#mia mamma è via a dicembre
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cutulisci · 2 years ago
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14.08.42. Una lettera mai inviata trovata presso il soldato tedesco Iosef. La lettera era destinata alla sua sorella Sabina: “ Oggi ci siamo organizzati con 20 polli e 10 mucche. Stiamo portando via dai paesi tutti- sia adulti che bambini. Non li aiutano le loro preghiere. Sappiamo essere spietati. Se qualcuno rifiuta di venire, viene ammazzato. Poco fa in un paesino un gruppetto di abitanti si sono intestarditi e non volevano venire. Siamo andati su tutte le furie e li abbiamo fucilati sul colpo tutti quanti. Poi è successa una cosa terribile: due donne russe pugnalarono col tridente due soldati tedeschi… Ci odiano qui. Nessuno a casa riesce immaginare la collera che hanno i russi nei nostri riguardi”.
Un appuntato Felix Kendels scrive all’amico: “Abbiamo frugato nei bauli, poi abbiamo organizzato una buona cena e abbiamo deciso di divertirci un po’. La bimba è capitata cattivella, ma l’abbiamo sistemata pure lei. Ce la siamo spassata tutti quanti…Fa niente…Non preoccuparti. Mi ricordo bene il consiglio del tenente- la bambina è muta come una tomba…”
24.07.42. Mateas Zimlih scrive al fratello, un’appuntato Henrih Zimlih: “A Laiden c’è un campo per i russi, li si possono contemplare. Non hanno paura delle armi, infatti usiamo la frusta quando parliamo con loro…”
Il soldato Ximan della SS scriveva alla sua moglie in Munhen il 3 dicembre 1941: “Adesso siamo a 30 km da Mosca. Quando esci di casa puoi vedere alcune torri di Mosca. Fra poco il cerchio si chiude e ci prenderemo i lussuosi appartamenti moscoviti, ti manderò i regali talmente belli da Mosca che Minna morirà di invidia”.
29.10.41. La lettera trovata presso il tenente Gafn: “Era molto più facile a Parigi. Ti ricordi quei giorni di miele? Le russe sono le diavole, bisogna legarle. Prima mi piaceva pure, ma oramai sono pieno di graffi e lividi, di morsi, quindi la risolvo mettendole la pistola alla tempia. Vedi che si raffreddano subito. Poi è successo un fatto eclatante qui, mai successo niente di simile: una ragazza russa si è fatta esplodere insieme al tenente maggiore Gross. Adesso prima di…le spogliamo e controlliamo tutto. Dopo le buttiamo nei campi”.
La lettera del soldato Gainz Muller: “Gerta, mia dolce cara, ti scrivo la mia ultima lettera. Non riceverai più nulla da me. Maledico il giorno in cui sono nato tedesco. Sono sconvolto da quello che fa il nostro esercito in Russia. Perdizione, sciacallaggio, violenza, omicidi su omicidi. Tutti vengono massacrati: vecchi, donne, bambini. Uccidono per il gusto di uccidere. Ecco perché i russi si difendono cosi’ all’impazzata e cosi’ da coraggiosi”.
Tenente maggiore Langhe (il trasferimento postale 325324) scriveva a Ghedi Beisler: “A Lvov c’è stato un vero spargimento di sangue…La stessa cosa fu a Tarnopol. Nessuno fra gli ebrei è rimasto in vita. Come puoi ben immaginare, noi non avevamo nessuna pietà. Cos’altro poi è successo non te lo posso scrivere”.
La fidanzata del maresciallo Zigfrid Kruger, Lenhen Shtenger gli scrive il 13 giugno dal Dattingen:
“Il pellicciotto è meraviglioso, era un po’ sporco ma la mamma l’ha pulito bene e ora è bellissimo…Le scarpe vanno bene alla mamma, giuste- giuste. Anche il tessuto per il vestito è bellissimo. Sono contenta anche di calze e delle altre cose”.
La lettera dell’appuntato Mang alla moglie Frida: “Se tu pensi che mi trovo tuttora in Francia, sbagli. Sono già sul fronte orientale…Mangiamo le patate e le altre cose che portiamo via ai russi. I polli non ce ne sono più…Abbiamo scoperto una cosa: i russi mettono tutto quello che hanno sotto la neve. Poco fa abbiamo trovato nella neve un boccione di carne di maiale salata e lardo. Abbiamo trovato anche il miele, i vestiti pesanti e il tessuto per il vestito. Di giorno e di notte siamo alla ricerca delle cose nascoste…Qui ci sono tutti nemici, ogni russo, indipendentemente da quanti anni abbia, 10, 20 o 80. Quando li distruggeranno tutti si starà meglio. I russi devono essere ammazzati tutti. Bisogna ucciderli tutti, fino all’ultimo”.
Un appuntato Zimmah: “Oggi noi con tutta la divisione abbiamo “organizzato la maialata”,- scrive all’inizio della guerra alla sua amata uno dei rappresentanti della “razza superiore”,- io ho bevuto come non mai. Ho mangiato tutta la testa del maiale per intero. Ma non ce l’ho fatta a finire un’orecchio e l’ho buttato al mujik bielorusso. Ma il nostro pastore Nettuno lo afferrò per primo. C’era da morire dal ridere”.
Ecco la lettera della moglie Lota al marito-tenente Gotfrid Verner, inviata al fronte:
“Non potresti togliere da qualche lurido ebreo un cappotto col pelo? Tanto non ne risentono, loro. Dicono che in Russia ce ne sono tanti di cappotti cosi’. E non ti dimenticare del tessuto per il vestito. Pensaci cos’altro c’è da portare, non aver pietà di quei bastardi. Almeno compensiamo un po’ questi tempi duri. Io qui proprio non ci riesco trovare un buon tessuto per il vestito”.
09.08.41. Dal diario del tenente maggiore Krauze, ucciso a seguito in Ucraina. Krauze passò per Polonia, Francia, Ugoslavia, Grecia, alla fine arrivò in Ucraina. Le pagine del suo diario condotto in tutti questi paesi si assomigliano parecchio: è un resoconto delle violenze, sciacallaggi e teppismo:
“Fra poco divento un’amante a livello internazionale! Ho sedotto le contadine in Francia, le polacche, le olandesi….” Poi seguono i dettagli dei suoi “atti eroici” a dir poco improponibili. Segue: “Oggi finalmente ce l’ho fatta a rilassarmi. La bambina aveva 15 anni ed era molto impaurita, mi mordeva le braccia. Poverina, ho dovuto legarla…Il tenente mi disse: per questi atti epici meriti una croce di ferro”.
Un carrista Karl Fux:
“Qui è impossibile vedere il viso gradevole e intelligente. Tutti selvaggi, impauriti, deficienti a tutti gli effetti. Pensa che questa feccia guidata dai giudei e galeotti aveva in mente di sottomettere l’Europa e il resto del mondo. Grazie a dio il nostro fuhrer Adolf Hitler non lo ha permesso”.
La lettera al soldato tedesco Gainz da parte di Ioganna Rohe di Vaissenfels: “Da noi adesso lavorano molti russi, uomini, donne e bambini. Ci odiano a morte e colgono ogni occasione per scappare. Due settimane fa signor Kushtbah ha fermato due russi in Vinberger. Un boscaiolo vicino al Fraiburg tentò di fermare alcuni russi scappati dal campo, ma gli fecero resistenza. In settimana il nostro maresciallo di cavalleria ha fermato in paese due ragazze russe che scapparono dal casale. Le han frustate con i bastoni di gomma”.
Hamurg, 12 agosto 41.
“Mio caro Gans, oggi ho ricevuto ancora la tua lettera ed ero felice (…). Nei settimanali ci fanno vedere bene come sono terribili lassù, si fa fatica a guardare. È una vergogna che questa feccia vive su questa terra, persino quando vedi le facce terribili dei prigionieri viene lo schifo. Ma basta parlare di questo (…). Sono molto raffreddata e visto il tempo, non c’è da stupirsi. Fa freddo come in autunno e voi che dovete sudare lassù. Tua Gisel”.
La cittadina Anna Geller scrive al marito dal Naikirhen (Sassonia): “Quando bisognava raccogliere il pane, la russa s’impiccò. Questa gente fa veramente schifo. Le davo da mangiare e le ho dato persino il grembiule. Prima urlava che non vuole stare nel seminterrato assieme al Karl. Io penso che questa feccia dovrebbe essere onorata dal fatto che un tedesco non abbia schifo di lei. Poi rubò i crackers della zia Mina. Quando io la puni’ s’impiccò nel seminterrato. Ho già i nervi sottosopra, immagina vedere uno spettacolo del genere. Dovresti dispiacerti per me”.
Come fonti di informazione sono stati usati i libri: N.I.Buslenko- “ Sui rubiconi di Rostov- le lettere tedesche del 41”, “ Sconfitta dei tedeschi vicino a Mosca. Dichiarazioni del nemico”, Robert Kershow- “Lettere tedesche del 41. Croci di betulla invece delle croci di ferro.”
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solobrividiecoraggio · 1 year ago
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Invece di studiare ho fatto un disegno di Luna con l'idea di poterlo regalare ad A per il suo compleanno. "Noi abbiamo provato a proporre l'idea di prendere un gattino" in macchina sabato sera aveva detto che la loro mamma (ricordo che in macchina c'erano pure il mio amico e l'altra sorella) sopporta i gatti solo a distanza. Per riempire a destra ho messo la foto che mi ha mandato il 31 Dicembre, del mio biscotto ripieno di crema al pistacchio.
In realtà è improbabile che le darò questo disegno. Questa non è leggerezza Pietro, ci stai ancora andando molto pesante, carico di significato. Pensi veramente di non aver fatto abbastanza? non hai visto come cercava di mettere distanza fisica tra te e lei sabato, o vuoi fare finta di niente perché è scomodo accettarlo? prima di sabato scorso: gli occhi lucidi del tuo amico la sera del 31? e quando ti è sembrato che lei ritrattasse il tuo gesto per messaggio? magari non sei certo di questi segnali, ma devi ammettere che, se contro di te hai poco, a tuo favore non hai niente. Perché ci credi ancora? almeno sembra voler rimanere tua amica, non hai perso una persona, hai perso soltanto quello che pensavi avresti potuto costruire con lei.
...
(scusatemi, avevo bisogno di tirare fuori)
Il bello è che fino al 31 Dicembre non avrei nemmeno detto con sicurezza di essere innamorato, infatti pensavo di star facendo solo un bel gesto. Chissà se di mezzo si è messo anche il Misattribution of Arousal, con il fatto di aver guidato per strade che non conosco bene. Forse sto solo cercando una via di fuga dall'ammettere di non essere ricambiato. Vedrò nelle prossime puntate come gestire questa situazione. Spero che A non ci pensi troppo, non voglio che si senta a disagio in mia presenza, non voglio darle problemi.
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rosateparole · 2 years ago
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Quando Stella Rovis ritornerà a Pola la prima volta dopo l’esodo, passerà e ripasserà davanti alle case dei suoi parenti senza entrare in nessuna. Sui molti motivi per entrare ne prevalse uno solo, contrario: non se la sentiva di aver a che fare con quella gente, raggelata e uccisa a poco a poco da quella città. Ma a mia nonna in osteria raccontò tutto ciò che si era tenuta dentro durante tutti quegli anni passati in campo profughi prima di ottenere un piccolo appartamento nelle case popolari di Trieste.
Le raccontò di quel giorno di dicembre, quando era passata in ufficio da suo marito, e come da allora si fosse messa contro di lui che organizzava le spedizioni nel Buiese per bastonare gli italiani, per farli fuggire in Italia, per confiscare i loro beni mobili e immobili. Stava tutto scritto nel naredenje, nell’ordine sulla scrivania, che lei aveva letto mentre lui era al telefono nell’altra stanza.
Da quel giorno le riuscì difficile amare come prima perfino il loro figlio Dino, che gli assomigliava tanto, così cagionevole di salute, così che lei doveva continuamente roteare una spada attorno al suo corpo affinché la malattia non osasse avvicinarglisi. E a suo marito diceva di essere sicura che lui ordinasse quelle cose contro gli italiani, perché credeva che quello fosse il suo zadatak, il suo compito, per un leale senso del dovere, non per odio contro gli italiani, altrimenti non avrebbe sposato un’italiana, e certo lui per primo ne era disgustato, perché, gli diceva Stella, dentro di te sei diverso, così gli diceva. Non vorrai diventare un aguzzino della nostra gente, uno che si rende frettolosamente disponibile al nuovo padrone, un padrone verso il quale dimostrare tutta la tua lealtà, perseguitando con efferatezza i tuoi conterranei. Così gli diceva. Era convinta che grazie alle sue parole il nodo oscuro che suo marito si portava dentro avrebbe saputo trovare la strada verso la superficie. Ma non mollava, lui era saldo, lui conosceva tutta quella reakcija, tutti i traditori del popolo. «Chi cercherà di colpire la grandezza della rivoluzione, pagherà con le bastonate, anche con la vita. Perfino l’intimità che c’è fra noi non mi farà aver compassione di te, se ti metti contro di me, perché per la reakcija non c'è pietà, e io ho dichiarato guerra agli italiani e alla loro storia. Se ti metti dalla parte loro, per me sei morta».
«Mi sembra di non afferrare bene...».
«Questo è un progetto al quale stiamo lavorando da secoli... Le cose che abbiamo preso l’impegno di eseguire per il Partito vengono fatte in forza di ragioni che tu non potrai mai capire. E il mio compito mi piace...».
Negli occhi le arse ancora per un attimo una scintilla di stupore, che subito si mutò in collera. Uscì dalla stanza, non aveva più niente da cercare lì. Era andata di corsa dai genitori in cerca di aiuto, per attraversare quel freddo e quella confusione in testa, perché intervenissero, e loro l’avevano cacciata via, non volevano più riconoscerla come figlia; che se ne andasse da casa loro, loro lavoravano per il potere popolare, suo padre faceva il guardiano in posta e sua madre era cuoca nella della caserma Musil.
Allora si era precipitata dai suoceri, gli aveva raccontato tutto: Ivo impartiva ordini per licenziare gli italiani, per organizzare razzie e azioni di intimidazione contro di loro. Mamma e papà si erano spaventati. Null’altro, solo paura. Paura di lei. Come se fosse affetta da qualche malattia contagiosa. L’avevano molto semplicemente chiamata «sporca fascista» e buttata fuori di casa perché non li contagiasse, e le avevano detto che in quel modo sabotava lo sforzo rivoluzionario postbellico, e rovinava la carriera del marito.
E così, sola, senza un’amica, ché fino a quel momento su marito e il suo bambino erano stati tutto il suo mondo, così sola come una cagna, se n’era uscita fuori dall’entusiasmo e dalla paura di tutta la famiglia, e tre mesi dopo s’era imbarcata sul Toscana stringendo la mano morbida e calda del suo piccoletto.
In campo profughi si era messa subito a preparare pannolini e bavaglioli su cui ricamava figurine che ballavano allegramente e facevano capriole. Non aveva smesso di credere di essere dalla parte della ragione, e soprattutto di aver fede nella propria forza di donna sola in attesa del secondo figlio. Palpita già in grembo come un cuore, sentiva lì la radice della vita fremere sulla punta delle sue dita. «Che il diavolo si porti questa tremenda beffa che la vita mi ha fatto», era stata la sua conclusione. E mia nonna aveva approvato.
Anna Maria Mori & Nelida Milani, Bora. Istria, il vento dell’esilio
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riveridaho · 11 months ago
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dovete sapere che la segretaria del medico di base mi sta sulle ovaie in una maniera indescrivibile, perché è una persona molto arrogante e anche maleducata. Da un lato comprendo quanto sia difficile avere a che fare con le persone, spesso insistenti con le loro domande "stupide" perché dettate dall'ignoranza in materia, e capisco anche che lei debba far rispettare quelli che sono gli ordini del dottore. Dall'altro lato mi fa rabbia il suo modo di porsi con i pazienti. Parliamo di una ragazza giovane che ha iniziato a lavorare proprio lo scorso anno, non di una persona già esaurita dai 30 anni di lavoro a contatto con il pubblico.
Ieri sono stata dal medico con mia mamma, che doveva farsi visitare, mentre aspettavamo ho avuto modo di vedere e sentire la segretaria che parlava con i pazienti andati lì per chiedere delle impegnative o altro.
Partiamo innanzitutto dal fatto che si comporta diversamente in base alle persone che ha davanti, tipo c'era un ragazzo che conosceva al quale ha fatto un'impegnativa rossa nonostante questo non avesse una prescrizione. Gliel'ha fatta in un secondo senza protestare, mentre ad altre persone prima di lui ha fatto una testa enorme perché lei senza prescrizione non può fare niente.
Ieri c'era un uomo, che mi ha fatto tanta tenerezza, che le aveva chiesto di fare un'impegnativa per una tac. Lei altezzosa risponde "per le tac dovete chiedere al dottore", di conseguenza l'uomo si siede e aspetta il suo turno.
Poi la madame all'improvviso dice "ma lei la tac non la può fare, già l'ha fatta il mese scorso e mica si fanno così spesso"
X: "Veramente? Io non ricordo quando l'ho fatta, penso sia passato tempo perciò vorrei fare un controllo"
La madame, in modo arrogante: "no ma lei l'ha fatta a dicembre infatti c'è segnato nel computer... ah no, a novembre. Vabbè lei comunque la tac non la può fare perché fa male, sono radiazioni e queste vanno sul tumore e fanno aggravare la situazione o peggio ancora vi fanno uscire un altro tumore. Mo che entrate nello studio del dottore anche lui vi dirà la stessa cosa".
L'uomo è rimasto lì fermo, senza dire una parola facendo un sorriso mortificato e pareva quasi volesse piangere. Io sono rimasta lì con una rabbia per il tatto e la delicatezza che non ha avuto la segretaria, perché proprio non le appartengono e infatti tutti si lamentano di lei. Ci sono rimasta malissimo per quell'uomo, che mi ha fatto tanta tenerezza. Capisco che lei non possa fare determinate cose in base agli ordini del medico e infatti non critico il fatto che non abbia voluto prescrivere la tac, ma critico il suo essere stronza e priva di tatto. Ci sono modi e modi per spiegare le cose.
Vorrei tanto dire che è una storia inventata ma non lo è, non è nemmeno la prima volta che questa fa la stronza con i pazienti soprattutto quelli più anziani.
Per non parlare di tutte le volte che ha fatto la stronza con mia mamma via whatsapp ma vabbè non finirei più di scrivere se ne parlassi
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m2024a · 1 year ago
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Seguici sul:https://notizieoggi2023.blogspot.com/2024/01/fedez-e-tornato-in-ospedale-e-depresso.html Fedez «è tornato in ospedale, è depresso». Chiara Ferragni riappare sui social del marito. Il periodo nero dei Ferragnez: dalle inchieste alla presunta crisi coniugale Fedez e Chira Ferragni in crisi? Da giorni non si mormora altro. Dopo le inchieste aperte sull'imprenditrice digitale per l'affaire Balocco (e similari) per la Royal Family milanese non c'è tregua. Lei che perde milioni di follower, lui che la difende. Chiara che sparisce e riappare sui social (bloccando i commenti) e Federico che diventa un perfetto dogsitter (di Paloma). Ma di loro insieme non si hanno più tracce. Così via alle chiacchiere sulla presunta lite. E si dice anche che il rapper sia tornato in ospedale. Ferragnez in crisi? Non c'è tregua per Chiara e Federico, le chiacchiere sulla presunta crisi coniugale volano veloci. Tutto parte sui social, come è ovvio sia per due persone che sui social ci hanno costruito un impero. E le riprende anche il settimanale Chi con un articolo in cui la vita della Ferry è stata messa sotto la lente d'ingrandimento a partire proprio dal rapporto con il marito. La smentita social Una notizia ripresa da molte testate, tra cui Fanpage.it col un pezzo dal titolo “Chiara Ferragni e Fedez in crisi: il patrimonio, la fuga dei brand e la fiducia minata dei followers”, la testata ha condiviso l'articolo anche su Instagram. E qui entra a gamba tesa Fedez. «Mamma mia, quante str***ate che scrivete», frase accompagnata dall'emoticon con la faccina perplessa. Insomma, pare proprio, che il rapper abbia voluto così spazzare via ogni chiacchiera su una lite famigliare.   Cosa è successo Le voci di crisi cominciano a circolare dopo Capodanno. È infatti da quel video postato da Fedez che lui e la moglie non appaiono più insieme. Da quel momento in molti hanno cominciato a ipotizzare che tra i due ci fosse stato il crac? Il motivo? Secondo molti, Chiara si sarebbe arrabbiata per la troppa presenza di federico sui social mentre lei aveva optato per la strada del silenzio social dopo il Pandoro gate. Ma così, pare non sia, parola (social) di Federico. E per mettere a tacere anche gli ultimi malpensanti oggi sulle Story Instagram di Federico riappare anche la moglie. Fedez in ospedale? I guai per i Ferragnez non finiscono, e secondo il direttore di Novella 2000 Fedez è finito di nuovo in ospedale. A mettere in circolo le voci sulle condizioni di salute di Federico è stato Roberto Alessi, che ai Ferragnez ha dedicato la copertina dell'ultimo numero della rivista. Secondo fonti vicine alla coppia il rapper, si legge, sarebbe tornato in ospedale al San Raffaele, ma non è chiaro se per accertamenti di routine o per nuovi problemi di salute. «Mi dicono che è stato visto in questi giorni al San Raffaele, spero sia l'ennesima fake news», scrive Alessi, aggiungendo: «Chi gli vuole bene mi dice che è molto, molto depresso. D’altra parte, solo a dicembre diceva: “Devo curare la mia salute mentale”». I guai giudiziari in cui è ora finita la moglie potrebbero quindi aver acuito i problemi di salute mentale contro cui Fedez lotta da tempo. Il rapper infatti è in cura per la depressione a causa dei problemi di salute avuti nel 2022, quando scoprì di avere un tumore al pancreas. Poi Il ricovero d'urgenza, avvenuto a settembre e causato da un'emorragia interna da ulcera, ha risvegliato vecchie paure e la depressione è tornata a bussare - come svelato da Fabio Fazio a Che Tempo che Fa - e alimentata forse dagli ultimi guai dell'imprenditrice digitale. Ma sono solo supposizioni. Perché a dirla tutta già da ieri sera il rapper ha postato foto in famiglia, quindi è probabile, molto, si trattasse solo di controlli di routine.
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everythingyouwantsworld · 1 year ago
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30 dicembre 2023 ore 1.26
Così di botto ho deciso che questo è il momento giusto per ripensare a quest’anno . E posso dire una cosa ? Io più passa il tempo più mi rendo conto che i ricordi della mia vita diventano fiochi e poco lucidi . Pensando al 2023 mi viene mente molta fatica e voglia di mettersi in gioco, molte paure , ansie ma anche molta felicità . Mi viene in mente il distacco dalla realtà che ormai mi accompagna molto spesso e mi vengo in mente io che soprattutto nell’ultimo mese mi sono sentita libera di essere me stessa anche davanti alla mia famiglia , sempre pungente , divertente e sdolcinata ma sempre presente , un palo portante per tutti quelli che ho incontrato . Andando un po’ in dietro a gennaio è stato un mese un duro in cui è iniziata la mia battaglia contro una compagna di viaggio che mi ha accompagnato per molto tempo nel 2023 : procedura civile ahahah .pero mi sono messa in gioco e ho provato e riprovato . Ho deciso di mettermi sotto con la palestra e ho ritrovato la mia voglia di essere lì , sfogarmi e diventare la versione migliore di me .a febbraio continuo queste lotte e vado a Napoli per un viaggio stupendo regalato da Serena e nel mentre ogni weekend mi godevo l’amore di mio nipote e ricercavo l’amore con il mio ex fidanzato l’ero mi rendevo conto che non era lì che dovevo cercarlo .a marzo scopro che partirò per Malaga e mi iniziano ad assalire le ansie e i dubbi che riversarvi nella palestra . Aprile è il mese in cui mi sono resa conto di quanto mi stessi distrugge di appresso ad un lavoro che mi portava solo molto stress e ansia e quindi lascio finalmente Rodhouse con una festa che non dimentico più .a maggio continua la mia lotta contro me stessa e i miei studi e ritorna L. Così all’improvviso come un fulmine a ciel sereno.a giugno vado ad un festival e finalmente PASSO PROCEDURA CIVILE e inizio a godermi di più l’estate con feste bei boschi . Tra giugno e luglio do 6 esami e finalmente mi sento di nuovo me stessa .a luglio festeggio il mio compleanno con una gratitudine nel cuore molto presente e mi diverto da pazza al mio compleanno e poi parto vado a Rimini e poi a Savona per divertirmi senza freni e per festeggiare i miei traguardi universitari. Ad agosto vado nella mia amata Calabria e ad attendermi in Italia c’era L. Dopo un anno di alti e di bassi , di parole spese , di presenza continua , di compleanni dimenticati lo vedo e me lo godo al massimo per quello che lui mi rende possibile fare e lascio un po’ da parte le mie paure .ad agosto poi festeggio il mio amato Leo e parto per New York , per ricongiungermi con una famiglia che è sempre più mia anche se una parte di questa è volata via 👼, mi sento sempre più amata e vicina alla mia famiglia , anche a quella che abita a un passo da casa mia che ho dovuto rincontrare dall’altra parte del mondo . A settembre vado in Canada e finalmente concludo le conoscenze dell mia famiglia con il mio ultimo Zio e cugini che vi posso assicurare che mi sembrava di conoscere da sempre . Torno da questo viaggio , rivedo L. E lo saluto con la consapevolezza di essermene innamorata ma con la consapevolezza ancora più forte che quella sarebbe stata l’ultima volta che ci saremo visti . Ottobre lo passo con i miei amici e la mia famiglia , conosco di più Irene e mi rendo conto del tesoro che sia . Volo in Sardegna e la mia luce e solarità mi fanno sempre più rendere certa della scelta che ho fatto lavorativamente parlando .a novembre incomincia a prendere forma il mio viaggio a malaga e inicomicio a studiare di nuovo per nuove sfide e a dicembre do 3 esami di fila .concludo l’anno con la laurea delle mie due sorelle , con un orgoglio immenso e una festa stupenda che ha riunito tutta la mia famiglia , come non succedeva da 20 anni .questa festa è stata bella quanto malinconica , mi ha fatto pensare a quella che sarebbe potuta essere la mia quotidianità , con una mamma e un papà sempre presenti e con la mia famiglia unita . Nonostante questo sono grata di tutto l’amore che ho attorno e che sento giornalmente. Sono grata del supporto costante e delle persone che credono sempre in me
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lamilanomagazine · 1 year ago
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Las Mariposas: domani l'intitolazione dei giardini di via San Faustino alle sorelle Mirabel
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Las Mariposas: domani l'intitolazione dei giardini di via San Faustino alle sorelle Mirabel. Milano. Domani, giovedì 23 novembre, alle ore 15.30, in via San Faustino (fronte civico 50), l'assessore alla Cultura Tommaso Sacchi interviene alla cerimonia di intitolazione dei giardini alle sorelle Patria (1924-1960), Minerva (1926-1960) e Maria Teresa (1936 -1960) Mirabal, ''Las Mariposas'' (Le Farfalle) della Repubblica di Santo Domingo, assassinate nel 1960 per la loro strenua opposizione al dittatore Rafael Leónidas Trujillo e al suo durissimo regime che dominò sull'isola caraibica per trent'anni, fino alla rivolta e alla sua uccisione nel 1961. Nel 1981, durante il primo Incontro Internazionale Femminista, celebrato in Colombia, la Repubblica Domenicana propose di ricordare l'assassinio delle tre sorelle Mirabal il 25 novembre di ogni anno. Quella data fu scelta dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite per celebrare la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza sulle donne. La ricorrenza fu istituita il 17 dicembre 1999 con la risoluzione 54/134. Alla cerimonia di intitolazione interverranno la Presidente del Municipio 3, Caterina Antola, e il Console Generale della Repubblica Dominicana, Arlene Pena Del Orb. A conclusione della cerimonia, l'attrice Elisabetta Pogliani leggerà la poesia di Cristina Torre Caceres "Se domani non rispondo alle tue chiamate, mamma'', scritta nel 2011 e diventata simbolo della lotta contro la violenza di genere. La poesia Se domani non rispondo alle tue chiamate, mamma. Se non ti dico che non torno a cena. Se domani, il taxi non appare. Forse sono avvolta nelle lenzuola di un hotel, su una strada o in un sacco nero (Mara, Micaela, Majo, Mariana). Forse sono in una valigia o mi sono persa sulla spiaggia (Emily, Shirley). Non aver paura, mamma, se vedi che sono stata pugnalata (Luz Marina). Non gridare quando vedi che mi hanno trascinata per i capelli (Arlette). Cara mamma, non piangere se scopri che mi hanno impalata (Lucía). Ti diranno che sono stata io, che non ho urlato abbastanza, che era il modo in cui ero vestita, l'alcool nel sangue. Ti diranno che era giusto, che ero da sola. Che il mio ex psicopatico aveva delle ragioni, che ero infedele, che ero una puttana. Ti diranno che ho vissuto, mamma, che ho osato volare molto in alto in un mondo senza aria. Te lo giuro, mamma, sono morta combattendo. Te lo giuro, mia cara mamma, ho urlato tanto forte quanto ho volato in alto. Ti ricorderai di me, mamma, saprai che sono stata io a rovinarlo quando avrai di fronte tutte le donne che urleranno il mio nome. Perché lo so, mamma, tu non ti fermerai. Ma, per carità, non legare mia sorella. Non rinchiudere le mie cugine, non limitare le tue nipoti. Non è colpa tua, mamma, non è stata nemmeno mia. Sono loro, saranno sempre loro. Lotta per le vostre ali, quelle ali che mi hanno tagliato. Lotta per loro, perché possano essere libere di volare più in alto di me. Combatti perché possano urlare più forte di me. Perché possano vivere senza paura, mamma, proprio come ho vissuto io. Mamma, non piangere le mie ceneri. Se domani sono io, se domani non torno, mamma, distruggi tutto. Se domani tocca a me, voglio essere l'ultima.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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sounds-right · 1 year ago
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Alla Locanda dei Giurati si gusta un tartufo bianco di oltre 500 grammi, lo ha scovato Schila, Springer di 3 anni 
Como, 22/11/2023. Il tartufo, con il suo profumo ed il suo sapore inconfondibili, è apprezzato dai gourmet di tutto il mondo. La sua raccolta avviene da settembre a dicembre. Viene gustato in piatti come tagliolini o i tipici tajarin al burro, risotto al parmigiano o carni che non abbiano un sapore troppo forte. Il tartufo bianco ha un sapore più intenso ed è decisamente più pregiato.
Inoltre, più grande è il tartufo, più è raro e quindi costoso. Alla Locanda dei Giurati di Como, da poche ore e solo per pochi giorni, perché il tartufo va gustato velocemente, si possono assaggiare piatti preparati con un tartufo di oltre 500 grammi. L'ha scovato Schila, cagnolina di 3 anni di razza Springer, non lontano da Dernice, un paese in provincia di Alessandria. Soprattutto in Piemonte, infatti, non mancano zone vocate a questa prelibatezza. 
Il padrone di Schila è Roberto Todaro, 39 anni, appassionato tartufaio che tratta i suoi cani come fossero parte della sua famiglia. "Schila ha trovato il tartufo verso le 4 di mattina, in un canalone non troppo esposto al sole. Sono ritrovamenti non comuni, che soprintendono. Anche perché tartufi così grandi spesso nascono 'fuori luna' ", racconta Todaro, che ha un rapporto particolare con Schila.
"I miei cani sono la mia passione e la mia famiglia. Ero affezionatissimo anche alla mamma di Schila, che purtroppo ci ha lasciato. Tutti i miei cani nascono, crescono e vivono sempre a casa mia. Hanno quattro zampe e non due... e hanno anche un'intelligenza stratosferica", continua il tartufaio.
Il tartufo italiano, soprattutto quello piemontese, è davvero una specialità. "Il tartufo arriva spesso dall'estero, ma non è paragonabile al nostro. Colore e pasta dei nostri tartufi, soprattutto quelli bianchi, sono unici. Novembre e dicembre sono senz'altro i mesi migliori per gustarli", conclude Roberto Todaro.
Chi ama il tartufo ed abita in Lombardia non deve arrivare quindi fino alle Langhe per gustare i migliori tartufi: alla Locanda dei Giurati di Como molti dei piatti del menu, solo e soltanto in certi periodi dell'anno e senz'altro in quello che stiamo vivendo (fine  novembre 2023), quando il tartufo sprigiona il massimo di profumi e sapori, sono dedicati al tartufo.
Qui, alla Locanda dei Giurati di Como, i più audaci possono anche osare un altro abbinamento, porcini e tartufo. Tra i piatti nel menu in questo momento, ecco i tagliolini al tartufo bianco, un classico che non delude mai. 
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Senz'altro il successo della Locanda dei Giurati cresce nel tempo per un mix vincente di semplicità ed eccellenza, da gustare tra l'altro anche a pranzo, con business lunch tutti da vivere.  Ecco come lo staff de La Locanda dei Giurati di Como presenta sui social la sua filosofia: "Un fantastico vino e la nostra pregiata carne, sono il connubio perfetto per creare un momento sensoriale ai nostri ospiti. Un'opera d'arte che si può associare solo alla nostra Locanda, perché venire da noi, non è solo stare bene, ma è arrivare a toccare il piacere degustativo attraverso i nostri piatti".
La Locanda dei Giurati - Como 
via Giulini 16, 0314310051
www.locandadeigiurati.com
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tarditardi · 1 year ago
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Alla Locanda dei Giurati si gusta un tartufo bianco di oltre 500 grammi, lo ha scovato Schila, Springer di 3 anni 
Como, 22/11/2023. Il tartufo, con il suo profumo ed il suo sapore inconfondibili, è apprezzato dai gourmet di tutto il mondo. La sua raccolta avviene da settembre a dicembre. Viene gustato in piatti come tagliolini o i tipici tajarin al burro, risotto al parmigiano o carni che non abbiano un sapore troppo forte. Il tartufo bianco ha un sapore più intenso ed è decisamente più pregiato.
Inoltre, più grande è il tartufo, più è raro e quindi costoso. Alla Locanda dei Giurati di Como, da poche ore e solo per pochi giorni, perché il tartufo va gustato velocemente, si possono assaggiare piatti preparati con un tartufo di oltre 500 grammi. L'ha scovato Schila, cagnolina di 3 anni di razza Springer, non lontano da Dernice, un paese in provincia di Alessandria. Soprattutto in Piemonte, infatti, non mancano zone vocate a questa prelibatezza. 
Il padrone di Schila è Roberto Todaro, 39 anni, appassionato tartufaio che tratta i suoi cani come fossero parte della sua famiglia. "Schila ha trovato il tartufo verso le 4 di mattina, in un canalone non troppo esposto al sole. Sono ritrovamenti non comuni, che soprintendono. Anche perché tartufi così grandi spesso nascono 'fuori luna' ", racconta Todaro, che ha un rapporto particolare con Schila.
"I miei cani sono la mia passione e la mia famiglia. Ero affezionatissimo anche alla mamma di Schila, che purtroppo ci ha lasciato. Tutti i miei cani nascono, crescono e vivono sempre a casa mia. Hanno quattro zampe e non due... e hanno anche un'intelligenza stratosferica", continua il tartufaio.
Il tartufo italiano, soprattutto quello piemontese, è davvero una specialità. "Il tartufo arriva spesso dall'estero, ma non è paragonabile al nostro. Colore e pasta dei nostri tartufi, soprattutto quelli bianchi, sono unici. Novembre e dicembre sono senz'altro i mesi migliori per gustarli", conclude Roberto Todaro.
Chi ama il tartufo ed abita in Lombardia non deve arrivare quindi fino alle Langhe per gustare i migliori tartufi: alla Locanda dei Giurati di Como molti dei piatti del menu, solo e soltanto in certi periodi dell'anno e senz'altro in quello che stiamo vivendo (fine  novembre 2023), quando il tartufo sprigiona il massimo di profumi e sapori, sono dedicati al tartufo.
Qui, alla Locanda dei Giurati di Como, i più audaci possono anche osare un altro abbinamento, porcini e tartufo. Tra i piatti nel menu in questo momento, ecco i tagliolini al tartufo bianco, un classico che non delude mai. 
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Senz'altro il successo della Locanda dei Giurati cresce nel tempo per un mix vincente di semplicità ed eccellenza, da gustare tra l'altro anche a pranzo, con business lunch tutti da vivere.  Ecco come lo staff de La Locanda dei Giurati di Como presenta sui social la sua filosofia: "Un fantastico vino e la nostra pregiata carne, sono il connubio perfetto per creare un momento sensoriale ai nostri ospiti. Un'opera d'arte che si può associare solo alla nostra Locanda, perché venire da noi, non è solo stare bene, ma è arrivare a toccare il piacere degustativo attraverso i nostri piatti".
La Locanda dei Giurati - Como 
via Giulini 16, 0314310051
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zuccherodisqualo · 7 years ago
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Aspetto il ricevimento col mio prof adorato e ci sta una coppietta accanto a me che si mette d'accordo su quando lei ha casa libera per scopare
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abr · 2 years ago
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UNA STORIA SEMPLICE DA UN PAESE DEL SOCIALISMO REALE
La scorsa settimana, qualche giorno prima di Capodanno, mia moglie si rompe in modo non grave un femore sulle piste da sci. Fatte le lastre, decido di portarla alle #Scotte (ospedale di #Siena ): inizia così una tre giorni da psicodramma.
Arrivo al PS alle 20. Non riesco neppure a salutarla che sparisce in barella insieme alle radiografie.
1) Non si può entrare in sala d'attesa: ora si aspetta fuori, sotto un porticato con le lampade riscaldanti (grave errore: i bidoni col fuoco sarebbero stati più appropriati).
2) Al PS non entra neanche un libro "perché altrimenti lo perdiamo" (spiegazione di un OSS a posteriori), figuriamoci vestiti o altro. Grazie al solito familismo amorale (conosco uno che ci lavora) riesco a contrabbandare almeno il cellulare.
3) Non ho fogli di ammissione, non ho fogli di ricovero, nessuno mi dice niente. Mia moglie mi chiama dicendo che "passerà la notte lì" e di andare a casa. LEI È SU UNA BRANDA, VESTITA DA SCI IN UNO STANZONE A 1000 GRADI, CON I PANTALONI SPORCHI DI URINA. PER UNA NOTTE INTERA.
4) INTERAZIONE CON GLI OSS, NULLA. IN COMPENSO AL CAMBIO TURNO GRANDI RISATE, BERCI, BESTEMMIE - BESTEMMIE -, COME ALLO STADIO. L'unico medico che passa la prende per il culo per non essere restata in Trentino dove "la sanità funziona".
Dopo una trentina d'ore abbondanti al PS, finalmente la spostano in reparto, accanto a una signora molto anziana precedentemente messa in reparto Covid (VUOTO) grazie a tampone positivo farlocco e salvata da qualche lieve intemperanza dei familiari.
(Tra parentesi: la signora arriva dopo qualche giorno di solitudine praticamente catatonica; bastano due chiacchiere con mia moglie per farle ricordare nomi e date di nascita di figli e nipoti. Capito da cosa derivano 100.000 morti, brutte merde?).
Mi precipito in ospedale con la valigia dei vestiti passando dalla porta posteriore di un altro lotto, perché all'ingresso il 30 dicembre c'è ancora la guardia giurata che controlla il SGP.
In reparto mi imbatto nella caposala, una donnina coi capelli corti e non tinti, sicuramente proprietaria di non meno di 3 gatti, che tutta felice di potermi angariare grazie alla sua posizionuccia di potere mi fa tutto uno spiegone delle intelligentissime regole del posto.
(i) se entro a portare i vestiti non posso entrare al passo; (ii)ad ogni passo può entrare una sola persona; (iii) i minori di 12 anni - colpevoli di aver scampato al vaccino - per dispetto non sono ammessi. IN PRATICA AI MIEI FIGLIOLI È PROIBITO DI VEDERE LA MAMMA RICOVERATA.
Dopo un altro giorno in cui i luminari di corsia stabiliscono prima di operare e poi di non operare più, finalmente le dimissioni. Alle 9. Ritorno a casa: alle 16. Perché?
PERCHÈ GLI OSPEDALI NON HANNO PIÙ AMBULANZE E CHI LE POSSIEDE (MISERICORDIE, CROCE ROSSA, ECC.) LE FA GUIDARE SOLO A VOLONTARI, I QUALI GIUSTAMENTE IL 31 DICEMBRE SI FANNO I CAZZI LORO.
Allora, dopo questa bella esperienza, mi sentirei di fare qualche pacata considerazione.
SE LA SANITÀ DEVE ESSERE COSÌ, ALLORA PIUTTOSTO CHIUDIAMO OGNI COSA, SMETTIAMO DI PAGARE LE ADDIZIONALI E L’IRAP, E OGNUNO SI CURA COME CREDE. PERCHÈ È LETTERALMENTE UNA VERGOGNA.
thread via https://twitter.com/Luca_Fantuzzi/status/1610297267239456770
Solo un esempio del COLLASSO SSN rivelato, non accaduto, post pandemia. #stipendificio
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kon-igi · 2 years ago
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SO DI ESSERE INFANTILE
ma negli scorsi giorni ho riletto, dopo tanti anni, ‘World War Z. La guerra mondiale degli zombi’ (2006) un romanzo di Max Brooks (figlio di Mel Brooks), scritto in forma di intervista a tutti i protagonisti sparsi per il globo che vissero lo zombie outbreak e i successivi anni di guerriglia, fino alla risoluzione.
(NON guardate il film con Brad Pitt perché NON C’ENTRA UN CAZZO!)
Tra queste, c’è l’intervista a un addestratore di squadre K9, cani particolari che aiutarono i soldati a fronteggiare la minaccia. L’intervista si conclude con un suo ricordo sul perché poi decise di diventare addestratore.
Abitavo a un isolato da un negozio di animali. Ci passavo davanti in macchina ogni giorno per andare al lavoro, e mi chiedevo sempre come quei perdenti sentimentali e disadattati potessero sborsare tutti quei soldi per dei criceti troppo cresciuti e in grado di abbaiare. Durante il Panico, i morti cominciarono a raccogliersi intorno a quel negozio. Non so dove fosse finito il padrone. Aveva tirato giù le serrande ma lasciando gli animali all'interno. Li potevo sentire dalla finestra della mia camera da letto. Tutto il giorno, tutta la notte. Erano solo cuccioli, sa, avranno avuto un paio di settimane. Piccole creaturine terrorizzate che chiamavano la mamma o chiunque potesse andare lì e salvarli. Li sentii morire, uno dopo l'altro, quando finirono l'acqua. I morti non riuscirono a entrare nel negozio. Erano ancora ammassati fuori dal negozio quando fuggii, quando corsi via senza neanche fermarmi a guardare. Che avrei potuto fare? Ero disarmato, inesperto. Non potevo prendermi cura di loro. A malapena riuscivo a prendermi cura di me stesso. Che avrei potuto fare?… Qualcosa. Avrei potuto fare qualcosa.
Ecco.
È più di una settimana che ogni notte mi sveglio di soprassalto perché faccio un incubo in cui Cthulhu e Otto sono tra quei cuccioli e allora perdonatemi la futilità ma devo poter fare qualcosa.
È sera. Oramai ho esaurito le scorte di fagioli in scatola e l’acqua esce dal rubinetto sotto forma di un filo marrone che sa di fango e disperazione.
Prima che scoppiasse tutto il casino, provavo un particolare odio verso quei padroni di cani che anteponevano i loro pelosetti a tutto il resto e ogni volta che qualche proprietario provava a darmi dell’insensibile, io citavo Independence Day, quel pastrocchio con Will Smith e Jeff Goldblum in cui arrivano i cattivoni alieni e i nostri eroi li sconfiggono stridendo come aquile reali e mangiando torta di mele. Avete presente la scena in cui gli alieni radono al suolo New York col raggio della morte e migliaia di persone fuggono nel Lincoln Tunnel? Mentre una palla di fuoco avanza impacabile nella galleria, disintegrando macchine e persone, la moglie del protagonista riesce a infilarsi in un tunnel di servizio laterale... ma il cane rimane in macchina! Lei lo chiama urlando, il fuoco avanza, lui sembra non farcela a entrare e... IMPROVVISAMENTE CON UN SALTO SCANSA IL MURO DI FIAMME E SI BUTTA IN BRACCIO ALLA PADRONA! Io quel film lo vidi al cinema insieme a Danielle... oddio, Danielle... non pensavo a lei da... da troppo tempo... dunque, nell’attimo che il cane balza in salvo TUTTO IL CINEMA SCOPPIA IN UN APPLAUSO FRAGOROSO e io penso ‘Ma sono morte carbonizzate migliaia di persone! E voi applaudite perché si è salvato un botolo pulcioso?!’
E ora mi ci trovo io in quel tunnel.
Anche questa sera i cuccioli stanno piangendo ma sempre più debolmente. Centinaia... migliaia di persone sono morte e ora girano putrefatte sotto casa mia e io riesco solo a pensare a quelle piccole creaturine terrorizzate.
Se riesco a salvare loro, forse posso ancora riporre qualche speranza di salvezza in questo mondo distrutto.
Per fortuna che è Dicembre, sennò dentro la mia tuta da motociclista mi sarei giù liquefatto. Pensare che l’ho pagata 2.000 dollari e non avevo neanche una moto. Quella me la sarei fatta prestare e poi avrei detto a Danielle che mi ero stancato e che l’avevo venduta. 
Ho scartato i guanti da motociclista perché per quello che dovevo fare avevo bisogno del massimo della mobilità nelle dita. Un paio di guanti da lavoro in Dyneema andavano più che bene. Stringo le cinghie dello zaino sulla schiena e controllo che il piede di porco sia fermo ma raggiungibile velocemente. Finalmente ho trovato un utilizzo per quegli stupidi spiedi in acciaio che danno in dotazione coi forni... uno infilato in ogni stivale e sono finalmente pronto.
Apro la finestra di camera da letto e guardo giù in strada. L’unica fonte di luce è la luna che si riflette su crani scarnificati e liquami gocciolanti. Non riesco a contarli ma la maggior parte degli zombie sono assiepati contro la serranda del negozio di animali, attirati dai lamenti disperati dei cuccioli.
Una volta ho visto il video di una scimmia arrampicata su un palo della luce che per sfuggire a chi la voleva salvare afferrava i fili elettrici e si paralizzava istantaneamente, cadendo morta in strada.
Ecco, spero davvero che gli zombie abbiano fatto saltare tutte le centrali elettriche e che non ci sia un ampere di tensione in giro perché altrimenti... meglio non pensarci.
Dal davanzale della mia finestra passo sul condizionatore esterno della vecchia Margie. Il cavo elettrico sembra ben ancorato alla parete ed è pure uno di quelli spessi e intrecciati, visto che probabilmente portava corrente in tutto l’isolato di fronte.
Salto e mi aggancio con due mani.
Cosa dicevano in quel film francese? Il problema non è la caduta ma l’atterraggio... vaffanculo mangiarane di merda!
Contraggo gli addominali e intreccio le ginocchia intorno al cavo... ok, come un bruco a culo all’aria adesso è solo questione di strisciare lentamente, lentamente (non pensare alla scimmia)... guardo in basso e il buio mi risparmia la visione peggiore. Però sento i loro gemiti, sempre più vicini. Devo essergli sopra. 
E poi la mia testa sbatte contro il muro del palazzo di fronte.
Bene... ci sarà anche qua una signora Margie con le caldane trentennali da menopausa e un condizionatore formato albergo?
Sgancio i piedi e mi lascio spenzolare, finché con la punta dello stivale tocco quello che sembra lo stipite di una finestra. Ho una torcia TL122 agganciata sulla spalla ma accenderla adesso significherebbe diventare un faro in un mare di morti viventi e anche se mi trovo al terzo piano non mi piacerebbe sentirli assiepati sotto ad aspettare che perda l’equilibrio.
Tasto coi piedi e mi sembra che il davanzale sia abbastanza largo per starci in equilibrio. Tenendomi alla cornice di mattoni, mi ci lascio cadere sopra.
- Bene... e adesso vediamo di capire come aprire la finestra.
Non è una posizione comoda (sembro gesù crocifisso o uno di quegli improbabili babbi natale spenzolanti che andavano di moda nei primi anni duemila) ma frugo lo stesso nella tasca per estrarre il mio karambit, con la lama del quale comincio a frugare nello stipite.
Perché nei film è così facile? Vorrei tanto l’inquadratura da dietro la finestra e lo zoom sulla lama che solleva il fermo!
Poi il fermo scatta e la finestra si apre verso l’interno.
... e la gemella della signora Margie mi si avventa contro, i bigodini che spenzolano ancora dal cuoio capelluto strappato, e dopo avermi afferrato per il davanti della giacca, cerca di mordermi la faccia.
Capitemi... io ero appena passato dalla posizione crocifissa a quella del russo accovacciato in un pericolossisimo slav squat, quindi la mia prima reazione è quella di piantarle il karambit in gola (pentendomi subito della futilità del gesto) e poi di afferrarla a mia volta per non cadere in strada.
Fortuna vuole che la vecchia carampana sia sovrappeso e anche se ero sbilanciato indietro, la sua enorme pancia era incastrata nel davanzale interno, però ogni volta che la tiravo per bilanciarmi la sua bocca sgocciolante mi snappava a due centimetri dal naso.
Allungo la mano destra verso lo stivale, ringraziando mentalmente di non aver mai avuto soldi per il forno a microonde, e infilo 30 cm di spiedo in acciaio inossidabile dentro l’orbita della zombie.
E le cado sopra mentre smette di agitarsi.
- Ok... ti è andata bene. La vecchia abitava da sola altrimenti li avresti già avuti tutti addosso. Ora devo scendere le scale e sperare che il negozio abbia una porta secondaria interna.
Sulle scale trovo solo lo zombie di un uomo che mi dà le spalle ed è un attimo trafiggerlo con un angolo di 45 gradi e far entrare la punta dello spiedo sopra l’atlante dentro il foramen.
Grazie Dott.Cox delle tue lezioni di anatomia - penso divertito.
In fondo alle scale in effetti c’è la porta di servizio del negozio. Abbasso la maniglia ed è aperta. 
Mi colpisce il naso l’odore penetrante di urina e feci e con la torcia trovo il recinto in vetrina, dove i cuccioli stavano quasi per perdere la loro lotta contro la solitudine e la paura. Quando mi inginocchio in mezzo a loro, i loro uggiolii diventano della più pura delle gioie e mentre tutti quanti riescono a leccarmi la faccia contemporaneamente, sussurro
- Va tutto bene... ci sono qua io con voi.
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Ora posso andare a dormire e che mi crediate o meno, so già che non ci sarà alcun incubo... forse non posso salvare tutti ma perlomeno lasciatemi sognarlo.
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ladyklein · 3 years ago
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Oggi non è stata proprio una semplice giornata, no, affatto.
La Luna era in Toro e io ero frizzante, ma con la testa in tremila situazioni.
I calendari stanno andando a rilento, ma stanno arrivando, e.. si avvicina Natale.
Per chi alleva questo è un periodo di cambiamenti repentini, e il buio ti porta accelerare nelle ore di luce.
Abbiamo scelto gli agnelli per la vendita, li ho accuratamente accompagnati pregando, come sempre, perché è una benedizione poter mangiare qualcosa di sano, averlo allevato con amore e ad è importante che ognuno porti abbondanza nella propria casa.
Ho sentito tutto il giorno pianti e disperazione. Perché sì, perché la vita è questo, e bisogna accompagnare, ascoltare, sentirsi parte di un coro che piange e ricordare che è lo stesso pianto del lutto.
Sono stata talmente tanto dentro questa giornata da non aver riposato, e ho atteso infinitamente il camion perché gli uomini, si, gli uomini alle volte dimenticano il rispetto per gli altri, e dimenticano che il mondo non gira tutto attorno a loro (e per una volta non sto parlando dei macellai).
E stasera abbiamo munto, abbiamo ripreso l'anno, e abbiamo iniziato a mungere le prime pecore "stelle".
E poi sono andata a riprendere dal pascolo la laghinza.
Ho notato una sagoma bianca, lontanissima risplendere al sole, di tanto in tanto si muoversi, mi sono avvicinata.
Lentamente ho fatto passi avanti e .. la pecorella aveva appena partorito.
Con molta pazienza ho preso l'agnella ma.. la giovane mamma non ne voleva sapere.
Ho così pazientato, creato legame, atteso, mentre carezzavo e sentivo il pianto della nuova nata, e la disponibilità della mamma.
Lentamente ho dovuto attendere la fiducia, mentre andavo e tornavo con l'agnella in braccio, ma la pecora no, non mi seguiva.
Solo dopo aver annusato anche me ha capito di potersi fidare e seguirmi passo passo tra la terra, l'erba e il fango.
Tra un belato e un gemito, la chiamata di mia sorella perché non rientravo, ho preso la via verso i capannoni.
Annusava a ogni passo la sua piccola, mentre guardavo le nostre ombre muoversi tra le pietre.
L'emozione era tanta perché non sempre le giovani pecorelle danno confidenza, mio padre temeva di dovermi recuperare in trattore.
Ma con estrema pazienza e fiducia abbiamo attraversato i cancelli, l'acqua, il fango, e siamo arrivate.
Questi sono solo attimi di una lunga giornata, spezzettata tra le mille e una cose da fare.
Dentro la vita in campagna ci sono attimi rituali non facili da vivere, da interiorizzare.
Ogni gesto è rituale, anche accompagnare con le lacrime agli occhi gli agnelli che fino a due minuti prima stavano giocando con te.
Questa è la Vita.
Questo è il mondo remoto di cui ancora faccio parte.
(15 dicembre 2021)
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inlouehsarms · 3 years ago
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COCÒ
ne è passato di tempo dalla mia ultima volta qui.. e ne è passato anche dall'ultima volta che ho scritto qualcosa di mio qui; quindi ritornare dopo tanto tempo mi fa strano.. specialmente dovendo tornare per parlare dell'ennesima storia finita. ve lo presento, lui è cocò.. la persona che negli ultimi sette mesi e mezzo ha fatto parte della mia vita e che ha tenuto il mio cuore tra le mani; cocò era come lo chiamavo io e come ancora lo tengo segnato sul mio telefono perché non ho la forza di cambiargli nome ma facciamo un passo per volta okay? cocò l'ho conosciuto quasi un anno fa, era dicembre 2020.. ma io avevo deciso che non sarebbe stato quello il giorno in cui tutto doveva cominciare quindi dopo un piccolo scambio di messaggi le nostre strade si "dividono". passano i giorni e ogni tanto cocò fa capolino nei miei DM, io leggo i messaggi e poi lascio le cose così come stanno.. fino a quando arriviamo a gennaio 2021, ad essere precisi arriviamo al 9 gennaio 2021.. dove qualcosa in me decide di rispondere e di portare avanti quella conversazione che gli permetterà di avere il mio numero; quella notte l'abbiamo passata tutta a parlare fino all'alba del giorno seguente.. wow, era un po' che non succedeva e che strana sensazione! cocò ed io da quel giorno iniziamo a parlare quasi ininterrottamente.. qualche giorno dopo mi chiede di uscire ed io decido di accettare così il 14 gennaio 2021 ci vediamo per la prima volta; a primo impatto simpatico ed anche abbastanza carino dai, ha deciso di portarmi al mc e farmi sforare con la dieta mannaggia ma ho apprezzato tanto, lo sognavo da un po' sto mc a dir la verità.. la serata prosegue abbastanza bene, con tedua in sottofondo e qualche chiacchiera per occupare il silenzio e conoscerci un po' di più, parcheggia l'auto, acchittiamo la situazione e via con shameless (prima serie in comune, quante lacrime!!); inizio a sentirmi a mio agio e finalmente via giacca, sciarpa e poi cappello.. lui lo nota e commenta: "oh finalmente lo hai tolto!" io timida ed in imbarazzo cerco di farmi piccola e bere la mia coca cola ma lo sento, eh si.. sento i suoi occhi che si posano su di me e qualcosa che mi chiama nella sua direzione che neanche il tempo di girarmi e tac, MI HA BACIATA! farfalle nello stomaco, tutto sottosopra che bella sensazione quasi quasi mi siedo su di lui.. e si, l'ho fatto ed i baci aumentavano a dismisura fino a quando non si stacca dalle mie labbra e si avvicina al collo.. che bella sensazione, come mi mancava tutta questa passione ma calmiamoci che siamo sempre nel parcheggio del mc! (non nego ci sia stato qualcosina, ma non è importante a questo punto della storia). io torno al posto in imbarazzo, chiacchieriamo ancora un po' e poi dritti a casa che è tardi e scatta il coprifuoco, scambio di effusioni e scendo dalla macchina che deve andare via.. lo guardo allontanarsi e sorrido, mi giro vado verso il portone di casa e PANICO copri bene il collo, non farlo vedere a mamma e papà; "come è andata?" sorridi e di che sei stata bene e ti sei divertita ma sei stanca e vuoi andarti a cambiare, entro in bagno e mi guardo quel livido violaceo allo specchio.. lo sfioro e sorrido, "wow che bello" penso. bene, è iniziata la nostra avventura: buonanotte, buongiorno e così via ogni giorno.. tutto questo mentre ci richiudono a casa per via del covid perché il lazio diventa zona gialla o arancione proprio non ricordo ma vabbè noi stringiamo i denti, fine gennaio arriva la prima canzone che lui chiama come "la nostra canzone", riecco le farfalle e il vuoto allo stomaco.. da lì a ripetizione parte "miss guid" mezza dedicata tramite i messaggi; arriva febbraio e finalmente ci rivediamo (c'è stata una seconda uscita già, andata molto bene anche quella.. un po' romantica), il 2 febbraio 2021 andiamo nella sua seconda casa che era da sistemare e controllare, brr fa freddo ma a fare le pulizie ci si scalda e una volta finito, subito sul letto a vederci l'anime "your name" che lui segue a tratti perché dopo poco eccolo che parte il
bacio, lui su di me io su di lui e i baci aumentano insieme alla passione.. wow, sta per succedere e boom facciamo l'amore; io impacciata e vergognosa, lui timido ma voglioso.. una volta finita subito la coperta addosso che non mi doveva guardare, stupide insicurezze! ora tocca mantenere la promessa, il giorno in cui ci fossimo spogliati per unirci corpo a corpo una sua felpa sarebbe stata mia ed eccola, quella bianca della levis che sa di lui subito addosso a me.. cavolo come mi piace! passano i giorni, arriva "il nostro primo boh" una sorta di piccola discussione ma nulla di grave, passa due giorni dopo e ci iniziamo ad organizzare per san valentino.. che ansia, era tanto che non passavo un san valentino da sola e fai le corse per preparare la cheescake a forma di cuore.. prima volta che faccio una roba così dolce, ma lui ha pensato al pranzo e va bene così, musica, si mangia e poi si fa ancora l'amore, che felicità mi accoccolo a lui e quasi mi addormento.. una ventina di minuti e poi sveglia, lui che mi guarda io che arrossisco ed indosso la sua felpa, mi dice che inizia a guardarmi come fossi la sua ragazza è tutto così perfetto, mi riporta a casa e poco dopo ecco il messaggio: "non dirlo a nessuno per adesso", via il sorriso ed ecco il magone allo stomaco.. non dovevo fidarmi lo sapevo, ci resto male e faccio la fredda ma poi due giorni e forse mi passa.. tutto procede benino, varie zone rosse e arancioni e piano piano si arriva a marzo mese che procede con alti e bassi, un po' di discussioni e primi pianti seri; verso fine marzo non ne posso più, basta chiudiamola qui ognuno per la propria strada, troppo insicuro ed io ho bisogno di sicurezze che non mi può dare.. ma non ci possiamo vedere e mi chiede di aspettare almeno fino a quando ci saremmo visti di persona, tentenno ma okay.. ehi, arriva aprile, situazione un po' così e ci siamo riavvicinati è il mio compleanno e finalmente ci rivediamo, 1 aprile 2021 "mi sei mancata.." sussurrato all'orecchio in un abbraccio all'inizio silenzioso spezzato solo da lui, mentre io lo stringo e passiamo due ore bellissime la pace è tornata e dai riproviamoci; 6 aprile 2021 STIAMO INSIEME, cavolo non ci credo! una nottata in videochiamata tra chiacchiere, risate, confessioni, quasi pianti e silenzi rumorosi.. FINALMENTE, di nuovo felice e non aspettavo altro. dormi da me, dormo da te.. tante prime volte per lui e per me, mi affeziono e si affeziona inizia la vera storia, con tanti alti e bassi ed io che mi incazzo ma ne vale la pena; lui trova lavoro, io poco dopo e andiamo avanti felici.. foto su foto e sorrisi su sorrisi, arriva agosto partiamo? si, primo viaggio insieme e tre giorni in toscana! non è come me lo aspettavo, ma tra una discussione e l'altra ce lo godiamo e poi Roma, che succede? vediamoci e parliamo.. lui paura di lasciarsi, io dubbi su che fare ma finisce in bene e ci mangiamo il mc che ci fa felici a tutti e due ma c'è qualcosa che non va; settembre va un po' così, qualche altra discussione ma ehi sono cinque mesi che bello!! a ottobre che succede? non siamo come prima, lui sta sulle sue ed io raffreddo un po'.. risolviamo e andiamo avanti, che questo è il sesto mese!
novembre, un mese un po' così.. qualche discussione: "vieni da me che parliamo e se non ci ammazziamo dormi qui, poi a casa ti riporto domenica sera io" va bene, vengo, ma parliamo.. si fa tardi, arrivo e non lo bacio lui mi guarda "perché mi eviti?" faccio spallucce e non rispondo, sorrido.. con lui sorrido sempre pure se incazzata, odio pensare che forse ci lasciamo ma andiamo in camera e parliamo, mi sfogo e piango mentre lui mi guarda muto, non è mai stato bravo a parole si chiude sempre in se; faccia rossa, occhi rossi e gonfi ma è ora di mangiare e quindi asciugo le lacrime e vado.. torniamo in camera, altra discussione e poi silenzio cosa dobbiamo fare? inizia la pace, un bacio e poi qualche battuta.. buonanotte, è mattina e siamo distanti "stai con me" gli do le spalle e scuoto la testa, "fino ad ora mi hai lasciata qui, vai via" si stende e poi mi stringe, facciamo pace e poi l'amore.. era un po' che non succedeva, ma ehi sono sette mesi!
arriva domenica 21 novembre 2021, che bella giornata che passiamo.. "vieni a casa" qualche coccola e poi l'amore che non lo si faceva da un po', risate e perdita di tempo ma poi dice qualcosa di sbagliato, mi infastidisco e lui va via.. tre giorni così, parliamo poco e niente poi sbottiamo.. 24 novembre 2021 vediamoci, tocca farle di persona certe cose non con i messaggi: "arrivo", doccia e poi scendo.. lo vedo, lo sento, respiro.. "non sono venuto per lasciarci" parliamo, non va non ci siamo è tutto troppo diverso tra di noi "vogliamo prenderci del tempo per capire?" "no, è finita, va bene così" mi alzo e me ne vado, piango e lo aspetto alla macchina; lui arriva, non lo guardo e prendo tutto "e comunque, buon natale." do il regalo e me ne vado, non mi ferma.. non mi chiama.. non parliamo.. lui era cocò, ed io la sua mimi ma ora non più.. ve lo presento, si chiama matteo ed io forse non l'ho amato, non apertamente ma per un po' è stato mio e per quanto ha fatto male è stato così bello! lo porterò dentro per sempre, anche se un giorno forse non lo penserò più ma lo ringrazio per avermi permesso di piacermi ed accettarmi quando nessun altro l'ha fatto.. - da una mimi non più sua, che ora è semplicemente chiara.
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la-ragazza-turbata · 3 years ago
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Avrei tante cose da dire di me.
Sono nata con un difetto.
Quando ero molto piccola, 6/7 mesi circa, mia mamma ha notato che non crescevo, non mangiavo e avevo un colorito strano.
Decise di portarmi in ospedale.
Fu allora che venne fatta la diagnosi: Beta Talassemia Major.
La forma peggiore della talassemia, che ti costringe a fare trasfusioni di sangue.
Mi fecero subito una trasfusione perché ero messa malissimo.
Ho continuato con le trasfusioni per un po'.
L'unica cura definitiva era un trapianto di midollo osseo.
Hanno fatto gli esami alla mia famiglia per capire se uno di loro fosse compatibile con me, e fortunatamente mio fratello lo era.
Gli hanno spiegato la situazione e lui accettò di farlo.
Quando avevo 14 mesi arrivò il momento.
Mi fecero un po' di chemioterapia per eliminare le mie cellule malate e prepararmi al trapianto.
Alla fine tra il 30 e il 31 dicembre 2002 operarono mio fratello, prelevarono il midollo e fecero il trapianto.
Sono rimasta 4 mesi in ospedale con mia mamma, che non mi ha mai lasciata sola, mentre mio "padre" era casa con i miei fratelli, facendogli passare le pene dell'inferno.
Alla fine mi lasciarono tornare a casa.
Ormai mia mamma aveva deciso di lasciare mio "padre" e andò via dalla casa in cui viveva con lui e i miei fratelli e tornò a casa dei miei adorati nonni, che mi hanno vista crescere.
All'inizio non potevo uscire dalla camera e i miei fratelli non potevano entrare senza essersi fatti una doccia.
Ero rinchiusa in quella cameretta.
Passò un po' di tempo e lasciarono che andassi almeno in cucina.
Dopo tanto tempo, arrivò il momento di uscire di casa, dovevo mettere la protezione 50 anche in inverno e gli occhiali da sole, perché ero più fragile rispetto agli altri bambini.
Sono passati gli anni e posso dire di essere guarita.
Ringrazierò sempre mia mamma per non avermi mai lasciata sola e avermi permesso di fare il trapianto, e ringrazierò sempre mio fratello per avermi donato il suo midollo.
Io non ricordo nulla, ero troppo piccola.
Questo è il poco che so della mia malattia, perché devo basarmi sui racconti della mia famiglia.
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blondeannalisa · 4 years ago
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Pioggia
Ciao, sono Annalisa, oggi sono stata molto fortunata. Può essere lo sia in assoluto. Ma un’ora fa, se qualcuno me l’avesse detto, gli avrei menato. Sto parlando di una cosa di cui magari a voi non frega un cazzo, ma a me sì. E’ stato quando la prof mi ha vista e mi ha detto “Ah, ma se c’è anche lei facciamo tutto stasera”. Le ho risposto che sì, insomma, a dire il vero l’esame era previsto per il pomeriggio successivo, io ero solamente venuta a vedere... Però quando una che ha assoluto potere su di te ti risponde “ma non è detto che domani sera sarà più facile” che fai? Che le dici? Io ho detto “va bene”, avrei voluto vedere voi. Anche se tra me e me pensavo “ma guarda tu sta fija de ‘na mignotta, stai a vedè che per questo esame del cazzo mi rovino la media...”.
 E invece no, è andata benissimo. Mi ha pure fatto i complimenti, mi ha detto “signorina, ce ne fossero come lei...”. E’ una un po’ fissata con il fatto che le donne sono sempre state discriminate a proposito di matematica. Mi è pure sempre stata simpatica anche se, appunto, la materia è un po’ del cazzo. Ma in quel momento l’avrei strozzata.
 Comunque ci siamo rivisti tutti al bar, dopo l’esame. Eravamo in sei, eh? Non è che a matematica ci siano tutte ste frotte di gente agli appelli. Anche i miei compagni, quando hanno saputo l’esito, si sono affrettati a sottolineare “ma che culo, Annalì”. Non nel senso in cui in genere me lo dicono. Intendevano proprio la fortuna. Ahò, ma che cazzo volete? Si vede che avevo studiato.
 Già mi pregustavo i complimenti al mio ritorno a casa, avevo in mano le chiavi della macchina. L’unico vero vantaggio di fare un esame a quest’ora del pomeriggio, per la verità si erano fatte le sette, in questa villa fuori dalla città universitaria, è che si trova parcheggio abbastanza facilmente. E della macchina, oggi, ne avevo proprio bisogno. Perché sono tre giorni che piove a dirotto. Ma forte, eh? E non smette mai. Al massimo rallenta un po’ e poi ricomincia.
 A me non è che la pioggia dia fastidio, anche se la gente comincia già a rompere i coglioni dicendo che un tempo così non c’è mai stato. Ora, a parte il fatto che non è vero, di che cazzo vi stupite? Siamo agli inizi di dicembre, è autunno, piove! Fa il dovere suo. E quando fa 27 gradi a Natale che vi dovete preoccupare.
 Anyway, stavo per salutare e andare via quando a qualcuno è venuta la bella idea di festeggiare a cena. Declinare mi è stato praticamente impossibile, perché sono partiti una serie di appelli molto gentili, del tipo “dai, Annalì, non fare la stronza come al solito” che non me la sono sentita di rifiutare. E’ stata Elena a convincermi. Non tanto per il suo “viene pure Gilberto”, che io ho registrato mentalmente con un sarcastico “ah beh, allora...”, quanto perché ha detto “viene pure Gilberto e offre lui”. Ok, già va meglio. Sto Gilberto è il suo ragazzo ed è impaccato di soldi, suo padre gli ha comprato – non affittato, comprato – una casa dalle parti del Colosseo dove vivono insieme. Voglio dire, io con Gilberto non ci vivrei mai, ma se a lei piace... No, ok, esagero. Sono carini. Una volta mi hanno invitata a una festa da loro ed è lì che ho conosciuto le mie amiche Serena e Giovanna. Almeno questo glielo riconosco, glielo devo. E poi non è che i miei compagni mi stanno sul cazzo. Sono bravi ragazzi. Non li trovo interessanti, d’accordo, ma per una sera...
 L’unico dubbio mi viene al momento in cui mi annunciano la destinazione: “Da Eataly? Cazzo, ma è dall’altra parte della città, con questa pioggia ci sarà un traffico terrificante, non si può fare altrove? Più vicino?”. No, non si può fare, hanno tutti voglia di andare da Eataly. Mi carico in macchina Elena e partiamo. Durante il viaggio si parla del più e del meno. Si vede che lei è molto compresa nel suo ruolo di ragazza-fuorisede-che-convive-con-il-suo-ragazzo-fuorisede e che le piace molto giocare all’adulta. A me pare molto buffa, ma non gliene voglio, anche se quando mi domanda “ma tu ce l’hai il ragazzo, Annalisa?” a me sembra che voglia più che altro sottolineare la nostra differenza di status. Ma forse mi sbaglio.
 No. No, non ce l’ho il ragazzo. Sì, è vero, sarebbe carino avercelo, ma finora non ho trovato nessuno che.. e poi preferisco pensare solo a studiare, ci tengo molto a finire il prima possibile. Sì, ok, d’accordo, ma come mai, tu così carina, eh lo so ma che ci vuoi fare, ogni tanto qualcuno che sembra interessante lo trovo ma poi... sai com’è, vogliono solo quello. Frasi così, chiacchiere sconclusionate che per fortuna si fermano sempre abbondantemente prima di toccare argomenti più scabrosi. Elena non è il tipo da chiederlo e io certo non mi sogno di rivelarle che razza di troia stia in questo momento al volante, figuriamoci.
 Il problema è che, mentre parliamo, all’argomento “ragazzo” inizio a pensarci io, in piena autonomia, tra me e me. E non mi ci vuole poi molto per fare l’upgrade “ragazzo-sesso”. Anche perché son quasi due mesi che non faccio nulla, ma proprio nulla a parte le (poche) avventure in solitario nel mio letto.
 L’ultima volta è stato con Fabrizio, il più classico degli scopa-amici. L’avevo cercato dopo due esperienze che mi avevano lasciata, per usare un eufemismo, parecchio turbata.
 Essere stata beccata a scoparmi uno dentro casa sua dalla moglie, essere stata menata e buttata fuori di casa nuda sul pianerottolo, sempre dalla suddetta moglie, già mi aveva scossa e non poco. Trovarmi un paio di giorni dopo a essere aggredita insieme alla mia amica Serena dentro la Rinascente da un pazzo omofobo era stata la ciliegina sula torta.
 Ero stata io a cercare Fabrizio, a chiedergli se quella sera fosse libero. Senza ipocrisie, tra noi non ce n’è bisogno. Mentre ero a gambe aperte sotto di lui, mi aveva detto “ma quanto sei troia stasera? sei già venuta sei volte”. Appena finito di dirmelo è arrivata la settima. Io lo adoro, Fabrizio. E non solo perché mi scopa benissimo, ma anche per questi particolari. Perché tiene il conto dei miei orgasmi e perché mi chiama troia come un altro in quei momenti mi chiamerebbe amore mio. Io, troia, lo preferisco. Anche perché nessuno mi ha mai detto amore mio. Sì, oddio, quando ero al liceo ogni tanto c’era qualcuno che lo faceva. Di solito dopo che gli avevo fatto un pompino, a volte anche prima. C’è sempre qualcuno che si innamora o pensa di farlo.
 Ma la verità è che quella sera non ero andata da lui perché volessi farmi chiamare troia. E nemmeno perché avessi voglia solo di essere scopata. In realtà avevo voglia di essere scopata prima e abbracciata dopo. Coccolata. Che avete da guardarmi in quel modo? Anche a me piace essere coccolata, sapete? E che cazzo...
 Comunque, l’ultima volta è stata quella, quasi due mesi fa. Poi Fabrizio è partito. Lui lavora in uno studio di progettazione, è ingegnere idraulico o qualcosa del genere. Arabia Saudita, fino a Natale. In realtà, mi ha spiegato, va più che altro a fare il garzone di bottega, altro che ingegnere. Ma pare che sia la prassi. Ci sono rimasta talmente male a sapere che partiva che gli ho estorto – sì, io, proprio  io – un appuntamento per il suo ritorno. In quel momento non avrei proprio voluto che se ne andasse, e fargli promettere che ci saremmo rivisti al suo ritorno mi era sembrato l’unico modo per lenire il dispiacere.
 Così mi sono buttata sulle lezioni, su questo cazzo di esame a dire il vero molto facile, sono stata molte sere a casa, ho visto le mie amiche. Anche Serena, naturalmente. Con la quale però non c’è stato più nulla, da quel punto di vista. Ho fatto la brava, insomma, la bravissima. E volete sapere una cosa? Non ho nemmeno avuto bisogno di sforzarmi tanto. Ecco.
 Solo che, adesso che sto in macchina con Elena e lei mi chiede come mai una come me non abbia un fidanzato che-a-te-i-ragazzi-dovrebbero-correrti-dietro-mamma-mia, penso in effetti quasi due mesi senza combinare nulla di nulla mi sembrano un periodo piuttosto lungo. Tanto lungo da pensare che forse vale la pena di aspettare qualche giorno e raggiungere i due mesi tondi tondi e intanto fare qualche calcolo per cercare di stabilire se sia o meno un record.
 E invece no, un attimo dopo penso che ho voglia, anche se non so esattamente di cosa. Un attimo dopo ancora capisco di cosa ho voglia: ho voglia di farmi riempire la bocca. Sì, un pompino. Di quelli nemmeno troppo delicati. Odore, sapore e dominio incontrastato di un cazzo nella mia bocca. Anzi no, nemmeno questo a dire il vero. Sì, ok, lo so che vi do ai nervi, ma aspettate un momento, cavolo, sto mettendo a fuoco! Un pompino ok, brutale ok. Ma in realtà, quello che voglio è bere. Bere sperma. Ecco. Sì è questo. Ho una formidabile voglia di ingoiare sperma, in questo momento. Anche se so perfettamente che, vista la compagnia, si tratta di una voglia che di sicuro non esaudirò stasera.
 Non lo so, sono confusa. A tutto pensavo tranne che a questo, quando sono uscita di casa.
 - Cosa stai pensando? – mi domanda Elena. Non so nemmeno da quanto tempo la ascolto senza sentire quello che dice.
 - Scusa – le rispondo – stavo pensando che per festeggiare stasera vorrei bere qualcosa di speciale.
 - Per ora c’è solo acqua – commenta lei. La pioggia batte fortissimo, di là dal vetro faccio fatica a vedere le macchine davanti.
 Il “qualcosa di speciale” è alla fine una birra artigianale, anzi due. Ma per il resto non è che la serata sia il massimo della convivialità. Mangiare, si mangia bene, eh? Non fantastico, ma si mangia bene. Però, un po’ perché i miei amici non sono proprio una banda di allegroni, un po’ perché non ci fanno nemmeno accostare i tavolini, la serata è davvero moscia. La mia proposta di vendicarci dei camerieri parlando ad alta voce da un tavolo all’altro e tirandoci le molliche di pane viene, tra l’altro, bocciata. Ho di fronte a me un tipo, Enrico, che d’ora in poi chiamerò “Harry tre parole”, perché in tutta la cena avrà spiccicato tre parole, appunto. Vi lascio immaginare i discorsi e il divertimento. Mi annoio come in una serata passata davanti alla tv a guardare la De Filippi.
 Fortunatamente agli altri tavoli c’è un po’ di turn over, così almeno posso distrarmi con la gente che va e viene. Proprio davanti a me, due postazioni più in là, a un certo punto arrivano due coppie. Non li osservo uno per uno, almeno all’inizio, mi mantengo su una visione complessiva del quartetto, per così dire. Solo che quello che sta proprio di fronte a me, a meno di una decina di metri, mentre si siede mi fissa. E mentre mi fissa viene anche a me da fissarlo. Per reazione, più che altro. Non so dire bene che età abbia, intorno ai trentacinque, direi. Ma è davvero difficile, non ci scommetterei. Sono tutti e quattro vestiti molto casual, con jeans e maglioni. Come me del resto. Qualche secondo dopo volto lo sguardo e vedo che mi sta riservando un’occhiata clandestina, poi si sporge un po’ in avanti per dire qualcosa a quella che presumo sia la sua ragazza e finisce sotto la luce della lampada. Non è per niente male. Che sia alto, asciutto e con le spalle larghe me ne ero accorta prima. Ora posso vedere meglio e suoi riccetti corti e castano-chiari, gli occhi azzurri. E, soprattutto, un sorriso da canaglia.
 “Mica male”, penso rimanendo un po’ imbambolata. Lui muove ancora una volta gli occhi nella mia direzione e si accorge che lo sto osservando. Ricambia. Ehi, ma tu sei un uomo, io sono solo una ragazzina. Te ne dovresti accorgere dai miei occhioni spalancati e dal ditino che porto alle mie labbra fingendo di mordermi un’unghia nervosamente. Una ragazzina un po’ impertinente, d’accordo, visto che col cazzo che abbasso lo sguardo, aspetto che sia tu a farlo. Del resto, è uno dei miei giochi preferiti prendere in castagna uomini più grandi di me che mi lanciano occhiate eloquenti di nascosto dalle loro compagne. Mi diverte da matti.
 Tra una chiacchiera e l’altra con le nostre rispettive compagnie il gioco di occhiate va però avanti più del solito. Così decido di giocare un po’ più pesante. Mi alzo e vado verso la cassa a pagare la terza Menabrea, accentuando impercettibilmente il mio naturale sculettamento. Credo che le forme del mio sedere e i jeans stretti facciano il resto. Quando torno a voltarmi verso di lui avanzo bevendo direttamente dalla bottiglia, fissandolo. Arrivo al mio posto e mi siedo continuando a bere dalla bottiglia. Fissandolo. Non ho staccato gli occhi dai suoi nemmeno per un’istante. Sono sfacciata e mi godo il gioco sino in fondo, proprio sulla soglia dell’eccitazione.
 Purtroppo però l’ora di andarsene arriva troppo presto. E poiché il conto lo abbiamo già pagato prima di mangiare, non ci resta che alzarci, metterci i giacconi e scendere. Il boato di un tuono sottolinea il momento. Oltre le vetrate l’acqua riprende a scendere a secchiate.
 Mi volto un’ultima volta, di nascosto. Lui mi sta osservando ancora e si accorge che lo sto guardando anche io con la coda dell’occhio. Spero che possa vedere il mio sorriso, spero che capisca che mi sono divertita.
 Pianto i miei compagni con una scusa. Anzi due, visto che la prima non basta. “Ciao ragazzi, devo andare al bagno”, “dai ti aspettiamo”, “no, ma poi volevo anche fare un giro a cercare una marmellata di mandarino tardivo per mia mamma”, “ah ok, allora ci vediamo a lezione”, “sì, ci vediamo a lezione, ciao ragazzi”. Mi dirigo verso i bagni e, già che ci sono, faccio pipì, compiacendomi della mia innata capacità di inventare cazzate su due piedi.
 Non è che abbia proprio un programma, mi va semplicemente di continuare il gioco, vedere se funziona ancora con qualcun altro. Sì, è vero, non sono appariscente stasera, ma gli sguardi li ho sempre attirati. E stasera ci ho preso proprio gusto. Voglio attirare sguardi e rispondere agli sguardi, altro che mandarino tardivo.
 L’idea è divertente, la sua realizzazione pratica molto meno. Soprattutto perché non mi si caga nessuno. Tranne uno, in realtà, una specie di sosia di Danny De Vito che è meglio perderlo che trovarlo. La cosa mi indispettisce non poco, come sempre quando va così. Anche perché, ma cazzo, fino a cinque minuti fa funzionava benissimo. Forse proprio per questo decido di fare una cosa che non ho mai fatto. Non da sola almeno. Vado alla birreria, direttamente al bancone, mi siedo su uno sgabello alto e aspetto di essere servita dal ragazzo. Assumo un’aria civettuola perfino con lui, faccio l’oca. Voglio proprio vedere se qualcuno si avvicina.
Vorrei chiarire una cosa: non ho voglia di essere rimorchiata. Non ho voglia di sesso. Sì, lo so che prima in macchina avevo pensato che fare un pompino del tutto senza senso a qualcuno e bere il suo sperma non sarebbe stata per nulla una cattiva idea. Ma quel momento è passato e dopo il gioco degli sguardi con il riccetto, interrotto dagli eventi, la mia immaginazione mi ha portata da tutt’altra parte.
 Comunque niente, eh? Non succede un cazzo nemmeno qui. Dopo un po’ l’unica cosa che mi trattiene dall’andarmene è che fuori è ormai un nubifragio vero e proprio e che io ho lasciato la macchina al parcheggio più lontano, cretina che sono.
 Poi però una cosa succede, cazzo. Succede che il riccetto di poco fa è seduto con la sua ragazza e l’altra coppia su un divanetto della caffetteria, e mi ha vista. E che porco cane la situazione non è esattamente quella di prima, quando stavamo a scambiarci occhiate ognuno al riparo delle proprie compagnie. Manco per niente. Quella che lui sta osservando adesso è una ragazzina bionda con la faccia da adolescente che sta facendo l’oca con il ragazzo delle birre e che  ha in pratica un cartello addosso con su scritto “sono una troietta, che aspettate a farvi avanti?”.
 Non so nemmeno io perché, ma improvvisamente mi sento a disagio, mi vergogno. Cioè, non è proprio vergogna. E’ che il gioco con questo tipo è andato anche troppo avanti, mentre a me questo gioco piace perché è fatto di momenti, sguardi allusivi. A me diverte fare l'oca con gli uomini quando sono in compagnia delle loro donne, è vero. Divertono le piccole provocazioni, mi piace l'ammirazione clandestina che leggo nei loro occhi e godo nel vedere come reagiscono quando si accorgono che non volto la faccia dall'altra parte, che li fisso con un'espressione a metà tra l'ironico e il malizioso che dice "ah, se fossimo soli".
 Quasi mi vergogno a scrivervelo, ma in realtà tutto quello che volevo quando mi sono seduta al bancone era essere abbordata da qualcuno, ma non dal riccetto. Con quello meglio di no, troppo pericoloso per questo tipo di gioco.
 Mi andava solo di fare la troietta idiota, rifiutare le eventuali avances di un tipo qualsiasi, almeno per l’immediato, facendogli però capire che uno di questi giorni sarei stata molto più che disponibile a restare come mamma mi ha fatta davanti a lui, dargli un numero di telefono fasullo e lasciarlo all’asciutto. Per poi tornare a casa e sditalinarmi nel mio letto immaginando come sarebbe stato farmi scopare da lui in centouno modi.
 Scema, vero?  Me l’hanno detto in tanti. In ogni caso, il numero del Servizio di igiene mentale della mia zona è 06 7730 8400. Magari potreste volermi fare un favore e segnalare il mio caso.
 Mi alzo quasi di scatto e imbocco il tapis roulant che scende al primo piano, all’uscita. Nubifragio o non nubifragio è meglio levare le tende.
 Solo che, ecco, chiamatelo intuito femminile o come cazzo vi pare, ma sento di essere seguita, sento una presenza alle mie spalle. Non è che ci sia poi tanta gente su questo tapis roulant, sono quasi certa che se mi voltassi lo vedrei. E questo è il motivo per cui non mi va di voltarmi. Il motivo per cui invece mi volto ve l’ho detto prima: sono scema. E’ così, fatevene una ragione che io me la sono fatta da un pezzo.
 L’occhiata che ci scambiamo per un paio di secondi che sembrano interminabili è completamente diversa da tutte quelle che l’hanno preceduta. La mia è l’occhiata della preda che ha individuato il predatore e che viene assalita dal panico perché non sa dove cazzo andare a nascondersi.
 Chiariamoci: a me piace sentirmi preda. A patto però che il cacciatore lo scelga io. Altrimenti ho delle reazioni che variano dall’indifferenza al vattelapijanderculo, dipende da una serie di fattori. In questo caso il cacciatore non è nemmeno male, ve l’ho detto. Ma non l’ho scelto io.
 Avete presente quando fate una cosa e immediatamente dopo vi chiedete "ma perché cazzo l'ho fatto?". E vi date pure della cretina, perché non è che avete seguito un impulso, manco per niente. Avete pianificato le cose, avevate una strategia. E d'improvviso, puff: ma perché ho fatto una stronzata del genere? E’ esattamente quello che è successo. Lui è dietro di me e, a meno che non si tratti di una coincidenza assurda, si appresta a tirare fuori il gancio per il rimorchio. D'improvviso tutto mi sembra implausibile, inattuabile. Inutile, persino. E anche un po' imbarazzante. Voglio dire, io volevo solo giocare e adesso mi trovo a dovere fare i conti con le conseguenze del mio gioco.
 Non sento il rumore delle porte automatiche che si richiudono. Non so se è a causa del fracasso della pioggia sul selciato o del fatto che qualcuno è passato dopo di me e ne ha ritardato la chiusura. Piove da matti, adesso. Non si vede nulla e dalla fine del porticato alla mia macchina ci saranno almeno cento metri allo scoperto. Mi fermo giusto un paio di metri indietro dalla fine della copertura. L’acqua cade talmente forte che le gocce rimbalzano e arrivano a bagnarmi. Ma non è questo su cui sono concentrata, sono concentrata su una cosa che sta per succedere, che è inevitabile che succeda.
 “Ciao, come ti chiami?”, penso tra me e me.
 - Ciao – dice una voce alle mie spalle.
 - Ciao – rispondo dopo essermi voltata lentamente. Una lentezza che mi sono imposta.
 - Che acqua, eh?
 - Già.
 - Io sono Marco.
 - Io Annalisa.
 Nonostante il buio mi è talmente vicino che posso vederlo meglio di come abbia fatto prima. Probabilmente ho fatto male i miei calcoli, credo che abbia di più dei 35 anni che gli davo. E’ molto giovanile nei modi e nel vestire, ma certi dettagli non mentono. Il contorno occhi, per esempio.
 - Stai andando a casa?
 - Sì.
 - Anche io. Vado a prendere la macchina.... inutile bagnarsi in quattro.
 Fisicamente non potrebbe essere più diverso, ma parla come Silvio Muccino, ha persino la zeppa di Silvio Muccino. E’ incredibile quanto sia identico. Per il resto no, per il resto è davvero un bel manzo. Vista l’età dovrei dire un bell’uomo. E non posso non notare il suo modo timido di atteggiarsi, quasi premuroso, che si annulla completamente quando sfodera il sorriso da canaglia. E’ obiettivamente un sorriso fatto per stenderti.
 - Ho visto che mi guardavi – dice.
 - A dire il vero hai cominciato tu...
 - Mi sei piaciuta, non hai mai abbassato gli occhi.
 - Era un gioco...
 - Che tipo di gioco?
 - Nulla una cazzata...
 - Potremmo riprovare a giocare, una sera di queste...
 Istintivamente starei per dirgli “ma no dai, lascia perdere”. Poi mi fermo, senza un motivo. Gli squilla il telefono e mi dice “scusa” prima di rispondere. Dice, presumo alla sua compagna, che è meglio aspettare che spiova un po’, che è una tempesta, che per strada è un lago. E che chiamerà lui quando starà per arrivare, che forse ci vorrà un po’. Mi torna in mente Elena, quando mi ha chiesto se avessi un ragazzo, mi torna in mente il suo ingenuo senso di superiorità. E però immediatamente dopo mi torna anche in mente il pensiero osceno che le sue parole mi avevano portata a fare.
 Per la verità, non so nemmeno io di che cosa ho voglia in questo momento. Sì, ok, farmi riempire la bocca in modo insensato, bere sperma. Avevo pensato questo. Ma ora come ora non saprei nemmeno dire se ho voglia di qualcosa di più. O di meno. O di nulla in assoluto. Mi sento confusa e anche abbastanza idiota.
 - Certi giochi ha senso portarli in fondo una volta che si sono cominciati... – gli dico d’impulso una volta che ha chiuso la telefonata.
 - Cosa intendi dire con “portarli fino in fondo”?
 E’ chiaro che ha capito. O meglio, spera di aver capito. Ma è ancora guardingo.
 - Intendo dire che potresti baciarmi – gli faccio avanzando di un passo verso di lui.
 Si volta per guardarsi alle spalle ma non ce n’è bisogno. Ci siamo solo io e lui qui sotto il porticato. Pochi metri più in là tonnellate di acqua che scendono con violenza. Mi afferra la mano e mi trascina dietro un angolo buio e qui sì che ci bagnamo, cazzo. Ci schiacciamo contro il muro, ma la tettoietta che è sopra di noi è troppo piccola per ripararci da questa valangata di pioggia. Ridacchio stupidamente, è un riflesso nervoso. Lo faccio sempre quando vengo forzata fisicamente a fare qualcosa, non posso farci nulla. L’unica cosa che riesco a fare, in realtà, è coprirmi la testa con il cappuccio della mia The North Face tecnica. Lui fa altrettanto e poi mi bacia.
 E’ un bacio lungo, furioso, cinematografico. In quante canzoni avete sentito il verso “kiss you in the rain”? Abbiamo troppa roba addosso, labbra e lingue sono il nostro unico punto di contatto, eppure bastano e avanzano. Almeno per me.
 - Dimmi che mi vuoi – ansima.
 - Ti voglio... – rispondo quasi in automatico.
 - Domani sera? – domanda. E mentre me lo domanda porta la mano in mezzo alle mie gambe. Avrò pure i jeans, ma vi assicuro che la scossa la sento tutta.
 Io però non riesco a concepire che lui si possa proiettare su domani sera. E adesso che cazzo devi fare, portare a casa la fidanzata? Oppure vivete insieme? Come cazzo pensi di mollarmi qui così? E stanotte? E domani mattina? Che c’è, ti aspettano al lavoro? Mi vuoi così tanto da non poter mandare all’aria niente della tua vita? Sono irragionevole, lo so. Ma se non lo fossi non starei qui sotto l’acquazzone a farmi baciare e a farmi tastare la fregna da un perfetto sconosciuto.
 - Chissà se ci sono, domani sera – gli dico concitata, prima di rituffarmi a baciarlo.
 - Che significa?
 - Significa che ti voglio ora...
 - E come cazzo facciamo?
 Apro la bocca per accogliere la sua lingua e stavolta sono io che gli porto la mano in mezzo alle gambe. Il contatto di questo pacco gonfio per me mi fa quasi piegare le ginocchia.
 - Posso farti venire con la bocca, se vuoi... – gli mormoro quando ci stacchiamo.
 Mi guarda esterrefatto, preso in contropiede. Non so cosa stia pensando. Se stia valutando le possibilità, la fattibilità della cosa. O se mi abbia semplicemente presa per matta.
 - Un pompino... – gli sussurro come se sentissi la necessità di spiegarmi, guardandolo negli occhi. Dall’alto in basso, perché nonostante io non sia proprio una nana, lui è decisamente alto. Ehi, l’hai capita? Sto parlando di succhiartelo...
 - Ma chi cazzo sei, Baby?
 - Ahahaha... sicuramente sono meno annoiata di Chiara, ma probabilmente sono anche peggio, da quel punto di vista...
 - Quale punto di vista?
 - Indovina...
 Adesso il suo sguardo non è più esterrefatto. Adesso il suo sguardo è quello di un maschio che si è velocemente arrapato e che sta per prendersi qualcosa che gli è stato offerto su un piatto d’argento.
 - Corriamo in macchina... – propone.
 - Rischiamo di annegare prima di arrivarci, alla macchina – gli dico – qui va bene.
 - Qui? – domanda sorpreso.
 - Qui. Qui è perfetto.
 - Tu sei strana, non sei normale... – mi dice, ma il suo è più che altro un tono sorpreso, di autodifesa.
 “Cos’è normale?” gli domando mentre mi accuccio davanti a lui. Non mi sembra il caso di posare le ginocchia per terra. Mentre gli lavoro le cerniere del giaccone e dei pantaloni sento la sua voce ancora un po’ incredula che mi apostrofa con un “ma lo sai che sei un po’ troia?”. Gli rispondo “anche più di un po’” in modo veloce, quasi disinteressato, senza nemmeno alzare lo sguardo verso di lui. L’unica cosa su cui sono concentrata in questo momento è il tentativo di liberare quel bozzo che vedo sotto il tessuto delle mutande color prugna.
 Sarà che mi sono raffreddata con tutta questa pioggia, ma non sento nessun odore particolare quando glielo tiro fuori. Non è ancora duro, ma quasi. Duro lo diventa quando me lo lascio scivolare dentro la bocca e inizio a rotearci la lingua intorno. Nonostante tutta la stranezza della situazione, mentre lo faccio ammetto con me stessa che il pompino mi sta venendo benissimo. Forse perché oltre a voler bere il suo sperma voglio che gli piaccia davvero, che ne goda. Non saprei dire perché, ma ci tengo.
 Dire che abbia un grande arnese sarebbe una bugia, ma chissenefrega. La sua consistenza mi gratifica, il suo sapore mi gratifica. Il suo “oh cazzo” sospirato quando glielo prendo tutto mi gratifica. Siamo fradici e infreddoliti, ma la mia bocca e il suo uccello sono roventi.
 “Che troia”, “sei bravissima”, “sei una bravissima troia”. Anche queste frasi smozzicate mi gratificherebbero, e non poco, se non fosse per il suo telefono che riprende a squillare. Se non mi interrompessi, sinceramente non lo so se lui risponderebbe. Ma comunque lo faccio, e lui risponde.
 - Sì, c’è anche uno che blocca la sbarra del parcheggio con la macchina, sto deficiente, ma adesso arrivo, vi chiamo io...
 Penso tra me e me che anche lui non è male, quando si tratta di inventare cazzate. Lo guardo dal basso in alto, tenendo in mano il suo affare. Improvvisamente, però, non ne ho più voglia. Che cazzo ne so. Potrei dire che ho paura che la sua ragazza scenda e che mi meni anche lei, come ha fatto la moglie di quello che mi aveva rimorchiata al parco. Ma non è vero, non è così. La verità è che non mi va più e basta. Con quella telefonata si è rotta la magia del momento, se vogliamo chiamarla così.
 - Lasciamo perdere, dai, non voglio farti passare un guaio – gli sorrido cercando di rimettergli il cazzo nelle mutande.
 Mi guarda con un misto di riconoscenza e di rimpianto. Spero solo che capisca che non sono incazzata con lui, mi dispiacerebbe. E’ andata così, non è colpa di nessuno. Mi rialzo e gli appoggio la testa sotto la spalla. Cazzo, se è alto.
 - Che hai da ridere? – mi domanda.
 Rido. Non ci posso fare nulla, mi viene da ridere. Anzi, da ridacchiare. Nulla di esplosivo, però inarrestabile.
 - E' la prima volta che faccio un pompino con un cappuccio in testa - riesco a dire. E poi riattacco a ridere.
 - Come prima volta non c'è male... però non hai finito, non è stato un vero e proprio pompino...
 Trovo la precisazione un po’ pignola, ma sono indulgente e sto al gioco. “Ok, allora diciamo che è la prima volta che succhio un cazzo con un cappuccio in testa...”. Mi risponde ridacchiando anche lui, mentre io forse per la prima volta realizzo lo stato in cui si trovano i miei jeans.
 - Dio santo, sono tutta bagnata.
 - Non in quel senso, intendi.
 - Ahahaha... non lo so, sono talmente zuppa che in quel senso dovrei controllare...
 - Se vuoi controllo io...
 - Ahahahahah meglio di no... meglio che andiamo.
 - Annalisa, hai detto?
 - Non è molto carino da parte tua non ricordarti il nome...
 - Se domani sera continua a piovere possiamo darci appuntamento qui...
 - Ahahahah... magari domani sera ho la polmonite...
 - Sarebbe carino, però. Potrei metterti con le spalle al muro. Anche quella è una cosa che non ho mai fatto sotto la pioggia.
 - Ah, ecco... non so se avrei voglia di essere inchiodata a quel muro.
 In realtà, se ci penso, la prospettiva non mi dispiace affatto. Pioggia o non pioggia. Ma è meglio non creare tante aspettative.
 - "Inchiodata al muro"... ma parli sempre così?
 - In genere no. Ci sono cose che si pensano e non si dicono...
 - Ma si immaginano...
 - Sì...
 - Immagine per immagine, non spalle al muro, ma faccia al muro. E con i jeans calati. Io immagino di inchiodarti così, prima un buco e poi l'altro.
 Eccolo, anzi eccoli. Lo spasmo e il calore. Adesso sì che non ho più bisogno di controllare se sono bagnata anche sotto le mutandine.
 - Sei un porco... – sibilo.
 - E tu una troia...
 - Non sai quanto, te l’ho detto. E poi avevo proprio voglia di qualcuno che mi chiamasse troia.
 Mi stringe, poi mi bacia ancora. Sta combattendo contro il suo desiderio, lo sento. E la cosa mi piace. Il mio calore avanza.
 - Allora facciamo per domani sera? - sussurra.
 - No – gli rispondo senza nemmeno pensarci tanto.
 - Perché no? – domanda sorpreso.
 - Perché no. E nemmeno dopodomani o un’altra volta. Vorrei dirti restiamo semplicemente amici – gli dico sbottando quasi a ridere – ma in realtà chi cazzo ti conosce?
 - Te l’ho detto prima – mi fa dopo qualche secondo di silenzio – non sei normale.
 - E io te l’ho chiesto prima, ma non mi hai risposto: cos’è normale? Scambiarsi i numeri, vedersi domani sera o comunque quando sarai libero, uscire, corteggiarsi, farti un pompino in macchina, portarmi a casa tua? Scoparmi in un albergo?
 - Cosa ci sarebbe di male? – chiede.
 - Nulla. Per carità, nulla. Anzi. Ma perché sarebbe stato meglio di un pompino qui? Poi è andata buca, pazienza... ma sarebbe stato fantastico.
 - Però avremmo più tempo – obietta - staremmo più comodi. Di sicuro più asciutti.
 - Non discuto. Ma a me andava ora.
 - Davvero non me lo dai il telefono?
 - Davvero.
 - Sei proprio matta...
 - Sì, lo so. Matta e troia. Una troia matta... Stammi bene, Marco.
 Mi volto e comincio a correre verso il parcheggio, verso la mia macchina. Non perché non voglia bagnarmi. Tanto, nonostante l’acqua continui a precipitare in modo assurdo, più bagnata di così non potrei essere. Corro perché ho voglia di scomparire alla sua vista, ho voglia di non voltarmi indietro. Ho voglia di salire in macchina grondante e bagnare i sedili, accendere il riscaldamento e correre il più veloce possibile a casa. Spogliarmi e infilarmi sotto una doccia bollente.
 E sditalinarmi prima che mi scompaia dalla mente l’immagine di lui che si stupra una ragazzina tenendola faccia al muro. Una ragazzina bionda con i jeans abbassati e il giaccone tirato un po’ su. Sotto la pioggia che batte e che copre ogni altro rumore intorno. Ma che non riesce a coprire gli strilli di quella zoccoletta.
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