorrebbero scappare insieme, trovo che la scena di Briony infermiera al capezzale del soldato malato sia straordinaria. Dimmi, come sei riuscito a inserire questo cameo vittoriano nella tua struttura romanzesca?
Ma… la storia d’amore centrale non riguarda Briony, semmai la sorella e l’altro uomo. Sentivo che, a meno di non lasciar erompere il sentimento di Briony in quella scena del capezzale… c’era come qualcosa di inaffidabile nel modo in cui lei raccontava l’amore. C’è un altro passaggio dove lei è a Westminster Bridge e passano due giovani officiali e lei sente un bang improvviso, il senso che la sua vita era tutta rinchiusa nell’ospedale, con tutte quelle routine e qualcosa di enorme stava ancora mancando. Sapevo che una volta conclusa questa parte del libro sarei dovuto saltare avanti negli anni, ’50 o ’60, e avevo bisogno di un momento in cui attutire Briony in quel tempo. Quanto alla scenda d’amore precedente, quella della biblioteca, pensavo di non aver costruito una vera scena di sesso, forse avrei dovuto. Certo, sono notoriamente difficili da scrivere. Sai bene che altre persone l’hanno fatto in modo diverso. Pensavo a John Updike e il suo interesso visivo, quasi mascolino, per la membrana e il muco, ma quello di Briony era un resoconto di una donna di 77 anni. Fondamentalmente diverso. Una descrizione come quella che doveva fare lei, di due persone innamorate per la prima volta, e per la prima volta a fare l’amore, mi pareva molto più difficile della scena vittoriana del moribondo al capezzale… quel che lei fa lo facciamo anche noi in un modo o nell’altro: credere a quanto vediamo. Abbiamo un mind set e vediamo conseguentemente con questo. Soprattutto noi inglesi, diversamente dagli americani, dove c’è un Saul Bellow che viene tutto dalla strada e però è un intellettuale senza remore: questo ha a che fare con la nostra struttura sociale, in USA c’è discussione aperta, mentre qui, anche ora che rispondo alle domande del pubblico, trovo ancora difficile per un romanziere inglese essere intellettuale e appassionante al tempo stesso, impressionato dal mondo eppure curioso, e ben piantato per terra. Sento ancora che la classe è un elemento che ci limita.
L'articolo “Mi ha emozionato sfiorare il taccuino di Jane Austen, amo Anna Karenina, ma la scienza, per uno scrittore, è indispensabile”: parla Ian McEwan proviene da Pangea.
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