#morti 27 luglio
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Sono passati 30 anni da quel 5 aprile del 1994, quando Kurt Cobain, leader del gruppo Nirvana, si suicidò con un fucile calibro 20 compratogli dall’amico Dylan Carlson, il frontman degli Earth.
Il corpo verrà ritrovato solo l’8 aprile dall’elettricista Gary Smith presso il garage della casa di Seattle sul lago Washington. "
Accanto al corpo, una scatola contenente droga, un cucchiaio, aghi, sigarette e un paio di occhiali da sole, così come hanno rivelato alcune immagini scattate dopo il ritrovamento del corpo e rese note alcuni giorni fa. Poco sangue, quasi nulla, e una lettera indirizzata alla moglie Courtney Love e alla figlia Frances Bean.
Il leader dei Nirvana, da molti considerato il vero padre del grunge, è morto come aveva vissuto, stordito dai farmaci e dalla droga, imprigionato - le parole sono le sue - nella paura di vivere e “avverso al genere umano”, a tal punto da non avere più “nessuna emozione”. “It’s better to burn out then to fade away (E’ meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente)”, scrive Cobain nel suo commiato, citando Neil Young (che oggi dice: “Se avessi avuto la possibilità di parlare con lui gli avrei detto di mollare tutto, di fare altre cose, di allontanarsi da quel mondo”).
L’inizio - letterale - della sua fine ha una data ben precisa. Due mesi prima del suicidio, il 3 marzo, in una suite dell’hotel Excelsior in via Veneto a Roma, Cobain andò in overdose. Con lui c’erano la moglie e la figlia, nella capitale per trascorrere qualche giorno di relax dopo l’ultimo concerto del tour europeo dei Nirvana, a Monaco. Già in quella occasione molti parlarono di tentato suicidio. Ricoverato al Policlinico Umberto I, Cobain fu poi trasferito all’American Hospital, prima di tornare negli States.
Le settimane successive furono un lungo preludio alla fine annunciata. Depressione, droga, molta droga, tranquillanti, e nessuna voglia di vedere la luce del sole. L’uomo simbolo del grunge aveva semplicemente scelto di morire. Da solo. Un altro nome nella macabra lista del ‘Club 27’, che allora contava, fra gli altri, anche Jim Morrison, Janis Joplin, Jimi Hendrix e Brian Jones, tutti geni della musica morti tragicamente a 27 anni. A loro, il 23 luglio 2011, si è unita anche Amy Winehouse.
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Palermo torna a pullulare di mafiosi responsabili di efferati omicidi, che sempre più spesso hanno accesso a benefici penitenziari pur non avendo mai aperto bocca sui loro pesanti trascorsi criminali. Nelle ultime settimane, a ottenere la semilibertà sono stati infatti lo ��strangolatore” dell’Acquasanta Raffaele Galatolo e lo spietato killer di mafia Paolo Alfano, mentre sono stati elargiti permessi premio allo storico reggente del mandamento di Santa Maria di Gesù, Ignazio Pullarà, nonché ad altri importanti mafiosi come Franco Bonura, Gaetano Savoca e Tommaso Lo Presti. Alla rimpatriata palermitana manca solo Giovanni Formoso, punito con l’ergastolo per aver caricato l’autobomba utilizzata nell’attentato di via Palestro a Milano, il 27 luglio 1993, che causò 5 morti. Anche lui ha ottenuto la semilibertà – è la prima volta per un boss mafioso condannato per strage e mai pentitosi –, ma, almeno per ora, ha il divieto di tornare in Sicilia.
Il caso di Giovanni Formoso è sicuramente quello più altisonante. Il boss è stato infatti condannato all’ergastolo tra gli esecutori materiali della strage di via Palestro, uno degli attentati che, nel 1993, insanguinarono l’Italia nella cornice di una “strategia eversiva” che vide Cosa Nostra in prima linea. Esplodendo nei pressi del Padiglione di Arte Contemporanea, l’autobomba causò la morte di cinque persone. Formoso era uomo dei fratelli Graviano, registi della stagione delle stragi del ’93, nonché organizzatori dell’attentato in via D’Amelio del 19 luglio 1992, in cui perse la vita il giudice Paolo Borsellino insieme ai membri della sua scorta. Anche Raffaele Galatolo, tornato a Palermo, è un profilo di peso: fu uno dei membri di spicco della nota “camera della morte” di Vicolo Pipitone, dove all’inizio degli anni Ottanta venivano uccisi i nemici mafiosi del capo di Cosa Nostra Totò Riina. Centro nevralgico delle attività di Cosa Nostra, il luogo – come emerso dalle testimonianze di molti pentiti – sarebbe stato il punto di incontro tra i mafiosi e vari esponenti dei servizi segreti, tra cui Bruno Contrada, Arnaldo La Barbera e Giovanni Aiello, alias “Faccia da Mostro”. Un altro nome autorevole tra quelli dei mafiosi che hanno ottenuto benefici penitenziari è quello di Ignazio Pullarà, che sarebbe il custode dei segreti sui legami tra l’ex senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri, Silvio Berlusconi e i boss di Cosa Nostra. Nella sentenza con cui la Corte d’Appello di Palermo condannò il braccio destro dell’ex premier per concorso esterno in associazione mafiosa, si legge infatti che Vittorio Mangano – il famoso “stalliere” della villa di Arcore, boss mafioso della famiglia di Porta Nuova – fra il 1988 e il 1989 aveva manifestato lamentele a un altro mafioso per il «comportamento, che aveva giudicato scorretto, tenuto nei suoi confronti da parte di Ignazio Pullarà, reggente della famiglia di Santa Maria di Gesù, che si era appropriato delle somme che erano state versate da Berlusconi e che Mangano riteneva spettassero a lui». Altro mafioso ergastolano che è potuto rientrare nel capoluogo siciliano è poi Paolo Alfano. Condannato a 17 anni di carcere al Maxiprocesso e successivamente all’ergastolo per due omicidi, era ritenuto da Falcone e Borsellino «uno dei killer più fidati e spietati della famiglia di corso dei Mille».
Questo scenario trae origine da un approccio giurisprudenziale molto più permissivo rispetto al passato per i mafiosi che non si pentono, segnato da dirimenti sentenze da parte della Corte Europea dei Diritti Umani e della Corte Costituzionale. Nel 2019, la Corte Europea dei Diritti Umani ha infatti affermato che l’Italia dovesse «riformare la legge sull’ergastolo ostativo, che impedisce al condannato di usufruire di benefici sulla pena se non collabora con la giustizia». Nello specifico, l’ergastolo ostativo – introdotto in seguito alle stragi di Capaci e Via D’Amelio – consiste in un particolare regime carcerario, delineato dall’art. 4 Bis dell’Ordinamento Penitenziario, che esclude dalla possibilità di godere dei benefici penitenziari coloro che hanno subito condanne all’ergastolo per reati particolarmente gravi, tra cui l’associazione mafiosa e il terrorismo. La Consulta si è subito adeguata alla pronuncia della CEDU, sancendo che anche i mafiosi possono accedere ai permessi premio «pure in assenza di collaborazione con la giustizia». Nonostante il decreto con cui il governo Meloni è intervenuto sulla materia abbia eretto dei paletti molto “stringenti” per la concessione dei benefici penitenziari, la strada è segnata: come dimostrano le cronache, infatti, il divieto di permessi premio e libertà condizionale per la mancata collaborazione con la giustizia non è più assoluto, dovendo invece i Tribunali di Sorveglianza valutare caso per caso. Per i mafiosi, dunque, collaborare con la giustizia è sempre meno conveniente.
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Il mio pensiero su quel 2 agosto del 1980 ha una sfera personale perchè io assieme ad altri tre amici all'epoca di tutti quindicenni tornammo dalla Germania il 27 luglio con l'Alpen Express lo stesso treno che pochi giorni dopo venne scagliato per aria come se fosse stato un giocattolo, quindi mi percorre sempre un filo di inquietudine e poi perché come sempre commemoriamo i morti ma gli autori di queste stragi sono in parte oramai fuori dal carcere da anni. Il mese scorso abbiamo ricordato la strage di Palermo dove il giudice Borsellino assieme alla sua scorta saltò per aria, facendo vacillare le istituzioni democratiche, impossibile da dimenticare la tensione domata a stento dagli uomini in divisa che portarono via a braccia il neo eletto capo dello stato Oscar Luigi Scalfaro al funerale nel Duomo di Palermo. L'uomo che materialmente spinse l'interruttore e fece saltare la macchina con il tritolo è fuori come "uomo" libero da oramai tre anni.
A Bologna invece...
Valerio Fioravanti è completamente libero.,
Francesca Mambro è libera con pena estinta,
Luigi Ciavardini dal 2000 è libero da tutte le accuse e non aveva "solo" la strage di Bologna ma altre condanne per omicidio e banda armata.
Ecco, ricordiamo gli 85 morti e gli oltre 200 feriti, ma ricordiamoci che per via di leggi strane questi terroristi sono liberi con gli stessi diritti miei e vostri, leggi che nessun governo ha mai abolito.
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Incidente sulla statale del Brennero, scontro tra auto e camion: due morti PESCANTINA (VERONA) - Due persone sono morte e una è rimasta ferita in un incidente avvenuto stamani, 27 luglio, alle ore 6.30 lungo la Strada statale 12 del Brennero, a Pescantina, in provincia di Verona. Le vittime sono un 25enne di Colognola ai Colli e una 45enne di San Pietro in Cariano. L'incidente Secondo quanto si è appreso, si è trattato di uno scontro fra un'automobile e un camion. Sul posto sono intervenuti gli operatori del Suem 118 con tre mezzi, assieme alla polizia Stradale e ai vigili del fuoco. La persona rimasta ferita è stata portata in codice verde all'Ospedale di Negrar di Valpolicella. Per le altre due non c'era nulla da fare, i sanitari hanno potuto solo constatarne la morte. Statale chiusa A causa dell'incidente la statale è stata temporaneamente chiusa in entrambe le direzioni di marcia. Sul posto sono presenti le squadre Anas e le forze dell'ordine per chiarire la dinamica del sinistro, per la gestione del traffico in piena sicurezza e per consentire il ripristino della regolare viabilità nel più breve tempo possibile.
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27 giu 2024 10:51
"SU USTICA MANCA LA VERITÀ, CHIEDIAMO COLLABORAZIONE AI PAESI AMICI” – IL MESSAGGIO DI SERGIO MATTARELLA PER L’ANNIVERSARIO DELLA STRAGE DEL DC9 ITAVIA: 44 ANNI FA, L’AEREO BOLOGNA-PALERMO FU ABBATTUTO E LE 81 PERSONE A BORDO RIMASERO UCCISE – I MISTERI E LE OMBRE SULLE RESPONSABILITÀ FRANCESI: DUE SETTIMANE DOPO I FATTI, SANDRO PERTINI AFFRONTÒ A MUSO DURO VALERY GISCARD D’ESTAING: “DOVREBBERO CHIEDERSI PERCHÉ MAI SIA STATA SCELTA L’ITALIA COME BERSAGLIO…” -
USTICA: MATTARELLA, MANCA LA VERITÀ,PAESI AMICI COLLABORINO +
(ANSA) - Nel cielo di Ustica, 44 anni or sono, si compì una strage di dimensioni immani. Rimasero uccise tutte le 81 persone a bordo del DC9 in volo da Bologna a Palermo. La Repubblica fu profondamente segnata da quella tragedia, che resta una ferita aperta anche perché una piena verità ancora manca e ciò contrasta con il bisogno di giustizia che alimenta la vita democratica".
Così il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione del 44/mo anniversario della strage di Ustica. "La Repubblica non si stancherà di continuare a cercare e chiedere collaborazione anche ai Paesi amici per ricomporre pienamente quel che avvenne".
LE OMBRE FRANCESI SUL CIELO DI USTICA: LA STRAGE 44 ANNI FA
Estratto dell’articolo di Daria Lucca e Paolo Miggiano per “il manifesto”
È il 12 luglio del 1980. Due settimane prima un Dc9 Itavia da Bologna a Palermo, con ottantun civili a bordo, è stato abbattuto nel cielo di Ustica. Pochi giorni più tardi, a metà luglio, un Mig-23 libico precipiterà sui monti della Sila. Tre settimane dopo, il 2 agosto, una bomba abbatterà l’intera ala sinistra della stazione di Bologna, causando ottantacinque morti e oltre duecento feriti.
Ma è ancora il 12 luglio 1980 e Sandro Pertini, presidente della Repubblica italiana è in vacanza sui monti di Entreves, in Val d’Aosta. Va a mangiare in un ristorante frequentato anche, tre volte l’anno, dal presidente francese Valéry Giscard D’Estaing. Pertini è attorniato dalla gente del posto, che ha paura e chiede se la minaccia di terrore e guerra finirà.
«Non sono qui per predire il futuro», risponde il presidente, ma prosegue: «Noi abbiamo il terrorismo e certi governanti stranieri che guardano con disdegno all’Italia… dovrebbero chiedersi perché mai sia stata scelta l’Italia come bersaglio… l’Italia è un ponte democratico che unisce l’Europa all’Africa e al Medio Oriente. Se, per dannata ipotesi, questo ponte democratico saltasse, ci sarebbero gravi conseguenze: lo sconvolgimento degli equilibri nel bacino del Mediterraneo e un pericolo per la pace mondiale».
Una donna lo incalza: «Vai avanti». E Pertini sbotta: «Se salta il ponte democratico rappresentato dall’Italia non se ne potranno rallegrare né la Francia, né la Germania, né l’Inghilterra. Parliamoci chiaro. E ditelo al signor Giscard D’Estaing».
COSA RIMPROVERA Pertini a Giscard? Solo l’ospitalità offerta ai terroristi rossi italiani fuggiti in Francia? Oppure anche qualcosa di storto successo, per colpa francese, sul cielo di Ustica, due settimane prima? Difficile saperlo.
La prima volta che la Francia viene tirata in ballo per la strage di Ustica è nell’immediatezza dei fatti. Una telefonata alla sede romana del Corriere della sera accredita Marco Affatigato come esponente dei Nar, i neofascisti dei Nuclei armati rivoluzionari, e lo racconta imbarcato sul volo Bologna – Palermo. […] il terrorista stesso si affretta, tramite la madre, a smentire. Lui è vivo e vegeto in Francia. E’ un depistaggio, non conta. Ma intanto l’attenzione immediata è diretta verso una bomba, i Nar sono accreditati come bombaroli e la prua geopolitica è diretta a nord ovest.
LA SECONDA VOLTA, la cosa è più seria. Il 17 dicembre 1980, il quotidiano britannico Evening Standard pubblica la notizia di «fonte romana» secondo cui il Dc9 Itavia è stato abbattuto per errore durante un’esercitazione da un missile lanciato da un aereo militare decollato da una portaerei francese: «Si pensa che il missile abbia agganciato per errore i motori del Dc9, che erano più potenti di quelli del radiobersaglio, il vero obiettivo»,
In realtà, la Francia era comparsa nella vicenda fin dalla sera stessa della strage, solo che magistrati e opinione pubblica dovranno attendere anni per venirlo a sapere. La stessa notte dell’incidente il capitano Giancarlo Trinca, secondo pilota del primo elicottero di soccorso aereo decollato da Ciampino, sente chiamare a più riprese in lingua inglese la Clemenceau, portaerei dei bleus, sulla frequenza di emergenza aerea internazionale, la 6715 della rete SiprNet.
Un torrente di comunicazioni che viene ascoltato anche al sottocentro soccorso di Ciampino, prima e dopo l’abbattimento del Dc9, dal sottufficiale Massimiliano Bozicevich. Parlavano così tanto che non riuscivamo a comunicare col nostro elicottero, testimonierà anni dopo Bozicevich ai magistrati.
Il torrente di parole in inglese avremmo potuto ascoltarlo anche noi. Degli otto registratori audio del centro di controllo del traffico aereo di Ciampino, uno è dedicato proprio alle comunicazioni terra-bordo-terra del soccorso. Ma il nastro del soccorso, assieme ad altri nastri registrati quella sera a Ciampino, non sono mai arrivati a periti e magistrati. Ne sono arrivati, pare, tre su otto.
Lo scoppio del Dc 9 della compagnia Itavia sul cielo di Ustica fu causato da «un oggetto non identificato che ha attraversato la zona dell’incidente da ovest ad est ad alta velocità e approssimativamente nello stesso momento in cui l’incidente si è verificato»…. c’è da appurare la natura dell’oggetto non identificato che è entrato in collisione con il Dc 9.
Si avanza l’ipotesi di un missile partito per sbaglio da un caccia non italiano e non americano
QUANDO I GIUDICI SCOPRONO […] l’esistenza di comunicazioni riguardanti la Clemenceau, chiedono riscontri a Parigi, che nega: le loro porte-avions, Foch e Clemenceau il 27 giugno erano in porto a Tolone. Tuttavia, i dati non coincidono alla perfezione. Ad esempio, su Cols Bleu, rivista ufficiale della marina d’oltralpe, la Foch non compare in alcuna collocazione, in porto o in mare, per la giornata del 27.
Paradossalmente, mentre gli Usa si preoccBupano di smentire subito ogni coinvolgimento della Navy […], la Francia non apre bocca. isognerà arrivare al 1986, il 4 settembre, perché il direttore del Sismi chieda ufficialmente conto all’omologo francese. Due settimane dopo, lo Sdece risponde che la caduta del Dc9 non costituisce «affaire de terrorisme» e pertanto non hanno informazioni. Non è terrorismo. E’ forse un affare di stato?
Il direttore del Sismi in quel momento è l’ammiraglio Fulvio Martini. Ascoltato in Commissione stragi, […] dirà […] che in quell’area un missile può «essere solo americano o francese». A quel punto, i commissari chiedono se abbia svolto attività specifica su Stati Uniti e Francia e Martini dichiara: «Per farlo avrei dovuto essere attivato dai politici», intendendo che non lo fu.
PARIGI TORNA prepotentemente in ballo quando il giudice Priore mette assieme i tracciati radar di Ciampino e Poggio Ballone, che guardano ambedue sul Tirreno centrale. E allora si scoprono un gran numero di tracce in movimento, decollo e atterraggio, dalla prospiciente base di Solenzara, in Corsica.
[…] Che i cugini francesi non avessero all’epoca scrupoli ad agire sul territorio italiano è provato da una serie di fatti.
Il 14 agosto una serie di candelotti fanno saltare i ponti radio di una società all’Elba che serve anche Radio Corsica International. Si sospetta sia opera dei servizi di Parigi. Sempre nel 1980, a Genova la nave libica Dat Assawari subisce un attentato, rivendicato da un fantomatico FLM, cioè Fronte di Liberazione Maltese. Sigla dietro a cui sembrano muoversi i servizi segreti francese e inglese.
Ma torniamo a Pertini. Subito dopo la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto, Gheddafi gli invia un messaggio di cordoglio che il presidente italiano decide di non rendere pubblico, con «particolare rammarico» del Colonnello. Così l’ambasciatore italiano a Tripoli, Alessandro Quaroni, descrive l’umore di Gheddafi, in un telegramma cifrato del 14 settembre 1980 inviato alla Farnesina: il «colonnello – cui stampa italiana viene abbondantemente tradotta – era rimasto colpito da mancata menzione del messaggio di cordoglio al Presidente Pertini». Anche questo è contenuto del dossier Ustica desecretato da Matteo Renzi.
Insomma gli eventi accaduti nel cielo tra Ponza e Ustica sono sicuramente complessi. Come disse Rino Formica a La Stampa nel 1990, «questo incidente copre qualcosa di più importante dell’incidente stesso… Non voglio dire che il Dc9 sia stato abbattuto intenzionalmente, ma se si è trattato di un incidente non lo si è voluto dire subito perché, evidentemente, la causa è ancora più drammatica della tragedia». Formica era il ministro dei Trasporti a cui il direttore del Registro aeronautico italiano, Saverio Rana, nell’immediatezza degli eventi, aveva mostrato il tracciato del radar di Ciampino che mostra la manovra d’attacco di un caccia e un secondo aereo che fugge.
Passano i decenni e il dito socialista sui francesi, alzato per primo da Pertini, viene di nuovo puntato da Giuliano Amato che, nel settembre dell’anno scorso, chiede al presidente francese Emmanuel Macron di riconoscere il pasticcio che sarebbe stato combinato dal suo predecessore Giscard.
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27 gennaio, una data da non dimenticare per Fiume
Il 27 gennaio 2024 ricorre il centesimo anniversario di un avvenimento negletto dal secondo dopoguerra ad oggi, ma che all’epoca suscitò entusiasmo e manifestazioni di giubilo in tutta Italia. Veniva infatti firmato quel giorno il cosiddetto “Patto di Roma” con cui il Regno d’Italia e il Regno dei Serbi-Croati-Sloveni (che divenne poi la futura Jugoslavia) si spartivano di comune accordo il territorio del minuscolo “Libero Stato di Fiume”.
Creato a seguito del trattato di Rapallo del 12 novembre 1920 fu una creatura nata morta. Fiume, fino al 1918 Corpus separatum della corona di Santo Stefano (l’odierna Ungheria) era città prettamente italiana che si affacciava sulle rive del golfo del Quarnaro, circondata però da un entroterra a predominanza slava. Il trattato di Londra del 26 aprile 1915 con cui il regno d’Italia s’impegnava ad entrare in guerra contro le potenze centrali gli garantiva cospicui compensi territoriali ma improvvidamente il ministro degli esteri italiano Sidney Sonnino non aveva reputato di richiedere tra essi anche la città liburnica. Il 30 Ottobre 1918 il consiglio comunale in carica di Fiume, denominatosi “Consiglio Nazionale Italiano” proclamava all’unanimità (compresi i consiglieri eletti nelle liste del locale partito autonomista di Riccardo Zanella) l’unione della città alla madrepatria italiana.
La città nel novembre 1918 fu raggiunta dalle truppe del regio esercito ma contemporaneamente la Francia, che mirava ad usare la città come base navale, vi insediò un contingente di truppe coloniali annamite. Il presidente americano Woodrow Wilson si palesò subito fermamente contrario a concedere Fiume all’Italia per motivi di ritorno elettorale (puntava molto per essere rieletto sul voto degli immigrati slavi negli USA ) e anche per un certo arrogante manicheismo, decisamente ingenuo e fuori luogo nel contesto della conferenza di pace di Versailles, dove aveva visto e permesso a Francia ed Inghilterra di tutto e di più. Ben presto scoppiarono disordini tra i cittadini fiumani, spalleggiati dai Granatieri di Sardegna, e le truppe francesi: nel luglio 1919 scontri provocati dai soldati francesi portarono all’uccisione di alcuni soldati dell’esercito transalpino. I granatieri furono allontanati dalla città e sostituiti con altre truppe meno “solidali” con i fiumani.
Il 12 settembre 1919 Gabriele d’Annunzio, il poeta soldato, alla guida di un reggimento dei granatieri ed altre truppe raccolse il grido di dolore dell’infelice città e vi si insediò tenendo alta la fiaccola dell’italianità fiumana fino al “Natale di sangue” 1920 quando fu scacciato dal regio esercito in ottemperanza appunto al trattato di Rapallo. Insediatosi nel 1921 il governo zanelliano il nuovo staterello fu subito e continuamente scosso da feroci scontri tra i cittadini che volevano l’annessione all’Italia ed i sostenitori di Zanella. Nel 1922, dopo ulteriori feroci scontri con morti e feriti, Zanella abbandonava la città rifugiandosi nella vicina Sussak, sotto l’ala protettrice di Belgrado.
Vennero alfine intavolate trattative che portarono alla divisione del territorio conteso: la città a maggioranza italiana passava al Regno d’Italia, cui era unita da una stretto corridoio che andava da Volosca a Borgomarina, nei sobborghi occidentali della città; l’entroterra con il Delta (posto tra l’Eneo e la Fiumara, ad est della città, ove erano posti i magazzini maggiori del porto e il binario della ferrovia che univa Fiume all’entroterra mitteleuropeo) e porto Bàross (per gli italiani porto Nazario Sauro, foraneo al porto principale di Fiume) passavano al regno serbo-croato-sloveno.
Il 16 marzo 1924 l’annessione veniva sancita dalla visita in città del Re Vittorio Emanuele III di Savoia: veniva così coronato, purtroppo solo temporaneamente ed in modo incompleto, il sogno dei cittadini della “città olocausta”, come la definì d’Annunzio.
Franco Pizzini Sezione di Venezia dell’Associazione Nazionale Alpini Capogruppo alpini di Fiume d’Italia
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Pirati dei Caraibi "La Maledizione della Prima Luna" - trailer ita
JOHHNY DEPP, Evgenij Prigožin E I DITI MOZZATI
JOHHNY DEPP SI MOZZA IL DITO MEDIO (AL CENTRO) QUANDO ERA IN AUSTRALIA PRIMA NAZIONE A CONOSCERE LA PEDOFILIA DI EMILIO ANZA. CUGINO I GRADO
EVGENIJ PRIGOZIN AVEVA L' ANULARE SINISTRO MOZZATO, DOVE DI SOLITO SI METTE LA FEDE MATRIMONIALE
La maledizione della prima luna, FAMOSISSIMO FILM DI DEPP, VEDE IL PROTAGONISTA (JACK SPARROW . in italiano GIACOMO PASSERO, COME IL CANARINO UCCISO DAL MIO CUGINO ROBERTO)CHE E' ALLA RICERCA DELLA PERLA NERA E UN BEL MEDAGLIONE CON UN TESCHIO AL CENTRO, MALEDETTO COME GLI UOMINI CHE LO PORTAVANO
La maledizione della prima luna (Pirates of the Caribbean: The Curse of the Black Pearl) è un film del 2003 diretto da Gore Verbinski; prodotto da Walt Disney Pictures e Jerry Bruckheimer Films e distribuito da Buena Vista International.
Ideato e scritto da Ted Elliot e Terry Rossio, il film è il primo capitolo della serie di Pirati dei Caraibi e ispirato all'omonima attrazione dei Parchi Disney. Il cast principale comprende Johnny Depp nei panni di Jack Sparrow, Geoffrey Rush, Keira Knightley, Orlando Bloom, Kevin McNally, Jack Davenport e Jonathan Pryce.
Caraibi, 1720. La piccola Elizabeth Swann e suo padre, il Governatore Weatherby Swann, sono sulla nave inglese HMS Dauntless che li porta a Port Royal, quando un ragazzino di nome Will Turner viene portato a bordo. Quando Elizabeth si accorge che Will ha al collo un medaglione d'oro con inciso un teschio, lei glielo sottrae e lo nasconde perché può essere la prova dell'appartenenza di Will alla pirateria. Norrington si dichiara a Elizabeth, la quale però, soffocata per il corsetto troppo stretto, cade dagli spalti del forte finendo in mare; così facendo attiva il medaglione, che attrae la Perla Nera, ossia la nave vista otto anni prima Gibbs si lascia scappare la verità su Jack: quando arrivò la prima volta a Tortuga e creò una ciurma per recarsi a Isla de Muerta, egli era il capitano della Perla Nera, ma a pochi giorni di navigazione il primo ufficiale Barbossa pretese di sapere la destinazione.
gli Aztechi consegnarono a Cortès un forziere di pietra con 882 pezzi d'oro, sui quali le divinità scagliarono una maledizione che fa diventare gli esseri umani né vivi né morti: costoro sembrano vivi, ma quando arriva la luna piena svelano la loro identità; inoltre, chiunque abbia sottratto un medaglione del tesoro di Cortès, per spezzare la maledizione e tornare vivo, deve restituirlo con il proprio sangue. Quando la ciurma di Barbossa arrivò sull'Isla de Muerta prese il tesoro, ma presto i pirati si accorsero che non provavano più sensazioni e che non sentivano più niente, cosicché restituirono tutti i singoli pezzi, tranne il medaglione d'oro ora posseduto da Elizabeth.
Benché Jack abbia vinto e salvato tutti, ora è condannato all'impiccagione perché la sua ciurma ha rubato la Perla Nera; Nel mentre, la scimmia domestica di Barbossa si avvicina a nuoto al mucchio di ricchezze nella grotta dell'Isla de Muerta. Arrampicatasi sul forziere di pietra, ruba uno degli 882 pezzi d'oro e ritorna ad essere non-morta.
Il film è uscito negli Stati Uniti il 9 luglio 2003[2], mentre in Italia il 5 settembre 2003, dopo un'anteprima nazionale il 27 agosto.
Doppiaggio italiano La direzione del doppiaggio e i dialoghi italiani sono a cura di Carlo Cosolo, per conto della Cast Doppiaggio S.r.l.[3] Curiosamente, per l'edizione italiana, è stato tolto il riferimento a Davy Jones, nemico principale dei due film successivi, detto da Will Turner a bordo della Perla Nera, e anche il titolo del film è stato modificato.
Edizioni home video Il film è stato distribuito in DVD e VHS nel mercato italiano il 29 gennaio 2004,[4] disponibile in edizione disco singolo e disco doppio. Nel 2007 è stata messa in vendita la versione del film ad alta definizione Blu-ray Disc.
Candidatura ai Migliori costumi a Penny Rose Candidatura alla Miglior coppia a Johnny Depp e Orlando Bloom Candidatura alla Miglior performance comica a Johnny Depp Candidatura al Miglior film straniero a Gore Verbinski Eroe più sexy a Orlando Bloom Miglior bugiardo a Johnny Depp Miglior bacio a Keira Knightley e Orlando Bloom Candidatura ai Migliori modelli e miniature (l'intercettatore) a Charles Bailey, Peter Bailey, Robert Edwards e Don Bies Candidatura alla Miglior fotografia a Carl Miller, Michael Conte e Tami Carter Miglior combattimento a Tony Angelotti e Mark Aaron Wagner 2004 - American Choreography Awards Miglior coreografia nei combattimenti a George Marshall Ruge Candidatura al Miglior attore del decennio a Johnny Depp 2004 - Publicists Guild of America Maxwell Weinberg Award Candidatura alla Colonna sonora originale dell'anno a Klaus Badelt
Pirati dei Caraibi - La maledizione del forziere fantasma (2006) Pirati dei Caraibi - Ai confini del mondo (2007) Pirati dei Caraibi - Oltre i confini del mare (2011) Pirati dei Caraibi - La vendetta di Salazar (2017)
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Bollettino Covid, in Italia 4.129 contagi e 25 morti per Coronavirus nella settimana dal 21 al 27 luglio 2023: i dati
DIRETTA TV 28 Luglio 2023 I contagi e decessi Covid in Italia nella settimana da venerdì 21 a giovedì 27 luglio 2023: nel bollettino pubblicato oggi si contano 4.129 nuovi casi e 25 morti negli ultimi 7 giorni. 8 CONDIVISIONI Attiva le notifiche per ricevere gli aggiornamenti su ATTIVA GLI AGGIORNAMENTI Contagi covid in leggera risalita in Italia nell’ultima settimana. Sono infatti 4.129 i…
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La guerra di Corea: una ferita ancora aperta dopo 70 anni
La guerra di Corea ha segnato uno dei momenti più drammatici della storia mondiale nel XX secolo, un conflitto che ha lasciato cicatrici ancora visibili nella geografia politica e sociale dell'Asia. Durata dal 1950 al 1953, questa guerra ha rappresentato lo scontro non solo tra le due coree ma anche uno scontro di ideali tra alleanze più o meno chiare. Cos'è cambiato 70 anni dopo la firma dell'armistizio che ha posta la parola fine a questa guerra? Come scoppia la Guerra di Corea? Le radici della guerra di Corea risalgono agli anni successivi alla seconda guerra mondiale, quando la penisola coreana venne divisa in due parti. A nord venne istituito il regime comunista di Kim Il-sung, mentre a sud si insediò un regime filo-occidentale. La tensione tra le due parti aumentò rapidamente, con attacchi e provocazioni da entrambe le parti del confine. La scintilla che ha fatto definitivamente scattare la guerra è stata l'invasione della Corea del Sud da parte delle forze nordcoreane il 25 giugno 1950. L'ONU, guidata dagli Stati Uniti, ha risposto con fermezza, decidendo di intervenire in difesa della Corea del Sud. Questa risposta ha suscitato l'ira dell'Unione Sovietica, che ha deciso di sostenere militarmente la Corea del Nord, trasformando così il conflitto in una vera e propria guerra fredda su suolo asiatico. La guerra di Corea è stata caratterizzata da una serie di operazioni militari, con avanzate e ritirate da entrambe le parti. La battaglia più celebre è stata quella per la conquista della città di Seul, la capitale della Corea del Sud, che ha cambiato più volte padrone durante il conflitto. Le forze americane guidate dal generale Douglas MacArthur furono in grado di fermare l'avanzata nordcoreana e sbaragliarla, ma vennero fermate dal massiccio intervento cinese. Quando venne firmato l'armistizio tra le due coree? Dopo tre anni di combattimenti intensi e perdite umane significative da entrambe le parti, le negoziazioni per un armistizio sono cominciate nel luglio 1951. Tuttavia, è stato necessario un anno intero di colloqui per raggiungere un accordo sulle condizioni di cessate il fuoco. Durante le trattative, le parti coinvolte hanno discusso di questioni come il confine tra i due paesi e la creazione di una zona demilitarizzata (DMZ) al 38º parallelo, che sarebbe diventata la linea di separazione tra Nord e Sud Corea. L'armistizio è stato firmato il 27 luglio 1953 a Panmunjeom, un villaggio nel confine tra le due Coree. L'accordo ha stabilito: - il cessate il fuoco - ha istituito la DMZ (Demilitarized zone) - ha creato una commissione di controllo militare con rappresentanti di entrambe le parti e ha preveduto lo scambio di prigionieri di guerra 70 anni dopo, cosa ci lascia la guerra di Corea? La guerra di Corea ha lasciato un'amara eredità nella penisola coreana. Le perdite umane da entrambe le parti furono enormi, con un totale di oltre tre milioni di morti. Inoltre, il conflitto ha avuto un impatto devastante sull'economia e sull'infrastruttura dei due paesi. Questo portò al realizzarsi di un enorme divario di sviluppo tra il nord e il sud. Nonostante la firma dell'armistizio, la situazione nella penisola coreana rimane ancora incerta, poiché tecnicamente le due Coree sono ancora in guerra. Un trattato di pace permanente non è mai stato firmato tra le due parti, e la tensione tra Nord e Sud Corea continua a persistere fino ai giorni nostri. Nonostante ciò, l'armistizio del 27 luglio 1953 ha contribuito a mantenere una relativa stabilità nella regione per oltre mezzo secolo, anche se i conflitti occasionali e le dispute territoriali persistono. Foto di kirill_makes_pics da Pixabay Read the full article
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La pandemia da Covid è finita. Ma i suoi effetti dureranno a lungo, di Andrea Casadio, in Domani 27 aprile 2027
vai all’articolo https://www.editorialedomani.it/fatti/covid-pandemia-finita-effetti-cosa-succede-m78kz5bt Ora lo possiamo dire: almeno in Italia la pandemia di Covid è finita. Probabilmente, tra giugno e luglio, dopo aver contato 7 milioni di morti nel mondo, l’Organizzazione mondiale della sanità proclamerà ufficialmente la fine della pandemia. È giunto il momento di stilare un bilancio: la…
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27 luglio … ricordiamo …
27 luglio … ricordiamo … #semprevivineiricordi #nomidaricordare #personaggiimportanti #perfettamentechic #felicementechic #lynda
2020: Gianrico Tedeschi, è stato un attore e doppiatore italiano. Recitò in varie compagnie e in diversi teatri. (n. 1920) 2019: Dianne Foster, pseudonimo di Olga Helen Laruska, attrice canadese. Foster iniziò a recitare all’età di 13 anni. (n. 1928) 2017: Sam Shepard, Samuel Shepard Rogers III, drammaturgo, attore e sceneggiatore statunitense. (n. 1943) 2016: Jerry Doyle, attore statunitense. È…
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#27 luglio#Alvin Morris#Binnie Barnes#Bob Hope#Carlo Minello#Carlo Minellono dei S. Martino d&039;Arundello#Dianne Foster#Elizabeth Allan#Ettore Manni#Gianrico Tedeschi#Gittel Enoyce Barnes#Giuseppe Tiberio Condello#Helene Lilian Muriel Pape#Jerry Doyle#Leonie Flugrath#Leslie Townes Hope#Lilia Silvi#Lilian Harvey#Marisa Merlini#morti 27 luglio#Olga Helen Laruska#Raymonde Allain#Sam Shepard#Samuel Shepard Rogers III#Shirley Mason#Tiberio Condello#Tony Martin
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(...) Come è noto, il volo Itavia 870 era un regolare volo di linea da Bologna a Palermo, operato con un aereo in buone condizioni e molto affidabile, ai comandi del quale si trovava un pilota esperto. Il volo decollò da Bologna quella sera, con due ore di ritardo. Dopo meno di un’ora di volo regolare, in condizioni meteo ottime, l’aereo precipitò improvvisamente sul mare aperto, tra l’Isola di Ponza e quella di Ustica, provocando la morte dei 77 passeggeri e dei 4 membri dell’equipaggio. Fino dai primi giorni successivi al disastro, fu chiaro che tutti coloro che avrebbero dovuto collaborare con la magistratura per chiarire le cause del fatto, a partire dal governo allora in carica fino ai massimi livelli dell’Aeronautica Militare, cercavano invece di ostacolare le indagini. Si cercò prima di attribuire il fatto ad un guasto tecnico, poi di far credere che fosse dovuto all’esplosione di una bomba. Tuttavia, la magistratura e le perizie di parte civile non solo hanno confutato definitivamente queste ipotesi ma hanno anche dimostrato come il DC9 sia stato abbattuto da un’azione ostile esterna, essendo rimasto coinvolto in una battaglia aerea che quella sera infuriò nei cieli del Mediterraneo meridionale. Tuttavia, se è evidente che aerei libici furono una delle parti in conflitto, dato che un Mig 23 libico fu ritrovato abbattuto in Calabria (anche se i servizi di intelligence italiani fecero di tutto per non fare associare questo caso con l’abbattimento del DC9), non si è ancora riuscito a dimostrare in modo inequivocabile chi stesse combattendo contro di loro. I comandi NATO hanno sempre rifiutato di fornire alla magistratura italiana tutti i dati in loro possesso, nonostante la richiesta formale del Governo Prodi nel 1997, e lo stesso governo Gheddafi, dopo alcune iniziali oscure accuse alla NATO per la responsabilità dell’episodio, non ha mai fornito spiegazioni, né ammesso che aerei libici fossero coinvolti nel fatto. Diversi militari italiani, inclusi alti ufficiali, furono processati in connessione con la strage del DC9 per vari reati, tra i quali l’ostacolo alla giustizia e l’occultamento di prove. Alcuni sono stati assolti, altri condannati ma non perseguiti perché i reati a loro ascritti erano caduti in prescrizione. Nella sua sentenza del 31 agosto 1999, il giudice istruttore Rosario Priore ha comunque riconosciuto che il DC9 dell’Itavia, subito prima di iniziare a precipitare, fu affiancato da un altro aereo che stava probabilmente cercando in questo modo di ripararsi da un attacco del quale era oggetto. I tracciati radar, anche se manipolati, hanno infatti mostrato che in prossimità del velivolo civile si trovavano almeno sei o sette aerei, evidentemente tutti militari, dato che nessun altro aereo civile era presente nell’area in quel momento. Il 28 gennaio 2013 la Corte di Cassazione ha definitivamente sentenziato che il DC-9 Itavia cadde a causa di un missile o di una collisione con un aereo militare, essendosi trovato nel mezzo di una vera e propria azione di guerra. Tuttavia, i responsabili della strage e le sue stesse ragioni non sono ancora stati ufficialmente identificati. In ogni caso, l’ipotesi della collisione è da escludere, sia per il tipo di danni riscontrati sui resti recuperati del DC9, nei quali è ben visibile invece un grande foro chiaramente provocato da una causa esterna al velivolo, sia perché nessun altro relitto è stato individuato in prossimità di quello del DC9 durante il recupero. La versione inglese di Wikipedia, alla voce “Aerolinee Itavia flight 870” riporta invece testualmente: “Importanti fonti hanno sostenuto nei media italiani nel corso degli anni che l’aereo è stato abbattuto durante una battaglia aerea che coinvolse caccia libici, statunitensi, francesi e italiani, in un tentativo di assassinio, da parte di Stati membri della NATO, di un importante uomo politico libico, forse anche il leader Muammar al-Gheddafi, che stava volando nello stesso spazio aereo quella sera”. Tuttavia, con buona pace del defunto Presidente Cossiga, il quale, 27 anni dopo il fatto, avvenuto mentre era Presidente del Consiglio, affermò di sapere che il DC9 fu abbattuto da un missile francese, l’unica prova certa di una presenza militare occidentale nell’area al momento dell’abbattimento del volo Itavia 870 è un serbatoio ausiliario di carburante in dotazione solo ai caccia statunitensi, trovato non lontano dai resti del DC9. Inoltre, quando l’avvocato Ferrucci mostrò le immagini di tutti i caccia in servizio in tutte le aviazioni militari all’epoca dei fatti, che gli erano state fornite da chi scrive, a diversi cittadini calabresi, nessuno dei quali con la minima esperienza in aeronautica ma che avevano riferito che la sera del 27 luglio 1980 avevano visto diversi aerei inseguirsi l’un l’altro, tutti riconobbero tra gli inseguitori e gli inseguiti esclusivamente i MiG 23 e gli F-15 americani. (...) A Ciancarella, si rivolse, dopo la strage del DC9, il maresciallo Mario Alberto Dettori, radarista a Poggio Ballone, in servizio durante la notte del 27 luglio 1980. Dettori gli rivelò quei dettagli su quanto avevano visto i radar quella sera ed era stato poi occultato, dettagli che, trasmessi alla Magistratura, pesarono enormemente sulla sentenza del Giudice Priore. Tuttavia, Dettori, che già parlando con Ciancarella aveva detto di temere per la propria vita, non poté testimoniare perché venne trovato impiccato nel 1987, una delle “morti sospette” legate alla strage di Ustica che all’epoca fu molto sbrigativamente archiviata come suicidio. Anche l’ex-colonnello dell’AM Alessandro Marcucci, che insieme a Ciancarella stava indagando sulla sorte del DC9 e sulle dichiarazioni di Dettori, morì in un inspiegabile incidente aereo nel 1992, prima della sentenza di Priore. Su queste morti, la magistratura di Massa ha ripreso ad indagare nel 2013. (...) Vito Francesco Polcaro
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Mal di testa, dolori muscolari, febbriciattola, brividi. I più comuni effetti lievi dei quattro vaccini anti Covid utilizzati in Italia. Il 12,8% delle segnalazioni raccolte dal sistema di farmacovigilanza di Aifa (Agenzia italiana del farmaco) riguarda invece reazioni gravi, 16 su 100 mila dosi. Per gravi si intendono un insieme di sintomi paragonabili a quelli dell'influenza stagionale, anche intensi, più frequenti dopo la seconda dose dei vaccini a mRna (Rna messaggero) e dopo la prima dose di quello targato AstraZeneca. Il bilancio è contenuto nel settimo rapporto pubblicato ieri nel sito dell'agenzia. Rientra in un lavoro di sorveglianza effettuato a livello europeo (...). Finora i dati comunitari sono in linea fra loro. Compreso quel 12,8% dell'Italia (...) «un tasso assolutamente non preoccupante» (...).Tra il 27 dicembre e il 26 luglio Aifa ha raccolto 84.322 segnalazioni su un totale di quasi 66 milioni di dosi, con una tasso pari a 128 ogni 100 mila dosi. (...) Per la prima volta emergono indicazioni sui giovani: «Nella fascia 12-19 anni la distribuzione per tipologia di eventi avversi non è sostanzialmente diversa da quella osservata negli adulti». Sono una novità anche le prime rilevazioni sulle vaccinazioni eterologhe (due dosi di aziende diverse) negli ultra sessantenni: 114 invii su quasi 400 mila somministrazioni. (...).
tal Margherita de Bac (parente della contessa De Blanck?) sul Cds, via https://www.dagospia.com/rubrica-39/salute/dite-scettici-che-vaccino-anti-covid-39-farmaco-piu-39-278770.htm
Felicissimo , da pro vax, che questi NON VACCINI (*) non stiano apparentemente causando catastrofi.
Trovo però sinistramente anti scientifico affermare come fanno nel titolo, che si tratti dei farmaci più testati di tutti i tempi : confonde QUANTI ne stian in(o)culando tra gli Occidentali - altrove ‘un so -coi sinora incompleti TEST VERI DOVUTI, eseguiti in modo codificato non ‘ndo cojo cojo (la Scienza è Metodo, non democratica quantità). Confermando by the way senza volerlo che questa è una SPERIMENTAZIONE DI MASSA.
Infatti, usando parafrasi Boskoviana (*): vaccino è quando Autorità fischia, approvando i risultati di tutti i livelli di test codificati e obbligatori. Se va bene finiranno il livello tre dei trial dovuti per poter sottoporre un farmaco ad approvazione a Dicembre 2023 (Pfizer). Quindi per adesso sono NON VACCINI, a maggior ragione per la tecnologia mai provata prima sull’uomo su cui sono basati. “Le parole sono importanti” (cit.) e in Italì vantar titoli non conseguiti è reato.
Ciò fissato, passiamo al merito dei dati presentati nell’articolo: 128 “segnalazioni” su ogni 100.000 dosi, fa più di 1 per mille: non è poco. Inoltre, se per il virus contano le terapie intensive e i morti (in modo “largo”, come sappiamo non da gomblottisti ma dall’Avvocatura di Stato), non ce lo specificano per i (non) vaccini: parlano solo di “reazioni gravi” mettendo assieme lesioni permanenti o morti con “banali” sintomi influenzali. Presentar dati così, ammesso sian veri, per chi i dati li mastica da sempre suona lievemente sospetto.
Continuiamo a mantenere sospeso il giudizio nonostante la propaganda rassicurante. Fa un po’ ridere, in tempi in cui laggente pretende di avere il tracciamento completo di quel che mangia, altrimenti non lo mangia, mentre per la roba che si sbatte in vena, Fìdati Esselunga ... vabbé.
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Il ragazzo in foto è Alfonsino, il fratello di mio nonno. Aveva 21 anni quando è morto; era marinaio segnalatore sul cacciatorpediniere Zeffiro della Regia Marina. La sera del 5 luglio 1940, la nave -che era ormeggiata nel porto di Tobruk in Libia- fu colpita a prua da 9 aerosiluri. 21 furono le vittime: 11 morti e 10 dispersi. Alfonsino risulta tra questi ultimi, ma il suo corpo non è mai stato ritrovato. Ciò che è rimasto a noi della sua traccia su questo pianeta è pressochè niente. So solo che era del segno del Capricorno, come me. So che era venerdì quel giorno, che il presidente degli Stati Uniti era Roosevelt e che “Maryland” del regista Henry King fu uno dei film più visti in assoluto. Ma è capitato molto di più: milioni di ragazzini furono mandati a morire e non si trova letteralmente nessuna informazione sulle loro brevi vite. L’unica cosa che ho è questa foto, che lo ritrae con la divisa da marinaio mentre tra le dita mantiene una sigaretta. Il retro, successivamente, fu scritto da mio nonno, addolorato dalla perdita del fratello maggiore. Finchè è stato in vita, mio nonno, non ha mai parlato di Alfonsino. Non abbiamo mai saputo più di questo, e 10 anni fa è morto portando definitivamente via con sè ogni traccia di suo fratello. Eppure mi ha tramandato il suo dolore, il sentire così intimamente vicino qualcuno che non ho mai avuto il piacere di conoscere, nemmeno attraverso un semplice racconto. Il potere evocativo di queste immagini esercita sulla mia mente un processo di ricostruzione di eventi; di una falsa memoria biografica. Mi piace immaginare e cucirgli addosso quella che io immagino sia stata la sua vita. Mi sento legata a questa foto senza sapere bene perchè; i suoi occhi mi catturano. Chissà se ho ereditato qualcosa da lui. Chissà qual era il suo cibo preferito, quali erano i suoi sogni, e quali invece le sue paure. Ma purtroppo non lo sapremo mai. “Conservo questa rara foto, in memoria del fratello carissimo affinchè dall’alto dei Cieli pregherà Iddio, che benedirà la sua famiglia e la cara sorella, che non si dimenticheranno mai di lui, ma languiranno sempre nel dolore profondo.” (Guerra Memorabile) 8/7/1940 27 marzo 2021
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Mario, Roberto e Giovanni morti in moto: l'incidente terribile, grave il quarto amico. Il sindaco: «Erano bravi ragazzi» Appuntamento di prima mattina per una gita in moto fuori porta: tutti amici, tutti giovani, tutti appassionati della due ruote. Un sabato di luglio da trascorrere tra i saliscendi e i tornanti delle strade della Sardegna più amate dai centuari. Nessuno poteva immaginare la fine tragica di questa giornata. Mentre la comitiva stava rientrando a casa dopo le soste al lago Omodeo e alle terme di Fordongianus, intorno all'ora di pranzo, ognuno per suo conto, lo schianto inaspettato sulla provinciale 11, nel comune di Paulilatino, in provincia di Oristano. L'incidente terribile Uno scontro frontale in un rettillineo all'altezza di un dosso: il conducente dell'auto e i motociclisti si sono ritrovati improvvisamente faccia a faccia senza poter effettuare alcuna manovra. L'impatto è violentissimo: prima una moto, poi le altre tre finiscono contro la vettura, una Mercedes 190. I detriti si disperdono per 50 metri, i corpi sbalzati a 30 metri dal luogo dello scontro. Alla fine di conteranno tre vittime: Mario Sedda e Roberto Daga, entrambi di 27 anni, e Giovanni Melis, di 30. Tutti erano residenti a Paulilatino, Melis però era originario di Gadoni. Due i feriti trasportati all'ospedale, nessuno è in gravi condizioni. Al riconoscimento delle prime due vittime ha contribuito il sindaco Domenico Gallus, intervenuto sul posto anche come medico. «Una scena terribile - racconta all'ANSA - Se ne vanno due ragazzi educatissimi e stimatissimi in tutto il paese. Da quello che abbiamo potuto apprendere - ricostruisce il sindaco -, proprio il dosso nel lungo rettilineo ha impedito che conducenti di auto e moto potessero fare qualcosa. Una scena straziante». Il maxi-incendio Dopo lo schianto i mezzi hanno preso fuoco a causa della perdita di benzina, innescando così un gigantesco rogo che ha richiesto l'intervento di quattro Canadair, due Super Puma e tre elicotteri, oltre a quattro squadre a terra dei vigili del fuoco. Il fuoco ha percorso almeno otto chilometri, minacciando il tratto oristanese della statale 131 e il nuraghe Losa di Abbasanta: la strada non è stata chiusa perchè il fronte del fuoco ha saltato la carreggiata, proseguendo la sua marcia all'interno, il nuraghe invece è stato 'protetto' dai getti d'acqua dei mezzi aerei. Il sindaco: «Una scena terribile» Al riconoscimento delle prime due vittime ha contribuito il sindaco Domenico Gallus, intervenuto sul posto anche come medico. «Una scena terribile - racconta all'ANSA - Se ne vanno due ragazzi educatissimi e stimatissimi in tutto il paese. Da quello che abbiamo potuto apprendere - ricostruisce il sindaco -, proprio il dosso nel lungo rettilineo ha impedito che conducenti di auto e moto potessero fare qualcosa. Una scena straziante». Dopo l'impatto, violentissimo, i mezzi hanno preso fuoco a causa della perdita di benzina innescando così un gigantesco rogo che ha richiesto l'intervento di tre Canadair, due Super Puma e un elicottero. L'incidente a Paulilatino Il tragico incidente stradale è avvenuto nel pomeriggio di sabato 6 luglio a Paulilatino, in provincia di Oristano, dove si sono scontrate quattro moto e un'auto. Secondo la ricostruzione effettuata dai quotidiani locali, le quattro moto stavano viaggiando in direzione di Paulilatino quando si sono scontrate con un'auto che proveniva dalla direzione opposta. Nello schianto i corpi dei quattro motociclisti sono stati sbalzati sull'asfalto, per tre di loro non c'è stato nulla da fare. Il quarto è in gravi condizioni ed è stato trasportato in eliambulanza a Cagliari. L'incidente è avvenuto sulla provinciale 11 all'altezza del campo di calcio, lungo un rettilineo. Nell'impatto le moto hanno preso fuoco, provocando un vasto incendio di vegetazione. Per domare le fiamme a lavoro, oltre a cinque mezzi di terra, 2 Canadair, 2 Superpuma e un elicottero. Sono tutti motociclisti le tre vittime. facevano parte di una comitiva di amici, tutti appassionati delle due ruote, in viaggio verso il lago Omodeo per una gita fuori porta. L'incendio ha percorso 8 chilometri Ha percorso almeno otto chilometri il gigantesco rogo innescato dall'incidente. Le fiamme causate dalla perdita di benzina dei mezzi coinvolti nello schianto, si sono propagate velocemente, spinte dal vento di scirocco. Il fuoco ha minacciato il tratto oristanese della statale 131 e il nuraghe Losa di Abbasanta: la strada non è stata chiusa perchè il fronte del fuoco ha saltato la carreggiata, proseguendo la sua marcia all'interno, il nuraghe invece è stato 'protetto' dai getti d'acqua. La vastità del rogo ha richiesto un impiego imponente di mezzi aerei e di personale a terra: in azione quattro Canadair, tre elicotteri e due Super Puma, oltre a quattro squadre dei vigili del fuoco. La dinamica da chiarire La dinamica dell'incidente è ancora tutta da chiarire: coinvolte nello scontro su un tratto di strada rettilineo ma pieno di dossi, quattro e non due moto, come appreso inizialmente, e un'auto. A causa dell'impatto, violentissimo, si è innescato un gigantesco rogo che ha richiesto l'intervento di tre Canadair decollati dalla base di Olbia, due Super Puma e un elicottero. Quando sono arrivati i soccorritori, per tre dei motociclisti della comitiva non c'è stato nulla da fare. Ricoverati in ospedale, in condizioni non gravi, un quarto motociclista e il condudente della vettura. Sul posto oltre ai medici del 118 con ambulanze e due elicotteri dell'Elisoccorso, i carabinieri, i vigili del fuoco e la polizia stradale.
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Morti in carcere: almeno tre decessi alla settimana - Osservatorio Repressione
Nelle statistiche pubblicate online dal ministero della Giustizia i dati ufficiali (e parziali) dell’ecatombe dietro le sbarre: 154 vittime nel 2020, contando solo suicidi e decessi per presunte cause naturali
Decessi per Covid e altre malattie, in cella, in infermeria e nei reparti detentivi ospedalieri. Suicidi. Overdosi da stupefacenti e psicofarmaci, inalazione del gas delle bombolette da campeggio usate per cucinare. Infortuni accidentali. Mancata liberazione di persone malate con pochi giorni da vivere. La fine per vecchiaia, dietro le sbarre. Un delitto, probabilmente.
Casi non chiari o non chiariti. Per il 2020, l’anno della pandemia fuori controllo e della strage post rivolte, il ministero della Giustizia conta e dichiara 154 decessi di persone sotto la custodia dello Stato: 61 detenuti si sono tolti la vita (stando alle apparenze iniziali) e altri 93 sono stati stroncati da «cause naturali» (voce che include i decessi per abuso di droghe).
Ragazzi e uomini, nella quasi totalità dei casi. Una media di tre morti la settimana, almeno. L’avverbio è d’obbligo. Dal prospetto degli «eventi critici» sul portale di via Arenula mancano gli omicidi, i decessiaccidentali e quelli per cause da accertare, pochi o tanti che siano.
Morti in carcere 2021: suicidi e casi da chiarire
Di carcere, in carcere, si continua a morire. Anche quest’anno le storie tragiche si contano già a decine. Per esempio. Yassine Missri stava alla Dozza, il penitenziario alla periferia di Bologna. Aveva 28 anni, faceva il barbiere. È stato trovato senza vita il 27 gennaio 2021.
Ambra Berti era della stessa età. Veniva da esperienze personali pesanti, soffriva la lontananza dai due figli piccoli e dagli altri affetti. È spirata nella casa circondariale Spini di Gardolo, a Trento, il 14 marzo 2021.
Alberto Pastore, rinchiuso a Novara, non è arrivato a 25 anni. Ha scelto di congedarsi dalla vita il 14 maggio 2021 con un gesto irreparabile, annunciato da tempo.
A Genova-Marassi sembrava che Emanuele Polizzi, il 28 maggio 2021, si fosse suicidato. Poi due compagni di detenzione del 41enne sono stati indagati per omicidio volontario.
Detenuti morti: nomi e dati nel dossier 2021 di Ristretti Orizzonti
Per il 2021 il ministero di Giustizia per ora in rete non fornisce informazioni né sui singoli decessi né sulla conta parziale, lasciando fuori omicidi e eventi accidentali o da approfondire. Pubblicherà statistiche aggregate l’anno prossimo.
Numeri ufficiosi e provvisori e notizie arrivano dal prezioso dossier “Morire di carcere“. A curarlo sono i volontari di Ristretti orizzonti, il giornale fondato nella casa di reclusione Due Palazzi di Padova. Da gennaio a fine luglio di quest’anno, scandagliando pagine e siti di cronaca e vagliando denunce e segnalazioni, i redattori della rivista e del rapporto hanno individuato e censito 78 vittime, restituendo loro la dignità del nome (dove possibile). Per svariate vittime le cause di morte sono da ricostruire, per 28 è stato suicidio.
Situazione carceri italiane: sui decessi manca trasparenza
Di molti carcerati morti si conoscono i dati anagrafici minimi, di alcuni nemmeno quelli. Via Arenula, il dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, i provveditorati regionali, i singoli istituti, le procure e le regioni (con la competenza sulla medicina penitenziaria e sulla medicina d’urgenza) non rendono noti i singoli decessi in tempo reale (se non in casi eccezionali), né informazioni di base sulle vite perse e sulle circostanze.
A far filtrare all’esterno le notizie delle morti in cella in genere sono fonti sindacali, avvocati e associazioni, familiari, operatori. Il dovere di informazione dello Stato, dicono dall’ufficio stampa di via Arenula, è ritenuto assolto con la pubblicazione dei riepiloghi annuali degli «eventi critici segnalati alla sala situazioni del Dap», cioè notificati dai singoli istituti ai referenti romani.
Suidici nelle carceri italiane e morti per cause naturali
Nel 2019 i suicidi “ufficiali” sono stati 53 e i decessi per cause naturali 90, con un solo omicidio dichiarato ad integrazione delle tabelle online. Per il 2018 i funzionari ministeriali censiscono 61 suicidi, 100 morti naturali, nessun omicidio,
Dal 1992 al 2020 il totale dei decessi in carcere per cause note (o presunte tali) supera abbondantemente quota 4.000 e senza contare poliziotti penitenziari e altri operatori : 1.514 i ristretti suicidi e 2.623 i reclusi stroncati da malanni e problemi di salute, più un numero imprecisato di vittime di uccisioni o omissioni.
Morti in carcere Modena: Antigone, la strage del Sant’Anna e altri casi
Antigone sta seguendo una serie di storie al vaglio alla magistratura e la strage del Sant’Anna di Modena (cinque vittime nella struttura emiliana e quattro durante e dopo i trasferimenti in altri penitenziari).
Per quest’ultimo procedimento, archiviato dal giudice, l’associazione ha presentato reclamo contro l’estromissione dal ruolo di persona offesa. E sta studiando possibili contromosse.
Omicidio colposo, ma c’è rischio prescrizione
Alfredo Liotta morì il 26 luglio 2012 in una cella del carcere di Siracusa. Aveva 41 anni e l’ergastolo da scontare. Una vicenda di «abbandono terapeutico», a detta di Antigone.
«ll personale medico e infermieristico non ha saputo individuare e comprendere i sintomi né il decorso clinico dell’uomo e le carenze conoscitive hanno portato al decesso Gli operatori succedutisi nella cella di Liotta, negli ultimi 20 giorni di vita, sono rimasti completamente passivi davanti alle sue patologie. Alfredo soffriva di epilessia, anoressia e depressione. Aveva smesso di bere e di mangiare».
In primo grado, il 13 ottobre 2020, cinque dei nove camici bianchi alla sbarra sono stati condannati per omicidio colposo. La sentenza è stata impugnata in appello. Sulla vicenda però incombe la prescrizione del reato, l’esito di svariate inchieste simili.
Morti sospette in carcere: mancano diagnosi e cure
Stefano Borriello, 29 anni, il 7 agosto 2015 venne stroncato da una infezione polmonare durante il tardivo trasporto dal carcere di Pordenone all’ospedale. Secondo la madre, stava male da giorni ma non era stato curato. Antigone, opponendosi alle richiesta di archiviazione, è riuscita a far portare in aula la vicenda. A giudizio è stato mandato il medico curante del carcere.
«Gli viene contestato di non aver diagnosticato l’infezione polmonare letale. Non fece alcun rilevamento dei parametri vitali, non dispose un esame clinico-toracico». La mancata diagnosi portò a non «somministrare antibiotici, quelli che avrebbe evitato il peggiorare delle condizioni di salute e portato alla guarigione». Il processo è in corso, prossima udienza a settembre 2021.
Il ragazzo che non doveva essere in prigione
Valerio Guerrieri aveva 21 anni e problemi conclamati. Il 24 febbraio 2017 si tolse la vita a Regina Coeli. Non avrebbe dovuto essere in carcere. Un giudice, 10 giorni prima, aveva revocato la custodia cautelare in cella e disposto il ricovero in Rems, una delle strutture che hanno sostituito gli ospedali psichiatrici giudiziari.
Dopo un doppio giro di richieste di archiviazione, e di opposizione, è stata disposta l’imputazione coatta per l’allora direttrice del penitenziario romano e un’altra dipendente ministeriale. Si ipotizzano i reati di rifiuto di atti di ufficio, indebita limitazione della libertà personale e morte o lesioni come conseguenza di un altro reato.
Jhonny il rapper, impiccato nel carcere di Salerno
Il 26 luglio 2020, a 23 anni, il giovane rapper Jhonny Cirillo si è tolto la vita impiccandosi con un lenzuolo alla finestra del bagno di una cella della casa circondariale di Salerno. Avrebbe dovuto esser sottoposto ad un livello di sorveglianza elevatissimo, perché si era fatto dei tagli a un braccio.
Non solo. Era in condizioni mentali preoccupanti, manifestava scoramento, minacciava lo sciopero della fame e della sete, aveva chiesto il trasferimento in una struttura esterna specializzata. Il 22 aprile 2021 Antigone ha depositato un esposto-denuncia, chiedendo verità e giustizia anche per lui.
Torture, percosse, abusi e altri decessi da chiarire
Video, esposti e denunce di torture e pestaggi hanno riportato l’attenzione investigativa, e ministeriale, su altri casi che interrogano e inquietano: un detenuto morto nel carcere della mattanza di Santa Maria Capua Vetere (Lamine Hakimi di 27 anni, inizialmente considerato un sucida ) e i tre trovati senza vita a Rieti, dopo la sommossa di marzo 2020 (Marco Boattini di 40 anni, Carlo Samir Perez Alvarez di 28 e Ante Culic di 41, per cui si ipotizzò l’overdose).
«Ad oggi – asserisce l’ufficio stampa di via Arenula – non risultano episodi di decessi di detenuti all’interno degli istituti riconducibili a personale penitenziario».
Lorenza Pleuteri
da Osservatorio Diritti
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