#miniere di ferro
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ailoche · 2 months ago
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Una passeggiata nel bosco tra storia e mistero, fino a scoprire i misteri di Ailoche, le miniere di ferro abbandonate, con la guida di, Piergiorgio Morera. #viaggiaescopri #travelwebtv #lelelatta
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explorebiella-blog · 3 months ago
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Ailoche, ritorno alle Miniere di Ferro abbandonate, il settore 14 #viaggiaescopri #travelwebtv #lelelatta
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viaggiaescopri · 5 months ago
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Ailoche, ritorno alle Miniere di Ferro abbandonate, il settore 14 #viaggiaescopri #travelwebtv #lelelatta
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castelliditalia · 2 years ago
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ANTICA DESCRITIONE DI BARDI
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Il castello di Bardi, con la sua mole ed il suo inconfondibile profilo che caratterizza tutto il paesaggio circostante, è uno dei più affascinanti del Parmense, per la sua arditezza, la sua mole ed il fascino dei suoi intricanti cunicoli, i sotterranei ed i camminamenti.
Carlo Natale, un pittore ed incisore cremonese, nonchè allievo di Guido Reni, vissuto dal 1590 al 1683, ci ha lasciato una bellissima serie di incisioni che descrivono l'antica val Ceno corredate da interessanti annotazioni, di cui voglio riportarne alcune particolarmente suggestive. Tutte antichissime descrizioni che trovano eco ancor oggi in molte realtà del territorio.
Dovete sapere infatti che "Bardi è Cappo della Val di Ceno (...) ha una fortezza in cima à uno sasso tutto rosso, durissimo, e altissimo fuori d'ogni scalata, fortificata per ogni forte di Batteria, monitionata si di vivere, come d'Artiglieria, & altre monitione per offesa, e difesa.
Il Principe Don Federico l'ha ampliata , fortificata, monitionata, e abbellita con appartamenti, giardini, fontane, grotte, tre armerie da fuoco, da ruotta, e da taglio, e fra l'altre arme antiche, che vi sono vi è la spada di Carlo Quinto Magno Imperatore donatale dal Rè di Spagna Filippo II.
Una speceria di quinta essenza, & altre cose rare, và facendo una libraria. (...) V'è una capella ben'ornata con Reliquie, e messe cotidiane. Ha molini, cisterne, botteghe, e ciò che è bisogno. (...) Vi è la Zecha, vi sono dottori de theologia, lege, e medicina".
Tra le bottege e gli artigiani presenti a Bardi, vengono menzionati anche "tre Maestri di lima perfetissimi" e "Lettori di Casi di conscienza".
E la descrizione del territorio continua pittoresca... "Vi è San Giouanni parrochia ancor lei, nella quale se vi fà la vita Christiana. Si fanno hora un'hospitale per l'infermi e pellegrini, e una Compagna De Disciplinati. (...)
Ha miniere di ramo, di ferro, di alabastro codignino, alcuni christalli. Vi è una bellissima miniera di pietre per fare collono, & altri edifici, certi diamantini picoli tanto belli, e tagliati a facete, che paiono fatti à posta". Ancor oggi presso Bardi esiste un luogo chiamato "il bosco dei diamanti" dove io stesso ho trovato diversi cristalli purissimi di quarzo, ed anche in alcuni torrenti nei dintorni si trovano interessanti minerali.
L'autore non manca poi di citare la mitica Città d'Umbrìa: "Vi sono le ruine della Città d'Ombria, gira uno miglio, si vedono ancora le ruine delle muraglie delle case in cima al monte Occa, iui è un monte detto Barregaz, al quale si vede ancora intorno il fosso, & trinchiere intagliate con pietra, che rende segno della sua antichità, e segno, che iui era alloggiato l'essercito che espugnò detta città".
Molto interessante anche la descrizione di altri tesori e della fauna che in quel tempo viveva nelle nostre montagne:
"Si trouono in molti luoghi Medaglie d'argento con l'Impronto, de Romani avanti l'Imperatori. Ha bellissime caccie di Lepri, Pernici, Luppi ceruieri, Orsi, ha li monti Peschiere. Vi nascono Astori, Sparuieri, e falconi esquisiti: aria buonissima, e salutifera ad ogni tempo (...) Hà molti boschi, monti, valli, piane, diversi riui, e fontane, quali vi è una fontana che guarisce li Cutanei.
Il Principe vi hà introdoto hora la razza de Caualli", invero si tratta di cavalli originariamente introdotti dalla Gallia Belgica dai Romani, cavalli piccoli e forti, adatti alla montagna. Il Principe tentò di "migliorare" questi animali con diversi incroci con cavalli arabi, giungendo all'attuale razza divenuta tipica di questa zona, il cavallo bardigiano appunto, razza che rischiò di scomparire agli inizi dello scorso secolo, ma oggi fortunatamente recuperata e protagonista dell'annuale fiera che si tiene in agosto.
da Libro della descritione in rame de i Stati et Feudi Imperiali di Don Federico Landi raccolte ed intagliate da Carlo Natale pittor cremonese - sec. XVII
by Il Viaggiatore senza Meta
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personal-reporter · 2 years ago
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La storia tra le righe a Legnano
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Da venerdì 14 a domenica 16 aprile  a Legnano è il momento di La storia tra le righe, prima edizione del festival di Letteratura Storica ideato da Fondazione Palio e del Comune di Legnano, con Incipit Eventi culturali e letterari di Amanda Colombo e la collaborazione di Università Cattolica del Sacro Cuore, Università Statale di Milano, Università degli Studi Milano Bicocca e Fondazione Arte della Seta Lisio-Firenze. A inaugurare il Festival venerdì 14 aprile alle 21 sarà Marcello Simoni, che guiderà gli spettatori alla scoperta di come nasce un romanzo storico, tra fatti veri ed elementi narrativi, nell’incontro La Storia nelle storie: la magia del romanzo storico. Sabato ci saranno Paola Cereda alle 15, vincitrice del Premio Wondy-Giuria popolare, su una storia di Resistenza ambientata fra le miniere di ferro dell’Isola d’Elba, e Federico Canaccini alle 17, noto storico medievista, che ripercorre le 21 battaglie più importanti del Medioevo, le evoluzioni tecnologiche, le trame politiche e le strategie militari. Arriveranno poi Fulvio Ferrario alle 19, che illustrerà la storia di Lutero e della Riforma, e dei risvolti che questa ha avuto sulla contemporaneità, e Marco Buticchi alle 21, che in occasione del centenario della scoperta della tomba di Tutankhamon, racconta cosa ha portato al celebre ritrovamento e la storia del Faraone bambino. Domenica ci sarà il giornalista e storico Luigi Barnaba Frigoli  alle 15, che dalla straordinaria figura di Bona Lombardi racconterà la forza delle donne nei secoli, tra la loro capacità di combattere, la fine abilità politica e l’astuzia e la scrittrice Carla Maria Russo alle 17), presenterà l’avvincente storia di due donne italiane nell’America del Primo Novecento, una che uccide per difendersi e la prima avvocata che si batte per salvarle la vita. Chiuderà Alessandro Milan alle 19), giornalista di Radio 24, che partendo da una pietra d’inciampo ripercorre le storie di partigiani silenti nella Milano della Resistenza. Saranno tre i laboratori a tema storico dedicati ai più piccoli: Mistero al Castello, un giallo medievale per giovani investigatori, nel quale i piccoli partecipanti si trasformeranno in Giovani Cavalieri del Quinto Sigillo, Dov’�� finito il tesoro degli Allahakbarries, con enigmi, trucchi e misteri da risolvere per arrivare all’agognato scrigno, con Luca Crovi e Alla scoperta del Castello: storia e storie delle contrade, una lettura animata sul Palio e le Contrade, tra risate, emozioni e tanta fantasia, a cura di Fortuna Nappi. Read the full article
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abr · 3 years ago
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il Donbass è una delle regioni (...) più ricche non solo di carbone, gas e petrolio, oltre che di ferro, manganese, titanio e uranio, ma è anche l’area dove si trovano le maggiori riserve in Europa di metalli e terre rare, che sono alla base dell’industria del futuro, perché utilizzati nell’industria hi-tech e nella green economy. (...) L’Ucraina è la più grande riserva in Europa di manganese, con 2,26 miliardi di tonnellate, localizzate soprattutto nel bacino del Dnipro. Possiede oltre 30 miliardi di tonnellate di ferro, pari al 6% delle riserve mondiali. Degli 88 giacimenti in tutto il Paese, la maggior parte sono nel Donbass: a Kremenchuk, Kerch, Mariupol, Belozersky e Kryvyi Rih. Il Paese ha poi la più grande riserva d’Europa di manganese (550 mila tonnellate nel 2020). È al primo posto in Europa per le riserve di titanio: nell’ex Unione sovietica era lo Stato con il monopolio per la produzione di titanio concentrato e oggi rappresenta il 20% del mercato globale. Idem per i depositi di uranio (...). L’Ucraina detiene inoltre il 20% delle risorse mondiali di grafite e il primato mondiale del caolino, un’argilla usata nell’edilizia, in agricoltura e nella cosmesi, con il 18% delle riserve globali. Poi ci sono i combustibili fossili: nelle miniere del Donbass, soprattutto nella zona di Donetsk e nel bacino del Dnipro, sono custodite oltre 100 miliardi di tonnellate di carbone. In questa regione si trovano giacimenti per 135 milioni di tonnellate di petrolio e 1,1 trilioni di metri cubi di riserve di gas naturale. Ma il vero tesoro sono i metalli e le terre rare, che includono tra gli altri berillio, litio, tantalio, niobio, neon, zirconio. È una ricchezza ancora da sfruttare, promette un vantaggio competitivo nell’economia del futuro. Per questo è ambita dallo zar di Mosca.
Senza dirlo né volerlo, il CdS ci offre un ulteriore spiegazione del perché, secondo chi manovra Biden, è cosa buona e giusta che gli europei muoiano per l’Ucraina; via  https://www.corriere.it/economia/finanza/22_aprile_09/terre-rare-carbone-metalli-perche-donbass-cosi-prezioso-putin-vuole-54571948-b847-11ec-8f4b-d04246868aa8.shtml
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paoloxl · 4 years ago
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12 gennaio 1986: Nasce Jack London
«Caro compagno, tuo per la Rivoluzione». Rileggendo Jack London
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Centoquarant’anni fa nasceva Jack London. E questo non è un saggio ma solo l’intreccio di alcune suggestioni. Nel 1905 Corto Maltese, l’antieroe di Hugo Pratt, è presente in Manciuria al tempo della guerra russo-giapponese. Qui incontra proprio il giornalista e scrittore Jack London. Fa la conoscenza anche con il personaggio che lo seguirà, volente o nolente, in molte delle sue avventure: Rasputin, allora disertore dell’esercito zarista ed assassino senza motivo. È London a presentare Rasputin a Corto Maltese, che sta per imbarcarsi per l’Africa in cerca delle miniere di Re Salomone. Nel 1908 torna inArgentina, dove incontra nuovamente l’amico London. 
In realtà, John Griffith Chaney è nato  a San Francisco, il 12 gennaio 1876, abbandonato dal padre alla nascita, prende il proprio cognome dal  padre adottivo, John London. Nel corso della sua turbolenta giovinezza, Jack London fu pirata nella Baia di San Francisco, a Oakland e a Benicia, hobo vagabondo sui treni del Nord America, cacciatore di foche nell’Artico e cercatore d’oro nel Grande Nord. Molte vicende della sua incredibile biografia sono raccontate nei suoi romanzi, capolavori come Il tallone di Ferro, Il richiamo della foresta, Zanna Bianca, Martin Eden, Il lupo di mare, John Barleycorn, Il vagabondo delle stelle, La valle della luna, L’ammutinamento della Elsinore, Burning Daylight, La crociera dello Snark.
London pubblicò cinquanta volumi e cinquecento scritti di vario genere (articoli, racconti, saggi) e  continuò a vivere esperienze romanzesche: studiò i modi per praticare l’agricoltura sostenibile nel suo ranch a Glen Ellen; viaggiò per mare; fu corrispondente di guerra, reporter, fotografo, conferenziere. Rivoluzionario socialista lucido e poi disilluso, London non abbandonò mai la speranza in un riscatto per chi veniva dagli abissi della società. Morì tragicamente il 22 novembre 1916 per suicidio o per una accidentale overdose di antidolorifici. Anche questo episodio troverà un’eco nell’ultimo, recentissimo episodio di Corto Maltese, ambientanto nel “Grande Nord” londoniano, scritto da Juan Diaz Canales e disegnato da Ruben Pellejero, vent’anni dopo la morte di Hugo Pratt.
Un rapporto dell’Fbi, datato 1927, sottolinea il contenuto sovversivo degli scritti di Jack London: «Molti dei lavori di London rimandano a contenuti radicali, magari non apertamente, ma in un modo così convincente da essere tra i migliori scritti di propaganda esistenti».
Popoff propone l’incipit di Rivoluzione, uno degli articoli che compone l’omonima raccolta, e l’articolo-racconto “Perché sono diventato socialista”. Buona lettura
Rivoluzione
Nel 1909 Jack London raccoglie alcuni dei suoi migliori scritti e pubblica Revolution and Other Essays, un libro in cui intreccia fantapolitica e teorie scientifiche e che si abbatte come un ciclone sul mercato editoriale, scatenando gli aspri attacchi dell’establishment. Riproposto nel 2007 per la prima volta in Italia,Rivoluzione rivela tutta la sua inquietante attualità in tredici profetiche riflessioni, sorrette dalla scrittura mozzafiato di Jack London, che riesce a trasformare sociologia, scienza, filosofia e politica in splendida letteratura.
L’altro giorno ho ricevuto una lettera. Veniva dall’Arizona e iniziava così: “Caro compagno.” Alla fine la persona concludeva con “Tuo per la Rivoluzione”. Per rispondere ho aperto così la mia lettera: “Caro compagno.” e ho concluso con “Tuo per la Rivoluzione”. Negli Stati Uniti ci sono quattrocentomila persone su quasi un milione, tra uomini e donne che cominciano le proprie lettere con  che “Caro compagno” e le concludono con “Tuo per la Rivoluzione”. In Germania tre milioni di persone cominciano le proprie lettere con “Caro compagno” e le concludono con “Tuo per la Rivoluzione”; in Francia sono un milione, in Austria ottocentomila; in Belgio trecentomila; in Italia duecentocinquantamila; in Inghilterra centomila; in Svizzera; centomila; cinquantacinquemila in Danimarca; trentamila in Spagna – sono tutti compagni, tutti per la Rivoluzione.
Sono numeri, questi, che fanno impallidire le grandi armate di Serse e di Napoleone. Ma non sono i numeri della conquista e del mantenimento dell’ordine costituito, bensì le cifre della conquista e della rivoluzione. Lanciato il richiamo, queste persone compongono l’esercito di sette milioni di uomini e donne che, in rapporto alle attuali condizioni, lottano con tutte le forze per portare il benessere nel mondo e rovesciare completamente l’ordine della società che conosciamo.
Non c’è mai stata una rivoluzione del genere nella storia del mondo. Non vi è alcuna analogia con la rivoluzione americana o quella francese. Questa rivoluzione è unica ed è colossale. A confronto, le altre rivoluzioni sono come asteroidi davanti al sole. E’ l’unica del proprio genere perché è l’unica rivoluzione mondiale in un mondo la cui storia abbonda di rivoluzioni. Non solo: si tratta anche del primo movimento organizzato di uomini e donne che diventa movimento mondiale, i cui confini sono i confini del pianeta stesso.
Sono tanti gli aspetti che rendono questa rivoluzione così diversa da tutte le altre rivoluzioni. Essa non è sporadica e casuale. Non è una fiammata dello scontento popolare che un giorno si leva e quello dopo svanisce. E’ una rivoluzione più vecchia della generazione che la rappresenta e una storia con le sue tradizioni, con un elenco di martiri che solo quello della cristianità supera. Ha anche una propria letteratura che è milioni di volte più scientifica, imponente e accurata della letteratura di qualsiasi rivoluzione precedente.
Queste persone si descrivono con la parola “compagno”: compagno della rivoluzione socialista. Non si pensi che sia una parola vuota, coniata giusto per fare effetto. Questa parola rinsalda i legami tra le persone affratellandole come dovrebbero, rendendole salde e unite sotto il rosso stendardo della rivolta. Non fraintendiamo: questo stendardo rosso simbolizza la fratellanza degli uomini, non l’incendiario significato che gli viene attribuito dalla spaventata mente borghese. Il legame tra i rivoluzionari è vivo e caloroso. Supera i confini geografici, trascende il pregiudizio razziale e si è dimostrato persino più potente del Quattro di Luglio, l’americanismo dell’aquila con le ali spiegate dei nostri progenitori…
*da Rivoluzione, di Jack London, Mattioli 1885, 2007, 16 euro.
Come sono diventato socialista
È BENE SPIEGARE CHE SONO DIVENTATO SOCIALISTA IN UN MODO PIUTTOSTO SIMILE A QUELLO IN CUI I PAGANI TEUTONICI DIVENNERO CRISTIANI: MI FU SCOLPITO A FORZA. Non solo al momento della mia conversione non ero un simpatizzante del socialismo, ma lo stavo combattendo. Ero molto giovane e inesperto, non sapevo molto e anche se non avevo mai sentito parlare di una scuola chiamata «individualismo» elogiavo la forza con tutto il mio cuore.
Questo perché ero forte. Per forte intendo dire che godevo di ottima salute e avevo muscoli d’acciaio, caratteristiche ben visibili. (…) Il mio ottimismo era dovuto al fatto che fossi sano e forte, non avevo debolezze né venivo mai cacciato da un padrone perché non ero in forma; avevo sempre trovato un lavoro, che fosse spalare carbone o stare sulle navi, o qualsiasi altro lavoro manuale.
Per questo motivo, soddisfatto della mia giovane vita e in grado di mantenere il mio posto di lavoro e di vincere nella lotta, ero un individualista rampante. Era piuttosto naturale perché ero un vincente. Perciò consideravo la concorrenza e la competizione una cosa da veri uomini. Essere UOMO significava scrivere questa parola a caratteri cubitali nel mio cuore. Avventurarmi e combattere come un uomo, svolgere il lavoro di un uomo (anche per una paga da ragazzo), queste erano le cose che avevo raggiunto e che si facevano parte di me come nessun’altra. E guardando avanti all’orizzonte di un futuro nebuloso e interminabile, giocando a quello che ho concepito essere il gioco dell’uomo, avrei continuato a viaggiare, godendo di ottima salute, senza incidenti e con muscoli sempre vigorosi. Come dicevo, questo futuro appariva interminabile. Mi vedevo affrontare una vita senza fine come una delle bestie bionde di Nietzsche, desiderosa e conquistatrice di superiorità e di forza pura.
Devo confessare che non pensavo ai disgraziati, ai malati e agli uomini in difficoltà, ai vecchi e ai mutilati, se non maturando che, a meno di incidenti, avrebbero potuto essere efficienti nel lavoro quanto me, se lo avessero voluto realmente. Gli incidenti rappresentavano il fato, scritto anche in maiuscole e non c’era possibilità di evitarlo. Napoleone aveva avuto un incidente a Waterloo, fatto che non ha smorzato in me il desiderio di essere un novello Napoleone.
(…) La dignità del lavoro era per me la cosa più importante. Senza aver letto Carlyle o Kipling, formulai un vangelo del lavoro che avrebbe messo i loro in ombra. Il lavoro era tutto: santificazione e salvezza. Non potreste comprendere l’orgoglio che ottenevo da una dura giornata di lavoro. Ero uno fra gli schiavi salariati più coscienziosi che un capitalista avrebbe mai potuto sfruttare. Mostrarmi inoperoso agli occhi dell’uomo che mi pagava il salario era un peccato, in primo luogo, contro me stesso e in secondo luogo, contro di lui. Lo consideravo un crimine secondo solo al tradimento ma altrettanto malvagio. In breve, il mio individualismo eroico era dominato dall’etica ortodossia borghese. Leggevo giornali borghesi, ascoltavo i predicatori borghesi e non reagivo alle banalità urlate dai politici borghesi. Non dubito che se altri eventi non avessero cambiato la mia vita, mi sarei trasformato in un crumiro professionista (uno degli eroi americani del Presidente Eliot), la mia testa e le mie capacità di guadagno sarebbero state irrimediabilmente distrutte da un manganello nelle mani di qualche sindacalista militante.
Ma un giorno, di ritorno da un viaggio in mare lungo sette mesi, appena compiuti diciotto anni, pensai di cominciare a vagabondare per il mondo. Tra i bagagli dei treni merci abbandonai l’Occidente, dove gli uomini lottavano e il lavoro non mancava e cacciava l’uomo, mi avventurai verso i centri di lavoro industriali dell’Oriente, dove gli uomini erano inetti e cercavano lavoro. In quest’ avventura mi sono trovato a guardare alla vita da un punto di vista nuovo e completamente diverso. Ero passato dal proletariato a quello che i sociologi amano chiamare il «decimo sommerso», ed ero sorpreso di scoprire il modo in cui veniva reclutato questo sommerso.
Vi trovai ogni sorta di uomini, molti dei quali un tempo erano stati in buona salute come me, come le «bestie bionde»; marinai, soldati, operai, tutti lacerati e deformati dalla fatica, dal travaglio e dagli incidenti, alla deriva come cavalli alla fine della loro carriera. Ho mendicato, rabbrividivo con loro per il freddo sui carri merci e nei parchi pubblici, ho ascoltato storie di vita iniziate sotto i migliori auspici come la mia, con forza fisica pari o migliore alla mia, che si sono concluse sotto i miei occhi con lo sfascio e il risucchio nella parte più misera della fossa
E mentre ascoltavo queste storie ho iniziato a riflettere. Ero vicino alle donne di strada e agli uomini delle fogne. Ho visto l’immagine della fossa sociale tanto vividamente come se fosse una cosa concreta e li ho visti in fondo alla fossa, io sopra di loro, non lontano, appeso alla parete scivolosa con forza e sudore per non scivolare. Confesso di aver avuto paura. Che sarebbe successo quando non avrei avuto più le forze? Quando non sarei più stato in grado di lavorare al fianco di uomini giovani e forti? In quel momento decisi e formulai un giuramento simile a questo: «Ho sempre lavorato con tutte le forze, ma sono sempre più vicino al fondo della fossa. Uscirò fuori dalla fossa, ma non grazie ai muscoli del mio corpo; e non svolgerò più il lavoro duro e che Dio mi fulmini a morte se lavorerò ancora in modo duro, più di quanto il mio corpo possa sopportare o sia assolutamente necessario fare». E da quel momento mi sono dato da fare per sfuggire al duro lavoro.
Tra l’altro, durante un viaggio di circa diecimila miglia attraverso Stati Uniti e Canada, mi trovai a vagabondare alle Cascate del Niagara e fui beccato da un poliziotto borghese; mi è stato negato il diritto di difendermi, sono stato condannato a una pena detentiva di trenta giorni perché senza fissa dimora e senza mezzi visibili di sostentamento, sono stato ammanettato e incatenato a un gruppo di uomini nelle mie stesse condizioni, sono stato portato giù al paese di Buffalo e registrato presso il penitenziario di Erie County; mi hanno rasato la testa e i baffi e mi hanno vestito a strisce da carcerato, sono stato vaccinato obbligatoriamente da uno studente di medicina praticante, mi hanno fatto marciare incatenato e ho lavorato sorvegliato da guardie armate di fucili Winchester; il tutto per amore dell’avventura, come le «bestie bionde». Non ho altro da aggiungere sebbene possa affermare che questa esperienza ha attenuato il mio entusiastico patriottismo, abbandonando la mia anima. Ho compreso che per la mia vita uomini, donne e bambini erano più importanti delle linee geografiche immaginarie.
Ritornando alla mia conversione, penso sia evidente che l’individualismo rampante mi aveva abbandonato e che adesso dentro di me nasceva qualcos’altro. Senza saperlo ero stato un individualista e adesso ero un socialista inconsapevole, di stampo non scientifico. Ero rinato senza cambiare nome e andavo in giro a scoprire cosa fossi diventato. Tornai di corsa in California e iniziai a leggere. Non mi ricordo quale fu la mia prima lettura, ma è un dettaglio irrilevante. Ero già quell’altro, qualunque fosse il mio nome; e con l’aiuto dei libri ho scoperto di essere diventato socialista. Da quel giorno ho letto parecchi libri, ma nessuno di argomento economico; nessuna dimostrazione lucida della logica e dell’inevitabilità del socialismo mi ha colpito così tanto profondamente e in modo talmente convincente quanto quel giorno in cui ho visto le pareti della fossa sociale crescere intorno a me fino a soffocarmi e io che scivolavo in fondo alla miseria più profonda.
* tratto da «Lotta di classe e altri saggi sul socialismo di inizio ’900» (collana Persistenze, prefazione di Goffredo Fofi, pagine 128, euro 14,00) pubblicato nel 2013 da Malcor D’Edizione
 
 
da Popoff
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corallorosso · 4 years ago
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IL PROFUMO DELL'ORO MALI : Padre Pier Luigi Maccalli e Nicola Chiacchio sono stati liberati. I due italiani, prigionieri di gruppi terroristici in Mali, sono stati rilasciati "unitamente" all' ostaggio francese Sophie Pétronin e a Soumalia Cissé, alta personalità maliana nelle mani degli jihadisti. Ho scritto "unitamente" in quanto la liberazione degli Italiani é avvenuta grazie alla pressione delle Forze Armate francesi che da anni occupano il territorio maliano. La Francia ha inviato in Mali, 4500 soldati nel corso degli ultimi due anni. A questi se ne sono aggiunti altri 600, oltre ad un centinaio di carri armati e autoblindo che hanno supportato (ovviamente non in modo ufficiale) il colpo di stato e la deposizione del presidente Ibrahim Boubacar Keita, il 19 agosto ad opera di un gruppo di militari, addestrati nei campi di formazione, dai francesi stessi. La giunta militare maliana ha provveduto negli ultimi giorni a liberare 180 terroristi rinchiusi nelle carceri, richiedendo come contropartita la liberazione appunto di Sophie Pétronin e Soumalia Cissé. Nel villaggio di Tessalit, oltre agli ostaggi francesi, erano presenti anche i due italiani che sono stati liberati "unitamente" a loro. Una sorta di PAGHI 2, PRENDI 4. Sono ovviamente molto felice per l'esito positivo della vicenda, ma MOLTO INFASTIDITO dalle solite roboanti, false e stucchevoli dichiarazioni del ff (facente funzione) ministro degli esteri che ha rivendicato la bontà del suo lavoro e della Farnesina tutta, attribuendosi il merito della liberazione. Se non fosse stato per i francesi, col cacchio che i due italiani sarebbero liberi. E questo per onestà va detto. Vi ricordo che Il Mali è uno dei Paesi del Sahel, una striscia territoriale che comprende, oltre a lui, Senegal, Mauritania, Burkina Faso, Algeria, Niger, Nigeria, Ciad, Sudan, Eritrea ed Etiopia settentrionale. Il Sahel è caratterizzata dalla grande presenza di militanti jihadisti e da un importante traffico di esseri umani. Nel Mali centrale, una moltitudine di gruppi armati lotta per il controllo sfruttando la povertà delle comunità emarginate e infiammando le tensioni tra gruppi etnici. La Francia, a seconda delle risorse del territorio, ha da anni impegnato molti soldati nel controllo del Paese, e oltre 70 soldati francesi, sono morti per difendere e per tutelare appunto le sette miniere d'oro che includono: Kalanae Morila nel Mali meridionale; Yatela, Sadiola e Loulo nel Malioccidentale.Miniere che fanno del Mali il terzo produttore africano di oro. I Francesi controllano inoltre le miniere di URANIO, quelle di DIAMANTI e quelle di FERRO, BAUXITE e MANGANESE situate a Kayes e Sikasso, non lontane dal villaggio dove erano prigionieri gli ostaggi. Questo va detto per onor di verità e per togliere dal famoso carro dei vincitori chi, come sempre, ci sale senza alcun merito. Claudio Khaled Ser
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love-nessuno · 4 years ago
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LA PIÙ GRANDE BUGIA MAI RACCONTATA
6 milioni di italiani tra disoccupati e inattivi, 5 milioni in povertà assoluta, 10 in condizioni di povertà relativa.Eppure ci sono strade da rifare, ponti e gallerie da manutenere, metropolitane da costruire, reti autostradali e ferroviarie da ampliare. Scuole e Ospedali da abbattere e ricostruire, territori da mettere in sicurezza dal rischio idrogeologico e sismico.Fabbriche da aprire, poli industriali da ricreare, distretti portuali da organizzare. E ancora le centrali per la produzione di energia pulita. Sistemi educativi da ripensare. Trasformare questa fase storica di bassa natalità in un’occasione per ridisegnare completamente l’insegnamento riducendo drasticamente il rapporto tra insegnanti e numero di alunni per classe. Aumentando di molto il numero e il salario dei primi. Quasi una didattica personalizzata. E poi gli investimenti nella ricerca. Eppure il Paese sta lentamente morendo. Da diversi decenni ormai. Perché?Una domanda e un'offerta che non riescono a incontrarsi, a diventare effettive. Perché? Perché manca – ci ripetono da tanto, troppo tempo - il mezzo di comunicazione finanziario per mettere in connessione due bisogni reali, che non hanno scarsità del bene da scambiare, ma della valuta che regola questo scambio.Perché “Mancano i soldi”, insomma.Una delle più grandi balle che siano mai state raccontate. E quella forse con le conseguenze più gravi sulla vita di milioni di essere umani.La BCE negli ultimi anni, solo per l'acquisto dei titoli pubblici, ha creato dal nulla 2,15 trilioni di euro. Due virgola quindici trilioni di euro. Dal nulla. Non estratti dalle miniere o dalle nostre tasse. Tanto meno dai soldi dei pensionati norvegesi.Non mancano mattoni, ferro, cemento, materie da lavorare, da trasformare che giustifichino tutti i poveri e i disoccupati.  Che giustifichino tutta questa disperazione.Si tratta solo di un modello economico fondato sulla scarsità, sulla privazione, dal lato della domanda. E sullo spreco dal lato dell'offerta.Eppure alla bugia, alla falsa credenza della scarsità di denaro hanno, nel tempo, risposto in tanti.Come Keynes, che in un’intervista alla BBC radio del 1942 all’intervistatore che gli chiedeva da dove provenissero i soldi necessari, rispose:«Vi racconterò come risposi a un famoso architetto che aveva dei grandi progetti per la ricostruzione di Londra, ma li mise da parte quando si chiese: ”Dov’è il denaro per fare tutto questo?”. “Il denaro? – feci io – non costruirete mica le case col denaro? Volete dire che non ci sono abbastanza mattoni e calcina e acciaio e cemento?”. “Oh no – rispose – c’ è abbondanza di tutto questo. “Allora intendete dire che non ci sono abbastanza operai?”. “Gli operai ci sono, e anche gli architetti”. ”Bene, se ci sono mattoni, acciaio, cemento, operai e architetti, perché non trasformare in case tutti questi materiali?”. Insomma possiamo permetterci tutto questo e altro ancora».O come il premio Nobel James Tobin:«L’intero obiettivo del sistema economico è la produzione di beni o servizi da destinare al consumo nel presente o nel futuro. Penso che l’onere della prova debba cadere sempre su coloro che tendono a produrre meno anziché di più, su coloro che tendono a lasciare inoperosi uomini o macchinari o terra che potrebbero essere usati. È stupefacente quanti motivi si riescano a trovare per giustificare tale spreco: paura dell’inflazione, disavanzi della bilancia dei pagamenti, bilancio non in pareggio, debito nazionale eccessivo, perdita della fiducia nel dollaro».La povertà, la disoccupazione, la disuguaglianza sociale, le milioni di vite distrutte, il futuro strappato alle nuove generazioni costrette a emigrare. Tutte queste atrocità non sono frutto del destino infame, sono una scelta politica. Dettata da tornaconto personale di pochi e dalle false credenze di alcuni. Sulle quali ci si sta però giocando la vita, i sogni, le speranze, il futuro di intere popolazioni.Gilberto Trombetta
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sciatu · 4 years ago
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IL MARESCIALLO MUSCARA’ e il caso RIDI PAGLIACCIO
Il Maresciallo Muscarà chiuse spingendolo lo sportello della sua panda e si specchiò nel lucido color blu della macchina.  Osservò il suo pantalone di lino color avana con ancora la riga perfetta di quando sua moglie l’aveva comprato per una crociera che non avevano mai fatto a causa della sua malattia che subentrò poco dopo. Anche la sua maglietta era nuovissima malgrado il suo collega Petyx gliela avesse regalata due anni prima per il compleanno. Si guardò schifato. Da quando sua moglie era morta aveva indossato solo la sua divisa ed ora, a vedersi “in borghese” si sentiva un cretino. “Meglio così – pensò – nessuno sospetterà” chiusa la porta si girò dirigendosi verso la locanda bianca dalle finestre azzurre che si trovava vicino alla fine della spiaggia fuori di Sciacca. Qualche anno prima vi aveva trovato l’ing. Rachele Valsecchi, scomparsa misteriosamente a Palermo qualche giorno prima. L’ingegnere era in compagnia di Mancino, una vecchia conoscenza del Maresciallo e che aveva passato buona parte dei suoi anni in carcere perché mentre era in cella per vari reati contro il patrimonio, aveva strozzato un energumeno con la sola mano sinistra. Benché originari di due culture e città diverse, vinti o forse traditi dalla solitudine in cui vivevano, Mancino e l’ingegnere si erano messi insieme e vivevano il loro amore come marinai che tornavano al porto e all’amore, poche settimane l’anno vivendolo però in modo assoluto e totale. Sebbene l’ingegnere lavorasse in una fonderia di Brembana di Sopra, provincia di Bergamo, si vedevano regolarmente appena lei aveva una settimana di ferie; allora, la prima cosa che l’ingegnere Valsecchi faceva una volta tornata in Sicilia, era invitare il Maresciallo a cena, cosa che lui accettava volentieri, perché in carcere Mancino aveva avuto modo di sviluppare il suo talento culinario. Uno scampanellio festoso lo annunciò appena varcò la locanda. Il ristorante era pienissimo ed i camerieri si muovevano velocemente dalla cucina ai tavoli. Dalle grandi vetrate che davano sulla spiaggia si vedeva la lunga distesa di sabbia bordata dalla striscia azzurra del mare. Nella spiaggia svettava, come il trono di una regina, il gazebo di canne e tronchi in cui quando arrivava, si riposava l’ing Valsecchi, sorseggiando vino bianco freddissimo e organizzando viaggi in altri continenti in cui trascinava Mancino a scoprire cibi e popoli mai conosciuti. “Mi dispiace ma non c’è posto…. Dovrebbe tornare fra un’oretta” Fece costernato un cameriere con le braccia colme di piatti sporchi. “ Dica al padrone che è arrivato….” “Marescialluuuuu” Gridò un vocione forte e baritonale. Apparve d’improvviso un omone alto quasi due metri con due braccia grandi e muscolose che allargate erano pronte, malgrado la separazione sociale dell’era Covid, ad abbracciarlo e a stringerlo contro il petto grande quanto un armadio. Era Mancino! “Ma che fai qua Maresciallo, Rachele viene tra due settimane, te lo sei dimenticato?” “No, me lo ricordo, è che ….. ti dovevo parlare” Mancino lo guardò stupito. In passato era stato lui a chiedere consiglio al Maresciallo e la cosa gli apparve strana, ma si riprese subito “S’assittasse davia al posto di Rachele, la servo subito, Cosimooo – gridò verso un cameriere - porta al tavolo della signora Rachele acqua naturale e il bianco del Baglio del Cristo” Al Maresciallo si aprì il cuore: il bianco del Baglio era il vino preferito dell’ing. Valsecchi, vino che nasceva in una terra gessosa simile a quella dello Champagne francese, Mancino ne era gelosissimo e offrirglielo dimostrava quanto fosse contento di vederlo. Si andò al sedere al tavolo riservato all’ing Rachele dove Mancino non faceva mai sedere nessuno e che era sempre apparecchiato con nel mezzo un piccolo vaso di cristallo che conteneva una rosa rossa colta al mattino. Arrivarono con calma dei gamberi crudi marinati nell’olio di Castelvetrano, poi dei tagliolini con la polpa di riccio che diedero al vino in gusto aromatico ed intenso, infine un branzino all’acqua di mare con capperi e olive verdi addolcito da delle patate al forno. Quando Cosimo levò il piatto ed ormai nel ristorante c’era solo il Maresciallo, apparve Mancino, con una bottiglia di limoncello che preparava lui personalmente e un piatto generoso di paste di mandorle. “Allora Maresciallo che è successo? Non è che ti hanno mandato in pensione perché rompi sempre i coglioni? “Chi? io? Ma se sono un pezzo di pane “ Rispose ridendo il Maresciallo alzando il bicchiere colmo di limoncello freddo a toccando quello di Mancino. Bevvero in silenzio due o tre sorsi di limoncello e quando finirono misero giù i bicchieri leccandosi le labbra di quello che sulla bottiglia, un etichetta scritta a mano, identificava come “Il bacio di Rachele” “ devo chiederti un consiglio! – esordì il Maresciallo – sia chiaro, non c’è nessuna inchiesta, sono tutte congetture mie, sono qui in visita privata solo  per sentire della prossima visita di Rachele e …..  ho lasciato il cellulare in ufficio” Mancino approvò alzando il mento e riempì ancora i bicchieri. “ Si tratta di pensieri miei, niente di ufficiale! “ “Dimmi…” Fece Mancino leccandosi ancora una volta le labbra. Il Maresciallo prese un pasticcino e lo mise davanti a Mancino “lunedì scorso ero sulla strada che sale verso la Contrada Croce, al paese dove c’è la mia caserma. La contrada è una valle  ircondata da colline ed ha la forma di un ferro di cavallo con le più alte cime nella parte curva, monti rocciosi desolati e pieni di miniere. Io ero sul lato destro del ferro di cavallo lungo una strada che dal paese sale con una forte pendenza fino alle miniere per poi ridiscendere verso la parte opposta colma di vigneti, uliveti e case coloniche. La domenica, dopo la messa, i contadini e pastori mi avevano parlato di strani movimenti dove vi erano le miniere. Ero a metà della salita dove c’era uno spiazzo da dove osservavo con il binocolo il resto della valle, quando sentii l’appuntato Cacace commentare “Vadda a chistu….” Mi giro e vedo una grossa macchina, uno di quelle Land Rover grossissime che scendeva a velocità folle. Quando ci passa davanti suona disperatamente ed io sento distintamente un grido terribile :”Aiuto”!! Io e Cacace saltiamo in macchina e seguiamo ad alta velocità il macchinone. Lui però è troppo veloce e ci distanzia facilmente. Alla fine arriva dove la strada fa una curva a gomito urta il muretto sul bordo della strada e lo sfonda facendo un salto di cinquanta metri e schiantandosi nella fiumara esplodendo. Quando io e Cacace raggiungiamo il mezzo in fiamme, dell’uomo restano poche cose ma appare chiaro che l’uomo era ammanettato al volante che, a seguito degli accertamenti tecnici successivi, era apparso manomesso, come freni e motore.” “non deve essere stata una bella morte; ha avuto tutto il tempo di vederla arrivare. E chi era al volante?” “Sabino Calabrò, nipote preferito di don Nino Calabrò, il capo della cosca locale” “Però  - fece mancino con una smorfia – era uno rampante. Avrebbe preso il posto di suo nonno di sicuro. E’ la nuova generazione, quella che non ha mai toccato una lupara ma che muove soldi da destra a sinistra per pulirli e farli crescere. Generalmente gente così non fa la fine che ha fatto lui a meno che non abbia fatto qualche sgarro particolare. Dubito però. La sua parentela è importante e il suo rango era alto, non avrebbero fatto tutto questo casino per farlo fuori a meno che non volessero mandare un messaggio a tutta la cosca.” Il Maresciallo annui e prese un altro pasticcino mettendolo accanto al primo “La sera di Mercoledì scorso, Tommaso Rizzo, capobastone di uno delle cosche più importanti di Palagonia e mano destra del capo indiscusso Vito Solucci, entra nell’ascensore di un grande albergo di Zurigo. Sono lui con due guardaspalle armati fino ai denti. Quando arriva al tredicesimo piano la porta si apre e qualcuno dal corridoio con un lanciafiamme, inonda l’ascensore di fuoco. I tre non hanno modo di reagire e bruciano in pochi minuti” “A lui lo conoscevo personalmente – fece serio Mancino - un grande figlio di buttana, un boia, godeva a uccidere e torturare: ha fatto la fine che meritava!!” Ancora una volta il Maresciallo prese un pasticcino mettendolo accanto agli altri due. “Giovedì la serva del dottor Bastiano Cannata è entrata a casa del dottore per le solite pulizie. Arrivata nel corridoio sente qualcosa di umidiccio sotto i piedi. Accende la luce e vede che è sangue. Urlando esce di casa e un vicino, richiamato dalle urla, chiama i carabinieri. Quando arrivano i carabinieri trovano il suddetto dottor Cannata nel salotto di casa, tutto nudo e appeso dai piedi al lampadario. Il dottore era stato squartato e aveva tutte le interiore che pendevano gocciolando sul pavimento. Il dottore era il ragioniere di un’altra cosca di Castellamare, dicevano che muoveva più soldi lui che il Banco di Sicilia. Era esperto nel dare i soldi ad usura e nello spingere al suicidio, dopo avergli preso tutti i beni, chi non poteva pagare. In molti hanno detto che la fine del porco ammazzato era quella che si meritava” Mancino si fece serio. Aprì la bottiglia e si versò una dose abbondante di limoncello bevendolo tutto di un fiato restando muto come se non volesse commentare. Il Maresciallo capì che il modo come il dottore era stato ucciso aveva colpito Mancino non impressionandolo per la crudeltà della scena, ma per qualche altro motivo. Continuò prendendo due paste e mettendole un po' da parte vicino alle altre. “Giovedì mattino, qualcuno entra nel negozio di Antonino Russo, un vecchio settantenne che ancora faceva il barbiere alla Kalsa a Palermo. Sono in tre come diranno i testimoni e sparano al Russo almeno dieci colpi ciascuno.” Mancino scosse la testa. “Povero Nino – fece sconcertato Mancino - Lui era una persona perbene. Sono stati pazzi a ucciderlo così” “Lo stesso giorno, nel pomeriggio, sempre alla Kalsa, vicino al negozio di barbiere di Russo, esplode una casa. Era una casa ristrutturata e agibile, quindi appare strana una fuga di gas. L’inquilino, un uomo di colore che vi viveva gratuitamente con la famiglia, muore insieme alla moglie e a una figlia. Nessuno sa perché hanno fatto esplodere quella casa per uccidere l’uomo che lavorava in un negozio vicino. A dire di tutti era una persona gentilissima.” Questa volta Mancino alzò il bicchiere per bere l’ultima goccia di limoncello ed evitare lo sguardo del Maresciallo. Un altro pasticcino fu preso e messo vicino ai primi tre. “Venerdì, in piena mattinata va a fuoco un negozio di computer sempre alla Kalsa. I pompieri faticano a domare l’incendio e quando entrano vedono che lo scantinato era pieno di computer rovinati con nel mezzo, legato ad una sedia con fili di computer il padrone del negozio, il quasi trentenne Giuseppe Sutera. E’ stato ucciso con un colpo in fronte e qualcuno gli ha messo in bocca un mouse di computer prima di dargli fuoco: un altro messaggio per chi doveva capire. A tutti i computer  del negozio, era stato levato il disco fisso” Mancino fece una faccia come a dire che la cosa non gli diceva niente. Il Maresciallo verso nel suo bicchiere e in quello di Mancino una dose abbondante di limoncello finendo la bottiglia. Bevve un sorso e continuò. “Ora, se io non fossi stato coinvolto nel primo omicidio, tutti questi avvenimenti, sarebbero stati per me una normale serie di omicidi siciliani, di quelli che avvengono normalmente nella nostra isola dove violenza e follia vanno di pari passo. Ma essendo stato coinvolto nel primo omicidio ho pensato che fosse stato mio dovere cercare di risolverlo, ma il Procuratore, che ha avocato a sé e agli uomini dell’antimafia il diritto di investigare sul caso, mi ha detto di mettermi da parte pensando ai furti di capre del mio paese…” “Il solito cornuto e coglione che è dove è perché ha dato il culo a qualcuno” “Non lo so, ma non mi è piaciuto come me l’ha detto, per cui mi sono messo a pensare, a ragionare a fare qualche verifica e sono arrivato ad una conclusione per cui ho bisogno del tuo aiuto.” “Del mio aiuto Maresciallo, io come posso sapere qualcosa di tutti questi morti se non mi sono mai mosso da qui a duecento chilometri di distanza?” fece scandalizzato Mancino” “Io non lo so se sai qualcosa, ma mi puoi aiutare a capire” “In che senso?” “Tu sei della Kalsa, conoscevi il Russo, forse sai a chi apparteneva la casa che è esplosa e chi vi ha abitato prima di chi vi è morto o chi vi è nato. Ho bisogno da te di una conferma” “Da me? ma Maresciallo, tutti alla Kalsa conoscevano Nino, ma del resto che le devo dire?” “Ecco Mancino, ti spiego – il Maresciallo spinse verso Mancino i primi tre pasticcini -  che cosa hanno in comune i primi tre morti?” Mancino allargò gli occhi come a confermare che non ne aveva idea “Il Calabrò aveva nella macchina, lo vidi bene mentre lo inseguivamo, uno di quegli adesivi con le sigle degli stati. Riportava UEA. Il Rizzo ha postato su facebook delle belle foto di un ricchissimo resort dove era stato con delle belle signorine, un albergo meraviglioso a Dubai. Il dottor Cannata era appena rientrato da un viaggio in Thailandia e per volare aveva fatto scalo anche lui a Dubai. Tutti e tre insomma erano stati negli Emirati, dove puoi aprire conti correnti anonimi confidando nella confidenzialità assoluta delle locali banche. Da li puoi muovere capitali immensi via internet usando i codici che danno all’apertura del conto. Le tre cosche a cui i tre appartenevano avranno portato laggiù immensi capitali pronti a fare affari con qualche oligarca russo o mafioso cinese. Nessuno dei tre ha lasciato dietro di se telefoni o computer per poter sapere i codici dei conti. Chi li ha uccisi ha provveduto a recuperare il cellulare del Calabrò, il computer del Rizzo e del dottor Cannata: le cosche sanno che qualcuno gli ha rubato un immenso tesoro” “E la morte di Nino? e la casa fatta saltare?” “E’ qui che ho avuto l’intuizione finale. Perché ucciderli? La risposta è duplice. La prima è che le cosche hanno voluto vendicarsi uccidendo qualcuno di importante per il loro avversario e probabilmente la casa era il rifugio segreto di questo qualcuno o era della sua famiglia. La seconda risposta è che Le cosche confidavano che il Sutera, esperto in computer e che probabilmente gestiva i loro server, fosse in grado di risalire ai codici e hanno deciso di sfidare chi ha ucciso i loro tesorieri. Ma questo qualcuno che ha i loro soldi, ha levato loro ogni speranza, come a dire: se volete i soldi dovete parlare con me” il Maresciallo bevve un sorso di limoncello “E’ questo quello che voglio sapere da te, se c’è effettivamente qualcuno che può combattere contro tre potenti cosche? Che ne può uccidere i capi in modo scenografico restandone impunito. Ti ripeto, non voglio arrestarlo, ma voglio parlargli!” “Maresciallo che dice: parlargli? ma si rende conto che se questa persona esiste la può uccidere con un semplice schiocco di dita? si figuri poi se vorrà parlargli con tre cosche che lo stanno cercando per mare e per terra: Maresciallo divintasti pacciu!!!” “Devi capire: perché questo qualcuno ha fatto fuori il Sutera? Perché i soldi non li ha neanche toccati né li ha trasferiti come avrebbe potuto fare un istante dopo aver ucciso i tre delle cosche. Perché non vuole che le cosche li recuperino se lui non li tocca? La risposta è una sola: gli sta proponendo uno scambio perché ha qualcosa che loro vogliono e loro, a loro volta, hanno qualcosa che lui vuole!” “e che cosa hanno da dargli?” “Sicuramente non soldi. Lui ne ha moltissimi in questo momento, quelli chiusi nelle banche degli emirati. Loro però hanno qualcosa che non vogliono o non possono dare e che per questo qualcuno è più importante del tesoro che ha.” “Maresciallo, a maggior ragione: lassa stare questa cosa, non sai quanto è pericolosa!! Le cosche uccideranno tutti quelli che penseranno vicino a questo qualcuno che gli ha rubato i soldi!!” Il Maresciallo sorrise. “Tu sai chi è, non è vero? Se è così devi dirgli che io ho capito, so cosa cerca e soprattutto, so dov’è” La faccia di Mancino mostrò una sorpresa mista a diffidenza come se il Maresciallo stesse dicendo qualcosa di assurdo. Per qualche secondo cercò di rispondere ma alla fine si alzò e prese la bottiglia vuota i bicchieri e si diresse verso la cucina. Si girò a metà strada. “Lascia stare, vattene e dimentica tutto, Ci penseranno quelli dell’antimafia….. fai fare a loro gli eroi. Tu sei troppo piccolo per questa storia” Entrato in cucina, il Maresciallo lo sentì borbottare ad alta voce “E’ pacciu, pacciu…” Con calma il Maresciallo, sorridendo, addentò una pasta di mandorla.
Disceso dalla Panda il Maresciallo si toccò la pancia. Da Mancino aveva mangiato ma soprattutto bevuto troppo. Si sarebbe fatto dell’acqua e limone per permettere al suo stomaco di sopravvivere. Si incamminò verso il cancello del giardino di casa sua ed arrivato lo aprì e si diresse verso la porta d’ingresso. Fece pochi passi ma si fermò. Anche se stordito dalle bevute e stanco per le quasi due ore di macchina, il suo istinto da sbirro aveva mandato un segnale d’allarme. Torno indietro e aprì di nuovo il cancello e poi lo spinse con un dito per chiuderlo. Il cancello si chiuse silenziosamente senza quell’odioso stridio che aveva sempre fatto da quando abitava in quella casa. Qualcuno lo aveva zittito. Guardò in giardino alla ricerca del suo cane Carlo Alberto che svolgeva con coraggio e determinazione, le funzioni di guardiano della casa. Guardò tra i cespugli di fiori e lo vide sdraiato pancia all’aria sotto il grande cespuglio di gardenia dove controllava il suo territorio. Dormiva profondamente, tanto da non sentirlo, proprio lui che quando la  macchina del Maresciallo imboccava l’ultima curva ad un chilometro di distanza da casa correva ad aspettarlo seduto di fronte al cancello con il suo cipiglio burbero di ex cane della finanza. Vide accanto al cespuglio una ciotola vuota. Qualcuno aveva sedato Carlo Alberto. Il Maresciallo si diresse verso casa deciso e pronto a tutto. Arrivato alla porta cercò la chiave ma la porta corazzata era già aperta; lui la spinse leggermente e lei si aprì.
Sentì una voce
Eppur, e d'uopo sforzati! Bah sei tu forse un uom? Ah! ah! ah! Tu se' Pagliaccio! Vesti la giubba e la faccia infarina.
Riconobbe immediatamente il disco. Era il vinile dei Pagliacci, che sua moglie sentiva ogni sera durante la malattia. Quando lei se ne era andata lui l’aveva lasciato sul giradischi come se da un momento all’altro lei dovesse tornare a sentirlo ancora. Il fatto che qualcuno lo stesse ascoltando gli fece stringere i pugni dalla rabbia. Il corridoio era buio e solo in fondo, dove c’era il piccolo studio con il pianoforte che sua moglie usava per le lezioni di musica, c’era una debole luce. Si avvicinò lentamente e quando fu alla porta dello studio che era semichiusa la spinse lentamente. Sulla poltrona su cui sua moglie sentiva la musica c’era seduto un uomo. Era alto e vestito con un paio di jeans aderente e un giubbotto nero. Aveva gli occhi chiusi, una mascherina da chirurgo sulla bocca e dei guanti azzurri che coprivano le mani con dita grosse come quelle di chi praticava arti marziali. Accanto a lui, sul bracciolo della poltrona, vi era uno smartphone che sembrava spento. Il Maresciallo stava per dire qualcosa ma l’uomo, sempre ad occhi chiusi, portò un dito alla bocca invitandolo al silenzio
La gente paga e rider vuole qua. E se Arlecchin t'invola Colombina, ridi, Pagliaccio e ognun applaudirà! Tramuta in lazzi lo spasmo ed il pianto; in una smorfia il singhiozzo e 'l dolor. Ah! Ridi Pagliaccio, sul tuo amore infranto! Ridi del duol che t'avvelena il cor
Appena il tenore finì di cantare l’uomo aprì gli occhi e spense il vecchio giradischi. “Mi scusi Maresciallo se ne ho approfittato. Sua moglie aveva un buon gusto in fatto di musica” Il Maresciallo capì che lo sconosciuto sapeva di lui molte cose e non si sorprese. “Era una brava pianista ma si ammalò molto presto e non poté sviluppare il suo talento: questo la faceva soffrire più della sua malattia” “Succede a molti di vedere la vita cancellare ad uno ad uno tutti i propri sogni. È in quel momento che capiamo chi siamo e per che cosa vale la pena vivere o morire “ Vi fu qualche secondo di silenzio come se quanto detto avesse per chi aveva parlato un valore troppo importante e attuale per lasciarlo cadere velocemente nel nulla. Il Maresciallo ne approfittò “Lei è….” “Quello che le ha detto Mancino” “Se lei conosce Mancino sa bene che lui non direbbe a uno sbirro neanche che ora è” Senti sorridere l’uomo dietro la maschera “In effetti è così.” Il Maresciallo si sistemò nella sedia accanto al pianoforte come faceva quando sua moglie era seduta in poltrona. “Ho intuito che mancino la conosceva bene, e questo devo ammettere che era più di quanto sperassi. Ma ritengo che vi unisca un’amicizia tale, che pur essendo mio amico dichiarato e pronto ad aiutarmi, Mancino non ha detto nulla di importante. Quello che so l’ho capito perché sono uno sbirro e da chi mi stà davanti riesco a capire molto ma non tutto” “e di me cosa sta capendo?” “Che qui si sente al sicuro, che è certo che i suoi nemici non verranno e ha capito che io non sono a mia volta un suo nemico” “È così, Mancino mi ha parlato molto bene di lei e mi ha convinto ad ascoltarla perché pensa che sa dove è quello che cerco” “Per quanto ho capito e per quello che ho assunto penso di si e non ho problemi a dirglielo” L’uomo restò in silenzio e non si capiva se rideva o pensava “.. e cosa vuole in cambio per dirmelo” Il Maresciallo sorrise “che non vi siano più morti; poi mi basta il piacere, solo narcisistico, di aver compreso tutta la storia” L’uomo restò qualche secondo in silenzio poi esordi “Le prometto che se le sue informazioni sono corrette, una volta trovato quanto cerco, non vi saranno più morti per mia mano. Ma mi tolga una curiosità: e i suoi superiori? Non ne tiene conto?” “ho chiesto al Procuratore degli appuntamenti per dirgli la mia tesi e non mi ha mai risposto. Nel frattempo sono morte altre tre persone che probabilmente non c’entravano nulla. La giustizia è raffigurata con una spada e una bilancia, ma dovrebbe avere anche un orologio: fare giustizia venti anni dopo vuol dire far subire venti volte la stessa ingiustizia. Per questo le volevo parlare, per fermare la carneficina che lei e i suoi nemici state preparando” “ non sono miei nemici, ma clienti; ho lavorato per loro e contro di loro anche in passato. Ora però il gioco è molto diverso da quello che fino ad ora eravamo soliti giocare” “per i soldi negli emirati?” “Anche per quelli. Sabino e Cannata avevano pensato un business multimilionario. Avrebbero messo le mani su una miniera di diamanti in Russia utilissimi per i loro affari in sud America e in medio oriente. Avrebbero avuto i diamanti a 80 e con essi avrebbero comprato droga vendendoli a 200 perché i diamanti  sono il bene rifugio più prezioso per chi ha problemi con la giustizia o per chi deve essere corrotto. Mi avevano assunto per questo, per evitare che qualche mafioso russo si mettesse di mezzo. Lo sa come mi chiamano quelli per cui lavoro? Settoru, il sette di denari perché, come quando si gioca a scopa, chi mi ha tra le sue file ha già un punto in mano: dovevo semplificare i rapporti con chi non voleva finalizzare il business o creava problemi…” “e quelli che non sono suoi amici? Come la chiamano” Gli occhi si strinsero in un sorriso “Quelli mi chiamano u Ghiancheri…” “Il macellaio…?” “Si e non solo per il mio lavoro. Mio padre aveva una Ghianca, una macelleria alla Kalsa dove faceva la salsiccia più buona di Palermo!  Chieda a Mancino. Un giorno un uomo di niente gli disse che doveva comprare carne delle macellerie clandestine, animali uccisi perché rubati o ammalati. Mio padre rispose di no. Quello lo insultò pensandosi un mamma santissima. Lui lo caccio a calci fuori del negozio. Tre giorni dopo, uscendo dal retro del negozio venne assalito da tre energumeni con bastoni in mano. Lui si difese ma gli venne un infarto e mori. Io, che andavo a prenderlo e lo aiutavo in negozio perché era ammalato, vidi i tre uomini scappare. Andai dalla polizia a denunciarli. Ma dopo un mese nessuno era stato arrestato. Mia madre morì di crepacuore: uccisa dal troppo amore che la legava a mio padre. Al funerale di mia madre vidi uno dei tre e corsi dalla polizia dicendogli di andare ad arrestarlo. Mi dissero che non ne valeva la pena: era forse già fuggito ed in ogni caso il suo avvocato lo avrebbe fatto uscire dopo due giorni. Allora capii che questa che chiamano “la legge” non esiste. I furbi, i maligni, i ladri, gli arrivisti, gli infami: sono i topi di un enorme immondezzaio che chiamano società: sono loro che fanno le leggi, quelle di ogni giorno, non quelle dei libri. Come i topi si nutrono rubandolo tutto quello che gli piace seguendo i loro bisogni. Gli altri credono in una legge che è solo l’apparenza che copre l’immondezzaio come i cartelloni pubblicitari raffiguranti l’ordine e la bellezza di quanto chiamano società che coprono le discariche per nasconderle.  Ma non è così. Chi comanda in questo immondezzaio è chi non ha paura ad uccidere o rubare, chi non ha paura a fare del male gratuitamente, a ridurre gli altri a cose, ad animali con la droga e la violenza.  Ed è a questi che tutti obbediscono o a cui tutti si appellano per risolvere i loro affari, come facevano anche i principi di una volta con la mafia, perché è nel DNA della nostra storia questo ubbidire solo ai violenti senza mai ribellarci pensando che non ci riguardi chi sono o cosa fanno; perciò, mi sono detto che se esisteva  solo la legge di chi poteva sovrastare con la forza gli altri, io avrei fatto la mia giustizia con la stessa legge. I tre vigliacchi che uccisero mio padre scomparvero nel nulla; i loro corpi li buttai in una porcilaia a ingrassare i loro simili. Chi aveva ordinato a mio padre di ubbidirgli, lo trovarono appeso per i piedi e squartato come un maiale, così come hanno trovato Cannata. Io non uccido, li faccio impazzire dal dolore e dalla paura, lentamente, finchè loro stessi non invochino la morte come un sollievo. È questo che mi ha reso U Ghiancheri, qualcuno che anche gli assassini temono e che nessuno vorrebbe mai incontrare.  Il capocosca, di quei quattro maiali che avevano ucciso mio padre, invece di arrabbiarsi mi propose un lavoro. Gli avevo levato davanti quattro coglioni in un modo pulito e silenzioso, mi chiese se ero interessato ad avere un lavoro ben pagato visto che alcuni membri di una cosca avversaria alzavano troppo la cresta. Poiché ormai vivevo in una condizione in cui per sopravvivere occorrevano molti soldi, mi creai la regola che non avrei mai ucciso altri che uomini d’onore, sarei stato il loro giudice e boia restando sempre al di sopra di loro: io non uccido persone indifese ma chi della violenza e della morte ha fatto la sua vita perciò affronto i miei “clienti” alla pari.” Il Maresciallo lo guardò in silenzio “Perché mi sta dicendo tutte queste cose?” “Perché tutte e due crediamo nella giustizia e l’applichiamo, anche se da lati opposti, non per fini diversi: la giustizia, l’equità, quella vera ed assoluta” “E non ha paura che io usi le sue informazioni contro di lei?” “No, Mancino si fida di lei. Il suo telefono poi è sotto controllo: di ogni numero che chiama o da cui è chiamato, viene informato il procuratore. Lui pensa che lei si prenda troppa iniziativa, troppo libertà nel risolvere i casi. Dice che usa troppo la fantasia senza attenersi ai fatti. Ha un fascicolo su di lei pieno di considerazioni e dicerie: gli mancano però i fatti per incriminarla. Un segno che l’immondezzaio ha paura di lei, della sua intelligenza che è un’arma da cui nessuno può proteggersi. Lei è più simile a Mancino che al suo capo: crede nell’amicizia più di quanto i suoi colleghi credano in lei, è uno di quelli per cui esiste una società e dei doveri nei confronti degli altri, quegli altri che pensano solo ai loro diritti, alla loro voracità, come fanno i topi nell’immondezzaio.” Il Maresciallo restò ancora in silenzio. “un’ultima cosa, prima di arrivare al punto: perché lei si fida di Mancino? E perché Mancino ha tanto rispetto per lei da non dirmi niente?” “Una volta qualcuno gli disse che lo stavo cercando per ucciderlo. Lui non capiva perché, quindi andò da Nino, l’uomo che hanno ucciso e che era il mio contatto verso il mondo esterno e gli chiese di incontrarmi. Quando mi vide mi chiese perché volevo ucciderlo visto che lui non aveva mai fatto del male a nessuno; mi disse che a cinque anni aveva perso il padre, a sette scaricava cassette di frutta per aiutare la madre, a nove aveva rubato un pane per fame e da li aveva continuato: non era un santo ma non era un assassino, un ruffiano o un paraculo: poteva guardare chiunque dritto negli occhi senza vergognarsi. Gli risposi che qualcuno mi aveva detto che lui era stato pagato per uccidermi. Anche a lui la stessa persona aveva detto la stessa cosa. Ovviamente chi ci aveva detto così sperava che ci uccidessimo a vicenda. Gli dissi di non preoccuparsi e di sparire per un paio di settimane che mi sarei preso cura di quella persona. Lui però fu arrestato ed in carcere qualcuno lo prese di mira. Fu così che diventò Mancino e si fece vent’anni perché nel difendersi aveva ucciso un altro topo che voleva rodergli l’anima. Io avevo lasciato Palermo. Mi diedero dei lavori in America e poi in sud America per convincere qualche capo in testa locale a vendere coca al prezzo che le cosche dicevano. Quando lui uscì dal carcere era solo ed io lo andai a trovare. Gli chiesi cosa volesse fare e lui rispose che dopo tanti anni al chiuso voleva vivere in una spiaggia all’aperto. Lo portai dove ora ha la locanda e gli diedi i soldi per comprarla: gli ho regalato un sogno, per questo farebbe di tutto per proteggermi. È un amico, uno dei pochi che ho.” “Strano a dirsi anche per me è ormai un amico. Comunque veniamo al sodo” “Lei sa cosa cerco?” “Certo, quello che cercano tutti: la persona che ama” Gli occhi del Ghiancheri si strinsero come se stessero sorridendo “E sa anche dove è?” “Certo, dove la stava cercando: nella contrada della Croce, solo che lei la stava cercando nel posto sbagliato” U Ghiancheri lo fissava con attenzione senza perdere il minimo gesto. “vede, mentre scrivevo verbali e relazioni su come era morto Calabrò, ebbi la sensazione che quella sua macchina io l’avessi già vista più volte. Pensai per qualche giorno poi capii. Nel paese c’è una sola strada che sale dalla provinciale, fino al paese e poi alla Contrada della Croce. La nostra caserma è a lato di questa strada e le telecamere di sicurezza della caserma inquadrano sempre la strada. Andai a vedermi i vecchi filmati e scoprii che il Calabro era salito diverse volte e sempre da solo. Una volta però era salito preceduto da una di quelle grosse moto che usano i killer per sparare per strada. La sua macchina era seguita da un'altra con quattro ceffi stipati dentro.” “Una scorta…” “Esatto. Ingrandii più che potevo le immagini della macchina di Calabrò, scoprendo che di dietro, seduta tra due uomini c’era una donna. Guardai il filmato di quando le macchine e la moto discesero dalla valle ma la donna non c’era” L’uomo restò zitto come aspettando qualche altra informazione “Chiesi ai miei informatori (se il barbiere del paese si può definire tale) se c’era qualcosa di strano nella famiglia Calabrò. Sono venuto a sapere che una diecina di giorni prima, alla cresima della figlia di Sabino Calabrò mancava sua cognata Gaetana Ruffo-Ruffo, moglie del cugino Miuccio, quest’ultimo presente alla festa ed esageratamente euforico, tanto che a pranzo, Sabino riprese suo cugino per quanto beveva. Il cugino mi è stato descritto come persona, irascibile e arrogante, dall’ira e la pistola facile, ben diverso dalla moglie Ruffo-Ruffo che tra i suoi avi annovera un siniscalco di Federico II” “È cosi – aggiunse improvvisamente l’uomo – Gaetana è una donna sensibile e di una personalità superiore a questi Calabrò che sono ricchi solo dei soldi che fanno con il dolore degli altri. Suo marito se l’è comprata pagando i debiti di suo padre. Quando mi arruolarono per aiutarli nell’impresa, Sabino chiese a Gaetana di fare gli onori di casa. Ero un personaggio importante e la Famiglia voleva ospitarmi nel modo migliore. Gaetana era l’unica incensurata che potesse ospitarmi e occuparsi degnamente di me. All’inizio ci evitavamo, poi per caso incominciammo a parlare e qualcosa di inatteso e non voluto accadde tra noi” L’uomo abbassò gli occhi quasi a ragionare per se stesso “Io non ho mai pensato alla mia vita come una vita normale ma come qualcosa che da un momento all’altro doveva finire bruscamente ed il cui unico fine era uccidere quanto più possibile chi era uguale a chi aveva ucciso mio padre. Lei invece rese reale e possibile una vita normale, quella di cui mio padre e mia madre avevano vissuto semplicemente ma intensamente. Questa romanza – l’uomo indicò con il mento il disco – Gaetana la suonava sempre. Anche lei si sentiva qualcuno che doveva indossare con la morte nel cuore, il suo vestito da Pagliaccio per dare spettacolo e per essere mostrata come simbolo del successo del marito, dopo la Ferrari e prima dei purosangue arabi. Poi suo marito quando ha capito che ci amavamo ha trattato Gaetana in un modo indefinibile. Un mafioso non è più considerato tale se anche la moglie lo tradisce. In più avrebbero dovuto uccidermi per aver violato la loro casa. Ma cosa avrebbero dovuto dire alle altre cosche? Io ero un elemento importante dell’investimento che stavano facendo perché i russi obbediscono solo a chi li uccide. Gli altri si sarebbero tirati indietro, per questo, per punirla e per ricattarmi l’hanno nascosta così che continuassi a servirli: con lei prigioniera potevano farci fuori quando l’affare era finito. Gaetana è una donna che prima di incontrarmi non aveva mai sorriso, era un cigno in uno stormo di corvi. Come me ha dovuto adattarsi ad una realtà disgustosa perché non poteva averne altre. È difficile credere che due infelicità assolute possano far nascere una felicità totale: ma a noi è successo. Lei mi ha donato il lato migliore della vita che non conoscevo: avere chi ti capisce, chi ti ascolta, chi cancella le nubi nei tuoi pensieri e ti spinge a credere in una realtà diversa. Migliore. Ha aperto la prigione in cui ero, ha stracciato le vesti da pagliaccio che ogni giorno indossavo per essere quello che quelli come suo marito mi avevano fatto diventare. Ha ragione a dire che se non la trovassi, i morti aumenterebbero: sono figlio di mio padre e nessuno può ricattarmi e ridurmi ad essere un servo, nessuno può maltrattare chi, dopo una vita di sangue, mi ha fatto trovare il senso della parola amare. Quell’amare che univa così indissolubilmente i miei genitori. Sterminerò tutta la Famiglia e i suoi affiliati se non me la ridaranno intatta! Lei, dopo tanti morti, mi ha riportato alla vita e a questa vita non ci rinuncerò” Fu il turno del commissario di restare qualche secondo in silenzio “È quello che ho pensato considerando l’odio che ha usato nell’uccidere. Ma torniamo al punto iniziale dov’è Donna Gaetana? Quando ho tirato le somme di tutto mi ricordai di quando dallo spiazzo di fronte al vallone della Croce guardavo i monti prima che improvvisamente arrivasse la macchina di Calabrò. Nella parte dei monti, dove c’erano le miniere, vedevo di tratto in tratto diverse macchine: troppe. Se tu nascondi qualcuno non metti mille guardiani a dire dov’è.  Lì la montagna è un formicaio di tunnel e grotte, non hai bisogno di mettere mille guardiani.” “Infatti! ho girato quelle miniere per diversi giorni ma non era un posto dove tenere Gaetana. È meta di gite scolastiche e speleologiche. Per questo rapii Sabino, per farmi dire dov’era, ma lui si rifiutò di dirmi cosa” “Allora, vedendo quelle macchine fuoristrada sparse qua e là, mi sembrava quasi che aspettassero qualcuno. Ora capisco che era una trappola per lei, per attirarlo fin lassù e farle fare quello che volevano. Poi ho incominciato ad osservare il resto del vallone e le colline dove, finite le miniere incominciano le distese di olivi e viti. Guardai negli uliveti ed in un Baglio nel mezzo delle colline vi notai qualcosa che mi colpì: ad una finestra della vecchia casa colonica in cui le olive sono raccolte, c’era un filo sottile e ad esso vi erano attaccati dei vestiti da donna. Cose intime e piccole, come mutandine e reggiseni. Erano solo un paio, nascoste dai rami di ulivo, ma erano troppo piccole per appartenere alla moglie del proprietario del fondo e troppo eleganti per appartenere a qualche ragazza del paese. Mi chiesi allora chi poteva lasciare in quel luogo disabitato quelle cose così intime. La finestra in cui erano, dava su un dirupo, nessuno degli altri abitanti della casa avrebbe potuto vederle. Forse era un segnale, forse solo della biancheria stesa ad asciugare.” L’uomo penso qualche secondo. “Era un segnale: Gaetana mi voleva dire dove era. Io cercavo in alto, tra le miniere, perché li era facile nasconderla. Troppo facile. Sabino aveva architettato una trappola per fermarmi circondando la zona con i suoi uomini e saliva e scendeva da lassù per richiamare la mia attenzione e attirarmi tra i suoi uomini. Io conoscevo quella zona da tempo perché li ho concluso molti dei miei lavori, ed ho evitato facilmente le sue trappole.” Il cellulare che l’uomo teneva sul bracciolo della poltrona si illumino. Apparve come una mappa con delle linee e un puntino rosso in movimento. “Qualcuno sta venendo a trovarla. Tenga – gli disse allungando la Beretta di ordinanza del Maresciallo – è meglio che vada vedere chi è”. Il Maresciallo prese la pistola e si chiese come U Ghiancheri avesse fatto a trovarla nella cassaforte nascosta nell’armadio della stanza da letto. Mise l’automatica tra la cintura dei pantaloni e la schiena coprendola con la maglietta. Tornò indietro nel corridoio fino alla porta di ingresso e dalla telecamera del citofono osservò la strada.
Una macchina spuntò dalla destra e lentamente si fermò all’altezza del cancello. Ne scese l’agente Caccamo che avvicinandosi al citofono suonò. Il Maresciallo aspettò qualche secondo e poi rispose “Chi è?” “Maresciallo sono Caccamo, tutto bene?” “Caccamo, si tutto bene perché è successo qualcosa” “No Maresciallo, Petyx mi ha detto che lo aveva chiamato più volte al cellulare perché voleva venire a trovarlo con la moglie e il bambino, e non gli rispondeva e si era preoccupato, così mi ha chiesto di passare a vedere” “Sono andato a Sciacca dai miei amici e ho lasciato il cellulare nella scrivania in ufficio, sono appena tornato” Poi aprì la porta e andò a salutare Caccamo di persona. “Caccamo tutto bene ora chiamo Petyx e glielo dico” “Va bene Maresciallo, meglio così, ci eravamo preoccupati” “Non ti preoccupare ci vediamo domani, ora torna in caserma” Caccamo lo salutò e tornò in macchina; il Maresciallo aspettò che si allontanasse e tornò di corsa in casa e percorrendo velocemente il corridoio arrivò allo studio. “Tutto a posto, era…..” La poltrona era vuota.
Il Maresciallo guardò il rapporto che aveva scritto ancora indeciso se spedirlo o meno. Fece mente locale ed incominciò a rivedere gli avvenimenti accaduti tre giorni prima, il giorno dopo il suo incontro con U Ghiancheri. “ Alle ore 05:15 del mattino è suonato il telefono d’ordinanza e l’appuntato Cacace mi ha informato che stava venendo a prendermi con il fuoristrada perché in contrada Croce era scoppiato un incendio in una casa abbandonata dentro un uliveto. Poiché c’era una macchina vicino nell’Uliveto i forestali pensavano che qualcuno fosse dentro la casa. Dell’orario sono certo perché ho visto l’ora sul telefonino! Alle 05:45 è arrivato Cacace e siamo andati verso Contrada Croce passando dalla mulattiera che attraversava il torrente e saliva verso la parte coltivata della valle. La strada era più veloce anche se si poteva fare solo con un fuoristrada o un mulo.” Il Maresciallo controllò l’orario riportato nel documento, quindi continuò il suo riepilogo interno “ Appena attraversato il fiume ed iniziata la ripida salita verso i boschi di ulivi e le vigne abbiamo sentito una forte esplosione in direzione del baglio verso cui stavamo andando.” Il Maresciallo pensò un minuto poi prese il documento e aggiunse “L’esplosione era molto forte tanto che ci caddero addosso dei detriti di mattoni e di legno. Notammo lo sviluppo di una colonna di fumo nero” Il Maresciallo pensò alla faccia bianca e sorpresa di Cacace che lo osservava spaventato. “Dopo forse mezzo minuto, mentre proseguivamo la nostra marcia, il Maresciallo Biondo mi ha chiamato per informarmi che mentre con i suoi forestali stavano arrivando in zona, all’interno del baglio c’era stata una forte esplosione che dalla distanza da cui lui osservava, sembrava avesse distrutto buona parte dell’edificio. Gli chiesi di delimitare la zona e di evitare che il fuoco si propagasse nell’uliveto ma di mantenere i suoi uomini a distanza di sicurezza dal Baglio senza avvicinarsi. Arrivato constatavo che del Baglio erano rimaste in piedi sono le pareti frontali dell’edificio, mentre la parte posteriore, situata su un dirupo era precipitata nel dirupo stesso, facendo sfogare l’esplosione principalmente in quella direzione.” Si fermo ad osservare lo scritto. “Richiesto l’intervento degli artificieri dell’esercito, nei ruderi del Baglio sono state trovate quanto restava di alcune casse di legno con scritte cirilliche dentro cui vi erano gli avanzi risparmiati dal fuoco di fucili d’assalto AK-47 e altre attrezzature militari. Da alcuni pezzi di legno recuperati, sembra che l’esplosione sia stata dovuta ad una cassa di tritolo per costruzione che è stata innescata probabilmente per l’incendio di una stufetta elettrica dimenticata accesa. Stufe simili sono state trovate in diversi punti del Baglio. La macchina risultava rubata un mese prima a Cefalù” Il Maresciallo si grattò la testa e continuò a leggere “Si suppone al momento che il Baglio sia stato un deposito della cosca Calabrò, vera proprietaria dell’uliveto, dove veniva occultato materiale che probabilmente doveva servire per qualche rapina di furgoni postali o banche. Al momento non si ha un collegamento tra il deposito e la morte di Calabrò Sabino avvenuta circa una settimana prima, ma i suoi continui viaggi nella contrada portano a pensare che sicuramente il Calabrò ne fosse a conoscenza” Il Maresciallo guardò scettico il documento “U Ghiancheri deve aver fatto fuori i secondini di donna Gaetana e li ha portati via, poi ha fatto saltare il baglio per cancellare le prove della presenza della donna. Tutta la storia si riassumeva in una base della cosca abbandonata dopo la morte di Sabino, e in un incidente casuale.” Per l’ennesima volta il Maresciallo appoggiò il documento sulla scrivania incerto se potesse considerarlo realistico e quindi finito. “Al procuratore il report piacerà, vi sono i fatti e non c’è nulla della mia fantasia” E si mise a ridere. “Maresciallo mi scusi – fece Caccamo apparendo sulla porta del suo ufficio – c’è un signore che vorrebbe salutarla….” “Eh chi è ?” fece sorpreso “Marescialluuuuu” fece improvvisa la figura di Mancino la cui sagoma occupò tutta la porta tanto che Caccamo scomparve dietro di lui “ come stai Maresciallo? sto andando a prendere Rachele a Palermo e sono passato a portare due gamberi freschi freschi, un totano che è uno zucchero e una spigola che se quando la mangerà la farà andare in paradiso” l’omone riuscì a superare la piccola porta e tra le mani gli apparvero una enorme borsa frigo che doveva contenere il tesoro che aveva descritto e un'altra borsa piena di bottiglie di vino “Il totano è da fare subito, lo pulisci e lo metti in padella con l’accia, due olive verdi, i capperi e lo fa rosolare poi con il pomodoro…” “Mancino grazie …. - rispose il Maresciallo ancora sorpreso e travolto dalla loquacità dell’amico. - … Caccamo per favore prendi e metti tutto in frigo che a mezzogiorno cuciniamo tutto” Mancino diede con delicatezza la borsa all’appuntato “Mi raccomando i gamberi ….. – fece severo verso Caccamo - .. crudi! con un filino d’olio e poco limone: sono una delizia…” “Questa è una bella sorpresa – fece il Maresciallo – non ti aspettavo…” “E’ che Rachele, la conosci, ha insistito che passassi a ricordarti che sabato sei a pranzo da noi… Per favore non dirmi di no che se noi lei è capace che ti viene a prendere: lo sai è bergamasca, ha la testa più dura di una palermitana” “Questo è tutto da dimostrare ma ti credo! ti posso offrire almeno un caffè ?” “Ma quale caffè sarebbe il quinto questa mattina, sono andato alle cinque al mercato del pesce a prendere il meglio per Rachele…. ora però devo andare che devo attraversare Palermo con il traffico” “Aspetta che ti accompagno alla macchina” Il Maresciallo prese il cappello ma, come ultimamente gli capitava, si dimentico il cellulare sulla scrivania. “Allora tutto bene?” chiese Mancino appena usciti dalla caserma “Tutto bene… penso che ogni cosa sia andata a posto” “Si, è tutto a posto. Ho saputo che c’è stato un po' di fuoco…” “Un deposito di armi dei Calabrò…” “A niente di particolare. Ah proposito lo sai che Miuccio Calabrò è morto” Il Maresciallo si fermò sorpreso “Morto? e come fu” “Il giornale dice che lo hanno trovato a casa sua in vestaglia strangolato sulla sua poltrona” “Strangolato? e cosa vuol dire?” “Che non volevano versare il suo sangue.  Un morto strangolato non chiama vendetta” “Ho capito, ma che senso aveva farlo fuori adesso?” “Non lo so, forse è una morte di scambio” “Eh cioè?” “Tu hai qualcosa che interessa a me, io ho qualcosa che interessa a te. Ora io riesco a rubarti quello che mi interessa e tu ti incazzi ancora di più. Allora io ti dico: ti posso rendere quello che vuoi. Magari me ne tengo poco poco e il resto te lo restituisco se tu uccidi una certa persona” Il Maresciallo si fermò interdetto “Lo hanno ucciso i suoi?” “Lui doveva uccidere sia la moglie che U Ghiancheri quando li aveva scoperti. Invece è andato a piangere da suo cugino Sabino scatenando il casino che ne è venuto fuori. Orami era cornuto e coglione. Se non l’avessero ucciso loro lo avrebbero fatto le altre cosche e non si sarebbero limitate a far fuori solo Miuccio” “Pensavo che non ci sarebbero stati altri morti” “Non per mano sua! e questo lo ha mantenuto….” Fece serio Mancino di fronte alla macchina. Si girò ed entrò in machina sedendosi, poi, con una certa difficoltà, tirò fuori dalla tasca un pezzo di carta “Questo è per tè - Il Maresciallo lo guardò severamente - Lo so che tu sei uno sbirro che non accetta soldi, ma la compagna del mio amico vuole dirti personalmente grazie e nel foglio c’è il posto e l’ora dove ti aspettano per dirtelo. Pensa che sia un suo dovere e una forma di rispetto ringraziarti personalmente.” Il Maresciallo prese il foglio di carta e salutò mancino “Salutami l’ing. Rachele..” fece mentre Mancino partiva sgommando “Ricordati sabato…” fece Mancino agitando la mano dal finestrino Il Maresciallo l’osservò scomparire e poi si voltò per tornare in caserma. Mentre andava apri il foglietto ed osservandolo si fermò per la sorpresa. Era un biglietto per assistere ad un’opera presso il teatro Greco di Taormina: “I Pagliacci”
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ailoche · 2 months ago
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Una passeggiata nel bosco tra storia e mistero, fino a scoprire i misteri di Ailoche, le miniere di ferro abbandonate, con la guida di, Piergiorgio Morera. #viaggiaescopri #travelwebtv #lelelatta
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explorebiella-blog · 4 months ago
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Misteri di Ailoche, visita alle miniere di ferro abbandonate #viaggiaescopri #travelwebtv #lelelatta
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viaggiaescopri · 8 months ago
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Ailoche, ritorno alle Miniere di Ferro abbandonate, il settore 14 #viaggiaescopri #travelwebtv #lelelatta
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aneddoticamagazinestuff · 7 years ago
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Minatori e miniere
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Minatori e miniere
Abbiamo sempre saputo della dura vita dei cavatori di marmo delle Apuane, ma mai, o almeno in pochi, abbiamo sentito parlare dell’altrettanto dura vita dei minatori della Garfagnana. Già nel 1300 a Fornovolasco prese vita il primo centro siderurgico della Valle che nei piani di Ercole I duca di Modena doveva far concorrenza a centri della valli lombarde, infatti nei dintorni del paese (che prende il nome proprio da queste attività) sorgevano forni fusori e fabbriche per la lavorazione dei metalli, nati grazie alle miniere di ferro presenti nelle vicinanze e dove la gente lavorava duramente. Le miniere negli anni subirono alterne fortune, ma ciò non fu per i minatori che difficilmente riuscivano ad arrivare a 50 anni di vita e dove i bambini venivano usati come cavie da esplorazione dentro le grotte da dove spesso non facevano più ritorno. Rimane il fatto che un bel giorno alle miniere di Fornovolasco giunse in visita Ludovico Ariosto che su queste miniere scrisse alcuni versi…
  Fino a un po’ di tempo fa se si voleva minacciare un uomo sfaccendato, che non s’impegnava sul lavoro, o si comportava in modo poco onesto, partiva il grido: – In miniera !!!- . Che cosa significava questa perentoria e secca minaccia? Andare a lavorare in miniera significava infilarsi in un un buco ogni mattina e rimanerci per dieci, dodici ore al giorno, significava picchiare sulle pietre con picconi o martelli, respirare polvere fino ad ammalarsi, oppure rischiare di morire per i numerosi crolli delle gallerie, in più quando si tornava a casa ogni sera ci si ritrovava coperti di polvere e terra e di conseguenza bisognava strofinarsi per un ora in una tinozza d’acqua, per poi la mattina dopo ripartire e ricominciare tutto da capo. Questa era la vita del minatore, che non vedeva mai la luce del sole, faticava come un animale, ma che doveva portare a casa (un misero) stipendio. Anche i garfagnini affrontarono questa vita. In Garfagnana abbiamo poca conoscenza dell’esistenza di miniere, conosciamo il durissimo lavoro dei cavatori di marmo, ma abbiamo dimenticato che anche nella nostra valle esistevano miniere, per la precisione miniere di ferro. Il primo centro siderurgico della Garfagnana ebbe la sua nascita a Fornovolasco, l’origine del paesino vide la luce verso la fine del 1200, grazie proprio a queste miniere e dai forni che servivano per fondere il ferro. Leggenda, o verità, bene non si sa, narra che un certo conte Volaschio, mastro fusore, proveniente dal bresciano fosse a capo di una squadra di uomini dediti a questo mestiere, che trovarono proprio in queste terre ampie aree boschive per alimentare i forni fusori, insieme alle ottime acque della Turrite fondamentali per forgiare il metallo e azionare i mantici che soffiavano aria nei forno.
Fornovolasco (foto tratta da Daniele Saisi blog)
Già a quel tempo, figuriamoci un po’, tale industria era già fiorente, infatti da un registro del 1308 si apprende da un certo Ser Filippo, notaio in Camaiore,  dell’esistenza di due prospere fabbriche appartenenti a un certo Coluccio di Giacomino e a Fulcerio, proprietario insieme al fratello Guido detto “il Passera“, questo ci dice che era già passato il tempo in cui il lavoro era sostanzialmente artigianale e se si vuole anche un po’ domestico e una certa tecnologia all’avanguardia era più che mai presente a Fornovolasco. Altro fattore determinante per il loro sviluppo era anche la posizione geografica di queste miniere, la vicina “strada” che collegava con la Versilia permetteva l’approvvigionamento di altro materiale proveniente dall’Isola d’Elba e lo smercio dei prodotti finiti verso diversi mercati. Ma un conto era la già dura attività lavorativa davanti ad un forno, ma un altra cosa era la vita di miniera.
Quello che rimane oggi della Miniera Monticello Le Pose (Foto tratta da Speleoclub Garfagnana C.A.I)
 La prima miniera del luogo fu la miniera di “Monticello-Le Pose” e qui la vita era veramente al limite dell’umano. Si scavavano piccole gallerie, poco profonde che costringevano questi poveri uomini a lavorare in ginocchio o sdraiati, indicatissimi per questi lavori erano i bambini, spesso orfani o gli stessi figli dei minatori che già a sei-sette anni d’età erano mandati per gli stretti meandri delle grotte in esplorazione alla ricerca di vene di ferro, molti morivano a causa del freddo o per essersi persi durante queste spedizioni, per di più la luce fioca per mezzo di torce fatte con legni resinosi non durava molto e rendeva l’aria irrespirabile. Agli inizi del 1400 il primo giacimento di “Monticello-Le Pose” si dimostrava insufficiente a coprire il fabbisogno delle attività siderurgiche, si cercarono nuovi giacimenti nelle zone vicine, fino a che si scoprì un nuovo sito detto “Le Bugie” in località Trimpello, fu un vero colpo di fortuna , queste miniere alimentarono l’attività mineraria fin quasi ai giorni nostri. La spinta decisiva a questa industria si ebbe nel 1430 quando Fornovolasco passò dal dominio lucchese a quello modenese.
Ercole I d’Este colui che incentivò le miniere di Fornovolasco
Grandi progetti aveva per questi luoghi il duca estense Ercole I, che venne personalmente a visitare queste siti e in particolare il sito delle “Bugie”. Le intenzioni del duca erano serie, voleva rompere il monopolio della lavorazione del ferro delle valli lombarde e cosa più importante voleva rinnovare completamente le munizioni dell’artiglieria modenese con l’intenzione di sostituire le pietre da bombarda con palle metalliche, per questo scopo furono chiamati (ecco quando la verità storica abbraccia la leggenda) mastri forgiatori dalle valli bresciane e bergamasche. L’incarico di portare nuove innovazioni nelle strutture e nelle tecniche estrattive fu dato a mastro Iacomo Tacchetti da Gerla di Valtellina, ambito dalle signorie di mezza Italia. L’aumento di lavoro in questa miniera, è bene dirlo, portò da una parte indubbi vantaggi economici, ma dall’altra aumentò maggiormente lo sfruttamento dei lavoratori. Le miniere infatti appartenevano al Ducato che comprava per pochi soldi il ferro estratto dai minatori di Fornovolasco e come se non bastasse, concedendo le licenze di scavo nei territori ducali, pretendeva nuovamente altri soldi per il pagamento dei diritti di escavazione. Questa situazione portò ad un periodo nefasto, per guadagnare ancora di più la gente cominciò a scavare in maniera disordinata, si aprivano cunicoli, gallerie, piccoli anfratti in ogni dove, provocando frane in tutto il sito, frane che causarono vittime su vittime, questo avrebbe compromesso anche lo stesso sito,  ma prima che la situazione sfuggisse di mano lo stesso duca corse ai ripari, chiamando ancora nuovi mastri che regolamentassero gli scavi e che mettessero in sicurezza le gallerie.
Insomma a quanto pareva (industrialmente parlando) tutto andava a gonfie vele, nella zona agli inizi del 1500 si potevano già contare tre ferriere esistenti a Fornovolasco, alle quali si aggiunse un forno ducale e anche una fabbrica per la lavorazione del ferro a valle del paese. Oscuri presagi però si affacciavano all’orizzonte… Se da una parte si raggiunsero picchi produttivi che neanche le valli lombarde avevano mai raggiunto, dall’altra invece non si riusciva a dare una certa continuità alla produzione, per due motivi: la scarsità di materiale dentro le miniere e quello che preoccupava di più era la penuria di combustibile, i boschi nelle vicinanze che fornivano legna per i forni ormai erano tutti diradati, le montagne quasi tutte “pelate” e questo fu la causa maggiore che portò al progressivo declino di Fornovolasco. Ma intanto c’era ancora spazio per la gloria, al tempo rimase nella memoria di tutti la visita alle miniere di Sua Eccellenza Illustrissima il Governatore della Garfagnana messer Ludovico Ariosto, che di quella visita scrisse:
Lo scoglio, ove il sospetto fa soggiorno, alto dal mare da seicento braccia, e ruinose balze cinte intorno,
e da ogni parte il cader moinaccia: il più stretto sentier, che guida al Forno,  la dove il Garfagnin il ferro caccia
Ludovico Ariosto governatore di Garfagnana
Diciamo che la visita dell’Ariosto chiuse per sempre un periodo pieno di speranze e illusioni. Nei secoli a venire si alternarono periodi di fiducia e di altrettanto sconforto. Nel 1636 gli Estensi diedero il via ad un nuovo progetto in Trombacco(a tre km da Fornovolasco) attivando uno nuovo scavo per una nuova miniera che sembrava foriera di nuove prospettiva. In realtà il materiale era scarso e l’attività quindi durò circa dieci anni. Nel 1702 sul sito minerario delle “Bugie” venne usata una nuova tecnica di scavo: la polvere da sparo, questa innovazione che in un colpo solo faceva il lavoro di cento uomini portò alla riattivazione delle miniere(che già erano state chiuse negli anni precedenti) e dei forni di Trombacco e Fornovolasco, ma dopo pochi anni il filone si esaurì, bisognò ricorrere di nuovo al ferro dell’Isola d’Elba.
Palazzo Roni a Vergemoli La famiglia del monopolio del ferro di Fornovolasco
Il 1800 portò poi una sostanziale novità, cessarono tutte quelle licenze a persona che negli anni portarono alla morte di molte persone, era cominciata l’epoca delle rivoluzioni industriali, sparirono così i piccoli cavatori “ad uso familiare” e subentrarono gli imprenditori. In questa ottica già negli anni precedenti la famiglia Roni di Vergemoli aveva capito da quale parte stava andando il mondo, riuscendo ad accaparrarsi il monopolio delle miniere di ferro, ma i tempi belli come detto erano passati. Oramai Fornovolasco per le insufficienti vie di comunicazione e l’affermarsi di nuove tecnologie non riuscì più a stare al passo con i tempi. Comunque non si volle “mollare l’osso” e altri tentativi furono ancora fatti. Si ritentò ancora di estrarre nel martoriato sito delle “Bugie”. Insigni geologi ed esimi ingegneri elaborarono un piano a dir poco ambizioso che prevedeva la riapertura delle gallerie e il trasporto del minerale attraverso una funivia che portava direttamente a Gallicano, dove (nel progetto) sarebbe giunto un troncone della ferrovia…Le intenzioni erano ottime, ma i risultati però non furono all’altezza. Di li in poi fu un continuo“tentar di levare il sangue dalle rape“. Negli anni si susseguirono industrie come la Calceramica insieme alla Montecatini (1913), poi nonostante un periodo di estrazione piuttosto intenso le miniere passarono nel 1950 alla Desideri e Severi di Colle Val d’Elsa, dal 1952 al 1972 subentrò l’IMSA di Roma e infine nel 1973 l’EDEM, anch’essa di Roma che dopo vari tentativi di convertire produzioni e altri esperimenti similari decise di chiudere per sempre tutto e le miniere vennero definitivamente abbandonate.
Oggi le miniere di Fornovolasco si presentano così (Foto tratta da Speleoclub Garfagnana C.A.I)
Quello che rimane di questa storia non sono le miniere e nemmeno la loro interessante storia, quello che rimane di questo articolo sono quelli che Charles Dickens definiva “i perseguitati dell’inferno”: i minatori. Una vita breve ed intensissima. La maggior parte di loro non raggiungeva i cinquant’anni d’età, morti di lavoro a causa dei crolli e di intossicazioni polmonari.
  Bambini minatori in Pennsilvanya (U.S.A)
La loro morte nella comunità non destava nemmeno stupore, era la normalità. Insieme a loro (come abbiamo letto) i bambini, usati come cavie da esplorazione, la maggior parte di loro si perdeva nei cunicoli delle grotte, non riusciva più a far ritorno alla luce, morti al buio, di freddo e di fame. A tutti loro va il nostro pensiero…
        Bibliografia
“Le miniere di Fornovolasco” a cura dell’Associazione Buffarello Team
“Breve storia del lavoro in miniera” Mursia 1973
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cristianesimocattolico · 5 years ago
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Ecco perché l’Amazzonia è un territorio di morte
Nel documento finale del Sinodo si accenna ai drammi e crimini orribili diffusi in Amazzonia, ma dando spiegazioni generiche e imprecise per una realtà che interessa ben 9 Paesi. La terra si sta sì “dissanguando”, ma la colpa non è proprio delle multinazionali, come sostiene la vulgata socialista, bensì dell’azione impunita di gruppi criminali locali (Farc comprese). Che controllano non solo le miniere illegali ma tutta una serie di traffici, spesso sfocianti in bagni di sangue.
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di Marinellys Tremamunno (10-11-2019)
Il Sinodo sull’Amazzonia è finito, ma la situazione è tutt’altro che positiva. Paradossalmente, dopo un mese nell’occhio del ciclone, la foresta amazzonica appare ancora oggi come un territorio abbastanza sconosciuto, solcato da tanti miti e leggende urbane che da questa parte dell’oceano rendono difficile la sua comprensione. E, giustamente, il documento finale approvato dai Padri sinodali ha fatto appello per la difesa di questo “cuore biologico” (paragrafo 2), considerando che contiene una delle biosfere geologicamente più ricche al mondo; tuttavia, è altrettanto importante capire che si tratta anche di un “luogo di dolore e violenza” (paragrafo 10).
Nonostante l’immagine romantica del territorio che il Sinodo ha voluto vendere, il documento finale non ha potuto nascondere il dramma umano lì presente: “malattie derivate dall’inquinamento, traffico di droga, gruppi armati illegali, alcolismo, violenza contro le donne, sfruttamento sessuale, tratta di esseri umani, vendita di organi, turismo sessuale, e assassinii” (paragrafo 10).
Quali sono le cause di questo inferno? “Dietro ci sono gli interessi economici e politici dei settori dominanti, con la complicità di alcuni governanti e alcune autorità indigene”, si legge nel documento finale (paragrafo 10). Una risposta alquanto generica e imprecisa, per una realtà così complessa e grande che comprende nove Paesi sudamericani (6.7 milioni di km²), per cui è bene presentare un elenco dei problemi più gravi che affrontano gli abitanti dell’Amazzonia e le loro cause. Una chiave di lettura obbligata per capire perché l’Amazzonia è un territorio che genera morte.
La quotidianità in Amazzonia è, in gran parte, una cronaca di orrore. L’11 giugno è stato ucciso il sindacalista Carlos Cabral Pereira a Rio María, nel sud dello Stato di Pará (Brasile), dopo che aveva denunciato pubblicamente le minacce contro di lui. È il terzo presidente dell'Unione dei lavoratori rurali di Rio María assassinato. Lo scorso luglio, è stato trovato morto il “cacique” Emyra Waiapi, dopo che i minatori illegali armati avevano invaso un villaggio indigeno nello Stato di Amapá (nord del Brasile). La terra dell’etnia Waiapi, che si trova a circa 200 km dalla Guyana Francese, è ricca di oro, manganese, ferro e rame.
Il Brasile comprende il 70% dell’Amazzonia e non a caso occupa il primo posto nella lista dei Paesi con il più alto numero di omicidi causati da conflitti rurali nel mondo, con una cifra di 1.678 cittadini uccisi tra il 1985 e il 2003 e 57 solo nell’anno 2017. Il rapporto della Commissione pastorale della Terra di Brasile (CPT) mette in evidenza la lotta per la terra amazzonica: il 49% dei 1.489 conflitti registrati nel 2018 nelle campagne del Brasile si è verificato nella regione amazzonica e, delle 960.630 persone coinvolte, il 62% (599.084) sono abitanti dell’Amazzonia.
In questa lotta, i “garimpeiros” emergono come saccheggiatori della foresta alla ricerca dell’oro. L’attività mineraria illegale ha distrutto migliaia di ettari dal Perù, passando attraverso l’Ecuador, la Colombia, il Brasile e arrivando fino al Venezuela. In alcuni territori cercano l’oro manualmente, in altri usano persino macchine industriali, lasciando veri crateri in mezzo al bosco.
Oltre alla devastazione ambientale, c’è anche l’inquinamento per il mercurio e l’arsenico, usati come amalgama per separare l’oro dagli elementi di scarto, che contaminano l’acqua e i frutti della natura, causando gravi danni neurologici e malformazioni ai bambini. Lo ha confermato uno studio realizzato nel 2016 dalla Fondazione Oswaldo Cruz (Fiocruz) e dall'Istituto Socio-Ambientale (ISA): in alcuni villaggi della etnia “Yanomami” il tasso di contaminazione da mercurio raggiunge il 92%.
In Brasile, ci sono almeno 453 miniere illegali, secondo la mappa presentata dalla Rete Amazzonica di Informazione Socio Ambientale Georeferenciada (RAISG). Ma in Venezuela, dove si trova l'85% dell’attività mineraria illegale, la RAISG ha conteggiato almeno 1.781 miniere all’inizio di quest’anno. Da evidenziare che ogni miniera può comportare la devastazione da due fino a dieci ettari e, al tempo stesso, porta con sé violenza, narcotraffico, prostituzione, malattie e tanto degrado sociale.
Tutto ciò sotto la protezione della guerriglia colombiana. Il governatore dello stato “Amazonas”, Liborio Guarulla, membro dell’etnia “Baniva”, lo ha confermato all’agenzia Reuters, sottolineando che le Farc si nascondono in territorio venezuelano, con il beneplacito delle forze armate venezuelane. “Quando gli indigeni si lamentano, vengono immediatamente repressi”, ha affermato Guarulla e ha spiegato che i 20.000 indigeni “Yanomami” che abitano nella foresta venezuelana sono diventati schiavi dei “garimpeiros”.
C’è una vasta rete di crimine organizzato che controlla non solo le miniere illegali, ma anche il taglio illegale del legno, venduto poi all’Europa. Così la foresta primaria viene tagliata e deturpata, aprendo la strada a ulteriori attività di allevamento e di agricoltura estensiva. L’aveva denunciato nel 2015 Greenpeace e lo scorso settembre lo ha confermato il rapporto della Human Rights Watch. “Queste reti criminali hanno la capacità logistica di coordinare tutte le fasi, dall’estrazione del legname su larga scala alla lavorazione e consegna ai mercati nazionali ed esteri”, si legge nel documento di 169 pagine. Secondo l’indagine, i gruppi criminali che operano nel territorio amazzonico sono riusciti a creare un esercito di miliziani che garantiscono impunità e lasciano una lunga scia di sangue che nell’ultima decade ha prodotto almeno 300 morti. Sono i dati ufficiali dei registri della Commissione pastorale della Terra e della Procura generale del Brasile. La realtà potrebbe essere ancora più macabra.
Quindi la colpa non è proprio delle multinazionali, come ha voluto evidenziare la vulgata sinodale: «La terra ha sangue e si sta dissanguando, le multinazionali hanno tagliato le vene alla nostra “Madre Terra”. Vogliamo che il nostro grido indigeno venga ascoltato da tutti», si legge nell’Istrumentum Laboris (paragrafo 17). Quindi è vero, la terra si sta “dissanguando”, ma per l’azione impunita di gruppi criminali locali, che si avvalgono della corruzione, spesso governativa, per controllare il vasto territorio amazzonico.
Così l’Amazzonia naviga tra la vita e la morte, tra la sua esuberante bellezza naturale e i soliti discorsi socialisti contro le multinazionali. Infine, l’Amazzonia è un territorio stigmatizzato dalla disinformazione: “In Europa, pochi sanno che l'Amazzonia è altamente urbanizzata. Che la luce elettrica è arrivata prima a Manaus che a Rio de Janeiro. Che si fabbricano i microchip. Che i bambini sono collegati ai social network. Che l’elemento urbano, le strade, le magliette, le bottiglie di soda, sono presenti in quasi ogni angolo. Il mito dell'esotismo, di quell’angolo di tribù vergini e biodiversità, è solo quello, un mito”, ha affermato in un’intervista il giornalista Bernardo Gutiérrez, autore del libro “Calle Amazonas”.
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vittorioballato · 2 years ago
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