#mi fai bene all’anima
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theodoracroft · 1 year ago
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TI SCRIVO UNA LETTERA
Cara Adele,
ci conosciamo da poco, quindi non mi attribuisco il diritto di conoscere ogni cosa di te, ma un poco so come sei.
Io Adele ti auguro di smettere di avere paura e di dimostrare che tu sei molto più di una ragazza in giovane età che può essere manipolata quando uno crede.
Vorrei che tu fossi meno insicura di te stessa e che portassi la vivacità di affrontare il mondo, senza lasciarti schiacciare dall’ansia.
Sei una ragazza sensibile e piena di cose belle, quelle che quando incontri ti fanno bene all’anima.
Smetti ti prego di avere paura e smetti di voler avere tutto sotto controllo.
Mia cara Adele, le cose più belle sono quelle che noi non possiamo controllare.
Pensaci, noi viviamo di sentimenti, anche se alle volte non vorremmo, ma che gusto lasciano quando sono inaspettati?
Se potessimo controllarli, non avrebbero lo stesso valore che hanno nel lungo percorso della vita.
Adele, vali, tu vali ma devi crederci anche tu… abbi il coraggio di guardare negli occhi la paura e di non accettare quello che non vuoi, di dire “no”.
Non meriti di essere sminuita per la persona che sei, meriti di essere apprezzata, ma solamente se tu per prima lo fai.
Credici, come si crede al nostro sogno più grande.
Ti auguro Adele di crescere e curare le ferite che ti porti dentro, usando il cerotto dell’amore e della fiducia verso gli altri.
So che dentro di te stai male, ma so anche che il mondo lì fuori, non è cattivo come pensi e non tutti gli imprevisti spaventano così tanto.
Guarda la vita con gli occhi impregnati della tua anima e tutto sarà meno duro da vivere.
Per Adele 23/11/2023
-Theodora Croft.
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h4ppin3ss-is-4-butt3rfly · 2 years ago
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Ti voglio qui
Perchè quando parlo con te mi sento sempre bene
Mi fai bene al cuore
E tu questo ancora non lo sai
Ma ti giuro
Mi fai un bene all’anima
Sto bene con te e vorrei dirtelo ogni cazzo di giorno
Vorrei poterti spiegare a parole quanto mi mandi in confusione i pensieri e quanto mi scaldi il cuore
Ma non posso
Perchè ora non sei qui
Non mi stai cercando
E ogni giorno ti penso sperando che un giorno tu possa capire davvero cosa io, sia per te
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ioelemieemozioni · 2 years ago
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Vorrei starti accanto,
Vorrei poterti stare vicino fisicamente dicendoti che andrà tutto bene.
Vorrei poterti togliere quell’ansia che ti sta logorando dentro.
Vorrei poterti accarezzare, calmare, farti sentire sicuro di te stesso perché di sicurezza non ne hai neanche una briciola.
Vorrei poterti dire che vai bene così, che non devi cambiare ne migliorare, che sei perfetto così nonostante la perfezione non esiste.
Vorrei poterti dire che amo i tuoi difetti come amo i tuoi pregi, che amo follemente la tua freddezza quanto la tua poca dolcezza che hai, ma che quando ti ci metti e vuoi veramente sei più dolce di tutti i dolci che esistono sulla faccia della terra!
Vorrei assaggiare di nuovo quelle labbra così spettacolari, incantarmi e cascare in quei occhi splendidi di color nocciola che dio ti ha dato.
Quei occhi laddove io, ci vedo il mare ogni volta che li guardo, anche dietro una semplice fotografia.
Vorrei poterti prendere per mano e portarti in un posto isolato, dove poter stare solo io e te, in silenzio
E se in silenzio non vuoi stare allora possiamo parlare.
Ne approfitterei per dirti tutto questo grande amore che ho per te, di quello che hai scatenato nella mia testa, nel mio cuore e nel mio corpo.
Ti racconterei tutto quello che succede alla mia pelle ogni volta che mi tocchi. Quando mi tocchi con quelle mani di cui tanto sono innamorata.
Ti racconterei di quanto bene mi fai al cuore, all’anima e alla vita. Ti racconterei di quanto sei speciale per me, di quanto sei importante.
Ti racconterei che sarei pronta a sacrificare la mia vita per te. Che sarei pronta a strapparmi uno dei miei organi per donarlo a te. Ti racconterei che senza di te la mia vita non avrebbe più senso come prima, che mi mancherebbe il respiro al solo pensiero di non averti accanto.
Ti racconterei che mi si ferma il cuore al solo pensiero di poterti perdere. Ti racconterei che non ti ho mai dimenticato sin dal primo giorno e che ho portato tutto questo amore dentro di me per tutto questo tempo, archiviandolo senza accorgermene.
Ti racconterei che dopo tanti anni mi sono innamorata nuovamente e che hai superato, veramente, la persona che più ho amato in questo mondo. Ti racconterei che solo quando ti penso il cuore mi sbatte forte forte nel petto.
Ti racconterei, dandoti la certezza, mettendomi in ginocchio se necessario, che sei l’ultima persona che voglio amare nella mia vita e che se non riuscirò a stare con te allora a nessuno più darò il diritto di entrare nella mia vita e specialmente nel mio cuore, che a nessuno più darò il diritto di mettersi nel letto con me per fare l’amore. Perché l’amore, quello vero, quello puro solamente e unicamente con te lo voglio provare,
il resto sarà tutto passatempo, ma con te è una vita intera!
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4-20onmymind · 4 years ago
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mi fai bene all’anima.
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sciatu · 6 years ago
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TAORMINA - GRAND HOTEL SAN DOMENICO-RISTORANTE PRINCIPE CERAMI.
NON CI INDURRE IN TENTAZIONE
L’albergo San Domenico a Taormina è un hotel a cinque stelle realizzato in quello che era un vecchio convento Domenicano, per cui entrando si accede ad un primo lato di un corpo quadrato che era un lungo porticato con colonne che si affacciavano su un grande cortile interno ora occupato da splendide buganvillee fucsia, grandi cespugli di profumati gelsomini e da palme altissime. Dal colonnato opposto a quello dove è situato l’ingresso si esce verso il giardino interno che è costituito da vari terrazzamenti di cui l’ultimo, il più grande, si protende verso il golfo di Giardini Naxos. In primavera quando è sera e la luna si specchiava nel golfo, la visione delle luci di Giardini e dell’Etna protesa verso il cielo stellato con il suo rossetto di fuoco è bellissima. L’albergo ha un ristorante (il Principe Cerami) premiato con stelle e forchette dagli esperti della guida Michelin e del Gambero Rosso ma, oltre al cibo, quello che lo contraddistingue è la terrazza che si affaccia sul golfo di Giardini-Naxos da cui si può osservare il bellissimo panorama. Quella sera in particolare di cui ti parlo i tavoli non erano pieni. In un lato della terrazza c’era seduto il Dr Poldo Sbarozzi, ispettore di area per una nota società farmaceutica, poi, più in là ma sempre sul suo lato, due pensionati americani, mentre dal lato opposto, su tavolo tondo riccamente addobbato, l’ing S, presidente di una grande acciaieria di Brembana al Lago (provincia di Bergamo) aveva riunito attorno a se i sei maggiori dirigenti della filiale produttiva di Catania per festeggiare il revamping della linea di colata che avrebbe aumentato la produzione della società. Benché socievole e preso dai festeggiamenti l’ing. S. era interiormente in preda ad una grande ansia per un fatto disdicevole che gli era capitato. Aveva fatto la follia di far venire con sé l’ing. Rachele Valsecchi, responsabile dell’ufficio tecnico della sua ditta e da lungo tempo sua segreta amante. La follia si era evidenziata quando la segretaria direzionale della filiale di Catania, a sua insaputa e pensando di fare cosa a lui gradita, aveva prenotato la cena per i festeggiamenti nell’albergo dove i due amanti pensavano di essersi appartati, il San Domenico per l’appunto. Ora anche se il personale della filiale non conosceva l’ing. Valsecchi, all’ing.S. apparve subito come reale e tangibile il pericolo che i suoi dipendenti catanesi incontrandola, potessero far scaturire quel spettegolare aziendale, fastidioso e corrosivo, che mina rapporti personali e societari. Senza tener conto che sua moglie era anche la proprietaria della società di cui era presidente e pericolosamente e fraternamente amica di alcune segretarie aziendali, tutte quante pettegole e malelingue. L’ing. S, con una decisione creativa degna del manager che era, aveva cercato di salvare il salvabile prenotando a Rachele un tavolo al Granduca, il ristorante sul viale di Taormina (e quindi lontano dal San Domenico) dalla cui terrazza poteva vedere lo stesso panorama che si aveva dalla terrazza dell’albergo. Questa idea l’aveva presa e realizzata da solo, senza minimamente discuterne con lei che già si aspettava una serata romantica a due. Ora però Rachele non era una donna prevedibile ed ubbidiente. Le cicatrici invisibili che la vita avevano lasciato nella sua anima, l’avevano portata a credere solo nella certezza che non aveva bisogno di nessuno, e questa autosufficienza sentimentale le aveva permesso di evitare di trovarsi prigioniera, anche se amabilmente, di qualsiasi forma di affetto coercitivo, quegli affetti cioè che ci impongono dei doveri o un assoluta ubidienza, per il semplice fatto che siamo amati. Lei aveva scelto di non essere ne moglie ne fidanzata, per la libertà ed indipendenza che così aveva e provava e non perché fosse per lei necessario esserlo a causa delle sue lunghe permanenza all’estero per lavoro. Questo suo credo profondo nella sua libertà l’aveva portata in passato a collezionare diversi amanti in quanto, come diceva lei stessa “l’amore non è una torta che dividi a fette con questo o con quello. È solo uno stato d’animo a cui il sesso non è collegato in modo univoco, per cui amare qualcuno e far sesso con un altro non era peccato ma una scelta di vita“ Per questo motivo, collezionava uomini così come gli uomini collezionano le cravatte, esibendole finché non li stancano e se ne disfano con benevola indifferenza. La definizione di Rachele dell’amore era tornata in mente all’ing S. quando le aveva parlato del ristorante e della convenienza che lei vi andasse a cenare almeno quella sera. Lei lo aveva gelato con un’occhiata delle sue ed i suoi occhi scuri gli erano penetrati, duri e taglienti, fino in fondo all’anima. Aveva capito immediatamente, come a volte gli capitava, che ancora una volta con lei aveva sbagliato approccio: l’aveva trattata come la sporcizia che si nasconde sotto il tappeto quando improvvisamente arrivano gli ospiti. Per questo l’ing. S ora era estremamente nervoso e rideva forse in modo esagerato alle battute aziendali dei suoi collaboratori e beveva forse un tantino troppo rispetto all’usuale, ma dentro di sé sapeva che come sempre Rachele avrebbe fatto di testa sua non solo per affermare la sua indipendenza ma soprattutto perché non era scesa dalla nebbiosa Brembana al Lago fin nella solare Taormina solo per finire nascosta in un angolo. Perciò, quando Rachele apparve sulla porta che dall’hotel dava sul terrazzo del ristorante, un brivido percorse la sua schiena ed un senso di impotenza lo assali, anche se doveva ammettere che questa sua incontrollabile libera e determinata volontà era uno dei motivi per cui l’amava. Anche se non la conoscevano, il quartetto che suonava sul lato del ristorante vicino al tavolo dell’ ing. S. si fermò stupito per il suo arrivo. Lei osservò tutti i tavoli come un aquila che dall’alto del monte osserva un gregge, poi lentamente incominciò a dirigersi verso i tavoli avvolta nel suo vestito di seta nera che ondeggiava seguendo e richiamando tutte quelle sue forme che vibravano ad ogni suo passo; altera ed elegante, appariva circondata dal suo profumo che non era quello di un famoso stilista, ma la sua dominante sensualità, perché anche se non era più giovanissima e il suo corpo  non rispondeva ai canoni delle grandi modelle della moda, emanava un misto di innocente lussuria e peccaminosa sensualità che insieme all’ intelligenza dello sguardo colpiva gli uomini che la guardavano come con uno schiaffo e seduceva come un bacio promesso L’ing S guardò con fastidio i suoi collaboratori siciliani fermarsi nella discussione per osservarla apprezzandone le forme, l’incedere e quella sensualità decisa e vogliosa che emanava. Lui stesso, che quella sensualità aveva spesso cercato, apprezzato e subito, non riuscì a non restarne ammirato e soggiogato. Lei avanzò sicura e decisa tra i tavoli finchè un cameriere risorse dalla sorpresa di vederla e si avvicino indicandole uno dei tavoli vicino ai turisti americani. Lei lo guardò con sufficienza e senza considerarlo si diresse verso il dottor Poldo che la stava osservando con un lungo grissino che gli usciva dalla bocca, stupito e incuriosito. Lei si avvicinò e sorridendo lo salutò sedendosi sl suo tavolo “Buonasera, è tanto che aspetta?” chiese con voce alta e chiara Il dott. Poldo, con il grissino in bocca si alzò come deve fare ogni gentleman quando arriva una signora, ma visto che lei si era già seduta si sedette di nuovo e cercò di salutare accorgendosi solo allora del grissino che gli usciva dalla bocca “Buonasera, io veramente…. “ “Lo so non mi conosce – disse Rachele per aiutarlo sottovoce – ma devo fare ingelosire una persona… mi aiuti per favore – e rivolta al cameriere disse velocemente - mi porti il calamaro farcito di gambero di nassa e pane nero di seppia con avocado e la bottiglia più cara di spumante siciliano per favore” Il dott. Poldo la guardò sconcertato ed il cameriere stava per chiederle il numero di camera ma lei, come suo solito, stupì tutti e due “Metta tutto sul conto dell’ing. S, quello laggiù, anche la cena del signore. Non si preoccupi, siamo suoi ospiti” Il cameriere, che conosceva bene l’ing. S, fece un leggero inchino e scomparve tornando dopo pochi minuti con una bottiglia fredda di uno spumante di cui il dott. Poldo aveva visto sulla lista dei vini il prezzo a tre cifre. Fece comunque una faccia sorpresa e si senti orgoglioso che lei lo avesse scelto per far ingelosire qualcuno. “Oh – fece con tono da uomo di mondo – capisco” “lei è sposato?” “Si vede “rispose mostrando l’anello al dito Lei lo guardò con uno sguardo che a lui sembrava indifferente “Le sta ancora largo, vuol dire che è sposato da poco. Se fosse sposato tanto quanto la persona di cui sono l’amante avrebbe il dito stretto intorno all’anello, perché il matrimonio è così: prima ti da un grande senso di libertà e ti sembra che ti stia largo tanto che fai quello che vuoi, poi invece anno dopo anno, vedi che ti stringe e ti soffoca il dito come la vita. Per questo io sono un amante, da sempre, dal primo momento in cui ho scoperto la differenza tra il cane e una moglie…” Il dott. Poldo la guardò stupito “e qual è?” “nessuna – rispose Rachele sorridendo – tutti e due restano sempre fedeli all’ uomo che li tradisce. Io sono fedele solo a me stessa ed è già troppo – e poi guardandolo – …e lei è fedele?” “si certo, sicuro!” “Solo perché è sposato da poco ed è nel periodo in cui la moglie è ancora un amante, avete ancora passione e complicità, faccia passare un po’ di tempo e vedrà che sua moglie non sarà più la sua amante e allora lei penserà ad allargare il suo amore a qualche altra donna” “A tradire…?” “Che brutto sinonimo per amare - bevve un sorso guardando l’ing S che fingeva malamente di ignorarla – vede, quando si ama un'altra donna che non è la propria moglie lo si fa mettendo in gioco qualcosa che ha un enorme valore: la propria vita intesa come moglie, figli e tranquillità. Per questo, se si ama si ama veramente in un modo che deve giustificare il tradimento o magari una nuova vita, altrimenti si è solo idioti. – e lanciò un'altra occhiata severa all’ ing. S. - Io non sono sposata e quindi non faccio testo, ma i miei amanti spesso lo sono e quindi il loro amore deve essere vero altrimenti non rischierebbero la loro vita per amare. Quindi tradire per amare veramente, non è tradire ma scegliere un'altra strada, ma se non si sceglie, si tradisce soltanto e quindi non vi è nessun obbligo per l’amante, nessun bisogno di essere fedeli” e guardò l’ing S. socchiudendo gli occhi come fanno i cacciatori quando prendono la mira. Arrivarono i piatti che avevano ordinato. Rachele incominciò a mangiare lentamente e continuò sentendo su di se lo sguardo di fuoco dell’ingegnere “Vede tutti si ricordano di Cleopatra come l’amante di Cesare ma nessuno si ricorda chi era sua moglie, senza le amanti di Enrico VIII la storia sarebbe stata completamente diversa e senza la Dama Nera, Shakespeare non avrebbe scritto tutti i suoi sonetti o Romeo e Giulietta; Luigi XIV, il re Sole, sarebbe stato tale senza tutte le donne che ha amato? A un amante si concede di essere bella, più intelligente del suo amato, di essere divertente e di amare il sesso come lo amano gli uomini; per le mogli tutto questo viene considerato non opportuno o viene loro rimproverato. Le amanti hanno fatto la storia, le mogli solo figli per padri che tradivano senza pensarci. Dopo tutto Adamo diede il nome di Eva alla sua compagna quando furono cacciati dal paradiso, prima non aveva bisogno di chiamarla: era una sua parte, intimamente e gioiosamente unita a lui. È questo ricordo del paradiso che noi amanti portiamo ai nostri uomini e quando ne diventiamo le mogli non lo dimentichiamo” Rachele finì sorridendo ed osservando l’ingegnere la cui gamba destra sotto il tavolo si muoveva nervosamente. Poldo la osservava stupito e, sentendosi pur convinto di quanto affermava, anche se di fronte alla logica di Rachele poteva apparire uno stupido le disse timidamente “io però vorrei essere sempre fedele a mia moglie” Rachele lo osservò sorridendo e rispose arricciando la radice del naso come quando diceva qualcosa di sexy e sincero “ci provi, è importante esserlo, ma per sua informazione: io non ho mai conosciuto un uomo fedele e non ho mai capito se conosco solo gli uomini sbagliati o se invece nessuno di voi è fedele. Infatti c’è un motivo se il Padre Nostro finisce con “ non ci indurre in tentazione….” Perché nessuno di voi, con il cervello pendulo che avete in mezzo alle gambe, sa resistere ad una tentazione, specialmente se è più intelligente di voi…” e finì il suo bicchiere di spumante che tenne alto accanto a sé così che il cameriere, materializzandosi dal nulla, lo riempì. Il quartetto incominciò a suonare “A Modo Mio” e subito gli americani si alzarono e posizionandosi vicino all’orchestra incominciarono a ballare anche se in verità il terrazzo era troppo piccolo per muoversi. “Venga – fece Rachele alzandosi e prendendo per mano Poldo – andiamo a ballare” “Ma io …” cercò di rispondere Poldo poi, quando si ritrovò Rachele tra le braccia lasciò stare, troppo preso dalla sua sensuale forza vitale e dal seguire i suoi passi del ballo che non conosceva.
L’ing S la guardò mentre inondava la pista con il suo provocante danzare e sentendo i commenti piccanti dei suoi collaboratori, si voltò ad osservarli e, sicuramente per via del vino, li considerò come ombre, senza peso e spessore, anzi no, pupi mossi solo dai fili della mera quotidianità, dalla necessità di sopravvivere che hanno gli animali di quella giungla che si chiama vita, dove le uniche cose importanti erano fottere, mangiare e tirare avanti. Capì che senza di lei che attraverso il suo amore dava alla vita un senso compiuto, senza il suo sorriso che gli riempiva i giorni di sogni e desideri e le notti di passione e fuoco, anche lui sarebbe stato come loro. Tornò a guardare Rachele che cercava di spiegare a quell’essere inutile che stringeva tra le braccia come muoversi e fu preso da una vampata di folle gelosia. Si alzò tirando verso il basso la giacca blu e si sistemo la cravatta Marinella che lei gli aveva regalato e con passo deciso si diresse verso di loro. Arrivato vicino guardò Poldo tutto serio e quasi minaccioso chiedendogli “Permette?” e gli scippò Rachele dalle mani incominciando a ballare così come quella musica doveva essere ballata con gioia e passione, mentre Poldo, salvato da una figuraccia, se ne tornò al suo tavolo bevendo d’un fiato il bicchiere di spumante per vincere quell’ondata di bruciante carnalità che lo aveva assalito stringendo Rachele.
“Sei un strega – esordì sottovoce l’Ing S. Cercando di non far vedere che parlava – una terribile dolcissima strega” Rachele fingeva di non guardarlo e di seguire con indifferenza la musica ma rispose “Ricordati, un amante non è mai per sempre….” “Se i colleghi ti riconoscono io neanche arrivo a domani figurati al sempre” “Forse avranno visto qualche foto sul sito, ma ho sempre l’elmetto e gli occhialoni scuri di sicurezza: neanch’io mi riconosco, quindi non hai motivo di preoccuparti” Lui pensò un attimo e capì che come sempre aveva ragione, non c’erano contatti tra gli stabilimenti e sul sito le foto dei dirigenti non erano riportate. Si rilassò concentrandosi solo su di lei. “Dopo aspettami in camera che vengo a trovarti” le disse sottovoce “Chi ti dice che ci sia….?” “Non fare colpi di testa” “tu fai colpi di testa, io vivo e per vivere il sesso e l’amore sono fondamentali, se mi hai portato qui per chiudermi in una camera hai sbagliato” “Ti ho portato qui perché ti amo” “Non mi sembra: amare vuol dire mettere chi si ama davanti a tutto pronti ad accettarne ogni conseguenza. Per te sono solo un progetto a lunga scadenza, qualcosa tipo la Salerno-Reggio Calabria: piano piano fra vent’anni forse sarò la tua unica donna ” “È che devi essere realista, se comprendessero che siamo insieme…” rispose l’ingegnere cercando di cambiare argomento “Ti invidierebbero e mi compatirebbero! Io però non ho bisogno di te…” “Che vuoi dire – la guardò serio capendo che la sua vendetta non era finita – quello lì non è nessuno” disse indicando Poldo che da lontano li saluto con un sorriso idiota. Lei non rispose perché la musica era finita. Lui le fece un piccolo baciamano guardandola seriamente e se ne tornò al tavolo ricevendo i complimenti degli altri commensali ammirati dalla sua audacia nell’approcciare una donna che loro avrebbero solo desiderato. Lei se ne andò via mostrando una superficiale indifferenza “lei balla benissimo – le disse ammirato Poldo – era quella la persona che voleva ingelosire?” Lei lo guardò mentre beveva “Può darsi, mi accompagna all’uscita?” gli chiese sorridendo. Lui non si fece pregare e la seguì nel porticato e poi all’ingresso dove lei chiese un taxi che aspettarono insieme. All’arrivo del mezzo lo salutò calorosamente ringraziandolo e baciandolo su una guancia. Lui rientrò contento dell’esperienza imprevista e gradevole sentendo nell’aria ancora il suo profumo. Mentre era nel porticato apparve l’ing. S che vedendolo si diresse verso di lui “Scusi la sua amica …. - fece l’ingegnere con una certa ironia – non sa dov’è” Lui lo guardò e sorridendo rispose “Ha preso un taxi, ho sentito che ha detto al tassista di portarla dove c’erano degli uomini belli e prestanti…” Lesse per un secondo sconcerto e preoccupazione mista a rabbia negli occhi dell’uomo, un lampo che rivelò la tempesta che aveva dentro a cui segui immediatamente una freddezza forzata e controllata “Ah, fa nulla, volevo chiederle … se voleva fare un altro ballo… sarà per la prossima volta… grazie” e si allontanò dopo aver fatto un simbolico inchino Poldo lo vide dirigersi verso le camere contrariato proprio come aveva detto lei quando gli aveva suggerito la risposta da dargli. Poi Poldo prese il telefono e chiamò la moglie per sentirla, perché in fondo il “non ci indurre in tentazione” valeva anche per lui e lui sentiva di essere stato tentato troppo per quella sera.
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doppiaeelle · 6 years ago
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Ovunque, ti porterei ovunque.
Ti sveglierei all’alba o anche un po’ prima
per portarti a vederla poi a mare, tutto stonato
o anche su in terrazza a casa mia,
e ti guarderei
talmente tanto da entrarti dentro,
conoscerti a fondo.
Ti porterei a Verona
per baciarti sotto al balcone di Giulietta –e Romeo–
e poi compreremmo un lucchetto
per attaccarlo insieme a tutti gli altri,
verde fosforescente
perché noi in comune con gli altri non abbiamo nulla.
Ti porterei al cinema e poi al luna park,
ti pregherei ed obbligherei a venire sulle giostre più brutte,
per ridere, tanto
fino a sentirsi male. Capito come?
Ti porterei in un hotel a cinque stelle
ed anche in uno un po’ più malandato
solo per fare l’amore,
per averne un bel ricordo in ogni caso, in ogni cosa
per lasciare ovunque il profumo di casa –mia, tu–.
Ti porterei ad Amsterdam
ti guarderei fumare e ti riempirei di –baci– foto,
ovunque, sempre,
ed un po’ l’invidierei quel filtro poggiato
tra le tue labbra
poiché vorrebbero starci le mie.
Ti porterei a fare shopping
e ti aspetterei ore intere mentre decidi cosa comprare,
resterei fuori al camerino o mi c’infilerei
solo per guardarti.
Ti porterei ovunque
stamperei una polaroid per ogni posto, ogni sorriso
le appenderei in un angolino o le conserverei
tutte in una scatola: “ricordi del cuore”.
Ti porterei a Parigi,
Londra, Milano, Vienna, Praga;
ti chiederei di farmi da modello,
proverei a farti un ritratto
per finire poi a disegnare un omino con qualche linea in più,
fingendomi un’artista
regalandotelo poi ridendo con le lacrime
e poi baciarti mentre mi fai bene all’anima.
Ovunque ti porterei,
ovunque
ed un po’ più in là.
Aurora
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imieiocchipienidilacrime · 3 years ago
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Mi fai bene fino all’anima.
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‘LA CURA’ Tu sei la cura. Te lo ripeto ogni giorno e mai potrò stancarmi. Mi fai bene. Mi fai bene all’anima. E tu lo sai, solo tu sai come sto. Solo tu. Tu che sei tutto il mio mondo. Tu che dai anima e cuore, per me. Tu che hai sopportato tanto, per me. Tu che sei un essere così speciale. Davvero non so come fare per ringraziarti. Tu che sei così dannatamente bello e dolce. Così buono, ingenuo. Così maledettamente perfetto. E io lo auguro, lo auguro a tutti quanti un amore come il nostro Folle, bello. Auguro a tutti di incontrare un Uomo così. Tu che hai sempre fatto in modo di proteggermi e di prenderti cura di me. Io ti ringrazio per tutto quello che mi hai dato per ogni momento passato. Tu che meriti ogni bene, davvero. Tu che sei la vita. Come potrei vivere senza di te, amore mio. Grazie, grazie. A te che sei vita, Cristian. Ti amo, per sempre. Roberta.
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intotheclash · 7 years ago
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“Pietro! Pietro! Affacciati!” Urlò la prima voce. “E muoviti! Sei diventato sordo?” Fece eco la seconda. Cazzo, no che non ero sordo! Ci sentivo benissimo, l’inconveniente era che avevo solo dodici anni. E a quell’età non puoi fare come ti pare, specialmente se è domenica e sei a pranzo con la tua famiglia. Tutta la tua famiglia, tuo padre compreso, che, gli altri giorni della settimana è sempre via per lavoro: camionista per una ditta di travi e tavolati in castagno. Lavoro di merda, secondo i miei pochi anni, ma pur sempre un lavoro. Sentivo le spine sotto al culo, ma guai a sollevare le chiappe senza permesso, così continuavo a fissare il minestrone, che tra le altre cose mi faceva pure schifo, e a giocherellare con il cucchiaio fingendo indifferenza. “Pietro! E forza! Sei sempre l’ultimo!” Insistettero dal vicolo. Mio padre sbuffò un paio di volte, mollò le posate, distolse lo sguardo dal telegiornale e mi allungò uno scappellotto. “Ahio! Cosa ho fatto ora?” Protestai. Mi fissò con i suoi occhi chiarissimi e l’aria burbera di sempre, poi ordinò: “Su, affacciati e senti cosa vogliono quei piccoli rompicoglioni dei tuoi amici; che così non mi fanno capire una sega! Già non lo sopporto quello del telegiornale, se non mi fanno neanche capire quello che dice, me lo spieghi tu cosa cazzo lo guardo a fare?” Controllò il suo orologio e aggiunse: “Ma è appena l’una e quaranta! Come li fanno mangiare ‘sti bambini quelle scansafatiche delle loro madri? Li imboccano con la fionda? Su sbrigati Pietro, che sento che stanno iniziando a girarmi.” “Tanto a te girano sempre!” Pensai mentre mi precipitai sul balcone. “Era ora Pietro! Ma che te stai a magnà?” Dissero in coro Tonino e Sergio non appena mi videro. “Veramente ho iniziato adesso! Ma che volete a quest’ora? E’ troppo presto, i miei si incaz… si arrabbiano se rompete all’ora di pranzo.” Risposi. Fortunatamente avevo fatto marcia indietro in tempo. O almeno così speravo. Mia madre diventava una iena quando mi scappava qualche parolaccia. Diceva che, per quel genere di vocabolario, bastava e avanzava mio padre. E non è che avesse tutti i torti. “Ma che ti sei rincoglionito? La proposta l’hai fatta tu ieri sera ed oggi già non te la ricordi più?” Mi ammonì incredulo Tonino. “Allora davvero sei rincoglionito!” Aggiunse Sergio, che, dei due, era quello che andava sempre a rimorchio. Finalmente lo sguardo mi cadde sulle biciclette appoggiate al muro scrostato della casa di fronte e la nebbia nella mia mente si diradò all’istante. “Cazz…volo! Il fiume! Dobbiamo andare al fiume a fare il bagno! Me l’ero proprio scordato! Che testa di legno che sono!” Dissi “Di legno è dir poco! Di cazzo è più esatto!” Disse Tonino ridendo e facendo ridere anche Sergio. “Aspettatemi li, finisco in fretta di mangiare e scendo. Non vi muovete!” Dissi ancora. “Sbrigati però, che gli altri sono già sotto porta che ci aspettano. Avevamo detto alle due precise!” Insistette Tonino. “E allora? Non sono ancora le due stronzi!” Stavolta mi era scappata sul serio e sperare che sarebbe passata inosservata era un’illusione che neanche io potevo concedermi. “Pietro! Vieni subito dentro!” Fu l’ordine militaresco di mia madre. Come volevasi dimostrare. Rientrai immediatamente in cucina e la trovai già in posa per la predica. Si era tolta il tovagliolo da sopra le ginocchia, si era alzata in piedi, aveva divaricato leggermente le gambe, ma, quel che è peggio, aveva appoggiato il dorso delle mani sui fianchi, che era davvero peggissimo. Tutte e due le mani, la posizione della brocca, praticamente tuoni e fulmini in arrivo. Fosse stata una sola mano, la posizione a tazzina, come l’avevamo battezzata noi ragazzini, te la potevi anche cavare a buon mercato, ma con la brocca eri finito. Avrei volentieri pensato: “Erano cazzi!” Ma in quel frangente avevo persino paura a pensarle le parolacce; non tanto per la sgridata, o gli scappellotti che avrei potuto prendere e che avrei sicuramente preso; quanto per la paura che mi avrebbero potuto vietare di uscire. Quella si sarebbe stata una catastrofe planetaria. “Allora signorino? Quante volte ti ho ripetuto che non voglio che tu dica le parolacce?” “Scusa mamma, mi è scappata!” Risposi col tono più innocente che riuscii a trovare. Non vidi partire la mano, ma l’impatto con la mia testa lo sentii; eccome se lo sentii. “Ahio!” Urlai tra il sorpreso, l’arrabbiato e il piagnucoloso. Poi guardai mio padre di traverso. Lui raccolse il tovagliolo con la mano assassina, si pulì i folti baffi castani, mi fissò e disse: “Scusa, mi è scappato. Non volevo. Magari se ci avessi pensato prima, sarei anche riuscito a non dartelo; ma purtroppo è così che va il mondo e io non posso farci un cazzo di niente!” Da una parte mia madre, ovvero la teoria, dall’altra mio padre, senza ombra di dubbio la pratica. Insieme formavano una morsa d’acciaio che mi avrebbe stritolato senza scampo. Potevo dire addio agli amici, al fiume, al bagno e a chissà quanti altri divertimenti. Ma non andò così. Una via di fuga esisteva, ridotta al lumicino, ma esisteva ed io la imboccai di filata, incurante dei tremendi pericoli ai quali sicuramente andavo incontro. Non fu una scelta consapevole, proprio no, fui costretto ad imboccarla dalla rabbia e dal desiderio di vendetta per essere stato colpito, a mio avviso, ingiustamente e a tradimento. “Allora perché lui le dice in continuazione?” Urlai verso mia madre, ma rivolgendomi più che altro a mio padre. Gli occhi mi si affollarono di lacrime, ma le trattenni stoicamente. Ero schifosamente orgoglioso, fin da piccolo. Era un colpo basso, lo ammetto, avventato e alla cieca, l’ultimo colpo, di quelli che come va, va; quello della disperazione, che ti può regalare il KO, ma che, più spesso, fa finire te al tappeto e trionfare l’avversario. “Cosa, cosa?” Ringhiò basso mio padre. “Le parolacce ecco cosa! Perché tu puoi dirne quante ne vuoi, ma se ne scappa una a me sono guai? Penso che se una cosa è sbagliata, è sbagliata per tutti!” Dissi, sempre con le lacrime in bilico e sforzandomi di non abbassare lo sguardo. Un rischio della Madonna! Fu ancora svelto come un gatto, mi afferrò per la maglietta e mi trascinò a pochi centimetri da lui, facendomi rovesciare la sedia dove prima ero seduto. Ma come aveva fatto? Era grosso come un armadio e con la pancia di chi non sa mai dire di no ad una bella bevuta; ma quando si muoveva era Flash Gordon in persona. Certo che da grande avrei voluto essere come lui! Nessuno mai si sarebbe azzardato a prendermi in giro! “Ascolta bene stronzetto,” Mi disse inondandomi col suo alito di vino. Di vino: staccato,”L’unica persona che poteva dirmi ciò che dovevo, o non dovevo fare, era mio padre ed ora sta sotto un paio di metri di terra. Pace all’anima sua…” Devo dire che il sospetto che lo avesse ammazzato lui mi attraversò la mente, ma mica potevo dirlo. “Adesso ho quarantacinque anni,” Proseguì,” e nessuno, dico: nessuno, può permettersi di darmi degli ordini…” “Io non…” Tentai di giustificarmi. E giù un altro scappellotto, stavolta un po’ più sonoro, visto che mi rimbombarono i pensieri. Il vecchio ora era incazzato sul serio. Ora non potevo fare passi falsi. Dovevo stare attento a giocare bene le mie carte. Soprattutto dovevo uscire il più in fretta possibile da quella spiacevole situazione. Fortunatamente ed inaspettatamente mia madre arrivò in mio soccorso. Cuore di mamma non tradisce mai. “Dai Alfredo, lascialo stare. Basta con gli schiaffi!” Disse con tono pacato ma perentorio. “Cosa fai ora Maria? Prendi le sue difese? Io intervengo a darti manforte e tu mi vieni contro? E’ ora che qualcuno insegni davvero l’educazione a questo moccioso sfrontato e se non vuole capire con le buone, peggio per lui! Io sono cresciuto a pane e scapaccioni tuttavia non mi sono mai sognato di rispondere a mio padre; anche perché mi avrebbe scorticato vivo!” “Ma io non ti ho risposto male! Ho solo dett…” Fu il terzo scappellotto della giornata a troncare il discorso e a sbaragliare la mia timida difesa. “E basta Alfredo! Piantala di alzare sempre quelle tue manacce! Poi non picchiarlo sulla testa che è pericoloso!” Lo ammonì di nuovo mia madre. “Così impara a parlare soltanto quando è interrogato! In quanto agli schiaffoni invece: di cosa hai paura? Per il tuo marmocchio la testa non è un organo vitale, visto che è vuota. O forse temi che il rimbombo possa causargli danno all’udito?” Concluse ridendo di gusto. Cosa volete farci, mio padre era fatto in questa maniera: se la suonava e se la cantava. Faceva le battute e rideva da solo. Era capace di passare dall’incazzatura più nera all’ilarità più sfrenata, e viceversa, in un battibaleno. Difatti mi strizzò l’occhio, mi scompigliò i capelli neri e arruffati e disse:”Dai, finisci la minestra, mangia la carne e fila via. I tuoi amici saranno già in pensiero.” “E no cari miei!” Intervenne mia madre sempre mantenendo la posizione; ma ebbi l’impressione che la “brocca” in questa circostanza, fosse tutta per mio padre: “Con te facciamo i conti dopo,” Disse rivolta al vecchio, “In quanto a te signorino: ora finisci di pranzare, poi te la fili dritto, dritto in camera tua. Uscirai domani. Sempre che tu sia capace di non dire ancora parolacce.” E questo era per me. “Ma dai Maria! Tre sberle, per oggi, vanno più che bene come punizione. Domani, se si azzarderà ancora ad essere maleducato, ce lo portiamo noi al fiume… e ce lo affoghiamo! Così ci togliamo il pensiero!” Detto ciò si batté forte sulle gambe e rise a crepapelle. Mia madre, al contrario, non si stava divertendo affatto. Non aggiunse nulla, ma capii che non vedeva l’ora di restare da sola con suo marito per l’inevitabile resa dei conti. Sfruttai la situazione e mi sbrigai ancora di più. Trangugiai la minestra a palate, con quattro rabbiosi morsi distrussi anche la fettina alla pizzaiola e sprofondai giù per le scale salutando mentre richiudevo la porta alle mie spalle. Scesi gli scalini due alla volta, andai in garage, montai in groppa al mio fido destriero, una femmina per la verità, un’Atala 24 giallo oro, con cambio a tre marce e raggiunsi i miei compagni. “Alla buon’ora Pietro! Stavamo per rassegnarci ad andare da soli!” Disse Sergetto non appena mi vide. “Che casino hai combinato su in casa? Oltre alle urla, mi sembra di aver udito il rumore della tua zucca vuota che sbatteva contro qualcosa di duro!” Fece eco Tonino con tono di scherno. “Andate a fare in culo tutti e due!” Li insultai. Però a voce bassissima, mica ero scemo del tutto! “Pietruccio! Non devi dire le parolacce, altrimenti Gesù bambino piange!” Mi canzonò Tonino. “Potresti ritrovarti all’inferno con tutte le scarpe, o potrebbe sentirti tuo padre, che è ancora peggio! Almeno all’inferno non ti mena nessuno!” Aggiunse Sergetto ridendo. Mostrai loro il mio piccolo dito medio alzato e schizzai via a rotta di collo, pigiando forte sui pedali. Tagliammo a fette le strette vie del paese, rigorosamente contromano, tanto a quell’ora, di domenica e d’estate, il Deserto dei Tartari era sicuramente più affollato. Percorremmo a tutta birra sia le discese che le salite; ma non i tratti in piano, per il semplice motivo che non c’erano. Un cazzo di paese abbarbicato su uno sperone di tufo senza un metro di strada piana; c’era da farsi il culo sulle biciclette, mica scherzi!
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ilmensorcelle · 5 years ago
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Non smetter mai di entrare da quella porta e ti guardarmi come solo tu sai, non smetter mai perché mi fai bene all’anima. Non smetter mai di uscire da quella porta e fermarti da dietro il vetro (come a far cucu) e guardarmi e salutarmi ancora anche se l’hai fatto due secondi prima. Non smetter mai di passare con il camion, girarti e guardarmi quando non guidi tu. Non smetter mai.
Il M’Ensorcelle.
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nooradeservedbetter · 7 years ago
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lo hai letto cronaca di un delitto annunciato? (SPOILER ALERT) se no, tra i vari pov c'è quello di un uomo che alla fine uccide moglie, suocera e compagno della moglie. Però prima di giungere a questo, il libro narra tutti i suoi pensieri, la perdita di un senso di vita, la depressione, nonostante le pillole dello psichiatra e boh, io mi ci sono rispecchiata troppo nel suo pensiero e questo mi spaventa tanto. Non ho istinti omicidi ma ho paura di diventare come lui e che perderò il senno.
Ehilà anon. Non l’ho letto, né, devo dire, ho intenzione di farlo, principalmente perché leggo praticamente solo saggistica, poi perché quando leggo narrativa in genere leggo un altro tipo di storie. Ho letto la trama, prima di risponderti :P
(Inoltre scusa il ritardo ma tra una cosa e l’altra, non è un periodo proprio splendido per me, quindi fare emotional labour richiede tempo e pazienza)
Dunque, parto dal dire che questo è un ask difficile, e che per parlare di queste cose più a fondo potresti provare con gli incontri gratuiti al consultorio, perché sicuramente ti possono dare più di un’opinione. Fai conto c’è il segreto professionale, non possono dirlo ai tuoi genitori.
Ora, sicuramente il fatto che sia così realistico è un punto per chi l’ha scritto, ma al di là di questo, ci sono alcuni fatti da considerare.
Il primo è che i pensieri intrusivi li abbiamo tutti. Io, tu, mia madre, mia nonna (pace all’anima sua), papa francesco... Possono essere di tanti tipi, dal semplice “omg adesso mi butto” quando arriva la metro (tip: non fatelo, perché poi la vostra famiglia deve pagare una multa salatissima allo stato) a roba tipo investire i pedoni mentre si guida. Esistono, ci sono, non significano che si sta perdendo il senno. Sono semplicemente lì.
Il secondo è che quando si tratta di violenza, in genere sono i ragazzi quelli che tendono a dirigerla verso l’esterno, mentre le ragazze tendono a dirigerla verso l’interno: ci si dovrebbe probabilmente preoccupare di più per il rischio di tagliarsi, o per il rischio di tendenze suicide.
[Oltretutto, “nonostante le pillole dello psichiatra” non vuol dire un beneamato, nel senso che trovare un terapista che ci vada bene è di per sé un’impresa, e o si è molto fortunati o ci si mette anni per trovare qualcuno che si incastri col tipo di persona che siamo. E le pillole possono servire a qualcosa ma non a tantissimo.]
Hai comunque molta coscienza di quello che sei, cosa che in genere a chi compie fatti del genere manca (ricordi quel video del tipo che ha ammazzato una decina di persone e secondo lui la colpa era delle ragazze che non gliela davano? eh). Se veramente sei preoccupata, non esitare ad andare nel consultorio di zona (o, se vivi in un paese, nel consultorio del paese vicino) e chiedi consiglio a chi si è laureato apposta per aiutare le persone. Poi mi fai sapere, okay?
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fragilefioccodineve · 6 years ago
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Mi fai bene all’anima
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pleonastico · 7 years ago
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mi fa stare bene passare del tempo insieme / mentre eravamo in piscina pensavo che per me è la prima volta / i tuoi tocchi di luce sulla mia pelle / ora lasci pezzi di te ovunque in casa mia - un bicchiere appena usato / così poi posso ritrovarti / vorrei farti leggere delle poesie di Montale / delle fotografie e uno scatto sfocato / mi fai bene all’anima
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onlylady4 · 6 years ago
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Brividi che vanno a coprire i lividi,
non so che effetto mi fai,
ma so che qualsiasi cosa tu faccia,
mi fa bene al cuore,
alla testa
e all’anima,
mi fa bene e basta,
mi va bene e basti..
@onlylady4
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alemicheli76 · 7 years ago
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    Ecco la terza e ultima parte dei miei consigli per l’acquisto.
Nella narrativa contemporanea esiste una grande piccola nicchia di libri che hanno un forte impatto sul sociale. Alcuni parlano di religione nel senso più ampio del termine, come un tendere dell’animo umano verso l’armonia. altri sono più di denucia sociale e ereditano l’arduo compito da Charles Dickens. E in questa magica festività, riflettere su noi stessi, sulle nostre ombre serve. per poter arrivare al nuovo anno, migliorati. O almeno si spera
    Narrativa contemporanea: Romanzo sociale
    Ci sono libri che in realtà rappresentano un vero essere un atto terapeutico. Questo avviene quando, assorbendo l’orrore in essi contenuto, che svela come nel mondo di oggi ci sia un eccesso di male, riusciamo a rulare il nostro sentito  NO.
Ci sono libri che nel disgusto provocato dagli eventi narrati, provoca nel lettore attonito un’acuta fame di bellezza, con una corazza di fede più lucente e con una volontà più salda. Ed è questo che fa di noi, semplici mortali, veri guerrieri della luce. Perché il vero guerriero non nega la mostruosità, ne prova pena e la combatte con la lucente spada della speranza. Sto parlando di
“Arrivederci all’inferno” di Luciano Dal Pont, Eroscultura edizioni.
    Vi consiglio questo libro proprio a natale?
Sì. Perché quando la luce diventa opaca e la fede sta in silenzio e diventa cieca, allora, il vero Male trionfa.
Coraggioso e agghiacciante, lucido resoconto della verità, è il romanzo di denuncia per eccellenza, capace di svegliare dal torpore sonnolento una parte del mondo che ancora oggi dorme.
Les Fleurs du mal
      Un romanzo moderno, sociale che renderebbe il buon vecchio Dickens davvero orgoglioso.
Un romanzo che finalmente e coraggiosamente asserisce che il male abita una parte della nostra anima, ne ha preso dimora e rischia se non si agisce di infettare il resto di noi. Ed in fondo è proprio così.
Un romanzo che libera il concetto da ogni forma di folclore e pastoie religiose  lo identifica come  disordine, come evento dannoso per la collettività e per il nostro prossimo è accanto a noi, è quell’abisso su cui noi ci muoviamo tronfi, perfetti giocolieri in bilico su un filo sottile, quello stesso che separa la sanità dalla follia. Quello che leggerete qua è un male seduttivo, il gusto del proibito, la volontà dominatrice che ci fa cozzare contro ogni regola e dogma. Ma è differente dalla fede portata con orgoglio sul bavero da molti satanisti. Non sarà un essere o una presenza nata dall’infernale girone, dotata di corna….
Il male che qua viene raccontato e che apre le porte alle nefandezze è il disagio sociale.
Sto parlando di “Il diavolo dentro” di Roberto Ottonelli, Delos digital edizioni.
      Ci sono libri che nascono  cosi, come se un’entità aliena avesse posseduto la nostra autrice dettandole pagine che si immergono nella luce della raffinata meraviglia, nei labirinti dei multi-significati e nella volontà altra, di dare senso a eventi che, davanti alla logica umana, senso non hanno ma vengono accettati come inevitabili: la guerra.
E in fondo la creazione artistica è questo, lasciarsi avvolgere dalla luce della musa di turno, perché funga da intermediario tra il mondo archetipo e quello umano, ricordando che la vita è molto più di quella che i nostri miseri occhi possono vedere e che sollevato il velo di Maya abbiamo la vera, autentica realtà.
Attraverso l’escamotage della storia d’amore, il testo abilmente, racconta e mostra altro, mostra la disperazione, l’orrore, la perdita di sé che lentamente si riacquista a contatto con il dolore, con la devastazione. Perché forse la guerra, la tragedia è questo: uno schiaffo che la vita ci regala ( si avete letto bene ci regala) per svegliarci dal pigro torpore della quotidianità e dell’abitudine.  Sto parlando di “Polvere sui ricordi” di Giorgia Golfetto, self publishing
        Raramente leggere un libro mi provoca un emozione tale da doverlo per forza metabolizzare. E ancor più raramente un libro supera la barriera della mia mente analitica, tanto da riposare direttamente in fondo all’anima e risvegliare in essa ricordi emozioni sopite. Eppure succede. In genere io quando leggo sono estremamente lucida. Amo cosi tanto l’arte e la bellezza da trovare un piacere irresistibile nel soffermarmi sui dettagli, analizzare lo stile, compiacermi di aver trovato similitudini e influenze, osservare con severità se la trama è coerente con il genere. Per me è un diletto assoluto quello della ricerca. Ma è un piacere quasi intellettuale, quasi distante dall’altra parte di me, quella che vive con passione e si sporca nel fango felice come una bimba.
Per me questo libro va soltanto letto. Non descritto. Non analizzato ma letto. E letto bene però. Letto con occhi diversi, con una mente che fa pace con il cuore. Letto a prescindere da cosa incontrerete perchè non sarà mai il vero messaggio. Leggetelo aprendo un’anima che ci fa paura quando vibra. Non lasciatevi sviare dalle trappole abilmente nascoste nel testo dal fastidioso pirata. Non vi fate affascinare da quella figura. Essa è li solo per mettervi alla prova, vi confonde il cammino e tenta di velare il messaggio. Perchè signori miei il bisogno di raccontarsi è forte ma altrettanto forte è il desiderio di nascondere, di camuffare il centro del libro, affinché colui che arrivi sia davvero cosi degno da aver superato a testa alta le prove. Perchè arrivare in quel centro, significa togliere strato dopo strato e abbracciare un’anima ferita, lacerata eppur ancora viva. Significa togliere la maschera e asciugare quel sangue rappreso da quelle ferite che non dimenticherete. Non si possono dimenticare. “Il pirata con il pulcino nel taschino” di Giordano Alfonso Ricci, self publishing.
        Potrei invogliarvi a leggere questo libro raccontandovi dello stile (eccelso) dell’autrice, dalla sua perfezione nel descrivere psicologicamente i personaggi (nulla da invidiare alla coscienza di Zeno) ma mi rifiuto di farlo. Perché quando un libro è cosi, le parole sono superflue. Non parlo della bellezza. non posso raccontare un dramma che è al tempo stesso redenzione.
  Posso solo lasciarvi con delle parole che, secondo me riassumono il libro
Era partito per fare la guerra
per dare il suo aiuto alla sua terra
gli avevano dato le mostrine e le stelle
e il consiglio di vender cara la pelle 
e quando gli dissero di andare avanti
troppo lontano si spinse a cercare la verità
ora che è morto la patria si gloria
d’un altro eroe alla memoria 
ma lei che lo amava aspettava il ritorno
d’un soldato vivo, d’un eroe morto che ne farà
se accanto nel letto le è rimasta la gloria
d’una medaglia alla memoria.
Fabrizio de Andre
    Che il libro possa irrobustire davvero la vostra coscienza. “Soldier series volume primo. Oltre le nuvole” di Stefania Mortini, self publishing.
        E cosi, davanti allo sfacelo di quella meravigliosa creazione, in cui Dio in fondo cresceva con noi, si spezzava per, ironia della sorte, ingrandirsi (perché solo perdendo si accresce) si ritrova a vedere l’uomo, la sua scintilla, quella che doveva sperimentare il mondo ampliando esso stesso l’energia divina dispersa, un’energia che doveva tornare ancora più pura alla fonte, perché chi è messo alla prova deve dare il meglio di sé, si trova privo di speranza. L’uomo rinnega il sogno e l’appartenenza…
Immagino il volto etereo di un Dio che ci crea, accorgersi che quella creatura per cui ha sfidato anche l’amore dei suoi angeli, fino a accettarne la ribellione, sputa letteralmente sul dono più bello: la vita. E abbraccia quel male che fornisce sollievo immediato, è un placebo per il suo narcisismo e soprattutto non gli chiede costantemente di farsi domande.
Perché, in fondo, questo è Dio. È la nostra coscienza, quella capacità di dirsi attraverso quel cristo figlio dell’uomo, che in realtà siamo noi stessi, quella parte perfettibile su cui bestemmiamo chi sei e cosa cerchi.
È stancante per un uomo, allenato all’immediatezza al tutto subito, alla filosofia pret a porter, impegnarsi a comprendere e comprendersi. La morte, il dolore gli fanno ribrezzo e cosi volta il viso disgustato abbracciando l’effimero, quel Mammona che ci dice costantemente “Non è vero che non di solo pane vive l’uomo. Guarda puoi avere tutto, bellezza fama, successo, soldi, solo in cambio della tua anima. Cosa te ne fai dell’anima? Ti fa provare emozioni! Ti fa versare lacrime, ti impegna a costruire una vita che possa salire al cielo e rendere onore al creatore. E cosa ti dà il creatore in cambio di tutto questo? Morte, fatica, sangue e polvere. vieni con me….”
E cosi l’uomo cede, ogni giorno, ogni secondo ogni ora.
Cosa deve fare un’energia divina che è fatta di tutto e tutto comprende?
Che si toglie parte di sé, della sua essenza per darci quella libertà che gli angeli non hanno?
Dio si addormenta. Per stanchezza forse. Colpito da un senso atroce di amarezza. Forse per non vedere e sognare un mondo diverso. e non fosse Dio morirebbe di crepacuore. E invece dorme. Lasciando incustodita tutta la sua creazione e dando l’avvio alla guerra millenaria per il dominio della terra: gli angeli da una parte capitanati da Azarel bella e fiera sprezzante e spaventosa e Lucifero, pieno di livore, di rabbia, di senso di vendetta contro colui che lo ha dannato. Una poesia che risplende nell’incanto di un libro che è qualcosa di più, è coscienza fatta carne: “Il sonno di Dio” di Giovanni Galaffu, Eretica edizione
          E ora addentriamoci nelle strade intricate del romanzo neovittoriano con due titoli strabilianti:
  La Londra vittoriana, splendido esempio di una nazione che diventava una delle maggiori potenze commerciali e industriali ma anche simbolo di decoro, rispettabilità progresso, morigeratezza tutte le caratteristiche che, sembravano ulteriori conferme di un grande progetto di vita. Tutto questo racchiude il fascino dell’epoca vittoriana, lo si ravvisa nella fede del progresso e dell’evoluzione, nella scienza che inventava sempre nuovi modi per combattere il tempo, la natura e perchè no, anche porre un freno al regresso umano. Eppure, come ci hanno rivelato scrittori al pari di Dickens, quella perfetta macchina da guerra che innalzava la bandiera del divenire umana come baluardo contro i tempi oscuri, nascondeva sotto lo strato di perbenismo borghese il suo lato più oscuro, marcio oserei dire.
Ed è quello strato che la perfetta penna di De Angelis va a raccontare.
Una storia apparentemente banale, che cela in se i drammi e il fasto di un epoca che appassiona e atterrisce al tempo stesso poiché sacrifica sull’altare del progresso la libertà individuale. E questa libertà è abilmente simboleggiata nel racconto dalla poesia.
Perché odiare cosi tanto la poesia? Cosa spaventava di quei versi che sono giunti a noi e che sono musicali, perfetti nella loro metrica lirici come un canto, perfetti esempi di alta letteratura?
Scopritelo leggendo il meraviglioso ” Il mistero di Paradise Road” di Pietro de Angelis, Elliot editore.
      Una volta letto questo libro sarà difficile e tragico tornare alla realtà, ma sicuramente ci torneremo più ricchi, più forti di quando, per mano di un tale talento, ci siamo addentrati nel mistero che non è soltanto di Paradise Road ma di ciascuno di noi.
    Questo è un libro fondamentalmente storico. Racconta si le avvincenti vicende di una ragazza che si affaccia alla vita e all’amore, ma soprattutto, ambisce a descrivere una società controversa, ambigua piena di ombre e di luce, che affascina da sempre, chi come me adora la storia: il periodo denominato vittoriano e riesce a riunire in se tutti i suoi elementi caratterizzanti.  questo libro riesce a amalgamare le influenze diverse dei grandi maestri dell’ottocento senza che, queste soffochino una sua peculiare originalità di fondo.
Il testo risulta cioè, classico in quanto richiama lo stile linguistico delle grandi autrici: manieristico, poetico e con quell’afflato verso una ricerca di qualcosa che possa dare senso a un’età che si dibatteva tra due opposte tendenze, senza riuscire a decidere quale seguire. Si riscontra l’ipocrisia  bigotta tendente a  soffocare la creatività troppo libera della fantasia, che poi  lungi dall’essere persa o dissolta, sfociava inesorabilmente, nelle grandi scoperte scientifiche, nella letteratura di ogni genere e forma. Sempre però, con un occhio guardingo, sempre con sospetto, sempre con quella recondita paura di perdere quel poco di identità necessaria alla sopravvivenza. Si ritrova la condizione femminile bloccata, controllata da inflessibili  norme di convivenza sociale che apparivano dissonanti in un mondo che, inesorabilmente cambiava, ma proprio per tale motivo diventavano indispensabili per tenere insieme una società che barcollava sotto la spinta della modernità. Si ritrova l’ossessione della sessualità, repressa e fonte di curiosità, tanto da sfociare più tardi nei racconti orrrorifici di stampo vampiresco.
Ma al contempo dona un elemento moderno, impersonato dal narratore esterno e dai pensieri della protagonista che si proiettano in un futuro prossimo, come se la fantasia (ed è la realtà straordinaria di quel potere mentale che abbiamo inserito nella corteccia cerebrale) potesse essere un punto di congiunzione tra presente passato e futuro…..Ed è questo l’elemento originale quello che non troveremo, nelle sorelle Bronte, nella Woolf. Queste autrici, seppur dotate di una notevole modernità, restano inevitabilmente e senza possibilità altra, figlie del loro tempo. La loro ribellione è sicuramente un valore che oggi noi esaltiamo, ma che rimane al margine, che rimane una volontà inconsapevole di donne che , erano soltanto coscienti di un fuoco creativo che non potevano domare se non andando contro alcune e sottolineo alcune, regole.
Ma l’autrice, nata nel mondo di oggi ha una consapevolezza lapalissiana di se, del ruolo femminile, dell’identità personale e umana di ognuno, della necessità tutta contemporanea del dovere che ogni essere umano ha di essere felice. Realizzato. Completo, anche a scapito dei principi sociali che, possono essere contestati e rielaborati, se non si dimostrano idonei allo sviluppo personale e psicologico.
Ecco che unire lo stile vittoriano, come influenza letteraria, non significa copiare un’autrice del passato, significa apprendere uno stile, una modalità di scrittura elaborandola con la mentalità odierna. Ed è la dote straordinaria dell’autrice. E unire in una tela di rara bellezza, passato e moderno senza sacrificare il necessario linguaggio vittoriano, senza alterare l’espressione fondamentalmente rigida di un romanzo storico.  Il diario delle cose improbabili di Federica Auriemma. Self publishing
      E arriviamo al mio amato thriller con titoli davvero da brivido!
  Il geniale autore in questi due testi risponde alle domande fondamentali che attanagliano la mente:
Come intende raccontare Gerosa il male?
E’ questo l’elemento interessante e distintivo del thriller: più che spiegare la genesi che porta a una strana commistione di fissazioni e pazzie, con complicate teorie psicologiche e criminologiche ( non posso svelarvi altro ma invitarvi a leggere attentamente il libro. Il mio ruolo è di fornirvi elementi per inquadrarlo) l’autore parte dalle conseguenze della follia omicida….
  Chisi occupa della giustizia a in particolare quelli che sono quasi argini per un male che sembra inarrestabile, deve rispondere a un quesito importantissimo che riguarda non solo il loro lavoro ma anche l’animo umano: cosa spinge una persona, apparentemente sana, a commettere atrocità?
  Cosa c’è nel nostro io, di cosi oscuro, capace di azionare l’interruttore che scatena la brutalità più impensabile?
Forse questi libri non risponderanno alle vostre domande, ma sicuramennte la prospettiva che vi racconteranno aiuteranno voi stessi a provarci: Granelli di sabbia e Oscura memoria di Andrea Gerosa, self pubblishing
          Sherlock Holmes? Hercule Poirot? Maigret? Montalbano?
Scansateve.
Sta per arrivare Pestalozzi a dominare il giallo!
Amanti di Wilkie Collins, nostalgici dell’ispettore Auguste Dupint di Edgar Allan Poe, non riuscirete, fidatevi, a restare indifferenti al genio ironico, grottesco e totalmente sconveniente di questo personaggio. Esilarante e polemico. Geniale e dotato di un acume che ci ricorda da lontano i grandi detective del passato. Ma con una vena politicamente scorretta che, oggi fa la differenza. Perché esacerbata in cotale maniera, diventa specchio e sberleffo della nostra tragicomica società. Mai come in questo caso si ride dei difetti e delle ipocondrie umane, si demoliscono i miti, persino i sentimenti, si scoprono quei lati che la psicologa junghiana Pinkola Estes chiamava il non bello. Perché oggi, anche il giallo è dotato di apparenza: machismo durezza e alterità fanno da contorno a noir impaccabili, perfettamente radical chic, con la loro ansia da prestazione per potersi distinguere dalla cultura popolare, per essere elevati al rango di libri di alta letteratura. come se il giallo avesse colpe da espiare, o fosse catalogato come genere di serie B tanto da doversi inserire tra la letteratura classica e il romanzo sociale. Sto parlando “L’Agghiacciante caso del gatto nella minestra” di Claudio Vastano, Dunwich edizioni.
      Non solo un giallo fantastico, con ogni elemento caratteristico del genere, non soltanto un libro che fa ridere e sorridere, ma anche una satira acuta di una società che decade lentamente, che si rende sempre meno persone e più oggetti. che sacrifica il sentimento alla posizione e alla sicurezza economica. E il gatto? è il protagonista stesso del testo, ma per comprendere il suo importante ruolo dovete leggerlo. E quando un agguerrito micio scapperà di corsa a nascondersi in un tegame ricco di cibarie, avrete sicuramente qualche elemento marcio da stanare e qualche pericolo da evitare.
      La Casella con uno stile agghiacciante e ricco di pathos non fa sconti, affonda la penna nei meandri dell’oscurità dell’animo umano, delle sue distorsioni, facendo camminare i suoi protagonisti sul filo di un rasoio e non impedendo loro la definitiva caduta con un finale idilliaco e dedito alla giustizia. La Casella racconta tramite uno straordinario personaggio femminile, privo di leziosità, di giustificazioni ( ricorda la bellezza del taglio giornalistico di Cinzia Tanzi e la sarcastica crudeltà di Maestra della Hilton) l’abisso inquietante in cui ogni essere umano è sospeso….Noi siamo da sempre protagonisti di un’eterna lotta non tra bene e male, ma tra sanità e pazzia, tra abisso puro e paradiso armonico. Ed è questa lotta che ci rende vivi, vitali e creativi. Questo eterno scontro è ben rappresentato nel libro. Uno scontro che coinvolge ogni soggetto, che davanti alla bellezza folle di linda riesce a tirare fuori non il meglio di se ( argomento protagonista di tanti bei libri etici) quanto il marcio, il malvagio, il recondito desiderio di liberarsi da ogni vincolo morale, da ogni eticità, da ogni armonico inserimento nel contesto sociale. Amore obliquo di Terri Casella Melville self publishing.
      Ebbene vi confesso la mia debolezza. Io adoro, adoro dal profondo del cuore Alice di Carrol. E’ uno dei miei libri sacri, letto venerato analizzato, vissuto. Le sue frasi sono le mie citazioni. La sua storia è la mia linfa vitale, il mio universo segreto dove carico le energie perdute. Pertanto sono molto severa con tutti i riadattamenti di questo incredibile libro, pur considerandoli necessari perché esso resti eterno. Quando ho avuto tra le mani il libro di Staiano ero titubante e curiosa. Felice anche che il mio mito fosse di nuovo riletto e di novo dotato di vita. Certo il rischio che si rivelasse una delusione esisteva cosi, con un sospiro l’ho iniziato. E divorato in un giorno. Non soltanto perché è una scrittura divertente, soccorrevole e originale, ma perché Staiano ha davvero compreso, come solo chi ama Alice sa fare, il segreto di Wonderland. C’è da dire che l’autore ha Alice tatuato nell’anima ed è riuscito a comprenderne lo spirito profondo autentico di un racconto che non è soltanto favola fantasia immaginazione. Ed è questa sua empatia che gli ha permesso di giocare con il mondo di Wonderland, plasmarlo a suo piacimento, creare una nuova ma antica mitologia. Perché il paese delle meraviglie è in fondo la nostra anima, la parte istintiva folle e creativa di noi stessi. E’ il bambino che non adotta le regole del mondo e va in cerca del Bianconiglio sempre, di quell’entrata nel mondo illogico del non senso, l’unico che in realtà da forma e sostanza alla vita reale. Irrealtà e realtà si fondono nel libro creando un alchimia incredibile alla ricerca del filo rosso che condurrà a unire il mondo di Carrol antico, primigenio con un mondo moderno di cui siamo portatori con le contraddizioni e la sua meraviglie. Wonderland è il nostro alter ego, è lo specchio della nostra percezione della realtà, è il contenitore di miti, mitologie sogni, idee e colori che nascono dentro di noi. E solo chi comprende lo stretto legame tra questo mondo e l’altro può dominarlo.
In questo libro troverete  un mondo in crescita cosi come è in crescita l’umanità che lo ha generato. Tante cose dai tempi di Carrol sono cambiate, evoluzione e involuzione si danno la caccia e c’è bisogno di una nuova Alice, di una nuova vitalità che generi altre storie. Ed è in questa ricerca che si immette la novità che squarcia la bellezza di questo mondo: la sete di potere, quella stessa sete che consuma le visioni, l’immaginazione e che renderà Wonderland un posto diverso. Wonderland è il potere della mente e riuscirà a sopravvivere uscendone forse diverso, forse cambiato ma sempre sede di nascita dei sogni.  “Murders in Wonderland”di Roberto Staiano, Eretica edizioni.
    Che il viaggio di ritorno a Wonderland sia per tutti quello che è stato per me, una corsa ribelle, una linguaccia dissidente alla quotidianità, il mio no alla banalità di una vita senza magia. Staiano ha creato un piccolo grande capolavoro, una porta verso il numinoso, verso il mondo incantato di Alice. Ultima cosa. Ho sempre amato lo Stregatto e grazie all’autore oggi lo amo sempre di più e lascio che il suo sorriso beffardo mi accompagni alla fine di questa splendida avventura.
Les Fleurs du mal
          E poteva mancare la bellezza della poesia? No di certo
  Petrigliano non è il solito poeta.
Non usa una lirica aggraziata. Non crea armonia ma disarmonia. È l’opposto di chi si bea di una bellezza effimera. Petrigliano omaggia la disarmonia cronica, presente e intrinseca nell’essere umano e che ne disegna l’incredibile splendore.
Ed è questa tara, la sua perfezione. Ne è conscio e orgoglioso, quasi tronfio di quest’umanità chiassosa, irriverente e dissacrante. Un’umanità allo sbando, in cerca di una nuova identità, visto la distruzione sistematica di ogni sua tradizione. Nel suo totale rifiuto per l‘atteggiamento intellettuale, quasi dandy, l’autore lacera l’immagine del poeta come animo tormentato, come spirito che si eleva sopra la banalità e ce lo restituisce come uomo che elabora costantemente il suo quotidiano, ha bisogno di estraniarlo, esorcizzarlo quasi per poterlo metabolizzare meglio, così com’è senza abbellimenti, senza veli, né idealismi. Ed è dal basso di un substrato emotivo di pasoliniana memoria, politicamente scorretto, che emerge una saggezza antica, profumata di fango, fatta di terra e sole e aria.
Insomma, un mosaico di emozioni semplici, immediate, scartate dai grandi geni in favore di un realismo magico di kafkiana memoria, che adombra di colti significati anche l’elemento più banale. E invece, spesso, proprio questa propensione eccessiva verso la ricerca dell’interiorità a ogni costo, ci allontana dalla bellezza del quotidiano reale, senza fronzoli, né liricismi eccessivi. “Come poeta Dio non vale un cazzo” di Giuliano Petrigliano, Eretica edizioni.
        E ricordatevi…Dio è Dio. Non edulcora, non filosofeggia, non indaga. Non ha bisogno di domande: lui è le domande e risposte. Dio è atomo, struttura, coordinazione, matematica. È armonia della precisione delle catene di carbonio. È quella realtà della forma che noi dobbiamo illuminare di sostanza. Dio semplicemente è e diventa costantemente.
        Leggete ogni verso, ogni riflessione, fatela penetrare dentro di voi affinché conosciate il buio di una notte senza luna, quella che sorrisi accattivanti e egocentrismo mascherato da interesse tenta di divorare la nostra luce interiore.
Siete la bellezza resa viva, voi ogni donna che esiste. Voi miracoli di dio. Voi nate dall’unione cielo e terra. Voi nate non da una costola dell’uomo ma da un autentico soffio divino. La prima Donna fu Lilith. Eva è solo un prodotto maschile. ritrovare grazie a Rita la vostra Lilith interiore.
E tu Autrice di talento, grazie per questo scritto, grazie per aver raccontato il dramma e la speranza della resurrezione. Grazie per credere assieme a noi nel riscatto di ogni madre, figlia, nonna e nipote. Di ogni donna. “Ceramiche a Capodanno” di Rita Angelilli, Mezzelane editore.
      Una raccolta di poesie quasi grottesca, quella di Andrea D’urso, quasi un passatempo ilare. Ecco come possono apparire le sua poesie a una lettura superficiale. Ma, c’è un ma. Questa raccolta risponde a due importanti domande, quelle su cui tutti i poeti, artisti, scrittori si sono arrovellati nel trovare una risposta: cos’è la poesia? E qual è il senso della vita?
Tutti gli aspetti di questo nostro a volte comico viaggio umano, sono spesso abbelliti ,edulcorati da gradevoli a livello estetico sicuramente, abbellimenti. Ogni emozione anche la più sviscerale, la più immediata e fisica viene quasi circondata da un alone fatato. Troppo fatato. La poesia cosi, invece di mezzo per diversa percezione del reale, diventa una sorta di svista consapevole che orna di belletti anche gli elementi più terreni e primigeni. Come a voler giustificare la carnalità e la quotidianità dei gesti, come se in essi non aleggiasse la considerevole bellezza della vita. Magiare bere, lavorare, diventano soltanto parole a cui il poeta in modo snobbistico, inserisce significati alti, aulici eccessivamente lirici, privandoli cosi della loro bellezza. Se il poeta è colui che ha il coraggio la capacità e la follia di sollevare il velo illusorio della maschera o dello stereotipo, che senso ha allora liberarlo per poi sotterrarlo nel marasma dei liricismi?
Rubinetterie è diverso e pertanto molto più istintivo, più elegante nella sua semplicità di tanti tentativi di usare la rima per rendere accettabile la banalità. D’urso ci fa comprendere come nulla nella vita, tutto ciò che fa parte della vita è davvero banale. siamo noi alla ricerca costante di qualcosa, cosa sia quel qualcosa non ci è dato sapere. E non è usando un linguaggio ridondante che la poesia svolge il suo arduo compito: in un mondo che è sottomesso alla massificazione alla globalizzazione deve semplicemente ( ma non è cosi semplice) restituirci la vitalità del quotidiano. Cosi senza veli ne orpelli inutili. Questo può essere fatto destrutturando i codici del passato, quelli considerati poesia colta, per inserirvi nuove modalità che spaziano dal non sense, all’ironia seria di D’Urso.  L’indifferenza e la noia possono essere combattuti con scoprire il segreto di questo nostro viaggio ossia non è importante dove si va quando piuttosto mantenere un atteggiamento fanciullesco di meraviglia costante. E d’Urso lo riesce a fare. Dissacrante e volte ma con quella ingenuità verace e giocosa del bambino Andrea si muove in un mondo che in fondo non ha bisogno. “Rubinetterie” di Andrea D’Urso, Eretica edizioni.
        E per ultimo, una serie di libri che appartengono al favoloso regno del mito:
  Vi piacciono i vampiri? Amate la buona cucina?
  Ecco per voi un libro classico e moderno, in cui il sangue diventa il mezzo in cui si può sfuggire non solo a regole dei comuni mortali ma anche dalle loro trappole e gabbie morali che spesso sviliscono e imprigionano la donna. Tramite il vampiro, la protagonista sboccia in tutta la sua pienezza, in tutta la sua morbida bellezza come immagine di antiche dee remote.
Ma il vampiro sfida anche la morte, è colui che supera l’atavica paura dell’ignoto e la ricerca non tanto dell’immortalità ma di una capacità perduta di transitare tra due mondi che ci appartengono di diritto.Il vampiro vero,  dispensa vita come dispensa morte, come se lui stesso fosse un misterioso dio tribale, dipinto a lettere brillanti nel nostro inconscio. Questo non è fatto però in modo indolore. Ma essendo stato uomo, conserva la memoria mitocondriale della sua umanità e la sua violenza  animalesca, se non controllata, viene limitata dal senso di colpa. (un tema inaugurato splendidamente da Anne Rice) Il vampiro non è perfettamente felice e privo di coscienza. Il vampiro sperimenta una profonda sofferenza esistenziale. Sono creature che vivono nel mondo, hanno bellezza, intelligenza cultura, conoscono tutto e tutto hanno visto ma ne sono osservatori esterni. Non fanno parte del mondo lo attraversano. Sono sospesi. Ranieri non è geneticamente maligno o amorale. Ranieri può scegliere sapendo che la scelta comporta o serenità o senso di colpa. Ed è questo senso di colpa che limita la sua sfrenatezza. Ranieri non ha remore a uccidere, ma uccide solo chi considera pericoloso, corrotto o destinato alla sofferenza.
Ultimo questo libro è femminista.  Direte femminista uno che divora letteralmente le donne?
Si ragazze. Il vampiro, pur essendo parte di un retaggio leggendario antico, deve la sua fisionomia odierna proprio a una delle epoche cosi controverse della storia: l’epoca vittoriana. In questo secolo esisteva un timore inquietante verso la donna e soprattutto verso la sua sessualità. Cosi la rigida morale vittoriana si prefiggeva di tenere a bada l’umore pericoloso per il vivere comune della donna. All’epoca in cui fu scritto il Dracula di Bran Stoker le donne scendevano in piazza per ottenere emancipazione voto, mentre il resto della società si aggrappava a ideali vittoriani di purezza e religiosità. Mentre il mondo cambiava si serravano le righe dell’ortodossia e del perbenismo. Ed ecco che in questo clima soffocante emergeva il simbolo della sessualità libera, sfrenata, giocosa, erotica del nostro buon vampiro. Tutto questo senza che la donna si sentisse colpevole; era lui che irretiva i sensi, era lui che le prosciugava in un’estasi senza fine. Era lui a rappresentare il bisogno di passione, di animalità della donna troppo costretta non solo da un corsetto strettissimo, ma da una morale che la sviliva. ” Caldo Sangue” di suanna F. Roberti, Delos digital edizioni.
          Solo chi come me è cresciuta con le magiche storie celtiche  può capire, davvero fino in fondo, la delicata magia di questo romanzo. Fionn, Cu Chulainn, Gwidion, Gwenhwyvar, Ceridwen, Bran il benedetto, la bianca dama, eroi e persino il lupo Fenrir ( di norvegesi richiami, figlio della Dea degli inferi Hel e Miðgarðsormr) tornano, finalmente ad avvolgere radiosi la fantasia del lettore. Non solo la mia, la vostra. La nostra.  Una storia nuova ma dal sapore antico, presente in noi, nel nostro DNA, incisa nei genomi di un popolo che ha usato le divinità per esprime l’eterna dialettica tra forze opposte, quelle che un tempo lontano hanno dato forma e sostanza al nostro mondo. Ordine e caos, o bene e male si incontrano in un lungo eterno braccio di ferro che incidono profondamente sullo svolgere di eventi umani, secondo l’antica saggezza ermetica cosi in cielo così in terra.
Aaorn è il collante di questo scontro, colui che dotato della seconda vista è accettato al cospetto di queste divinità, di questi Faerie (corte oscura e corte luminosa) e rappresenta l’ago della bilancia da cui l’eterna lotta dipende. Sarà Aaron in virtù della sua natura di mezzo a dare forza a una o all’altra parte. Perché Aaron è il prescelto, colui capace di ripristinare il collegamento tra i molteplici mondi. Molteplici mondi direte voi? Si miei lettori. Il fantastico mondo celtico e norreno, ha una visione dell’universo che affascina e che Claudio Massimo inserisce con perfezione e eleganza. E vi informo che io, appassionata di leggende e mondo celtico quando mi approccio a un libro che brama di raccontarne, in chiave romanzata l’essenza, divento estremamente severa. Ma in queste pagine, bellissime, poetica, ariose, non c’è nulla da recriminare ma solo da raccontare, affinché anche voi possiate beneficiare di quell’odore muschiato caratteristico dei regni fatati.  “Aaron e gli dei combattenti” di Claudio Massimo, Lettere animate edizioni.
      Ed è nel campo della mitologia così nebulosa che l’autrice dà prova di genialità, collocando il suo romanzo in questo tempo non tempo. Pertanto non troveremo una dettagliata analisi storica ma più che altro riferimenti reali alla vita egizia, non collocabili in modo preciso o puntuativo.
Il romanzo della Pellegrino si muove sul filo della leggenda, dove tutto esiste in possibilità non manifesta e dove troviamo tutte le caratteristiche della civilizzazione che verranno poi trasferite nel mondo che farà del tempo, dalla data, il suo metro di misura. Vi troverete al momento X laddove lo scontro tra forze motrici, bene e male, darà l’avvio alla civiltà.
E la nostra Ayli è proprio l’ago che aiuterà le due forze che denominerò Seth (il caos) e Horus ( l’ordine) a, sì, scontrarsi ma anche a compenetrarsi, per dare finalmente avvio alla rinascita.
In un calzante susseguirsi di eventi che hanno come obiettivo principale il risveglio del potere della prescelta, la nostra autrice pone le basi per quello che diventerà una saga fantasy di tutto rispetto. Qua troverete gli ingredienti principali, in un parossismo di tensione, quasi irritante, che nel precipitare degli eventi ( la forza oscura che si risveglia) ci daranno i dettagli necessari per seguire la nostra eroina durante il suo apprendimento. E cosa dovrà imparare? Semplicemente a conoscersi, a fare amicizia con un potere che le appartiene ma che è comunque un estraneo che minaccia l’imperturbabilità della sua comoda esistenza.
Perché il prescelto deve, necessariamente, staccarsi dal quotidiano e fare del tempo mitico la sua dimora preferenziale. E questo rappresenta uno shock non solo culturale ma emotivo. Se l’uomo tende a volersi adagiare nella staticità, nell’equilibrio e a raggiungere una sorta di stabilità interiore ed esteriore, altre forze inconsce, presenti in sé, lo spingono a creare nuovi stimoli che lo portano sempre oltre i limiti imposti dalle convezioni sociali.
“Le dodici porte. La scoperta del segreto” di Veronica Pellegrino, self publishing.
      Un’imponente rievocazione di un genere spesso vilipeso. Una serie di intriganti simboli e una trama classica eppure moderna. La grandiosa Fedor Galiazzo ha permesso al fantasy italiano di sdoganarsi dal cliché di genere letterario di svago, per precipitarlo con orgoglio nel panorama della letteratura colta. E spero che la lettura di questo testo che è più di una semplice fiaba, possa essere fonte non soltanto di bellezza ma di sapere. E ci possa restituire quelle nostra radici, ammuffite e un po’ ammaccate. La cultura popolare deve tornare a guidare i nostri passi e a dirci finalmente non solo chi siamo ma ci potremmo essere. “Il cavaliere di bronzo” di Fedor Galiazzo, Le Mezzelane Casa Editrice.
      E infine, buona lettura e Buon Natale!
Alessandra Micheli
  I libri sono stati i miei uccelli e i miei nidi, i miei animali domestici, la mia stalla e la mia campagna; la libreria era il mondo chiuso in uno specchio; di uno specchio aveva la profondità infinita, la varietà, l’imprevedibilità. Jean-Paul Sartre
  qui?” Cosa leggere a Natale. Consigli per gli acquisti ultima parte. A cura di Alessandra Micheli Ecco la terza e ultima parte dei miei consigli per l’acquisto. Nella narrativa contemporanea esiste una grande piccola nicchia di libri che hanno un forte impatto sul sociale.
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itsmesantana · 8 years ago
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E siamo solo a martedì!
Settimane che iniziano bene. Mi si è rotta la piastra per i capelli dopo 5 anni, vani i tentativi di rianimarla, non c’è stato niente da fare. Mi ha lasciata con i capelli metà piastrati e metà no, con un risultato deplorevole. Io senza quel prezioso oggetto praticamente non vivo, tutti i giorni anche più volte al giorno se necessario. Si, lo so che rovina i capelli ma sono fortunata perché non sembra che io li stressi così tanto, poi li taglio e (una gioia!) mi ricrescono in fretta. Quindi si, domani andrò alla ricerca di una piastra nuova e devo andare tipo a mille mila km perché sia mai che qui trovi il negozio. Ok la smetto di essere materialista fino alla fine, però mi ha scosso. 
Sono di buon umore in questo periodo, non troppo, rimango la solita ansiosa rompiscatole lamentosa però quando riescono a strapparmi un sorriso è sempre cosa buona e giusta e il fatto che lo faccia qualcuno che conosce così poco di me mi fa piacere. E io che credevo di non piacerti, di essere troppo poco, troppo piccola, troppo bassa, troppo strana! Invece i: ma perché ti fai tutti questi problemi? fanno bene all’anima. Ed è per questo che mi sono lasciata andare, perché l’autostima è salita a livello 1 e basta davvero poco per farmi stare bene. Non ho troppe aspettative per il futuro, ed è giusto che non ne abbia, però mi sento coraggiosa e più indipendente, tanto che sto per fare una piccola, ma grande pazzia. Anzi due!
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