#nè un senso per la mia esistenza
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hymn-for-all-i-have-lost · 1 year ago
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Non so che farne della mia vita, se non buttarla dietro una lama da ficcarmi nel collo.
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unareginatriste · 2 years ago
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Quella notte le costellazioni spiccavano di brillantezza distese nel cielo nero ma la luna, vera padrona della nostra esistenza troneggiava pallida tra le nuvole, sembrava volesse indicare a qualcuno la strada giusta da percorrere. Quei pensieri scossero brividi sulla mia pelle, l’istinto primordiale che possedevo fece divampare in me un senso di allerta, ero consapevole che qualcosa di inevitabile sarebbe accaduto da lì a poche ore. Una nave maestosa apparse dinanzi ai miei occhi, non ne vedevo da secoli, l’isola selvaggia dove avevo scelto di stare quell’estate era segreta ed irraggiungibile agli esseri umani, eppure il fato mi trasse in inganno senza pietà. La luna illuminò la figura di un uomo, mi apparse potente, sfrontato e senza timori, nonostante i venti sfavorevoli diede ordini ai suoi marinai di continuare a remare verso la riva. I suoi occhi mi rapirono, erano zaffiri in un oceano di oscurità, mi scrutava cercando di indovinare se fossi una sirena, o forse una ninfa, non essendo consapevole che in verità io sono una dea. Non mi mossi nonostante il terrore abbracciasse il mio corpo intero, il desiderio di conoscere quell’uomo così ribelle prevalse su ogni mia parte razionale. L’uomo scese in terra accompagnato dalla sua ciurma, sempre più incredulo ad ogni suo passo, il mio sguardo si incatenò al suo e pietra divenne il suo corpo ma luce i suoi occhi, eravamo fuoco nel fuoco, l’amore di cui i poeti cantano da secoli, ciò che Venere stessa incarna, lui era metà della mia anima.Fu una grazia o una disgrazia; entrambe forse, questo ricordo è ciò che di più caro conservo in metri di speranze e pezzi di cuore. Nessuno può rubarlo, nessuno può vederlo. E quell’uomo ancora lo conserva, nè io dea, nè la sua “donna” possono rubarlo. Ora condannatelo! Giudicatelo! Tanto non gli importa. E giudicate me quale essere divino appartenete alla bellezza dei cieli eterni che ha permesso ad un uomo qualcuno di strapparle il cuore dal petto per possederlo senza nè pudore nè astuzia, nonostante il trascorrere del tempo il mio sogno è ancora questo…un evento del misero passato che ha disfatto la mia esistenza portando a cambiamenti mai controllati dalla mia volontà. Mai mi sarei aspettata un simile incendio nel mio viaggio. Oggi accolgo il paradiso, sono ancora una dea. Quell’uomo è un misero pescatore, e degli antichi sfarzi non vi è più nulla in lui. Una terribile maledizione affligge il suo animo come il mio. Osa attribuire a me la colpa, dimenticando che insieme abbiamo navigato il cielo, nessuno poteva raggiungerci…tranne la realtà malefica e cinica. Ci spezzarono le ali e ci divisero. Ci diedero dei destini ed ora siamo esseri umani. Lui lotta con la speranza di rivedere quella luna, di ritrovare da qualche parte la luce che possedevano i miei occhi, ora è invecchiato, è stanco. Tenta ripetutamente e fallendo sempre di rendere dea la sua “donna”, dimenticando di aver lasciato scivolare come sabbia l’unica vera dea del creato. Oggi scelgo me stessa, vado avanti, lui proverà sempre a raggiungermi costruendo giorno dopo giorno una nuova nave ma quell’isola è stata inghiottita dalle onde crudeli, quella luna è oscurata dalle nubi nere, e quella dea che lui sogna è adesso una donna nuova. Ogniqualvolta arrivano suoi messaggi, vuol sapere che lotto, vuol vedermi lottare, come se lui fosse l’unica ragione per cui vale la pena farlo.Così ti rispondo: lotto ogni cazzo di giorno, finché non avrò ciò che voglio e merito. Oggi la luna non c’è, e non importa. Forse i nostri viaggi si incroceranno ancora, creando un nuovo giorno ed una nuova occasione per entrambi, cambiando quel finale che è stato imposto ai nostri cuori.
operazione: rivoglio la mia vita
inizio: 2019
fine: (data da definire)
oggi 16.08.22
@l-angelodallealiargentate
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È di nuovo tornata quella vocina in testa che mi dice “Non hai bisogno di niente, non vuoi sentire niente, nè nessuno. Vuoi solo stare sola fra i tuoi abbissi. Tanto niente e nessuno ha senso quindi perché sforzarsi?”
Alcuni giorni sono così satura di questa vita infelice, piatta, tutta uguale, senza soddisfazioni, senza un minimo di appagamento, senza niente. Perdo di vista anche le cose più care e buone che ho.
Mi sembra di fluttuare in un esistenza che forse non è nemmeno la mia. È come se tutto fosse pesante, senza significato e senza sostanza. Vivo per aspettare altri giorni, quelli che vivo non significano nulla, e trascorrono lenti e bui. Non penso che a 27 anni la vita dovrebbe essere così.
Sono stanca, scontenta, non ho prospettive di nulla. Speriamo che passi, perché questo inverno è lungo ancora.
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beautyandbad21 · 4 years ago
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È di nuovo tornata quella vocina in testa che mi dice “Non hai bisogno di niente, non vuoi sentire niente, nè nessuno. Vuoi solo stare sola fra i tuoi abbissi. Tanto niente e nessuno ha senso quindi perché sforzarsi?”
Alcuni giorni sono così satura di questa vita infelice, piatta, tutta uguale, senza soddisfazioni, senza un minimo di appagamento, senza niente. Perdo di vista anche le cose più care e buone che ho.
Mi sembra di fluttuare in un esistenza che forse non è nemmeno la mia. È come se tutto fosse pesante, senza significato e senza sostanza. Vivo per aspettare altri giorni, quelli che vivo non significano nulla, e trascorrono lenti e bui. Non penso che a 21 anni la vita dovrebbe essere così.
Beautyandbad
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viaggiatricepigra · 4 years ago
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Review Party: Loving The Darkness (Loving The Demon 3), di Nicole Teso
AVVERTENZE: Il romanzo contiene scene esplicite destinate a un pubblico adulto. 
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"È finita. Sto scappando... Finalmente, il mio rapitore non mi farà più del male". È questo che penso mentre corro tra le vie di Las Vegas. Sono libera, ma voglio vendetta. Non riesco a smettere di pensare a Jake, all'uomo che mi ha tolto tutto, al carnefice che ha tormentato le mie notti. La libertà ha un prezzo. Il mio è essermi innamorata dell'uomo sbagliato.  "Ti troverò, Angelo. Anche a costo di impazzire". È questo ciò che penso mentre sfreccio tra le vie di Las Vegas, ossessionato dalla donna che mi ha rubato il cuore. Ho lottato contro i miei sentimenti, li ho calpestati nella speranza che morissero, li ho ignorati come se fossero insignificanti. Ma ora voglio te, Brittany. Ti voglio come l'aria che respiro. E che la mia anima sia dannata, farò di tutto per raggiungerti.
Siamo finalmente giunti al capitolo conclusivo della trilogia d'esordio di Nicole Teso; dopo Loving The Demon e Loving The Angel (i link portano alle mie opinioni in merito) la storia di chiude ed i lettori secondo me saranno estremamente soddisfatti di come andranno le cose, nonostante ci possano essere degli elementi che, a gusto personale, possono non piacere totalmente.  Ma veniamo alla storia.
Lo dico ugualmente, anche se dovrebbe essere intuitivo:  se non avete letto i precedenti romanzi, NON CONTINUATE perchè vi fareste spoiler.
Nella magnifica lotta per la sopravvivenza, noi esseri umani ci trasformiamo in animali. Non c'è niente che non faremmo pur di avere salva la vita. A un passo dalla libertà, è un ticchettio sciagurato a candire gli attimi nella nostra testa. Momenti in cui corriamo a perdifiato lungo le vie di a Las Vegas. Istanti in cui coordiniamo le gambe e braccia, ignoriamo i dolori alle articolazioni e annaspiamo in cerca d'aria. Siamo disposti a fare qualunque cosa, a trascinarci esausti, lungo un tragitto di cui ignoriamo la destinazione, a ingannare i nostri simili, a tradire i nostri cari. E' vero che quando sei in bilico tra la vita e la morte, tutta la tua esistenza ti scorre davanti agli occhi. Il tempo rallenta. Dieci secondi diventano quindici minuti. E quindci minuti diventano due ore. E due ore, a loro volta, diventano come un déjà-vu che riviviamo all'infinito. MI chiamo Brittany Moore e sono evasa da un ospedale psichiatrico la notte del ventisette aprile duemiladiciotto, mano nella mano con Abbie, una paziente del St. Jamie. 
Brittany è riuscita a scappare dall'ospedale psichiatrico insieme ad Abbie, ma la loro corsa per la salvezza è appena cominciata. Abbie è determinata, forte, pronta a tutto pur di allontanarsi da quell'inferno in cui è rimasta rinchiusa per troppo tempo. Brittany la troviamo spaccata a metà: da una parte forte, una guerriera che non molla per riuscire a scappare ed ottenere giustizia che pretende per tutto ciò che le è stato fatto; dall'altra stremata e stanca, il suo corpo e la sua mente barcollano al limite della resistenza.  Le due giovani dovranno farsi forza a vicenda per riuscire ad allontanarsi e riprendere in mano le loro vite. Nel frattempo Jake, saputa la notizia, corre immediatamente a braccare Brittany. La rivuole, lei è sua, il suo Angelo. Fra possesso e qualcosa che sta nascendo di molto profondo, non vuole permetterle di allontanarsi da lui. "Deve" capire quanto lui la ami ed accettare tutto questo, anche perchè davanti a questi nuovi sentimenti, la sua vita si stravolge completamente ed è disposto a qualunque cosa, a qualunque sacrificio per poterla avere al suo fianco. Questo è solo un piccolissimo assaggio di quello che si andrà a leggere fra le pagine. Giusto come iniziano i primi capitoli, ma senza nemmeno andare nei dettagli. Questo capitolo conclusivo mi è piaciuto e non mi è piaciuto (per gusti personali).  Partiamo dai personaggi. Brittany è caratterizzata davvero molto bene. In questo romanzo verrà "approfondita" meglio la sua divisione interiore, ovvero: l'amore che prova per Jake (sia fisicamente, che emotivamente), contrapposto all'odio che prova per lui per quello che le ha fatto e la voglia di vendicarsi, portando giustizia e liberando le donne che ha rinchiuso. È mostrata molto bene questa doppia "facciata" perchè, nonostante qui sia una storia estrema, chiunque si è trovato almeno una volta nella vita spaccato fra mente e cuore.  Jake ci viene mostrato ancora meglio durante questo suo cambiamento in atto, poichè questa fuga (e varie cose che succederanno nei capitoli successivi) gli faranno prender sempre più coscienza di quanto voglia Brittany e, sorprendentemente, quanto forte stia crescendo il sentimento che prova verso di lei. Scopriremo meglio il suo passato, capendo cosa lo porterà a diventare quello che è. O meglio, quello che era prima di Brittany.  Avremo anche altre voci narranti, che però non saranno "importanti" nè resteranno per tutto il romanzo, come Jake e Brittany, però ci permetteranno di ampliare la nostra visione delle cose e capir meglio alcuni comportamenti che leggeremo. No, non voglio anticiparvi chi.  La trama è intensa e molto forte. Ci sono scene in cui Nicole non si è risparmiata per nulla e le ho adorate! Questo per avvertirvi di esser caut*, perchè sicuramente non saranno per tutt* (nonostante sappiate che è un Dark Romance e certa violenza sapete già che farà parte della storia). 
Una serie di colpi di scena incredibili ed imprevedibili, che portano alla chiusura di una storia molto forte e coraggiosa, che apprezzo ancora di più (nel complesso) se penso che è stato il primo lancio in questo mondo da parte di una giovanissima autrice.  Oltre la straordinaria fantasia e le idee stupende che usa per i suoi romanzi, la stiamo vedendo crescere ed imparare sempre meglio a scrivere (cosa da non dare assolutamente per scontata).  Poche note stonate che mi hanno lasciato l'amaro in bocca, ma parlandone con l'autrice (che è stata, come sempre, molto aperta alle opinioni personali) mi è stato più chiaro il suo intento e, nonostante in alcune parti sarebbe stato più apprezzato un capitolo in più, il senso generale si può intuire. Anzi, sono curiosa di scoprire altri pareri e veder se sono solo io ad aver avuto queste sensazioni!  Il finale...eh, sapete che è difficilissimo accontentarmi! Infatti non è nelle mie corde. Nicole lo sapeva e quindi era "preparata" a questa mia critica, ma (alla fin fine) la storia è sua, chi sono io per pretendere una strada invece che un'altra?!  Gusto personale a parte, che comunque influisce nel giudizio ma spero di avervi chiarito che è personale e non qualcosa di peggiore (oh, si, ce ne sono parecchi che vanno oltre!): una lettura che consiglierei sicuramente.  A parte tutto, se siete arrivat* fino qui, non potete fermarvi proprio ora!  Nonostante i romance non siano proprio il mio genere, sono sicura che leggerò altro di suo per scoprire in quale altra storia ci porterà. Sperando che ci siano tinte molto Dark, che a me non dispiacciono per nulla. Grazie per questo viaggio e per avermi permesso di leggere tutta la trilogia in anteprima negli anni! 
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missfogo · 5 years ago
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Cosa mi impedisce di suicidarmi? È una domanda che ha senso dal momento in cui, ogni mattina mi sveglio con questa strana e dolce voglia di farla finita, senza mai riuscirci davvero. Esistono morti molto semplici, alcune durano solo un secondo, altre dovrebbero essere anche indolore. Cosa mi blocca allora? Sono davvero così stupida da illudermi ancora? Infondo lo so, la mia vita non prevede la felicità. Non vi saranno nè soddisfazioni né obbiettivi raggiungibili, il mio destino è negativamente segnato e credetemi, quando affermo che persone con gravi problemi probabilmente sono più felici di me. In questo momento non mi manca niente, non sento più quel disperato bisogno di affetto, non ho più dipendenze, ho imparato ad amare il mio corpo, ho un lavoro, due passioni nelle quali mi reputo abbastanza brava , non sento il bisogno di andare a ballare nè di essere una persona che non sono. Molto più frequentemente mi sento in pace col mondo e con me stessa, eppure, questa non è la vita che vorrei. Già. Io vorrei girare il mondo come artista di strada, i progetti Erasmus in parte stavano soddisfacendo questa mia esigenza ma ora, sembra tutto troppo lontano... Mi sto solo prendendo in giro, lo so, io volevo solo fare musica, ma sono sempre più distante da quel mondo in cui emergono persone di merda senza talento, individui talvolta pericolosi, stupidi, egocentrici che tanto odio, ma che tutti ammirano. La mia voglia di suicidio parte da qui, dal mio più grande sogno infranto, dunque nulla potrebbe farmi star meglio. Le persone che ti vogliono bene possono fare la differenza, l'ho esperito sulla mia pelle, ricordo infatti il bienno dei miei 15-16 anni, un periodo in cui la mia prima ed ultima relazione a distanza mi ha cambiato totalmente la vita. Ma quella felicità non poteva che precedere gli anni più bui della mia esistenza. Nulla è per sempre e nessuno mi farà mai stare così bene, sono convinta addirittura, che se quella persona tornasse ora, non sarebbe più in grado di rendermi felice, infondo sto vaneggiando sui ricordi di 5 anni fa, su un individuo profondamente cambiato, omologato sicuramente al resto della popolazione. Gli amici poi, essi sono la delusione plurima che l'umanità mi ha arrecato, non esistono persone in grado di mettermi a mio agio, o meglio, a nessuno importa. Rimaniamo solo io e il mio sogno infranto, portatore dei miei pensieri suicidi. A volte penso che saper cantare sia la mia più grave malattia. Forse convincermi di non avere talento mi farebbe stare meglio, un po' come quei pezzenti che hanno sfondato nella musica con tonnellate di autotune, le loro capacità canore sono indirettamente proporzionali al loro successo. Ma io voglio cantare, non ridurmi a fare la deficiente griffata in un video trash con la voce alterata, io non voglio fare comicità. Questo mondo non mi appartiene, sono fuori luogo, fuori moda, fuori di testa, fuori produzione, dunque fuori dal tempo perché credo ancora nella sobrietà e nella trasparenza, nei rapporti veri e nei legami senza interessi ma andiamo, è troppo complicato conoscere una persona e volerle bene, semplicemente, ci vogliono le palle che non avete, il coraggio che non ho per accettare che morta, sarei più felice che da viva. Questo è quanto ma tanto fregancazzo. Scrivo per me stessa, canto per me stessa, vivo per me stes.... perché mi tocca farlo.
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svevascoulture · 5 years ago
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estasi senza aesthesis?
Ed eccoci qua, questa volta posso osare il plurale e simulare un caloroso senso di appartenenza ad una categoria, tribe o subcultura (azzardo), quella di tutti coloro che vivono in Italia (ma or ora forse possiamo tranquillamente dire nel mondo), inseriti anagraficamente tra i 20equalcosa e i 40equalcosa, la macrocategoria sociale che oggi unisce quasi tre generazioni sempre vissute e sempre in vivendi per differenza, e che ora (insieme a tanti altri soggetti avulsi dalla specifica classe anagrafica) condividono l’isolamento imposto dal governo, dal buon senso o dalla paura. A voi la “scelta”. 
Come molto spesso accade, di fronte a fenomeni nuovi, di fronte ad avvenimenti straordinari, eccezionali, ex-regola, i primi a muoversi per abbracciare o navigare l’attuale tsunami sanitario/economico/sociale/culturale -mi si permetta di non soffermarmi troppo sul protagonista in questione, insomma, direi che non ci sia bisogno di sottolineare il riferimento più che esplicito e iper-contemporaneo, tecnicamente definito come SARS-CoV-2 -ecco insomma, i primi ad agire nella stessa direzione che gli eventi scatenano, sono stati tutti quegli enti e istituzioni che ingloberò massivamente sotto la macro categoria di Cultura.
Finalmente liberalizzazione di informazioni, aperture digitali dei più importanti musei del mondo, streaming legale su infiniti cataloghi cinematografici, concerti virtuali, pornografia gratuita-concessa-e-consigliata (in questo caso è stata più una legalizzazione mentale e di costume ma vabbè)... 
Infinite informazioni, infinite possibilità, infinite libertà, infinita scelta all’interno dei più finiti spazi condominiali, dei più finiti blocchi psicologici, dei più finiti dubbi sul prossimo futuro, dei più finiti sensi di controllo di fronte alla realtà.
E noi? Che si fa? E tu? Che fai? E io? Che faccio?
Personalmente questa situazione (che mi sforzerò di vedere in senso critico e avulsa dalle mie personalissime condizioni vitae) non sta esattamente tirando fuori l’essere umano e anzi, l’essere civico, che fino ad oggi pensavo di essere e/o poter essere. 
Uscire di casa, camminare, correre, calpestare terra non domestica, osservare il cielo, gli alberi, ascoltare la città, le voci, i passi, i pavoni e le rondini che iniziano ad approcciarsi alla nuova stagione...sono solo alcune delle cose che negli ultimi anni mi hanno concesso di desistere dalla demenza e di abbracciare, o almeno, sopportare, la banalità della mia attuale esistenza, o forse dell’esistenza in generale. Non c’è nichilismo né volontà polemica né vittimismo in quanto sto elencando, solo semplice, schietta, viscerale e del tutto consapevole, verità personale.
Quando perciò affermo e ammetto di non essere fiera di me stessa, in questo preciso momento storico, lo faccio proprio perché, seppur con incredibili riduzioni e ridimensionamenti, queste attività le sto comunque svolgendo, si veda paragrafo “die” relativo al permesso di uscire per andare a fare la spesa, i.e. uscire con la scusa di dover fare la spesa e dover comprare ciò che viene politicamente considerato come bene di prima necessità, ma in una modalità volta a sfruttare ogni singolo minuto, ogni singolo passo, ogni singolo scorcio che mi è in qualche modo politicamente concesso, allungando e dilatando i tempi, cosa che, fino ad oggi, non avrei mai pensato di dovere/riuscire a fare. Il succo è che bisogna starsene in casa cazzo, è sacrosanto, è corretto, è un’obbligazione finalizzata a un bene più generale, più importante, più giusto e necessario di tutte le nostre piccole scuse, di tutti i nostri vili e piccoli individualismi, di tutte le nostre mediocri necessità, di tutte le nostre becere giustificazioni.
Per riallacciarmi a quanto scritto sopra, alle istituzioni culturali e a tutte le incredibili possiblitià che esse (e molte altre) ci stanno offrendo, partirò con il confessare che oggi ho limitato il mio desiderio di stare fuori con un’unica uscita, breve, diretta; durante questa uscita ho provato, come da innumerevoli giorni a questa parte, a stilare una lista di tuuuuuuutte le cose che potrei fare, di tuuuuuuuuutte le attività che tendo a incastrare all’interno delle mie calcolatissime giornate, per intenderci sia di quello che per mesi ho procrastinato perché non-avevo-tempo, sia di quello che ora mi viene concesso e regalato per poter rendere e affievolire il disagio che la clausura innesca. Nel elencazione mentale ho provato un senso di conforto e stima verso le piccole e insieme grandi trasformazioni che il mio paese sta mettendo in atto per cercare di gestire una situazione di natura anarchica, incontrollabile e difficilmente gestibile all’interno della nostra società e, soprattutto, all’interno del nostro modo di vivere. 
In onore di questo, la mia inutile persona e la mia più ancora inutile e silenziosissima voce ringraziano e ringraziano, ringraziano ancora per quel poco e insieme grande che ci viene comunque concesso, liberalizzato e consigliato. 
In onore invece del mio personalissimo sentire, della mia personalissima opinione, mi soffermo su quanto, ahimè, non si possano sostituire talune forme di esperienza diretta con la digitalizzazione e/o resa virtuale delle stesse. Lo so bene: questa è proprio una di quelle asserzioni retrograde, passatiste e simil romantiche di cui il passato critico e culturale straripa...Lo so bene, ciononostante continuo a domandarmi come sia possibile, anzi come sia percepibile, una qualsiasi forma di esperienza estetica laddove manchi la sua trasposizione sensibile. E sì, è sempre il solito concetto di perdita dell’aura benjaminiana trito e ritrito -e comunque sempre e per sempre attuale- ma qui non si tratta di riproducibilità di un’opera, qui si tratta di doppia forma di riproducibilità, poiché a riprodursi ora non è solo l’oggetto/opera ma la sua fruizione e tutto ciò che ne consegue. Avere la possibilità di poter consultare un’istituzione museale dal proprio salotto, avere la possibilità di sfogliare il catalogo virtuale di una fondazione mentre si è in seduti comodamente nella propria toilette, avere la possibilità di farsi una vasca calda di pixel tra i corridori del Louvre..sono sicuramente alcune tra le cose più interessanti e, a parer mio, quasi scontate che la tecnologia e la cultura di oggi dovrebbero offrire e incentivare, si tratta di pratiche e consumi che, per quanto meritevoli di lode, altro non farebbero che accorparsi e accumularsi insieme ad altre lodevoli e interessanti pratiche e libertà che la nostra cultura e società connessa e Internet-vivente già abitualmente pratica e consuma.
Ma l’esperienza artistica -e per artistica intendo qui anche musicale, cinematografica, teatrale...- quella vera, non è fatta di occhi sconnessi dal corpo, nè di aipods, nè di protuberanze simil-arti modellate in 3D. L’esperienza artistica, quella vera, necessita di tutte quelle funzioni sensibili che, almeno per ora, noi essere umani disponiamo in quanto specie. 
Che allora questo momento di isolamento amplifichi ancora di più le nostre volontà di sentire, provare, vedere, ascoltare, toccare, odorare e percepire con tutti i nostri sensi e, insieme, con tutta la nostra sensibilità e, insieme, con la mente aperta e affamata... così da recarci e così da essere pronti a vedere la prossima mostra, retrospettiva, ma anche opera teatrale, film al cinema -insomma quel che si vuole- e poter ricordarci e risentire quell’estasi che l’esperienza estetica ci regala, ogni volta in maniera differente.
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narcisistss · 5 years ago
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[...] Appurato che la vita sia una, che scorra indipendentemente dalla nostra volontà - spesso dandoci l'idea di non poterla proprio fermare nè controllare - e che non si possa tornare indietro; cosa ci impedisce di viverla pienamente, attimo per attimo? Pensa, ci erano arrivati questi uomini, e poi, non si sa bene come - o forse si - c'è stato un brusco cambio di marcia, fino a giungere ad oggi, che nemmeno ci poniamo il problema, che viviamo nella completa ignoranza, superficialità, e ci va bene così! Ad oggi che ce ne freghiamo bellamente degli altri, del loro benessere, perchè troppo presi da noi stessi, da ciò che vogliamo; ad oggi che passiamo la vita criticando gli altri, le loro scelte, il loro modo d'essere, e arriviamo addirittura a sentirci in diritto di criticarne la stessa esistenza, come se stesse a noi poter decidere o anche solo giudicare se e come una persona debba vivere, e decretarne la morte. Dove siamo arrivati? Te lo chiedi anche tu? Come può un uomo sentirsi tanto superiore ad una persona da giudicarla in tal modo ed ostacolarne l'esistenza? Questo è il peccato originale dell'uomo: un profondo senso di egoismo ed ipocrisia.
Io sono dalla parte della libertà, voglio esserlo e lo sarò. Niente, come ho già detto, può impedirti di fare ciò che vuoi, di essere davvero ciò che sei, se non il tuo stesso modo di vedere le cose e di dare importanza ad alcune di esse che non ne avranno mai.
//
Sono pensieri che voglio condividere con te
//
E qual è di pazzia segno più espresso che, per altri voler, perder se stesso?
Così dice Ariosto nell'Orlando Furioso, e la verità è che io me stesso non lo sono mai stato.
Sono arrivato ad un punto della mia vita, dopo tanto pensare, tanto reprimere, in cui però non ho più intenzione di continuare a rinunciare a vivere, vivere davvero. Ho sempre spinto tutto dentro, mostrandomi impassibile e facendomi male, ma ci sono cose che non si possono mettere a tacere. Mi sono sempre straziato, non trovando delle persone che mi facessero sentire bene, con cui mi sentissi realmente soddisfatto. Ho sempre cercato di essere come la società mi voleva, ma a che scopo?
Un detto molto saggio recita che per stare bene con gli altri bisogna stare bene prima con se stessi, e allora non mi rimane altra strada se non quella di cambiare le cose, di togliermi finalmente questo peso che mi schiaccia. [...]
Da una lettera importante
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crazymadnessuniverse · 5 years ago
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Lui
Penso che lui sia stato il mio primo grande amore, anche perché ripensando ai miei vecchi “amori”, quello che provavo non è comprabile.
È nato tutto così all’improvviso, io nemmeno lo guardavo con gli occhi dell’amore.
Ci siamo conosciuti il 10 agosto 18 e dopo poco più di 4 ore già eravamo uniti; avevamo questa sintonia sorprendente che ci ha legati fin da subito.
Abbiamo passato tutta l’estate insieme, in canoa, in spiaggia, a fumare, a ridere, a parlare e a condividere il silenzio.
In quel periodo io ero innamorata di un altro ragazzo ma con lui mi trovavo benissimo e forse c’è stato un preciso momento in cui per qualche secondo l’ho guardato con occhi diversi... il giorno in cui siamo rimasti in spiaggia tutto il giorno e ci siamo stesi vicini e io lo guardavo in un modo particolare.
Il 17 agosto mi ha riaccompagnata a casa e forse anche lì era diverso.
Una mattina lui è partito e non ci siamo salutati, ma vivendo nella stessa città ci saremmo rivisti e così fu.
Cominciammo a vederci con tutto il gruppo del mare, ogni giorno fino a novembre e sono successe infinita di cose in questi mesi.
Lui mi aveva già detto che gli piacevo e io non ero sicura di provare le stesse cose.
Piano piano però stava nascendo qualcosa e ik 10 settembre ci siamo baciati per la prima volta e ancora me lo ricordo le sue labbra e il modo in cui bacia.
Ottobre è stato un mese duro, pieno di difficoltà, lui era molto confuso forse ancora per la storia con la sua ex e mi ricordo di essere stata malissimo verso la fine del mese.
Mi ricordo il giorno in particolare in cui abbiamo “risolto”... era il 27 ottobre, mai potrò scordare quel giorno.
Ci siamo visti e lui mi ha riaccompagnata a casa, abbiamo parlato e alla fine ci siamo baciati sotto la Pioggua... È stato magico per entrambi e le emozioni che ho provato sono indescrivibili, li ero sicuro di amarlo con tutto il mio cuore.
La notte tra il 16 e il 17 novembre lui mi regala un anello che ancora conservo e mi dice che possiamo provare a stare insieme.
Stava andando tutto bene poi verso la fine di novembre e i primi due giorni di dicembre mi ricordo di essere stata malissimo, sapevo che qualcosa non andava, io sono molto sensibile e sensitiva, nel senso che so sempre se qualcuno sta male perché lo sento dentro di me e so se sta scucendo qualcosa, in poche parole so sempre cosa sta accadendo.
Sapevo che lui non stava bene, una volta mi ha spezzato il cuore, era un venerdì e mi chiese se ero felice e io ovviamente risposi si, lui invece mi disse che era triste, non che ne fossi io la causa però questo ancora mi fa male perché forse non ero abbastanza per riuscire a renderlo felice e non fargli pensare al resto.
Il 3 dicembre avevamo io concerto di Frah quintale e lui un ora prima mi volle parlare e mi ricordo ancora le sue parole “voglio stare solo” e io già sapevo tutto perché lo sentivo.
Quel concerto non me lo dimenticherò mai, lui stava male sia emozionalmente sia fisicamente, io lo guardavo sempre e lui ricambiava poche volte il mio sguardo e solo una volta mi ha presto, stretta e abbiamo ballato insieme sotto le note di “nei treni la notte” e io piangevo perché sapevo che sarebbe stata l’ultima volta in cui l’avrei visto.
Quella sera niente baci o alcuni rubati da me, freddezza e dolore.
Nel riaccompagnanti a casa abbiamo ascoltato un po’ di musica scelta da lui, risuonano ancora le note di punk di gazzelle, vedevo e percepivo che lui stava male e io con lui.
Da quel giorno è stato un inferno, sono stata male per lui per diversi giorni perché sapevo che soffriva ma poi piano piano ho cominciato a stare male per il noi che ormai non c’era più.
Erano mesi che mi diceva che era confuso e voleva stare da solo quindi per me questa non era una novità, però sapevo che in realtà tutto era finito ma mi ostinavo.
Non ci siamo più visti e ci siamo sentiti davvero poco perché a me mancava...
Il 15 dicembre mi ha lasciata ufficialmente e mi ricordo ancora il suono del mio cuore che cade in frantumi sul marciapiede mentre mi diceva che forse aveva sbagliato a dire che era innamorato di me e che forse in realtà non lo era.
Da lì non ci siamo davvero più visti ed è stato l’anno più bello e più brutto della mia esistenza.
Il dolore mi ha portato a non parlare più con mia mamma, mi chiudevo in camera a mangiare e non volevo vedere più nessuno.
Sono stata male molto male, sopratutto il giorno di Natale in cui decisi di scrivergli perché non ce la facevo più e lui mi disse che forse un giorno sarebbe cambiato tutto e io non ci credetti.
Dopo vari tentativi che ho fatto scrivendogli e dopo le varie volte in cui mi ignorava o rispondeva un po’ così, decisi di Non scrivergli più.
Lui mi aveva pure scritto che il rapporto di amicizia doveva tornare quello di prima e lui ha fatto tutto il contrario per far sì che fosse come prima.
Ci siamo rivisti io lui e un nostro amico il 7 febbraio, lui sparito completamente con tutti, li mi chiese scusa e mi disse anche che si era fidanzato, cosa che già sapevo da tempo perché mio cugino li aveva visti baciarsi...comunque il dolore dell’indifferenza nel suo sguardo mi uccise, anche se per qualche secondo uno sguardo di dispiacere e forse di amore per me c’era stato ma comunque morì lentamente.
Da lì non ci siamo nè più visti nè sentiti.
Ci siamo rivisti ad agosto e lui non mi è mai stato lontano, mi toccava le gambe e mi guardava sempre.
Il nostro rapporto era come sempre, con quella sintonia che non ci faceva staccare mai.
Abbiamo parlato molto sopratutto il 10 sera in cui gli ho ricordato che c’eravamo conosciuti un anno fa quel giorno.
L’ho fatto sentire in colpa e di questo sono felice, ho visto il dispiacere nei suoi occhi.
Mi ha raccontato della sua ragazza di quando si sono messi insieme e lui continuava a ripetere che non mi aveva tradita; si sono messi insieme il 22 dicembre cioè una settimana dopo avermi lasciata e l’ha conosciuta l’uno dicembre all’ open day della sua scuola.
Il ragazzo se n’è uscito con il fatto che non stavamo insieme già da tempo e questo mi ha fatto male e ho capito che non puoi mai sapere come la vive l’altro almeno che non te lo dica.
Comunque io gli chiesi se era felice e lui non voleva dirmelo ma poi mi disse che era felice e che la amava e mi ha fatto male ma sono felice per lui.
Ci tiene molto a me e al fatto che io non soffra e questo lo apprezzo Molto.
Il 15 agosto mi sono ubriacata e ho pianto.
Lui ha voluto parlare con me e li gli ho detto tutto e mi sono liberata di un peso enorme, ora sa quanto sono stata male e quando io ci tenessi a lui, gli ho pure detto che lo amo.
Non mi sono mai sentita così libera in vita mia.
Ammetto che mi fa stare male il fatto che io non sia stata abbastanza per lui, mi sono chiesta spesso perché lei l’abbia portata a casa, presentata ai genitori ecc... ma la risposta non la voglio, mi dico che lui mi ha amata , cosa che mi ha detto anche lui questa estate, ma che poi sia finita troppo in fretta e basta.
Mi ha pure detto che non riesce a starmi lontano che pensa che io sia bella e non voleva che io interpretassi il suo comportamento come altro e che lui era soltanto ambiguo (vallo a spiegare alla tua ragazza, vi sareste già lasciati) e mi ha detto che magari tra 30 anni qualcosa cambierà.
Comunque ora mi rimangono soltanto i ricordi, i brividi, il suo anello, le sue parole e l’amore che ho provato e che proverò sempre per lui.
Grazie per avermi fatto capire che cos’è l’amore, tu sei e sarai sempre il primo amore della mia vita.
Ti amo per sempre.
A
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pensieriameta · 6 years ago
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Prima i giorni non erano tutti diversi, non c’era qualcosa all’apparenza singolare o eccezionale in ognuno di essi.
Esattamente come adesso mi svegliavo e andavo a scuola, poi all’università, in palestra, uscivo.
Non c’era niente di straordinario, nè una volta al giorno nè una volta alla settimana, o al mese
ma sentivo di vivere
sentivo di stare andando da qualche parte
di stare riempiendo il mio tempo con qualcosa che valesse la pena essere vissuto, ovunque fossi e qualsiasi cosa stessi facendo, per strada, in una macchina sotto la pioggia, sotto delle coperte, su una spiaggia
davanti a un tramonto
sarei potuta essere anche in una stanza senza finestre o con nulla affisso alle pareti, piuttosto che davanti a un tramonto, in entrambi i luoghi sarei stata colmata dalla stessa pace, e i miei occhi non si sarebbero posati sul muro bianco, nè tanto meno su una palla rossa che si stesse spegnendo nel mare,
si sarebbero posati sulla mia pace, su ciò che dava un senso a questo bianco asettico e immutevole di cui sono sporcate adesso le pareti del mio cervello, dei miei pensieri, parole, emozioni, sensazioni, quel velo insapore che i miei occhi proiettano su tutto anche da troppo, adesso.
Qualcosa che colori di rosso anche una stanza bianca, con la sua sola esistenza, che renda pallido anche un tramonto di luglio, in confronto al colore delle sensazioni che riesci, di nuovo, a percepire
dalle quali non scappi perché non vuoi
e senti che non devi.
Pensieriameta
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3nding · 6 years ago
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La mia lettera al Capo della Polizia Dott. Gabrielli, pubblicata su L’Espresso di oggi
Signor Capo della Polizia e Prefetto dottore Franco Gabrielli,
Mi è nota la Sua straordinaria correttezza istituzionale e l’alto profilo che caratterizza la Sua guida democratica nella gestione degli uomini e delle donne della Polizia di Stato al servizio del Paese .
Nel corso della mia terribile vicenda umana ho avuto modo di incontrare diversi rappresentanti della Polizia di Stato , verificandone non soltanto la competenza ma anche la sensibilità e il profondo senso dello Stato.
Mi sono imbattuta in investigatori della Squadra Mobile di Roma di rara onestà intellettuale, in un contesto difficile, doloroso, reso particolarmente accidentato dalla materia trattata , dalle figure coinvolte , dall’humus che aveva generato fatti che a giusta ragione possono ancora oggi far dubitare della stessa essenza dello Stato.
Quel buio feroce che ha travolto vite e diritti, mistificando, corrompendo il circuito democratico, producendo un dolore che ha varcato ogni soglia di sofferenza umana miscelandosi con l’ombra di un tradimento istituzionale.
Quello Stato invece presente come non mai, nei gesti, nelle parole, nei fatti, di questi uomini silenziosi, disponibili, orgogliosi di onorare la verità e di riporre nel cuore del proprio lavoro, la centralità dell’essere umano, dell’ultimo come del più importante di essi.
È noto che la ricerca della verità abbia richiesto un dazio ulteriore da versare per chi le scrive e per la sua famiglia , attraverso il discredito prima della vittima poi dei suoi cari.
La vittima, un reietto, un rifiuto della società, un criminale secondo una certa vulgata, non avrebbe dovuto conoscere giustizia. La giustizia per gli ultimi è sovente una ipotesi. Un lusso che si concede di rado, se capita.
La famiglia, quella di un nulla di 43 chili, niente altro che un’emanazione di quel nulla.
Quindi, un lungo aberrante percorso tra insulti, minacce, illazioni, accostamenti a forme di mitomania, di protagonismo, di ricerca di visibilità, di affarismo, di abbandoni familiari, di spregevolezze dispensate a piene mani da ogni latitudine umana, anche da categorie professionali che per deontologia si vedrebbero obbligate a riporre tra i più reconditi angoli dei propri pensieri almeno quelli contrari alla decenza e alla umana pietà. E a tacerli, anche solo per decoro. Per non suscitare emulazioni, per impedire di rendere confuso il proprio ruolo. Per dignità.
Oggi vivo nella paura, nel terrore di accompagnare persino i miei figli a scuola nel quartiere di Torpignattara dove uno sconosciuto mi ha comunicato che “devo abbassare lo sguardo quando passo di li“. Chissà, Signor Prefetto, cosa avrà voluto dirmi. Per quanto mi sforzi, non c’è molto spazio per l’immaginazione. C’è chi scrive che sono una lurida infame, una troia, che devo morire con sofferenze doppie rispetto a quelle inflitte a mio fratello. Non tutti sono comuni cittadini, alcuni hanno una piena riconoscibilità istituzionale. Basta leggere le informazioni di base, o, visualizzare alcuni siti social di sindacati di categoria dove vi è libero spazio a congetture, insulti e sputi virtuali.
C’è chi applaude a questo scempio, chi lo fomenta, chi finge di non capire ciò che scrive, chi lo capisce benissimo, chi istituzionalizza questa tremenda gogna in forza delle proprie prerogative di rappresentanza, chi lo accosta alle conseguenze derivanti dalla partecipazione al fantomatico partito dell’antipolizia.
Ma Signor Prefetto, chi compone il fantomatico partito dell’antipolizia? Cosa è questa invenzione dialettica? Nessuno ancora lo comprende. È una sorta di appello al corporativismo, una chiamata alle armi? Siamo sicuri che questo misterioso neologismo non si sviluppi in ambiti più interni che esterni alla Polizia di Stato per opera di chi di questa Istituzione in realtà non abbia compreso nè lo spirito nè la missione?
Viene il dubbio che forse l’ideatore di tale espressione, l’attività di Polizia in realtà non l’abbia mai praticata o forse l’abbia esercitata molto poco, apprendendone della sua esistenza così come del sacrificio di tanti agenti onesti attraverso racconti, quindi de relato.
È singolare vivere le esperienze di altri e raccontarle. Certo viverle è altra cosa, ne converrà.
Le chiedo ancora: Ma non sarà che il partito dell’antipolizia vada ricercato nella Polizia stessa piuttosto che all’esterno?
Voglio portare alla Sua attenzione un fatto emblematico.
Sulla pagina Facebook del Segretario Generale del SAP Stefano Paoloni, un poliziotto, sono comparsi qualche giorno orsono alcuni commenti estremamente dirompenti e offensivi sulla mia persona e sui miei familiari.
Uno dei tanti, postato da un insospettabile medico di Ferrara, conteneva le seguenti espressioni: «Questa è una mitomane pronta a tutto… la morte di suo fratello si è rivelata essere una gallina dalle uova d’oro per lei e per la sua famiglia».
Alla mia conseguente azione di tutela, è seguita la reazione a mezzo stampa del poliziotto Stefano Paoloni che ritengo debba essere sottoposta al Suo vaglio per comprendere se tale condotta risponda ancora alla deontologia, ai regolamenti, al decoro cui ha l’obbligo di attenersi un agente di polizia o se invece sfugga integralmente alle regole sancite dall’Amministrazione della Pubblica Sicurezza .
Perché a quelle del buon senso e della sensibilità umana parrebbero essere del tutto estranee, come asserisce tanta gente comune che non può credere che simili commenti possano essere stati prodotti da un poliziotto in servizio.
Paoloni, poliziotto, presumibilmente non ancora svincolato da tali obblighi professionali, dichiarava a mezzo stampa sul quotidiano La Nuova Ferrara :«L’insulto è da ripudiare e condannare, ma nel caso del dottor Buraschi, riteniamo sia nell’ambito del sacrosanto diritto della libertà di pensiero che non deve necessariamente essere lo stesso della signora Cucchi, per non essere condannato».
Esisterebbero quindi insulti da ripudiare ma non tutti poi, o meglio tutti, tranne quelli in questione che invece ricadrebbero nella libertà di espressione di un soggetto verso cui esprimere piena solidarietà dopo la querela ricevuta.
Pertanto, la solidarietà del Sindacato di Polizia, ergo, di una parte della polizia, attraverso una sorta di benedizione pubblica consacrerebbe un insulto verso la mia persona ed i miei congiunti , in un atto liberale di pensiero.
E ancora: “……E Paoloni difende il suo amico virtuale, che sembra conoscere anche di persona, tanto che lo descrive come “una persona corretta, moralmente ed eticamente esemplare, un grande professionista, al quale va tutta la nostra solidarietà»”.
«Questi purtroppo sono gli effetti dell’azione mediatica – riflette il segretario del Sap - Rendere un processo mediatico, virtuale, espone sia a messaggi di stima che a messaggi di dissenso. L’insulto è da ripudiare e condannare, ma nel caso del dottor Buraschi, riteniamo sia nell’ambito del sacrosanto diritto della libertà di pensiero che non deve necessariamente essere lo stesso della signora Cucchi, per non essere condannato».
Dottor Gabrielli se la libertà di pensiero è un insulto anzi “un messaggio di dissenso” o “una libertà di pensiero” e se diventa legittimo esprimerlo ricevendo la solidarietà pubblica di un poliziotto (la cui qualifica permane e non può ritenersi coperta da forme di immunità sindacali) e di un sindacato, allora dobbiamo interrogarci sulla direzione dirompente di questo pensiero e sulla convinzione di impunità insita in un simile atto.
Sulle conseguenze inquietanti di tale messaggio, sul significato orrido divulgato da un uomo in divisa, mi permetta, più offensivo dell’insulto stesso.
Sul senso di tali parole auspico che la SV possa assumere le più ampie distanze pubbliche , per evitare di ingenerare il dubbio che da oggi in avanti, le offese proferite da chicchessia nei miei confronti possano trovare legittimazione e solidarietà attraverso simili assurde prese di posizione da parte di appartenenti alla Polizia di Stato.
Perché il poliziotto Paoloni intende comunicarci che ogni insulto concettualmente è da ripudiare in linea di principio ma non quello del caso di specie che invece rientrerebbe nella libertà di pensiero, anche perché proferito da un suo amico sulla sua pagina pubblica di sindacalista della Polizia di Stato.
Auspico vivamente che questa sia l’ennesima occasione per ribadire che chi svolge un ruolo sindacale nell’ambito della Polizia di Stato, non è immune dai doveri di pubblico ufficiale e non è neppure esente da provvedimenti disciplinari.
Non è mio compito indicarLe, non ne ha certo bisogno, la strada più consona da seguire per la Sua Amministrazione in questi casi. Ma di certo occorrerà tornare ancora una volta sull’annoso e dibattuto tema del cd. partito dell’antipolizia per aggiungerne qualche nuovo capitolo. Nella direzione giusta stavolta.
Con osservanza
https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=2434881213194743&id=169874873028733
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contoigiorni · 7 years ago
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Il signorino di casa è al lavoro e io gli preparo una cena sana dopo troppi giorni di stravizi. Taglio e congelo il pollo, faccio la spesa, le lavatrici e un po’ d’ordine in casa, perché quando si è confusi dentro è più difficile mettere a posto ciò che è fuori.
Qualcuno mi chiede come faccia a restare “amico” del mio ex. Ma il punto non è che lui sia un ex, ma una persona importante. Cosa significa?
Mi ha aiutato quando ero in difficoltà, quando neppure la mia famiglia lo faceva, troppo occupata a ripetermi cosa NON stessi facendo di utile per me stesso, secondo lei, anziché darmi una mano a trovare la mia strada. Mi ha dato un tetto quando i parenti mi hanno fatto sentire di troppo. Mi ha protetto senza stabilire se lo meritassi o meno, perché chi lo decide se uno se lo merita? E oggi è lui ad aver bisogno di aiuto, perciò gli restituisco il favore. È così che si fa, senza se, senza scuse per lavarsi le mani. Sarebbe facile raccogliere le opportunità dagli altri e poi, quando stanno male, girare i tacchi e rispondere “adesso te la cavi da solo perché è giusto che impari la lezione”. Vogliamo sempre che siano gli altri a imparare, ad ascoltare la nostra paternale da persone ormai risolte.
Spesso sono proprio i parenti a comportarsi così, e questo li differenzia dalle persone “importanti”, che credetemi, quasi mai coincidono.
Adesso è lui nel momento di debolezza, e io non me la sento di cogliere l’occasione per gongolare e dire “aha!, ben ti sta, te l’avevo detto, avevo ragione io, ora sei nei guai perché tu sei questo, questo e quest’altro!”. Fare la conta dei difetti, degli sbagli. Che senso ha? Chi ha il potere di stabilire cosa è giusto e sbagliato? Esistono le opinioni, non i fatti.
Anche questo è un errore che fanno i parenti. Confondere le due cose. E un parente molto stretto lo ha fatto con me pochi giorni fa.
Per me era tutto il mio mondo. Sono cresciuto cercando la sua approvazione, prendendolo come modello di perfezione, e spesso ha condizionato le mie scelte. Ho trasformato i miei sogni nei suoi perché volevo assomigliargli, provare l’ebrezza di sentirmi una persona a cui tutti dicono “che bello, che bravo, complimenti”. L’ho invidiato tanto, non ho paura di ammetterlo. Ma quell’invidia sana, credo la chiamino così. Quell’invidia che ti fa pensare “cazzo, tu hai qualcosa che io desidero, adesso mi impegno e ti raggiungo e ti dimostro che ne sono capace anche io”. Solo adesso realizzo che invece l’invidia di questo parente era diversa. Era del tipo “cazzo, hai qualcosa che desidero e non ho, spero tanto che tu la perda così saremo di nuovo pari”.
Mi volevi monco per sentirti migliore di me. Mi volevi debole per infliggermi le tue regole.
Sapete, è strano. Siamo legati al concetto di famiglia, di parentela, perché ci mette al mondo e ci educa a dire “sì”, ad avere rispetto. Più la famiglia ci maltratta, più siamo spinti a pregare la sua approvazione, che sia fiera di noi, che convalidi le nostre scelte. Perché? Be’, vogliamo sentirci al sicuro. Parte di un nucleo in cui tornare se tutto ci va male. Certi che facciamo bene, che siamo nel giusto. E chi meglio di una mamma, di un papà, di una sorella, che fin dalla nascita hanno stabilito cosa è giusto o sbagliato per noi? Stabilito cosa studiare, con chi fare amicizia, con chi scopare e chi amare, dove vivere, che lavoro preferire, se rischiare o meno.
In questi mesi sono cambiato molto, e devo tutto al fallimento. Fallendo, deprimendomi, perdendo me stesso e ogni singola certezza costruita negli anni, sono precipitato in un punto buio in cui il giudizio degli altri non arrivava, e per la prima volta in assoluto ho visto in faccia chi ero davvero, scampando da come mi vedevano e volevano gli altri. In quel punto buio, autentico e pieno di solitudine ho compiuto un gesto che ha rivoluzionato la mia esistenza: ho rischiato e affrontato la paura di perdere il legame più importante del mondo, quello familiare. Quello a cui avrei dovuto dare giustificazioni se fossi risalito in superficie.
Per tutta la vita ha condizionato le mie scelte, attuate per paura e non per amore. E mi sono fatto una domanda vitale: questo parente che mi tengo così stretto, che credo sia fondamentale per il mio futuro, in cosa mi fa bene?
Be’, pochi giorni fa mi ha detto che sono infantile, immaturo, che resterò da solo, che ho sbagliato a tornare al Sud, che scappo dalla verità e dalle difficoltà, che mi sono arreso, che è patetico passare le giornate a costruire fioriere e a coltivare pomodori, che dovrei vivere a Milano perché è il posto giusto per me, che non dovrei avere un rapporto col mio ex perché mi fa male. Ha criticato tutto ciò che faccio e sono. Lo ha detto con una ferocia disarmante, con prepotenza, con un ego smisurato, con l’intenzione di ferirmi e di influenzarmi, e a me non è suonato come un avvertimento, ma una minaccia. Ho capito che quelle parole esprimevano il desiderio autentico di convincermi che quelle cose fossero vere, che si avverassero. Questo parente pretende che io mi senta bambino, sbagliato, solo, fallito, nel posto meno adatto, per sentirsi migliore di me, di nuovo. Perché è facile usare le debolezze degli altri per aumentare la propria autostima. È un concime fertile, la bassa autostima dell’altro. Ma io di piante me ne intendo, e ti dico che quel concime fa produrre tante foglie per fare scena ma non garantisce frutti. E ciò che mi ha convinto della cosa è stata la sua battuta finale: “io ho la titolarità per dirti la verità perché sono la tua famiglia”. E sapete che cosa avevo dichiarato io, prima del suo monologo? Gli avevo detto semplicemente “non sono mai stato così sereno e felice in vita mia, nel vivere in campagna, nel coltivare pomodori, fuori dalla gabbia di chi deve fare solo e soltanto lo scrittore”. E chi meglio di me può sapere se sono felice?
Mi ha detto che mentivo.
È questo che fa la famiglia, dunque? Mettere in dubbio la tua felicità? Irradiare inquietudine? Minacciarti sapendo che hai appena superato un periodo di smarrimento? Frenarti? Stabilire cosa è giusto che tu faccia, cosa ti fa bene, con chi dovresti chiudere i ponti? No. La famiglia è ben altro. Non è fatta dal cognome identico, dal patrimonio genetico, dall’essere cresciuti insieme. La famiglia è dove puoi tornare senza essere giudicato. È chi non ti impone le sue aspettative, ma invoglia i tuoi sogni, qualunque essi siano. È chi non ti guida con lo spauracchio dello sbaglio, ma con il sostegno affinché tu vinca.
Famiglia è libertà, che è il contrario dell’oppressione. E allora caro parente, ti regalo queste ultime righe, che sono anche il mio ultimo pensiero a te, non meriterai altro: a conti fatti, non mi hai mai aiutato. Nè moralmente, nè economicamente. Anni fa mi hai augurato di sbattere la faccia sulla vita, perché è questo che serve per crescere, e ti ho creduto, ma oggi invece ti dico che è l’amore che permette di crescere. Io mi impegnerò molto a essere felice, e tu lo vedrai solo da lontano.
Ho vissuto tutta la mia esistenza nel terrore, nell’ansia, schivando i problemi e raddoppiandoli. Ho posticipato le gioie, le esperienze, ho saltato molte tappe. Sono stato solo. Sempre, fin da bambino. Non eri con me in quei momenti, non hai idea di come ci si senta, e oggi non puoi insegnarmi nulla. Il peggio che volevo evitare l’ho già subito, l’ho già affrontato. Pensi davvero che io adesso abbia paura di questo? Di restare solo? Io ho me stesso. Niente può più spaventarmi.
Lo so che mi odi, perché ti ho battuto anche in questo. Non sopporti vedermi libero. La famiglia non sopporta mai che i propri figli siano liberi, perché così perde i sensi di colpa con lui li tiene succubi. Mi dispiace. Non ci sono più briglie al mio collo. È giunta l’ora che tu capisca come coltivare i rapporti rinunciando alla paura, con cui minacci per tenere strette a te le persone. Perché è l’affetto l’unico collante che non si asciuga mai.
Ti auguro di capirlo. Anche se non è più un mio problema.
Liberiamoci di chi non è contento per noi. Degli stereotipi e delle convinzioni. Dei ruoli imposti. Del bisogno.
Credo che nelle decisioni belle e nella felicità siamo spesso da soli. È facile starci vicini nel dolore e nella malasorte. Essere felice per l’altro richiede una sincerità più impegnativa. Questo può sembrare molto triste e invece non lo è, anzi, è una consapevolezza fantastica. Vuol dire che gli unici artefici della nostra felicità siamo noi. Gli unici a sapere cosa ci fa bene siamo noi. Nessun altro. E allora scegliamo le persone “importanti”, non la famiglia a tutti costi. Scegliamo l’amore. Scegliamo la verità. Scegliamo i nostri sogni.
Pierpaolo Mandetta
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poetyca · 3 years ago
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Lo sguardo – The look – Jeanne de Salzmann
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Lo Sguardo Jeanne de Salzmann
Il pensiero oggettivo è lo sguardo dall’Alto. Uno sguardo libero, lo sguardo che vede. Senza questo sguardo posto su di me e che mi vede, la mia vita è la vita di un cieco che va dove lo spinge l’impulso senza sapere nè come nè perchè. Senza questo sguardo posato su di me non posso sapere che esisto. Io ho il potere di elevarmi al di sopra di me stesso e di vedermi liberamente, di essere visto. Posso far sì che il mio pensiero non sia asservito: per questo è necessario che si distacchi da tutte le associazioni che lo tengono prigioniero, passivo, occorre che tagli i fili che lo tengono legato a tutte queste immagini, a tutte queste fome; occorre che si liberi dall’attrazione costante del sentimento. Occorre che il pensiero senta il potere che ha di resistere a questa attrazione, di vederla mentre esso si eleva progressivamente al di sopra. In questo movimento il pensiero diviene attivo, si attiva purificandosi; acquista così uno scopo, uno scopo unico: pensare “Me”, realizzare “chi sono io”, entrare in questo mistero. Diversamente i pensieri non sono altro che oggetti, occasioni di schiavitù, reti nelle quali il pensiero reale perde il suo potere di oggettività e di attività volontaria. Offuscato da parole, immagini e forme che lo sollecitano, il pensiero perde la sua facoltà di vedere, perde il senso del Me. Allora non sono altro che un organismo alla deriva, un corpo privo di intelligenza. Senza sguardo sono costretto a tornare all’automatismo e alla legge dell’accidente. Questo sguardo allo stesso tempo mi colloca e mi libera. E nei miei migliori momenti di raccoglimento accedo ad uno stato nel quale mi è dato di conoscere, di sentire il beneficio di questo sguardo che discende su di me, che mi abbraccia. Mi sento sotto la luce, sotto lo splendore di questo sguardo. Ogni volta il primo passo è il riconoscimento di una mancanza; sento la necessità di un pensiero, la necessità di un pensiero libero rivolto verso di me, così che io possa prendere realmente coscienza della mia esistenza. Un pensiero attivo il cui unico scopo, l’unico oggetto è Me … ritrovare Me. Questa è la mia lotta: una lotta contro la passività del mio pensiero. Una lotta senza la quale nulla di più cosciente potrà trovare posto, nè potrà nascere. E’ una lotta per uscire dall’illusione del “me” nella quale vivo, per avvicinarmi a una visione più reale. Nel cuore di questa lotta un ordine, una gerarchia si crea nel caos: si rivelano due piani, due mondi. Finchè non esiste che un solo piano non può esserci visione. Il riconoscimento di un altro livello, questo è il risveglio del Pensiero. Senza questo sforzo, il pensiero ricade in un sonno popolato di parole, di immagini, di rigide nozioni, di un sapere approssimativo, di sogni, di agitazione. E’ il pensiero di un uomo senza intelligenza. E’ terribile rendersi conto improvvisamente di aver vissuto senza un pensiero proprio, indipendente, senza intelligenza, senza nulla che possa vedere ciò che è reale. Quindi senza legame col mondo dell’Alto. E’ nella mia essenza che raggiungo colui che vede. Se potessi restare lì, sarei alla sorgente di qualcosa di unico, di stabile, alla sorgente di ciò che non cambia. Questo testo del 23 luglio 1958 è stato estratto da un quaderno di Jeanne de Salzmann e pubblicato con l’autorizzazione del dottor Michel de Salzmann da George Ivanovitch Gurdjieff – Dossier H vol. I, pagg. 13-15 Edizioni Riza The Look Jeanne de Salzmann The objective thinking is the view from on high. A free look, the look that you see. Without this place look at me and see me, my life is the life of a blind man who goes where it pushes the impulse nor without knowing how or why. Without that look upon me I can not know that I exist. I have the power to rise above myself and see myself freely, to be seen. Can I make my mind is not enslaved: for this it is necessary to separate it from all the associations that hold it captive, passive, must cut the threads that keep him tied to all of these images, all these fome; must you are free to attraction constant feeling. It is important that the thought feel the power it has to resist this attraction, to see it as it rises progressively above. In this movement thought becomes active, it enables purified, thus acquires a purpose, a unique purpose: to think “I” realize “who am I”, enter into this mystery. Unlike the thoughts are nothing more than objects, opportunities for slavery, networks in which the real thought loses its power of objectivity and voluntary activity. Obscured by words, images and forms that solicit, thought loses its ability to see, loses the sense of Me Then there are more than a body adrift, a body without intelligence. Without eyes I’m forced to go back to the machine and the law of the accident. This look at the same time puts me and frees me. And in my best moments of recollection I sign in to a state in which I am given to understand, to feel the benefit of this look that comes down on me, hugs me. I am in the light, in the splendor of this look. Every time the first step is the recognition of a lack, I feel the need for thought, the need for free thought turned towards me, so I can really take consciousness of my existence. An active thought whose sole purpose, the only object is Me … find Me This is my struggle: a struggle against the passivity of my thoughts. A struggle without which nothing can be more conscious place, nor can be born. It ‘a struggle to exit the illusion of “me” in which I live, to get closer to a more real. In the heart of this struggle an order, a hierarchy is created in the chaos reveal two floors, two worlds. As long as there is only one plan can not be vision. The recognition of another level, this is the awakening of thought. Without this effort, the thought falls into a sleep filled with words, images, rigid notions of approximate knowledge, dreams, agitation. It ‘s the thought of a man without intelligence. It ‘terrible suddenly realize that they have lived without a thought of his own, independent, no intelligence, nothing that I can see what is real. So no link with the world of the High. E ‘in my essence I reach the seer. If I could stay there, I would be the source of something unique, stable, the source of what does not change. This text of 23 July 1958 has been extracted from a book of Jeanne de Salzmann and published with the permission of Dr. Michel de Salzmann by George Ivanovitch Gurdjieff – Dossier H vol. I, p. 13-15 Riza editions
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ricordipersinelvuoto · 7 years ago
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In questo momento vorrei solo piangere tutte le lacrime trattenute da mesi.
Sono appena tornata a casa, te ne sei andato un'ora fa su per giù. "Te ne sei andato" è il modo migliore per esprimersi, non pensi? Te ne andasti una volta, mesi e mesi fa, e poi non sei più voluto tornare. E mi hai fatto male, cazzo se mi hai fatto male. Io ci credetti sai, alle tue parole, ai tuoi "sei importante", "non ti lascerei mai". Ora, quel non ti lascerei mai vediamolo più come un "non ti abbandonerei mai", come un ti resterò accanto, sempre.
Qualche giorno dopo, te ne sei andato.
Sono tornata da poco e ho voglia solo di cancellarti dalla faccia della terra, dimenticare la tua esistenza, e non averti mai conosciuto.
Tu che per me continui ad essere tanto importante, e cazzo non lo sai mica che io a te continuo a tenere e mio malgrado continuerò a farlo perché sono fatta così, cazzo sono talmente persona di merda che guardami.
Tu che per me continui ad essere tanto, ed io che per te non sono assolutamente nulla. E va bene, va bene così, ma fa male.
Volevo solo essere apprezzata e non da qualsiasi persona ma da te, per qualcosa, qualsiasi cosa. E nei tuoi occhi ho visto il nulla, ho visto me riflessa nei tuoi occhi, null'altro. Ha fatto male. Sì, ha fatto male.
Volevo abbracciarti, forse, non ne sono neanche tanto sicura. Volevo toccarti, sfiorarti, cazzo volevo urlarti addosso non sapevo nemmeno io cosa. Ma sono stata in silenzio, perché avrei urlato addosso ad un sordo. Sono stata in silenzio, uno di quei silenzi che tu non hai mai voluto nè cercato di decifrare. Uno dei tanti. Sono stata in silenzio mentre tutto di me fremeva per uscire, per sbatterti in faccia la cazzo di realtà, e la realtà era che potevi risparmiartele le belle parole che poi si sono dileguate al vento, potevi risparmiarti le belle frasi, la tua gentilezza che non faceva altro che farmi innervosire di più. Il tuo trattarmi come fossi una persona qualunque, questa è la cosa che più di tutte mi destabilizza, che mi fa sentire inutile, priva di significato, come delle parole al vento, come quei silenzi che ancora aspettano te.
Io messa alla stregua di tante altre persone. Io che quasi avrei preferito mi togliessi il saluto, anziché la tua indifferenza. O tutto, o nulla. Il tutto non me lo potevi dare, avrei preferito il nulla. Il nulla più totale, zero assoluto, nessun saluto, nessuno sguardo, nessun pensiero, nessuna certezza, nulla di nulla. Eppure.
Mi mancavi, mi manchi, continuerai a mancarmi.
Non ti mancavo, non ti manco, non ti mancherò.
Va bene? No. Ma ormai sono abituata a farmi andare le cose bene. Anche la tua dedizione al rinnegare tutto, al dimenticare, allo scordare, al non sentire, all'indifferenza.
Mi aspettavo di mancarti? No. Cosa mi aspettavo allora? O meglio, in cosa speravo? Sicuramente non in un "non ho la testa per cercarti", come se volessi dire "non ho cuore, né spirito, per tenere a te".
Eravamo a quanto, 20 centimetri di distanza? Ed era un abisso.
Quell'abisso avrei voluto superarlo, sai? Ci avrei messo me stessa affinché diventasse una piccola buca: superabile. L'avrei fatto, me lo avessi permesso. O meglio, se solo l'avessi voluto.
Mi sono sentita una nullità davanti a te, nel senso di non essere nulla, se non una persona alla quale un tempo, per un brevissimo periodo, hai dato tutto e dopo quel tutto è scomparso, finito nell'oblio.
Mi sono sentita sola, non chiedermi il perché. Io, abituata a starci, io amante della solitudine, avanti a te mi sono sentita completamente persa e spaesata, come se davanti a te non riuscissi a riconoscermi: dov'ero, chi ero, cosa facevo lì, e perché?
Mi sono sentita come se d'un colpo il mondo mi fosse piombato di botto addosso, come se fino ad adesso avessi vissuto in un qualche sogno dal quale poi sono stata costretta a svegliarmi. Come quando fai un incubo, ti svegli, e ti accorgi che forse quell'incubo non era neanche tanto male, che la realtà è peggio.
Mi sono sentita vulnerabile, dopo mesi che questa sensazione mi ha abbandonato è ricomparsa. Per un breve istante, certo, non lascio che certe sensazioni mi distruggano, perché lo farebbero se lasciassi loro via libera.
Mi sono sentita insignificante, ecco. La parola che più descrive come tu sei capace di farmi sentire, volente o nolente, e che effettivamente rieccheggia anche nella tua testa. Insignificante, io disposta a darti tanto, a darti me. Semplicemente insignificante.
Incompatibili, io e te. O forse il problema è il cercare di compatire te, ma tu me? Com patire, con pathos, con sentimento. Quel sentimento di cui non c'è più alcuna traccia in te, nessuna, nemmeno una briciola, nemmeno un atomo.
Compatire non è un "tutto okay?", compatire è capire quando qualcosa non è okay. Quando stasera tu mi chiesi "tutto okay?", ti risposi di sì: non era tutto okay. Preoccupazione? No, assolutamente no. Semplice gentilezza, o semplicemente l'ennesimo tentativo di colmare i tanti momenti di silenzio. In qualsiasi caso: non ti importava se era tutto apposto o meno. Non è una domanda, non è un'insicurezza, non è nulla che un tuo "non è vero" cambierebbe, è certezza.
Uno dei miei tanti difetti è osservare, saper cogliere i dettagli. Lo chiamo difetto perché ciò ti porta a sentire le cose, le persone, i sentimenti, con maggiore intensità. Sono i dettagli che ho colto nei tuoi gesti, nelle tue parole, che mi portano a scrivere tutto ciò.
Ti ho osservato a lungo, per quasi due ore. Stessi occhi, sguardo diverso.
Chi avevi davanti? Lo chiedo a te, perché a questa precisa domanda non posso rispondere. Chi ero io attraverso i tuoi occhi? Una sconosciuta? Una conoscente? Qualcuno di cui poter fare a meno? Qualcuno di irrilevante? Chi ero stata, e chi sono?
Ti guardavo senza dire nulla, mi giravo a guardare il sole che tramontava senza dire nulla, guardavo gli altri senza dire nulla. E tu aspettavi, qualche mia parola, qualche mio gesto, aspettavi. E io che avevo tante cose da dire, ma tutto di te diceva che di quelle parole tu non ci avresti fatto nulla. E sono stata in silenzio a guardarti e a pensare che mi era mancato quel volto che probabilmente non rivedrò più dopo questa volta, se non per sbaglio, di sfuggita; a pensare che quel tramonto non ti avrebbe mai fatto ricordare me e il mio amore per loro, che poi chi è che non li ama; a pensare che c'era troppa gente intorno a noi per aprirti il cuore. Il mio cuore doveva rimanere in quel modo, chiuso, serrato, e lasciare che facesse male solo a me. Le sue turpitudini mi appartenevano, mi danneggiavano, mi laceravano, ma erano mie, mie e di nessun altro. Non avevo nulla da perdere, se non me.
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cartofolo · 7 years ago
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Dubbi  sull’aldilà
Ciao Cartofolo vorrei un tuo parere su alcuni miei dubbi,e cioè, che ne pensi di tutti questi messaggi o sedicenti tali dall altra dimensione? è possibile che sia tanto facile il contatto con i trapassai o non si tratti di altro? psichismo ,telepatia con alcuni viventi,oppure chi,in buona fede, crede di ricevere dei messaggi e magari sono suoi pensieri? Di solito noto che tali messaggi hanno un contenuto molto generico e sono quasi tutti uguali,parlano sempre di esseri di luce di Cristo ecc.ecc. puo trattarsi di uno psichismo collettivo oppure si può credere che ci sia qualcosa di vero?scusami,credo non sia facile dare una risposta ad un tema cosi generalizzato. Un alta cosa che vorrei chiederti è :perchè si dice sempre che l anima esce dal corpo quando questo muore? Ho letto che ogni corpo (in questo caso l astrale) "vive" sempre nell’omonimo piano perciò cosa è che fuoriesce al momento del trapasso?
Su queste argomentazioni si potrebbero scrivere interi libri. Per quanto riguada il fatto che l'anima esce dal corpo quando questo muore, è vero come punto di vista di chi agisce ed osserva ancora il piano materiale. Infatti, morendo il corpo, l'anima è libera di spaziare senza più il suo limite. In questo senso la consapevolezza dell'individuo, non dovendo fare più capo alle funzioni del cervelli fisico, agisce con il suo mentale e con il suo astrale, trascinando momentaneamente anche il corpo eterico. Quest'ultimo lo lega ancora a quella materia fisica che fa ancora parte della sua sfera di attenzione: osserva il suo corpo, l'ambiente, vede i propri cari piangere, e, nello stesso tempo, sente una libertà, una leggerezza e un benessere come mai aveva provati prima. In breve tempo questo individuo sente che si aprono nuove prospettive; allargando la sua consapevolezza scopre un ambiente straordinario che viene visto come un tunnel di luce o semplicemente come qualcosa che deve superare. Oltre c'è il mondo astrale. Proprio quel mondo che sviluppiamo con i nostri pensieri e le nostre emozioni, che sognamo e speriamo, che desideriamo e in cui sono contenuti tutti i nostri valori di bene e armonia. Perchè questo mondo, come giustamente hai letto, è già nostro, già lo stiamo percorrendo, solo che non ne siamo consapevoli, se non in alcuni rari sogni e in quella libertà di coscienza che raramente possiamo sperimentare. Per questo la morte, in realtà, è un allargamento di consapevolezza non di spazio; non si esce nè ci si sposta, ma si allarga il senso dell'essere alla nostra vera natura, senza più condizionamenti o vincoli, se non quelli della nostra apertura spirituale.
Per quanto riguarda lo Spiritismo con le sue canalizzazioni e sedute medianiche, avevo già scritto qualcosa perchè sono una materia delicatissima e niente affatto conosciuta. A parte le ingenuità e i fanatismi, propri di qualunque pensiero filosofico o spirituale, questi studi ed esperimenti, non sarebbero pericolosi di per se stessi, se non fosse per la suggestione che possono indurre nelle menti più deboli.
Per quello che è stata la mia esperienza, ho assistito a sedute in cui il medium comunicava con comandanti di astronavi intergalattiche, o con il proprio scaldabagno, o con virus e batteri. Ho visto persone che compilavano ossessivamente centinaia di pagine al giorno, altre che sentivano l'irrefrenabile bisogno di scrivere sul proprio braccio, o che parlavano con Dio (l'entità comunicante si faceva chiamare "Io sono colui che è"). Del contenuto di questi messaggi, non parlo, per pena. Inoltre molti, di questi presunti medium, si sentono investiti di "una missione" che dovrebbe cambiare le sorti dell'umanità, spesso in vista di una rivoluzione catastrofica, se non la fine del mondo, ormai prossima (?).
Ci sarebbe veramente da scoraggiarsi, se non fosse per quei rari casi, di personalità modeste, riservate, che non esaltano se stessi, ma riconoscono il mistero di una verità che può essere espressa solo se ci si fa "tramiti" di bene, e non protagonisti del bene altrui. Se si è pronti a sacrificare il proprio io, nell'annullarlo e permettere così, il rapporto con piani superiori di esistenza. Per fortuna esistono anche queste persone. Allora, si può parlare di medianità genuine o, come dici, di psichismo?
Credo che la scala delle possibilità medianiche sia molto ampia, e si sviluppi sempre sulla base di uno psichismo, da cui non si può prescindere. Perciò vi possono essere esaltazioni che sfociano in drammatizzazioni, di cui è convinto lo stesso soggetto, per passare a "ispirazioni", in cui il pensiero dello stesso, è alimentato da energie estraneee, fino ad arrivare a una vera e propria presenza che "sostituisce" la personalità del medium, anche, se, spesso, ne usa alcune caratteristiche.
A esclusione della prima, tutte queste sono medianità genuine, ma la loro affidabilità dipende da ciò che si vuole cogliere da quell'esperienza. Vanno tutte bene, se i nostri studi si fondano su una ricerca psicologica, antropologica o filosofica. Ma se la nostra ricerca è tesa a scoprire il mistero del rapporto con mondi più sottili di esistenza, allora non basta partecipare a qualche seduta, ma bisogna conoscere una serie di fattori che vanno dalla personalità e cultura del medium, alla dialettica usata, fino all'ambiente che forma e circonda quel gruppo medianico. Questo discorso vale ancora di più se si ha il desiderio di contattare un nostro caro trapassato. Per quella che è stata la mia esperienza, queste manifestazioni sono inversamente proporzionate all'affidabilità del medium. Strano, vero? Più ci si avvicina alle "grandi medianità", o semplicemente, più il fenomeno è comprovato da vari fattori, esaminati nel tempo, e meno viene esaudita la richiesta dei presenti, di avere un contatto con i propri cari.
Anticipo subito chi potrebbe pensare che, essendo i nostri cari, su piani intermedi di esistenza, sono più facilmente raggiungibili dalle medianità meno "evolute". Non penso che questo sia il problema, in quanto nel grande c'è il piccolo, e chi può aprire la propria mente a livelli superiori, con maggiore facilità, potrà contattate quelli intermedi. Purtroppo il fatto, secondo me, va inquadrato in una medianità ancora molto soggetta all'influenza dell'inconscio, per cui, sotto la pressione di una richiesta, è facile che l'inconscio produca una situazione per cui quella personalità si "crei", in modo più o meno conforme a quella desiderata dal richiedente. La sensibilità e sensitività del medium, poi, faranno da motore affinchè quella singola manifestazione possa avere quelle caratteristiche di prova che molti dichiarano. Allora, sono tutti dei falsi?
Direi che, in questo campo, non si possono dividere le cose con un taglio netto. Se è vero che i nostri cari ci sono sempre vicini, non possiamo escludere una loro presenza anche nel momento in cui vi sia un tramite che cerchi di contattarli. Il mio discorso era solo per mettere in guardia e ribadire che il vero rapporto con chi si ama, è più facile si possa instaurare in un movimento di pensiero intimo e personale, piuttosto che con una personalità estranea ad ambedue, anche se con caratteristiche "tecniche" più o meno preparate, ma anche con una propria personalità che potrebbe interferire pesantemente con qualunque messaggio che il nostro caro sta cercando di trasmettere. La medianità o "canalizzazione" è una grande opportunità per conoscersi e per conoscere. Però ha bisogno di maturità psicologica con capacità di giudizio e autocritica. Non deve e non può essere un modo di esaltare se stessi. Diversamente si ricade nella palude delle nostre necessità egoistiche, con tutte le fantasie che queste comportano. Scusa se sono apparso distruttivo...non lo volevo essere.
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claudiocisco · 5 years ago
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L A I L A 
 Un breve racconto
appassionato ed intenso
a tratti tenero e struggente.
Un ragazzino solitario ed introverso
una giovane donna disinibita e spigliata
mossi dallo stesso desiderio:
conoscersi a fondo e sperimentare nuove emozioni.
L’autore,
con umana comprensione
e senza mai scadere nella volgarità,
scruta, indaga, penetra l’animo umano
mette in luce sentimenti e debolezze
coglie e svela ogni pensiero
con finissima introspezione.
  Dicono che le storie d’amore tra persone di età differente, siano destinate a fallire in breve tempo e si presume non abbiano prospettive future di alcun tipo ma io, della mia Laila molto più grande di me, conservo ancora il ricordo, ed è il ricordo più bello di tutta la mia vita.
Tutte le ragazze o donne che ho immaginato di possedere o che ho avuto realmente nel corso della mia esistenza, messe insieme, perderebbero nettamente il confronto con lei, Laila, il mio sogno proibito, il mio desiderio peccaminoso, il diavolo vestito d’innocenza, la malizia più sfrontata che si sposa con la tenerezza
più disarmante; colei che detiene il potere ancestrale di unire in simbiosi inferno e paradiso, angeli e demoni, fiamme e virtù.
Dicono inoltre che i rapporti intimi consumati o vissuti in età troppo immature, possano segnare negativamente e per sempre un essere umano; ma io, solo grazie alla vicinanza del corpo di Laila, son diventato poi un artista creativo, una specie di “alieno”, un sensitivo, profondissimo nella sensibilità e nello spirito. La sua carica erotica, la sua potenza ammaliatrice meravigliosamente devastante, mi hanno reso vivo nel corpo e ancor più nella mente. Dietro l’apparenza d’una opprimente angoscia e della mia inguaribile solitudine, emerge prepotente un flusso inarrestabile di energia vitale, indomabile e che non conosce limite.
Avevo compiuto da poco quattordici anni quando lei senza preavviso prese possesso della mia vita come una spada affilata conficcata dentro la mia tenera carne, fragile rivestimento d’un corpo ancora impubere.
In quel tempo lontano, ricordo adesso che ero sempre triste, a dispetto della mia giovanissima età. Tremendamente malinconico ed introverso, solo e senza amici, possedevo però già da allora in me, l’embrione di quello che sarei diventato dopo, crescendo, e quel che è accaduto con Laila, non ha fatto altro che rendermi consapevole della mia vera natura, quasi come se il destino me l’avesse mandata apposta per affrettare i tempi di questa mia consapevolezza e per incitarmi a non reprimerla facendomi del male, annullando me stesso.
Non avevo avuto una ragazza fino a quel momento, non conoscevo ancora l’intensa emozione del primo bacio, gli elettrizzanti brividi che scaturiscono dal contatto con un corpo diverso dal mio che già avevo imparato a conoscere bene attraverso le mie continue ed intime carezze solitarie.
Uno strano ragazzo ero io, e forse in parte lo sono ancora, e chissà se è stato esclusivamente per questo motivo che il destino, beffardo, a volte crudele, altre ironico, si è premurato di far accadere gli eventi al momento giusto ed usando la persona adatta affinchè i suoi disegni trovassero realizzazione, ennesimo copione di uno strano ed incomprensibile teatro che è la vita, con i suoi attori mascherati che si muovono come marionette appese a fili ingarbugliati, senza identità e senz’anima, nel crudele gioco della vita e della morte, tra cause ed effetti, credendo di operare secondo il proprio libero arbitrio ma in realtà resi intelligentemente schiavi da qualcosa o qualcuno che nessuno conosce ed è in grado di definire. La mia deliziosa ed accattivante Laila non era altro che la figlia di questo destino e come tale doveva obbedirgli.
Ero seduto su una panchina di “villa Dante”, uno spazio di verde molto grande situato nei pressi del centro di Messina, la mia città. Potevano essere circa le 2 o forse le 3 del pomeriggio, non ricordo bene con esattezza ma era un orario nel quale a me piaceva e piace ancora molto, uscire per camminare un pò per le strade. Ricordo anche che era un giorno di primavera inoltrata con una temperatura abbastanza mite ed un’aria fresca, gradevole da essere respirata. Vi era il sole, il cielo si mostrava azzurro ed anche il verde del parco, l’ombra degli alberi col sottofondo del cinguettio degli uccellini sul nido, in armonia con la serenità della natura, sembravano richiamare alla vita e forse all’amore.
Mi trovavo in uno stato di assoluta calma, quasi irreale, assorto in enigmatici pensieri, con la testa tenuta fra le mani e lo sguardo assente rivolto fisso in giù verso il terreno, cosparso di foglie. A prima vista, a chiunque fosse passato per caso di lì in quel momento, potevo benissimo dare l’impressione di un ragazzino perdutamente solo con i suoi pensieri ed in preda alla disperazione e allo sconforto più cupo ed oscuro senza nessuna possibilità di salvezza, privo di qualunque via d’uscita. Quell’atteggiamento però, paradossalmente, significava interiormente per me, un modo di sentirmi che era esattamente l’opposto di quel che appariva; era per la mia psiche, sinonimo di rilassatezza mentale e fisica, serviva a tranquillizzarmi dentro, mi induceva alla meditazione, alla libertà creativa dei pensieri.
Fu esattamente in quello stato e proprio in quella posizione che mi vide Laila per la prima volta.
Non so spiegarmi ancora adesso il perchè si sia avvicinata a me non conoscendomi affatto e quali vere intenzioni o motivazioni l’avessero spinta a farlo nè se oscuri e complicati pensieri guidassero la sua mente. So però con certezza che lo fece, purtroppo o per fortuna, e che da quel momento, tutta la mia vita cambiò radicalmente e niente fu come prima: ero segnato ormai! L’uomo bambino che era già in me, è stato partorito proprio in quell’attimo ed ha visto per la prima volta la luce, per poi diventare , nel corso degli anni, quell’uomo “strano” e “misterioso” che è adesso e che sono certo, rimarrà tale fino alla fine dei suoi giorni.
Sentii, mentre continuavo ad essere immobile e pensieroso a testa in giù, una mano dolce, carezzevole, vellutata, quasi serica accarezzarmi i capelli, avvertii la tenera ed infantile rimembranza di quando, piccolissimo, mi trovavo impaurito fra le braccia amorevoli di mia madre. Quella mano leggera e direi magica che giocava spettinando e ricomponendo con cura la frangetta dei miei capelli, quasi come fosse il tocco di un angelo, si accompagnava poi ad una voce suadente e persino fiabesca, a tratti misteriosa, che contribuiva alla creazione di quell’insolito incantesimo. Rimasi con gli occhi socchiusi per imprimere nella mia mente e nel mio cuore quelle vibranti e intense sensazioni, del tutto inaspettate e mai provate prima, senza la volontà di alzare minimamente lo sguardo nel tentativo di scoprire la fonte di quel benessere, era come se avessi paura di svegliarmi rovinando quel bellissimo sogno, un sogno che però poteva anche cominciare nell’esatto momento in cui mi sarei risvegliato e forse si sarebbe rivelato ancora più bello.
Fu lei e soltanto lei però che interruppe quella magia sussurrandomi all’orecchio:
“Cosa c’è che non va?”—”Perchè sei così triste?”—”Hai l’aria di chi ce l’ha col mondo intero, vuoi parlarne con me?”
A quel punto, d’istinto, alzai immediatamente gli occhi indirizzandoli su lei, cambiando repentinamente posizione ed atteggiamento: mi trasformai infatti in un ragazzino curioso ed attento assolutamente determinato a risolvere il suo complicatissimo rebus mentre il mio sguardo, prima timido ed impaurito, ora, incrociando il suo, si mostrava forte e penetrante come se fossi io l’adulto e non lei.
Siamo rimasti entrambi così: occhi negli occhi, sguardi che si scrutavano in silenzio, menti che cercavano in tutti i modi di capirsi non conoscendosi ancora. E fu proprio nell’incertezza e nell’incomprensione di quegli attimi, che io capii dentro di me chiaramente che, più o meno consapevolmente, mi sarei consegnato completamente a lei, alla sua forza seduttrice, al suo malizioso ed intrigante gioco; avrei dato a quella misteriosa e sconosciuta ragazza, il mio corpo e la mia anima, accettando tutte le possibili conseguenze di una simile ed incondizionata resa, pronto a raccogliere poi tutto ciò che di bello o di tenebroso sarebbe potuto accadermi.
Come un sesto senso chiaro ed inconfondibile, capii che quella ragazza, molto più grande della mia età, mi avrebbe trasportato con se’ in posti inesplorati, sconosciuti, indefiniti, non compatibili con la ragione o con la morale ma, proprio per questo, attraenti e ricchi di fascino dove la libertà dell’istinto e delle sensazioni più intime dell’animo umano, non conoscono limiti, non sanno e non vogliono fermarsi davanti a niente.
Quello che ricordo ancora con meraviglia e tenerezza, è l’amore che io sentii subito per lei sin dal primo sguardo, proprio come un ragazzino alla sua prima “cotta”, mi innamorai perdutamente di Laila, nonostante l’enorme differenza d’età, nonostante non sapessi nulla di lei; ma la magia, e insieme la purezza genuina ed originaria di quel sentimento, non possono essere razionalizzati e giudicati per nessun motivo al mondo, perchè in tutto ciò che sa di magia, non può entrarvi il reale o la logica.
Ero fermamente convinto che quella ragazza già donna potesse essere e diventare il mio primo amore e quindi, conseguentemente, avrei avuto la possibilità di sperimentare e gustare le emozioni uniche del primo bacio, delle prime intimità, dei primi piaceri fino ad allora solo immaginati. Tutte queste meravigliose ed avvincenti scoperte per un ragazzino ancora totalmente inesperto in quel campo quale ero io allora, sentivo dovevano essere interamente affidate e subordinate alla sua persona, adattissima e meritevole ai miei occhi del ruolo che avrebbe dovuto adempiere; era quella sua straordinaria ed esplosiva figura di giovane donna a darmi questa certezza, e ancora, il suo essere così splendidamente ambigua, un pò angelo e un pò diavolo, dolce e glaciale, comprensiva e sfuggente, vicina eppur mille anni luce lontana: amica, sorella maggiore, amante.
Non fui in grado di rispondere con la voce a quelle sue prime domande che la facevano assomigliare più a una poliziotta che a una fidanzata, la mia volontà nel farlo era annientata dalla sua folgorante bellezza, rapita e vittima del suo misterioso fascino. I suoi occhi, intriganti, indagatori, riuscivano ad emanare ugualmente luce. Il suo corpo mi dava l’impressione di una potentissima calamita capace di attirarmi col suo campo magnetico fortemente a sè a tal punto da dover resistere con tutte le mie forze per non venire risucchiato da lei.
Mi chiedevo con una certa insistenza senza per altro trovare risposte adeguate, il motivo per il quale una ragazza così bella si potesse interessare ad un moccioso come me che in fondo puzzava ancora di latte considerando il fatto che dimostravo circa dodici anni e non ero affatto sviluppato da uomo; ero infatti molto più simile ad un bambino, esile e con i caratteri sessuali non ancora delineati, e per di più un ragazzino fino ad allora sempre solo e dimenticato da tutti che poteva passare tranquillamente sotto le gambe degli adulti senza essere notato. Per tutti questi motivi, per un attimo mi balenò nella mente confusa e disorientata, predisposta sin da allora ad essere preda della fantasia, l’ipotesi che lei non appartenesse al mondo reale e che fosse addirittura un fantasma o facesse parte di un sogno, come una creatura immortale e senza tempo, figlia di pura immaginazione. Ma era troppo vera, troppo seducente, troppo carnale per essere stata inventata da me. Continuavo quindi ad osservarla con una certa insistenza e notavo che lei non ne provava affatto imbarazzo ma anzi, al contrario, si sentiva fiera di se’, si divertiva ad essere scrutata in quel modo da un ragazzino, era esibizionista assai più di un pavone che mostra le sue grazie. Guardavo con attenzione e curiosità tutto di lei: i capelli lunghi fino alle spalle, ben pettinati, di colore nero intenso come se fossero stati appena tinti ad arte dal parrucchiere per spiccare ancora di più con quegli occhi celesti dentro i quali ci si poteva perdere tra cielo e mare senza mai più ritrovarsi, in un contrasto di bellezza e fascino da lasciar chiunque la osservasse, senza fiato e senza parole. Anche il suo fisico era perfetto, tale da far invidia alla più sexy delle modelle, era alta, parecchio più di me, con le forme giuste in ogni parte del corpo come se fossero state scolpite appositamente per essere adattate a lei, dal più grande scultore di tutti i tempi. E poi il suo profumo o il suo odore naturale, non saprei, sembravano un tutt’uno: era così irresistibile che anche il più pudico e puro dei maschi esistenti sulla terra, non avrebbe potuto resisterle, credo che nessun uomo vivo potesse rinunciare a lei.
Indossava una camicetta bianchissima come la sua carnagione, una gonna di jeans non troppo corta ed un paio di scarpe da ginnastica anch’esse bianche.
Un look tipicamente da teenager che ai miei occhi e non solo, aumentava di molto il suo potere seduttivo che possedeva comunque anche nei gesti e nel modo di fare. Ma sarebbe stata attraente ugualmente in qualunque modo si fosse vestita, anche da zingara o da barbona
e specialmente nuda.
Vedendo che io non parlavo affatto e che non avevo ancora risposto alle sue domande iniziali, mi chiese educatamente il permesso di sedersi sulla panchina al mio fianco, ed osservando il mio segno di assenso manifestato mimicamente col semplice abbassamento del capo, lo fece immediatamente, in fondo era quel che voleva pur di entrare in un rapporto di confidenza e di dialogo con me. Mi si sedette accanto tirandosi i lunghi capelli indietro con le mani, portando il petto in avanti, accavallando le gambe ed infine emettendo un breve ma intenso sospiro.
Non so cosa mi prese nella mente e nel corpo in quell’attimo ma di certo fu qualcosa di veramente incontrollabile e insieme sconvolgente: mi ritrovai col cuore che batteva fortissimo all’impazzata, peggio di un tamburo, sembrava volesse scoppiarmi in petto da un momento all’altro, ricordo che pensai subito ad un possibile infarto. Ma era solo uno sconvolgimento naturale, generale però che coinvolgeva, propagandosi a vista d’occhio, ogni parte del mio corpo. Un’eccitazione di gran lunga superiore alla masturbazione o alla visione di giornaletti pornografici o films a luce rossa, tutte sensazioni che avevo già sperimentato in passato. Questa volta si trattava di molto più di una semplice eccitazione, l’adrenalina era a mille, devastante, inebriante, il sangue correva veloce e pareva bollire nelle vene, il respiro diveniva sempre più affannoso, sembrava mi mancasse l’aria, un malessere totale e diffuso ovunque che paradossalmente, aveva i connotati del piacere, non capivo più la differenza fra lo stesso piacere e la sofferenza perchè in fondo si trattava anche di sofferenza, non fosse altro perchè tutto il mio corpo nella sua totalità stava reclamando ad altissima voce uno sbocco immediato, come se si trattasse di una questione di vita o di morte, uno sbocco che io non potevo e non sapevo dargli. In quegli attimi così unici e particolari, ho compreso il dramma dei cosiddetti “maniaci sessuali” o delle donne “ninfomani” e che in fondo, maniaci a causa del sesso, lo siamo un pò tutti se analizzassimo più obiettivamente e senza falsi pudori la nostra situazione di esseri carnali. La cosa tragica e comica al tempo stesso di quel periodo, consisteva nel fatto che dovevo cercare di nascondere tutto il mio sconvolgimento interiore a Laila pur avendola vicinissima. Ho messo una gamba sull’altra illudendomi ingenuamente di coprire la mia erezione ma nulla potei fare per celare il rossore che appariva nitidamente dipinto sulla mia faccia. In quel momento, la differenza d’età fra me e lei non contava più nulla, era disintegrata, regnava soltanto il mio giovanissimo corpo d’adolescente, esplosivo nei sensi per l’età ma soprattutto per natura, specie la mia natura già così predisposta a simili sollecitazioni e a picchi di altissimo livello.
Cercai di girarmi dall’altro lato guardando in tutte le direzioni possibili ed immaginabili pur di non incontrare il suo sguardo, ero ridicolo, commovente, tenero, con la assurda presunzione di nascondere ad una donna che stava proprio al mio fianco e molto più esperta di me, quello che nel corpo e nei miei pensieri provavo. Non avevo l’esperienza e la maturità di comprendere che ad una donna se sei furbo e sai recitare, puoi nasconderle tutto, tranne la reazione fisica che hai nel desiderarla.
Non so cosa passasse nella testa di Laila in quei momenti di evidente imbarazzo ed eccitazione per me, non mi posi neanche il problema perchè ero troppo preso da quel veleno dolce e logorante che mi scorreva nel sangue. Sicuramente però, nemmeno lei doveva essere tranquilla, non poteva affatto esserlo a meno che quella situazione riusciva ad analizzarla con occhi comici e non di disperazione, quest’ottica le avrebbe assicurato una relativa calma e un certo controllo anche su lei stessa. Forse, può anche darsi, che l’idea di avere accanto a lei fisicamente, fin quasi a sfiorarla, un ragazzino alle prime esperienze e forse del tutto vergine, la stimolasse emotivamente e sessualmente, scuotendola, ed io capii per la prima volta in vita mia che l’incontro tra due persone mentalmente libere e oserei dire “perverse”, riesce sempre a provocare una miscela di adrenalina esplosiva, condannata senza appello dalla morale e dalla chiesa ma incoraggiata senza limite dall’istinto.
Ho compreso anche il micidiale potere che ha su di me “il fascino del proibito”, una scoperta che è diventata “legge” per il resto della mia vita e che ha creato una dipendenza da esso che non sono riuscito ancora a vincere nonostante abbia fatto ogni sforzo possibile e ogni sorta di preghiera, continui disperati tentativi sempre inutili ed incapaci di debellare questo mio invisibile amico-nemico, evidentemente è talmente radicato nella mia psiche da essere più forte persino della mia stessa volontà: è un dramma tutto umano e carnale quando il male, individuato come tale, ha ancora presa su di te perchè reso immune dalla tua inclinazione naturale, è come un nemico che per una vita intera ha convissuto con te ingannandoti mentre tu con fiducia lo reputavi amico e che poi improvvisamente e quando meno te lo aspetti, scopri essere il più cattivo dei mali e tu, pur allontanandolo, non sei in grado di odiarlo come dovresti proprio perchè senti che una parte di te, più o meno consistente, morirebbe con lui se provassi a bruciarlo, purificandoti.
Ma se dovessi analizzare oggettivamente e basandomi soltanto su come mi apparisse all’esterno Laila, forse un pò superficialmente, a prima vista, l’impressione che mi darebbe sarebbe quella che lei avesse dentro, una assoluta tranquillità. Ero io, al contrario suo, ad essere un vulcano di idee confuse che si accavallavano nella mente l’una sull’altra, miriadi di domande puntualmente senza risposte, un’infinità di iniziative che morivano sul nascere senza alcuna realizzazione pratica; qualunque psicanalista avrebbe trovato terreno fertile e materiale in abbondanza per favorire i suoi studi, Laila ma soprattutto io, eravamo cavie da laboratorio davvero perfette.
Restammo quindi entrambi in silenzio, ciascuno aspettava che fosse l’altro a parlare ma nessuno di noi due si decise a farlo. Non riesco a quantificare col tempo la durata di quel silenzio, so solo che per me è sembrato non aver mai fine, un’eternità ma il tempo è relativo quando ti trovi in uno stato di tensione emotiva o di stress mentale quale era il mio.
Fu lei, la mia Laila, che riprese in mano la situazione e a condurre quello strano gioco, e forse è stato giusto così perchè era la più grande.
“Posso presentarmi, vuoi?— Io mi chiamo Laila ed ho ventisei anni!— E tu, tu come ti chiami?— Quanti anni hai?— Che classe frequenti a scuola?”
Io, del tutto rassicurato da quei suoi gesti sempre dolci, convincenti, garbati che denotavano educazione, rispetto, una grande attitudine in genere verso la socializzazione, la sentii subito amica e complice, ricominciai a trovarmi a mio agio, avevo fiducia in lei ed anche l’eccitazione sembrava essersi placata come per miracolo, tanto che mi venne naturale risponderle:
“Piacere! Il mio nome è Claudio ed ho quattordici anni compiuti da poco.— Sono in primo superiore”.
Ricordo che fui colpito da quel suo nome che sembrava più adatto ad un personaggio dei cartoni animati che a una ragazza, lo trovai alquanto buffo e strano ma non le dissi nulla per delicatezza.
Così anche lei potè sentire per la prima volta la mia voce.
“Sembri più piccolo”— mi disse ancora lei sorridendo e facendomi intuire che la cosa non le dispiacesse affatto.
“Sì, lo so!— Me lo dicono tutti!— Ma ho tempo per crescere” —fu la mia risposta, semplice e simpatica.
Quindi restammo nuovamente in silenzio per un altro pò di tempo, a volte stare zitti ha più valore di mille parole, accresce il mistero, crea poesia, serve a riflettere per non commettere errori o passi falsi che potrebbero pregiudicare tutto quello che di buono è stato costruito fino a quel punto.
Fu di nuovo lei a riprendere l’iniziativa formulando altre intriganti domande:
“Hai la ragazza?”
“No!”— le risposi deciso io.
“Come mai ?”— mi chiese di nuovo lei ancora più incuriosita.
“Non lo so neanch’io, non ho mai avuto una ragazza in tutta la mia vita, spero di trovarne qualcuna che mi voglia prima di diventare vecchio!”— le dissi un pò sfiduciato ma con sincerità.
Il fatto di scoprire che non ero mai stato con una coetanea e conseguentemente neppure con una donna e che quindi ero assolutamente vergine come terra di conquista da esplorare, la colpì profondamente.
Lo avvertii dal suo sguardo che si accese di colpo, una luce attraverso la quale captavo una morbosa curiosità di approfondire questa nostra amicizia che già sul nascere non era normale. Riuscivo altresì a comprendere che lei provava pure un intenso desiderio di conoscermi meglio, desiderio che sarebbe stato sicuramente legittimo e giustificabile se io ero un ragazzo di un’età simile alla sua ma che risulterebbe apparentemente incomprensibile per chiunque l’avesse analizzato in quel contesto.
Non capivo ancora bene quale fosse il suo folle proposito nei miei riguardi oppure lo sapevo perfettamente perchè ero un ragazzino molto sveglio ed intelligente malgrado l’età, forse inconsciamente mi piaceva rimanere nel dubbio, lasciarmi del tutto rapire da quell’alone di mistero che copriva ormai entrambi, per essere vittima ed insieme attore principale di questo strano ed insolito film. Desideravo poter scoprire la verità un poco alla volta per gustare meglio gli eventi, soprattutto quando si trattava di situazioni così stuzzicanti e coinvolgenti, capaci di avere presa su persone di qualsiasi età e quindi anche su un ragazzino di quattordici anni che ne dimostrava a malapena dodici.
Laila continuò poi a farmi altre domande semplici e scontate sulla mia famiglia, sui miei amici, sui miei passatempi, i miei gusti musicali, sulla scuola ma senza mai entrare in argomenti inerenti alla mia sfera intima specie nel campo sessuale, io rispondevo a tutte le domande, sempre e con la massima sincerità.
Dopo essersi assicurata che potevo tranquillamente rimanere fuori da casa almeno fino alle otto di sera, come un fulmine a ciel sereno, mi chiese improvvisamente senza indugi, frantumando quell’atmosfera di normale, sereno dialogo e servendosi di una voce divenuta di colpo adulta, determinata, risoluta :
“Vuoi venire a casa mia?”— Mi fai compagnia?— Non abito lontano da qui—Ho la macchina posteggiata vicino alla villa, una panda rossa.— Abito da sola in un appartamentino piccolo con due stanze, col mio fidanzato ci siamo lasciati per sempre, ora sono libera, libera come l’aria, anzi come l’aquila, hai mai visto le aquile volare, libere?”.
Mentre mi diceva questo, avvertivo in lei una certa eccitazione che similmente era presente anche in me, cercava di mostrare il più possibile sicurezza, mi dava invece l’impressione di essere alquanto spaventata come se temesse di essersi spinta oltre il limite fino a sconfinare là dove sarebbe stato difficile poi controllarsi, faccia a faccia con il volto inquietante del rischio.
Ma il desiderio crescente di ricevere al più presto una mia risposta, positiva o negativa che fosse, le riede di nuovo forza e coraggio annullando quel germe di pentimento che si stava affacciando in lei per riportarla alla ragione, quella della logica, non della carne.
Io mi sentii venir meno e il mio cuore riprese nuovamente ad accelerare il suo ritmo senza sosta, anche a quattordici anni si può desiderare una donna e la passione che si accende non si può indirizzare verso un’età specifica, la legge dei sensi va dove vuole e tu hai solo da scegliere: o la reprimi o la segui! Ed io, in bilico, posto esattamente al centro o per meglio dire sospeso tra queste due soluzioni, in un primo tempo non sapevo proprio che fare, come comportarmi.
Cercai in quel brevissimo tempo che Laila mi concedeva per rispondere, per quanto mi era possibile in quella situazione di totale confusione e smarrimento mentale, di riordinare in qualche modo le idee per poterle dare una risposta il più possibile coerente con la mia volontà, ma non può esistere una scelta libera dove vi è il richiamo dei sensi e per di più a soli quattordici anni. Di certo riuscivo a comprendere che la desideravo o più semplicemente ne ero fortemente attratto come forse anche lei inspiegabilmente lo era verso di me. Mi piaceva tutto di lei, la differenza d’età, per me, non era affatto un problema. Pensavo che se si fosse trattato di una mia coetanea, sarebbe stato sicuramente tutto più facile, naturale e meno complicato ma mi rendevo conto al tempo stesso che il desiderio non sarebbe stato così forte ed intenso, il solito e sempre presente “fascino del proibito” si diverte ogni volta ad uscire alla scoperto nei miei pensieri rivendicando il suo incontrastato potere su di me sin dall’età di quattordici anni e ancor prima. Il desiderio di voler andare fino in fondo a quella storia, la curiosità in parte fanciullesca di conoscere il finale, di aprire quel cassetto che tutti ti dicono sin da piccolo di tenere chiuso senza spiegarti il perchè, il timore di avere poi rimpianti per aver perso un’occasione mai più ripetibile e altri motivi simili messi insieme, mi spinsero in maniera decisa ad accettare il suo invito, del resto a quell’età gli ormoni sono in tempesta, non li puoi controllare e dominare, basta un nonnulla per farli esplodere, reprimerli ti fa stare peggio; è un pò come avere una Ferrari e non sapere come guidarla e a chi ti offre la possibilità di farti da istruttore di guida, chiunque esso sia, tu non puoi dire di no. E questo è esattamente che quello che ho fatto io, prendendo in esame il dato che avevo trovato una istruttrice di guida che era una vera “bomba” e conosceva bene il suo mestiere. Certo ci poteva essere il rischio di correre troppo e di essere vittima di un incidente stradale più o meno grave ma è sempre meglio correre che star fermi, e poi non è affatto detto che si investa, basta usare prudenza ed avere fortuna, quella è necessaria sempre in ogni campo della vita. Così la mia voglia di sentirmi già grande ha trionfato contro l’idea di restare chiuso nella bambagia e dissi un sì convinto a Laila.
Scaricare comunque tutta la responsabilità di quella mia scelta soltanto a lei in quanto adulta, sarebbe troppo semplicistico e sbagliato. Io ero assolutamente consapevole di voler andarci, nessuna forma di costrizione se non la sola forza della seduzione da parte sua ma ero totalmente libero di rifiutare. Ho detto sì perchè era bella e mi piaceva, questa è la verità e basta, non esistevano altre verità nascoste o pressioni subdole. Avevo già ben piantato nel mio DNA quel germe che oggi, in età adulta, mi fa continuare ad essere quello che sono, reclamando la totale libertà dei sensi, sbagliata o giusta che sia, diabolica o naturale non saprei.
Laila si rivelò entusiasta nell’udire la mia risposta positiva, neanche lei si aspettava una determinazione così radicata in un ragazzino di quattordici anni ma, evidentemente, il destino scopre le carte e ha il potere di far incontrare fra loro persone giuste al momento giusto.
Spruzzava felicità da tutti i pori ed ero felice anch’io per aver contribuito nel mio piccolo a renderla gioiosa, ma eravamo più belli entrambi, merito della forza misteriosa, pericolosa, dissacrante dell’eros ma pur sempre una forza, diamo a Cesare quel che è di Cesare.
La mia Laila non perse un solo attimo di tempo, si alzò di scatto dalla panchina con una strana luce negli occhi che a me pareva persino fosforescente e mi afferrò la mano con la sua invitandomi ad alzarmi, stringendomela così forte da incutermi un improvviso brivido di paura, ma fu solo un lampo, un brevissimo lampo, come il flash d’una macchina fotografica.
Lei camminava in fretta avanti, io la seguivo un paio di metri distante da dietro, come quel padre geloso che segue la propria figlia di nascosto e senza farsene accorgere, mimetizzato sotto il cappello e coperto dall’impermeabile, magari persino col giornale in mano, facendo finta di leggerlo e guardandola da dietro gli occhiali scuri.
Vidi la sua panda color rosso fuoco tipo le fiamme dell’inferno, era posteggiata poco distante da quella villa proprio come mi aveva detto lei in precedenza. Era un’auto pulita, ben tenuta tanto da sembrarmi appena uscita da un’officina per il lavaggio. Per un attimo credetti che se le era fatta lavare in vista del nostro incontro ma poi pensai subito che non era affatto possibile, a meno che non aveva il dono di predire il futuro, ormai dopo quello che di strano mi stava accadendo quel giorno, non escludevo più nessuna ipotesi, anche la più inverosimile.
Laila aprì lo sportello, quello situato accanto al posto di guida e con estrema gentilezza mi fece segno di entrare e di sedermi, io lo feci subito senza lasciarmi minimamente pregare, chiuse in fretta lo sportello, aprì l’altro e si sedette al volante e via più veloci della luce, si fa per dire perchè a Messina c’è sempre traffico in ogni ora del giorno. L’odore suo inebriante, due gambe splendide che non potevo fare a meno di notare con la coda dell’occhio mentre guidava, e poi ancora il seno perfetto che s’intravedeva dalla camicetta e che sembrava sollecitare la mia attenzione ad ogni suo movimento, i capelli che ondeggiavano al vento man mano che l’auto prendeva velocità quasi come una puledra in libertà nei campi, insomma tutto di lei stava cominciando a procurarmi un’altra violenta ed incontrollabile eccitazione, nessuna ragazzina della mia età mi aveva mai stimolato così tanto. No! Non si trattava di un sogno o di una semplice fantasia erotica dove sarebbe bastato svegliarsi dandosi un pizzicotto per ritornare alla normalità, no! Lei era vera, straordinariamente vera, in carne e ossa, molta più carne che ossa. Ricordo che per un attimo, pur di liberarmi col pensiero da quel dolce tormento, provai persino con l’immaginazione a trasformarla in una vecchia racchia piena di lentiggini, brufoli e cellulite ma fu uno sforzo vano perchè appena aprivo nuovamente gli occhi e vedevo lei, lei e soltanto lei, nessun’altra immagine o figura creata da me per contrastarla, riusciva a prendere il sopravvento su lei, la mia Laila eclissava tutto e regnava sovrana, fuori e dentro di me.
Per un attimo credetti persino di raggiungere l’orgasmo, lì sulla macchina, senza nessun contatto fisico con lei ma semplicemente avendola vicino; per non sporcarmi e rovinare tutto ancor prima di cominciare, cercai di distrarmi in tutti i modi possibili ma tutti i miei pensieri ormai si affollavano su lei.
D’un tratto, mentre guidava, mise la mano nella sua borsetta, tirò fuori un pacchetto di sigarette e mi pregò di prenderne una e metterla nella sua bocca visto che lei era impegnata nella guida. Cercai nella borsa l’accendino che doveva pur esserci da qualche parte, lo trovai finalmente, e appoggiai la sigaretta in quelle sue sue labbra morbide da baciare ma senza l’ombra di un rossetto, quel giorno era completamente senza trucco, acqua e sapone e forse fu meglio per me perche non avrei potuto resisterle se fosse stata truccata magari come una vamp o una prostituta o un’attrice di film porno. Immaginai per un attimo come potesse essere bella ed attraente se fosse stata truccata e fui colto da un altro ennesimo brivido di eccitazione, fortunatamente, questa volta di breve durata. Con le mani tremanti portai l’accendino vicino alle sue labbra e lei accese la sigaretta spostando leggermente la faccia in avanti e sorridendomi con un sorriso complice, come chi prometteva al più presto una ricompensa, riprese quindi a guardare la strada. Avrei voluto chiederle il motivo per il quale in quel giorno non fosse truccata e se amava farlo di solito ma poi un altro pensiero mi convinse a stare zitto, non capivo neanch’io il perchè.
Arrivammo finalmente a destinazione, avevamo impiegato circa una ventina di minuti. Abitava nella parte sud della città, nella zona di San Filippo dove vi sono gli impianti sportivi e lo stadio da poco costruito del Messina calcio.
Era un complesso con una serie di case poste a schiera con un ampio posteggio numerato per lasciare le auto ciascuna nel posto assegnato. Entrò con la macchina nello spazio a lei consentito e scese per prima dalla vettura, prese la borsa e chiuse a chiave lo sportello di guida. Io rimasi come paralizzato ad osservare il complesso di case, i posti auto, l’ambiente circostante, una strana sensazione di confusione mi si stava affacciando nella mente, troppo provata dai rapidi cambiamenti di quel giorno e quindi non più tanto lucida.
“Sveglia “—mi disse scuotendomi da quell’inaspettato torpore e mi fece cenno di scendere dall’auto, chiuse a chiave anche l’altro sportello e si incamminò senza troppa fretta verso casa, io come un automa o meglio ancora come un barboncino fedele, la seguivo poco distante da lei. Laila appariva calma, serena, per nulla turbata da quel che poteva avvenire tra di noi nell’intimità di casa sua e a tutte le possibili incontrollabili conseguenze che sarebbero potute derivarne, vista soprattutto la mia giovanissima età. Era come se ormai avesse la certezza di tenere tutto sotto controllo e mi avesse tranquillamente in pugno, del resto era la verità, qualunque cosa avesse voluto da me, l’avrebbe ottenuta con estrema facilità, io gliel’avrei concessa, docilmente e senza condizione alcuna; era un divertimento anche per me, non solo per lei, non v’era l’ombra del sacrificio, eravamo responsabili e complici allo stesso livello malgrado una fosse maggiorenne e l’altro minorenne, ero ragazzino lo so, ma non ero affatto stupido nè handicappato ed anche se non l’avevo mai fatto e probabilmente non sapevo neanche come si facesse, sapevo benissimo quello che sarebbe potuto accadere e a cosa sarei eventualmente andato incontro. Fino ad allora l’avevo visto fare solo nei film hard ma una cosa è vederlo, un’altra è essere tu il protagonista assoluto, provare direttamente sulla tua pelle e con una donna a fianco quelle emozioni. Non solo, ma non avevo mai visto fino a quel giorno una donna vera nuda, neanche col binocolo.
In quel momento sentivo che era giusto quello che stavo per fare perchè nel mio cuore credevo d’amarla davvero e quindi mi sembrava un rapporto vero d’amore e non solo una relazione di sesso occasionale. Questa convinzione non mi faceva vedere nulla di sporco in tutto ciò ma anzi mi sembrava del tutto legittimo e naturale farlo con la persona che amavo. Oggi sono fermamente convinto che anche quando tra due individui ci sia apparentemente un rapporto di solo sesso, credo che esista sempre all’interno di esso, in profondità, un meccanismo, un’affinità, una sintonia mentale, un’attrazione reciproca che a mio giudizio non può prescindere dall’amore vero e proprio e che è necessariamente riconducibile ad esso, varia soltanto la forma d’espressione e l’intensità di questo sentimento. Spesso non si ha il coraggio di ammetterlo neanche a se stessi perchè è molto più comodo reprimerlo in nome di una libertà che in realtà non esiste affatto ma è solo illusoria.
Erano, quelle case che stavo osservando, tutte dello stesso colore, di uguale forma e della stessa altezza, tre piani, fra l’altro Messina è un città ad alto rischio sismico per cui la legge impone categoricamente di non superare i sei piani d’altezza. Penso comunque che all’interno di esse, quelle abitazioni si diversificassero fra loro per il numero di stanze. Laila, mi informò che abitava al secondo piano e che avremmo risparmiato le scale prendendo l’ascensore che trovammo già pronto per noi, come fosse nostro complice e non volesse farci perdere del tempo prezioso.
Entrammo in esso e in quei secondi che passammo lì dentro, io mi convincevo sempre di più di amarla. L’amore che credevo di sentire per Laila in quel momento e dentro quell’ascensore, era per me molto più importante di un possibile rapporto sessuale fine a se stesso, io quella ragazza ero desideroso di sposarla quando sarei diventato maggiorenne.
Arrivammo al secondo piano, mi spiegò che la casa era in affitto e che il cognome che vedevo nella targhetta della porta non era il suo ma della padrona di casa. Sapevo che si era lasciata da poco col suo fidanzato e che non l’amava più, l’averlo sentito direttamente dalla sua bocca quando eravamo seduti in quella villa, mi ha reso felice, non avevo più nessun rivale in amore, niente sofferenze per gelosia, lei poteva essere mia e soltanto mia. Avrei voluto chiederle informazioni circa la sua famiglia, se avesse ancora un padre o una madre o li avesse persi entrambi, se avesse fratelli o sorelle o fosse figlia unica, se lavorasse ed eventualmente dove ed altre notizie di questo genere ma preferii tacere per non sembrare invadente, comportandomi nell’identico modo di come avevo agito in macchina e cioè non chiedendole se amasse truccarsi. Mi bastava sapere che era una donna libera, senza figli e senza essere sposata e per di più con una casa tutta sua, sia pure in affitto, tutto l’opposto rispetto a me che vivevo ancora alle dipendenze dei miei genitori, sotto il loro tetto e che dovevo rientrare a casa ad un certa ora pena severe punizioni fatte a fin di bene, si fa per dire.
A prima vista, aprendo la porta, la casa appariva piccola ma ben tenuta, pulita, curata, ordinata, persino profumata, sembrava un vero gioiellino, si notava subito la mano esperta di una donna, l’ideale alcova d’amore per due piccioncini, io e lei in questo caso.
Si recò in cucina, io dietro come la sua ombra, il suo fantasma assecondandola in tutto ciò che faceva, la fiducia verso lei aveva raggiunto punte altissime, mi fidavo ormai ciecamente, la conoscevo solo da qualche ora ma mi sembrava di conoscerla da sempre. La consideravo ormai un’amica vera, una ragazza assolutamente normale, non scorgevo più nessun mistero nella sua personalità, nessuna forma di timore verso di lei, soltanto quel suo nome Laila, lo reputavo ancora alquanto curioso e particolare come quando me lo disse nella villa; ma di nomi strani, specie stranieri, ve ne erano in giro a dosi elevate quindi il suo non mi sorprendeva poi così tanto, e poi una persona originale come lei era giusto che portasse un nome non comune, mi convinsi di questo.
Laila aprì il frigo, prese una bottiglia d’acqua gelata, la versò in un bicchiere e la bevve tutta d’un fiato, evidentemente doveva avere un gran sete malgrado non ci fosse un caldo insopportabile ma forse era un altro tipo di sete la sua, chissà! Avrei voluto sconsigliarle di bere acqua gelata perchè avrebbe potuto farle male allo stomaco, io stesso non bevevo mai acqua dal frigo, ma ancora una volta preferii rimanere con la bocca chiusa per non contrariarla. Mi chiese se anch’io avessi sete e al mio “no grazie” non insistette più di tanto.
Poi tornò indietro e chiuse a chiave la porta d’ingresso che aveva lasciato aperta prima, forse perchè vinta dalla troppa sete. Fu quello il segnale della mia completa arresa a lei e alle sue voglie, accettai senza esitazioni e senza proferire parola alcuna, la sua ormai imminente seduzione.
Andò quindi decisa nella camera da letto spalancando la relativa porta che prima appariva socchiusa. Ricordo ancora adesso con un’emozione fortissima e con un brivido sulla pelle, quello che provai nel vedere per la prima volta quella stanza. Mi sembra di riviverlo oggi allo stesso modo di allora, con la stessa identica intensità! Certe sensazioni, nella vita, non si potranno mai dimenticare. Se avessi deciso di non seguire quella ragazza e di rimanere seduto da solo su quella panchina in quella villa, non avrei potuto rivivere quelle splendide emozioni e soprattutto non mi sarebbe stato possibile scrivere questa storia, che, ci crediate o no, è assolutamente reale.
Bellissima, appariva agli occhi miei, quella camera con quel lettino tenero e grazioso, il cuscino morbido che sembrava quello di una principessa, alcuni pupazzetti come fosse rimasta nel suo io ancora bambina. Tutto lì dentro sapeva di favola, di magia, suggestivi i colori, particolare l’arredamento, ogni cosa denotava fantasia e buon gusto, l’atmosfera era accomodante, idonea per qualsiasi rapporto intimo d’affetto o altro. Ma la parte più importante di ciò che mi ruotava intorno, era lei e soltanto lei, l’attrice principale, la mia sirenetta e forse regina, la donna del grande amore, per la quale vivere e morire, il concentrato di tutti i miei sogni e desideri, quelli più veri ed autentici ma anche anche i più segreti ed inconfessabili. Quella sua camera da letto, piccola e tutta raccolta in se’ stessa, era il palcoscenico ideale affinchè un ragazzino di quattordici anni potesse finalmente giocare a fare l’eroe. Forse qualunque altro uomo, indipendentemente dal condizionamento sociale o dalla propria morale, avrebbe pagato qualsiasi prezzo pur di trovarsi lì al posto mio, da solo con quella bellissima ragazza ma l’assurdo ed incomprensibile destino, forse per un colpo di fortuna o chissà per quale altro arcano mistero, ha voluto che ci fossi io, la persona forse meno indicata per coglierne il fascino, la poesia e l’intensità di quell’attimo. Può darsi invece che la tenerezza disarmante dei miei giovani anni, fosse l’ideale per conferire a quella particolare situazione una carica emozionale incommensurabile ed irripetibile.
La mia Laila, contrariamente ad ogni mia previsione, non si spogliò subito ma rimase completamente vestità ne’ tentò in alcun modo di denudare me. Ai miei occhi ragazzini però, appariva seducente e bellissima ugualmente, forse anche di più di come avrebbe potuto sembrarmi se fosse stata nuda, ricordo bene che non rimasi affatto deluso da quella sua decisione, io mi ero innamorato di lei nella sua interezza, nuda o vestita per me avrebbe avuto lo stesso significato. Il solo fatto di trovarmi lì nella sua camera da letto solo con lei, era per il mio cuore motivo di gioia ed insieme di latente e prematuro orgoglio di maschio.
Poi, improvvisamente, si sdraiò di colpo e a pancia in su, a peso morto sul letto, tenendo le braccia allargate e protese da ambedue i lati come in atto di chi è stata appena crocifissa, con la sola bocca leggermente aperta, lasciando intravedere una lingua bellissima e pulsante di vita come fosse un piccolo serpentello e lei stessa la mia Eva nell’Eden.
Mi fece cenno dolcemente di sdraiarmi sopra di lei, lo chiese con grazia, attraverso un gesto di totale rassicurazione ed insieme di conturbante complicità.
Dopo un attimo iniziale di smarrimento da parte mia, sentendomi gratificato dall’interessamento di una così bella donna verso di me che in fondo ero solo un ragazzino insignificante e privo di esperienza, capii che era mio dovere non deluderla e non darle un dispiacere e agii seguendo quello che mi aveva invitato a fare, lo feci con estrema naturalezza e senza per nulla sforzarmi.
Mi distesi quindi su lei e provai subito una situazione d’imbarazzo ed insieme di eccitazione, mai infatti nel corso della mia breve vita, neanche con la sola immaginazione, avevo preso in considerazione l’ipotesi di trovarmi realmente in una posizione simile, col mio corpo schiacciato sopra quello di una donna. Fu un’emozione intensissima per coinvolgimento emotivo e sconvolgimento dei sensi, intuii la capacità della potenza erotica che è in grado di sprigionarsi nel momento in cui si ha sotto il proprio corpo di maschio, quello di una donna. Anche se ci si sforza di cogliere principalmente il lato spirituale e sentimentale del rapporto che indubbiamente esiste anche, è la carnalità selvaggia ed animalesca che prepotente esce fuori e ne prende inevitabilmente il sopravvento e questo accade a qualunque età anche e in special modo a quattordici anni. Si dirà, forse per luogo comune, che in quel contesto una donna stava soggiogando e persino violentando un ragazzino incapace di comprendere e di difendersi ma io giuro che non mi sentivo affatto violentato o indifeso anzi, al contrario, la violenza l’avrei subita realmente se avessero tentato con forza di allontanarmi da lei e da quel posto, sarebbe come se provassero a svegliarmi di colpo interrompendo bruscamente un bellissimo sogno, facendomi ritornare tristemente nella mia solita, monotona e senza senso, realtà di ragazzino. Allora sì che sarei potuto rimanere segnato in negativo per tutto il resto della mia vita.
Ci guardammo per un bel pò di tempo fissi negli occhi sempre restando fermi in quella posizione e senza parlare. Mi sorpresi per la naturalezza mediante la quale riuscivo tranquillamente a sostenere il suo sguardo pur essendo così vicino a lei con i miei occhi che quasi toccavano i suoi. Lo trovai alquanto strano perchè la mia innata timidezza mi impediva spesso di fissare a lungo negli occhi qualunque interlocutore, specie una ragazza ma evidentemente con lei tutto era diverso, Laila era la donna della mia vita e con la sua presenza crollava ogni mia timidezza, era abbattuto l’incrollabile muro del tabù e delle inibizioni, mi sentivo perfettamente a mio agio. Non posso far altro che riconoscere con la mente adulta e più matura, si fa per dire, di adesso che il merito di quel mio stare bene è sicuramente da attribuire a lei. Quella ragazza era riuscita, secondo me senza trappole o schemi preordinati, ad acquistare la mia fiducia, e lo ha fatto con estrema naturalezza e spontaneità, semplicemente mostrandosi per quello che era, esprimendo liberamente ciò che voleva senza maschere di ipocrisia o doppi fini di convenienza. Lei mi ha dato una grande lezione di vita con stile e garbo, in questa società di oggi dove tutto è affare, convenienza od opportunismo e nessuno fa niente per niente.
Poi Laila mi sussurrò all’orecchio continuando a guardarmi dentro gli occhi:
“Fa’ di me quello che vuoi! Tutto quello che ti senti di fare, liberamente, lasciati andare ma non fare nulla di ciò che non vuoi, se preferisci puoi spogliarmi, accarezzarmi dove e come vuoi tu!”
E fu così che io, timido ed introverso ragazzino, da una condizione di schiavo di quella situazione come lo ero fino a pochi istanti prima, mi trasformai improvvisamente in assoluto padrone ed arbitro della situazione medesima.
Io che non avevo mai avuto nessun contatto fisico con l’altro sesso sino ad allora, ecco che mi ritrovavo tra le mani e tutto in una volta, il massimo che un ragazzino potesse avere e desiderare, scherzi del destino? Non lo sapevo neanch’io nè mi ponevo il problema, impegnato e preso com’ero da quei momenti indimenticabili che capitano una sola volta nella vita e mai più.
Come un bambino che trova in regalo dinanzi a se’ un’infinità di giocattoli uno più bello dell’altro e felice ed emozionato non sa quale usare per primo nei suoi giochi, così mi sentivo io che volevo ma non sapevo come fare per iniziare e con quale mossa cominciare.
Lei, sicuramente molto più esperta di me, sorprendentemente non prese la benchè minima iniziativa, restando del tutto passiva, attendendo ma non osando, pur desiderandomi almeno quanto io desideravo lei, se non di più.
Forse la mia età troppo giovane la induceva ad avere prudenza e a comportarsi in quel modo o forse era solo questione di rispetto, di educazione, di altruismo, tutte doti che possedeva innati in lei, a farla reagire in quel modo.
Finalmente il mio istinto si lasciò guidare dal cuore e decise di compiere il gesto più dolce, tenero e commovente che esista al mondo, meraviglioso preludio di ogni rapporto d’amore: il bacio. L’amore autentico che credevo di sentire nei suoi confronti, la voglia di vincere a tutti i costi la paura di non sapere come baciare, il desiderio e la curiosità di provare a farlo per la prima volta e con la persona giusta che comprenda e non giudichi possibili miei immaturi sbagli nel compierlo, mi spinsero ad avvicinare le mie labbra alle sue.
Capii in quel momento che dovevo tirare fuori la lingua e strofinarla alla sua, proprio come avevo visto fare tante volte nei films d’amore e non solo, era indispensabile per sentire più vicina la persona che ami. Anche in questo caso trovo straordinario il fatto che Laila continuò a recitare il ruolo passivo di chi cercava solo di assecondare i miei desideri senza mai avere la pretesa di essere e fare la mia insegnante nonostante avesse tutte le qualità e le capacità per farlo, evidentemente il rispetto verso di me era incredibilmente illimitato.
Anche nel contatto delle lingue notavo che lei si limitava, anche se con moltissima passione e trasporto, a seguire i movimenti della mia lingua contro la sua, senza metterci nulla della sua arte amatoria che doveva avere, eccome! Sembrava una ragazzina, come se stesse provando anche lei la magia del primo bacio.
Oggi, ripensando a tutto questo, non posso che confermare la grande ammirazione che conservo sempre nel cuore per lei, una ragazza bella, libera, disinibita, educata, pulita, intelligente e con mille e mille altre qualità che avrebbero bisogno di parecchi fogli di carta per poterle elencare. Mi son chiesto spesso se con un uomo della sua età, si sarebbe comportata allo stesso modo, una domanda assillante alla quale non potrò mai dare una esatta risposta.
Quel mio primo bacio si rivelò lungo e appassionato come non mai, regalandomi sensazioni troppo intense per poterle anche solo descrivere a parole, non le si darebbe infatti giustizia, certe emozioni vanno vissute realmente in prima persona e basta, solo allora ci si può rendere conto della loro straordinaria intensità. Quello che più mi sorprese di quell’atto fu la capacità che esso possedeva nel coinvolgere in maniera totale ed elettrizzante ogni minuscola parte del mio corpo senza escluderne nessuna, ogni particella, ogni molecola, ogni atomo di me vibrava, partecipava a quell’iniziazione, a quel rito d’amore come il coro di un orchestra che cantava note di armonico piacere. E pensare che qualcuno chiama ancora “fornicazione” quell’attimo di intenso piacere che il nostro corpo attraverso la creazione della natura madre, ci vuol offrire; c’è tanto, troppo odio e sofferenza nel mondo, mi chiedo perchè condannare anche un atto d’amore o di sesso, è pur sempre un’emozione, dove sta il male? Perchè lo si deve trovare per forza e ovunque anche nell’unico posto dove non c’è.
La cosa curiosa e comica, consisteva nel fatto che il semplice baciarsi sia pur appassionato, alla “francese” come si definisce di solito, per me equivaleva ad un rapporto sessuale vero e proprio, era talmente intensa e dolcemente violenta l’emozione che provavo in tutto il mio essere che non potevo assolutamente concepire un’emozione ancora più forte tipo quella che scaturirebbe inevitabilmente da un rapporto sessuale completo. La mia mente infatti non era in grado di formulare, accettare o concepire anche la sola idea, il solo pensiero che potesse esistere un piacere più intenso di quello che stavo provando nel baciare Laila.
Sentivo il cuore esplodermi in petto, tutto il mio sangue rimescolarsi nelle vene, una tempesta erotica di gran lunga superiore al piacere provato in tutte le mie masturbazioni solitarie fatte in precedenza e messe tutte insieme. Dovevo esplodere, proprio come una bottiglia di spumante smossa furiosamente, non feci più alcuna resistenza nel tentativo di oppormi, non ero nelle capacità di poterlo fare pur volendolo, e raggiunsi, sempre baciandola, un orgasmo intensissimo e lunghissimo che sembrava non finire mai malgrado la mia giovane età, ma era davvero troppa la tensione accumulata in quel giorno. Lo raggiunsi accompagnandolo con un dolce lamento a metà tra un urlo e un sospiro e mi sentii subito bagnato nelle mie parti intime ma senza viverlo come un dramma o con sensi di colpa ma come una conseguensa del tutto naturale ed indispensabile.
Lei ovviamente si rese conto di tutto quel che mi stava capitando da subito e contribuiva con l’intensità del bacio ad indirizzare il mio dolce e vibrante cammino verso l’orgasmo, ruotando la sua lingua più velocemente in prossimità di esso, in perfetta sintonia con i movimenti della mia, staccando la sua bocca dalla mia bocca solo dopo che io, dopo aver raggiunto l’orgasmo e volontariamente, avevo smesso di baciarla.
Venni in questo modo, del tutto originale e prematuro ma non per questo meno bello e coinvolgente. Godetti senza nemmeno averla spogliata, senza neanche aver sfiorato il suo corpo con un solo dito e senza che mi facesse la benchè minima carezza, sembra tutto così finto ed incredibile analizzato con gli occhi di adesso!
Dopo aver raggiunto quell’estasi, istintivamente sentii forte il bisogno di restare sdraiato su di lei, con il capo chinato da un lato appoggiato tra i suoi seni e gli occhi chiusi, sentivo il bisogno di dormire, di rimanere più a lungo possibile in quel modo assaporando la quiete di quegli istanti successivi all’eccitazione. Anche questa volta, e non poteva essere altrimenti, lei pazientemente e con amore assecondò in pieno questo mio desiderio, facendo prevalere la mia volontà rispetto alla sua voglia erotica che era rimasta inappagata. Fino all’ultimo istante Laila mi dimostrò la sua grandezza interiore, la sua comprensione, la sua dolcezza.
Prima di chiudere gli occhi e di addormentarmi sul suo corpo inerme, trovai la forza per dirle soltanto queste semplici parole ma dettate dal profondo del mio cuore:
“Ti amo Laila! Vuoi sposarmi?”
Lei sorrise e dopo mi rispose:
“Sì, quando sarai più grande”.
Chiusi gli occhi felice e mi addormentai con la sua mano fra i capelli.
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