#meridione d'italia
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“ Nella parte vecchia Lecce è suggestiva, dicono barocca, comunque barocca o no è bella, sa di pace di paese, due ragazze mature si passano di mano ammirate un lenzuolino ricamato, sorridono molto compiaciute. Al sommo della salita, da lassú potevi vedere Tricase-porto. Con il suo mare verde. Allora giù a rotta di collo con le biciclette scassate. Biciclette senza sella, senza pedali, senza freni, senza manubrio, senza ruote. Giú con le biciclette a correre verso il mare. Più scivolavi giú, piú sembrava che si allontanasse finché eri già lí nella sabbia, tra le onde. Io e Tonio. Tonio era una specie di scemo. La madre siccome quando era piccolo era molto triste, piangeva giorno e notte, gli aveva dato molta "papagna" (papavero). Tanta di quella papagna per farlo stare buono che gli aveva toccato il cervello. I contadini usavano molta papagna per i bambini troppo agitati, troppo piagnucolosi. La notte era notte e dovevano dormire per la dura giornata nei campi l'indomani, allora un po' di droga ed il piccolo era sistemato. Poi ce n'era tanto di quel papavero nelle campagne salentine! Giú con allegria verso la sabbia, verso le onde spumose, verso i fondali misteriosi, ci pulsava in gola una gioia irrefrenabile e facevamo "uuuh" "uuuh" alle curve. Tonio faceva "uuuh" "uuuh" ed io lo accompagnavo "uuuh" "uuuh". Giú ci aspettava il mare. Sulla collina tra le biciclette soffiava un vento che ci gonfiava le camicie. Su il vento, giú il mare. “
Tommaso Di Ciaula, Prima l'amaro e poi il dolce. Amore e altri mestieri, Feltrinelli (collana Franchi Narratori, n° 33), 1981¹; pp. 88-89.
#leggere#citazioni#passato#bambini#Lecce#libri#estate#Tommaso Di Ciaula#Salento#Tricase#nostalgia#meridione#Prima l'amaro e poi il dolce#Mezzogiorno#letture#Barocco#Mezzogiorno d'Italia#spensieratezza#mar Adriatico#allegria#ricordi d'infanzia#vita di paese#XX secolo#biciclette#sud#Terra d'Otranto#amicizia#amici#gioia#mare
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Mentre la Meloni si compiace sul social, citando assurdi sondaggi di "Libero" (il solo nome del giornale fa ridere, lettori 5, la Meloni, la sorella, il cognato, Salvini e lo stesso direttore), sta passando quasi sotto silenzio un fatto di una gravità inaudita accaduto a Crotone, dove un vice ispettore fuori servizio, è stato costretto prima a sparare (e uccidere) per auto-difesa, per poi essere linciato in strada dagli altri suoi aggressori e persino dai parenti del morto, scesi in piazza all'istante, manco fossero stati Zulu in agguato, nascosti dietro l'erba alta sulle colline sudafricane contro l'Esercito di Sua Maestà La Regina.
La Calabria va MILITARIZZATA.
Così come larghe parti della Sicilia , Napoli e la sua provincia e altre zone del sud, specificamente delle province di Bari e Foggia.
Non c'è altra soluzione e non è mai esistita altra soluzione se non la militarizzazione, i blindati per le strade, i fucili d'assalto spianati, le calibro cinquanta pronte all'uso, sui mezzi.
Queste larghissime sacche di popolazione delinquenziale ed animalesca , che popolano il nostro meridione, e IO SONO UN MERIDIONALE, vanno ESTIRPATE come la gramigna.
Una volta e per sempre.
Esse non rappresentano sparute minoranze, ma veri e propri ESERCITI DI CRIMINALI E BESTIE FEROCI in percentuale più che significativa, rispetto alla popolazione totale.
Interi quartieri, alle volte interi paesi, vivono al di fuori della legalità, completamente al di fuori, costituendo zone franche criminali.
E gli eserciti si combattono attraverso altri eserciti, meglio armati ed equipaggiati.
Casa per casa.
Casa per casa, strada per strada, vicolo per vicolo, con tanto di COPRIFUOCO e legge MARZIALE.
Solo così, questa piaga potrà essere debellata dal nostro meridione d'Italia, solo così potrà esserci il nostro riscatto, il nostro ingresso nella PIENA CIVILTA' , che ci viene negata dai tempi del brigantaggio ottocentesco.
Invece di postare CAZZATE, la Meloni ci facesse sapere, stesso mezzo, come intende risolvere questa questione, sulla quale non si è nemmeno espressa, idem con patate Piantedosi.
O pensiamo solo all'Ucraina e al Medio Oriente, invece che a far pulizia in casa nostra ?
Giuseppe Sabatino.
#mafia#camorra#'ndrangheta#sacra corona unita#Sud Italia perduto#questione meridionale#mezzogiorno d'Italia
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La mattina del 16 agosto 1972, lo Ionio, bacino del Mediterraneo orientale, restituisce alla storia contemporanea la vecchia storia. Il volto iconico e il corpo statuario. La lingua greco antica.
Dal ventre ionico del mare di Riace, a Porto Forticchio, riemergono il petto e la schiena della Magna Grecia. La massa del tricipite, il volume della coscia e la caviglia snella.
Supini, occhi fissi in superficie, spalle atletiche, braccia vigorosamente pronunciate, cosce elaborate secondo la forza umana, zigomi pungenti, e bocca bruna da baciare. Due guerrieri nel mare nostrum.
Il sub Stefano Mariottini, a 300 metri dalla costa del mare di Riace, e a 8 metri di profondità, rinviene, depositati sul fondale, ricoperti da pugni massicci di sabbia, due statue bronzee.
Chi è la?
Lo Ionio, sempre clemente e mai avaro, fa l'omaggio più bello che un mare del Sud avrebbe potuto fare al suo Meridione di terra, offrendo ciò che per ben 2500 anni circa ha custodito. Guerrieri bronzei di manifattura ellenica, con cui la spuma greca del mare di Calabria, ha visibilmente giocato per secoli, elaborando ricami, miriade di piccinissime incrostazioni, stratificazioni di sale e chiazze di ossido.
Sulla via degli antichi greci, il mare ritorna ai postumi i suoi Grandi Padri. Il bronzo B e il bronzo A, il vecchio e il giovane. Tenuti a pubblico battesimo come "I bronzi di Riace".
Un'offerta degli Dei al nuovo mondo. Un complesso di meraviglia stravagante e spettacolo puro, piacere della carne e sublimazione dello spirito. Stato umano di sbalordimento.
Alti rispettivamente 1,98 e 1,97 m, per un peso di 160 kg. Risalenti alla metà del V secolo a.C., con un carico di mistero che li rende praticamente bellissimi. E li fa oggetto di grande ammirazione, di pubblica lode.
I bronzi diventano immediato emblema di una storia unica, sempiterna, rivelata dal gaudio, il lume, il dolore e la gloria, ma velata da un mistero straordinario, irraggiungibile nella normale contemplazione, vivo al di là di ogni ragionevole orientamento, pervaso di reazioni cariche di fascino, in grado di donare ai due guerrieri ulteriore valore storico, artistico e culturale. In una misura che ovviamente non è comune in termini di doti e capacità.
I bronzi di Riace hanno una ritmica impossibile da riprodurre, l'immenso che riflettono li sottopone alla cadenza di un tempo illimitato e indefinito. Indistruttibile e interminabile.
Senza uguali e senza simili, affermato e indiscusso marcatore distintivo identitario della Regione Calabria, seppur patrimonio dell'umanità intera, nel 50° del loro ritrovamento in mare, di cui oggi, 16 agosto 2022 si celebra la grande festa, ancora una volta raccontano l'immortalità del loro tempo, la durevolezza della storia, l'indistruttibilità dell'arte.
Dal 1972, imponenti e fieri, i bronzi di Riace, si offrono nella loro interezza, nudi e abbaglianti, al Museo di Reggio Calabria. Da ogni parte del mondo, per questo compleanno della storia di cui essi sono la goduria e il piacere, è verso il MARRC di Reggio che invito a organizzare processioni di aerei, macchine, pullman. Colonie di giovani. Ciò che sarà visibile ai vostri occhi è di sconcertante bellezza. Verrà naturale prostrarsi innanzi ai Bronzi come coi Santi, che mentre i Santi sono nicchie sacre a custodirli, i Bronzi li custodisce la Calabria. La culla della Magna Grecia.
Percorrendo il chilometro più bello d'Italia, come lo definì il D'Annunzio, arriverete nella casa in cui I bronzi di Riace, carichi di vigore e bellezza, vi incanteranno. Qui comprenderete che la Calabria, con il suo carico di Magna Grecia, non è una trovata qualunque, ma una verità assoluta.
Poi dirigendovi verso la costa Ionica, sostate a Riace, immergetevi nello Ionio, i Bronzi laggiù fanno sempre magie, raccontano cose che non si sono mai dette.
Buon compleanno ragazzi, buon cinquantesimo miei eroi. Buona festa, Bronzi, e che la bellezza vi accompagni sempre. Anzi, porti innanzi a voi il mondo intero a stupirsi.
Giusy Staropoli Calafati
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La #Russia di #Putin punta all'eliminazione di #GiorgiaMeloni dalla scena politica in modo, con governi italiani deboli, da poter prendere silenziosamente il controllo dei porti del Meridione d'Italia.
#GovernoMeloni
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Il dialetto meridionale: un patrimonio ricco di storia e identità
Nel cuore del meridione italiano, il dialetto meridionale risplende come un tesoro linguistico, custode di una storia ricca e complessa. Questa forma di espressione linguistica, sebbene spesso trascurata o sottovalutata, rappresenta un pilastro fondamentale dell'identità culturale e storica delle regioni meridionali d'Italia. In questo articolo, esploreremo il mondo affascinante e variegato del dialetto meridionale, sottolineandone l'importanza e il ruolo nelle comunità del sud. Il dialetto meridionale: una melodia di suoni e parole Il dialetto meridionale è noto per la sua melodia e la sua ricchezza fonetica. Ogni regione del sud d'Italia ha il proprio dialetto o vernacolo, e spesso i dialetti possono variare in modo significativo anche tra città vicine. Questa diversità linguistica è un riflesso della storia complessa della regione, caratterizzata da influenze linguistiche e culturali di varie civiltà che hanno lasciato il segno. La storia del dialetto meridionale è intrecciata con le vicissitudini della regione nel corso dei secoli. Durante il periodo delle invasioni barbariche, le popolazioni locali svilupparono forme linguistiche distintive per proteggere la propria cultura. Successivamente, il dominio normanno e la presenza di diverse dinastie come gli Aragonesi e i Borboni contribuirono a plasmare ulteriormente il dialetto meridionale. Per molti abitanti del sud d'Italia, il dialetto rappresenta una parte essenziale della loro identità culturale e sociale. È spesso attraverso il dialetto che vengono espressi sentimenti profondi, usanze locali e tradizioni familiari. Questa forma di comunicazione crea un senso di appartenenza e di continuità con le generazioni passate. Il dialetto nella vita quotidiana Il dialetto meridionale è ancora oggi una lingua viva nelle regioni del sud. Molte famiglie lo utilizzano nella vita di tutti i giorni, specialmente nelle comunità più tradizionali. È comune sentire il dialetto nelle conversazioni tra parenti e amici, nei mercati locali e nelle feste popolari. In alcune regioni, come la Sicilia e la Campania, il dialetto è ancora insegnato nelle scuole come parte della cultura locale. Sebbene il dialetto meridionale sia una forma di lingua radicata nella tradizione, è anche un linguaggio in evoluzione. L'influenza della lingua italiana standard e dell'inglese (specialmente tra i giovani) sta cambiando gradualmente il modo in cui il dialetto viene utilizzato. Alcune parole e forme linguistiche tradizionali rischiano di scomparire con il passare del tempo. Patrimonio nazionale Il dialetto meridionale non è solo un tesoro culturale delle regioni del sud, ma anche un patrimonio nazionale dell'Italia. Queste lingue regionali rappresentano una parte fondamentale della ricchezza linguistica e culturale del paese, un vero e proprio ponte tra il passato e il presente. Il dialetto meridionale è un testimone prezioso della storia e dell'identità delle regioni meridionali e va custodito con cura. Per questo motivo, molte comunità meridionali stanno facendo sforzi per preservare e promuovere il dialetto. Festival culturali, iniziative educative, per esempio, sono diventati mezzi per conservare questa forma di espressione e passarla alle registrazione generazioni future. In copertina foto di Lorenzo Patti da Pixabay Read the full article
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INFRASTRUTTURE E CIVILTÀ
Sono a favore delle infrastrutture, lì dove sono integrabili con l'ambiente.
Non abbiamo delle ferrovie funzionali che collegano l'Adriatico al Tirreno, nemmeno l'AV sull'Adriatico. Però le tasse si pagano uguale, perché alcuni hanno servizi ed altri no?
Non realizzare dei servizi dicendo che il costo supera il volume di utenza corrisponde a dire che voi siete servi di altri. Questa cosa va avanti in modo istituzionale dall'Unità d'Italia, quando con quei pochi soldi del meridione hanno pagato i debiti fatti per costruire le ferrovie al settentrione. Il ragionamento è quello, tanto ne hai pochi, non ci puoi comprare chissà cosa, li usiamo noi.
Questo meccanismo sulla maggioranza, nel concreto, è un sistema di potere, nulla a che vedere con il bene pubblico. Ad un certo punto si è arrivati a dire che a Roma c'erano gli usurpatori delle tasse di quelli che lavorano. Ma chi è che li prendeva? Dati ISTAT alla mano i romani lavorano anche più di altri, ma non mi sembra che la città sia un gioiello tecnologico. Quindi ad essere sottratti della loro ricchezza sono in primo chi risiede nella città che ospita il governo. I romani hanno dato fiducia a tutte le forze politiche, ma il governo si muove sempre allo stesso modo. Cosa vuol dire questo? Che sono imbrogliati o che c'è qualcos'altro che non si può gestire democraticamente?
In alcune comunità il senso di civiltà è descritto dall'incidenza sull'ambiente, sullo sfruttamento delle risorse. Non utilizzo, sfruttamento, soffermiamoci su questa differenza. Ad esempio, se l'acqua viene utilizzata prima per servizi industriali non può essere poi usata per altro, questo determina che il primo ad usarla non la prende per poi renderla disponibile di nuovo, ma la sfrutta. Lì dove c'è il consumo della risorsa non c'è integrazione ambientale. Solitamente dopo un po' la risorsa si esaurisce e la civiltà si sposta in altri luoghi con altre risorse da sfruttare, ma può essere anche che decida di rimanere nel luogo che ha scelto e spostare le risorse, che ovviamente andranno ad incidere su un diverso equilibrio ambientale.
Le comunità che hanno compreso questo valore e sono quasi perfettamente integrate con l'ambiente, o meglio, si accontentano del giusto pur di conservare l'accesso alle proprie risorse, vengono considerate dalle altre poco sviluppate, e per questo si possono privare di quello che hanno. Gli si può costruire una centrale termica per il bene nazionale ad esempio, perché lì c'è meno gente, non è vicino a grandi città, si può fare. Anche se il 100% della comunità è contraria si sposta la totalità in rapporto con relazioni ipotetiche: l'intero pianeta terra potrebbe essere considerato insignificante per un'altro sistema solare.
Il diritto ha stabilito che ci fossero dei contributi economici alla comunità da parte chi chi sfrutta la risorsa, commutando un bene reale legittimo della comunità che lo usava in quantitativo monetario, ma quasi sempre sono rimasti al valore stabilito in fase contrattuale, che quando elargiti, per decenni, non adeguandosi alla svalutazione si è perpetrata una forma di completa usurpazione del bene.
Adesso, da un po', c'è l'idea di fare un ponte sullo stretto di Messina. Tralasciamo la sensatezza del progetto, l'impatto ambientale, lo sfruttamento delle risorse. La comunità l'ha chiesto? È stato fatto un referendum? Sappiamo che la maggioranza democratica, per essere il più eticamente corretta, va relazionata alla comunità reale, possibilmente che si riconosce in quella geografica interessata. Ho cercato, ma non ho trovato dei dati che legittimano democraticamente in qualche modo l'infrastruttura. Non si sa effettivamente cosa va a migliorare. Ammettiamo che la geologia permetta di realizzarlo. Non mi sembra che alla Sicilia manchino le attrattive e ci sia bisogno di un'opera così ingombrante. Cos'è un modo per svalutare i beni artistici e naturalistici?
Sulla questione di raggiungerla in modo veloce qual'è il senso? È un'isola ci si va in nave. Uno dopo tanti km arriva lì e si fa questa bellissima cosa di prendere la nave, che di per se è una dimensione che ti porta a capire le ragioni strutturali della Magna Grecia.
Molti sostenitori, ovviamente non locali, scrivono per facilitare le persone che lavorano tra le città dello stretto. Io l'ho fatta questa cosa, diverse volte, sia spostandomi dalla Calabria che dalla Sicilia, ma veramente vogliamo credere che un meridionale lavoratore che abita in centro a Messina o a Reggio Calabria, formato da millenni sull'elemento del mare che unisce, rinunci ad esempio alla colazione sulla nave per prendere la macchina, pagare il carburante, arrivare al ponte, pagare il ponte, imbattersi nel traffico che è inevitabile strutturalmente, poi parcheggiare e andare al lavoro? Dobbiamo credere che il ponte sia capace di creare dei lavori che permettono a queste persone di comprarsi una macchina? E se non è possibile vanno in autobus invece che con la nave? Siamo realisti, per piacere
#infrastructure#infrastrutture#civiltà#ponte sullo stretto#messina#sicilia#calabria#italia#sociologia#flavio scutti
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Il governo Meloni ha nel cuore lo sviluppo delle piccole e medie imprese del Mezzogiorno
Il governo Meloni a stanziato 400 milioni di euro per innovazione, risparmio energetico e tutela dell'ambiente. Lo ha scritto, in una nota, il senatore Gianni Rosa (Fratelli d'Italia). "Ai fini della valutazione della finanziabilità - ha aggiunto il parlamentare eletto in Basilicata - sono riconosciuti significativi anche i punteggi premiali per i progetti aventi ad oggetto l'efficientamento energetico dell'impresa e che consentano un risparmio energetico almeno pari al 5%, nonché per quelli finalizzati a introdurre nel processo produttivo soluzioni legate all'economia circolare. Analoghe premialità sono altresì riconosciute per i progetti che contribuiscono al raggiungimento degli obiettivi di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici individuati. Insomma - ha concluso Rosa - una dimostrazione pratica dell'interesse che l'esecutivo ha per il Sud e per le sue pmi, lo sviluppo e la transizione al centro dell'interesse del Meridione d'Italia". Read the full article
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I giorni Sabato 11 e domenica 12 febbraio 2023, si terrà, nella accogliente location della Stazione marittima di Salerno (ideata dall'archistar Zaha Hadid) il primo evento collezionistico della città:
SALERNO COLLEZIONA - 1° Convegno Borsa scambio collezionistico numismatico e filatelico.
Mancando da anni un trait d'union tra i collezionisti del nord e del centro della nostra penisola con il meridione, Salerno si fa avanti proponendosi come snodo centrale del collezionismo italiano.
Nei 2 giorni saranno presenti i maggiori nomi della numismatica italiana, importanti Case d'Asta internazionali, provenienti da TUTTE le regioni d'Italia incluso le isole.
Sarà possibile scambiare, visionare, acquistare, far valutare monete, medaglie, banconote, francobolli, stampe, libri ed oggettistica.
Gli orari di apertura e chiusura per entrambi i giorni sono dalle ore 9 alle 19.
L'ingresso è gratuito, l'ampio parcheggio da 25 mila metri quadrati sottostante la Piazza della Libertà permetterà a tutti i collezionisti e curiosi di partecipare all'evento in grande comodità.
L'area espositiva è raggiungibile con ESTREMA facilità da ogni parte della città.
Il sito è a soli 1.8km dalla stazione ferroviaria, raggiungibile con una bellissima passeggiata sul lungomare cittadino.
Convenzioni per ricettività alberghiera e food sono presenti.
Per informazioni su come esporre o partecipare, contattare:
C.O.N. - Centro Organizzativo Numismatico
Attilio Maglio (+39) 3498125912
Pierpaolo Irpino (+39) 3929067646
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Campobasso, nuovo appuntamento al Circolo Sannitico della rassegna “Vivere con cura”
Campobasso, nuovo appuntamento al Circolo Sannitico della rassegna “Vivere con cura”. “Olla Comunità del Dono – Umanesimo e cultura della condivisione dell'abbondanza nell'Italia meridionale”. È questo il tema del nuovo appuntamento della rassegna “Vivere con cura”, in programma martedì 13 dicembre presso il Circolo Sannitico a Campobasso, alle ore 18.30. Relatore d'eccezione sarà il Dott. Giovanni Canora, naturopata, co-fondatore della cattedra Unesco di Salerno e presidente del Centro Studi Scuola Medica Salernitana, con un contributo del Prof. Bruno Paura, docente di Botanica dell'Università degli studi del Molise. La solidarietà spontanea nelle società rurali, in particolare nel meridione d'Italia, ha da sempre assicurato forme di aiuto reciproco e condivisione, soprattutto del cibo, motivato anche dalla consapevolezza che i “doni” della Terra, di Madre Natura, andavano onorati proprio con la condivisione sociale. Il sentimento “sacro” che la Terra fosse generosa di doni per la sussistenza, implicava sia il riconoscimento della comunità verso la generosità di Madre Terra sia la necessità della condivisione con chi aveva meno disponibilità di cibo. Condivisione che in quanto riconoscenza dell'abbondanza di Madre Terra diventa foriera di abbondanza per i prossimi raccolti. Da qui l'usanza di lasciare del cibo in una “Olla”, vaso di terracotta, come dono per i bisognosi della comunità come poveri, anziani, deboli, malati; non gli avanzi, ma i frutti della Terra da offrire spontaneamente, una sorta di decima, come riconoscenza per il dono dell'abbondanza. Dono senza attesa di un ritorno, oppure baratto, anche non contestuale ed alla pari, che ha caratterizzato la cultura rurale fino alla prima metà del secolo scorso. Questa valenza socioculturale ha caratterizzato la cultura umana in varie aree della nostra penisola e del mondo, definite come “comunità del dono”. Un modello di umanità che andrebbe ripresa e valorizzata rispetto agli attuali modelli socioeconomici competitivi e che alimentano sempre più sentimenti consumistici, egoistici ed egocentrici e soprattutto diseconomie con aree di iperconsumismo ed altre di povertà e carestie. L'Economia del Dono può diventare un vero e proprio “brand” socioculturale che può fungere da volano per la valorizzazione ed una nuova visione dello sviluppo del territorio e mettere insieme in un unico contenitore ospitalità, accoglienza, attività, prodotti tipici, archeologia e natura. ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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“ Quando una popolana napoletana non ha figli, essa non si addolora segretamente della sua sterilità, non fa una cura mirabile per guarirne, come le sposine aristocratiche, non alleva un cagnolino o una gattina o un pappagallo, come le sposette della borghesia. Una mattina di domenica ella, si avvia, con suo marito, all'Annunziata, dove sono riunite le trovatelle, e fra le bimbe e i bimbi, allora svezzati o grandicelli, ella ne sceglie uno con cui ha più simpatizzato, e, fatta la dichiarazione al governatore della pia opera, porta con sè, trionfante, la piccola figlia della Madonna. Questa creaturina, non sua, ella l'ama come se l'avesse messa al mondo; ella soffre di vederla soffrire, per malattia o per miseria, come se fossero viscere sue; nella piccola umanità infantile napoletana, i più battuti sono certamente i figli legittimi; di battere una figlia di Maria, ognuno ha un certo ritegno; una certa pietà gentilissima fa esclamare alla madre adottiva: puverella, non aggio core de la vattere, è figlia della Madonna. Se questa creatura fiorisce in salute e in bellezza, la madre ne va gloriosa come di opera sua, cerca di mandarla a scuola o almeno da una sarta per imparare a cucire, poiché certamente, per la sua bellezza, la bimba è figlia di un principe; in nessun caso di miseria o infermità, la madre adottiva riporta, come potrebbe, la figliuola all'Annunziata. E l'affezione, scambievole, è profonda, come se realmente fosse filiale; e a una certa età il ricordo dell'Annunziata scompare, e questa madre fittizia acquista realmente una figliuola. Ma vi è di più: una madre ha cinque figli. Il più piccolo ammala gravemente, ella si vota alla Madonna, perché suo figlio guarisca; ella adotterà una creatura trovatella. Il figlio muore; ma la pia madre, portando il fazzoletto nero che è tutto il suo lutto, compie il voto, lagrimando. Così, a poco a poco, la creatura viva e bella consola la madre della creatura morta, e vi resta in lei solo una dolcezza di ricordo e vi fiorisce una gratitudine grande per la figlia della Madonna. Talvolta, il figlio guarisce: il primo giorno in cui può uscire, la madre se lo toglie in collo e lo porta alla chiesa dell'Annunziata, gli fa baciare l'altare, poi vanno dentro a scegliere la sorellina o il fratellino. E fra i cinque o sei figli legittimi, la povera trovatella non sente mai di essere un'intrusa, non è mai minacciata di essere cacciata, mangia come gli altri mangiano, lavora come gli altri lavorano, i fratelli la sorvegliano perché non s'innamori di qualche scapestrato, ella si marita e piange dirottamente, quando parte dalla casa e vi ritorna sempre, come a rifugio e a conforto. “
Matilde Serao, Il ventre di Napoli. (Corsivi dell’autrice)
[Edizione originale: fratelli Treves, Milano, 1884]
#Matilde Serao#Il ventre di Napoli#XIX secolo#citazioni#libri#Italia meridionale#Meridione#scrittrici#giornalismo#Treves#intellettuali dell'800#Campania#Mezzogiorno#Storia d'Italia#questione meridionale#arrangiarsi#saggistica#plebe#Sud#Agostino Depretis#popolino#Regno d'Italia#Sinistra storica#letteratura meridionale#classi popolari#generosità#orfani#pietà#amore#famiglia
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Ettore C. e Vittorio F. sono entrambi di Bergamo. Ed entrambi, in questi giorni, hanno avuto la loro storia da raccontare sul Meridione d'Italia. A fine febbraio, durante l’esplosione dell’epidemia in Bergamasca, Ettore si ammala. Il virus lo aggredisce con una violenza inaudita. Il 4 marzo arriva la crisi respiratoria. Ma in Lombardia mancano i posti di terapia intensiva. Così viene messo su un aereo militare e portato a Palermo. In condizioni disperate. Ma lì, in Sicilia, lontano da Bergamo, i medici a Ettore salvano la vita. Quando si risveglia dal coma Ettore è convinto di essere ancora a Bergamo. Gli dicono che è a Palermo, profondo Sud. Lui sorride ma non ci crede. Sente medici e infermieri parlare in siciliano, ma è convinto che lo prendano in giro. O che si tratti di operatori meridionali arrivati in Lombardia. Per tutto il tempo nulla gli fa cambiare idea. Poi per la prima volta viene messo giù dal letto, va nel corridoio. Ed è lì che comprende d’essere veramente in Sicilia. Dei medici siciliani che lo hanno salvato dirà: “Mi hanno resuscitato”. Mentre il figlio racconta: “Medici e infermieri ci hanno tenuto costantemente aggiornati sulle sue condizioni, sono stati davvero gentili e comprensivi. Capitava che nostro papà, una volta uscito dal coma, si abbattesse un po’: loro erano sempre al suo fianco”. Ettore, di Bergamo, è guarito. Ed è tornato a casa. Intervistato dal Corriere ha detto: “Non appena finisce tutta questa storia voglio organizzare un viaggio con i miei nipoti, i miei figli e mia moglie a Palermo. E mi tatuerò la Sicilia sul corpo”. Ecco. Questa è la storia di Ettore di Bergamo. Che a 61 anni decide di tauarsi sul corpo la Sicilia, perché la Sicilia gli ha salvato la vita quando la sua Lombardia non riusciva a farlo. La storia di Vittorio, di Bergamo come lui, invece non la raccontiamo. Lasciamo che la sua convinzione dei “meridionali inferiori” sia spazzata via dalle parole di Ettore. Di Bergamo come lui. Con la Sicilia tatuata sul corpo e sul cuore. Che potrà accompagnare a settembre sua figlia all’altare. Perché l’Italia è unica. Unita. E uguale. Da Bergamo a Palermo. (Emilio Mola)
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E dài, smanetta...
Uomo di bassa statura. Con un outfit che Enzo e Carla lo metterebbero in croce se solo lo vedessero. L'accento è riconducibile al Meridione d'Italia. Parla al telefonino manco fosse un megafono. In maniera che tutti possano essere messi a parte di quanto lo angustia. Pare che il problema sia la casa. Non si trova un buco in cui andare a vivere. Chiede aiuto all'interlocutore. Invece di non fare un cazzo perché non smanetti al computer. Non sapete cosa avrei dato per sentire la risposta. No, non lo sapete. E io non intendo dirvelo.
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my grandma: mio papà che aveva una ditta di costruzioni lo diceva sempre: il meridione è la piaga d'Italia
me and my brother trying so hard not to cry and scream and kill ourselves:
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Italsider: la storia dell'ex stabilimento siderurgico di Bagnoli
La storia dell'Italsider di Bagnoli è uno dei più grandi esempi dell'Italia e del meridione per quanto riguarda il XX secolo. Un secolo fatto di innovazioni, sviluppo industriale e tecnologico. La sua nascita, espansione e "morte" segnano la vita di una delle più grandi acciaierie d'Italia e d'Europa. Quali sono stati gli step della vita dell'Italsider? Iniziamo questo piccolo viaggio indietro nel tempo. Cos'è l'Italsider? Prima di tuffarci nel passato è bene capire cosa fosse l'Italdsider. Bisogna fare questa premessa perché il nome Italsider non arriverà prima del 1964 quando lo stabilimento verrà ampliato. Inaugurato nel 1911, infatti, questa "zona" era conosciuta con il nome di Stabilimento Siderurgico di Bagnoli. L'Italsider era un complesso industriale sorto nel quartiere di Bagnoli a Napoli, già sede di alcuni impianti industriali nella seconda metà del XIX secolo. Cosa produceva l'Italsider? L'Italsider di Bagnoli è stato uno dei centri siderurgici più grandi d'Italia. La sua produzione era incentrata sul creare ghisa e acciaio grazie al lavoro che lo stabilimento faceva partendo dal minerale del ferro. Lo stabilimento raggiunse dimensioni enormi sui circa 2 milioni di metri quadrati negli anni 70 con oltre 8000 operai assunti. L'Italsider, infatti, si occupava di tutto il ciclo di produzione che si divide in 4 fasi: - Produzione della ghisa madre nell'altoforno; - Trasformazione della ghisa madre in acciaio; - Produzione dei semilavorati come bramme, blumi, billette, ecc. - Produzione dei prodotti finiti laminati come rotaie, profilati, lamiere, ecc. Dove si trova l'Italsider? Lo stabilimento si trovava nel quartiere napoletano di Bagnoli (che insieme a Fuorigrotta forma la decima municipalità del comune di Napoli). La domanda sorge spontanea: perché l'Italsider venne costruita a Bagnoli? Prima di tutto, il territorio dove sarebbe sorto lo stabilimneto era "popolato" da un discreto numero di vasti terreni che vennero venduti a prezzi decisamente bassi. La scelta venne poi favorita dalla vicinanza al mare in modo che si potesse realizzare la linea ferroviaria Roma – Napoli. La costruzione dello stabilimento, quindi, aveva diversi punti favorevoli soprattutto dal punto di vista economico ma purtroppo non vennero considerati i danni ambientali che avrebbe portato il progetto. Proprio la questione ambientale divenne tragicamente preponderante a partire del 1992, anno della sua chiusura, ma soprattutto per il discorso dello smantellamento dello stabilimento. Quando ha chiuso l'Italsider? Quando ha chiuso l'Italsider? L'Italsider chiuse battenti nel 1992. Furono molti i motivi che portarono lo stabilimento alla chiusura nonostante si fosse conclusa solo due anni prima una vasta opera di riammodernamento e riconversione dell'Italsider di Bagnoli. Si parla di chiudere Bagnoli: ma perché? Visto che è stato rinnovato pochi anni fa e con alcuni investimenti lo si può rendere più competitivo? (La Repubblica, Maggio 1987) Sono diversi i fattori che dobbiamo tenere in considerazione: - Fattore economico: La produzione annuale dello stabilimento è iniziata a calare anno dopo anno. Lo stabilimento racimolò debiti sempre più pesanti e soprattutto ci fu un altissimo numero di licenziamenti (basti pensare che si passò dagli 8000 operai degli anni 70 ai 3500 degli anni 90) - Fattore ambientale: l'inquinamento dell'aria e dell'acqua dovuti allo stabilimento divenne un grosso fattore determinante per la chiusura della struttura siderurgica di Bagnoli. Inoltre, dopo la chiusura "entrò in gioco" l'amianto. Il materiale fortemente cancerogeno era molto presente nella struttura dell'Italsider e provocò grossi danni alla zone di Bagnoli. Foto di Anja da Pixabay Read the full article
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NON bisogna meravigliarsi che un ATTORE possa essere anche esperto di DANZE POPOLARI. COSIMO ALBERTI è figlio di salentini emigrati a Napoli negli anni sessanta. Ha vissuto sempre tra la PIZZICA PIZZICA nei racconti della madre, delle sue nonne e dei danzatori Ostunesi; e delle TAMMURRIATE che vedeva ballare già dagli anni settanta avendo la sua famiglia acquistato una casa a Santa Anastasia, dove sorge il Santuario della Madonna dell'Arco, una delle mete più frequentate dal "popolo della tammorra". Si è sempre occupato di canzoni e musiche tradizionali, sia per motivi artistici che personali, coltivando lo studio con seminari tenuti dagli anziani ed esperti del settore arricchendolo con la ricerca direttamente sul campo. Frequenta, infatti, assiduamente da oltre un decennio le feste popolari del meridione d'Italia. Oltre ad appartenere di diritto alla terra dove nasce il tarantismo e il ballo sul tamburo ed ereditarlo nel sangue vi è in lui una passione viscerale per queste espressioni coreutiche arricchite da un attento studio e competenza riconosciuto da molti esponenti dell'ambiente !
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1 MAGGIO 1947 STRAGE DI PORTELLA DELLA GINESTRA
« I rapporti desecretati dell'OSS e del CIC (i servizi segreti statunitensi della Seconda guerra mondiale), che provano l'esistenza di un patto scellerato in Sicilia tra la cosiddetta “banda Giuliano” e elementi già nel fascismo di Salò (in primis, la Decima Mas di Junio Valerio Borghese e la rete eversiva del principe Pignatelli nel meridione) sono il risultato di una ricerca promossa e realizzata negli ultimi anni da Nicola Tranfaglia[8] (Università di Torino), dal ricercatore indipendente Mario J. Cereghino e da chi scrive. »
Coordinamento delle ricerche presso gli Archivi Nazionali degli Stati Uniti (NARA, College Park, Maryland) e l'Archivio Centrale dello Stato (Roma): Nicola Tranfaglia (Università di Torino), Giuseppe Casarrubea (Palermo), Mario J. Cereghino (San Paolo del Brasile).
« Sugli scenari che si aprirono con Portella della Ginestra, alcuni quesiti rimangono aperti ancora oggi: fino a che punto quegli eventi tragici videro realmente delle correità di Stato? E quali furono al riguardo le effettive responsabilità, dirette e indirette, di taluni personaggi chiamati in causa per nome dai banditi e da altri? Fra l'oggi e quei lontani avvenimenti vige, a ben vedere, un preciso nesso. Nel pianoro di Portella venne forgiato infatti un peculiare concetto della politica che giunge in sostanza sino a noi. » Sandro Provvisionato.Misteri d'Italia (Laterza 1994)
Era il 1947. Nei pressi di Palermo una strage di lavoratori, donne e bambini spezzò il governo regionale del Blocco del Popolo. La prima dell’Italia repubblicana. Ancora oggi, su quel mistero italiano pesa la mancanza di molte, troppe risposte. E un’ombra dei servizi segreti USA, per piegare la Sinistra vittoriosa in Sicilia.Quel giorno sul “sasso di Barbato” era salito per il tradizionale comizio Giacomo Schirò, un calzolaio, segretario della sezione socialista di San Giuseppe Jato. Quando cominciò a parlare i lavoratori innalzarono con orgoglio le loro bandiere rosse frammiste ai tricolori. I primi colpi risuonarono secchi nell’aria immota. Una vecchia credette che fossero mortaretti e cominciò a battere le mani. Rideva. Poi un mulo cadde con il ventre all’aria. A una bambina, d’improvviso, la piccola mascella si tinse di sangue. C’era gente che cadeva in silenzio, altri scappavano urlando, mentre la polvere in ampi vortici ricopriva tutto. La carneficina durò pochi minuti, poi le armi tacquero, il gorgoglio del fiume Jato si mischiò ai lamenti dei feriti, le alture coperte di ginestre si arrossarono di sangue. Era il 1° maggio 1947, giorno della strage di Portella della Ginestra, la prima strage dell’Italia repubblicana. Il Primo Maggio in molti Paesi del mondo si celebra la Festa del Lavoro (o dei Lavoratori) per ricordare l’impegno del movimento sindacale e i suoi traguardi in campo economico e sociale, in particolare l’orario di lavoro quotidiano fissato a 8 ore. La sua origine risale a una manifestazione organizzata a New York il 5 settembre 1882 dai Cavalieri del Lavoro (Knights of Labor), un’associazione fondata nel 1869. Nel 1884 in un’analoga manifestazione i Knights of Labor approvarono una risoluzione affinché l’evento avesse una cadenza annuale. Altre organizzazioni sindacali affiliate all’Internazionale dei lavoratori suggerirono poi come data della festività il 1° maggio, per ricordare le vittime di un altro corteo sindacale finito in tragedia: nel 1886 la polizia americana sparò sui lavoratori in sciopero in piazza Haymarket, Chicago.
In Italia la festa fu proclamata nel 1891, su proposta della Seconda Internazionale. Durante il Fascismo fu soppressa, sostituita da una festa del Lavoro italiano, il 21 aprile, e soprattutto dalla festa per i natali di Roma, il 27. Fu ripristinata il Primo Maggio con l’Italia repubblicana. Ma con la strage di Portella della Ginestra nel 1947 la festa si macchiò di sangue: una strage che per molti è il primo mistero della nostra Repubblica.Quel 1° maggio a Portella della Ginestra si erano riuniti lavoratori, agricoltori, donne e bambini della provincia di Palermo. Non era solo l’annuale appuntamento con la Festa dei Lavoratori: migliaia di persone erano lì per celebrare la prima vittoria di una coalizione di Sinistra nella nuova Repubblica Italiana: il Blocco del Popolo, che univa il PCI di Togliatti e il PSI di Nenni e che aveva sbaragliato la DC nelle recenti elezioni per l’Assemblea Regionale Siciliana. Improvvisamente dal monte Pelavet partirono sulla folla in festa numerose raffiche di mitra e granate, provocando 11 morti e 27 feriti (alcuni dei quali sarebbero poi morti per le ferite riportate). Il giorno seguente, il ministro Mario Scelba intervenne all’Assemblea Costituente affermando che dietro l’episodio non vi erano finalità politiche: doveva considerarsi un fatto circoscritto.L’Inchiesta successiva, condotta con lentezza e superficialità – il processo iniziò solo nel 1950 – identificò come colpevoli della strage di Portella della Ginestra gli uomini della banda di Salvatore Giuliano, il leggendario bandito detto il “Robin Hood” della Sicilia. Ma perché un bandito contadino come Giuliano decise di sparare contro i contadini dei suoi stessi paesi? C’erano dei mandanti? E chi insabbiò le indagini successive per decenni? Interrogativi rimasti senza una risposta sicura, anche perché i banditi arrestati, fra cui Salvatore Ferrerò detto “fra Diavolo”, furono uccisi il 22 luglio nella caserma di Alcamo: secondo il generale Giallombardo durante un tentativo di fuga.Solo recentemente alcuni storici hanno gettato nuova luce su quei tragici fatti, cercando testimonianze inedite che completassero le ricostruzioni parziali delle carte dell’inchiesta. Sandro Provvisionato (Misteri d’Italia, Laterza, 1994) e Carlo Ruta (Il binomio Giuliano-Scelba, Rubettino, 1995) hanno sostenuto che dietro la strage di Portella della Ginestra vi fosse un preciso piano politico, di cui gli esecutori materiali, Giuliano e i suoi, erano solo delle pedine. La mafia e una parte politica che con essa stringeva i primi, ambigui rapporti di potere, volevano delegittimare la vittoria delle Sinistre. Nel mese successivo all’eccidio, infatti, assalti a colpi di arma da fuoco, con morti e feriti, furono registrati anche alle Camere del Lavoro di San Giuseppe Jato, Carini, Borgetto, Monreale, Cinisi e Partinico. Si impose così la chiusura delle sezioni comuniste nel territorio per un lungo periodo e si potenziò il dominio mafioso in quei paesi. Il caos produsse un terremoto politico alla Regione che, nonostante il risultato elettorale, portò rapidamente alla formazione di un governo di emergenza di centrodestra. Tutto questo dimostrerebbe che l’eccidio non fu un fatto di banditismo locale.Ma Giuseppe Casarrubea e Nicola Tranfaglia (Portella della Ginestra 50 anni dopo, Sciascia, 2001) si sono spinti più in là. Basandosi sui rapporti desecretati dell’OSS e del CIC (i servizi segreti statunitensi nella Seconda guerra mondiale) hanno denunciato l’esistenza di un “patto scellerato” in Sicilia fra la banda di Giuliano ed elementi del Fascismo di Salò (in primis, la X MAS di Junio Valerio Borghese e la rete eversiva del principe Pignatelli nel meridione). Giuliano, il “re di Montelepre”, era poi attorniato da personaggi ambigui come Mike Stern, spia USA accreditata come giornalista, ex funzionari dell’Ovra, Ciro Verdiani, il nazifascista Giuseppe Cornelio Biondi, altri ex fascisti prima arrestati e poi rilasciati dagli Alleati per essere utilizzati in misteriose “azioni a medio e lungo termine”; per non parlare del più illustre boss Lucky Luciano, liberato nonostante una condanna negli USA e stranamente avvistato in Sicilia proprio dopo lo sbarco alleato.
Non solo: sul pianoro, dopo la strage di Portella della Ginestra, restarono 800 bossoli e, di questi, quelli che uccisero furono una minima parte: 81, esplosi da un mitra Beretta calibro 9. Ma Giuliano aveva un mitra Brada calibro 6 e i suoi uomini fucili mitragliatori calibro 7,6. Per sapere a chi appartenesse la Beretta non venne avviata alcuna indagine, così come per le schegge dei colpi di lanciagranate che la folla inizialmente aveva scambiato per mortaretti. Erano piste che portavano oltre i banditi: curiosamente, si trattava di armi in dotazione agli uomini dell’Office of Strategic Services, guidato in Italia dal comandante James Angleton. Insomma, quella del 1° maggio 1947 fu probabilmente la prima strage di Stato dell’Italia repubblicana, dettata dagli scenari della Guerra fredda, e segnerebbe quindi l’inizio della cosiddetta “strategia della tensione”. In quei luoghi oggi un memoriale ricorda le vittime della strage di Portella della Ginestra. Ma un compito ancor più importante spetta alla politica: il ricordo di quei morti merita anzitutto Verità, e poi un’attenta riflessione.
Come ha notato Giuseppe Casarrubea, «fra l’oggi e quei lontani avvenimenti vige, a ben vedere, un preciso nesso. Nel pianoro di Portella venne forgiato infatti un peculiare concetto della politica che giunge in sostanza sino a noi». La delegittimazione violenta dei cortei operai, oggi diremmo della “piazza”, è una costante che ritorna in tutti i momenti caldi della nostra storia politica, anche molto recente. Fra un concertone di Piazza San Giovanni e qualche (immancabile) sermone buonista dei nostri politici, sarebbe giusto ricordare il senso della parola Lavoro nel nostro Paese. E ridare il giusto peso storico e politico all’art. 1 della nostra Costituzione.
Queste le undici vittime, così come riportate dalla pietra incisa posta sul luogo del massacro:
Margherita Clesceri (minoranza albanese, 37 anni) Giorgio Cusenza (min. albanese, 42 anni) Giovanni Megna (min. albanese, 18 anni) Francesco Vicari (min. albanese, 22 anni) Vito Allotta (min. albanese, 19 anni) Serafino Lascari (min. albanese, 15 anni) Filippo Di Salvo (min. albanese, 48 anni) Giuseppe Di Maggio (13 anni) Castrense Intravaia (18 anni) Giovanni Grifò (12 anni) Vincenza La Fata (8 anni) Rimasero gravemente ferite 27 persone. Alcuni di questi feriti morirono in seguito a causa delle ferite riportate.
Dalla pagina Facebook "Padri e Madri della Libertà"
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