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Il Problema dell'Anno 2038: Un Rischio di Collasso per i Sistemi Unix?. Cosa succederà ai sistemi informatici il 19 gennaio 2038 e come le aziende stanno affrontando questa sfida tecnica
Il "Problema dell'Anno 2038" rappresenta una delle principali sfide informatiche che potrebbero influenzare i sistemi digitali a livello globale
Il “Problema dell’Anno 2038” rappresenta una delle principali sfide informatiche che potrebbero influenzare i sistemi digitali a livello globale. Conosciuto anche come Year 2038 Problem, questa criticità colpisce principalmente i sistemi Unix e altri sistemi operativi che utilizzano una rappresentazione a 32 bit per la misurazione del tempo. Ma in cosa consiste esattamente questo problema e…
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Il Fenomeno dello Spostamento dei Poli: Comprendere le Inversioni Magnetiche della Terra
Lo spostamento dei poli è un fenomeno affascinante in cui i poli magnetici della Terra si scambiano di posto. Questo evento, sebbene raro, si è verificato più volte nella storia del pianeta, portando a cambiamenti significativi nel campo magnetico terrestre. Gli scienziati studiano questi spostamenti per comprendere il loro impatto sui climi globali, sui sistemi di navigazione e persino sui modelli di migrazione animale. Altriocchi fornisce preziose informazioni sulle cause e gli effetti dello spostamento dei poli, sottolineando la sua importanza nel contesto più ampio dei processi geofisici della Terra.
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Storia: quando inizia l'era contemporanea?
Quando inizia la storia contemporanea? Se per quanto accaduto dall'antichità al Rinascimento, la ripartizione degli eventi storici è chiara, per ciò che l'umanità ha vissuto negli ultimi due secoli, gli studiosi non abbiano ancora trovato una soluzione univoca. Le epoche storiche La storia viene da sempre suddivisa in grandi epoche segnate ognuna da eventi significativi. Possiamo dire che oltre 2000 anni di storia sono suddivise i 4 grandi epoche: antichità, Medioevo, età moderna, età contemporanea. Ricapitoliamo cosa ha caratterizzato le prime tre epoche. - Antichità: questa epoca copre il periodo che va dalle prime civiltà umane fino al crollo dell'Impero Romano d'Occidente nel 476 d.C. Le principali civiltà dell'Antichità includono la Mesopotamia, l'Antico Egitto, la Grecia, e Roma. - Medioevo: inizia con la caduta dell'Impero Romano d'Occidente e si estende fino al periodo che precede il Rinascimento, solitamente collocato nel XIV secolo. Il Medioevo è spesso diviso in Alta e Bassa età medievale, con il periodo dell'Alto Medioevo che termina intorno all'anno 1000 e il periodo della Bassa Età Medievale che si estende fino alla fine del XV secolo. - Età Moderna: ha inizio con il Rinascimento, solitamente datato al XIV-XV secolo, e si estende fino alla fine del XVIII secolo o all'inizio del XIX secolo. L'Età Moderna è caratterizzata da importanti cambiamenti culturali, scientifici e politici, tra cui la Riforma Protestante, l'età delle esplorazioni, l'Illuminismo e le rivoluzioni politiche come la Rivoluzione Francese. Cosa si intende per storia contemporanea? Quando inizia l'era contemporanea? La domanda ha suscitato dibattiti tra gli storici, poiché l'inizio di un'epoca così vasta e complessa è difficile da fissare con precisione. Alcuni la fanno iniziare con la Rivoluzione Industriale, mentre altri la collegano alla Rivoluzione Francese o al Congresso di Vienna. C'è chi sostiene che l'era contemporanea abbia avuto inizio con la Prima Guerra Mondiale. 4 capisaldi della contemporaneità Indubbiamente tutti gli eventi appena citati hanno avuto un grosso impatto sulla storia facendo sentire i loro effetti ancora oggi. Ripercorriamoli insieme. La Rivoluzione Industriale: ha avuto inizio nella seconda metà del XVIII secolo. L'introduzione di macchine e l'evoluzione dei metodi di produzione hanno trasformato radicalmente la società, portando a una migrazione massiccia dalle aree rurali a quelle urbane. L'emergere delle fabbriche ha ridefinito il concetto di lavoro, creando nuove classi sociali e alimentando tensioni economiche. La Rivoluzione Francese: questo periodo tumultuoso, durato dal 1789 al 1799, ha visto la caduta dell'Antico Regime e l'affermazione dei principi di libertà, uguaglianza e fratellanza. L'influenza della Rivoluzione Francese si è diffusa in tutto il mondo, ispirando movimenti nazionali e contribuendo a plasmare i futuri sistemi politici. Il Congresso di Vienna: dopo le devastazioni delle guerre napoleoniche, i leader europei cercarono di ristabilire, nel 1815, un equilibrio politico e sociale attraverso negoziati e accordi internazionali. Questo evento ha segnato la fine di un'epoca e l'inizio di una nuova era di cooperazione e competizione tra le potenze europee. La Prima Guerra Mondiale: consumatosi dal 1914 al 1918, Il conflitto ha provocato cambiamenti geopolitici senza precedenti, portando alla caduta di imperi e all'emergere di nuove nazioni. Le drammatiche trasformazioni sociali e culturali che ne sono derivate hanno plasmato il corso del XX secolo. In copertina foto di WikiImages da Pixabay Read the full article
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Genre: Animation, Action, Histoire, Aventure, Fantastique, Drame
Etoiles: Natsuki Hanae, Akari Kitō, Hiro Shimono, Yoshitsugu Matsuoka, Satoshi Hino, Daisuke Hirakawa
Équipage: Yuki Kajiura (Original Music Composer), Akira Matsushima (Character Designer), Akira Matsushima (Supervising Animation Director), Haruo Sotozaki (Director), Gou Shiina (Original Music Composer), Masaru Yanaka (Concept Artist)
Pays: Japan
Langue: 日本語
Studio: ufotable, Aniplex
Durée: 117 minutes
Qualité: HD
Sortie: Oct 16, 2020
IMDb: 1
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Overview : demon slayer le train de l'infini ita streaming ~ In Tunisia c’è stata la Primavera araba, ma forse aprire uno studio da psicanalista per una donna è ancora troppo presto… Selma (Golshifteh Farahani) è una giovane psicanalista dal carattere forte e indipendente cresciuta a Parigi insieme al padre, quando decide di tornare nella sua città d’origine, Tunisi, determinata ad aprire uno studio privato le cose non andranno come previsto…. La ragazza si scontrerà con un ambiente non proprio favorevole, i suoi parenti cercheranno di scoraggiarla, lo studio inizierà a popolarsi di pazienti alquanto eccentrici…
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Un cortometraggio (o corto metraggio ) è un film ( demon slayer le train de l'infini streaming ita ) la cui durata normalmente non raggiunge i 30 minuti complessivi (al Festival international du court métrage de Clermont-Ferrand, il più importante per i cortometraggi, la durata massima ammessa è di 40 minuti) Tuttavia, secondo la normativa italiana, un cortometraggio può durare fino a 75 minuti
Un film per il cinema è un film che ha come mercato primario la sala cinematografica "demon slayer le train de l'infini Film completo italiano " pubblica Normalmente, nella medesima sala, sono disponibili più visioni pubbliche al giorno del film Le visioni possono protrarsi fino a qualche mese Dipende dal successo di pubblico ottenuto dal film Prevalentemente si protraggono per due o tre settimane Dopo essere stato distribuito nelle sale cinematografiche, un film per il cinema spesso viene anche trasmesso in televisione e pubblicato in home video
Un altro importante sviluppo tecnologico fu l introduzione del " colore naturale " , scaricare demon slayer le train de l'infini Film completo sub ita che significava un colore che veniva registrato fotograficamente dalla natura piuttosto che aggiunto alle stampe in bianco e nero mediante colorazione a mano, stencil-colorazione o altre procedure arbitrarie, sebbene i primi processi in genere produceva colori che erano tutt altro che "naturali" in apparenza [ citazione necessaria ] Mentre l avvento dei film sonori ha rapidamente reso obsoleti i film muti e i musicisti teatrali, il colore ha sostituito il bianco e nero molto più gradualmente [ citazione necessaria ] L innovazione fondamentale è stata l introduzione della versione a tre strisce di Technicolorprocesso, usato inizialmente per i cartoni animati nel 1932, poi anche per cortometraggi dal vivo e sequenze isolate in alcuni lungometraggi , poi per un intero film, Becky Sharp , nel 1935 Le spese del processo furono scoraggianti, ma favorevoli la risposta del pubblico sotto forma di maggiori entrate al botteghino di solito ha giustificato il costo aggiunto Il numero di film realizzati a colori è aumentato lentamente di anno in anno
I "crediti" o "demon slayer le train de l'infini Film streaming Altadefinizione " sono un elenco che dà credito alle persone coinvolte nella produzione di un film I film di prima degli anni 70 di solito iniziano un film con crediti, spesso finiscono solo con una carta del titolo, dicendo "The End" o qualche equivalente, spesso un equivalente che dipende dal linguaggio della produzione [ citazione necessaria ] Da quel momento in poi, i titoli di coda di un film compaiono generalmente alla fine della maggior parte dei film Tuttavia, i film con crediti che finiscono un film spesso ripetono alcuni crediti all inizio o in prossimità di un film e quindi appaiono due volte, come ad esempio la recitazione di quel film, mentre meno frequentemente alcuni che appaiono vicino o all inizio appaiono solo lì, non al fine, che spesso accade al merito del regista I titoli di coda che compaiono all inizio o in prossimità di un film sono generalmente chiamati "titoli" o "titoli iniziali" Una scena post-crediti è una scena mostrata dopo la fine dei crediti Ferris Bueller s Day Off ha una scena post-credit in cui Ferris dice al pubblico che il film è finito e dovrebbero tornare a casa
Alcuni film degli ultimi decenni sono stati registrati utilizzando una tecnologia video analogica simile a quella utilizzata nella produzione televisiva demon slayer le train de l'infini Film streaming CB01 Anche le moderne videocamere digitali e i proiettori digitali stanno guadagnando terreno Questi approcci sono preferiti da alcuni cineasti, soprattutto perché i filmati girati con il cinema digitale possono essere valutati e modificati con sistemi di editing non lineare (NLE) senza attendere l elaborazione del filmato La migrazione è stata graduale e, a partire dal 2005, la maggior parte dei film è stata girata nel film
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Alla fine del 2014, una famiglia in vacanza, a pranzo in una taverna su un’isola greca, assistette alla tragedia che si consumava sotto i loro occhi. Il corpo di un uomo veniva lavato a riva. Non sapendo cosa fare, chiamarono un’amica per chiedere aiuto e consigli.
L’amica era Catriona Jarvis, una giudice britannica in pensione che aveva lavorato a un nuovo impianto normativo per i diritti dei migranti scomparsi e morti e delle loro famiglie. La Jarvis partì per cercare di identificare l’uomo, e alla fine, con l’aiuto di attivisti locali, medici e altri, compresi i medici legali, ci riuscì. “Era un giovane siriano. Aveva solo 22 anni. Era una tragedia” ricorda Jarvis. Grazie all’aiuto, fu trovata anche la sua famiglia che, comprensibilmente, voleva che il suo corpo venisse rispedito a casa. Ma era impossibile restituire le sue spoglie alla Siria dilaniata dalla guerra, non da ultimo a causa di costi, complicazioni legali e burocratiche, quindi fu sepolto nel nord della Grecia. “La sua famiglia sa dov’è e può richiedere un visto per fare visita alla sua tomba.”
Questo evento e la consapevolezza che c’erano enormi lacune nei sistemi di identificazione di migranti scomparsi e morti e di ricongiungimento con i loro cari, portò Jarvis a coinvolgersi ancora più profondamente nella difesa dei diritti dei membri delle famiglie e dei cari di coloro che morivano lungo il percorso di migrazione.
Nel 2015 partì come volontaria per l’isola egea orientale di Lesbo, dove erano avvenuti numerosi naufragi e molti migranti erano morti. “Tutti provavano a fare qualcosa. L’obitorio dell’isola aveva spazio per soli due corpi e ce n’erano 70 ad aver bisogno di assistenza e cura. I familiari non sapevano cosa fare o dove andare.”
I corpi senza nome
Jarvis stessa organizzò un container refrigerato, da inviare a Lesbo come obitorio provvisorio, così che i corpi potessero essere conservati in sicurezza. “È ancora lì, all’ospedale. Spero non debba essere usato mai più.”
Sull’isola, dove la maggior parte dei migranti che attraversarono il Mediterraneo nel 2015 si dirigevano e in tanti morirono, era chiaro che non erano disponibili sufficienti risorse per badare ai corpi o ai diritti delle famiglie. E questo è ancora vero più di tre anni dopo, sebbene meno persone tentino traversate irregolari.
Generalmente c’è un lavoro di archivio e analisi dati post-mortem, sebbene la facilità e l’efficacia dipendano dal contesto. In Grecia, i campioni dovrebbero essere inviati ad Atene, dove il dipartimento di polizia giudiziaria è dotata di un sofisticato database. Ma le procedure in altri Paesi sono diverse. Quando il DNA viene prelevato da un corpo e confrontato, arrivare a una identificazione è possibile, ma è ancora raro che accada. Anche la decomposizione di un corpo rende difficile l’identificazione, e passaporti o altri documenti spesso non esistono.
Quando non si può risalire all’identità attraverso il DNA, il campione dovrebbe essere conservato perché potrebbe risultare utile per identificare l’individuo in futuro. Ma questo non avviene sistematicamente. Ogni Paese agisce diversamente. E le famiglie patiscono le conseguenze, dice Jarvis. “La carenza di comunicazione e coordinamento… causa enormi problemi alle famiglie e aggrava il loro dolore.”
Unidentified refugee, cimitero di Mytilini, 2015 Una crisi secondaria
La complessità e difficoltà dell’identificazione spiega in parte il fatto che l’archivio di dati relativi ai migranti dispersi è finalizzato al conteggio dei morti e dei dispersi piuttosto che a tentare di identificarli o di rintracciarne le famiglie. L’assenza di dati e di conoscenza sulle identità dei morti è “una delle grandi tragedie taciute di questa catastrofe”, ha dichiarato Agnes Callamard, osservatore speciale delle Nazioni Unite sulle uccisioni extragiudiziali. È soprattutto una tragedia per le famiglie in disperato bisogno di una risoluzione. “Loro vogliono sapere, ‘Sono vivi o morti?’,” dice Jarvis. “Non possono piangere e non possono trovare una risoluzione se non sanno cosa è successo.”
Quando capita un disastro naturale, come lo tsunami nell’Oceano Indiano del 2004, una guerra o un attacco terroristico, ci sono riferimenti internazionali per i diritti umani e legali a gestire le conseguenze - per identificare i dispersi e i morti, per assicurare che i diritti dei defunti vengano rispettati. Gli obblighi da parte degli Stati sono abbastanza chiari.
Nel caso delle morti durante la migrazione, non c’è un quadro di riferimento simile, e leggi e procedure differiscono da un Paese all’altro. Anche quando ci sono leggi per le quali perseguire individui responsabili della morte dei migranti, come i trafficanti, i colpevoli difficilmente sono stati consegnati alla giustizia, secondo Agnes Callamard.
Corpi ‘sparsi per tutta la Sicilia’
In Italia non c’è nemmeno l’obbligo legale di identificare il corpo di una persona morta durante la migrazione, dice Giorgia Mirto, ricercatrice del progetto Mediterranean Missing. Questo è stato uno dei primi lavori sistematici di raccolta dati e indagine comparativa dei risultati con i corpi dei migranti nel Mediterraneo e gli effetti della scomparsa di una persona sulle famiglie lasciate nel Paese di origine. La Mirto ha lavorato seguendo la scia dei corpi in Sicilia, dove, a causa della mancanza di posti destinati alla sepoltura dei migranti e di conservazione dei cadaveri in attesa dell’autopsia, sono "sparsi su tutta l’isola".
Nelle rare occasioni in cui un corpo è stato identificato, spiega la Mirto, è successo dopo tanto tempo dalla sepoltura. Nel momento in cui la famiglia arriva per riprendere le spoglie, è probabile che siano state spostate in un cimitero nell’entroterra o in un’altra parte della costa siciliana. “Finora non ho mai mancato di ritrovare un corpo”, dichiara. Ma senza il suo aiuto, la gran parte delle famiglie non avrebbero potuto rintracciare le spoglie dei loro cari. E lei è in grado di portare avanti questo lavoro solo grazie al sostegno di progetti temporanei come Mediterranean Missing e Human Costs of Border Control.
Un passo avanti…
Il progetto Human Costs of Border Control raccomandava un database centrale di informazioni sui migranti morti o dispersi che aiuterebbe la loro identificazione e l’individuazione delle famiglie. Un’altra serie di raccomandazioni sono arrivate dalla Jarvis e dal progetto Last Rights che gestisce con un altro avvocato per i diritti umani, Syd Bolton, che prevede appelli ai Paesi per istituire un’autorità unica, responsabile per il coordinamento dei lavori legati ai migranti morti o dispersi, come per esempio la creazione di un database dei DNA, con opportuni firewall di sicurezza, attraverso i quali incrociare informazioni genetiche con quelle dei familiari.
Lo scorso maggio, il progetto della Jarvis ha fatto un passo avanti -la Dichiarazione di Mytilini, firmata da molte persone di tutto il mondo. È stata adottata dalla Commissione Nazionale Greca per i Diritti Umani e potrebbe dare maggior forza alla sua causa negli ambienti politici.
Ma una delle cose principali che la dichiarazione richiede è che gli stati aumentino gli sforzi di ricerca e soccorso, che ha ricevuto un brutto colpo con la decisione dell’Unione Europea della scorsa settimana di sospendere le operazioni navali di soccorso nel Mediterraneo sotto l’operazione Sophia.
Con meno imbarcazioni capaci di recuperare vivi e morti, le spoglie dei migranti avranno ancora meno probabilità di essere recuperate, avverte Jarvis, aumentando l’impunità da parte delle autorità: "Ancora più corpi spariranno sotto le onde, non sapremo mai che erano lì".
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Quando Panerai era Firenze.


Giovanni Panerai Gli italiani hanno una grande qualità, per taluni scambiata per difetto, la fantasia; la capacità di immaginare e trasformare la fantasia in realtà. Poi hanno anche un grande difetto, scambiato per taluni per virtù, si lasciano comprare sempre da chi non possiede altrettanta fantasia. La Panerai nata dalla fantasia di un uomo fiorentino adesso è Svizzera dal 1997, assorbita dalla, allora, Vendôme Group. All'inizio non esistevano le famose Officine Panerai, ma un negozio di orologeria che Giovanni Panerai aprì nel 1860 in fronte al ponte alle Grazie. Un negozio dove trovare i migliori orologi dell'epoca, ma non solo, dove trovare anche una scuola di orologeria in cui formarsi con uno dei migliori orologiai dell'epoca. All'interno del negozio si cominciò la realizzazione di quei piccoli meccanismi che alimentano i segnatempo, una meccanica di precisione che non accetta compromessi. La prima vera svolta non avviene con Giovanni, ma con il nipote Guido che trasferisce l'attività nel negozio storico, adesso riaperto, in piazza Duomo, nel palazzo Arcivescovile. In quella sede, davanti al battistero, Guido Panerai cambiò il nome dell'azienda in "Orologeria Svizzera". Il negozio divenne esclusivista per la Rolex ed altre prestigiose marche, ma l'inventiva di Guido non si era esaurita e la voglia di creare qualcosa di personale era decisamente forte. Fu fondata un'altra società che prese il nome di "Guido Panerai officina meccanica".

Radiomir Fu il 23 marzo del 1916 che fu depositato il brevetto del Radiomir, una polvere a base di radio che rendeva luminosi in notturna i quadranti degli orologi. Una ricerca e un brevetto che era nato dalla collaborazione delle Officine Panerai con la Regia Marina. Poco prima della 2° Guerra Mondiale. Nel 1936, viene creato l'orologio Radiomir su richiesta della Regia Marina per gli incursori del 1° Gruppo Sommergibili. furono 10 esemplari, orologi con caratteristiche eccezionali, altamente resistenti agli urti, impermeabili, quadrante luminescente notturno, cinturini impermeabili e di lunghezza sufficiente ad essere allacciati sopra la muta. Un orologio unico nel suo genere, un orologio per persone che affidavano la propria vita alla precisione di un segnatempo. Non solo il brevetto radiomir si estrinsecò negli orologi, ma le officine Panerai lo applicarono nei sistemi di mira notturni dei cannoni, nei reticoli dei cannocchiali e sul famosissimo MAS il motoscafo armato silurante, una di queste imbarcazioni è conservata presso il Vittoriale.

Mare Nostrum La storia del Radomir è fatta di evoluzioni e miglioramenti, per esempio nel 1940 la cassa viene ricavata da un unico blocco d'acciaio per ottenere la massima resistenza alle pressioni e alle sollecitazioni. Un'evoluzione che poi sfocia nel 1943 in un nuovo modello Panerai, il Mare Nostrum (nome oggi decisamente svilito) un cronografo di rara bellezza e resistenza.

Luminor 1950 Nel 1949 il Luminor sostituisce il Radomir, sia come brevetto che come orologio. Il radio è sostituito dal trizio (isotopo dell'idrogeno) e il Luminor 1950 è il nuovo orologio di punta della Panerai. Assieme agli orologi la Panerai produce bussole, profondimetri, torce, il suo nome diventa internazionale e prima la Marina Egiziana e poi quella Israeliana chiedono alle officine segnatempo di precisione. Il 1972 vede la morte di Giuseppe Panerai e la Panerai cambia la ragione sociale diventando una srl, Officine Panerai. Ciò che era conduzione familiare diventa apertura al mercato e se pur in campo meccanico l'evoluzione e il miglioramento sono costanti l'azienda perde progressivamente il rapporto con il territorio fino alla sua migrazione svizzera. Un pezzo di storia di Firenze che rimane solo storica ma non più economica, un marchio che oggi conta estimatori in tutto il mondo poteva continuare ad essere fiore all'occhiello italiano, fiorentino ed invece è andato perso. Le Officine Panerai come tante altre aziende italiane, nate dalla genialità del singolo e fagocitate dall'ingordigia del multi(nazionali).

Jacopo Cioni Read the full article
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[...] frammento #5
La contemplazione dell’Aeternarium dei nostri antenati ci serve per validare il possesso del primo Cancello Principale che ha il codice principale del nostro passaporto, dalla New Line a Dubai, dalla capitale delle Afriche Asiatiche e tutti i dominii del governo imperiale della colonia desertica. La contemplazione dell’Aeternarium ci ricorda chi siamo e da dove veniamo, lì trovi le carezze di tua madre e la parole di tuo padre. L’accesso costa 50 crediti ma io ormai vado solo per la celebrazione del giorno della distruzione dell’emisfero nord est, quella che ha prodotto la grande migrazione che è all’origine della prima era. Si celebra al 13 ciclo lunare dell’anno imperiale. Si vedono i resti della torre Omega quando la marea si abbassano al tredicesimo ciclo. La metà degli abitanti della new line provengono dalla grande migrazione e con il lavoro di due generazioni è stato possibile costruire l’Aeternarium, per non dimenticare. Al tredicesimo ciclo l’accesso è gratuito per chi fornisce elementi di appartenenza tramite i dati del primo cancello della “Radice” e con lui possono accedere anche due persone con un diverso codice sorgente, solitamenti elementi familiari acquisiti o sotto validazione autorizzata dal dipartimento della memoria. A me è successo di lavorare per il dipartimento diverse volte per monitorare gli accessi e la stabilità del sistema in un periodo di alta affluenza.
In quel periodo erano state notate alcune piccole anomalie, di solito tutti i dati relativi alle famiglie dell’Aeternarium vengono riassorbite come patrimonio estetico dal sistema nel momento in cui muoiono gli ultimi appartenenti alla famiglia che potevano accedere tramite il codice del primo cancello, si controllano i gradi di compatibilità con i sistemi oggettivi di storage dell’eternarium e ciò che rientra come aderente al sistema estetico viene riassorbito, tutto ciò che è prettamente personale o viene usato per il canale d’intrattenimento storico o se considerato senza valore d’intrattenimento viene trattato come scoria.
Ed è lì che ho trovato delle cose affascinanti. 9 lotti dell’Aeternalium con connotazioni perfettamente coerenti all’estetica presentavano comuni elementi schizofrenici che hanno risuonato con il mio 5 Cancello usato per l’”immersione investigativa” e che al ritorno alla caspula di ripulitura non non sono stati considerati come elementi di disturbo, e anche quando li ricordo non interferiscono in nessun modo con la frequenza della mia prospettiva originaria e per di più non miè stato richiesto di farmi un giro nauseabondo come devo fare adesso per quella bubble bitch. È come se risalissero ai dati della mia radice. Questo è quello che ho trovato.
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SERVIZI IN CLOUD, FINANZIATO DAL PNRR IL PROGETTO DEL COMUNE DI LECCE
SERVIZI IN CLOUD, FINANZIATO DAL PNRR IL PROGETTO DEL COMUNE DI LECCE
Il Comune di Lecce ha ottenuto la somma di 319.556 euro dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per finanziare il completamento della migrazione in cloud dei sistemi informatici e degli ambienti di elaborazione dati. L’intervento è stato finanziato nell’ambito della Missione 1 del PNRR, che prevede investimenti e interventi per la digitalizzazione del Paese a partire dalla Pubblica…

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Fig. XXIX. 1. – La Zebra Quaggia o Couagga – Alois Zötl, 12 maggio 1882.
La zebra fece la sua prima comparsa nei circhi romani come Hippotigris, è stata uno degli animali più popolari e resta tuttora una delle maggiori attrazioni dei giardini zoologici. Gli scienziati si sono interessati alla zebra in quanto sistema-modello per lo studio di uno dei più interessanti problemi biologici: la barratura.
Per la scienza contemporanea la zebratura rappresenta il paradigma di come i modelli in via di sviluppo si fissino già nell’embrione man mano che esso si evolve da uovo informe. Per l’occhio del profano una zebra non è che una zebra. Di fatto ne esistono tre specie: la Zebra Imperiale o di Grevy, la Zebra di Montagna e la Zebra Comune o di Burchell. Una quarta specie, la Zebra Quaggia, cacciata per la sua carne commestibile, fu ridotta all’estinzione alla fine del 1800.
Le zebre appartengono tutte alla famiglia degli equidi e si prestano agli incroci; avendo però una dotazione cromosomica diversa, gli ibridi saranno sterili come i muli. Gli ibridi cavallo-zebra sono striati, ma il disegno del mantello tende a essere differente da quello del genitore zebra, sia nel numero che nell’organizzazione delle strisce. Le zebrature delle diverse specie hanno alcuni tratti in comune, però ciascuna presenta aspetti esclusivi e facilmente riconoscibili. Esistono anche differenze di minor conto fra zebre di una stessa specie, e addirittura fra lato destro e sinistro di uno stesso soggetto. I cacciatori sostengono che non vi sono due animali uguali e che talora si riscontrano disegni aberranti in cui le strisce sono convolute o si disgregano in zone bianconere senz’ordine, o appaiono composte da una serie di macchie.
Il pigmento nero non si trova nella pelle, ma solo nei follicoli dei peli; è degno di nota il fatto che i membri della famiglia degli equidi che non siano zebre presentano anch’essi una certa quota di zebratura, ma poiché cavallo e pony sono spesso marroni o neri, tale zebratura può riuscire invisibile o quasi. Lo stesso vale per la Pantera nera, variante melanica del Leopardo,: a luce radente possiamo intravedere sul mantello nero i caratteristici disegni ocellati posseduti dagli esemplari pigmentati in modo normale.
Perché la zebra è striata? A questi disegni così appariscenti sono state attribuite le più svariate funzioni: stabilire vincoli sociali, disorientare il sistema visivo della mosca tse-tse, raffreddare l’aria generando correnti convettive. È opinione più generale, e forse più corretta, che le strisce siano importanti per il mimetismo. Un mantello dal disegno prepotente di giorno rende l’animale quasi invisibile di sera e di notte, quando strisce bianche e nere ottengono l’effetto di spezzarne la sagoma. I cacciatori sanno che durante un luminoso chiar di luna la zebra è invisibile a 50 passi, e che alla luce delle stelle si può mancarla a poco più di 4 metri e mezzo. Il mimetismo serve a proteggersi dal maggior predatore, il Leone - Panthera leo - , in agguato quando al crepuscolo la zebra va ad abbeverarsi, il momento di maggior vulnerabilità.
L’esame di embrioni di zebra per carpire il momento e il meccanismo di formazione delle barre non è di alcuna utilità, poiché il disegno è nel pelame e non nella pelle, e il pelo non spunta se non circa 6 mesi dopo il concepimento. Sono due i motivi che inducono a pensare che il disegno sia determinato molto più precocemente rispetto al 6° mese di gravidanza: le cellule della cresta neurale, da cui prendono origine i melanoblasti, migrano durante uno stadio di sviluppo molto precoce dell’embrione (circa 2 settimane per il cavallo) e la loro sorte sembra decisa subito dopo questa migrazione. Se il disegno dovesse determinarsi al momento in cui le strisce fanno la loro comparsa, il meccanismo che le produce dovrebbe essere davvero molto complesso per generare il diverso orientamento e la diversa larghezza delle strisce nelle diverse specie.
L’ipotesi alternativa più semplice è che tutte le strisce in tutte le zebre siano delle stesse dimensioni quando vengono determinate, ma che la differenziazione della crescita embrionale alteri poi i relativi orientamenti e le relative ampiezze.
Si può pertanto formulare l’ipotesi secondo cui tutte le strisce del corpo delle zebre sono in origine spaziate regolarmente e perpendicolari alla potenziale striscia dorsale lungo la groppa. Il momento della loro formazione dovrebbe coincidere intorno alla quinta settimana di vita intrauterina e distano tra loro di circa 0,4 mm.
Ma vediamo quale può essere il meccanismo fisicochimico che presiede alla zebratura. Abbiamo solo scarse nozioni sui meccanismi che hanno il compito di specificare quando, come e dove la differenziazione cellulare venga distribuita in un embrione. Nell’embrione possono insorgere gradienti uniformi e continui, i quali possono venir interpretati in modo che le soglie di concentrazione agiscano da istruzioni. Può inoltre esservi uno schema sottostante di concentrazioni molecolari, oppure relativo a qualche altra proprietà biofisica, tale da rendere questo schema simile al visibile schema finale di differenziazione spaziale, controllandone al tempo stesso la produzione. L’esempio più semplice di questo tipo di meccanismo è una mappa di concentrazioni chimiche discontinue. Questo meccanismo è idoneo a spiegare i motivi zebrati.
Il problema basilare è come si generino i motivi reiterati. L’idea che possa esservi una mappa chimica stabile in cui le zone di alta concentrazione chimica possano restare adiacenti a zone di bassa concentrazione, senza che la diffusione finisca per livellare completamente la discontinuità, urta contro l’intuizione immediata. Eppure ciò può accadere. Nel 1952 Alan Turing dimostrò che reazioni chimiche autocatalitiche tra due molecole diffondentisi liberamente possono generare onde chimiche stazionarie lungo una sequenza unidimensionale di cellule; l’energia atta ad alimentare questa disposizione apparentemente instabile deriva dalla scissione di un composto ricco di energia. Questo meccanismo è stato riprodotto in provetta ed è stato dimostrato che è capace di produrre un ricco assortimento di disegni bidimensionali, tra cui strisce verticali e orizzontali nonché complessi sistemi di macchie. Dove la concentrazione è alta si forma il pigmento, dove è bassa non si forma, o viceversa.
In questi meccanismi alla Turing vi è un forte fattore di fluttuazione, il che implica che non vi saranno due disegni esattamente uguali, come dimostrato dal fatto che non vi sono due animali con identico motivo a strisce. Se il meccanismo periodico collassa, si formano in sua vece dei sistemi di macchie, come dimostrato dalle zebre maculate.
Vi sono purtroppo aspetti del disegno che il suddetto meccanismo lascia ancora inspiegati. Tra questi, per esempio, come riesca a formarsi una striscia triradiale come quella sulla spalla di tutte le zebre, e come possano le strisce della zampa essere pilotate a girare intorno all’arto invece di scendere parallele ad esso. Al momento attuale il miglior partito è forse quello di considerare il meccanismo alla Turing come qualcosa che ci fornisce una metafora intelligente per l’analisi dei disegni, piuttosto che costituire una spiegazione esauriente.
Tuttavia siamo in grado di rispondere al quesito infantile se la zebra sia un animale bianco a strisce nere o l’opposto. La maggior parte degli Europei preferisce la prima ipotesi, mente la maggior parte degli Africani Neri opta per il mantello nero a strisce bianche. L’osservazione più interessante è quella relativa alle strisce-ombra che si trovano tra le larghe strisce caudali della zebra di Burchell. L’impressione dell’osservatore è che quando queste strisce arrivano a essere sufficientemente separate, una nuova striscia nera tenta di intromettersi. Talora si formano strisce-ombra tra due strisce-ombra. Da quanto detto si deduce che la pigmentazione si forma dove può, e quindi che le strisce bianche vengono a formarsi per soppressione della sintesi di pigmento. Perciò una zebra è un animale nero a strisce bianche.
Le zebre bianche equivalgono agli albini, e la pancia normalmente bianca delle barrate si spiega col fatto che i melanoblasti provenienti dalla cresta neurale posta in corrispondenza del dorso non riescono a raggiungere il ventre quando migrano lateralmente nelle prime fasi di sviluppo embrionale. Anche in altri mammiferi pigmentati, come la Tigre - Panthera tigris - e l’antilope, le zone ventrali sono bianche. Come accade per la zebra, sono noti esemplari di tigre bianchi o quasi sprovvisti di barratura.
È ovvio che questa carrellata di idee inabituali ha uno scopo ben preciso: ciascuno di noi può fare i necessari parallelismi con il ciuffo bianco della Polish. E quali parallelismi si possono fare con la Polish bianca ciuffo nero? (figura XXI.2) Basterebbe sapere, nel secondo caso, se i follicoli del mantello sono dotati di melanociti malfunzionanti o se non sono stati colonizzati dai melanoblasti dalla cresta neurale i quali, invece di invadere la maggior parte della cute, si sono limitati al ciuffo. Questo è un esempio di come la letteratura avicola spesso sia carente di notizie importanti. Basterebbe un semplice riscontro microscopico.
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Un Gioviano caldo fallito scoperto in un'ampia orbita attorno a Kepler-1704
Un Gioviano caldo fallito scoperto in un’ampia orbita attorno a Kepler-1704
Immagine artistica dell’esopianeta gigante Kepler-1704b. Gli astronomi del Giant Outer Transiting Exoplanet Mass (GOT ‘EM) Survey hanno scoperto un pianeta gigante che ruota intorno alla stella Kepler-1704 con un lungo periodo. “La migrazione dei pianeti giganti è tipicamente invocata per spiegare l’attuale architettura dei sistemi esoplanetari”, ha scritto l’astronomo dell’Università della…

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Joblio Inc. da Miami a Montecarlo per il CC Forum
Nel pomeriggio del 6 luglio, in una bella giornata di sole caldo, il Principato di Monaco ha atteso gli arrivi dagli States e da UK di chi, nel 2020, ha dato forma all’App e alla società Joblio Inc., avente sede a Miami (Florida, USA), e di chi ne è un prezioso advisor. Nell’ordine: il CEO Jon Purizhansky, l’ideatore, il Presidente David Arkless, ex Global President di ManpowerGroup, il CRO Michael Schvartsman, co-fondatore della società con Jon, e i consiglieri John Gavigan e Dennis C. Vacco.

Le interviste di Alessandra Basile:
Alessandra: Ho intervistato, al Meridien Beach Plaza di Montecarlo, gran parte di loro, persone di alto profilo professionale, capaci di mettersi in gioco con coraggio e determinazione per un goal umanitario rilevante sul piano, soprattutto, europeo e di impatto internazionale, in linea con il tema principale del CC Forum di Monaco che li ha prontamente ospitati, la sostenibilità.
Joblio: la sua piattaforma user-friendly:
Grazie a un team competente di professionisti rappresentanti di ogni parte del mondo, Joblio offre, attraverso la sua piattaforma user-friendly, un sistema di tracciamento centralizzato per la migrazione economica e garantisce il rigoroso rispetto degli standard umanitari internazionali.
Infatti, i miei intervistati mi spiegano che la piattaforma permette a un immigrato intenzionato a trovare lavoro, non solo di trovarlo facilmente con pochi passaggi sul proprio cellulare, ormai alla portata quasi di chiunque, ma anche di essere seguito prima di giungere nel paese ospitante e durante la sua permanenza del Paese che lo ospiterà, con una relativa formazione su cultura, leggi e lingua, fino al rientro in patria.
Il tutto grazie ad accordi governativi e a modelli di assunzione sostenibili, che potenziano l’economia internazionale nel nome dei diritti umani, a discapito delle attività criminali.
Investimenti a favore dello Sviluppo Sostenibile
Ceo e Presidente sono intervenuti alla Conferenza 2021 per gli Investimenti a favore dello Sviluppo Sostenibile, incentrata su innovazione aziendale e attività legislativa e interna al CC Forum, al quale hanno partecipato personalità quali Michael del Liechtenstein, Fondatore e Presidente della società Geopolitical Intelligence Services e Steven O’Brien, Segretario Generale del G20 Foundation.
Joblio mira a contribuire alla risoluzione delle problematiche migratorie globali con la rimozione della figura dell’intermediario dal processo di assunzione, creando un rapporto diretto fra datori di lavoro e futuri assunti, per garantire impieghi in condizioni eque e proficue. Si prevengono le frodi e si garantisce il rispetto delle leggi statali sul lavoro nelle fasi di ricollocazione del capitale umano.
Dal Comunicato Stampa di Joblio: ‘attualmente si stima siano 24.9 milioni i lavoratori sottoposti a condizioni di lavoro forzato, 16 milioni dei quali sono vittime di sfruttamento nel settore privato. Si ritiene che il lavoro forzato generi annualmente 150 miliardi di dollari USA a favore di terze parti che traggono profitto da standard di reclutamento poco trasparenti e da sistemi di pagamento corrotti.
In effetti, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro stima che almeno 150 milioni di lavoratori lasciano, ogni anno, i propri Paesi d’origine per ricercare opportunità lavorative in un Paese estero.
Questa cifra aumenta annualmente’;‘nelle economie sviluppate, il profitto annuale per vittima di lavoro forzato è pari a circa $35,000. Buona parte di questo introito è intascata da reclutatori (..) che travisano volutamente le posizioni offerte dai datori di lavoro’.
Nel 2021, a Joblio è stato conferito il Premio “Excellence Innovation Award in Human Rights Protection” dall’Abrahamic Business Circle. La società contribuisce al salvataggio di vite umane.
Originally Posted: https://joblio.co/en/blog/joblio-inc-da-miami-a-montecarlo-per-il-cc-forum/
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[4.2] - Il blocco del Puerto

Interpretare i blocchi della strada di Buenaventura come “interregni” riguarda il tentativo di rielaborare la nozione di sovranità a partire da una ritrovata capacità di molteplici soggetti di produrre una specifica architettura della loro presenza nel mondo. Significa quindi osservare la guerra civile colombiana, di cui i blocchi stradali sono evidente manifestazione, dentro una più ampia struttura simbolica composta dai variegati repertori della protesta, dalla mitopoiesi della calle e dalle relazioni di politica-economica determinate da un assemblaggio dell’altrove come il “Puerto”. Mettere tutto questo assieme implica prima di tutto chiedersi se le nozioni raccolte durante il lavoro di campo, rielaborate nel corso di alcuni anni di riflessioni e descritte fin qui, possano descrivere dei sistemi politici nei cosiddetti margini ancora non propriamente presi in considerazione in una città come Buenaventura. Spingono il pensiero ad un passo in più verso la comprensione di un possibile campo politico istituente, “nativo”, “selvaggio”, “nero”, “Afro” e “ribelle” rispetto ai mondi assolutizzanti della Tecnica (1, 2). Occorre allora chiedersi se in una rivolta o in quell’insieme di pratiche “di frontiera” siano riscontrabili delle continutà e delle ripetizioni incorporate ma non rappresentate perfettamente in istituzioni che organizzano la prepotenza come il combo\banda o il “jefe\capo” (chiefdom) o che coordinano la violenza producendo alleanze sempre in divenire per il controllo del territorio, come i gruppi in armi del tipo Rastrojos\Urabeños.
Fin qui ho cercato di mostrare che l’esistenza di questi sistemi politici piuttosto che originarsi in un’esteriorità dello Stato, cioè in una sua assenza o come prodotto di una debolezza strutturale o di un suo fallimento, si articolano e si intrecciano in variegate forme all’istituzionalità ufficiale ed alle autorità legittimate localmente. Partecipano cioè della statualità tanto quanto ne rappresentano un opposto. La loro complessità risiede nella dimensione caotica delle relazioni che producono, cioè nella loro apparente incoerenza, nella mancanza di una coordinazione centralizzata vera e propria o di strutture di intermediazione stabili che chiariscano in maniera univoca i rapporti tra centro e margini dei campi politici che generano. In questo senso rispetto all’eternità dello Stato sono normalmente analizzate come una forma-Clan, come il negativo, il non comprensibile e come un’esteriorità (si vedano Delueze e Guattari 2003:495-594). Sono però osservabili ritualità, regole e forme di appartenenza e di partecipazione e linguaggi altri che le definiscono non per la “rudimentarietà” o “elementarità” delle loro organizzazioni. Al contrario rappresentano sistemi ugualmente complessi capaci di estendere forme di influenza oltre un piccolo quartiere o gruppo di case. Famoso è il caso del radicamento di Cosa Nostra a New York che veniva interprato come una forma organizzativa elementare che sarebbe stata riportata “nello Stato” attraverso il processi di “Americanizzazione/civilizzazione” della migrazione (Lupo, 2008). Nei casi di Palermo e Napoli citati nel post precedente, organizzazioni funzionalmente simili ad un caporalato (chiefdom), nell’incontro “coloniale” e con il progetto eterno dello Stato si sono invece modellate fino a divenire-Camorra e divenire-Cosa Nostra mantenendo relazioni di estimità (intima esteriorità) con gli apparati dello Stato. Sono quindi entrate in un rapporto di divenire-Stato che in base ai contesti ed ai periodi storici le ha configurate in forma di “anti-Stato”, “Stato nello Stato” o di “Stato parallelo" istituendo così un preciso campo politico che pur ribadendo quotidianamente le differenze tra Stato e Clan, si caratterizza proprio come Stato-e-Clan.
Gli studi etnografici sull’Amazzonia (1) e sul sud-est asiatico (1) sono disseminati di esempi di società definibili nel continuo tentativo di esistere in una frontiera “simbolica” quanto fisica dello Stato, di rimanere cioè rappresentabili in una sua esteriorità, ribadendo un campo sovrano non assorbibile dai processi connettivi di politica-economica globali. Nella letteratura africanista vi sono invece molteplici esempi di pseudoregni, Stati ombra o re incoronati per diventare capri espiatori dei mali che colpiscono un popolo che rappresentano a tutti gli effetti mondi alternativi sorti nell’inevitabilità della connessione. Pur sorgendo anche loro in risposta all’incontro coloniale, manifestano infatti la coscienza di una radicale perdita identitaria che non si riversa in un profondo nichilismo, in un’aperta confrontazione o in tentativi di negoziazione di spazi d’esistenza, ma ricostruisce forme di vitalità e di riaffermazione del sé comunitario (1, 2, 3, 4, 5, 6, 7). Erano questi campi politici e magici ombra nel vero senso della parola perchè sorgevano alle spalle, nascosti dove l’azione colonizzante non poteva vederli e si articolavano attraverso linguaggi di cui “l’intruso” non possedeva grammatiche e codici. In questo senso, le bandas/combos o i jefes che sembrano costituire forme urbane di caporalato sulle pendici dei processi di espansione delle città, devono essere intesi in maniera più ampia, come strutture politiche rizomatiche che definiscono forme di socialità e di relazioni tra “mondi”, anche molto diversi tra loro, e che non sono solo quelli marginalizzati o identicabili in zone ancora “da civilizzare”. Quello che ho chiamato interregno è dunque un manifestarsi nel qui-ed-ora di una forma dell’abitare le fratture del corpo sociale imposte da rapporti di forze asimmetriche. Nel caso specifico in esame, l’interruzione di un flusso vitale urbano come la logistica e la ripetizione periodica, quasi annuale di questa azione (ho registrato blocchi simili nel 2012, 2013, 2014, 2017) paiono una produzione di un sistema di governo alternativo. Definiscono una non-battagila che aspira a ri-connettere e ad apparire ovunque invece di lasciarsi assoggettare da “presenze” di para, o da forme di controllo del territorio che frammentano, suddividono ed assegnano sfere di influenza. Territorializzano un essere diffuso e disseminato. Partendo da qui, mi chiedo allora se possano essere interpretate anche come una ripossessione rituale della città, nel senso di una riconquista psichica dello spazio e del tempo. Come le capitali celebrano la loro leadership con un vasto insieme di rituali nei “palazzi del potere”, i blocchi delle strade in un polo logistico “strategico” sono un rito culmine della critica radicale delle politiche-economiche che muovono il mondo?
Per rispondere alla domanda e conferire ai blocchi delle strade una natura rituale, è importante prima di tutto osservarli nella loro dimensione temporale, dentro cioè una guerra protratta e come parte di repertori consolidati e ripetitivi della protesta sociale. La loro comprensione deve allora iniziare in maniera imprescindibile dalla contingenza prodotta dall’assenza di acqua e dal malcontento diffuso che cerca un colpevole. Deve poi proseguire riconoscendo l’attualità dei movimenti per le autonomie africane che fin da quei fuggitivi delle piantagioni e delle miniere che fondarono nei primi anni del 1600, i primi Palenque, territori di cimarroni, di schiavi liberati, costituirono dei punti di discontinuità negli immaginari della nazione (1, 2, 3, 4, 5, 6). Queste storie sono spesso dimenticate o sottovalutate negli studi politologici colombiani centrati analiticamente sulla categoria teologica dello Stato, declinato in base ai contesti in forte o debole, in predatore o sviluppista, ma mai etnicamente come bianco e mestizo (meticcio) o blanqueado (sbiancato) (1, 2, 3). A riprova dell’importanza di queste altre entità politiche vi è invece la storia del “movimento cimarrone” degli anni settanta del secolo scorso e come la sua diffusione tra le comunità afrocolombiane seguì percorsi diversi tra le città e le zone rurali (1, 2, 3, 4). Fu proprio nelle aree meno connesse, quei territori normalmente raccontati come “senza Stato” o “vuoti” (baldios) o di povertà estrema che crebbero nelle pratiche, discorsi alternativi sulla “nerezza” del popolo afrocolombiano, fondati su progetti spesso del tutto spontanei e radicalmente critici della modernità. A partire dai primi anni ‘90, autonomie immaginate e di fatto incontrarono un quadro legale nel quale vennero progressivamente riconosciute ufficialmente anche dallo Stato colombiano. Si etnicizzarono nel senso che si iscrissero al progetto di Stato multietnico che sembrava stesse nascendo (1). Tuttavia, come visto, questi processi di riconoscimento giuridico rimasero spesso “letra muerta” (parole vuote) ed incontrarono una violenta repressione del “Capitale” che generò più di 2 milioni di desplazados solo tra gli afrocolombiani, la maggiorparte dei quali espulsi proprio dai territori riconosciuti per legge. In questo senso allora i blocchi del Puerto sono da intendersi all’interno di una storia molto lunga delle autonomie afrocolombiane che seppur siano spesso scarsamente documentate, hanno segnato queste terre con regolarità per diversi secoli (si vedano anche il post [1], [2.1], [2.2], [2.3]).
Risulta allora piuttosto importante inquadrare questi processi socio-politici dentro più ampi discorsi nazionalisti e pratiche razziali nei quali l’idea di “nerezza” tende normalmente a perdersi nella costruzione della “nazione e dello Stato meticci” (si vedano al proposito anche Cornel West sul nord America e Tianna Paschel su Colombia e Brasile). “La scomparsa del colore”, un progetto associabile alle borghesie urbane cosmopolite, ha finito col rappresentare una chiave per il dominio e lo sfruttamento delle popolazioni ai margini, in maggioranza africane ed indigene. Si è così configurata come un potente strumento di pacificazione del conflitto sociale disegnando un percorso evolutivo della nazione verso un grande melting-pot di genti e culture. Ha però anche contenuto l’elaborazione dei significati dell’essere “nero” o “Afro” in un paese come la Colombia, oppure lo ha riportato dentro meccanismi di produzione culturale per il consumo, di musiche, balli, abiti e liquori “afrocolombiani” con un mercato globale dal gusto meticcio (la storia del Viche è un caso studio molto interessante al riguardo). In questa più ampia pragmatica del potere, in alcuni casi, le accuse di razzismo si sono addirittura rovesciate contro alcuni gruppi di afrocolombiani influenzati dai movimenti del Black Power del nord America che aspiravano ad affermare ed organizzare “soggettività politiche Afro” nella cosmologia politica della nazione meticcia. Sono stati così messi sullo stesso piano di un estremo come il “suprematismo bianco” in cui idee di purezza e di protezione della razza si oppongono ad ogni progetto includente ed aperto del meticciato. Il risultato di queste divergenze, in Colombia, è stato la produzione di tipificazioni sociali apparentemente non razzializzate che caratterizzano l’Afro produttivamente come scanzafatiche, lento, senza progettualità di lungo termine oltre che pericoloso, anche se grande ballerino e musicista, eccellente nelle arti amatorie e negli sport. Nei centri urbani questo immaginario razziale e di classe offre spiegazioni facilmente accessibili sulle ragioni della povertà e dell’ingovernabilità di città come Buenaventura e si somma ad altre ragioni più generali come il “Governo corrotto”.
Fin dall’inizio di questo blog ho cercato invece di mostrare come le difficoltà della popolazione fossero interpretate localmente anche in funzione di una più ampia genealogia cosmica del male da cui discendeva il “male del Puerto”, una condizione esistenziale che toccava ogni suo abitante. I blocchi stradali generarono da subito posizioni limite ed antitetiche tra chi appoggiava la protesta ed altri che invece la biasimavano, tra chi la celebrava come “la lotta del popolo” e la viveva da vicino e quelli che erano invece alle prese con stati d’ansia insopportabili. Tuttavia obbligarono tutti a prendere coscienza di una condizione esistenziale comune che era quella di condividere "il mondo” e, nel caso specifico, di porsi domande sull’assenza di acqua nelle case, non come un fatto ineluttabile, ma come una situazione che poteva essere modificata. Non si trattava quindi di rituali religiosi, semmai guerrieri, ma non vi erano sciamani che ne dichiaravano un inizio ed una fine, o capi che li ordinavano. Come quei riti producevano però effetti curativi o di purificazione poichè visibilizzavano quel Male o un male del Puerto. In questo modo ogni abitante, volente o nolente si trovava dentro relazioni cosmiche che non riguardavano più solo l’accesso all’acqua ma la celebrazione e la rimemorazione di un insieme di relazioni e di pratiche da preservare, che pertenevano al “mondo” condiviso ed a modalità del vivere altrimenti a rischio di oblio o di cancellazione.
Un’altra caratteristica fondamentale del rito è infatti la sua esistenza specifica e definita spazio-temporalmente. Detto altrimenti: si è sempre nel rito. Tutto ciò che ne segue o ne deriva, cioè la ricerca di un suo significato o di una funzione, fa parte di un altro campo antropologico, teologico e politico che inquadra invece i rapporti di potere esistenti. Definire i blocchi stradali come momenti rituali significa allora condurre l’analisi verso la comprensione delle forme con cui il piano religioso o più propriamente magico, in questo caso, e quello politico condividono uno stesso spazio simbolico e significante generato in quella coscienza di condivisione del “mondo”. Nell’imposizione di una sospensione radicale della quotodianità, i blocchi esercitavano sugli abitanti un potere quasi mistico e riunificante che operava al di sopra delle divisioni prodotte dalla guerra civile stessa (si veda anche il post [3.3.1]). Ciò avvenne a mio parere proprio attraverso la riaffermazione di un controllo sociale su flussi economici altrimenti incommensurabili ed infinitamente più grandi dell’esperienza quotidiana. Ristabilirono l’adentro mentre visibilizzavano un’afuera di ogni quartiere nel quale si condensava “il male del Puerto” per cercarne una cura diversa da quella proposta dai “capi”, che pasasse da “soggettività politiche Afro e ribelli” di solito volutamente invisibilizzate nei racconti che seguivano o precedevano il rito.
Nel caso di Buenaventura, ciò avveniva in due modi paralleli. Da un lato si produceva una dimensione quasi carnevalesca che celebrava una momentanea e ritrovata capacità di sovversione di tutti gli ordini. I blocchi stradali manifestavano una verità popolare che si opponeva a quella del "Puerto” (si vedano ancora i post [1] e [2.1]) riaffermando un’esperienza di sovranità dei soggetti più intima e quotidiana. Dall’altro si diffondevano immaginari che superavano visioni parziali e territorializzate come quelle dei “monopolios” ed altre tipificazioni sociali descritte in questo blog che settarizzavano l’accesso alla verità. Nel blocco quei mondi spirituali contesi che nel Barrio erano rappresentati dalla chiesa pentecostale, le fumerie di tabacco e le feste di viche “curato”, per qualche giorno persero significato. Rientrarono tutti in un ordine superiore, sospesi insieme ai flussi commerciali della città in attesa di notizie sull’acqua. Perchè ciò fosse possibile ed insieme per affermarsi come uno spazio di riconquista del sé nei cammini di espropriazione del Puerto, i blocchi stradali rappresentavano un ordine simbolico che si spazializzava. Erano un confine fisico oltre il quale il grande Altro, questo altrove cosmico che segnava i destini delle genti, non poteva e non doveva arrivare. Il totalitarismo del linguaggio della società info-finanziaria trovava allora un limite invalicabile, rappresentato creativamente e per alcuni giorni proprio dalle barricate. Si creò un vuoto di flussi informatici e finanziari che servirono precisamente a ricostituire verità condivise che sorgevano solo “nel rito” e con cui, sempre “nel rito” si riconquistavano il tempo e lo spazio, generando appunto degli interregni.
In questa prospettiva, le barricate, tra i falò notturni ed interminabili attese diurne, concessero tempo per liberarare menti e territori da un incantesimo che imponeva frontiere invisibili, marginalità, disservizi e rabbia che solitamente si sfogava sul vicino. Quanto detto appare ancora più credibile se si pensa che i blocchi stradali di Buenaventura non incontrarono la repressione delle squadre antisommossa della polizia, del famigerato ESMAD. Come scritto in precedenza, le dinamiche di controllo del “Paro” seguirono repertori non precisamente in linea con la tradizione repressiva colombiana. Invece di provocare una confrontazione diretta che in una città come Buenaventura sarebbe potuta degenerare facilmente in violenti scontri a fuoco e centinaia di morti, gli organi di controllo rimasero anche loro in attesa e colpirono negli anni. Il risultato principale fu che invece dei violenti scontri come quelli che si registravano normalmente in altre aree del paese, le giornate trascorrevano dentro un sussegguirsi di momenti di convivialità e di micromanifestazioni di solidarietà degli abitanti. Essere nel rito quindi non implicava essere in uno scontro ma essere in una convivialità eccezionale. In una città con altissimi livelli di violenza armata, di sparizioni, di espulsioni ed esili forzati, il blocco rappresentò una sorta di cessate il fuoco imposto dai quartieri e pose in primo piano il vivere in comune oltre le sue molteplici traiettorie e conflittualità. La sua ripetitizione negli anni successivi, pur riducendo progressivamente la radicalità del motto “no pasaran” (non passeranno) soprattutto rispetto ai terminali logistici e pur configurandosi in forme alternative come “Paro armado”, “Paro minero” o “Paro Civil” (sciopero/blocco armato, dei minatori o civile), definizioni che quindi ne inquadravano il prima e il dopo ed alcuni aspetti politici ed organizzativi, mantenne inalterate queste caratteristiche di fondo nel senso di recupero di spazi del comune nel qui-ed-ora. Prima quindi della sua traduzione politica e poi mediatica, il blocco del Puerto si pose in continuità, a mio parere, con tutti i repertori di resistenza menzionati fin qui, cioè con le feste nelle case “ribelli”, le partite di calcio sulle frontiere, i poemi resistenti, i boicottaggi dei pagamenti e molte altre pratiche di frontiera, ma su di una scala più ampia e diffusa. Per questa ragione partecipava di un campo di “sovranità dal basso” che ho chiamato “interregno”.
Per intendere in profondità queste dinamiche in Colombia non bisogna considerarle fenomeni isolati o prodotti di contigenti alleanze tra bande o gang capaci di creare “caos” in città. Questa è la visione più propriamente borghese degli eventi, quella associabile a strategie securitarie. In maniera analoga occorre fare attenzione a non romanticizzare le improvvise rivolte del subproletariato come una manifestazione di coscienza e quindi di lotta di classe pura e semplice. Si rischia poi di ritrovarsi con nuovi Pablo Escobar e signori della guerra che impongono i loro “monopolios”. Seguendo l’approccio applicato fin qui, invece, la rivolta di Buenaventura dovrebbe essere interpretata attraverso una pragmatica del potere prodotta da rapporti di forze asimmetriche nelle quali emergono discontinuità non riducibili alla visione romantica o quella securitaria. Vi sono interazioni ed intesezioni tra diversi attori politici e corpi legittimi o legittimati che sostengono una pluralità di verità disponibili seppur dentro l’unità particolare del blocco delle strade. Questi molteplici incontri erano e sono resistenze diffuse al totalitarismo del linguaggio della società info-finanziaria e, come ho cercato di mostrare, permeavano gli spazi del vivere quotidiano di Buenaventura. Forse, proprio per questa ragione, la città era anche disseminata di tecnologie per la riproduzione dell’orrore, di fosse comuni, di frontiere da immaginare, di armi per “far credere” e di droghe per “far fuggire” mentalmente o materialmente. Tutto questo insieme di dispositivi di controllo caotici aspiravano a sopprimere o a riportare all’obbedienza una vitalità Afro e ribelle. Occorre però notare che dal punto di vista della pragmatica del potere che ho descritto, il loro scopo non era realizzare effettivamente quel controllo totale, ma produrre piuttosto un insuccesso sistematico. Il vero obiettivo era ripetere lo scontro, cioè rendere la guerra civile il paradigma di governo della città ed assicurare gli interessi strategi che in essa confluivano. In questa prospettiva allora, i blocchi delle strade erano azioni capaci di fermare la macchina da guerra incorporata nella forma-Stato di Buenaventura. Erano il prodotto di soggettività capaci di riterritorializzarsi sotto la pressione di entità nomadi che vivevano invece l’altrove. Mentre il mondo offshore imponeva infrastrutture per la circolazione di Capitale, localmente proliferavano resistenze irriducibili dalle quali si generava uno scontro senza sosta perchè l’esproprio delle terre e degli spazi non si fermava. Nelle sospensioni periodicamente imposte, si ricostruivano così degli spazi vitali per riconoscersi e per portare il “Male del Puerto” in un fuori dei quartieri ricostituendo soggettività politiche al loro interno. Questo campo aperto era segnato da una rinnovata accoglienza del negativo, di tutto quello che veniva mantenuto fuori per non mischiarsi e per proteggersi ma che in quello specifico frangente rappresentava la vita vera, nel senso del coraggio della verità. Ne scriverò forse nel prossimo post.
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Un regolamento per rafforzare i controlli dei richiedenti il visto

In risposta alle mutevoli sfide in materia di migrazione e sicurezza, l'UE sta migliorando il suo sistema di informazione visti (VIS), uno strumento utilizzato dalle autorità degli Stati membri per registrare e controllare le persone che chiedono un visto per un soggiorno di breve durata per entrare nello spazio Schengen. Il Consiglio Europeo ha adottato un regolamento che modifica il sistema d'informazione visti. L'atto giuridico deve ora essere adottato dal Parlamento europeo e firmato prima di essere pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell'UE. Gli obiettivi principali del regolamento di modifica sono i principali: - rafforzare ulteriormente la sicurezza dellaprocedura di visto per soggiorno dibreve durata - includere visti per lunghi permessi e permessi di soggiorno nella banca dati VIS - garantire l'interoperabilità tra il VIS e altri sistemi e banche dati pertinenti dell'UE Negli ultimi anni l'UE si è costantemente adoperata per migliorare i controlli di coloro che entrano nello spazio Schengen, attraverso l'adozione del sistema di autorizzazione di viaggio (ETIAS), il sistema di entrata/uscita e l'interoperabilità delle banche dati. L'aggiornamento al VIS è il prossimo passo in questa direzione. Le nuove norme consentiranno migliori controlli dei richiedenti il visto per identificare coloro che possono rappresentare una minaccia per la sicurezza o rischiare di abusare delle nostre norme sulla migrazione.Eduardo Cabrita, Ministro degli Interni del Portogallo In base alle nuove norme, il VIS non solo includerà informazioni sui visti per brevi periferi come in passato, ma coprirà anche i visti per lunghi periferi e i permessi di soggiorno, in quanto tali documenti consentono la libera circolazione all'interno dello spazio Schengen. Inoltre, una scansione della pagina dei dati biografici del documento di viaggio sarà inclusa nel VIS. Prima di rilasciare un visto o un permesso di soggiorno, le nuove norme consentiranno di migliorare i controlli dei precedenti sul richiedente nelle pertinenti banche dati sulla sicurezza e la migrazione. Il VIS avvierebbe automaticamente una query su queste basi di dati e gli eventuali riscontri saranno verificati manualmente e seguiti dall'autorità competente. Situazione attuale Il sistema di informazione visti, operativo dal 2011, è una banca dati per facilitare la procedura di visto per soggiorno di breve durata. Aiuta le autorità competenti in materia di visti, frontiere, asilo e migrazione a controllare i cittadini di paesi terzi che necessitano di un visto per un soggiorno di breve durata per recarsi nello spazio Schengen. Collega i consolati degli Stati membri in tutto il mondo, nonché tutti i valichi di frontiera esterni. Il 16 maggio 2018 la Commissione ha presentato una proposta di modifica del regolamento VIS. Read the full article
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[...]frammento#4
Alcuni sono fuori dal sistema ancora in vita. Parliamo di esteti indipendenti, mistici che vivono nei deserti ad est e ad ovest da The New Line. Apolidi, alcuni assolutamente privi di un dispositivo riconosciuto da Meta, e forzati ad un ostracismo che i gruppi di recupero dei Proseliti provano ad attutire durante le spedizioni stagionali fuori le mura. Molti vengono assorbiti dai dipartimenti e riescono a fargli sottoscrivere un contratto, altri restano al di fuori dalle mura come estranei alla vita comune, estranei all’Aeternarium. Vengono chiamati mortali. Di loro non si ha memoria.
La loro estetica è troppo singolare per poter rientrare in qualsiasi catagolazione subculturale e così anche se riuscissero a rientrare nell’Aeternarium alla fine, i dati che hanno fornito sarebbero così in piccola misura che finirebbero ad avere il peso di un glitch in sistemi più ampi. Alcuni di loro hanno sviluppato dei sistemi rudimentali ma molto intricati di ottimizzazione della loro estetica, qualcosa che assomiglia ai vecchi culti della pre-era. La loro estetica è basata su una logica fornita da un mondo non tangibile ed in alcuni casi non descrivibile. È complesso avere una visione unitaria della realtà che descrivono. La logica della loro “Parola” è molto diversa dalla logica dell’estetica. Noi forniamo una visione più ordinata, tangibile, esperibile. Ma devi poter essere nato dalla parte giusta.
L’orizzonte d’attesa mi è stato indicato come di colore blu notte, color petrolio o qualcosa che ha a che fare con la Russia o la Prussia. Il protocollo richiede che io me ne stia qui a non fare nulla, fa parte della procedura per il ripristino del Settimo Cancello principale che è quello che opera in maniera più indipendente in tutto il sistema di un moodkeaper. Ci vogliono anni prima di poter avere pieno controllo della “Corona” e i primi crediti che si pagano cari sono proprio quelli per la sua manutenzione. La Corona è accessibile pienamente al 40 anno di attività nell’originaria prospettiva ma un moodkeaper deve poterlo usare pienamente ai primi 20 anni di attività. Non potendo avere un totale controllo su di essa la compagnia fornisce un suplemento in termini di alimentazione e attività stabilizzanti. Siamo addestrati a pensare al nulla e all’immobilità come condizione originatria dell’individuo. Il corpo quindi viene educato all’immobilità e nutrito con lente frequenze. Una volta che la consapevolezza di muoverà di nuovo dal nulla contemplato si rientra in piena funzionalità e oggettività. Un moodkeaper è un elemento professionale multi rferenziale, non solo una questione di preparazione ma di inclinazione del singolo individuo. Si prendo i giovano più recettivi.
Questo è il lavoro più creativo che sono riuscito a trovare. Pensare che volevo andare a vivere nel deserto e visitare gli uomini che si erano spostati nelle grotte dopo la migrazione dalle mura Gerusalemme. Ma i miei progenitori hanno costruito le mura della The Line e rinunciare al privilegio di vivere qui non mi permetterebbe di mantenere il dominio per il loro lotto nell’Aeternarium. Li costringerei ad essere obliterati come se non fossero mai esistiti. E a me non resterebbero le radici che mi permettono in ogni caso di ricordare chi sono io.
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APPUNTI SUL VUOTO NELLE SOCIETÀ DEMOCRATICHE

Come accennato su telegram, in questa settima tappa del viaggio in bicicletta sto cercando prospettive narrative che mi permettano di andare oltre la geografia dei territori e raccogliere spunti sui meccanismi di produzione della realtà. Vorrei farlo a partire da un testo importante che ho riletto in questi giorni e che non cessa di generare riflessioni. Si tratta dell`ultimo lavoro di Mbembe, "Nanorazzismo, Il Corpo notturno della democrazia." Mi piacerebbe contestualizzare alcuni dei temi che propone attraverso l`esperienza "indocinese". L`ipotesi di lavoro di Mbembe riguarda il tentativo di dimostrare che la democrazia si sorregge su di un`inerente doppiezza e che istituzioni totali ed ordinamenti totalitari come la piantagione, lo schiavismo, il campo di lavoro o la prigione non siano da considerarsi esterni ad essa ma elementi del suo corpo notturno. Rivisitando alcune considerazioni di Franz Fannon sull'esperienza coloniale, osserva come la democrazia sia intimamente legata a un potere leggittimato dalla forza di una legge che si costituisce nel fuori-legge e che si impone "come se fosse voluta dal destino". Non si articola quindi dentro dicotomie di legalità/illegalità ma è soggetta ad imperativi politici in cui la legge stessa appare "assolutamente strumentale". Queste dinamiche sono evidenti nelle relazioni coloniali e neo-coloniali dove la nozione weberiana di monopolio statale della violenza si frantuma in una varietà di attori privati che la esercitano per fini produttivi e di profitto. Se la democrazia da un punto di vista filosofico sorgeva proprio per contrastare queste dinamiche, la Colonia come la post-colonia appaiono invece maschere che celano l'intimità notturna della democrazia rimuovendo la sua latente violenza in un perenne altrove, storico e passato, o geografico e contemporaneo, quasi per esorcizzarla e tenerla lontana dalla polis.
Il filosofo napoletano, Esposito, in un suo recente lavoro, Pensiero Istituente, si muove su tematiche analoghe da diverse prospettive. Definisce infatti la democrazia proprio nella frattura con quella violenza arbitraria che Mbembe invece considera fondante l'ordine democratico. Per sciogliere questi legami occorre però ripensare l'idea stessa del corpo politico e si spinge fino a definire la società democratica come società senza corpo. Citando Lefort, Esposito spiega che una società democratica può realmente definirsi tale ipostatizzando la caduta dell`immagine di una totalità organica che tenga assieme il sociale, sia essa il Re ma forse anche il Partito e perchè no "il Governo". Questa disarticolazione dal corpo delle parti implica comunque il riconoscimento, come in Mbembe, di un vuoto primordiale e fondante. Tuttavia per Esposito, "la società democratica [è] un vortice che [vi] rotea intorno [...]" che, a ben vedere, dovrebbe accogliere completamente il vuoto senza rimuovere la violenza originaria per liberarne la comprensione profonda e così disinnescarla. Per Mbembe invece la democrazia mantiene una relazione strumentale con questo vuoto. Per dirla deleuzianamente, si mantiene sullo stesso piano di immanenza definenendosi in relazione ai suoi contrari e a ciò che non è.
Questo dibattito tra pensiero istituente (Esposito) e pensiero destituente (Mbembe) esposto ora un pò superficialmente è quanto mai attuale nel sudest asiatico dove le nuove generazioni sono alle prese con un difficoltoso tentativo di ripensare la natura delle istituzioni politiche che sono sorte nella Colonia e in risposta alle guerre anti-coloniali o al neo-colonialismo ad esse relazionato (qui un esempio del dibattito). Nella mia limitata esperienza etnografica, la ricodificazione di queste pulsioni sul vuoto a volte assume le sembianze di rinnovati nazionalismi che nascondono ataviche forme di esclusione e marginalizzazione. Altre rinforzano spinte autoritarie orientate all`esecuzione di difficoltosi quanto controversi programmi di sviluppo top-down. Per queste ragioni, il politico trova una sua forma più nella nozione di comunità immaginate ed escludenti che nella descrizione di pratiche di democrazia reale o dal basso, fatta eccezione, forse, delle esperienze delle comuni cinesi durante la rivoluzione culturale. Si potrebbe arrivare ad ipotizzare allora, usando i termini di Esposito, che nel sudest asiatco vi sia una supremazia del simbolico rispetto al reale insieme a processi politici che rendono difficoltosa la contendibilità del potere. Questi due elementi messi insieme spiegerebbero, in linea teorica, una tendenza verso modelli statali autoritari ad intensità variabili pur dentro forme di governo distinte da democrazie formali (Sud Corea, Tailandia e Giappone), a sistemi mono partitici (Cina, Vietnam, Laos) o dittature in senso stretto (Myanmar). Vorrei allora mettere giù qualche pensiero sulle continuità e discontinuità storiche che le diverse forme statali mantengono al di là dei meccanismi di scelta dei governi di cui si dotano. Per farlo proverò a discutere della ricostruzione e pacificazione del Laos sfruttando questo viaggio verso Long Chen, la capitale paramilitare della guerra americana, come un simbolo ineludibile del vuoto democratico.

La Pista dell`aereoporto di Long Chen (o Tieng o Cheang)
Long Chen è oggi una piccola cittadina di bassa montagna che vive intorno all'economia di una base militare, squattrinata e senza grandi apparati bellici da mostrare. I militari li si riconosce per un cappellino mimetico o per un pantalone o uno stivale o perchè la sera si bevono qualche birra nei bar di frontiera aperti per loro. Gli specialisti della CIA purtroppo destinarono questa splendida vallata alla guerra ma le guglie gotiche delle montagne che la circondano reclamano ancora il destino che è stato loro negato. La vecchia pista dell'aereoporto è perfettamente protetta e nascosta. Ad una estremità vi sono due falesie a forma di piramide che segnavano il fine corsa degli aerei. Chi sbagliava salutava tutti contro di loro. Altri occhi forse vi avrebbero immaginato un immenso prato, fiori, risaie e qualche mulino. Rimane poco della bellezza che fu. Non ci sono più alberi, nè animali.

Vista sulle piramidi fine corsa
La storia della città è legata indissolubilmente alla crescita militare del signore della guerra Hmong, Van Pao. Secondo alcune ricostruzioni storiche, Long Chen in pochi anni ospitò fino a 60.000 persone tutte per lo più appartenenti culturalmente all`etnia Hmong. Con la presa di potere dei Pathet Lao e dei comunisti, iniziò un rapido spopolamento. Le modalità di questa migrazione in uscita sono ancora avvolte nel mistero. Secondo alcune tesi di dottorato (1, 2) disponibili su internet ed un testo più recente, il Generale Van Pao, i suoi familiari e tutti gli altri generali a lui più vicini furono trasferiti negli USA. Si parla di circa 2500, 3000 persone. Gli altri rimasero invece in Asia, alcuni dentro campi per rifugiati in Tailandia, altri in Laos organizzati per continuare la guerra o per difendersi dalle prevedibili ritorsioni post belliche. La migrazione Hmong verso l'estero, soprattutto negli USA, durò per tutti gli anni 70. Un censimento del 2005 stimò che negli USA vi erano almeno 130.000 Hmong. Non ci sono cifre univoche nemmeno sul numero dei morti durante la guerra segreta. Alcune fonti parlano di 30.000 solo tra coloro che erano assoldati direttamente da Van Pao, cioè tra coloro che vivevano a Long Chen. Per questo le cifre sembrano obbiettivamente un pò sovrastimate pur rimanendo enormi.

Foto di vecchi e nuovi accampamenti militari in lontananza
Uno dei nodi principali delle ricostruzioni delle vicende di quegli anni riguarda il fatto che il governo degli USA solo recentemente ha ammesso un suo ruolo nella guerra civile laotiana senza pero` ancora chiarire in che modi. Non vi sono, ad esempio, evidenze di finanziamenti approvati dal Congresso o da qualche commissione più segreta di stampo militare al gruppo in armi di Van Pao. Vi sono ricordi e testimonianze di incontri avvenuti con membri del Congresso e Van Pao in basi militari americane in Taialandia ma non ci sono documenti ufficili che li dimostrino. Per tutti gli storici risulta innegabile comunque che il finanziamento delle attività belliche Hmong, prima e dopo la guerra americana, avvenne attraverso il narcotraffico, con la produzione di oppio destinato ai laboratori per il processamento di eroina. Questo è l`elemento dirimente delle dispute poiche` porta con se diverse complicazioni legali e giuridiche e catene di responsabilità che molti testi del nazionalismo Hmong omettono privilegiando la dimensione vittimistica "da perseguitati dai comunisti" rispetto alle altrettanto innegabili atrocità da loro commesse durante la guerra. La costruzione politica dell`identita` Hmong si basa cioè sulla rimozione delle violenze commesse a partire proprio da luoghi come Long Chen. I responsabili semmai furono quei generali che condussero il loro popolo a commetterle e che ora non sono più presenti sul territorio laotiano. In forma analoga, chiedono che si riconoscano le diverse colpe per ciò che riguarda la catena produttiva dell'eroina includendo piu` ampie reti di trafficanti e quelli che raccolgono i maggiori profitti dal commercio illecito.

Rovine militari
Per comprendere meglio la complessa situazione dei Hmong di oggi, bisognerebbe allora spiegare per bene l'ultranazionalismo che ha animato ed anima ancora alcuni dei suoi leader storici. Van Pao ad esempio era evidentemente un anti-comunista ed anti-vietnamita ma era anche un ultra-nazionalista. Credeva che grazie alla guerra americana sarebbe riuscito a dare a tutti i Hmong, sparsi tra Cina, Vietnam e Laos, un unico territorio in cui vivere. Riteneva che il suo ruolo fosse quello del Re-condottiero. Questo però non gli derivò da sue capacità messianiche o divine ma da un indubbio carisma unito alla capacita` di ottenere fondi con cui pagava a basso costo (circa 3$ al mese negli anni 60-70) i suoi 40.000 soldati. Sposò molte donne appartenenti a diversi clan Hmong per entrare in relazioni di sangue con le discendenze di vari villaggi e ricevere i favori dei loro capi. Il narcotraffico invece gli permise di tessere una vasta rete clientelare con cui dava favori e lavoro ad almeno 100.000 persone che lo consideravano un Re/patrono. A conferma di cio` ci sono diversi studi di storici sia bianchi americani, sia Hmong in diaspora. Questi tratti del pensiero di Van Pao e la sua storia narcotica, che ne ha fatto uno dei maggiori narcotrafficanti laotiani apppoggiato dai vertici militari USA, sono spesso dimenticati.

Quartier generale ed abitazione di Van Pao
Oggi la costruzione identitaria transnazionale dei Hmong si basa su di un governo in esilio che è una lobby molto attiva e danarosa con discrete influenze sul Congresso americano. Le fazioni politiche si suddividono tra un gruppo filomonarchico che vorrebbe il ritorno del Re e di una monarchia costituzionale, quelli che si autodefiniscono `pro-democrazia` sotto l`acronimo ELOL, Ethnic Liberation Organization of Laos, e un altro che invece aspira alla secessione anche con l'uso di armi, lo United Lao National Liberation Front (ULNLF). Date le differenze sui mezzi, entrambi considerano l`anticomunismo alla base della loro ideologia e non riconoscono la legittimita` del governo dei Pathet Lao formatosi a loro prarere non per una vittoria nella guerra ma per un colpo di stato del 1975. Questa distinzione è molto importante nella costruzione ideologica del nazionalismo Hmong poichè fin da subito si sono considerati un gruppo belligerante in resistenza piuttosto che una forza paramilitare finanziata dal narcotraffico. In un mix di revisionismo ed anti-comunismo, non riconoscono le violenze belliche compiute durante la guerra segreta, quella che loro definiscono la prima guerra segreta, poichè combattevano contro i comunisti per conto degli americani. La seconda guerra segreta, iniziata dopo il colpo di Stato, e` invece concettualizzata come una lotta di autodifesa contro i crimini contro l'umanità commessi dal governo golpista. Sempre stando ad un loro testo di riferimento, la loro è una guerriglia legittima organizzatasi per difendersi dalle ritorsioni post belliche proprio intorno alla zona di Long Chen e intorno alla montagna piu` alta del Laos, il monte Phou Bia. A questo si aggiunge un discorso panculturale che tenta di mettere assieme tutte le popolazioni di origine Hmong che vivono in diversi agglomerati di villaggi tra il Vietnam, la Cina e il Laos. Pur dentro diversita` geografiche e di contesto abbastanza consistenti, questa narrazione nazionalista costruisce un vero e proprio idealtipo dei Hmong che descrive un popolo unito e fiero della propria diversità culturale, non poroso al mondo esterno per difendere la propria identità, ma combattente e pronto a "difendersi o a fuggire piuttosto che ad arrendersi".

Vista sul vecchio tempio buddista
In questo contesto si inseriscono poi svariati programmi di aiuto che aspirano a migliorare le effettive condizioni di marginalizzazione e deprivazione di molti villaggi Hmong. La maggiorparte dei programmi orbita intorno a Luang Prabang e nella provincia di Xieng Xuang dove vivevano i seguaci di Van Pao. Per il fine di questo post che è una descrizione verosimile del vuoto su cui orbita la società democratica, e` importante sottolineare come l`intreccio di memorie e visioni del mondo divergenti determini un militarismo del pensiero che è onnipresente in un paese come il Laos. Questa suddivisione netta e bipolare dei ricordi possibili, dei "buoni e cattivi" e delle memorie "giuste o sbagliate" e insieme della ricerca dell'oblio riguarda chiunque viva qui. Dal modo di relazionarsi a questa realta` divisa dipendono infatti strategie e possibilità di sopravvivenza tanto dei laotiani quanto degli espatriati di diverse nazionalità. Inoltre su queste divisioni si innestano macro flussi internazionalisti tanto delle destre fascistoidi quanto delle sinistre della resistenza con ampi rischi di strumentalizzazione di storie locali. Ad esempio, negli ultimi anni, il solco ideologico tra le polarità è stato occupato soprattutto da sentimenti e narrazioni anti-cinesi con cui si è rafforzato un certo nazionalismo interno insieme a un generale senso di malcontento verso il governo centrale dentro agende di geopolitica regionale. Come già accennato in post precedenti città come Luang Prabang ospitano con estrema facilità pensieri politici neomonarchici, secessionisti e/o anticinesi. Come scoperto in questo viaggio sono maggiori gli esponenti della sinistra comunista e post-comunista nel sud del Paese. Difficile invece stabilire quanto forte sia l'impatto del pensiero nazionalista sui villaggi Hmong più remoti e quanto il senso di unità del corpo sociale costruito narrativamente nella sofferenza e marginalizzazione trovi una rappresentenza credibile dentro le due macrofazioni descritte sopra. Nel Comitato Centrale clandestino dei Phatet Lao c'era un Hmong, Lo Faydang e molti Hmong seguirono lui nella resistenza e non i suoi oppositori. Certamente come raccontato in diversi testi di quegli anni, gli USA e i suoi servizi di intelligence militari adottarono tecniche di controllo indiretto e di politicizzazione di minoranze etniche come mai avevano fatto in precedenza. Produssero così un punto di svolta nelle tecniche di controllo e di influenza regionali per preservare le conquiste democratiche sul proprio territorio.
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