#mutevolezza della percezione
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Rotoforo review
Sono felice di condividere con voi una review del mio progetto “Rotoforo”, scritta da Steve Bisson del Paris College of Art e Chief Editor di Urbanautica Institute. “Rotoforo” rappresenta per me un viaggio tra paesaggi esterni e interiori, una riflessione sulla molteplicità del nostro sguardo e su come la fotografia possa diventare un mezzo per esplorare e interpretare il mondo in modi…
#esplorazione visiva#FOTOGRAFIA STENOPEICA#interpretazione del paesaggio#mutevolezza della percezione#osservazione intima#paesaggio esterno#paesaggio interiore#Paris College of Art#percezione#pinhole camera#progettualità fotografica#realtà amplificata#rotoforo#soggettività#Steve Bisson#Urbanautica Institute#visione distorta
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Come controaltare della realtà sociale, dove a nessuno è concesso di essere se stesso perché ciascuno deve essere come l’apparato lo vuole, l’amore diventa l’unico ricettacolo di senso rispetto a una vita considerata alienata, il luogo dell’individuazione, lo spazio per l’esercizio della propria libertà fino ai limiti dell’anarchia, perché là dove il diritto del sentimento è considerato assoluto e divinizzato come unica e autentica via per la realizzazione di sé, che cosa ci difende dalla natura del sentimento che ha come sue caratteristiche l’instabilità e la mutevolezza? Nulla. E perciò in amore costruzione e distruzione avvengono insieme, esaltazione e desolazione camminano affiancate, realizzazione di sé e perdita di sé hanno intimi confini.
Per questo diciamo che amore non è una cosa tranquilla, non è delicatezza, confidenza, conforto. Amore non è comprensione, condivisione, gentilezza, rispetto, passione che tocca l’anima o che contamina i corpi. Amore non è silenzio, domanda, risposta, suggello di fede eterna, lacerazione di intenzioni un tempo congiunte, tradimento di promesse mancate, naufragio di sogni svegliati. Amore è violazione dell’integrità degli individui, è toccare con mano i limiti dell’uomo. Se ti sei innamorato una volta, sai ormai distinguere la vita da ciò che è supporto biologico e sentimentalismo, sai ormai distinguere la vita dalla sopravvivenza. Sai che la sopravvivenza significa vita senza senso e sensibilità, una morte strisciante: mangi il pane e non ti tieni in piedi, bevi acqua e non ti disseti, tocchi le cose e non le senti al tatto, annusi il fiore e il suo profumo non arriva alla tua anima. Se però l’amato è accanto a te, tutto, improvvisamente, risorge, e la vita ti inonda con tale forza che ritieni il vaso di argilla della tua esistenza incapace a sostenerla. Tale piena della vita è l’eros. Non parlo di sentimentalismi e di slanci mistici, ma della vita, che solo allora diventa reale e tangibile, come se fossero cadute squame dai tuoi occhi e tutto, attorno a te, si manifestasse per la prima volta, ogni suono venisse udito per la prima volta, e il tatto fremesse di gioia alla prima percezione delle cose. Tale eros non è privilegio né dei virtuosi né dei saggi, è offerto a tutti, con pari possibilità. Ed è la sola pregustazione del Regno, il solo reale superamento della morte.
Umberto Galimberti
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La Luna Bambina a Torino
Fino al 10 settembre la suggestiva Manica del Mosca del Complesso della Cavallerizza di Torino grazie a Paratissima ospita La Luna Bambina, la mostra collettiva a cura di Francesca Canfora e Laura Tota che indaga temi attuali con un linguaggio rivolto ai più piccoli, ma allo stesso tempo capace di stupire l’immaginazione degli adulti. Se la Luna è un corpo celeste grande migliaia di chilometri, da lontano questo candido satellite sembra minuscolo e fragile, tanto da non riuscire a immaginarne le reali dimensioni e, a volte, pare di poterla catturare e mettere comodamente in tasca, come se fosse una biglia. A suscitare la stessa impressione sono i bambini, che sono piccoli, delicati e indifesi, ma portatori di energie, visioni, sogni e futuri grandiosi, spesso neanche lontanamente prevedibili se li guardiamo e li proteggiamo, spesso non si è consapevoli della loro capacità di leggere il presente e di immaginare il futuro. Così Luna e Bambini condividono una mutevolezza e una straordinaria grandezza che giocano spesso a nascondino con la reale percezione del tempo e dello spazio. Ed è una Luna Bambina, come quella che appare tra i versi e le filastrocche semiserie di Gianni Rodari, perché solo i più piccoli, che possiedono immaginazione, purezza e la capacità di immaginare e sperare l’impossibile sono gli unici a meritare un tale paragone. La mostra intende essere parte della luna, ma anche un po’ bambina, rivolgendosi con fantasia e meraviglia a un pubblico di giovanissimi per rivelare loro non solo l’incanto e lo stupore con cui l’arte contemporanea è capace di narrara la realtà e i sogni, ma anche, attraverso l’espediente artistico, evidenziare importanti temi attuali in modo ludico e leggero. Ecologia, giustizia sociale, inclusione, razzismo e sostenibilità sono alcuni degli argomenti che sono affrontati come in un gioco, in modo immediato e spontaneo. Lievi e a prima vista divertenti, ma cariche di contenuto educativo come in una filastrocca o una fiaba, le opere accompagneranno i più piccoli in un mondo dai colori arcobaleno in cui parlare però di cose da grandi utilizzando sempre il giusto linguaggio a loro più vicino. Tra gli scatti della mostra ci sono quelli del fotografo australiano Andrew Rovenko che nel 2020 ha travestito sua figlia da astronauta e l'ha fotografata all'aria aperta in modo che non perdesse la voglia di sognare La mostra si inserisce all'interno del progetto Spazio alle Arti in Cavallerizza, promosso da Fondazione Compagnia di San Paolo, grazie al quale la Cavallerizza Reale di Torino conferma la sua funzione di hub culturale e formativo. Read the full article
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In Biblioteca puoi scoprire autori e opere che non conoscevi o di cui avevi sentito parlare ma che ancora non avevi avuto modo di leggere. Ed è per questo che abbiamo deciso di dedicare un angolo alla scoperta di questi "tesori nascosti".
Oggi l'opera e l'autore prescelto sono: "Bello, elegante e con la fede al dito" di Andrea Vitali.
Personalmente, apprezzo Vitali come autore, mi colpisce quella sua prosa brillante e solo in apparenza "leggera" con cui intesse storie divertenti e inaspettate. Il romanzo in questione è ambientato alle sponde di un lago e, precisamente, il lago a cui si fa riferimento nelle pagine è quello di Como e la sua riva orientale:qui il protagonista (affascinante oculista milanese prossimo alla quarantina) si stabilisce, inizialmente per sporadiche sostituzioni di un collega, ma poi in via definitiva. "I personaggi e le situazioni raccontati in questo romanzo" - ci informa l'autore all'inizio della storia - "sono frutto di fantasia. I luoghi, invece, sono reali." E sono luoghi, aggiungo io, ricchi di fascino, scorci che ti catturano e nei quali senti di dover tornare, un paesaggio di una bellezza cangiante proprio come i riflessi lacustri. E a proposito del paesaggio e dell'abilità narrativa di Vitali nel raccontare le vicende (anche) attraverso la loro ambientazione, questa divertente riflessione di Daria Bignardi mi trova d'accordo: "[Andrea Vitali] Descrive così bene le brume lacustri che mentre leggevo mi è venuto il raffreddore". Ed io ne ho condiviso la stessa percezione: il lago di Como fa da sfondo alla storia e ne cambia (forse anche decide) le sorti. Alle sponde del lago il protagonista stabilisce il suo buen retiro, per accorgersi ben presto che solo in apparenza quel piccolo angolo di quiete assolve alla sua ricerca di una zona franca, riparata. Soltanto in superficie le rive lacustri offrono un soggiorno ameno, poiché, nel fondo, vi si annidano vecchi rancori, desideri, donne dallo sguardo magnetico, equivoci, illusioni e vendette. La volubilità dei sentimenti, la variabilità e la mutevolezza delle condizioni atmosferiche: nebbia che inghiotte, bruma mattutina, i colori foschi di certe giornate uggiose novembrine...Ma pure vi trovano posto i toni sereni dell'azzurro intenso del cielo riflesso nell'acqua. Fino a scoprire che tutto, anche una vita intera, può cambiare in pochissimo tempo.
Andrea Vitali (Bellano, 5 febbraio 1956) è nato e cresciuto a Bellano, sulla sponda orientale (quella "lecchese") del lago di Como, primo di sei fratelli. Dopo aver frequentato quello che lui stesso definisce «il severissimo liceo Manzoni» di Lecco, rinuncia alle sue inclinazioni verso il giornalismo e, per non deludere leaspirazioni paterne, si laurea in Medicina all'Università Statale di Milano nel 1982. Vive da sempre nel suo paese natale e nel 2014 abbandona la professione medica (svolta in qualità di medico di base per venticinque anni) per dedicarsi alla scrittura. Attività medica ripresa, però, recentemente per sostituire unmedico in quarantena a seguito della pandemia di COVID-19. In campo letterario esordisce nel 1990 con il romanzo breve “Il procuratore”, ispirato da vicende narrategli dal padre; sei anni dopo vince il Premio letterario «Piero Chiara» con “L'ombra di Marinetti”, ma il vero successo giunge nel 2003 con “Una finestra vistalago”: romanzo corale ricco di modi del linguaggio parlato, la cui narrazione copre ben cinquant'anni di vita paesana fino agli anni Settanta. L’universo narrativo di Vitali si colloca sulle sponde del lago da cui racconta e fa conoscere una provincia caratterizzata da personaggi comuni, semplici, ma al contempo simbolici ed esemplari.
Recensione a cura di Rita Pagliara.
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Lo split fra i Lunar Aurora e i Paysage d’Hiver è una collaborazione nata e finita subito nella leggenda. Si può dire che le due band appartengono a due facce della stessa medaglia, pur promuovendo un black metal diverso. Uscito nel 2004, queso split è diventato subito oro nelle mani di chi lo possiede e anche per chi lo ha rivenduto, tanto che la Cold Dimensions e la Kunsthall decidono oggi di ristamparlo in due bellissime versioni, la più golosa (stranamente) è in doppio CD, con librettone e diverse bonus track: nel caso dei Lunar Aurora troviamo i demo A Wandering Winterdream Beneath The Cold Moon e Auf Dunklen Schwingen, rispettivamente del 1995 e del 1996. I Paysage d’Hiver ci regalano due brani editati con tanto di outro.
Il brano dei Lunar Aurora è il più lungo della loro carriera, si posiziona dopo quel capolavoro di Elixir of Sorrow ed è interessante vedere come siano approdati ad un certo lo-fi, ad una scarnificazione del suono che era tipica dei Paysage d’Hiver ma che prende sostanzialmente una grandissima matrice, come ad entrambe le band: Filosofem. Se il disco dei Burzum possiede diversi strati sonori che emergono piano piano per via della rozzezza del suono (ed è un merito), i Lunar Aurora riescono ad implementare quegli strati sonori. Come le chitarre di Vikernes, “A haudiga fluag inizia a mostrarci dei riff pieni di riverbero e di eco che appaiono subito inconsistenti, intangibili. Poi questa intangibilità aumenta; appaiono i synth ma si ha sempre l’impressione di percepirne i fantasmi e le assenze piuttosto che il corpo. Aumenta la velocità dei riff, pare di sentire lontanissimo Aran che urla fra le distese ghiacciate e allora si ha l’impressione che questi layer sonori siano già setto o otto. Quando si sta raggiungendo la prima metà del brano allora ci rendiamo conto che c’è perfino la batteria, e sembra che ci sia sempre stata, anche quando all’inizio non si sentiva. La quantità di accenni di synth che vanno e vengono, il plettro che cammina piano piano fra una corda e l’altra della chitarra stordiscono l’ascoltatore avvolgendolo in una coperta di ghiaccio. Raramente si ha la consapevolezza di ascoltare una forma brutale di black metal; anche se in fondo la batteria è una tormenta furiosa, in primissimo piano, la ripetizione delle melodie (con tanto di chitarre acustiche) non fa altro che dipingere un infinito paesaggio notturno, coi rumori del vento dei corvi, ma immenso nella regolarità del nevicare, con un altissima impennata verso il mondo dei sogni, quando, allo scoccare del quattordicesimo minuto, si alzano in volo delle sezioni d’archi di altri tempi.
Se una certa contemplazione agrodolce della notte accadeva coi Lunar Aurora, coi compagni Paysage d’Hiver le atmosfere cambiano decisamente. Dopo intro minimali, dark-ambient, che dipingono bui e tenebrosi antri scavati nella roccia che si affacciano sulli paesaggi più gelidi e violenti della produzione. Chitarre zanzarose ma lunghissime, tamburi lontani ma martellanti e le urla altissime di Wintherr che lacerano puntualmente l’ascoltatore. Anche il mondo dei Paysage d’Hiver ha diversi punti in comune con Filosofem e con la sua particolarità di creare uno stile di black metal che sa molto di ambient, che è pieno di suoni ma ridotti all’osso. “Schwarzäs Isä” ha addirittura dei rimandi al black metal classico, dove si distingue in modo preciso la maniera di fare i riff e si ha la percezione ben visibile delle dita che poggiano sui tasti della chitarra. Ed è proprio in occasioni facili e semplici come questa che il brano acquisisce uno squilibrio armonico, fatto da un andamento quasi teatrale che intimidisce l’ascoltatore. Il brano si chiude nella violenta forza del doppio pedale.
La produzione gioca come sempre un ruolo fondamentale nel velare e disvelare una quantità di sonorità e di sensazioni che sono mutevoli e appartenenti alla stessa mutevolezza della natura.
#Lunar Aurora#Paysage d'Hiver#black metal#ambient#Austria#black#metal#raw#lo-fi#Cold Dimension#Kunsthall#2004#2020
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Star Wars: il mito dai mille volti - Intervista all'autore Andrea Guglielmino
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Star Wars: il mito dai mille volti - Intervista all'autore Andrea Guglielmino
Star Wars: il mito dai mille volti (un saggio di antropocinema) è il nuovo saggio scritto da Andrea Guglielmino, pubblicato dall’editore Golem Libri. E’ incentrato sull’immortale epopea di George Lucas; offre una rilettura alla saga come mito contemporaneo. Ripercorre le principali tappe attraverso cui tale mito è nato e si è andato definendo. L’autore ha trattato dei vari sequel, prequel, remake, spin-off, ecc. nello stesso modo in cui un antropologo o uno storico delle religioni tratterebbe le varianti di un mito folklorico di qualche popolazione antica. Inoltre, Contiene una prefazione è di Oscar Cosulich (giornalista per Il Mattino e L’Espresso, condirettore artistico del Future Film Festival e collaboratore di varie testate di settore).
Per scoprire meglio i contenuti dell’ultima fatica di Guglielmino, lo abbiamo contattato. L’autore si è reso disponibile per un’intervista. Qui sotto potete leggere tutte le sue interessanti risposte. Per acquistare il libro e per altre informazioni cliccate qui.
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Star Wars: il mito dai mille volti – Intervista ad Andrea Guglielmino
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1) Partiamo dal concetto di antropocinema. Puoi spiegare ai nostri lettori il suo significato? Il tuo libro, rispetto ad altri saggi, cosa offre di diverso nell’analisi del fenomeno Star Wars?
La definizione ‘Antropocinema‘ è un neologismo, unisce le due parole ‘antropologia’ e ‘cinema’ ed era il titolo del mio saggio precedente, pubblicato tre anni fa. Ha funzionato bene, era una parola misteriosa ma con un bel suono, che ha incuriosito i lettori. Il libro trattava le moderne saghe cinematografiche con lo stesso metodo con cui nelle discipline demo-etno-antropologiche e storico-religiose si studiano i miti antichi, ovvero mettendo a raffronto le varie versioni dello stesso mito per comprendere dove differiscono e, di conseguenza, aspetti fondamentali della società che quel mito lo produce. Raramente questo metodo è stato applicato al cinema, anche per una certa avversione accademica a sperimentare strade un po’ diverse dalle classiche tematiche tipiche di quell’ambito di studi, e meno che mai al cinema commerciale. D’altro canto, era comunque un lavoro pensato al di fuori di qualsiasi struttura universitaria, e dunque avevo fatto di tutto per renderlo scorrevole e piacevole anche per chi non aveva mai sentito parlare di antropologia fino ad allora, fornendo con l’analisi anche gli strumenti di base per poterla comprendere. Il successo è andato oltre ogni aspettativa, le copie sono presto esaurite ed il libro è stato ristampato più volte vincendo anche un premio prestigioso, il Domenico Meccoli Scriveredicinema edizione 2015. Naturale dunque voler proseguire il percorso, insieme all’editore Golem Libri, ma ci è sembrata un’idea più simpatica dare vita a uno spin-off (che in prospettiva potrebbe diventare il primo di una serie) più che a un vero e proprio seguito. Uno dei saggi di ‘Antropocinema’, quello conclusivo, era dedicato infatti proprio a Star Wars, ma avevo sempre lamentato di aver avuto poco spazio per una disamina completa di una saga così complessa, e inoltre la redazione del saggio era antecedente all’arrivo del materiale prodotto sotto l’egida Disney.
Aveva bisogno di un aggiornamento e così abbiamo pensato a un saggio monografico, più esile e di facile lettura, che offra agli appassionati della saga uno sguardo diverso su alcuni aspetti poco noti o poco notati, puntando soprattutto sulla continua tendenza della saga a riscriversi, rinnovarsi e rifondarsi in maniera quasi impercettibile, senza mai reboottare completamente, che è esattamente la caratteristica che hanno i miti tradizionali. Secondo una formula notissima consegnata dal grande studioso Angelo Brelich, infatti, il mito ha la funzione di ‘fondare’ quegli aspetti che la società produttrice del mito considera rilevanti. Ma per poter far questo, deve cambiare per potersi adattare ai vari momenti della Storia. Rispetto ad altri saggi, il mio offre una visione che mette al centro della trattazione il pubblico e la sua percezione, la sua influenza sullo sviluppo narrativo ed essenziale della serie e il suo rapporto con i creatori ‘ufficiali’, che si chiamino George Lucas o Disney. L’antropologia studia l’uomo e in questo caso, il ‘modello umano’ di riferimento è per me il fan di Star Wars.
2) Il tuo è uno studio indirizzato solo ai fan o ai patiti di questo genere? Fuori da questo contesto, a chi ti rivolgi?
Come nel caso di ‘Antropocinema’ ho cercato di mantenere la trattazione scorrevole e piacevole. Il mio scopo non è perdermi in paroloni ma permettere a chi non conosce questo genere di studi di approcciarli attraverso qualcosa di familiare e divertente come può essere la saga di Guerre Stellari. Quindi non c’è sicuramente bisogno di essere esperti antropologi per apprezzarlo – senza contare che, nella disamina delle varie versioni del mito, che includono non solo i film ma anche le iterazioni parallele come libri, fumetti e videogiochi – escono fuori un sacco di curiosità. Certo, immagino che ad interessarsi saranno soprattutto quelli che già conoscono e amano la saga e magari hanno voglia di rimettere in discussione la propria percezione e guardarla sotto un’altra luce, per questo non ho ritenuto opportuno perdere troppo tempo dietro alla narrazione delle trame dei film o a cose scontate come la precedenza cronologica degli episodi I, II, III realizzati in anni successivi rispetto agli episodi IV, V, VI. Questo è un libro che approfondisce andando ad analizzare il mito dietro al mito e la leggenda dietro la leggenda. Ma conoscere prima la saga, almeno nei suoi punti essenziali, è quantomeno consigliato.
3) Definisci Star Wars un “mito dai mille volti”. Vogliamo sapere il volto che preferisce Andrea Guglielmino, quello che considera imprescindibile per l’identità della saga di George Lucas.
Il titolo è un’idea dell’editore, che richiama volutamente ‘L’eroe dai mille volti’ di Joseph Campbell, più volte citato dallo stesso George Lucas come fonte di ispirazione. Devo dire che mi piace, è una citazione nobile e suona molto bene, ma il mio titolo era ‘il mito cangiante’, in relazione appunto al carattere di mutevolezza dei miti di cui parlavamo prima. Tornando alla domanda, mi verrebbe da rispondere ‘il volto di Jar Jar Binks’, giusto per fare un po’ di provocazione perché a me questo personaggio odiato da (quasi) tutti piace tantissimo, e lo stesso Lucas lo ha definito ‘La chiave di tutto’ in una leggendaria intervista. Ma scherzi a parte, non posso dire che ci sia un volto che ‘preferisco’, non quando faccio saggistica e non di ordine antropologico. In quel momento cerco di allontanarmi il più possibile dalla critica, ovvero dall’esternare agli altri quello che mi piace di più e quello che mi piace di meno, perché il mio punto di vista è irrilevante, a me interessa il punto di vista del pubblico, in quanto società produttrice di miti, quello del regista in parte (in quanto intermediario tra il pubblico e il mito, come se fosse un operatore sacrale che racconta antiche storie, ambientate tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana, intorno al grande focolare che è il cinema) e soprattutto il punto di vista del mito stesso. Perché il mito, nel suo delinearsi e riformarsi continuo, sceglie a volte delle strade autonome e ignote perfino a chi ha contribuito a scriverlo, e sono quelle che maggiormente mi affascinano. Non c’è meglio o peggio, è tutto utile a delineare questa visione, da Una nuova speranza a Gli ultimi Jedi, passando per l’universo espanso che ora è stato escluso dal canone – ma che ha comunque un valore di produzione culturale importante, come i vangeli apocrifi – ai videogiochi. Se invece vuoi sapere quali film mi piacciono di più, ma a questo rispondo da fan e non da studioso, allora non posso negare che la trilogia classica sia quella con cui sono cresciuto e che ho maggiormente amato, che mi ha incantato al punto da prendere per buoni come ‘atti di fede’ anche i cambiamenti applicati in corsa con qualche piccola ‘Forzatura’ da parte di Lucas (e non ho scritto Forzatura con la maiuscola a caso).
4) Come tutti i miti, anche Star Wars deve scontrarsi con la realtà. Secondo te, oggi chi è il più grande antagonista della saga di Guerre Stellari?
Ne ha diversi, ma Internet e i social network per come sono usati oggi sono un po’ nemici della magia del cinema in generale (e quindi anche di Star Wars). Il cinema è magia e dunque ha i suoi trucchi. Tutti i film ce li hanno, la bravura del regista sta a nasconderli bene. Con lo stile, il montaggio, l’epica o quello che vuoi. Ogni cosa va bene pur di conquistare la tua attenzione e la tua ‘sospensione dell’incredulità’. E sicuramente dieci o venti anni fa i registi erano più bravi a nascondere i fili. Però c’è pure da dire che era più facile nasconderli. Non c’era Facebook, non c’era Internet, nemmeno c’erano le VHS quando andavo al cinema io da piccolo, né avevo accanto il collega scafato o l’espertone pronto a sottolineare ogni falla possibile. Avevo mia madre o i miei amichetti, e basta. E tutto restava in quel mondo. Per rivedere il film dovevi aspettare un anno o più, col passaggio tv o (più in là) l’arrivo in home video. Al massimo potevi tornare un paio di volte in sala, ma nel frattempo la tua mente e la tua immaginazione avevano saldato tutto il resto, riempire i buchi, sistemare le incongruenze, sorvolare sui momenti meno riusciti, sull’inquadratura sballata, sulla battuta fuori luogo. Oggi non è così. Si vede il film una sola volta e già siamo in grado di farne un’analisi dettagliata, mettendo nero su bianco tutti i pro e i contro. Questo è un autentico attentato nei confronti della magia e del senso di coinvolgimento. Non voglio fare il vecchio, è così, e ci dobbiamo stare. Ma è innegabile che i nostri processi percettivi siano fortemente cambiati, e così i nostri parametri di giudizio. Oggi rivedo la trilogia classica – che ancora amo tantissimo, si intenda – e mi accorgo che Luke atterrra su Dagobah proprio a tre minuti da casa di Yoda. Su tutta la galassia. Che il suo allenamento dura mezzo pomeriggio, se andiamo ad analizzare l’incastro dei tempi con quello che succede parallelamente su Bespin. La principessa Leia non fa una piega quando davanti ai suoi occhi viene distrutto il suo pianeta natale. Luke dovrebbe restare nascosto dall’Impero e continua a usare il cognome Skywalker. E così via. Ma proprio di queste presunte ‘falle’ e della capacità del pubblico di riempirle ho fatto argomento di trattazione nel saggio, perché è in quel momento lì che il pubblico di Guerre Stellari diventa particolarmente interattivo e partecipa al processo di mitopoiesi quasi alla pari dei creatori, tanto che poi tante soluzioni e aggiustamenti che vengono dal pubblico vengono ripresi dalle fonti ufficiali (che si tratti dei film, dei fumetti, o dell’Holocron Continuity Database) e integrati ufficialmente nel Canones.
5) Come studioso di Star Wars, ci sono altri prodotti legati alla saga e diversi dai film (libri, fumetti, ecc…) che reputi indispensabili?
Nemmeno io li ho letti tutti, sono davvero una quantità sterminata, però conosco molto bene tutto l’Expanded Universe prima dell’avvento Disney e credo che la lettura almeno della trilogia di Thrawn non possa mancare nell’esperienza formativa di un appassionato. Inoltre è interessante vedere come alcuni elementi di tutto quello che è considerato fuori canone tornino a riproporsi in forma diversa, pensiamo ad esempio alla Jyn Erso di Rogue One che richiama chiaramente al personaggio di Jan Orse. Lo stesso Thrawn è stato recentemente reincluso nella continuity ufficiale. Sono questi corsi e ricorsi che permettono di trattare Star Wars come un vero e proprio mito. Per la mia trattazione, poi, è stata fondamentale la lettura del volume ‘Le Guerre Stellari’, ispirato alle primissime bozze di sceneggiatura di Lucas per quello che sarebbe diventato poi Una nuova speranza (che io chiamo ancora Guerre Stellari, essendo un ragazzo del ’76). Lì le figura di Anakin, Darth Vader, Luke e Obi Wan si fondono e si confondono, ed è interessante notare tutti i cambiamenti per capire da dove vengano certe istanze che hanno trovato poi concretezza nelle versioni finali. C’era una fase della sceneggiatura in cui Luke era una ragazza – per avvicinarsi alle istanze femministe di fine anni ’60, inizio ’70 – orfana e confinata su un pianeta desertico. Non ricorda forse la Rey de Il risveglio della Forza?
6) Hai altri sogni nel cassetto legati all’Universo di Star Wars?
Mi sono rassegnato all’idea che una trattazione definitiva su questo universo è impossibile. Questo libro si ferma a Gli ultimi Jedi, abbiamo voluto farlo uscire in concomitanza con l’arrivo di Solo: A Star Wars Story ma già l’anno prossimo – se non prima, considerando romanzi e fumetti – avrò materiale da inserire. Quindi molto probabilmente ci tornerò su, se abbastanza lettori troveranno questo lavoro interessante. Intanto mi aspetta un lungo anno di promozione, che è sempre un processo faticoso considerando che sono molto attivo su più fronti. Tra questi, c’è la mia attività di scrittore di fumetti (lavoro per la Bugs Comics) che sta molto crescendo negli ultimi mesi. Se vogliamo parlare di un sogno sogno (nel senso che non c’è assolutamente niente di concreto in ballo, è solo una cosa che mi piacerebbe) un fumetto ambientato nell’universo di Star Wars lo scriverei molto molto volentieri. Se dobbiamo sognare, facciamolo in grande. E che la Forza sia con voi!
Altre info sull’autore
BIOGRAFIA: Andrea Guglielmino si autodefinisce non scrittore ma ‘scrivente’. Spazia infatti dalla saggistica alla narrativa, dal giornalismo alla critica cinematografica passando per le vignette umoristiche, l’illustrazione per l’infanzia, la letteratura ‘breve’ e le sceneggiature per fumetti. E’ laureato in Filosofia con indirizzo antropologico e storico-religioso. I suoi precedenti saggi sono ‘Cannibali a confronto – L’uomo è ciò che mangia’ (Memori 2007) e ‘Antropocinema – La saga dell’uomo attraverso i film di genere’ (Golem Libri 2015), vincitore del premio Domenico Meccoli ScriverediCinema 2015. Lavora come vice Capo Servizio presso la redazione del portale di notizie cinematografiche ‘CinecittàNews’, daily ufficiale di Istituto Luce Cinecittà, e come redattore esperto presso la rivista ‘8 ½ – Numeri, visioni e prospettive del cinema italiano’. Come fumettista collabora regolarmente con le case editrici Bugs Comics (per le riviste ‘Mostri’, ‘Alieni’ e ‘Gangster’) e Noise Press (per ‘Dead Blood’). Nel 2014 ha illustrato il libro per bambini ‘Mastro Tasso e il suo cappello’, scritto da Ilaria Mainardi e edito da MdS. Dirige dallo stesso anno il sito di vignette umoristiche www.vendicazzariuniti.com. Il suo racconto ‘Maniaci seriali’ ha vinto il primo premio al concorso ‘Dipendenze’ indetto dalla casa editrice MdS nel 2017. Nello stesso anno ha pubblicato il libro di aforismi 2.0 ‘Chi si accontenta, Goldrake!’, per Edizioni Progetto Cultura. Nel 2018 pubblica lo spin-off di ‘Antropocinema’, sempre per Golem Libri, interamente dedicato all’universo di Guerre Stellari: ‘Star Wars – Il mito dai mille volti’.
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Con.divisione 2016
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Comisariado de la residencia para jóvenes artistas Con.divisione 2015 con sede en Mola di Bari (Italia).
ita
In residenza:
Leonardo Annibali, Ana Area Martínez, Vito Battista, Antonio Bolognino, Fabio Caccuri, Michele Ciccimarra, Giovanni Cristino, Alisia Cruciani, Bianca Maria Fasiolo, Rada Koželj, Tiziano Rossano Mainieri, Andrea Morsolin, Giuseppe Pascucci, Giuseppe Pansini, Antonio Pipolo, Ivo Pisanti e Maria Susca.
Logistica e supporto tecnico:
Tania Lavarra, Serena Montanaro e Camila Restrepo.
Grafica:
Ivo Pisanti.
Il progetto Con.divisione, ideato e prodotto da Fabio Caccuri nel 2012 con la collaborazione/aiuto logistica di Giuseppe Pascucci e affiancato nella curatela dalla residente Ana Area Martínez dal 2014, nasce dall'esigenza di avviare un discorso relativo all'arte contemporanea nel Comune di Mola di Bari e prevede l’attivazione di una residenza artistica estiva autogestita per giovani autori provenienti da diverse aree dell’Italia e dall'estero, i quali operano congiuntamente durante la prima metà del mese di agosto, interagendo con l’ambiente che li ospita e sviluppando una metodologia comune partendo dalle loro reciproche esperienze e attitudini personali, influenzandosi e trasformandosi attraverso il dialogo per produrrere un’idea condivisa attraverso vari media, dalla musica alle arti visive passando per la danza o il paesaggismo, tenendo viva l'etica del riciclo e riuso dei materiali di scarto.
Nella sua quinta edizione, la mostra muta in spettacolo e la produzione ottenuta durante i giorni in residenza si presenta in tre uniche serate performative che offriranno allo spettatore l’opportunità di avvicinarsi a mondi, storie e resti di ecosistemi inventati che sottolineano in maniera fantastica il contenitore, cioè il castello angioino, ma anche il paesaggio non urbano del territorio molese.
La formula scelta per Con.divisione 2016 fa sì che nei tre appuntamenti il coinvolgimento degli autori sia totale, cercando in alcune occasioni di interpellare direttamente il visitante. È questo il caso delle due performance svolte da Bianca Maria Fasiolo e Maria Susca dove il corpo diviene creatore di immagini, unità di misura per descrivere oggetti e canale di una comunicazione del tutto soggettiva tra individui di diversa età o sesso, evidenziando la gestualità e lo scambio inusuale di informazioni tramite il movimento e il tatto che sostituiscono la sola percezione visiva. Questo componente sinestetico si ripete nella live performance di Michele Ciccimarra e Antonio Pipolo, dove vista e udito interagiscono in parti uguali attraverso l’unione del gesto musicale e quello illuminotecnico in cui la luce evidenzia l’azione che produce il suono, ma anch’essa diventa attrice di un suono visivo.
Un’esperienza multisensoriale più intima è offerta dalla stanza disegnata da Giuseppe Pascucci, dove solo uno spettatore potrà entrare, diventando così unico fruitore e testimone dell’opera che rimarrà ignota al resto dei visitatori e sarà distrutta dopo essere stata attivata per la prima ed unica volta.
La stessa aura di mistero e curiosità sfiora l’intervento di Ivo Pisanti, che crea un ambiente sperimentale mediante la distorsione sonora di radio in disuso, e i sotteranei del castello, dove i suoni affascinanti, prodotti dalla vibrazione delle corde di una chitarra mosse dal vento nella costa molese e registrati da Tiziano Rossano Mainieri, fungono da cornice per altri due interventi dove lo spettatore viene catturato dalla visione dell’orizzonte in un invito alla contemplazione e alla riflessione. Da un lato, Alisia Cruciani presenta la linea di congiunzione tra mare e cielo come paesaggio immutabile nel tempo ma ancora attraente, sia per la sua bellezza che per l’impossibilità di raggiungerla. Così, attraverso la proiezione dei suoi scatti su una vecchia fotografia, gioca con la metamorfosi cromatica quotidiana dell’orizzonte marino molese; dall’altro lato, Antonio Bolognino cerca l’interazione col pubblico presente, attivando uno spazio avvolgente e riservato di conversazione, dove riflettere e condividere pensieri.
Nel cortile e nelle stanze adiacenti, le narrazioni scorrono tra un passato immaginato e un futuro incerto, portandoci in altre non realtà, svelando nuovi mondi attraverso l’invenzione di contesti storico-scientifici.
Seguendo questo filo conduttore, troviamo, nelle sculture create da Giovanni Cristino con materiali edili di scarto, le vestigia di una cultura ancestrale immaginata da Giuseppe Pansini.
Riflettendo sulla traccia che l’uomo lascia in maniera indelebile sulla natura e sulla possibilità evolutiva di una flora dell’avvenire, Giovanni Cristino e Andrea Morsolin creano, con scarti di sigarette, delle piante artificiali che fioriscono in un ecosistema ostile ma non necessariamente senza un valore estetico.
Seguendo questa metodologia scientifica, Antonio Pipolo e Camila Restrepo ricreano uno studiolo dove il visitante potrà osservare una catalogazione enciclopedica di ibridi creati con i resti di creature e piante che hanno abitato il territorio molese.
Nell’opera di Bianca Maria Fasiolo, la cura dell’archivio e l’estetica della catalogazione, si rivelano come scoperta e rivalutazione di piccoli dettagli ornamentali nelle costruzioni popolari dell’architettura molese. Il repertorio da lei creato si presenta sotto forma di atlante tipologico, traendo diretta ispiranzione da un manuale di arte decorativa del XIX sec. Gli scatti fotografici si accostano l’uno all’altro per analogia, concentrando l’attenzione sui piccoli difetti di fabbrica, i materiali umili e la scelta di specifici pattern impiegati per risolvere esigenze funzionali.
L’elemento ironico in queste finzioni viene usato da Giovanni Cristino, che dispone su di un tavolo un’ipotetico aperitivo immangiabile e da Vito Battista nella sua riflessione sulla figura del turista, abitante di una realtà altra, la vacanza, dove l’uomo riesce a essere spensierato e lontano dalla routine che lo incasella. Allo stesso tempo, grazie al canotto gonfiabile, la spensieratezza diventa libertà piena nel mare. Libertà che nell’installazione al castello si conquista anche in terra, grazie allo sviluppo di una serie di zampe bizarre, dalle influenze estetiche provenienti dall’animazione del primo novecento, permettendo al turista di vivere nella spensieratezza (per sempre).
Andrea Morsolin, riprende invece l’aspetto mistico nella sua ode alla macchia mediterranea, aree in continua mutevolezza, tracce di boschi di lecci dove il cambiamento dell’ecosistema, la presenza di disturbi naturali e l'aggressività dell’uomo provocano il deterioramento e la possibile scomparsa di un tipo di flora resistente e appena percepita nel paesaggio molese.
Nella sua installazione, Rada Koželj ricrea un ambiente liturgico e impenetrabile attraverso la costruzione di una torre in rovina dove nasconde un piccolo altare dedicato a una bambina immortalata nella sua prima comunione. Così, mettendo in gioco il passato, la tradizione ed il misticismo, ricrea uno scenario leggendario dove costringe lo spettatore ad abbassarsi per adottare il punto di vista della bambina e immedesimarsi in lei.
Per ultimo, il lavoro di Ana Area Martínez s’interroga sul valore dato dalla società alle produzioni culturali, facendo un esercizio critico dove si sottolineano le frizioni quotidiane e si riflette sulla precarietà inerente al settore culturale, attraverso l’esposizione di una ricerca documentale ricca di dati e testimonianze dirette, raccolte durante i giorni in residenza.
Testo a cura di Ana Area Martínez
Senso Segno, Maria Susca e Bianca Maria Fasiolo
SiporexeropiS, Giovanni Cristino
Inventarium, Antonio Pipolo e Camila Restrepo
http://antoniopipolo.com/
Inventarium, Antonio Pipolo e Camila Restrepo
Inventarium, Antonio Pipolo e Camila Restrepo
Inventarium, Antonio Pipolo e Camila Restrepo
Cos’e’ l’orizzonte, Alisia Cruciani
http://alisiacruciani.wixsite.com/alisiacruciani
Headphone Required Vol. 2 Michele Ciccimarra: musica Antonio Pipolo: visual
http://antoniopipolo.com/
Adorazione dell'infanta, Rada Koželj
http://radakozelj.altervista.org/
Adorazione dell'infanta, Rada Koželj
Ode alla Macchia, Andrea Morsolin
Interferenze d’onda, Ivo Pisanti
http://www.ivopisanti.com/
Cercati un lavoro vero, Ana Area Martínez es
Diagrama sobre la precariedad laboral en la cultura. Representación gráfica de entrevistas y debates creados entre los autores durante la residencia.
ita
Riflessione sulla precarietà lavorativa e sull’opinione sociale riguardo le produzioni culturali attraverso testimonianze dirette.
Agosto, 2016
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Realtà aumentata Google Tango nel visualizzatore 3D di Bmw
Auto virtuali visualizzabili a grandezza naturale ovunque. È quanto consente di ottenere Bmw Visualiser, app di realtà aumentata messa a punto per le autovetture della serie i di Bmw da Accenture utilizzando la tecnologia Tango di Google, già implementata sugli smartphone Phab 2 Pro di Lenovo e sugli ZenFone AR di Asus. Annunciata in occasione del recente CES di Las Vegas, la nuova app realizzata per essere conforme alle line guida di Bmw per l’interfaccia utente e pensata per aggiungere facilmente futuri modelli utilizzando file CAD 3-d, offre agli utenti un’esperienza immersiva per visualizzare in modalità virtuale foto realistiche e a grandezza naturale delle Bmw i3 e i8 con opzioni di personalizzazione per gli esterni e gli interni.
Tramite dispositivo mobile e l’app di Accenture gli utenti interessati possono visualizzare una Bmw serie i virtuale a grandezza naturale, girarle intorno, guardare internamente e decidere su una varietà di opzioni: dal modello al colore della vernice, fino alla tipologia di ruote preferita. Possono, inoltre, aprire le porte per visualizzare interni dettagliati e realistici ed entrare nell’abitacolo per cambiare i colori della tappezzeria e il cruscotto toccando lo schermo del dispositivo. È, persino, possibile ascoltare i programmi radio, accendere il motore e le luci dell’autovettura, come se ci si trovasse in auto davvero.
Rivoluzione nell’esperienza di acquisto delle auto Bmw
Bmw Visualiser App usa, infatti, diverse caratteristiche di Tango, quali la tecnologia sensoriale, il tracciamento del movimento, l’area learning e la percezione della profondità per generare una vera e propria interazione virtuale. In questo modo, indipendentemente dal luogo in cui si trova, dopo aver utilizzato l’app per configurare l’automobile ideale il cliente può salvare le preferenze sulle opzioni e inviarle al concessionario per poi effettuare ulteriori cambiamenti prima dell’acquisto finale. L’app consente, inoltre, all’utente di fotografare la schermata e di condividere la sua configurazione preferita con altri punti vendita Bmw, sui social media, via email o utilizzando QR code.
Interazione commerciale a un passo dalla realtà
Tra i primi a sostenere l’integrazione strategica di Tango nel processo di vendita della casa automobilistica tedesca per promuovere l’uso del digitale nell’ambito delle proprie attività commerciali, Accenture ha già annunciato che l’app realizzata sarà disponibile anche nel Google Play Store per consentire ai consumatori di scaricarla e configurare le auto dove e quando vogliono. In tal senso, lo strumento di Accenture abilitato dalla tecnologia Tango, sarà oggetto di numerosi progetti pilota presso diversi concessionari Bmw intenzionati a offrire rivoluzionarie modalità di scelta delle auto ai propri clienti, grazie a un processo più interattivo. La tecnologia Tango alla base della nuova app permette, infatti, ai dispositivi mobili di muoversi nel mondo fisico come si muove un essere umano e comporta, di fatto, un nuovo tipo di percezione dello spazio per i dispositivi Android abilitati alla tecnologia Google, in quanto aggiunge la visualizzazione avanzata al computer, l’elaborazione delle immagini e speciali sensori di visualizzazione. Un device mobile abilitato alla tecnologia Tango mappa, infatti, l’ambiente circostante a 360°, con il risultato che, quando si muove, il dispositivo stesso naviga e visualizza l’ambiente nella sua mutevolezza proprio come farebbe una persona. Poiché è visualizzata mediante il dispositivo, l’auto virtuale si muove in relazione al movimento dell’utente rendendo, di fatto, la realtà aumentata uno strumento dalle potenzialità enormi nella vendita al dettaglio. Non solo delle automobili.
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