#mi ha messo una tale ansia addosso
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mercuriosogna · 7 years ago
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Ieri al battesimo il padre di mio cognato mi ha chiesto cosa facessi per (testuali parole) "essere così magra". E io ero sul genere bitch face mode perché sono più di 70 kg per 1.67 m e francamente è da due settimane che sto cercando di calare e ieri potevo sentire la mia ciccetta sul davanti perché avevo il vestito carino ma aderente ed ero orribilmente a disagio se mi fermavo a pensarci. Poi mi sono ricordata di sorridere e ho sparato la prima cosa che mi è venuta in mente (ah sai corro, so fare 10 km... ) e mi sono allontanata. Lui è un ciclista, quindi abbastanza sportivo, ma è stato così imbarazzante per me. Voglio sparire. Voglio sentire le ossa ogni volta che mi sfioro. Voglio che la bilancia dica un numero assurdamente basso. Posso morire lol?
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kon-igi · 4 years ago
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MA CHE PICCOLA STORIA IGNOBILE MI TOCCA RACCONTARVI
Chi ha riconosciuto la citazione saprà cosa starò per scrivere, anzi... cosa ha scritto una mia amica (incidentalmente anche tamblera sopita) ad Alley Oop, nome-de-plume di un collettivo di giornaliste del Sole24ore
Cara Alley,
Da qualche giorno avevo giramenti di testa. Non volevo crederci troppo perché non era molto che provavamo ad avere un figlio. Il 3 novembre decido di fare il test di gravidanza. La seconda linea si colora: sono incinta.
I primi mesi della gravidanza proseguono bene, qualche fastidio, ma nemmeno troppo invadente. Il 16 dicembre compio 37 anni. Di solito dopo i 35 si consiglia di fare amniocentesi o villocentesi, ma nel mio caso, anche vista la presenza di un utero fibromatoso, insieme al mio ginecologo decidiamo di fare il Prenatal Safe. Il 22 dicembre faccio una breve ecografia e il prelievo di sangue da inviare al centro analisi.
Normalmente queste analisi forniscono i risultati dopo 5 giorni lavorativi, ma in questo periodo ci sono le festività di mezzo quindi so che impiegheranno più giorni. Non sono giorni sereni, ma do la colpa ad uno stato di preoccupazione perenne che mi attanaglia da sempre quando aspetto i risultati di qualsivoglia tipo. Il 2 gennaio partiamo per il Veneto (io sono di Roma), per una breve vacanza. La mattina del 3 Gennaio mi telefona il ginecologo “Buongiorno signora, mi hanno telefonato dal laboratorio, c’è un problema, sospettano ci sia una trisomia 13. Mi dispiace dirglielo così ma purtroppo non c’è un modo meno brutto per dire una cosa del genere“. Vuoto. Sono sotto shock.
“Ah. Certo, no non si preoccupi”. Mi dice, però, che quella del laboratorio non è una diagnosi e che, quindi, deve essere confermata con la villocentesi o con l’amniocentesi. La prima deve essere fatta entro la 14esima settimana, quindi sono proprio al limite, per la seconda, invece, dovrei aspettare almeno altre 3 settimane. “Ok”. Dico sì a tutto, sperando che quella conversazione finisca il prima possibile.
Riattacco e inizio a piangere. Ci metto un po’ per spiegare al mio compagno che è seduto vicino a me che cosa mi ha appena detto il medico. Mi sento come se il mondo mi fosse crollato addosso. Mi faccio inviare il report dal laboratorio in cui leggo in rosso che “è stata rilevata un’aneupladia del cromosoma tredici (TRISOMIA 13)” e più in basso la percentuale di probabilità (in realtà, in termini tecnici viene chiamato Valore Predittivo Posi): 92.86%.
Ma poi cos’è questa trisomia? L’unica trisomia che conosco è la 21, di questa non ne ho mai sentito parlare. Ci informiamo. Non parlerò di cosa comporta questa malformazione genetica, perché non è questo il punto. La definiscono “incompatibile con la vita”. Mentre inizio a fare mente locale, mi giro verso il mio compagno e gli dico “se dovessero confermare la diagnosi, io non ce la farei a portarla a termine”. Lui mi guarda, è stravolto anche lui, e mi dice che sì, è d’accordo con me. Non ci ho messo molto a prendere la decisione. Non è stata a cuor leggero, ma ci sono state tante motivazioni (personali e non sindacabili come lo sono tutte le motivazioni che spingono una donna a fare una scelta del genere) che mi hanno portato a pensare da subito che quella fosse la decisione giusta. L’unica possibile per me. Per noi.
Da quel momento in poi iniziano una serie di telefonate frenetiche per trovare un centro che facesse la villocentesi in poco tempo. Trovare posto in strutture pubbliche con così poco preavviso è impensabile, si parla di liste d’attesa di mesi. Per questo chiamiamo i centri d’analisi più grandi di Roma e finalmente dopo diversi tentativi troviamo posto per l’8 gennaio. Costo della villocentesi 1300 euro. Per fare l’esame, però, servono delle analisi, alcune delle quali già fatte nei mesi precedenti, altre da fare (tra cui il Test di Coombs, un esame che fanno davvero pochi centri). Altri soldi. Per fortuna lo stesso laboratorio che fa la villocentesi, è aperto il 6 gennaio e fa tutte le analisi che mi servono, quindi prenotiamo lì in modo tale da non correre il rischio di non avere le risposte in tempo.
Alla fine della giornata con il mio compagno siamo riusciti a prendere tutti gli appuntamenti necessari e a sistemare tutte le cose prettamente organizzative. Ci sentiamo stravolti, stanchi, distrutti. Per la prima volta da quando è iniziata quella giornata mi trovo a fare i conti con la mia decisione. Tutti continuano a dirmi di ‘rimanere positiva’, ‘che non ho ancora la certezza che il feto non sia sano’, ‘che magari è un falso positivo’. Ma la mia esperienza mi ha insegnato che è sempre meglio prepararsi al peggio, che per il meglio si fa sempre in tempo o per dirla come una canzone dei The Ark “hoping for the best, but expecting the worst” (spero nel meglio, aspettandomi il peggio).
Metto a fuoco che ho superato i 90 giorni entro cui, per legge, si può praticare l’IVG (interruzione volontaria di gravidanza). Quindi? Inizio a leggere freneticamente tutto ciò che trovo su internet. In questi casi si parla di aborto terapeutico. Ricordo di averne letto in passato e i ricordi delle storie lette mi tornano alla mente e mi terrorizzano. Quanti sono gli ospedali che praticano l’aborto terapeutico a Roma? Pochi, troppo pochi. Pensavo, ingenuamente, che tutti quelli che praticano l’IVG, facessero anche quello terapeutico. Non è così. Sono una piccola parte. A Roma mi sembra di capire che sono 5 o 6. Reperire informazioni precise, inoltre. non è facile, non esiste una pagina dove sono elencati, cerco di capirlo leggendo le pagine dei singoli ospedali o leggendo esperienze di altre donne, ma è tutto confuso.
Una volta identificati gli ospedali, provo a capire quali sono quelli con meno obiettori di coscienza. In uno, ad esempio, c’è solo una dottoressa a praticare aborti, tutti i suoi colleghi sono obiettori di coscienza. Anche negli altri la situazione è simile. Una piccola percentuale dei medici lo pratica. Gli altri sono obiettori. Mi rendo conto che devi, quindi, essere molto molto fortunata a capitare nel turno di uno di quei dottori e devi anche essere veloce ad eseguire la ‘pratica’ perché se ci metti troppo ed entri nel turno degli obiettori (e potrebbero essercene anche 2-3-4 di seguito) rischi di rimanere ignorata per ore (se non giorni).
La mia ansia cresce e cresce ancora di più quando capisco superata la 15esima/16esima settimana (a seconda delle gravidanze) l’aborto non è più tramite raschiamento, ma con parto indotto. Il feto deve essere partorito. Io sono già alla 14esima settimana e il tempo di attesa dei risultati della villocentesi mi porterà oltre quella data. Sono paralizzata dalla paura, dalla paura di dover affrontare un ‘parto’, di rischiare di doverlo affrontare da sola su un lettino di un ospedale durante il turno di obiettore, magari in mezzo a donne che stanno portando a termine la loro gravidanza (sì, succede anche questo).
Cerco così qualcuno in rete che possa aver vissuto quello che sto vivendo io. Ed anche per questo che scrivo tutto ciò, affinché qualche ragazza che si ritrovi nella mia storia si senta meno sola. Navigando con chiavi di ricerca quali “esperienza+aborto+terapeutico+Roma”, “aiuto+donne+aborto+terapeutico” trovo il blog di una ragazza che aveva abortito dopo una diagnosi terribile. Le scrivo una mail sperando che sappia darmi delle informazioni più precise. Lei mi risponde immediatamente e mi dice di rivolgermi ad una associazione che chiamata “Vitadadonna”. Vado sul sito e scrivo alla dottoressa Canitano che mi dà immediatamente il suo numero di telefono. In pochi messaggi mi tranquillizza e mi assicura che se l’esito della villocentesi dovesse confermare quello del Prenatal Safe, lei mi indicherà un ospedale dove praticare l’aborto, tentando di capire anche i turni dei medici obiettori. Un’altra organizzazione che avevo trovato in quella ricerca è la “Casa Internazionale delle Donne” e, se la ragazza del blog e la dottoressa Canitano non mi avessero risposto così rapidamente, avevo deciso di rivolgermi a loro, perché a Roma sono una delle poche associazioni che danno supporto alle donne in queste occasioni. E io avevo bisogno di supporto, avevo tanto bisogno di supporto.
Arriva l’8 gennaio, il giorno della villocentesi. La notte non riesco a dormire. Arriviamo al centro e vedo tante donne con il pancione, mi chiedo se arriverò anche io ad averlo o se finirà tutto prima. Ci fanno entrare nella stanza di un medico che ci informa che prima di fare l’esame devo essere sottoposta ad una breve ecografia. Mi stendo sul lettino. Il medico mi mette il gel sulla pancia e subito dopo mi dice “signora, mi dispiace” prende fiato “non c’è più battito”. Il mio compagno mi stringe la mano, ha gli occhi lucidi, io piango.
“Signora non pensi che può essere stato un suo comportamento, non c’entra essere andati in motorino, aver bevuto il caffè, non è colpa sua in nessun modo, probabilmente il Prenatal Safe aveva ragione.“ Apprezzo tanto quelle parole, non sono ovviamente mai andata in motorino in gravidanza, ma ho capito cosa volvolev dirmi e in quel momento mi è sembrata una cosa molto dolce. Gli sorrido, lo ringrazio e ce ne andiamo.
Esco dalla stanza e improvvisamente mi sento sollevata. So che può essere difficile da comprendere ma la natura aveva scelto al posto mio, anche se avevo già scelto. La natura, soprattutto, mi aveva risparmiato tutto quel percorso di ricerca dell’ospedale, del parto indotto, degli obiettori che era stato l’incubo di quei giorni. Ora, infatti, si trattava di un aborto spontaneo. Potevo farlo nell’ospedale dove avrei dovuto partorire, ospedale che non pratica l’aborto terapeutico.
Il 14 gennaio vado in ospedale e, in day hospital, mi sottopongo all’intervento. I medici e gli infermieri sono gentilissimi e mi trattano davvero bene, ma mi viene naturale chiedermi se sarebbe stato lo stesso se quella decisione l’avessi presa io (come poi in effetti era) e non la natura.
Quando ripenso a quei giorni mi trovo a fare i contri con gli effetti che ha avuto su di me quell’esperienza e non riesco a non pensare a cosa sarebbe successo (e, in realtà, a cosa succede) se al mio posto, una donna di 37 anni sicura di sé e della sua relazione, sicura della sua scelta, appoggiata dal proprio compagno e dalla propria famiglia, fortunatamente senza grosse difficoltà economiche che vive a Roma, ci fosse stata una ragazza di 18 anni, una donna straniera che parla poco l’italiano, una ragazza madre che vive in un paesino sperduto, ma anche, più semplicemente una donna come me che non può permettersi di spendere 1300 euro di villocentesi, più i soldi delle analisi, più i soldi del medicinale. Una donna che, detto banalmente, non ha i miei stessi privilegi, le mie stesse possibilità.
Una donna quando compie una scelta del genere non dovrebbe avere altri pensieri, dovrebbe sapere che la sua scelta verrà rispettata e che verrà fatto il possibile per fargliela portare a termine in sicurezza. Ma così, troppo spesso, non è.
Questo non è un Paese per donne.
https://alleyoop.ilsole24ore.com/2020/07/01/aborto/?uuid=106_NirPCDFP
Non che il mio dolore conti molto di fronte al suo e a quello del suo compagno ma questa sua lettera mi ha fatto tornare in mente i momenti in cui ci sentivamo e lei mi chiedeva prima delucidazioni che ero felicissimo di darle e poi rassicurazioni che invece non potevo regalarle.
Come le ho scritto ieri sera ‘tutta la tua gioia, la tua speranza, poi il dubbio, i miei miseri incoraggiamenti e poi la conclusione’.
Per rimanere fedeli al titolo, la vita che buffa cosa, ma se lo dici nessuno ride.
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pangeanews · 6 years ago
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“Anche la nostra è bellezza e vogliamo combattere la discriminazione che ti fa sentire inadeguata per le tue imperfezioni”: Laura Brioschi e Benedetta De Luca discutono di Body Positive con Matteo Fais
Tra le tante battaglie, più o meno condivisibili, che vengono portate avanti di questi tempi, soprattutto da parte delle donne, ve n’è una in particolare che merita rispetto e supporto, quella che promuove il body positive. L’idea che vi debba essere un unico modello di bellezza – spesso peraltro meno sano di quanto appaia – è una follia che contravviene qualsiasi realtà del desiderio e della passione. L’imperfezione è sexy, la bellezza ha strane e apparentemente inconcepibili armonie.
È proprio per portare avanti questo felice messaggio di accettazione di sé, della propria irriducibile diversità, che un nutrito stuolo di ragazze provenienti da tutto il mondo è sceso in piazza – e precisamente in Piazza Duomo, a Milano – il 3 Marzo 2019, con un Flash Mob intitolato #BODYPOSITIVE. L’iniziativa è stata organizzata da Laura Brioschi, modella curvy e influencer con un impressionante seguito su Instagram. Al grido di “ci spogliamo dai pregiudizi”, Laura ha invitato tante ragazze a sfilare in intimo, offrendo allo sguardo del pubblico un tipo di grazia che spesso viene snobbata dalle passerelle e che ancora molti uomini tendono a escludere dal loro canone ideale.
Mossi da una sincera ammirazione per tanto coraggio e in piena condivisione degli ideali che l’hanno animata, siamo andati a intervistarla. A chiosa del dialogo, abbiamo avuto anche il piacere di risentire una nostra vecchia conoscenza Benedetta De Luca, modella affetta da agenesia del sacro, che per l’occasione si è unita alla gioiosa e festante brigata, con la sua sedia a rotelle, pervasa come al solito da una sconvolgente vitalità.
Laura, potresti spiegare il concetto di body positive?
Il body positive consiste nel volersi bene qualunque sia la propria fisicità e nel volersi migliorare sempre, ma senza ossessioni. Spesso è accostato al curvy – questa inedita categoria di bellezza –, ma il body positive deve riguardare tutti i corpi, compresi quelli con disabilità come nel caso di Benedetta De Luca. Il concetto è che ognuno può essere una bella persona, qualsiasi sia la sua forma.
Perché un flash mob?
Per la possibilità che dà di catturare l’attenzione. Con esso puoi comunicare tanto in pochissimo tempo, lasciando però qualcosa dentro, proprio come capita con una canzone. Per noi che lo abbiamo voluto la partecipazione è stata meravigliosa, sia dal punto di vista del pubblico che delle ragazze presenti. Venivano un po’ da tutto il mondo: Inghilterra, California, molte dalla Polonia.
Assistendo a un simile evento, cosa speri si generi negli spettatori? La consapevolezza che ogni persona – e voglio dire davvero chiunque – può essere bella, se si sente tale. Io credo sia questo che ciascuno di noi dovrebbe comprendere: sentirsi belli è una questione di consapevolezza. Per me, per esempio, è stato così grazie a Instagram: vedendo tanti corpi reali, ho compreso di non “essere sbagliata” malgrado qualche chilo in più. A mia volta cerco di trasmettere un messaggio positivo a chi mi segue, magari anche semplicemente mostrandomi mentre sono in palestra e parlandone come di un’esperienza volta a migliorarsi. Le ragazze sono così incentivate a fare qualcosa per sé, a volersi bene, senza stare semplicemente a piangersi addosso. Vorrei riuscire a comunicare loro che effettivamente puoi riappropriarti della tua vita, anche se per lungo tempo ti sei sentita inadeguata.
In che senso una persona con un corpo come il tuo sarebbe discriminata, visto il numero di follower che hai e le campagne pubblicitarie per cui vieni contattata?
La discriminazione tocca diverse persone. Spesso la si subisce fin dall’infanzia, quando per esempio qualcuno ti chiama “cicciona”, o ti dice “sei brutta, io con te non gioco”. Queste cose si ripercuotono dentro giorno dopo giorno. Ci sarebbe poi una discriminazione in senso lato quando, per esempio nel caso di una modella, per due centimetri di fianchi in più, si riceve un rifiuto. Ma, più in generale, direi che discriminatorio è quando una persona ti fa sentire inadeguata per una tua caratteristica fisica. Nel mio caso si tratta prevalentemente di insulti ricevuti su Instagram. Per fortuna, a fronte di ciò, vi sono tante persone che mi seguono per quello che racconto, per la forza che trasmetto loro.
Cos’è la bellezza, Laura?
La bellezza è qualcosa di grandioso, una luce immensa che riesce a riempire una stanza, una piazza, e la si può trovare davvero in tante cose. Siamo così abituati a non cercarla più, a focalizzarci su certi standard di bellezza, da credere che in tutto il resto non vi sia. Bisognerebbe invece aprire gli occhi e riscoprirla, anche in noi stessi.
Si parla spesso di curvy, però su Instagram vedo che, in questa grande categoria, vengono fatte rientrare anche delle ragazze che, senza offesa, sono obese. Naturalmente non dico che le si debba discriminare, però il sovrappeso eccessivo può essere un problema per la salute.
Definire cosa sia il curvy non è semplice. Ci provai nel mio primo blog, nel 2014. Io lo identifico con l’armonia. Se uno volesse usare il termine in un senso specifico, diciamo più stringente, non farebbe altro che limitarsi ancora una volta a etichettare. Al contrario, è bello liberarsi delle etichette. La sola cosa importante per me è difendere ogni forma fisica e il suo miglioramento, seguendo una linea che risulti il più salutare possibile e aliena da qualunque ansia. Anche tra noi, in piazza, c’erano persone in sovrappeso, che però fanno concretamente qualcosa per la loro salute e noi le supportiamo evitando di giudicarle. Ci vuole molta attenzione nei loro confronti, molta delicatezza.
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Una domanda per Benedetta De Luca Come ti sei sentita, a Milano, a sfilare in questo flash mob all’insegna del body positive? Per la prima volta, libera. Libera dal pensiero di dovermi preoccupare del mio fisico così diverso dai canoni estetici imposti dalla società. Libera e bella, uguale alle altre. Eppure avevo messo in mostra la mia cicatrice alla gamba, cosa che non faccio vedere nemmeno al mare. Mi sono sentita libera di poterlo fare senza preoccuparmi di nulla, senza il timore di essere giudicata. Si respirava una tale energia quel giorno, era quasi magico. Ognuna con i suoi difetti, paure e incertezze, però unite eravamo forti e nessuno poteva farci sentire sbagliate. Eravamo fiere delle nostre imperfezioni e insieme abbiamo trovato il modo di valorizzarle. Io credo che, se eventi simili venissero organizzati un poco più di frequente, forse si potrebbero quantomeno arginare i problemi che derivano da certe fragilità, come l’anoressia e la bulimia. Essere sicuri di sé stessi, accettarsi, è davvero importante.
Matteo Fais
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